Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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+PetaloNero+
00mercoledì 24 marzo 2010 15:52
RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI CLOYNE (IRLANDA)

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cloyne (Irlanda), presentata da S.E. Mons. John Magee, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.



NOMINA DEL VESCOVO DI GURUÉ (MOZAMBICO)

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Gurué (Mozambico) il Rev.do P. Francisco Lerma Martínez, I.M.C., Superiore Provinciale della Regione Mozambicana dell’Istituto Missioni Consolata.

Rev.do P. Francisco Lerma Martínez, I.M.C.

Il Rev.do P. Francisco Lerma Martínez, I.M.C., è nato il 4 maggio 1944 a El Palmar (Spagna), nella diocesi di Cartagena. Dopo aver frequentato il Seminario diocesano di San José di Murcia, è stato inviato a Roma dove ha seguito i corsi di Filosofia presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino e il primo anno di Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana (1966-1967), proseguendo poi la sua preparazione teologica presso la Pontificia Università Gregoriana (1967-1970), dove ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica. Successivamente ha frequentato la Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana (1985-1987), conseguendo il Dottorato. Ha emesso la Prima Professione religiosa nell’Istituto Missioni Consolata (I.M.C.) il 2 ottobre 1966 e quella Perpetua il 2 ottobre 1969.

È stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1969.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: 1969-1971: Studente alla Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, a Roma; 1971-1980: Vicario parrocchiale della missione di Maúa, nel centro catechistico di Etatara, e Parroco in Cuamba; 1980-1987: Direttore del Segretario Diocesano della pastorale nella diocesi d’Inhambane; 1987-1991: Parroco nella missione di Massinga; 1991-1996: Rettore del Seminario Filosofico della Consolata in Matola;

1996-2002: Rientra nella diocesi d’Inhambane per riassumere l’incarico di Direttore del Segretariato della Pastorale; 2002-2007: Direzione del Segretariato Generale per le Missioni dell’Istituto, a Roma; dal 2007: Superiore Regionale a Maputo, in Mozambico.
+PetaloNero+
00mercoledì 24 marzo 2010 15:52
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL X FORUM INTERNAZIONALE DEI GIOVANI

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, Em.mo Card. Stanisław Ryłko, e ai partecipanti al X Forum Internazionale dei Giovani, in corso a Rocca di Papa sul tema: "Imparare ad amare":


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello

Cardinale Stanisław Ryłko

Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

Sono lieto di inviare il mio cordiale saluto a Lei, ai collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici e a quanti prendono parte al X Forum Internazionale dei Giovani, che si tiene in questa settimana a Rocca di Papa sul tema «Imparare ad amare». Con particolare affetto mi rivolgo ai giovani delegati delle Conferenze Episcopali e di vari Movimenti, Associazioni e Comunità internazionali, provenienti dai cinque continenti. Estendo il mio pensiero agli autorevoli relatori, che apportano all'incontro il contributo della loro competenza e della loro esperienza.

«Imparare ad amare»: questo tema è centrale nella fede e nella vita cristiana e mi rallegro che abbiate occasione di approfondirlo insieme. Come sapete, il punto di partenza di ogni riflessione sull'amore è il mistero stesso di Dio, poiché il cuore della rivelazione cristiana è questo: Deus caritas est. Cristo, nella sua Passione, nel Suo dono totale, ci ha rivelato il volto di Dio che è Amore.

La contemplazione del mistero della Trinità ci fa entrare in questo mistero di Amore eterno, che è fondamentale per noi. Le prime pagine della Bibbia affermano, infatti, che: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Per il fatto stesso che Dio è amore e l'uomo è sua immagine, comprendiamo l'identità profonda della persona, la sua vocazione all'amore. L'uomo è fatto per amare; la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell'amore. Dopo aver cercato a lungo, santa Teresa di Gesù Bambino comprese così il senso della sua esistenza: «La mia vocazione è l'Amore!» (Manoscritto B, foglio 3).

Esorto i giovani presenti a questo Forum, affinché cerchino con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati. È questa la chiave di tutta l'esistenza. Possano pertanto investire tutte le loro energie per avvicinarsi a tale meta giorno dopo giorno, sostenuti dalla Parola di Dio e dai Sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia.

La vocazione all'amore prende forme differenti a seconda degli stati di vita. In quest’Anno Sacerdotale, mi piace ricordare le parole del Santo Curato d'Ars: «Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù». Nella sequela di Gesù, i sacerdoti danno la vita, affinché i fedeli possano vivere dell'amore di Cristo. Chiamate da Dio a donarsi interamente a Lui, con cuore indiviso, le persone consacrate nel celibato sono anche un segno eloquente dell'amore di Dio per il mondo e della vocazione ad amare Dio sopra ogni cosa.

Vorrei inoltre esortare i giovani delegati a scoprire la grandezza e la bellezza del Matrimonio: la relazione tra l'uomo e la donna riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale; perciò il vincolo coniugale assume una dignità immensa. Mediante il Sacramento del Matrimonio, gli sposi sono uniti da Dio e con la loro relazione manifestano l'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per la salvezza del mondo. In un contesto culturale in cui molte persone considerano il Matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere, è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo. Poiché Cristo consacra l'amore degli sposi cristiani e si impegna con loro, questa fedeltà non solo è possibile, ma è la via per entrare in una carità sempre più grande. Così, nella vita quotidiana di coppia e di famiglia, gli sposi imparano ad amare come Cristo ama. Per corrispondere a questa vocazione è necessario un serio percorso educativo e anche questo Forum si pone in tale prospettiva.

Questi giorni di formazione mediante l'incontro, l'ascolto delle conferenze e la preghiera comune, devono essere anche uno stimolo per tutti i giovani delegati a farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato. Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell'evangelizzazione dei giovani dei loro Paesi, affinché rispondano con gioia e fedeltà al comandamento di Cristo: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).

Invitando i giovani a perseverare sulla via della carità nella sequela di Cristo, do loro appuntamento per domenica prossima, in Piazza san Pietro, dove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della XXV Giornata Mondiale della Gioventù.

Quest'anno il tema di riflessione è: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc 10,17). A questa domanda, posta da un giovane ricco, Gesù risponde con uno sguardo d'amore e un invito al dono totale di sé, per amore di Dio. Possa questo incontro contribuire alla risposta generosa di ogni delegato alla chiamata e ai doni del Signore!

A tal fine assicuro la mia preghiera per tutta la gioventù e di cuore invio a Lei, Venerato Fratello, e a quanti partecipano al Forum internazionale una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 Marzo 2010

BENEDICTUS PP. XVI
+PetaloNero+
00mercoledì 24 marzo 2010 15:53
L’UDIENZA GENERALE


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di Sant’Alberto Magno.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno. Il titolo di "grande" (magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina, che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì "stupore e miracolo della nostra epoca".

Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova, sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette "arti liberali": grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato ben presto il campo prediletto della sua specializzazione. Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi. Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari. Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito per tutta la vita.

Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che divenne la sua città di adozione. Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale, Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della scienza. Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della "Provincia Teutoniae" – teutonica - dei Padri domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del Nord-Europa. Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san Domenico.

Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo, per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al 1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività caritative.

Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV, per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore. Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato dal Papa Gregorio X per favorire l’unione tra la Chiesa latina e quella greca, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni e persino di condanne del tutto ingiustificate.

Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa. Si trattava di un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso, e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia, come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche "Doctor universalis" proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.

Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori futuri.

Egli ha ancora molto da insegnare a noi. Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza, che è Logos – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista, attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr Sap. 13,5). Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: "Oh, voi misteriose galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare" (Le opere. Inno alla creazione).

Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità.

La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane. Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso. Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?

Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture. In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto "scienza affettiva", quella che indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla verità.

Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile. Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la "formula della santità" che egli seguì nella sua vita: "Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole", conformarsi cioè sempre alla volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.



SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Saint Albert le Grand fut l’un des grands maîtres de la théologie scolastique. Né en Allemagne au début du treizième siècle, il étudia d’abord à Padoue, où il fréquenta l’église des Dominicains chez lesquels il fit profession. Après son ordination sacerdotale, il fut envoyé à Paris pour perfectionner ses études de théologie. Il entreprit alors une extraordinaire activité d’écrivain. En 1254, il fut élu Provincial des Dominicains pour un vaste territoire d’Europe du Nord. Evêque de Ratisbonne de 1260 à 1262, il demandera ensuite au Pape d’être déchargé de ce ministère pour reprendre sa mission d’enseignement et d’étude. Homme de prière, de science et de charité, Albert jouissait d’une grande autorité dans la vie de l’Église et de la société de son temps. Il meurt en 1280 dans son couvent de Cologne. Albert le Grand nous rappelle qu’il n’y a pas d’opposition entre science et foi, et que ceux qui étudient les sciences de la nature peuvent parcourir un véritable chemin de sainteté. Il met en lumière le fait que la philosophie et la théologie ont des méthodes différentes, mais que leur dialogue coopère harmonieusement à la découverte de l’authentique vocation de l’homme. Prions pour que l’Église ne manque jamais de théologiens qui soient enracinés dans la prière, compétents et pleins de sagesse, et pour qu’en tout, nous sachions nous conformer à la volonté de Dieu pour ne rechercher que sa Gloire.

C’est avec joie que j’accueille ce matin les pèlerins francophones, en particulier les jeunes venus de France et le groupe du diocèse de Vannes. à tous je souhaite de vivre une fervente Semaine Sainte afin de découvrir toujours plus la profondeur de l’amour de Dieu pour les hommes. Que Dieu vous bénisse !


○ Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

In our catechesis on the Christian culture of the Middle Ages, we now turn to Saint Albert, better known as Albertus Magnus, Albert the Great. A universal genius whose interests ranged from the natural sciences to philosophy and theology, Albert entered the Dominicans and, after studies in Paris, taught in Cologne. Elected provincial of the Teutonic province, he served as bishop of Regensburg for four years and then returned to teaching and writing. He played an important part in the Council of Lyons, and he worked to clarify and defend the teaching of Saint Thomas Aquinas, his most brilliant student. Albert was canonized and declared a Doctor of the Church by Pope Pius XI, and Pope Pius XII named him the patron of the natural sciences. Saint Albert shows us that faith is not opposed to reason, and that the created world can be seen as a "book" written by God and capable of being "read" in its own way by the various sciences. His study of Aristotle also brought out the difference between the sciences of philosophy and theology, while insisting that both cooperate in enabling us to discover our vocation to truth and happiness, a vocation which finds its fulfilment in eternal life.

I welcome all the English-speaking visitors, especially a group of priests, Religious and seminarians visiting from the Philippines. Upon all the English-speaking pilgrims and your families, I invoke God’s abundant blessings.


○ Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

In der Reihe der großen Glaubensgestalten des Mittelalters wenden wir uns heute einem bedeutenden Theologen der Scholastik zu: dem heiligen Albertus Magnus. Der Beiname „der Große" weist auf die Weite und Tiefe seines Wissens hin, die Albertus mit innerer Friedfertigkeit und einem überaus tugendhaften Leben verband. Er wurde um 1200 in Lauingen an der Donau geboren. Als junger Mann begab er sich zum Studium nach Padua, und hier begegnete er dem Ordensmeister der Dominikaner Jordan von Sachsen. Von ihm wie auch von der dominikanischen Spiritualität zutiefst beeindruckt, trat Albert 1223 in diesen Orden ein. Dort erkannte man schnell seine hohe Begabung und schickte ihn nach Lehrtätigkeiten an verschiedenen Ordensschulen zum Weiterstudium an die Universität von Paris, dem damals geistigen Zentrum des Abendlandes, wo er schließlich auch als Dozent wirkte. Später wurde er von der Ordensleitung beauftragt, ein Studium generale, eine Art theologische Hochschule, in Köln zu gründen. Bei dieser Aufgabe begleitete ihn sein Schüler Thomas von Aquin. Albertus wurde schließlich zum Provinzial der Ordensprovinz Teutonia gewählt, die damals ganz Mitteleuropa umfaßte. Seine Qualitäten wurden auch von Papst Alexander IV. erkannt, der ihn 1260 zum Bischof von Regensburg ernannte. Albertus gelang es mit unermüdlichem Eifer den Frieden in seinem Bistum herzustellen und die Verhältnisse in Klöstern und Pfarreien zu ordnen. Einige Zeit später legte er jedoch sein Amt nieder und kehrte nach Köln zurück. Im Alter war Albert noch an der Vorbereitung des Zweiten Konzils von Lyon beteiligt, bevor er 1280 in Köln verstarb. Albert widmete sich unter anderem der Zusammenschau von Wissen und Glauben, von Naturerkenntnis und Theologie. In der Theologie verbinden sich für Albert Verstand und Wille. Sie ist „affektive Wissenschaft": sie leitet das Streben der Menschen dahin, sich mit Gott zu vereinigen, dem Ursprung der Welt und dem Ziel alles geordneten Handelns.

Von Herzen heiße ich alle deutschsprachigen Gäste willkommen, heute besonders die Schulgemeinschaft aus Essen-Werden. Suchen wir wie der heilige Albert der Große Gott in seinem Wort, in der Schönheit der Natur und in der Liebe zu begegnen. Der Herr segne euch auf allen Wegen!


○ Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas

San Alberto Magno, uno de los más grandes maestros de la Escolástica, nació en Alemania a comienzos del siglo trece, y profesó como dominico en Padua. Enseñó en la universidad de París y luego en Colonia, llevando consigo a Santo Tomás de Aquino. Por sus dotes y preparación, el Papa Alejandro IV lo quiso como consultor suyo por algún tiempo, y después lo nombró obispo de Ratisbona. Poco después se le concedió volver a su actividad docente y, en esta condición, contribuyó al desarrollo del segundo Concilio de Lyon, y también a la clarificación de la doctrina de Santo Tomás frente a algunas objeciones. Murió en Colonia, en olor de santidad, en mil doscientos ochenta. En el siglo pasado fue proclamado Doctor de la Iglesia y nombrado Patrón de los estudiosos de las ciencias naturales. Un título que destaca su prodigiosa cultura en muchos ámbitos del saber, desde la teología a las ciencias naturales. Pero que muestra también que no hay oposición entre fe y ciencia, y que estudiando las leyes de la materia se puede llegar, por analogía, al autor de la creación: la fe y la razón no se excluyen, sino que se armonizan y complementan.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al Cardenal Francisco Javier Errázuriz Ossa y al Presidente de la Conferencia Episcopal de Chile, Mons. Alejandro Goić Karmelić, con la Delegación venida para recibir una imagen de la Virgen del Carmen, que bendeciré como signo de afecto a los hijos de ese País, que celebra su bicentenario, y los acompañará en estos momentos de dificultad tras el reciente terremoto sufrido. Saludo también a los grupos venidos de España, México y otros países latinoamericanos. Muchas gracias.


○ Sintesi della catechesi in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs,

Santo Alberto Magno nasceu no início do século XIII, professou na Ordem Dominicana e, recebida a Ordenação Sacerdotal, ensinou em vários centros de estudos teológicos anexos aos conventos da Ordem. Com rigor científico, estudou as obras de Aristóteles e delas extraiu o que era universalmente válido, mostrando a sua harmonia com as verdades da fé cristã. Um motivo para lhe tributarmos a mais viva admiração é ter sido o mestre de São Tomás de Aquino; entre estes dois grandes teólogos, instaurou-se uma relação de mútua amizade, saindo Alberto em campo quando foi preciso defender o pensamento de Tomás de objecções e condenações totalmente injustificadas. O título de "Magno", grande, com que Alberto passou à história, indica a vastidão e profundidade da sua doutrina, associada à santidade de vida. Tinha como regra de vida: «Querer para a glória de Deus tudo o que eu quero, tal como Deus quer para a sua glória tudo aquilo que Ele quer».

Amados peregrinos de língua portuguesa, a minha cordial saudação no Senhor Jesus! Como penhor da graça salvadora que Ele nos mereceu com a sua Cruz, desça sobre vós e vossas famílias a minha Bênção. Vivei em paz e encorajai-vos mutuamente no caminho da santidade. E o Deus do amor e da paz estará convosco!



SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Saluto in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry. Jutro przypada uroczystość Zwiastowania Pańskiego. W Polsce jest ona obchodzona również jako Dzień Świętości Życia. Tajemnica Wcielenia odsłania szczególną wartość i godność ludzkiego życia. Bóg dał nam ten dar i uświęcił, gdy Syn stał się człowiekiem i narodził się z Maryi. Trzeba strzec tego daru od poczęcia aż do naturalnej śmierci. Z całego serca jednoczę się z tymi, którzy podejmują różne inicjatywy na rzecz poszanowania życia i budzenia nowej społecznej wrażliwości. Niech wam Bóg błogosławi.

[Cari fratelli e sorelle. Domani ricorre la solennità dell’Annunciazione del Signore. In Polonia essa è celebrata anche come Giornata della Sacralità della Vita. Il mistero dell’Incarnazione svela il particolare valore e la dignità della vita umana. Dio ci ha dato questo dono e lo ha santificato, quando il Figlio si è fatto uomo ed è nato da Maria. Bisogna salvaguardare questo dono dal concepimento fino alla morte naturale. Con tutto il cuore mi unisco a coloro che intraprendono diverse iniziative a favore del rispetto per la vita e per la promozione della nuova sensibilità sociale. Dio vi benedica!]


○ Saluto in lingua ungherese

Szeretettel köszöntöm a magyar híveket, különösen is a kolozsvári csoport tagjait. Hálásan köszönöm imáitokat. A nagyböjt kedvező időszak arra, hogy átalakítsuk életünket. Otthonaitokban és közösségeitekben legyen meg a kiengesztelődés és a kölcsönös jóakarat. Erre adom áldásomat. Dicsértessék a Jézus Krisztus!

[Un saluto cordiale rivolgo ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri del gruppo di Cluj-Napoca. Vi sono grato per le vostre preghiere. La Quaresima è il tempo opportuno per trasformare la nostra vita. Nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità regni sempre lo spirito di riconciliazione e di reciproca benevolenza. Dio vi benedica. Sia lodato Gesù Cristo!]


○ Saluto in lingua croata

S velikom radošću pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a na poseban način policajce iz Splita, liječnike i osoblje dječje bolnice iz Zagreba te nastavnike i gimnazijalce iz Mostara. Dok iščekujemo Kristov ulazak u Jeruzalem i njegovo predanje u volju Očevu, prepoznajmo koliko nas je ljubio te, slijedeći njegov primjer ljubimo svoju braću. Hvaljen Isus i Marija!

[Con grande gioia saluto tutti i pellegrini Croati, e in modo particolare i poliziotti di Split, i medici ed il personale dell’Ospedale per i fanciulli di Zagreb ed i docenti e studenti del Ginnasio di Mostar. Nell’attesa di rivivere l’entrata di Cristo a Gerusalemme ed il suo abbandono alla volontà del Padre, prendiamo coscienza di quanto egli ci ha amato e, a nostra volta, amiamo i nostri fratelli. Siano lodati Gesù e Maria!]


○ Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i diversi gruppi di religiose qui presenti, assicurando la mia preghiera per loro e per i rispettivi Istituti, affinché sappiano annunciare con rinnovata gioia Gesù Cristo, Salvatore del mondo. Saluto i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi del Movimento dei Focolari, ed auspico di cuore che questa visita rinsaldi in ciascuno la fedeltà al Vangelo e l'amore alla Chiesa.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La Solennità dell'Annunciazione, che domani celebreremo, sia per tutti un invito a seguire l'esempio di Maria Santissima: per voi, cari giovani, si traduca in pronta disponibilità alla chiamata del Padre, perché possiate essere fermento evangelico nella società; per voi, cari ammalati, sia sprone a rinnovare l'accettazione serena e confidente della volontà divina e a trasformare la vostra sofferenza in mezzo di redenzione dell'intera umanità; il sì di Maria susciti in voi, cari sposi novelli, un sempre più generoso impegno nel costruire una famiglia fondata sul reciproco amore e sui perenni valori cristiani.

+PetaloNero+
00giovedì 25 marzo 2010 15:58
LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Francisco Javier Errázuriz Ossa, dei Padri di Schönstatt, Arcivescovo di Santiago de Chile (Cile); con:
S.E. Mons. Alejandro Goić Karmelić, Vescovo di Rancagua (Cile), Presidente della Conferenza Episcopale del Cile;

S.E. Mons. Markus Bernt Eidsvig, C.R.S.A., Vescovo di Oslo (Norvegia); Amministratore Apostolico della Prelatura territoriale di Trondheim, in Visita "ad Limina Apostolorum",
con il Vescovo emerito: S.E. Mons. Gerhard Schwenzer, SS.CC.;

S.E. Mons. Berislav Grgić, Prelato della Prelatura territoriale di Tromsø (Norvegia), in Visita "ad Limina Apostolorum";

S.E. Mons. Anders Arborelius, O.C.D., Vescovo di Stockholm (Svezia), in Visita "ad Limina Apostolorum".

Il Papa riceve questa mattina in Udienza:
Gruppo degli Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale dei Paesi Scandinavi, in Visita "ad Limina Apostolorum".

Il Santo Padre ha ricevuto ieri in Udienza:
Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia. Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia.





RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA E SUCCESSIONE DELL’ARCIVESCOVO DI KWANGJU (COREA)

Il Santo Padre Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Kwangju (Corea), presentata da S.E. Mons. Andreas Choi Chang-mou, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Gli succede S.E. Mons. Hyginus Kim Hee-joong, Coadiutore della medesima arcidiocesi.



NOMINA DI AUSILIARE DI ANTANANARIVO (MADAGASCAR)

Il Papa ha nominato Ausiliare dell’arcidiocesi di Antananarivo (Madagascar) il Rev.do Jean de Dieu Raoelison, Professore di Teologia nel Seminario Maggiore Regionale di Faliarivo (Antananarivo) e Segretario della Conferenza Episcopale Malgascia. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Corniculana.

Rev.do Jean de Dieu Raoelison

Il Rev.do Jean de Dieu Raoelison è nato il 31 luglio 1963 ad Arivonimamo, arcidiocesi di Antananarivo. Ha svolto gli studi primari in una scuola privata cattolica, prima di entrare nel Seminario Minore di Ambohipo (1981-1986). Dopo un anno di tirocinio presso il centro del Movimento della Famiglia cristiana ed un secondo anno di tirocinio nel Distretto missionario di Ambohitsoabe (1987-1988), ha studiato la Filosofia nel Seminario Maggiore Regionale di Antsirabe (1988-1991), e la Teologia in quello Maggiore di Ambatoroka (1993-1996), Antananarivo, dopo aver svolto anche due anni di reggenza (1991-1993). Ha completato gli studi teologici ad Ambatoroka, ottenendo la Licenza all’Istituto Cattolico di Madagascar (I.C.M.) nel 1998.
È stato ordinato sacerdote il 7 settembre 1996.
Dopo l'ordinazione sacerdotale ha svolto le seguenti mansioni: 1996-1998: Vicario nella parrocchia di Ilanivato; 1998-2000: Parroco del distretto di Fenoarivo; 2000-2003: Educatore nel Seminario Maggiore Regionale Filosofico di Antsirabe; 2003-2004: Sacerdote "Fidei Donum " nella parrocchia di Lamoli-Urbino (Italia); 2004-2008: Studi per il Dottorato in Teologia alla Facoltà Teologica di Lugano (Svizzera); dal 2009: Docente di Teologia nel Seminario maggiore di Teologia di Faliarivo e Segretario permanente della Conferenza Episcopale malgascia.

+PetaloNero+
00giovedì 25 marzo 2010 15:58
INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON I GIOVANI DI ROMA E DEL LAZIO

Alle ore 20.30 di questa sera, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i giovani di Roma e del Lazio in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù.

L’arrivo del Santo Padre è preceduto da un momento di festa e di riflessione curato dal Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile di Roma, che ha inizio alle ore 19.

+PetaloNero+
00giovedì 25 marzo 2010 15:58
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE MISSIONARIA MONDIALE 2010

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 84a Giornata Missionaria Mondiale, che quest’anno si celebra domenica 24 ottobre sul tema: "La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione":


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

Il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario. Tale annuale appuntamento ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechetici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore. Egli stesso ci dice: "Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21). Solo a partire da questo incontro con l’Amore di Dio, che cambia l’esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù.

A ottobre, inoltre, in molti Paesi riprendono le varie attività ecclesiali dopo la pausa estiva, e la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d’amore del Padre sull’umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione?

Il Padre, infatti, ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l’Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l’umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che "ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

"Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, "missionaria per sua natura" (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.

Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di "parlare" di Gesù, ma di "far vedere" Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.

Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l’opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell’"interculturalità" possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace (cfr Ad gentes, 8). La Chiesa, infatti, "è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1).

La comunione ecclesiale nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1Gv 1,3). Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l’uomo e Dio. "Egli ci rivela «che Dio è carità» (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" (Gaudium et spes, 38).

La Chiesa diventa "comunione" a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: "Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui" (n. 84). Per tale ragione l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: "Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria" (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: "quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Gv 1,3).

Carissimi, in questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell’impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità per le nostre Chiese (cfr Lett. enc. Redemptoris missio, 2) e la loro cooperazione è testimonianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annunciatori dell’Amore che salva!

Rinnovo, pertanto, a tutti l’invito alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all’impegno dell’aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese. Tale gesto di amore e di condivisione, che il servizio prezioso delle Pontificie Opere Missionarie, cui va la mia gratitudine, provvederà a distribuire, sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali.

A conclusione dell’annuale messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, desidero esprimere, con particolare affetto, la mia riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l’avvento del Regno di Dio. A loro, che rappresentano le avanguardie dell’annuncio del Vangelo, va l’amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente. "Dio, (che) ama chi dona con gioia" (2Cor 9,7) li ricolmi di fervore spirituale e di profonda letizia.

Come il "sì" di Maria, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all’invito divino all’amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr Gal 4,4.19.26), che lasciandosi sorprendere dal mistero di Dio amore, il quale "quando venne la pienezza del tempo… mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4), donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli. Tale risposta renderà tutti i credenti capaci di essere "lieti nella speranza" (Rm 12,12) nel realizzare il progetto di Dio, che vuole "la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo" (Ad gentes, 7).

Dal Vaticano, 6 Febbraio 2010

BENEDICTUS PP. XVI

+PetaloNero+
00giovedì 25 marzo 2010 15:59
VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEI PAESI SCANDINAVI

Alle ore 12.05 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI incontra gli Ecc.mi Presuli della Conferenza Episcopale dei Paesi Scandinavi, ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum", e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE DISCORSO DEL SANTO PADRE

Dear Brother Bishops,

I welcome you to Rome on the occasion of your visit "to the threshold of the Apostles" and I thank Bishop Arborelius for the words he has addressed to me on your behalf. You exercise pastoral governance over the Catholic faithful in the far north of Europe and you have travelled here to express and renew the bonds of communion between the people of God in those lands and the Successor of Peter at the heart of the universal Church. Your flock is small in number, and scattered over a wide area. Many have to travel great distances in order to find a Catholic community in which to worship. It is most important for them to realize that every time they gather around the altar for the Eucharistic sacrifice, they are participating in an act of the universal Church, in communion with all their fellow Catholics throughout the world. It is this communion that is both exercised and deepened through the quinquennial visits of bishops to the Apostolic See.

I am pleased to note that a Congress on the Family is due to be held at Jönköping in May of this year. One of the most important messages that the people of the Nordic lands need to hear from you is a reminder of the centrality of the family for the life of a healthy society. Sadly, recent years have seen a weakening of the commitment to the institution of marriage and the Christian understanding of human sexuality that for so long served as the foundation of personal and social relations in European society. Children have the right to be conceived and carried in the womb, brought into the world and brought up within marriage: it is through the secure and recognized relationship to their own parents that they can discover their identity and achieve their proper human development (cf. Donum Vitae, 22 February 1987). In societies with a noble tradition of defending the rights of all their members, one would expect this fundamental right of children to be given priority over any supposed right of adults to impose on them alternative models of family life and certainly over any supposed right to abortion. Since the family is "the first and indispensable teacher of peace" (Message for the 2008 World Day of Peace), the most reliable promoter of social cohesion and the best school of the virtues of good citizenship, it is in the interests of all, and especially of governments, to defend and promote stable family life.

While the Catholic population of your territories constitutes only a small percentage of the total, it is nevertheless growing, and at the same time a good number of others listen with respect and attention to what the Church has to say. In the Nordic lands, religion has an important role in shaping public opinion and influencing decisions on matters concerning the common good. I urge you, therefore, to continue to convey to the people of your respective countries the Church’s teaching on social and ethical questions, as you do through such initiatives as your 2005 pastoral letter "The Love of Life" and the forthcoming Congress on the Family. The establishment of the Newman Institute in Uppsala is a most welcome development in this regard, ensuring that Catholic teaching is given its rightful place in the Scandinavian academic world, while also helping new generations to acquire a mature and informed understanding of their faith. Within your own flock, pastoral care of families and young people needs to be pursued with vigour, and with particular care for the many who have experienced difficulties in the wake of the recent financial crisis. Due sensitivity should be shown to the many married couples in which only one partner is Catholic. The immigrant component among the Catholic population of the Nordic lands has needs of its own, and it is important that your pastoral outreach to families should include them, with a view to assisting their integration into society. Your countries have been particularly generous to refugees from the Middle East, many of whom are Christians from Eastern Churches. For your part, as you welcome "the stranger who sojourns with you" (Lev 19:34), be sure to help these new members of your community to deepen their knowledge and understanding of the faith through apposite programmes of catechesis – in the process of integration within their host country, they should be encouraged not to distance themselves from the most precious elements of their own culture, particularly their faith.

In this Year for Priests, I ask you to give particular priority to encouraging and supporting your priests, who often have to work in isolation from one another and in difficult circumstances in order to bring the sacraments to the people of God. As you know, I have proposed the figure of Saint John Vianney to all the priests of the world as a source of inspiration and intercession in this year devoted to exploring more deeply the meaning and indispensable role of the priesthood in the Church’s life. He expended himself tirelessly in order to be a channel of God’s healing and sanctifying grace to the people he served, and all priests are called to do likewise: it is your responsibility, as their Ordinaries, to see that they are well prepared for this sacred task. Ensure too that the lay faithful appreciate what their priests do for them, and that they offer them the encouragement and the spiritual, moral and material support that they need.

I would like to pay tribute to the enormous contribution that men and women religious have made to the life of the Church in your countries over many years. The Nordic lands are also blessed with the presence of a number of the new ecclesial movements, which bring fresh dynamism to the Church’s mission. In view of this wide variety of charisms, there are many ways in which young people may be attracted to devote their lives to the service of the Church through a priestly or religious vocation. As you carry out your responsibility to foster such vocations (cf. Christus Dominus, 15), be sure to address yourselves to both the native and the immigrant populations. From the heart of any healthy Catholic community, the Lord always calls men and women to serve him in this way. The fact that more and more of you, the Bishops of the Nordic lands, originate from the countries in which you serve is a clear sign that the Holy Spirit is at work among the Catholic communities there. I pray that his inspiration will continue to bear fruit among you and those to whom you have dedicated your lives.

With great confidence in the life-giving power of the Gospel, commit your energies to promoting a new evangelization among the people of your territories. Part and parcel of this task is continued attention to ecumenical activity, and I am pleased to note the numerous tasks in which Christians from the Nordic lands come together to present a united witness before the world.

With these sentiments, I commend all of you and your people to the intercession of the Nordic saints, especially Saint Bridget, co-patron of Europe, and I gladly impart my Apostolic Blessing as a pledge of strength and peace in the Lord.
+PetaloNero+
00venerdì 26 marzo 2010 16:04
INCONTRO CON I GIOVANI DI ROMA E DEL LAZIO
IN PREPARAZIONE ALLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Giovedì, 25 marzo 2010



www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/march/documents/hf_ben-xvi_spe_20100325_giovani...

+PetaloNero+
00venerdì 26 marzo 2010 16:04
LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

S.E. il Sig. Álvaro Colom Caballeros, Presidente della Repubblica del Guatemala, e Seguito;

Em.mo Card. William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il Papa riceve questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace;

S.E. il Sig. Albert Edward Ismail Yelda, Ambasciatore della Repubblica d’Iraq, in visita di congedo.
+PetaloNero+
00venerdì 26 marzo 2010 16:05
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: UDIENZA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI GUATEMALA


Nella mattinata di oggi, venerdì 26 marzo 2010, il Presidente della Repubblica di Guatemala, S.E. il Sig. Álvaro Colom Caballeros, è stato ricevuto in Udienza da Sua Santità Benedetto XVI e, successivamente, si è incontrato con Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, che era accompagnato da S.E. Mons. Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati.

Durante i cordiali colloqui, sono state evidenziate le buone relazioni esistenti fra la Chiesa e lo Stato ed il particolare contributo che la Chiesa offre allo sviluppo del Paese. In seguito vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale, con speciale riferimento alle sfide poste dalla povertà, dalla criminalità organizzata e dall’emigrazione. Nel corso della conversazione si è anche sottolineata l’importanza di promuovere la vita umana, fin dal momento del concepimento, ed il ruolo dell’educazione.
+PetaloNero+
00sabato 27 marzo 2010 00:22
Il Papa ai Vescovi scandinavi: promuovere le vocazioni tra locali e immigrati
Udienza in occasione della visita ad limina



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai Vescovi dei Paesi scandinavi questo giovedì in Vaticano ricevendoli in occasione della loro visita ad limina apostolorum.

* * *
Cari Fratelli Vescovi,

vi do il benvenuto a Roma in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum e ringrazio il Vescovo Arborelius per le parole che mi ha rivolto a vostro nome. Esercitate il governo pastorale sui fedeli cattolici nell'estremo Nord dell'Europa e avete viaggiato fin qui per esprimere e rinnovare i vincoli di comunione fra il popolo di Dio in quei Paesi e il Successore di Pietro, nel cuore della Chiesa universale. Il vostro gregge è numericamente piccolo e sparso su un'area molto vasta. Molti devono percorrere grandi distanze per trovare una comunità cattolica in cui praticare il culto. È molto importante per loro comprendere che ogni volta che si riuniscono intorno all'altare per il sacrificio eucaristico, partecipano a un atto della Chiesa universale, in comunione con tutti i loro fratelli cattolici del resto del mondo. È questa comunione a essere sia esercitata sia approfondita attraverso le visite quinquennali dei Vescovi alla Sede Apostolica.

Sono lieto di apprendere che un Congresso sulla Famiglia si svolgerà a Jönköping nel maggio di quest'anno. Uno dei messaggi più importanti che le persone delle terre nordiche devono ascoltare da voi è un monito a proposito della centralità della famiglia per la vita di una società sana. Purtroppo, gli ultimi anni hanno assistito a un indebolimento dell'impegno per l'istituto del matrimonio e dell'idea cristiana di sessualità umana, che per tanto tempo è stata il fondamento di relazioni personali e sociali nella società europea.

I bambini hanno il diritto di essere concepiti e portati in grembo, messi al mondo e cresciuti nell'ambito del matrimonio: è attraverso il rapporto certo e riconosciuto dei loro genitori che possono scoprire la propria identità e raggiungere il proprio adeguato sviluppo umano (cfr. Donum vitae, 22 febbraio 1987).

In società con una nobile tradizione di difesa dei diritti di tutti i loro membri, ci si aspetterebbe che questo diritto fondamentale dei figli avesse la priorità su qualsiasi altro presunto diritto degli adulti a imporre loro modelli alternativi di vita familiare e, di certo, su qualsiasi presunto diritto all'aborto. Poiché la famiglia è «la prima e insostituibile educatrice alla pace» (Messaggio in occasione della Giornata mondiale della Pace 2008), la promotrice più affidabile di coesione sociale e la migliore scuola delle virtù di buona cittadinanza, è nell'interesse di tutti, e in particolare dei governi, difendere e promuovere una vita familiare stabile.

Sebbene la popolazione cattolica nei vostri territori costituisca solo una piccola percentuale di quella totale, essa sta crescendo e, nello stesso tempo, un buon numero di altre persone ascolta con rispetto e attenzione quel che la Chiesa ha da dire. Nelle terre nordiche, la religione ha un ruolo importante nel plasmare l'opinione pubblica e nell'influenzare le decisioni su questioni relative al bene comune. Vi esorto, quindi, a continuare a trasmettere alle persone dei vostri rispettivi Paesi l'insegnamento della Chiesa su questioni etiche e sociali, come fate attraverso iniziative quali la lettera pastorale «L'amore per la vita» e il prossimo Congresso sulla Famiglia. L'apertura dell'Istituto Newman a Uppsala è un progresso molto positivo a questo proposito, che garantisce che l'insegnamento cattolico abbia il proprio giusto posto nel mondo accademico scandinavo, aiutando anche le nuove generazioni ad acquisire una comprensione matura e informata della loro fede.

Nel vostro gregge, la sollecitudine pastorale per le famiglie e per i giovani deve essere perseguita con vigore, e con particolare cura per i molti che hanno vissuto difficoltà a causa della recente crisi finanziaria. Bisognerebbe mostrare la dovuta sensibilità alle numerose coppie sposate nelle quali uno solo dei coniugi è cattolico. La parte della popolazione cattolica delle terre nordiche costituita da immigrati ha necessità proprie ed è importante che il vostro approccio pastorale alle famiglie includa queste persone e le aiuti a integrarsi nella società. I vostri Paesi sono stati particolarmente generosi con i rifugiati del Medio Oriente, molti dei quali sono cristiani di Chiese orientali. Da parte vostra, mentre accogliete «il forestiero dimorante fra voi» (Lev 19, 34), siate certi di aiutare questi nuovi membri della vostra comunità per approfondire la loro conoscenza e la loro comprensione della fede attraverso programmi appositi di catechesi. Nel processo di integrazione nel loro Paese ospite, dovrebbero essere incoraggiati a non allontanarsi dagli elementi più preziosi della propria cultura, in particolare della loro fede.

In questo Anno Sacerdotale, vi chiedo di dare particolare priorità all'incoraggiamento e al sostegno dei vostri sacerdoti, che spesso devono operare lontani gli uni dagli altri e in circostanze difficili per portare i sacramenti al popolo di Dio. Come sapete, ho proposto la figura di san Giovanni Maria Vianney a tutti i sacerdoti del mondo quale fonte di ispirazione e di intercessione in questo anno dedicato a esplorare in modo più profondo il significato e il ruolo indispensabile del sacerdozio nella vita della Chiesa. Si è prodigato instancabilmente a essere un canale della grazia santificante e taumaturgica di Dio per il popolo che serviva, e tutti i sacerdoti sono chiamati a fare lo stesso: è vostro dovere, in quanto loro Ordinari, fare in modo che siano bene preparati per questo sacro compito. Assicuratevi anche che i fedeli laici apprezzino quello che i sacerdoti fanno per loro e offrano loro l'incoraggiamento e il sostegno spirituale, morale e materiale di cui hanno bisogno.

Desidero rendere onore all'enorme contributo che religiosi, uomini e donne, hanno apportato alla vita della Chiesa nei vostri Paesi per molti anni. Le terre nordiche sono anche benedette dalla presenza di un numero di nuovi movimenti ecclesiali, che portano rinnovato dinamismo alla missione della Chiesa. Di fronte a questa varietà di carismi, ci sono molti modi in cui i giovani possono essere esortati a dedicare la propria vita al servizio della Chiesa attraverso una vocazione sacerdotale o religiosa. Poiché avete la responsabilità di promuovere queste vocazioni (cfr. Christus Dominus, n. 15), siate certi di rivolgervi sia alle popolazioni native sia a quelle immigrate. Dal centro di qualsiasi comunità cattolica sana, il Signore chiama sempre uomini e donne a servirlo in questo modo. Il fatto che sempre più di voi, Vescovi delle terre nordiche, provenite dai Paesi stessi in cui servite, è un chiaro segno del fatto che lo Spirito Santo è all'opera nelle vostre comunità cattoliche. Prego affinché la sua ispirazione continui a recare frutti fra voi e coloro ai quali avete dedicato la vostra vita.

Con grande fiducia nella forza donatrice di vita del Vangelo, adoperate le vostre energie per promuovere una nuova evangelizzazione fra le persone dei vostri territori. Parte integrante di questo compito è l'attenzione costante all'attività ecumenica e sono lieto di osservare le numerose incombenze in cui i cristiani delle terre nordiche si riuniscono per recare una testimonianza unita al mondo.

Con questi sentimenti, affido tutti voi e il vostro popolo all'intercessione dei santi nordici, in particolare santa Brigida, compatrona d'Europa e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di pace nel Signore.



[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de "L'Osservatore Romano"]




+PetaloNero+
00sabato 27 marzo 2010 15:44
LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi;

S.E. Mons. Angelo Amato, Arcivescovo tit. di Sila, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Il Papa riceve questa mattina in Udienza:

S.E. Mons. Nikola Eterović, Arcivescovo tit. di Cibale, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi;

S.E. il Sig. Marius Gabriel Lazurca, Ambasciatore di Romania, con la Consorte, in visita di congedo.









RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI GRAND-BASSAM (COSTA D’AVORIO) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Grand-Bassam (Costa d’Avorio), presentata da S.E. Mons. Paul Dacoury-Tabley, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Grand-Bassam (Costa d’Avorio) il Rev.do P. Raymond Ahoua, F.D.P., Incaricato della formazione dei Seminaristi della Congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, già missionario in Kenya.

Rev.do P. Raymond Ahoua, F.D.P.
Il Rev.do P. Raymond Ahoua, F.D.P., è nato a Bonoua il 1° maggio 1960, nella diocesi di Grand Bassam. A 14 anni ha iniziato a lavorare nel Centro tecnico dei PP. Orionini di Anyama. Dal 1978 al 1982 ha completato il Liceo nel Seminario per le vocazioni adulte a Dapaong (Togo). Dal 1983 al 1985 ha studiato Filosofia a Bologna (Italia). Infine ha studiato Teologia nel Seminario Maggiore d'Anyama (Abidjan). Ha emesso la professione perpetua il 6 gennaio 1990, nella Congregazione Piccola Opera di Divina Provvidenza (F.D.P.), ed è stato ordinato sacerdote il 14 luglio 1990.
Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto le seguenti mansioni: 1990-1996: Vicario parrocchiale di Bonoua e Licenza in Diritto Canonico; 1992-1996: Direttore del Centro Tecnico di Bonoua; 1994-1998: Professore all'Università Cattolica dell'Africa dell'Ovest (UCAO); 1996-1998: Incaricato dello Scolastico del Seminario Don Orione ad Anyama; 1998-2009: Missionario in Kenya e Laurea in Teologia Biblica a Nairobi; 1998-2001: Vicario parrocchiale a Kaburugi, nella diocesi di Moranga (Kenya); 2001-2008: Incaricato dei Postulanti a Nairobi (Kenya); 2003-2009: Professore all'Istituto Teologico della Consolata a Nairobi (Kenya).
Dal 2009, rientrato - dopo 12 anni di missione - in Costa d’Avorio, è incaricato della formazione dei Seminaristi maggiori della sua Congregazione.



NOMINA DEL NUNZIO APOSTOLICO IN YEMEN E NEGLI EMIRATI ARABI UNITI

Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Yemen e negli Emirati Arabi Uniti S.E. Mons. Petar Rajič, Arcivescovo titolare di Sarsenterum, Nunzio Apostolico in Kuwait, Bahrein e Qatar, e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica.



NOMINA DEL LEGATO PONTIFICIO PER LA CELEBRAZIONE DEL X CONGRESSO EUCARISTICO DI SPAGNA (TOLEDO, 27-30 MAGGIO 2010)

Il Papa ha nominato l’Em.mo Card. Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, Legato Pontificio per la celebrazione del X Congresso Eucaristico di Spagna, che avrà luogo a Toledo dal 27 al 30 maggio 2010.
+PetaloNero+
00sabato 27 marzo 2010 15:44
PROMULGAZIONE DI DECRETI DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

Oggi, 27 marzo 2010, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza privata Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’Udienza il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Beata Bonifacia Rodriguez De Castro, Fondatrice della Congregazione delle Missionarie Serve di San Giuseppe; nata a Salamanca (Spagna) il 6 giugno 1837 e morta a Zamora (Spagna) l'8 agosto 1905;

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni De Palafox y Mendoza, prima Vescovo di Puebla de los Angeles e poi Vescovo di Osma; nato a Fitero (Spagna) il 24 giugno 1600 e morto a Osma (Spagna) il 1 ottobre 1659;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Barbara della Ss.ma Trinità (al secolo: Barbara Maix), Fondatrice della Congregazione delle Suore dell'Immacolato Cuore di Maria; nata a Vienna (Austria) il 27 giugno 1818 e morta a Catumbi (Brasile) il 17 marzo 1873;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Anna Maria Adorni, Fondatrice della Congregazione delle Ancelle della Beata Maria Immacolata e dell'Istituto del Buon Pastore di Parma; nata a Fivizzano (Italia) il 19 giugno 1805 e morta a Parma (Italia) il 7 febbraio 1893;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria dell'Immacolata Concezione (al secolo: Maria Isabella Salvat y Romero), Superiora Generale della Congregazione delle Suore della Compagnia della Croce; nata a Madrid (Spagna) il 20 febbraio 1926 e morta a Siviglia (Spagna) il 31 ottobre 1998;

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Stefano (al secolo: Giuseppe Nehmé), Religioso professo dell'Ordine Libanese dei Maroniti; nato a Lehfed (Libano) nel marzo 1889 e morta a Kfifane (Libano) il 30 agosto 1938;

- il martirio del Servo di Dio Szilárd Bogdánffy, Vescovo di Oradea Mare dei Latini; nato a Feketetó (Romania) il 21 febbraio 1911 e morto nel carcere di Nagyenyed (Romania) il 2 ottobre 1953;

- il martirio del Servo di Dio Gerardo Hirschfelder, Sacerdote diocesano; nato a Glatz (Germania) il 17 febbraio 1907 e morto nel campo di concentramento di Dachau (Germania) il 1° agosto 1942;

- il martirio del Servo di Dio Luigi Grozde, Laico, Membro dell'Azione Cattolica; nato a Gorenje Vodale (Slovenia) il 27 maggio 1923 e ucciso, in odio alla Fede, a Mirna (Slovenia) il 1° gennaio 1943;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Francesco Antonio Marcucci, Arcivescovo-Vescovo di Montalto; nato a Force (Italia) il 27 novembre 1717 e morto a Montalto (Italia) il 12 luglio 1798;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Francesco Gnidovec, Vescovo di Skopje-Prizren; nato a Veliki Lipovec (Slovenia) il 29 settembre 1873 e morto a Ljubljana (Slovenia) il 3 febbraio 1939;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Novarese, Sacerdote Diocesano e Fondatore dei Silenziosi Operai della Croce; nato a Casale Monferrato (Italia) il 29 luglio 1914 e morto a Rocca Priora (Italia) il 20 luglio 1984;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Enrichetta Delille, Fondatrice della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia; nata a New Orleans (Stati Uniti d'America) tra 1812 e 1813 ed ivi morta il 17 novembre 1862;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Teresa (al secolo: Regina Cristina Guglielmina Bonzel), Fondatrice dell'Istituto delle Povere Suore Francescane dell'Adorazione Perpetua del Terz'Ordine di San Francesco; nata a Olpe (Germania) il 17 settembre 1830 ed ivi morta il 6 febbraio 1905;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Francesca della Croce (al secolo: Amalia Francesca Rosa Streitel), Fondatrice dell'Istituto delle Suore dell'Addolorata; nata a Mellrichstadt (Germania) il 24 novembre 1844 e morta a Castel Sant'Elia (Italia) il 6 marzo 1911;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Felicia di Gesù Sacramentato (al secolo: Maria Felicia Guggiari Echeverría), Suora professa dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi; nata a Villarrica del Espíritu Santo (Paraguay) il 12 gennaio 1925 e morta ad Asunción (Paraguay) il 28 aprile 1959.
+PetaloNero+
00domenica 28 marzo 2010 15:45
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.

Alla celebrazione prendono parte giovani di Roma e di altre Diocesi, in occasione della ricorrenza della XXV Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10, 17).

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Luca:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

cari giovani!

Il Vangelo della benedizione delle palme, che abbiamo ascoltiamo qui riuniti in Piazza San Pietro, comincia con la frase: "Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme" (Lc 19,28). Subito all’inizio della liturgia di questo giorno, la Chiesa anticipa la sua risposta al Vangelo, dicendo: "Seguiamo il Signore". Con ciò il tema della Domenica delle Palme è chiaramente espresso. È la sequela. Essere cristiani significa considerare la via di Gesù Cristo come la via giusta per l’essere uomini – come quella via che conduce alla meta, ad un’umanità pienamente realizzata e autentica. In modo particolare, vorrei ripetere a tutti i giovani e le giovani, in questa XXV Giornata Mondiale della Gioventù, che l’essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica.

Ma di quale direzione si tratta? Come la si trova? La frase del nostro Vangelo offre due indicazioni al riguardo. In primo luogo dice che si tratta di un’ascesa. Ciò ha innanzitutto un significato molto concreto. Gerico, dove ha avuto inizio l’ultima parte del pellegrinaggio di Gesù, si trova a 250 metri sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme – la meta del cammino – sta a 740-780 metri sul livello del mare: un’ascesa di quasi mille metri. Ma questa via esteriore è soprattutto un’immagine del movimento interiore dell’esistenza, che si compie nella sequela di Cristo: è un’ascesa alla vera altezza dell’essere uomini. L’uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto. Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro. Egli conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell’altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall’ingratitudine. Egli ci conduce verso l’amore – ci conduce verso Dio.

"Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme". Se leggiamo questa parola del Vangelo nel contesto della via di Gesù nel suo insieme – una via che, appunto, prosegue sino alla fine dei tempi – possiamo scoprire nell’indicazione della meta "Gerusalemme" diversi livelli. Naturalmente innanzitutto deve intendersi semplicemente il luogo "Gerusalemme": è la città in cui si trovava il Tempio di Dio, la cui unicità doveva alludere all’unicità di Dio stesso. Questo luogo annuncia quindi anzitutto due cose: da un lato dice che Dio è uno solo in tutto il mondo, supera immensamente tutti i nostri luoghi e tempi; è quel Dio a cui appartiene l’intera creazione. È il Dio di cui tutti gli uomini nel più profondo sono alla ricerca e di cui in qualche modo tutti hanno anche conoscenza. Ma questo Dio si è dato un nome. Si è fatto conoscere a noi, ha avviato una storia con gli uomini; si è scelto un uomo – Abramo – come punto di partenza di questa storia. Il Dio infinito è al contempo il Dio vicino. Egli, che non può essere rinchiuso in alcun edificio, vuole tuttavia abitare in mezzo a noi, essere totalmente con noi.

Se Gesù insieme con l’Israele peregrinante sale verso Gerusalemme, Egli ci va per celebrare con Israele la Pasqua: il memoriale della liberazione di Israele – memoriale che, allo stesso tempo, è sempre speranza della libertà definitiva, che Dio donerà. E Gesù va verso questa festa nella consapevolezza di essere Egli stesso l’Agnello in cui si compirà ciò che il Libro dell’Esodo dice al riguardo: un agnello senza difetto, maschio, che al tramonto, davanti agli occhi dei figli d’Israele, viene immolato "come rito perenne" (cfr Es 12,5-6.14). E infine Gesù sa che la sua via andrà oltre: non avrà nella croce la sua fine. Sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio; che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l’uomo nel suo corpo. Sa che il suo corpo risorto sarà il nuovo sacrificio e il nuovo Tempio; che intorno a Lui, dalla schiera degli Angeli e dei Santi, si formerà la nuova Gerusalemme che è nel cielo e tuttavia è anche già sulla terra, perché nella sua passione Egli ha aperto il confine tra cielo e terra. La sua via conduce al di là della cima del monte del Tempio fino all’altezza di Dio stesso: è questa la grande ascesa alla quale Egli invita tutti noi. Egli rimane sempre presso di noi sulla terra ed è sempre già giunto presso Dio, Egli ci guida sulla terra e oltre la terra.

Così, nell’ampiezza dell’ascesa di Gesù diventano visibili le dimensioni della nostra sequela – la meta alla quale Egli vuole condurci: fino alle altezze di Dio, alla comunione con Dio, all’essere-con-Dio. È questa la vera meta, e la comunione con Lui è la via. La comunione con Cristo è un essere in cammino, una permanente ascesa verso la vera altezza della nostra chiamata. Il camminare insieme con Gesù è al contempo sempre un camminare nel «noi» di coloro che vogliono seguire Lui. Ci introduce in questa comunità. Poiché il cammino fino alla vita vera, fino ad un essere uomini conformi al modello del Figlio di Dio Gesù Cristo supera le nostre proprie forze, questo camminare è sempre anche un essere portati. Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio. Egli ci tira e ci sostiene. Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata; che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l’entrare nel «noi» della Chiesa; l’aggrapparsi alla cordata, la responsabilità della comunione – il non strappare la corda con la caparbietà e la saccenteria. L’umile credere con la Chiesa, come essere saldati nella cordata dell’ascesa verso Dio, è una condizione essenziale della sequela. Di questo essere nell’insieme della cordata fa parte anche il non comportarsi da padroni della Parola di Dio, il non correre dietro un’idea sbagliata di emancipazione. L’umiltà dell’«essere-con» è essenziale per l’ascesa. Fa anche parte di essa che nei Sacramenti ci lasciamo sempre di nuovo prendere per mano dal Signore; che da Lui ci lasciamo purificare e corroborare; che accettiamo la disciplina dell’ascesa, anche se siamo stanchi.

Infine, dobbiamo ancora dire: dell’ascesa verso l’altezza di Gesù Cristo, dell’ascesa fino all’altezza di Dio stesso fa parte la Croce. Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio, come la gioia per una grande scoperta conoscitiva o per una vera capacità operativa è legata alla disciplina, anzi, alla fatica dell’apprendimento, così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all’altezza di Dio attraverso la Croce. In ultima analisi, la Croce è espressione di ciò che l’amore significa: solo chi perde se stesso, si trova.

Riassumiamo: la sequela di Cristo richiede come primo passo il risvegliarsi della nostalgia per l’autentico essere uomini e così il risvegliarsi per Dio. Richiede poi che si entri nella cordata di quanti salgono, nella comunione della Chiesa. Nel «noi» della Chiesa entriamo in comunione col «Tu» di Gesù Cristo e raggiungiamo così la via verso Dio. È richiesto inoltre che si ascolti la Parola di Gesù Cristo e la si viva: in fede, speranza e amore. Così siamo in cammino verso la Gerusalemme definitiva e già fin d’ora, in qualche modo, ci troviamo là, nella comunione di tutti i Santi di Dio.

Il nostro pellegrinaggio alla sequela di Cristo quindi non va verso una città terrena, ma verso la nuova Città di Dio che cresce in mezzo a questo mondo. Il pellegrinaggio verso la Gerusalemme terrestre, tuttavia, può essere proprio anche per noi cristiani un elemento utile per tale viaggio più grande. Io stesso ho collegato al mio pellegrinaggio in Terra Santa dello scorso anno tre significati. Anzitutto avevo pensato che a noi può capitare in tale occasione ciò che san Giovanni dice all’inizio della sua Prima Lettera: quello che abbiamo udito, lo possiamo, in certo qual modo, vedere e toccare con le nostre mani (cfr 1Gv 1,1). La fede in Gesù Cristo non è un’invenzione leggendaria. Essa si fonda su di una storia veramente accaduta. Questa storia noi la possiamo, per così dire, contemplare e toccare. È commovente trovarsi a Nazaret nel luogo dove l’Angelo apparve a Maria e le trasmise il compito di diventare la Madre del Redentore. È commovente essere a Betlemme nel luogo dove il Verbo, fattosi carne, è venuto ad abitare fra noi; mettere il piede sul terreno santo in cui Dio ha voluto farsi uomo e bambino. È commovente salire la scala verso il Calvario fino al luogo in cui Gesù è morto per noi sulla Croce. E stare infine davanti al sepolcro vuoto; pregare là dove la sua santa salma riposò e dove il terzo giorno avvenne la risurrezione. Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è Lui stesso.

Quando andiamo in Terra Santa come pellegrini, vi andiamo però anche – e questo è il secondo aspetto – come messaggeri della pace, con la preghiera per la pace; con l’invito forte a tutti di fare in quel luogo, che porta nel nome la parola "pace", tutto il possibile affinché esso diventi veramente un luogo di pace. Così questo pellegrinaggio è al tempo stesso – come terzo aspetto – un incoraggiamento per i cristiani a rimanere nel Paese delle loro origini e ad impegnarsi intensamente in esso per la pace.

Torniamo ancora una volta alla liturgia della Domenica delle Palme. Nell’orazione con cui vengono benedetti i rami di palma noi preghiamo affinché nella comunione con Cristo possiamo portare il frutto di buone opere. Da un’interpretazione sbagliata di san Paolo, si è sviluppata ripetutamente, nel corso della storia e anche oggi, l’opinione che le buone opere non farebbero parte dell’essere cristiani, in ogni caso sarebbero insignificanti per la salvezza dell’uomo. Ma se Paolo dice che le opere non possono giustificare l’uomo, con ciò non si oppone all’importanza dell’agire retto e, se egli parla della fine della Legge, non dichiara superati ed irrilevanti i Dieci Comandamenti. Non c’è bisogno ora di riflettere sull’intera ampiezza della questione che interessava l’Apostolo. Importante è rilevare che con il termine "Legge" egli non intende i Dieci Comandamenti, ma il complesso stile di vita mediante il quale Israele si doveva proteggere contro le tentazioni del paganesimo. Ora, però, Cristo ha portato Dio ai pagani. A loro non viene imposta tale forma di distinzione. A loro viene dato come Legge unicamente Cristo. Ma questo significa l’amore per Dio e per il prossimo e tutto ciò che ne fa parte. Fanno parte di quest’amore i Comandamenti letti in modo nuovo e più profondo a partire da Cristo, quei Comandamenti che non sono altro che le regole fondamentali del vero amore: anzitutto e come principio fondamentale l’adorazione di Dio, il primato di Dio, che i primi tre Comandamenti esprimono. Essi ci dicono: senza Dio nulla riesce in modo giusto. Chi sia tale Dio e come Egli sia, lo sappiamo a partire dalla persona di Gesù Cristo. Seguono poi la santità della famiglia (quarto Comandamento), la santità della vita (quinto Comandamento), l’ordinamento del matrimonio (sesto Comandamento), l’ordinamento sociale (settimo Comandamento) e infine l’inviolabilità della verità (ottavo Comandamento). Tutto ciò è oggi di massima attualità e proprio anche nel senso di san Paolo – se leggiamo interamente le sue Lettere. "Portare frutto con le buone opere": all’inizio della Settimana Santa preghiamo il Signore di donare a tutti noi sempre di più questo frutto.

Alla fine del Vangelo per la benedizione delle palme udiamo l’acclamazione con cui i pellegrini salutano Gesù alle porte di Gerusalemme. È la parola dal Salmo 118 (117), che originariamente i sacerdoti proclamavano dalla Città Santa ai pellegrini, ma che, nel frattempo, era diventata espressione della speranza messianica: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Sal 118[117],26; Lc 19,38). I pellegrini vedono in Gesù l’Atteso, che viene nel nome del Signore, anzi, secondo il Vangelo di san Luca, inseriscono ancora una parola: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore". E proseguono con un’acclamazione che ricorda il messaggio degli Angeli a Natale, ma lo modifica in una maniera che fa riflettere. Gli Angeli avevano parlato della gloria di Dio nel più alto dei cieli e della pace in terra per gli uomini della benevolenza divina. I pellegrini all’ingresso della Città Santa dicono: "Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". Sanno troppo bene che in terra non c’è pace. E sanno che il luogo della pace è il cielo – sanno che fa parte dell’essenza del cielo di essere luogo di pace. Così questa acclamazione è espressione di una profonda pena e, insieme, è preghiera di speranza: Colui che viene nel nome del Signore porti sulla terra ciò che è nei cieli. La sua regalità diventi la regalità di Dio, presenza del cielo sulla terra. La Chiesa, prima della consacrazione eucaristica, canta la parola del Salmo con cui Gesù venne salutato prima del suo ingresso nella Città Santa: essa saluta Gesù come il Re che, venendo da Dio, nel nome di Dio entra in mezzo a noi. Anche oggi questo saluto gioioso è sempre supplica e speranza. Preghiamo il Signore affinché porti a noi il cielo: la gloria di Dio e la pace degli uomini. Intendiamo tale saluto nello spirito della domanda del Padre Nostro: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!". Sappiamo che il cielo è cielo, luogo della gloria e della pace, perché lì regna totalmente la volontà di Dio. E sappiamo che la terra non è cielo fin quando in essa non si realizza la volontà di Dio. Salutiamo quindi Gesù che viene dal cielo e lo preghiamo di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio. Che la regalità di Dio entri nel mondo e così esso sia colmato con lo splendore della pace. Amen.











LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS

Al termine della solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI recita l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PAROLE DEL SANTO PADRE

Mentre ci avviamo a concludere questa celebrazione, il pensiero non può non andare alla Domenica delle Palme di 25 anni fa. Era il 1985, che le Nazioni Unite avevano dichiarato "Anno della Gioventù". Il Venerabile Giovanni Paolo II volle cogliere quella occasione e, commemorando l’ingresso di Cristo in Gerusalemme acclamato dai suoi giovani discepoli, diede inizio alle Giornate Mondiali della Gioventù. Da allora, la Domenica delle Palme ha acquisito questa caratteristica, che ogni due o tre anni si manifesta anche nei grandi incontri mondiali, tracciando una sorta di pellegrinaggio giovanile attraverso l’intero pianeta alla sequela di Gesù. 25 anni or sono, il mio amato Predecessore invitò i giovani a professare la loro fede in Cristo che "ha preso su di sé la causa dell’uomo" (Omelia, 31 marzo 1985, nn. 5, 7: Insegnamenti VIII, 1 [1985], 884, 886). Oggi io rinnovo questo appello alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo. Consegno questo mandato in particolare ai 300 delegati del Forum Internazionale dei Giovani, venuti da ogni parte del mondo, convocati dal Pontificio Consiglio per i Laici.

Chers pèlerins francophones, rassemblés en ce dimanche des Rameaux, je vous salue cordialement, particulièrement vous, les jeunes, en cette vingt-cinquième Journée Mondiale de la Jeunesse. Accueillez avec joie l’appel à suivre le Christ, à l’aimer par-dessus tout et à le servir dans ses frères ! N’ayez pas peur de répondre avec générosité, s’il vous invite à le suivre dans la vie sacerdotale ou dans la vie religieuse. Tout au long de cette Semaine Sainte, avec Marie, suivez Jésus qui nous conduit vers la lumière de la Résurrection ! À tous, bonne montée vers Pâques !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors at this Angelus, especially the young people present who are celebrating the twenty-fifth World Youth Day. Today we also begin Holy Week, the Church’s most intense time of prayer and reflection, by recalling Jesus’s welcome into Jerusalem by the children. Let us make their joy our own, by welcoming Christ into our lives, our hearts and our families. Upon you and your loved ones, I gladly invoke the strength and peace of our Lord Jesus Christ.

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich allen deutschsprachigen Pilgern und Besuchern, und ganz besonders den jungen Menschen, die am heutigen Palmsonntag den 25. Weltjugendtag in den Diözesen feiern. Voll Freude sehen wir, daß auch in unserer Zeit viele Jugendliche Jesus Christus mit Begeisterung die Tore ihres Lebens öffnen und sich ohne Scheu zu ihrem Herrn und König bekennen. Der Blick auf die liebende Hingabe Jesu, die wir in den Geheimnissen der Karwoche betrachten werden, schenke uns allen die Kraft, nicht vor den Ansprüchen der Nachfolge Christi zurückzuschrecken. Der Herr segne euch und eure Familien.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Con la celebración del Domingo de Ramos, la Iglesia conmemora la Entrada Triunfal del Señor en Jerusalén, iniciándose así esta Semana grande y santa, donde celebraremos los misterios de la Pasión, Muerte y Resurrección de Nuestro Señor. Os invito, queridos hermanos, a participar con especial fervor en las celebraciones litúrgicas de los próximos días, para experimentar y gozar de la infinita misericordia de Dios, que por amor nos libra del pecado y de la muerte. Buenas y santas fiestas. Muchas gracias.

Pozdravljam dijake Škofijske klasične gimnazije v Šentvidu in vse druge slovenske romarje! Želim vam, da bi vedno z navdušenjem sprejemali Jezusa kot odrešenika in mu sledili – če treba tudi preko trpljenja - do zmage vstajenja. Naj vas spremlja moj blagoslov!

[Saluto gli alunni del Liceo Classico Diocesano di Šentvid e tutti gli altri pellegrini sloveni! Vi auguro cordialmente di accogliere Gesù come Salvatore sempre con entusiasmo e di seguirlo – se necessario anche attraverso la sofferenza – fino alla vittoria della risurrezione! Vi accompagni la mia Benedizione!]

Pozdrawiam pielgrzymów polskich, szczególnie młodych, którzy przybyli do Rzymu z okazji Światowego Dnia Młodzieży. Raz jeszcze zadajemy Chrystusowi pytanie: „Nauczycielu dobry, co mam czynić, aby osiągnąć życie wieczne?" (Mk 10, 17). Przeżycia Wielkiego Tygodnia, które w szczególny sposób ukazują wielką miłość Boga do człowieka, niech pomogą nam znaleźć właściwą odpowiedź. Życzę wszystkim głębokiej zadumy nad męką, śmiercią i zmartwychwsta

niem Chrystusa.

[Saluto i pellegrini Polacchi e, in modo particolare, tutti i giovani che sono venuti a Roma in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Ancora una volta chiediamo a Gesù: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). I misteri della Settimana Santa, che in modo particolare ci mostrano il grande amore di Dio verso l’uomo, ci aiutino a trovare la giusta risposta. Auguro a tutti di meditare in profondità la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani venuti da varie città e diocesi. Cari amici, non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese. Servitelo nelle persone più fragili e svantaggiate, in particolare nei vostri coetanei in difficoltà. A questo proposito, desidero assicurare anche una speciale preghiera per la Giornata mondiale dei portatori di autismo, promossa dall’ONU, che ricorrerà il prossimo 2 aprile.

In questo momento, il nostro pensiero e il nostro cuore si dirigono in modo particolare a Gerusalemme, dove il mistero pasquale si è compiuto. Sono profondamente addolorato per i recenti contrasti e per le tensioni verificatisi ancora una volta in quella Città, che è patria spirituale di Cristiani, Ebrei e Musulmani, profezia e promessa di quell’universale riconciliazione che Dio desidera per tutta la famiglia umana. La pace è un dono che Dio affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono. Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza!

Cari fratelli e sorelle! Come fece Gesù con il discepolo Giovanni, anch’io vi affido a Maria, dicendovi: Ecco la vostra madre (cfr Gv 19,27). A Lei ci rivolgiamo tutti con fiducia filiale, recitando insieme la preghiera dell’Angelus.

+PetaloNero+
00lunedì 29 marzo 2010 15:49
LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali;

Em.mo Card. Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Il Papa riceve questa mattina in Udienza:

Em.mo Card. Julián Herranz, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi;

S.E. Mons. Salvatore Fisichella, Arcivescovo tit. di Voghenza, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense.









RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA E SUCCESSIONE DELL’ARCIVESCOVO DI AIX (FRANCIA)

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Aix (Francia), presentata da S.E. Mons. Claude Feidt, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Gli succede S.E. Mons. Christophe Dufour, finora Vescovo Coadiutore della medesima arcidiocesi.



NOMINA DEL VESCOVO DI WARRI (NIGERIA)

Il Papa ha nominato Vescovo di Warry (Nigeria) S.E. Mons. John ‘Oke Afareha, finora Vescovo titolare di Mina ed Ausiliare della medesima diocesi.



NOMINA DELL’AUSILIARE DI HUNG HOÁ (VIÊT NAM)

Il Santo Padre ha nominato Ausiliare della diocesi di Hung Hoá (Viêt Nam) il Rev.do Jean Marie Vu Tât, del clero di Hung Hoá, Vice Rettore del Seminario Maggiore di Hà Nôi. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Tisiduo.

Rev.do Jean Marie Vu Tât

Il Rev.do Jean Marie Vu Tât è nato il 10 marzo 1944 a Di Nâu, Thach Thât, Hà Son Bình, diocesi di Hung Hoá. Ha svolto gli studi secondari al Seminario Minore di Son Loc, Son Tay. Dal 1969 al 1987 ha seguito privatamente i corsi di Filosofia e di Teologia presso il Vescovado, lavorando al tempo stesso per mantenersi. Successivamente ha completato la sua formazione nel Seminario Maggiore di Hà Nôi ed è stato ordinato sacerdote il 1° aprile 1987, dopo aver atteso a lungo il permesso del governo.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: 1987-1992: Responsabile della pastorale vocazionale della Diocesi; 1992-1998: Assistente dell’Amministratore diocesano; 1995-1997: Inviato a Roma, ha conseguito la Licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Urbaniana; 1997-1998: ha frequentato un corso di studi pastorali presso l’Istituto Cattolico di Parigi; 1998-2003: Assistente al Vescovado, Responsabile della pastorale missionaria della provincia di Lao Cai; 2003-2009: Parroco di Bach Loc; 1999-2004: Professore di Diritto canonico al Seminario Maggiore di Hà Nôi.

Dal 2005 è Vice Rettore del Seminario Maggiore di Hà Nôi.
+PetaloNero+
00martedì 30 marzo 2010 00:16
Il Papa nella Messa con i Cardinali a 5 anni dalla morte di Wojtyla


ROMA, lunedì, 29 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata questo lunedì da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Santa Messa con i Cardinali nel V anniversario - che ricorre venerdì 2 aprile - della morte del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II.

* * *

Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

Siamo riuniti intorno all’altare, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dell’anima eletta del Venerabile Giovanni Paolo II, nel quinto anniversario della sua dipartita. Lo facciamo con qualche giorno di anticipo, perché il 2 aprile sarà quest’anno il Venerdì Santo. Siamo, comunque, all’interno della Settimana Santa, contesto quanto mai propizio al raccoglimento e alla preghiera, nel quale la Liturgia ci fa rivivere più intensamente le ultime giornate della vita terrena di Gesù. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tutti voi che prendete parte a questa Santa Messa. Saluto cordialmente i Cardinali – in modo speciale l’Arcivescovo Stanislao Dziwisz – i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose; come pure i pellegrini giunti appositamente dalla Polonia, i tanti giovani e i numerosi fedeli che non hanno voluto mancare a questa Celebrazione.

Nella prima lettura biblica che è stata proclamata, il profeta Isaia presenta la figura di un "Servo di Dio", che è allo stesso tempo il suo eletto, nel quale egli si compiace. Il Servo agirà con fermezza incrollabile, con un’energia che non viene meno fino a che egli non abbia realizzato il compito che gli è stato assegnato. Eppure, non avrà a sua disposizione quei mezzi umani che sembrano indispensabili all’attuazione di un piano così grandioso. Egli si presenterà con la forza della convinzione, e sarà lo Spirito che Dio ha posto in lui a dargli la capacità di agire con mitezza e con forza, assicurandogli il successo finale. Ciò che il profeta ispirato dice del Servo, lo possiamo applicare all’amato Giovanni Paolo II: il Signore lo ha chiamato al suo servizio e, nell’affidargli compiti di sempre maggiore responsabilità, lo ha anche accompagnato con la sua grazia e con la sua continua assistenza. Durante il suo lungo Pontificato, egli si è prodigato nel proclamare il diritto con fermezza, senza debolezze o tentennamenti, soprattutto quando doveva misurarsi con resistenze, ostilità e rifiuti. Sapeva di essere stato preso per mano dal Signore, e questo gli ha consentito di esercitare un ministero molto fecondo, per il quale, ancora una volta, rendiamo fervide grazie a Dio.

Il Vangelo poc’anzi proclamato ci conduce a Betania, dove, come annota l’Evangelista, Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro (Gv 12,1). Questo banchetto in casa dei tre amici di Gesù è caratterizzato dai presentimenti della morte imminente: i sei giorni prima di Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che non sempre lo avrebbero avuto con loro, il proposito di eliminare Lazzaro in cui si riflette la volontà di uccidere Gesù. In questo racconto evangelico, c’è un gesto sul quale vorrei attirare l’attenzione: Maria di Betania "prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli" (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, poi, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore.

Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando – ci dice il quarto Vangelo – "si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli" (Gv 13,4-5), perché – disse – "anche voi facciate come io ho fatto a voi" (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: "tutta la casa – annota l’Evangelista – si riempì dell’aroma di quel profumo" (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.

"Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto" (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: "Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura" (Gv 12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua "ora" si avvicina, l’"ora" in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi "facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce" (Fil 2,8). Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: "Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore" (In Ioh. evang., 50, 6).

Cari fratelli e sorelle! Tutta la vita del Venerabile Giovanni Paolo II si è svolta nel segno di questa carità, della capacità di donarsi in modo generoso, senza riserve, senza misura, senza calcolo. Ciò che lo muoveva era l’amore verso Cristo, a cui aveva consacrato la vita, un amore sovrabbondante e incondizionato. E proprio perché si è avvicinato sempre più a Dio nell’amore, egli ha potuto farsi compagno di viaggio per l’uomo di oggi, spargendo nel mondo il profumo dell’Amore di Dio. Chi ha avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo, ha potuto toccare con mano quanto viva fosse in lui la certezza "di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi", come abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale (26/27,13); certezza che lo ha accompagnato nel corso della sua esistenza e che, in modo particolare, si è manifestata durante l’ultimo periodo del suo pellegrinaggio su questa terra: la progressiva debolezza fisica, infatti, non ha mai intaccato la sua fede rocciosa, la sua luminosa speranza, la sua fervente carità. Si è lasciato consumare per Cristo, per la Chiesa, per il mondo intero: la sua è stata una sofferenza vissuta fino all’ultimo per amore e con amore.

Nell’Omelia per il XXV anniversario del suo Pontificato, egli confidò di avere sentito forte nel suo cuore, al momento dell’elezione, la domanda di Gesù a Pietro: "Mi ami tu? Mi ami più di costoro…? (Gv 21,15-16); e aggiunse: "Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" (Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato" (16 ottobre 2003). Sono parole cariche di fede e di amore, l’amore di Dio, che tutto vince!


[In polacco]

Infine voglio salutare i polacchi qui presenti. Vi radunate numerosi intorno alla tomba del Venerabile Servo di Dio con un sentimento speciale, come figlie e figli della stessa terra, cresciuti nella stessa cultura e tradizione spirituale. La vita e l’opera di Giovanni Paolo II, grande polacco, può essere per voi motivo di orgoglio. Bisogna però che ricordiate, che questa è anche una grande chiamata ad essere fedeli testimoni della fede, della speranza e dell’amore, che egli ci ha ininterrottamente insegnato. Per l’intercessione di Giovanni Paolo II, vi sorregga sempre la benedizione del Signore.

Mentre proseguiamo la Celebrazione eucaristica, accingendoci a vivere i giorni gloriosi della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, affidiamoci con fiducia – sull’esempio del Venerabile Giovanni Paolo II – all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, affinché ci sostenga nell’impegno di essere, in ogni circostanza, apostoli infaticabili del suo Figlio divino e del suo Amore misericordioso. Amen!


[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
+PetaloNero+
00martedì 30 marzo 2010 16:02
LE UDIENZE

Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto oggi in Udienza:

Em.mo Card. Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Kraków (Polonia).





RINUNCE E NOMINE


NOMINA DELL’ARCIVESCOVO METROPOLITA DI NUEVA PAMPLONA (COLOMBIA)

Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita di Nueva Pamplona (Colombia) S.E. Mons. Luis Madrid Merlano, finora Vescovo di Cartago (Colombia).

S.E. Mons. Luis Madrid Merlano

S.E. Mons. Luis Madrid Merlano è nato a Cartagena il 27 ottobre 1946. Ha compiuto gli studi ecclesiastici di filosofia e teologia nel Seminario Nazionale di "Cristo Sacerdote" in La Ceja e nel Seminario Intermissionale di Bogotá.

È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1971 per il Vicariato Apostolico di Istmina - Tadó. È stato Cancelliere del Vicariato, Rettore della scuola "Normal San Pío X", Rettore del Seminario Maggiore "San Pío X" a Medellín, Direttore della Pastorale Sociale ed Economo del Vicariato e Vicario Generale.

Il 21 maggio 1988 è stato nominato Vescovo - Prelato di Tibú ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 3 luglio seguente.

Il 19 aprile 1995 è stato nominato Vescovo di Cartago.
+PetaloNero+
00mercoledì 31 marzo 2010 15:45
RINUNCE E NOMINE


NOMINA DI AUSILIARE DELLA DIOCESI PATRIARCALE DI GERUSALEMME DEI LATINI

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo Ausiliare della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini il Rev.do Mons. William Hanna Shomali, finora Cancelliere della medesima, assegnandogli la sede titolare vescovile di Lidda.

Rev.do Mons. William Hanna Shomali

Il Rev.do Mons. William Hanna Shomali è nato il 15 maggio 1950 a Beit-Sahour (Palestina). Nel 1961 è entrato nel Seminario Minore del Patriarcato Latino di Gerusalemme a Beit Jala, dove ha frequentato le scuole medie e superiori, passando poi al Seminario Maggiore e conseguendo il Baccalaureato in Teologia.

Il 5 settembre 1972 è stato ordinato sacerdote a Gerusalemme e nominato Vicario Parrocchiale di Zarqa-Nord. Nel 1975 è stato nominato Parroco a Shatana (Giordania).

Ha conseguito il Baccalaureato in Letteratura Inglese presso l'Università di Yarmouk (Giordania). Dal 1980 ha assunto il compito di docente nel Seminario di Beit Jala e nel 1982 ne è divenuto Vice-Rettore.

Nel 1985 è stato inviato a Roma per gli studi in Liturgia e nel 1989, dopo aver conseguito il Dottorato presso l'Ateneo di Sant’Anselmo in Urbe, ha seguito il ministero formativo nel Seminario di Beit Jala.

Nel 1998 è stato nominato Economo del Patriarcato Latino e dal 2005 al 2009 è stato Rettore del Seminario Patriarcale di Beit Jala. Al presente è Cancelliere del Patriarcato.

Parla l’arabo, l’inglese, l’italiano, il francese e conosce lo spagnolo, il tedesco e l’ebraico.
+PetaloNero+
00mercoledì 31 marzo 2010 15:46
L’UDIENZA GENERALE


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari Fratelli e Sorelle,

stiamo vivendo i giorni santi che ci invitano a meditare gli eventi centrali della nostra Redenzione, il nucleo essenziale della nostra fede. Domani inizia il Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico, nel quale siamo chiamati al silenzio e alla preghiera per contemplare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore.

Nelle omelie i Padri fanno spesso riferimento a questi giorni che, come osserva Sant’Atanasio in una delle sue Lettere Pasquali, ci introducono «in quel tempo che ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della Santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato» (Lett. 5,1-2: PG 26, 1379).

Vi esorto pertanto a vivere intensamente questi giorni affinché orientino decisamente la vita di ciascuno all'adesione generosa e convinta a Cristo, morto e risorto per noi.

La Santa Messa Crismale, preludio mattutino del Giovedì Santo, vedrà domani mattina riuniti i presbiteri con il proprio Vescovo. Nel corso di una significativa celebrazione eucaristica, che ha luogo solitamente nelle Cattedrali diocesane, verranno benedetti l’olio degli infermi, dei catecumeni e il Crisma. Inoltre, il Vescovo e i Presbiteri, rinnoveranno le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’Ordinazione. Tale gesto assume quest’anno, un rilievo tutto speciale, perché collocato nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per commemorare il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. A tutti i Sacerdoti vorrei ripetere l’auspicio che formulavo a conclusione della Lettera di indizione: «Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!».

Domani pomeriggio celebreremo il momento istitutivo dell’Eucaristia. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, confermava i primi cristiani nella verità del mistero eucaristico, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della Nuova Alleanza. Al tempo stesso, Egli costituisce gli Apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.

Con suggestivo rito, ricorderemo, inoltre, il gesto di Gesù che lava i piedi agli Apostoli (cfr Gv 13,1-25). Tale atto diviene per l’evangelista la rappresentazione di tutta la vita di Gesù e rivela il suo amore sino alla fine, un amore infinito, capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio e di renderlo libero. Al termine della liturgia del Giovedì santo, la Chiesa ripone il Santissimo Sacramento in un luogo appositamente preparato, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani e l’angoscia mortale di Gesù. Davanti all’Eucarestia, i fedeli contemplano Gesù nell’ora della sua solitudine e pregano affinché cessino tutte le solitudini del mondo. Questo cammino liturgico è, altresì, invito a cercare l’incontro intimo col Signore nella preghiera, a riconoscere Gesù fra coloro che sono soli, a vegliare con lui e a saperlo proclamare luce della propria vita.

Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore. Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante: la crocifissione. Esiste una inscindibile connessione fra l’Ultima Cena e la morte di Gesù. Nella prima Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue, ossia la sua esistenza terrena, se stesso, anticipando la sua morte e trasformandola in un atto di amore. Così la morte che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore. In tal modo, Gesù diventa la chiave per comprendere l’Ultima Cena che è anticipazione della trasformazione della morte violenta in sacrificio volontario, in atto di amore che redime e salva il mondo.

Il Sabato Santo è caratterizzato da un grande silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. In questo tempo di attesa e di speranza, i credenti sono invitati alla preghiera, alla riflessione, alla conversione, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per poter partecipare, intimamente rinnovati, alla celebrazione della Pasqua.

Nella notte del Sabato Santo, durante la solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", tale silenzio sarà rotto dal canto dell’Alleluia, che annuncia la resurrezione di Cristo e proclama la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. La Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore, entrando nel giorno della Pasqua che il Signore inaugura risorgendo dai morti.

Cari Fratelli e Sorelle, disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima. Lei che seguì Gesù nella sua passione e fu presente sotto la Croce, ci introduca nel mistero pasquale, perché possiamo sperimentare la letizia e la pace del Risorto.

Con questi sentimenti, ricambio fin d’ora i più cordiali auguri di santa Pasqua a tutti voi, estendendoli alle vostre Comunità e a tutti i vostri cari.



SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Pendant ces jours saints, nous méditons les événements centraux de notre Rédemption. Je vous invite à les vivre intensément et à donner une adhésion généreuse et convaincue au Christ, mort et ressuscité pour nous. Au cours de la Messe chrismale, les Évêques et les prêtres renouvellent leurs promesses sacerdotales. Puissent-ils être des messagers d’espérance, de réconciliation et de paix ! Demain soir, nous célèbrerons l’institution de l’Eucharistie et nous rappellerons le geste de Jésus qui lave les pieds de ses Apôtres, révélant ainsi son amour infini, qui rend l’homme capable d’être en communion avec Dieu et le rend libre. Invités durant ce chemin liturgique à la rencontre intime avec le Seigneur, nous le contemplerons dans la solitude de Gethsémani : là nous prierons afin que cessent toutes les solitudes du monde. Le Vendredi-Saint, nous ferons mémoire de Jésus qui a voulu offrir sa vie en sacrifice pour la rémission des péchés, faisant de sa mort un instrument de salut et la proclamation de la victoire de l’amour. Le silence du Samedi-Saint nous invitera à la prière et à la conversion, particulièrement par le sacrement de Pénitence, afin de participer, renouvelés, à la célébration de Pâques. Dans la nuit pascale, en chantant l’Alléluia, qui annonce la Résurrection, l’Église proclamera sa joie de rencontrer son Seigneur. Que la Vierge Marie nous introduise dans le mystère de Pâques, dans la joie et la paix du Ressuscité !

Chers pèlerins francophones je suis heureux de vous accueillir ce matin. En ces jours saints, je vous souhaite de demeurer profondément ancrés dans le mystère du Christ mort et ressuscité. Et déjà, je vous adresse mes vœux cordiaux de sainte fête de Pâques, ainsi qu’à vos familles et à vos communautés. Que Dieu vous bénisse !


○ Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

Tomorrow the Church begins her celebration of the Easter Triduum, a time devoted to silent prayer and contemplation of the mystery of the Lord’s passion, death and resurrection. The liturgies of these days invite us to ponder Christ’s saving sacrifice and his promise of new life. In this Year for Priests, the Holy Thursday Chrism Mass, at which priests renew the promises made on the day of their ordination, will take on a particular significance. May priests everywhere be conformed ever more closely to Christ as heralds of his message of hope, reconciliation and peace! The Mass of the Lord’s Supper, celebrated the evening of Holy Thursday, recalls the institution of the sacraments of the Eucharist and Holy Orders. The liturgy of Good Friday, in which we enter into the mystery of Christ’s redemptive death, invites us to contemplate the deep relationship between the Last Supper and the sacrifice of Calvary. Following the great silence of Holy Saturday, the Easter Vigil proclaims the resurrection of Christ and his victory over sin and death. May the joy of the resurrection even now fill our hearts as we prepare to celebrate the great events of the Lord’s passover from death to the fullness of life.

I am pleased to welcome all the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially those from England, Japan, Canada and the United States. I also greet the various student groups present, including those taking part in the annual "Univ Congress". Upon all of you I invoke God’s blessings of joy and peace!


○ Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Morgen beginnt das Oster-Triduum, die drei österlichen Tage vom Leiden, vom Tod und von der Auferstehung des Herrn. Diese drei heiligen Tage sind im Grunde ein einziger Tag, eine einzige Feier des Oster-Mysteriums und bilden die Mitte des ganzen liturgischen Jahrs.

Am Vormittag des Gründonnerstags, vor dem eigentlichen Triduum, findet in den Kathedralkirchen in den Diözesen die Chrisam-Messe statt, bei der die heiligen Öle geweiht werden. Zugleich erneuern der Bischof und die Priester auch die Versprechen der Priesterweihe, was gerade in diesem Priesterjahr besondere Bedeutung gewinnt. Bei der Messe vom Letzten Abendmahl am Gründonnerstag feiern wir die Einsetzung der heiligen Eucharistie. Unter den Gestalten von Brot und Wein gibt Christus seinen Leib und sein Blut, sich selbst als Opfer des Neuen Bundes zur Erlösung der Menschen von der Sünde hin. Er nimmt seinen Tod am Kreuz, dessen wir am Karfreitag gedenken, voraus und verwandelt ihn in einen Akt der Liebe. Aus freiem Willen unterwirft er sich dem Leiden und teilt im Tod sich selbst, seine ganze Liebe mit. Der Karsamstag ist ein Tag des Gebets, des Wachens und der Stille ohne besondere liturgische Feier. In diese Stille bricht in der Osternacht der Gesang des Halleluja herein, ertönt der Jubel über die Auferstehung Christi. Mit der ganzen Kirche freuen wir uns über den Sieg des Lichts über die Dunkelheit, des Lebens über den Tod.

In der Vorfreude auf das schon nahe Osterfest grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Das betende Mitfeiern dieser österlichen Tage und der Empfang des Bußsakraments helfen uns, immer mehr und tiefer in die Geheimnisse des Leidens, Sterbens und Auferstehens des Herrn einzutreten und von innen her neu zu werden, zu wirklich erlösten Menschen und zu Freunden Gottes. Allen wünsche ich gesegnete Kar- und Ostertage!


○ Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

En la Semana Santa se nos invita a meditar los acontecimientos centrales de nuestra redención, el núcleo esencial de nuestra fe. Mañana inicia el Triduo Santo, en el que estamos llamados al silencio y a la oración, para contemplar con devoción el misterio de la pasión, muerte y resurrección del Señor. Como observa san Atanasio en una de sus cartas pascuales, estos días nos introducen en "aquel tiempo en que todo vuelve a comenzar, a saber, el anuncio de la Pascua venerable, en la que el Señor fue inmolado". Os exhorto, pues, a vivir intensamente estos días, para orientar decididamente vuestra propia vida hacia Cristo, muerto y resucitado por nosotros. Nos acompaña en este itinerario espiritual la Santísima Virgen. A Ella, que siguió a Jesús en su pasión y estuvo presente junto a la cruz, le suplicamos que nos ayude a experimentar la alegría y la paz del Resucitado.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, de modo particular a los numerosos jóvenes que participan en el encuentro universitario internacional UNIV dos mil diez, al grupo de consagrados de la Obra de la Iglesia, así como a los fieles venidos de España, México, Argentina y otros países latinoamericanos. Os invito a todos a que tengáis muy presentes en vuestras oraciones a los sacerdotes que mañana, en la Misa Crismal, renovarán sus promesas sacerdotales junto a sus Obispos. Pidamos para que creciendo cada día más en fidelidad y amor a Cristo, sean en medio de sus hermanos mensajeros de esperanza, reconciliación y paz. A todos os deseo una santa y feliz Pascua de Resurrección. Muchas gracias por vuestra visita.


○ Sintesi della catechesi in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs,

Amanhã terá início o Tríduo Pascal, centro de todo o ano litúrgico, no qual somos convidados, através do silêncio e da oração, a contemplar o mistério da Paixão, Morte e Ressurreição do Senhor. Como prelúdio, na manhã da Quinta-feira Santa, celebramos a Missa do Crisma, na qual são consagrados os santos óleos e os sacerdotes renovam as promessas da sua ordenação, gesto que neste Ano Sacerdotal assume um significado especial. Ao entardecer do mesmo dia, comemoramos a instituição da Eucaristia e o gesto do lava-pés visto como uma representação da vida entrega de Jesus com o seu amor levado ao extremo; um amor infinito capaz de habilitar o homem para a comunhão com Deus e torná-lo livre. Na Sexta-feira Santa, fazemos memória do seu sacrifício na Cruz para a nossa redenção. Por fim, após o silêncio do Sábado-Santo, celebramos a Vigília Pascal na qual, com o canto do Aleluia, proclamamos a Ressurreição de Cristo: a vitória da luz sobre as trevas, da vida sobre a morte

Amados peregrinos de língua portuguesa e de modo especial vós jovens universitários vindos para o UNIV: a todos dou as boas vindas, desejando uma participação frutuosa nas referidas celebrações que possa conduzir-vos a uma comunhão cada vez mais intensa com o Mistério de Cristo. Que Deus vos abençoe! Ide em paz!



SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE


○ Saluto in lingua polacca

Drodzy Polacy, siostry i bracia! Serdecznie pozdrawiam was tu obecnych, waszych bliskich i wszystkich, którzy w tych Wielkich Dniach czuwają przy Chrystusie, rozważając misteria Wieczernika, Kalwarii, pustego Grobu. Niech zbawcze tajemnice będą dla was źródłem wiary i chrześcijańskiej nadziei. Życzę błogosławionych owoców duchowych Wielkiego Tygodnia i radości poranka Niedzieli Zmartwychwstania. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

[Cari polacchi, sorelle e fratelli. Saluto cordialmente voi qui presenti, i vostri cari e tutti coloro che durante questi grandi giorni vegliano accanto a Cristo, meditando i misteri del Cenacolo, del Calvario, del Sepolcro vuoto. I salvifici misteri siano per voi fonte di fede viva e di speranza cristiana. Auguro che la Settimana Santa rechi abbondanti frutti spirituali, per giungere alla gioia della Domenica di Risurrezione. Sia lodato Gesù Cristo.]


○ Saluto in lingua lituana

Nuoširdžiai sveikinu maldininkus atvykusius iš Lietuvos. Garbė Jėzui Kristui! Brangieji broliai ir seserys, meldžiu gausių dangaus malonių jums, jūsų šeimoms ir visai jūsų Tėvynei. Visiems suteikiu Apaštališkąjį palaiminimą. Linksmų šventų Velykų!

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Lituania. Sia lodato Gesù Cristo! Cari Fratelli e Sorelle, invoco su di voi, sulle vostre famiglie e sull’intera vostra Patria l’abbondanza dei doni celesti. A tutti imparto la Benedizione Apostolica. Buona Santa Pasqua!]


○ Saluto in lingua bielorussa

Сардэчна вітаю маладзёвы хор з Мінска, Беларусь. Паважаныя маладыя людзі, жадаю вам годна шанаваць мукі, смерць і васкрасенне Нашага Пана. Слава Езусу Хрысту.

[Saluto con affetto il coro giovanile proveniente da Minsk, in Bielorussia. Cari giovani vi auguro di celebrare degnamente la passione, morte e risurrezione del Nostro Signore. Sia lodato Gesù Cristo!]


○ Saluto in lingua croata

Srdačno pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a na poseban način učenike II. Gimnazije iz Splita! Dragi prijatelji, Isus nas je ljubio do kraja i ostavio nam primjer. Slijedite ga predanim srcem od dvorane posljednje večere, kroz patnju Getsemanija sve do žrtve na križu prema slavi uskrsnuća te mu budite svjedoci. Hvaljen Isus i Marija!

[Cordialmente saluto tutti i pellegrini Croati, e in modo particolare gli studenti del II° liceo di Split. Cari amici, Gesù ci ha amato fino alla fine e ci ha lasciato l’esempio. SeguiteLo con cuore fiducioso dal Cenacolo, attraverso la passione del Getsèmani fino al sacrificio sulla croce verso la gloriosa Risurrezione per essere suoi testimoni. Siano lodati Gesù e Maria!]


○ Saluto in lingua italiana

Nel rivolgere un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, saluto gli universitari, provenienti da diversi Paesi, che partecipano al Congresso internazionale promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, siete venuti a Roma in occasione della Settimana Santa per una esperienza di fede, di amicizia e di arricchimento spirituale. Vi invito a riflettere sull’importanza degli studi universitari per formare quella "mentalità cattolica universale" che san Josemaria descriveva così: "ampiezza di orizzonti e vigoroso approfondimento di ciò che è perennemente vivo nell’ortodossia cattolica". Si accresca in ciascuno il desiderio di incontrare personalmente Gesù Cristo, per testimoniarlo con gioia in ogni ambiente. Saluto, inoltre, i partecipanti al torneo di calcio "Città di Rieti", come pure i rappresentanti della Scuola "Monsignor Manfredini", di Varese. Tutti ringrazio per la loro visita, augurando a ciascuno che questi giorni della Settimana Santa siano occasione propizia per rafforzare la fede e l'adesione al Vangelo.

Rivolgo infine il mio cordiale pensiero ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. La contemplazione della passione, morte e risurrezione di Gesù, cari giovani, vi renda sempre più saldi nella testimonianza cristiana. E voi, cari ammalati, traete dalla Croce di Cristo il sostegno quotidiano per superare i momenti di prova e di sconforto. A voi, cari sposi novelli, venga dal mistero pasquale, che in questi giorni contempliamo, un incoraggiamento a fare della vostra famiglia un luogo di amore fedele e fecondo.
+PetaloNero+
00giovedì 1 aprile 2010 15:57
SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA


Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.
La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre con i Cardinali, i Vescovi ed i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.
Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di sé. E c’è ancora qualcos’altro di singolare: Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali, attraverso doni del creato che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso. Sono quattro gli elementi della creazione con i quali è costruito il cosmo dei Sacramenti: l’acqua, il pane di frumento, il vino e l’olio di oliva. L’acqua come elemento basilare e condizione fondamentale di ogni vita è il segno essenziale dell’atto in cui, nel Battesimo, si diventa cristiani, della nascita alla vita nuova. Mentre l’acqua è l’elemento vitale in genere e quindi rappresenta l’accesso comune di tutti alla nuova nascita da cristiani, gli altri tre elementi appartengono alla cultura dell’ambiente mediterraneo. Essi rimandano così al concreto ambiente storico in cui il cristianesimo si è sviluppato. Dio ha agito in un luogo ben determinato della terra, ha veramente fatto storia con gli uomini. Questi tre elementi, da una parte, sono doni del creato e, dall’altra, sono tuttavia anche indicazioni dei luoghi della storia di Dio con noi. Sono una sintesi tra creazione e storia: doni di Dio che ci collegano sempre con quei luoghi del mondo, nei quali Dio ha voluto agire con noi nel tempo della storia, diventare uno di noi.

In questi tre elementi c’è di nuovo una graduazione. Il pane rinvia alla vita quotidiana. È il dono fondamentale della vita giorno per giorno. Il vino rinvia alla festa, alla squisitezza del creato, in cui, al contempo, può esprimersi in modo particolare la gioia dei redenti. L’olio dell’ulivo ha un significato ampio. È nutrimento, è medicina, dà bellezza, allena per la lotta e dona vigore. I re e i sacerdoti vengono unti con olio, che così è segno di dignità e di responsabilità, come anche della forza che viene da Dio. Nel nostro nome "cristiani" è presente il mistero dell’olio. La parola "cristiani", infatti, con cui i discepoli di Cristo vengono chiamati già all’inizio della Chiesa proveniente dai pagani, deriva dalla parola "Cristo" (cfr At 11,20-21) – traduzione greca della parola "Messia", che significa "Unto". Essere cristiani vuol dire: provenire da Cristo, appartenere a Cristo, all’Unto di Dio, a Colui al quale Dio ha donato la regalità e il sacerdozio. Significa appartenere a Colui che Dio stesso ha unto – non con un olio materiale, ma con Colui che è rappresentato dall’olio: con il suo Santo Spirito. L’olio di oliva è così in modo del tutto particolare simbolo della compenetrazione dell’Uomo Gesù da parte dello Spirito Santo.

Nella Messa crismale del Giovedì Santo gli oli santi stanno al centro dell’azione liturgica. Vengono consacrati nella cattedrale dal Vescovo per tutto l’anno. Esprimono così anche l’unità della Chiesa, garantita dall’Episcopato, e rimandano a Cristo, il vero "pastore e custode delle nostre anime", come lo chiama san Pietro (cfr 1 Pt 2,25). E, al contempo, tengono insieme tutto l’anno liturgico, ancorato al mistero del Giovedì Santo. Infine, rimandano all’Orto degli Ulivi, in cui Gesù ha accettato interiormente la sua Passione. L’Orto degli Ulivi è però anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione: Dio non ha lasciato Gesù nella morte. Gesù vive per sempre presso il Padre, e proprio per questo è onnipresente, sempre presso di noi. Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell’olio sacramentale della Chiesa. In quattro Sacramenti l’olio è segno della bontà di Dio che ci tocca: nel Battesimo, nella Cresima come Sacramento dello Spirito Santo, nei vari gradi del Sacramento dell’Ordine e, infine, nell’Unzione degli infermi, in cui l’olio ci viene offerto, per così dire, quale medicina di Dio – come la medicina che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc 5,14). Così l’olio, nelle sue diverse forme, ci accompagna lungo tutta la vita: a cominciare dal catecumenato e dal Battesimo fino al momento in cui ci prepariamo all’incontro con il Dio Giudice e Salvatore. Infine, la Messa crismale, in cui il segno sacramentale dell’olio ci viene presentato come linguaggio della creazione di Dio, si rivolge, in modo particolare, a noi sacerdoti: essa ci parla di Cristo, che Dio ha unto Re e Sacerdote – di Lui che ci rende partecipi del suo sacerdozio, della sua "unzione", nella nostra Ordinazione sacerdotale.

Vorrei quindi tentare di spiegare ancora brevemente il mistero di questo santo segno nel suo riferimento essenziale alla vocazione sacerdotale. In etimologie popolari si è collegata, già nell’antichità, la parola greca "elaion" – olio – con la parola "eleos" – misericordia. Di fatto, nei vari Sacramenti, l’olio consacrato è sempre segno della misericordia di Dio. L’unzione per il sacerdozio significa pertanto sempre anche l’incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita non dovrebbe mai venir a mancare l’olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo presso il Signore – nell’incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel trattenerci in preghiera presso di Lui.

Attraverso la storia della colomba col ramo d’ulivo, che annunciava la fine del diluvio e così la nuova pace di Dio con il mondo degli uomini, non solo la colomba, ma anche il ramo d’ulivo e l’olio stesso sono diventati simbolo della pace. I cristiani dei primi secoli amavano ornare le tombe dei loro defunti con la corona della vittoria e il ramo d’ulivo, simbolo della pace. Sapevano che Cristo ha vinto la morte e che i loro defunti riposavano nella pace di Cristo. Si sapevano, essi stessi, attesi da Cristo, che aveva loro promesso la pace che il mondo non è in grado di dare. Si ricordavano che la prima parola del Risorto ai suoi era stata: "Pace a voi!" (Gv 20,19). Egli stesso porta, per così dire, il ramo d’ulivo, introduce la sua pace nel mondo. Annuncia la bontà salvifica di Dio. Egli è la nostra pace. I cristiani dovrebbero quindi essere persone di pace, persone che riconoscono e vivono il mistero della Croce come mistero della riconciliazione. Cristo non vince mediante la spada, ma per mezzo della Croce. Vince superando l’odio. Vince mediante la forza del suo amore più grande. La Croce di Cristo esprime il "no" alla violenza. E proprio così essa è il segno della vittoria di Dio, che annuncia la nuova via di Gesù. Il sofferente è stato più forte dei detentori del potere. Nell’autodonazione sulla Croce, Cristo ha vinto la violenza. Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo, uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande dell’amore.

Appartiene al simbolismo dell’olio anche il fatto che esso rende forti per la lotta. Ciò non contrasta col tema della pace, ma ne è una parte. La lotta dei cristiani consisteva e consiste non nell’uso della violenza, ma nel fatto che essi erano e sono tuttora pronti a soffrire per il bene, per Dio. Consiste nel fatto che i cristiani, come buoni cittadini, rispettano il diritto e fanno ciò che è giusto e buono. Consiste nel fatto che rifiutano di fare ciò che negli ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia. La lotta dei martiri consisteva nel loro "no" concreto all’ingiustizia: respingendo la partecipazione al culto idolatrico, all’adorazione dell’imperatore, si sono rifiutati di piegarsi davanti alla falsità, all’adorazione di persone umane e del loro potere. Con il loro "no" alla falsità e a tutte le sue conseguenze hanno innalzato il potere del diritto e della verità. Così hanno servito la vera pace. Anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un’ingiustizia che viene elevata a diritto – per esempio, quando si tratta dell’uccisione di bambini innocenti non ancora nati. Proprio così serviamo la pace e proprio così ci troviamo a seguire le orme di Gesù Cristo, di cui san Pietro dice: "Insultato non rispondeva con insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia" (1 Pt 2,23s).

I Padri della Chiesa erano affascinati da una parola dal Salmo 45 (44) – secondo la tradizione il Salmo nuziale di Salomone –, che veniva riletto dai cristiani come Salmo per le nozze del nuovo Salomone, Gesù Cristo, con la sua Chiesa. Lì si dice al Re, Cristo: "Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni" (v. 8). Che cosa è questo olio di letizia con cui è stato unto il vero Re, Cristo? I Padri non avevano alcun dubbio al riguardo: l’olio di letizia è lo stesso Spirito Santo, che è stato effuso su Gesù Cristo. Lo Spirito Santo è la letizia che viene da Dio. Da Gesù questa letizia si riversa su di noi nel suo Vangelo, nella buona novella che Dio ci conosce, che Egli è buono e che la sua bontà è un potere sopra tutti i poteri; che noi siamo voluti ed amati da Lui. La gioia è frutto dell’amore. L’olio di letizia, che è stato effuso su Cristo e da Lui viene a noi, è lo Spirito Santo, il dono dell’Amore che ci rende lieti dell’esistenza. Poiché conosciamo Cristo e in Cristo Dio, sappiamo che è cosa buona essere uomo. È cosa buona vivere, perché siamo amati. Perché la verità stessa è buona.

Nella Chiesa antica l’olio consacrato è stato considerato, in modo particolare, come segno della presenza dello Spirito Santo, che a partire da Cristo si comunica a noi. Egli è l’olio di letizia. Questa letizia è una cosa diversa dal divertimento o dall’allegria esteriore che la società moderna si auspica. Il divertimento, nel suo posto giusto, è certamente cosa buona e piacevole. È bene poter ridere. Ma il divertimento non è tutto. È solo una piccola parte della nostra vita, e dove esso vuol essere il tutto diventa una maschera dietro la quale si nasconde la disperazione o almeno il dubbio se la vita sia veramente buona, o se non sarebbe forse meglio non esistere invece di esistere. La gioia, che da Cristo ci viene incontro, è diversa. Essa ci dà allegria, sì, ma certamente può andar insieme anche con la sofferenza. Ci dà la capacità di soffrire e, nella sofferenza, di restare tuttavia intimamente lieti. Ci dà la capacità di condividere la sofferenza altrui e così di rendere percepibile, nella disponibilità reciproca, la luce e la bontà di Dio. Mi fa sempre riflettere il racconto degli Atti degli Apostoli secondo cui gli Apostoli, dopo che il Sinedrio li aveva fatti flagellare, erano "lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù" (At 5,41). Chi ama è pronto a soffrire per l’amato e a motivo del suo amore, e proprio così sperimenta una gioia più profonda. La gioia dei martiri era più forte dei tormenti loro inflitti. Questa gioia, alla fine, ha vinto ed ha aperto a Cristo le porte della storia. Quali sacerdoti, noi siamo – come dice san Paolo – "collaboratori della vostra gioia" (2 Cor 1,24). Nel frutto dell’ulivo, nell’olio consacrato, ci tocca la bontà del Creatore, l’amore del Redentore. Preghiamo che la sua letizia ci pervada sempre più in profondità e preghiamo di essere capaci di portarla nuovamente in un mondo che ha così urgentemente bisogno della gioia che scaturisce dalla verità. Amen.


+PetaloNero+
00giovedì 1 aprile 2010 15:58
RINUNCE E NOMINE


NOMINA DEL VESCOVO DI BALANGA (FILIPPINE)

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo di Balanga (Filippine) il Rev.do Mons. Ruperto Cruz Santos, del clero dell’arcidiocesi di Manila, finora Rettore del Pontificio Collegio Filippino a Roma.

Rev.do Mons. Ruperto Cruz Santos

Il Rev.do Mons. Ruperto Cruz Santos è nato a San Rafael - Bulacan, nella diocesi di Malolos, il 30 ottobre 1957. Ha compiuto gli studi secondari presso il Guadalupe Minor Seminary di Makati, a Metro Manila, e poi i corsi di Filosofia e Teologia presso il San Carlos Seminary nella stessa città. Ha successivamente conseguito la Licenza in Missiologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.

E' stato ordinato sacerdote il 10settembre 1983 per l'arcidiocesi di Manila.

Dopo alcuni anni come Vice-parroco della chiesa dell'Immacolata Concezione a Metro Manila, è stato, dal 1983 al 1986, Cappellano del Pasig Catholic College a Metro Manila e poi, per un anno, Parroco a Maybugna. Dal 1987 al 1990 è stato studente a Roma. Dal 1990 al 1995 ha servito come Professore di Storia della Chiesa al San Carlos Seminary di Manila.

Nel 1997 è stato nominato Cappellano di Sua Santità e chiamato tra i Superiori del Pontificio Seminario Filippino a Roma, divenendone Rettore nel 2000.




RINUNCE E NOMINE (CONTINUAZIONE)


NOMINA DI CAPI UFFICIO NELLA SEZIONE PER GLI AFFARI GENERALI DELLA SEGRETERIA DI STATO

Il Santo Padre ha nominato Capi Ufficio nella Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato i Rev.di Monsignori Giuliano Gallorini, Assunto Scotti e Paolo Luca Braida, finora Minutanti nella medesima Sezione della Segreteria di Stato.
+PetaloNero+
00venerdì 2 aprile 2010 00:30
Omelia del Papa per la Santa Messa "nella Cena del Signore"


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 1° aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo giovedì pomeriggio, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".

* * *

Cari fratelli e sorelle,

In modo più ampio degli altri tre evangelisti, san Giovanni, nella maniera a lui propria, ci riferisce nel suo Vangelo circa i discorsi d’addio di Gesù, che appaiono quasi come il suo testamento e come sintesi del nucleo essenziale del suo messaggio. All’inizio di tali discorsi c’è la lavanda dei piedi, in cui il servizio redentore di Gesù per l’umanità bisognosa di purificazione è riassunto in un gesto di umiltà. Alla fine, le parole di Gesù si trasformano in preghiera, nella sua Preghiera sacerdotale, il cui sfondo gli esegeti hanno individuato nel rituale della festa giudaica dell’espiazione. Ciò che era il senso di quella festa e dei suoi riti – la purificazione del mondo, la sua riconciliazione con Dio – avviene nell’atto del pregare di Gesù, un pregare che, al tempo stesso, anticipa la Passione, la trasforma in preghiera. Così nella Preghiera sacerdotale si rende visibile in una maniera del tutto particolare anche il mistero permanente del Giovedì Santo: il nuovo sacerdozio di Gesù Cristo e la sua continuazione nella consacrazione degli Apostoli, nel coinvolgimento dei discepoli nel sacerdozio del Signore. Da questo testo inesauribile, in quest’ora vorrei scegliere tre parole di Gesù, che possono introdurci più profondamente nel mistero del Giovedì Santo.

Vi è innanzitutto la frase: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3). Ogni essere umano vuole vivere. Desidera una vita vera, piena, una vita che valga la pena, che sia una gioia. Con l’anelito alla vita è, al contempo, collegata la resistenza contro la morte, che tuttavia è ineluttabile. Quando Gesù parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso. Ma come si realizza questo? Che cosa è mai questa vita veramente eterna, alla quale la morte non può nuocere? La risposta di Gesù, l’abbiamo sentita: Questa è la vita vera, che conoscano te – Dio – e il tuo Inviato, Gesù Cristo. Con nostra sorpresa, lì ci viene detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa dà pienezza alla vita, la rende bella. Ma proprio per questo, la distruzione della relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo attraverso di esse. Già nella filosofia greca esisteva l’idea che l’uomo può trovare una vita eterna se si attacca a ciò che è indistruttibile – alla verità che è eterna. Dovrebbe, per così dire, riempirsi di verità per portare in sé la sostanza dell’eternità. Ma solo se la verità è Persona, essa può portarmi attraverso la notte della morte. Noi ci aggrappiamo a Dio – a Gesù Cristo, il Risorto. E siamo così portati da Colui che è la Vita stessa. In questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte, perché non ci abbandona Colui che è la Vita stessa.

Ma ritorniamo alla parola di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te e il tuo Inviato. La conoscenza di Dio diventa vita eterna. Ovviamente qui con "conoscenza" s’intende qualcosa di più di un sapere esteriore, come sappiamo, per esempio, quando è morto un personaggio famoso e quando fu fatta un’invenzione. Conoscere nel senso della Sacra Scrittura è un diventare interiormente una cosa sola con l’altro. Conoscere Dio, conoscere Cristo significa sempre anche amarLo, diventare in qualche modo una cosa sola con Lui in virtù del conoscere e dell’amare. La nostra vita diventa quindi una vita autentica, vera e così anche eterna, se conosciamo Colui che è la fonte di ogni essere e di ogni vita. Così la parola di Gesù diventa un invito per noi: diventiamo amici di Gesù, cerchiamo di conoscerLo sempre di più! Viviamo in dialogo con Lui! Impariamo da Lui la vita retta, diventiamo suoi testimoni! Allora diventiamo persone che amano e allora agiamo in modo giusto. Allora viviamo veramente.

Due volte nel corso della Preghiera sacerdotale Gesù parla della rivelazione del nome di Dio. "Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo" (v. 6). "Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (v. 26). Il Signore allude qui alla scena presso il roveto ardente, dal quale Dio, alla domanda di Mosè, aveva rivelato il suo nome. Gesù vuole quindi dire che Egli porta a termine ciò che era iniziato presso il roveto ardente; che in Lui Dio, che si era fatto conoscere a Mosè, ora si rivela pienamente. E che con ciò Egli compie la riconciliazione; che l’amore con cui Dio ama suo Figlio nel mistero della Trinità, coinvolge ora gli uomini in questa circolazione divina dell’amore. Ma che cosa significa più precisamente che la rivelazione dal roveto ardente viene portata a termine, raggiunge pienamente la sua meta? L’essenziale dell’avvenimento al monte Oreb non era stata la parola misteriosa, il "nome", che Dio aveva consegnato a Mosè, per così dire, come segno di riconoscimento. Comunicare il nome significa entrare in relazione con l’altro. La rivelazione del nome divino significa dunque che Dio, che è infinito e sussiste in se stesso, entra nell’intreccio di relazioni degli uomini; che Egli, per così dire, esce da se stesso e diventa uno di noi, uno che è presente in mezzo a noi e per noi. Per questo in Israele sotto il nome di Dio non si è visto solo un termine avvolto di mistero, ma il fatto dell’essere-con-noi di Dio. Il Tempio, secondo la Sacra Scrittura, è il luogo in cui abita il nome di Dio. Dio non è racchiuso in alcuno spazio terreno; Egli rimane infinitamente al di sopra del mondo. Ma nel Tempio è presente per noi come Colui che può essere chiamato – come Colui che vuol essere con noi. Questo essere di Dio con il suo popolo si compie nell’incarnazione del Figlio. In essa si completa realmente ciò che aveva avuto inizio presso il roveto ardente: Dio quale Uomo può essere da noi chiamato e ci è vicino. Egli è uno di noi, e tuttavia è il Dio eterno ed infinito. Il suo amore esce, per così dire, da se stesso ed entra in noi. Il mistero eucaristico, la presenza del Signore sotto le specie del pane e del vino è la massima e più alta condensazione di questo nuovo essere-con-noi di Dio. "Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele", ha pregato il profeta Isaia (45,15). Ciò rimane sempre vero. Ma al tempo stesso possiamo dire: veramente tu sei un Dio vicino, tu sei un Dio-con-noi. Tu ci hai rivelato il tuo mistero e ci hai mostrato il tuo volto. Tu hai rivelato te stesso e ti sei dato nelle nostre mani… In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine perché Egli si è mostrato; perché Egli, l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione, è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare.

La richiesta più nota della Preghiera sacerdotale è la richiesta dell’unità per i discepoli, per quelli di allora e quelli futuri: "Non prego solo per questi – la comunità dei discepoli radunata nel Cenacolo – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (v. 20s; cfr vv. 11 e 13). Che cosa chiede precisamente qui il Signore? Innanzitutto, Egli prega per i discepoli di quel tempo e di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso l’ampiezza della storia futura. Vede i pericoli di essa e raccomanda questa comunità al cuore del Padre. Egli chiede al Padre la Chiesa e la sua unità. È stato detto che nel Vangelo di Giovanni la Chiesa non compare. Qui, invece, essa appare nelle sue caratteristiche essenziali: come la comunità dei discepoli che, mediante la parola apostolica, credono in Gesù Cristo e così diventano una cosa sola. Gesù implora la Chiesa come una ed apostolica. Così questa preghiera è propriamente un atto fondante della Chiesa. Il Signore chiede la Chiesa al Padre. Essa nasce dalla preghiera di Gesù e mediante l’annuncio degli Apostoli, che fanno conoscere il nome di Dio e introducono gli uomini nella comunione di amore con Dio. Gesù chiede dunque che l’annuncio dei discepoli prosegua lungo i tempi; che tale annuncio raccolga uomini i quali, in base ad esso, riconoscono Dio e il suo Inviato, il Figlio Gesù Cristo. Egli prega affinché gli uomini siano condotti alla fede e, mediante la fede, all’amore. Egli chiede al Padre che questi credenti "siano in noi" (v. 21); che vivano, cioè, nell’interiore comunione con Dio e con Gesù Cristo e che da questo essere interiormente nella comunione con Dio si crei l’unità visibile. Due volte il Signore dice che questa unità dovrebbe far sì che il mondo creda alla missione di Gesù. Deve quindi essere un’unità che si possa vedere – un’unità che vada tanto al di là di ciò che solitamente è possibile tra gli uomini, da diventare un segno per il mondo ed accreditare la missione di Gesù Cristo. La preghiera di Gesù ci dà la garanzia che l’annuncio degli Apostoli non potrà mai cessare nella storia; che susciterà sempre la fede e raccoglierà uomini nell’unità – in un’unità che diventa testimonianza per la missione di Gesù Cristo. Ma questa preghiera è sempre anche un esame di coscienza per noi. In quest’ora il Signore ci chiede: vivi tu, mediante la fede, nella comunione con me e così nella comunione con Dio? O non vivi forse piuttosto per te stesso, allontanandoti così dalla fede? E non sei forse con ciò colpevole della divisione che oscura la mia missione nel mondo; che preclude agli uomini l’accesso all’amore di Dio? È stata una componente della Passione storica di Gesù e rimane una parte di quella sua Passione che si prolunga nella storia, l’aver Egli visto e il vedere tutto ciò che minaccia, distrugge l’unità. Quando noi meditiamo sulla Passione del Signore, dobbiamo anche percepire il dolore di Gesù per il fatto che siamo in contrasto con la sua preghiera; che facciamo resistenza al suo amore; che ci opponiamo all’unità, che deve essere per il mondo testimonianza della sua missione.

In quest’ora, in cui il Signore nella Santissima Eucaristia dona se stesso – il suo corpo e il suo sangue –, si dà nelle nostre mani e nei nostri cuori, vogliamo lasciarci toccare dalla sua preghiera. Vogliamo entrare noi stessi nella sua preghiera, e così lo imploriamo: Sì, Signore, donaci la fede in te, che sei una cosa sola con il Padre nello Spirito Santo. Donaci di vivere nel tuo amore e così diventare una cosa sola come tu sei una cosa sola con il Padre, perché il mondo creda. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


+PetaloNero+
00venerdì 2 aprile 2010 15:20
CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE NELLA BASILICA VATICANA

Alle ore 17 di oggi, Venerdì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la celebrazione della Passione del Signore.

Durante la Liturgia della Parola, viene riascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni; quindi il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., tiene l’omelia.

La Liturgia della Passione prosegue con la Preghiera universale e l’adorazione della Santa Croce e su conclude con la Santa Comunione.











VIA CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE

Questa sera, alle ore 21, il Santo Padre Benedetto XVI presiede al Colosseo il pio esercizio della Via Crucis, trasmesso in mondovisione.

I testi delle meditazioni e delle preghiere proposte quest’anno per le stazioni della Via Crucis sono stati composti dall’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario Generale emerito di Sua Santità per la Diocesi di Roma.
+PetaloNero+
00sabato 3 aprile 2010 01:06
Padre Cantalamessa: “Abbiamo un grande Sommo Sacerdote"
Predica del Venerdì Santo 2010 nella Basilica di S. Pietro



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 2 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo venerdì da padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., Predicatore della Casa Pontificia, in occasione della celebrazione della Passione del Signore, presieduta da Benedetto XVI nella Basilica Vaticana.

* * *

“Abbiamo un grande Sommo Sacerdote che ha attraversato i cieli, Gesù, il Figlio di Dio”: così inizia il brano della Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Nell’anno sacerdotale, la liturgia del Venerdì Santo ci permette di risalire alla sorgente storica del sacerdozio cristiano.

Essa è la sorgente di entrambe le realizzazioni del sacerdozio: quella ministeriale, dei vescovi e dei presbiteri, e quella universale di tutti i fedeli. Anche questa infatti si fonda sul sacrificio di Cristo che, dice l’Apocalisse, “ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo” (Ap 1, 5-6). È di vitale importanza perciò capire la natura del sacrificio e del sacerdozio di Cristo perché è di essi che sacerdoti e laici, in modo diverso, dobbiamo recare l’impronta e cercare di vivere le esigenze.

La Lettera agli Ebrei spiega in che consiste la novità e l’unicità del sacerdozio di Cristo, non solo rispetto al sacerdozio dell’antica alleanza, ma, come ci insegna oggi la storia delle religioni, rispetto a ogni istituzione sacerdotale anche fuori della Bibbia. “Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri […] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurar la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” (Eb 9, 11-14).

Ogni altro sacerdote offre qualcosa fuori di sé, Cristo ha offerto se stesso; ogni altro sacerdote offre delle vittime, Cristo si è offerto vittima! Sant’Agostino ha racchiuso in una formula celebre questo nuovo genere di sacerdozio in cui sacerdote e vittima sono la stessa cosa: “Ideo sacerdos, quia sacrificium”: sacerdote perché vittima”[1].


* * *

Nel 1972 un noto pensatore francese lanciava la tesi secondo cui “la violenza è il cuore e l’anima segreta del sacro” [2]. All’origine infatti e al centro di ogni religione c’è il sacrificio, e il sacrificio comporta distruzione e morte. Il giornale “Le Monde” salutava l’affermazione, dicendo che essa faceva di quell’anno “un anno da segnare con asterisco negli annali dell’umanità”. Già prima però di questa data, quello studioso si era riavvicinato al cristianesimo e nella Pasqua del 1959 aveva reso pubblica la sua “conversione”, dichiarandosi credente e tornando alla Chiesa.

Questo gli permise di non fermarsi, negli studi successivi, all’analisi del meccanismo della violenza, ma di additare anche come uscire da esso. Molti, purtroppo, continuano a citare René Girard come colui che ha denunciato l’alleanza tra il sacro e la violenza, ma non fanno parola del Girard che ha additato nel mistero pasquale di Cristo la rottura totale e definitiva di tale alleanza. Secondo lui, Gesù smaschera e spezza il meccanismo del capro espiatorio che sacralizza la violenza, facendosi lui, innocente, la vittima di tutta la violenza[3].

Il processo che porta alla nascita della religione è rovesciato, rispetto alla spiegazione che ne aveva dato Freud. In Cristo, è Dio che si fa vittima, non la vittima (in Freud, il padre primordiale) che, una volta sacrificata, viene successivamente elevata a dignità divina (il Padre dei cieli). Non è più l’uomo che offre sacrifici a Dio, ma Dio che si “sacrifica” per l’uomo, consegnando alla morte per lui il suo Figlio unigenito (cf. Gv 3,16). Il sacrificio non serve più a “placare” la divinità, ma piuttosto a placare l’uomo e farlo desistere dalla sua ostilità nei confronti di Dio e del prossimo.

Cristo non è venuto con sangue altrui, ma con il proprio. Non ha messo i propri peccati sulle spalle degli altri –uomini o animali -; ha messo i peccati degli altri sulle proprie spalle: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2, 24).

Si può, allora, continuare a parlare di sacrificio, a proposito della morte di Cristo e quindi della Messa? Per molto tempo lo studioso citato ha rifiutato questo concetto, ritenendolo troppo segnato dall’idea di violenza, ma poi ha finito per ammetterne la possibilità, a patto di vedere, in quello di Cristo, un genere nuovo di sacrificio, e di vedere in questo cambiamento di significato “il fatto centrale nella storia religiosa dell’umanità”.


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Visto in questa luce, il sacrificio di Cristo contiene un messaggio formidabile per il mondo d’oggi. Grida al mondo che la violenza è un residuo arcaico, una regressione a stadi primitivi e superati della storia umana e - se si tratta di credenti - un ritardo colpevole e scandaloso nella presa di coscienza del salto di qualità operato da Cristo.

Ricorda anche che la violenza è perdente. In quasi tutti i miti antichi la vittima è lo sconfitto e il carnefice il vincitore. Gesù ha cambiato segno alla vittoria. Ha inaugurato un nuovo genere di vittoria che non consiste nel fare vittime, ma nel farsi vittima. “Victor quia victima!”, vincitore perché vittima, così Agostino definisce il Gesù della croce[4].

Il valore moderno della difesa delle vittime, dei deboli e della vita minacciata è nato sul terreno del cristianesimo, è un frutto tardivo della rivoluzione operata da Cristo. Ne abbiamo la controprova. Appena si abbandona (come ha fatto Nietzsche) la visione cristiana per riportare in vita quella pagana, si smarrisce questa conquista e si torna ad esaltare “il forte, il potente, fino al suo punto più eccelso, il superuomo”, e si definisce quella cristiana “una morale da schiavi”, frutto del risentimento impotente dei deboli contro i forti.

Purtroppo, però, la stessa cultura odierna che condanna la violenza, per altro verso, la favorisce e la esalta. Ci si straccia le vesti di fronte a certi fatti di sangue, ma non ci si accorge che si prepara ad essi il terreno con quello che si reclamizza nella pagina accanto del giornale o nel palinsesto successivo della rete televisiva. Il gusto con cui si indugia nella descrizione della violenza e la gara a chi è il primo e il più crudo nel descriverla non fanno che favorirla. Il risultato non è una catarsi del male, ma un incitamento ad esso. È inquietante che la violenza e il sangue siano diventati uno degli ingredienti di maggior richiamo nei film e nei videogiochi, che si sia attirati da essa e ci si diverta a guardarla.

Lo stesso studioso ricordato sopra ha messo a nudo la matrice da cui prende avvio il meccanismo della violenza: il mimetismo, quella connaturata inclinazione umana a considerare desiderabile le cose che desiderano gli altri e, quindi, a ripetere le cose che vedono fare gli altri. La psicologia del “branco” è quella che porta alla scelta del “capro espiatorio” per trovare, nella lotta contro un nemico comune - in genere, l’elemento più debole, il diverso -, una propria artificiale e momentanea coesione.

Ne abbiamo un esempio nella ricorrente violenza dei giovani allo stadio, nel bullismo delle scuole e in certe manifestazioni di piazza che lasciano dietro di sé rovina e distruzione. Una generazione di giovani che ha avuto il rarissimo privilegio di non conoscere una vera guerra e di non essere stati mai richiamati sotto le armi, si diverte (perché si tratta di un gioco, anche se stupido e a volte tragico) a inventare delle piccole guerre, spinti dallo stesso istinto che muoveva l’orda primordiale.


* * *

Ma c’è una violenza ancora più grave e diffusa di quella dei giovani negli stadi e nelle piazze. Non parlo qui della violenza sui bambini, di cui si sono macchiati sciaguratamente anche elementi del clero; di essa si parla già abbastanza fuori di qui. Parlo della violenza sulle donne. Questa è una occasione per far comprendere alle persone e alle istituzioni che lottano contro di essa che Cristo è il loro migliore alleato.

Si tratta di una violenza tanto più grave in quanto si svolge spesso al riparo delle mura domestiche, all’insaputa di tutti, quando addirittura essa non viene giustificata con pregiudizi pseudo-religiosi e culturali. Le vittime si ritrovano disperatamente sole e indifese. Solo oggi, grazie al sostegno e all’incoraggiamento di tante associazioni e istituzioni, alcune trovano la forza di uscire allo scoperto e denunciare i colpevoli.

Molta di questa violenza è a sfondo sessuale. È il maschio che crede di dimostrare la sua virilità infierendo contro la donna, senza rendersi conto che sta dimostrando solo la sua insicurezza e vigliaccheria. Anche nei confronti della donna che ha sbagliato, che contrasto tra l’agire di Cristo e quello ancora in atto in certi ambienti! Il fanatismo invoca la lapidazione; Cristo, agli uomini che gli hanno presentato un’adultera, risponde: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra con di lei” (Gv 8, 7). L’adulterio è un peccato che si commette sempre in due, ma per il quale uno solo è stato sempre (e, in alcune parti del mondo, è tuttora) punito.

La violenza contro la donna non è mai così odiosa come quando si annida là dove dovrebbe regnare il reciproco rispetto e l’amore, nel rapporto tra marito e moglie. È vero che la violenza non è sempre e tutta da una parte sola, che si può essere violenti anche con la lingua e non solo con le mani, ma nessuno può negare che nella stragrande maggioranza dei casi la vittima è la donna.

Ci sono famiglie dove ancora l’uomo si ritiene autorizzato ad alzare la voce e le mani sulle donne di casa. Moglie e figli vivono a volte sotto la costante minaccia dell’“ira di papà”. A questi tali bisognerebbe dire amabilmente: “Cari colleghi uomini, creandoci maschi, Dio non ha inteso darci il diritto di arrabbiarci e pestare i pugni sul tavolo per ogni minima cosa. La parola rivolta a Eva dopo la colpa: “Egli (l’uomo) ti dominerà” (Gen 3,16), era una amara previsione, non una autorizzazione.

Giovanni Paolo II ha inaugurato la pratica delle richieste di perdono per torti collettivi. Una di esse, tra le più giuste e necessarie, è il perdono che una metà dell’umanità deve chiedere all’altra metà, gli uomini alle donne. Essa non deve rimanere generica e astratta. Deve portare, specie chi si professa cristiano, a concreti gesti di conversione, a parole di scusa e di riconciliazione all’interno delle famiglie e della società.


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Il brano della Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato continua dicendo: “Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte”. Gesù ha conosciuto in tutta la sua crudezza la situazione delle vittime, le grida soffocate e le lacrime silenziose. Davvero, “non abbiamo un sommo sacerdote che non possa patire con noi nelle nostre debolezze”. In ogni vittima della violenza Cristo rivive misteriosamente la sua esperienza terrena. Anche a proposito di ognuna di esse egli dice: “L’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Per una rara coincidenza, quest’anno la nostra Pasqua cade nelle stessa settimana della Pasqua ebraica che ne è l’antenata e la matrice dentro cui si è formata. Questo ci spinge a rivolgere un pensiero ai fratelli ebrei. Essi sanno per esperienza cosa significa essere vittime della violenza collettiva e anche per questo sono pronti a riconoscerne i sintomi ricorrenti. Ho ricevuto in questi giorni la lettera di un amico ebreo e, con il suo permesso, ne condivido qui una parte. Dice:

“Sto seguendo con disgusto l'attacco violento e concentrico contro la Chiesa, il Papa e tutti i fedeli da parte del mondo intero. L'uso dello stereotipo, il passaggio dalla responsabilità e colpa personale a quella collettiva mi ricordano gli aspetti più vergognosi dell'antisemitismo. Desidero pertanto esprimere a lei personalmente, al Papa e a tutta la Chiesa la mia solidarietà di ebreo del dialogo e di tutti coloro che nel mondo ebraico (e sono molti) condividono questi sentimenti di fratellanza. La nostra Pasqua e la vostra hanno indubbi elementi di alterità, ma vivono ambedue nella speranza messianica che sicuramente ci ricongiungerà nell’amore del Padre comune. Auguro perciò a lei e a tutti i cattolici Buona Pasqua”.

E anche noi cattolici auguriamo ai fratelli ebrei Buona Pasqua. Lo facciamo con le parole del loro antico maestro Gamaliele, entrate nel Seder pasquale ebraico e da qui passate nella più antica liturgia cristiana:

“Egli ci ha fatti passare

dalla schiavitù alla libertà,

dalla tristezza alla gioia,

dal lutto alla festa,

dalle tenebre alla luce,

dalla servitù alla redenzione”

Perciò davanti a lui diciamo: Alleluia”[5].

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1) S. Agostino, Confessioni, 10,43.

2) Cfr. R. Girard, La violence et le sacré, Grasset, Parigi 1972.

3) M. Kirwan, Discovering Girard, Londra 2004.

4) S. Agostino, Confessioni, 10,43.

5) Pesachim, X,5 e Melitone di Sardi, Omelia pasquale,68 (SCh 123, p.98).
+PetaloNero+
00sabato 3 aprile 2010 01:07
Discorso del Papa al termine della Via Crucis al Colosseo


ROMA, venerdì, 2 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo da Benedetto XVI al termine della “Via Crucis” al Colosseo per il Venerdì Santo.

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Cari fratelli e sorelle,

in preghiera con animo raccolto e commosso abbiamo percorso questa sera il cammino della croce, con Gesù siamo saliti al Calvario e abbiamo meditato sulla sua sofferenza riscoprendo quanto profondo sia l'amore che egli ha avuto ed ha per noi.

Ma in questo momento non vogliamo limitarci ad una compassione dettata solo dal nostro debole sentimento, vogliamo piuttosto sentirci partecipi della sofferenza di Gesù, vogliamo accompagnare il nostro maestro condividendo la sua Passione nella nostra vita, nella vita della Chiesa, per la vita del mondo, perché sappiamo che proprio nella croce, nell'amore senza limiti che dona tutto se stesso sta la sorgente della grazia, della liberazione, della pace, della salvezza.

I testi, le meditazioni, le preghiere della Via Crucis ci hanno aiutato a guardare questo mistero della Passione per apprendere l'immensa lezione di amore che Dio ci ha dato sulla croce, perché nasca in noi un rinnovato desiderio di convertire il nostro cuore vivendo ogni giorno lo stesso amore, l'unica forza capace di cambiare il mondo.

Questa sera abbiamo contemplato Gesù nel suo volto pieno di dolore, deriso, oltraggiato sfigurato dal peccato dell'uomo, domani notte lo contempleremo nel suo volto pieno di gioia, raggiante e luminoso. Da quando Gesù è sceso nel sepolcro la tomba e la morte non sono più luogo senza speranza dove la storia si chiude nel fallimento più totale, dove l'uomo tocca il limite estremo della sua impotenza. Il Venerdì Santo è il giorno della speranza più grande, quella maturata sulla croce, mentre Gesù muore, mentre esala l'ultimo respiro gridando a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Consegnando la sua esistenza, donata nelle mani del Padre, egli sa che la sua morte diventa sorgente di vita. Come il seme nel terreno, deve rompersi perché la pianta possa nascere. Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto. Gesù è il chicco di grano che cade nella terra, si spezza, si rompe, muore e per questo può portare frutto. Dal giorno in cui Cristo vi è stato innalzato la croce che appare come il segno dell'abbandono, della solitudine, del fallimento è diventata un nuovo inizio. Dalla profondità della morte s'innalza la promessa della vita eterna, sulla croce brilla già lo splendore vittorioso dell'alba del giorno di Pasqua.

Nel silenzio di questa notte, nel silenzio che avvolge il Sabato Santo, toccati dall'amore sconfinato di Dio, viviamo nell'attesa dell'alba del terzo giorno, l'alba della vittoria dell'amore di Dio, l'alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere in modo nuovo la vita, le difficoltà, la sofferenza. I nostri insuccessi, le nostre delusioni, le nostre amarezze che sembrano segnare il crollo di tutto sono illuminate dalla speranza. L'atto di amore della croce viene confermato dal Padre e la luce sfolgorante della Risurrezione tutto avvolge e trasforma. Dal tradimento può nascere l'amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall'odio l'amore. Donaci Signore di portare con amore la nostra croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della tua Pasqua. Amen.

[Trascrizione a cura di ZENIT]
+PetaloNero+
00domenica 4 aprile 2010 15:39
EGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Basilica Vaticana
Sabato Santo, 3 aprile 2010





Cari fratelli e sorelle,

un’antica leggenda giudaica tratta dal libro apocrifo “La vita di Adamo ed Eva“ racconta che Adamo, nella sua ultima malattia, avrebbe mandato il figlio Set insieme con Eva nella regione del Paradiso a prendere l’olio della misericordia, per essere unto con questo e così guarito. Dopo tutto il pregare e il piangere dei due in cerca dell’albero della vita, appare l’Arcangelo Michele per dire loro che non avrebbero ottenuto l’olio dell’albero della misericordia e che Adamo sarebbe dovuto morire. In seguito, lettori cristiani hanno aggiunto a questa comunicazione dell’Arcangelo una parola di consolazione. L’Arcangelo avrebbe detto che dopo 5.500 anni sarebbe venuto l’amorevole Re Cristo, il Figlio di Dio, e avrebbe unto con l’olio della sua misericordia tutti coloro che avrebbero creduto in Lui. “L’olio della misericordia di eternità in eternità sarà dato a quanti dovranno rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo. Allora il Figlio di Dio ricco d’amore, Cristo, discenderà nelle profondità della terra e condurrà tuo padre nel Paradiso, presso l’albero della misericordia”. In questa leggenda diventa visibile tutta l’afflizione dell’uomo di fronte al destino di malattia, dolore e morte che ci è stato imposto. Si rende evidente la resistenza che l’uomo oppone alla morte: da qualche parte – hanno ripetutamente pensato gli uomini – dovrebbe pur esserci l’erba medicinale contro la morte. Prima o poi dovrebbe essere possibile trovare il farmaco non soltanto contro questa o quella malattia, ma contro la vera fatalità – contro la morte. Dovrebbe, insomma, esistere la medicina dell’immortalità. Anche oggi gli uomini sono alla ricerca di tale sostanza curativa. Pure la scienza medica attuale cerca, anche se non proprio di escludere la morte, di eliminare tuttavia il maggior numero possibile delle sue cause, di rimandarla sempre di più; di procurare una vita sempre migliore e più lunga. Ma riflettiamo ancora un momento: come sarebbe veramente, se si riuscisse, magari non ad escludere totalmente la morte, ma a rimandarla indefinitamente, a raggiungere un’età di parecchie centinaia di anni? Sarebbe questa una cosa buona? L’umanità invecchierebbe in misura straordinaria, per la gioventù non ci sarebbe più posto. Si spegnerebbe la capacità dell’innovazione e una vita interminabile sarebbe non un paradiso, ma piuttosto una condanna. La vera erba medicinale contro la morte dovrebbe essere diversa. Non dovrebbe portare semplicemente un prolungamento indefinito di questa vita attuale. Dovrebbe trasformare la nostra vita dal di dentro. Dovrebbe creare in noi una vita nuova, veramente capace di eternità: dovrebbe trasformarci in modo tale da non finire con la morte, ma da iniziare solo con essa in pienezza. Ciò che è nuovo ed emozionante del messaggio cristiano, del Vangelo di Gesù Cristo, era ed è tuttora questo, che ci viene detto: sì, quest’erba medicinale contro la morte, questo vero farmaco dell’immortalità esiste. È stato trovato. È accessibile. Nel Battesimo questa medicina ci viene donata. Una vita nuova inizia in noi, una vita nuova che matura nella fede e non viene cancellata dalla morte della vecchia vita, ma che solo allora viene portata pienamente alla luce.

A questo alcuni, forse molti risponderanno: il messaggio, certo, lo sento, però mi manca la fede. E anche chi vuole credere chiederà: ma è davvero così? Come dobbiamo immaginarcelo? Come si svolge questa trasformazione della vecchia vita, così che si formi in essa la vita nuova che non conosce la morte? Ancora una volta un antico scritto giudaico può aiutarci ad avere un’idea di quel processo misterioso che inizia in noi col Battesimo. Lì si racconta come il progenitore Enoch venne rapito fino al trono di Dio. Ma egli si spaventò di fronte alle gloriose potestà angeliche e, nella sua debolezza umana, non poté contemplare il Volto di Dio. “Allora Dio disse a Michele – così prosegue il libro di Enoch –: ‘Prendi Enoch e togligli le vesti terrene. Ungilo con olio soave e rivestilo con abiti di gloria!’ E Michele mi tolse le mie vesti, mi unse di olio soave, e quest’olio era più di una luce radiosa… Il suo splendore era simile ai raggi del sole. Quando mi guardai, ecco che ero come uno degli esseri gloriosi” (Ph. Rech, Inbild des Kosmos, II 524).

Precisamente questo – l’essere rivestiti col nuovo abito di Dio – avviene nel Battesimo; così ci dice la fede cristiana. Certo, questo cambio delle vesti è un percorso che dura tutta la vita. Ciò che avviene nel Battesimo è l’inizio di un processo che abbraccia tutta la nostra vita – ci rende capaci di eternità, così che nell’abito di luce di Gesù Cristo possiamo apparire al cospetto di Dio e vivere con Lui per sempre.

Nel rito del Battesimo ci sono due elementi in cui questo evento si esprime e diventa visibile anche come esigenza per la nostra ulteriore vita. C’è anzitutto il rito delle rinunce e delle promesse. Nella Chiesa antica, il battezzando si volgeva verso occidente, simbolo delle tenebre, del tramonto del sole, della morte e quindi del dominio del peccato. Il battezzando si volgeva in quella direzione e pronunciava un triplice “no”: al diavolo, alle sue pompe e al peccato. Con la strana parola “pompe”, cioè lo sfarzo del diavolo, si indicava lo splendore dell’antico culto degli dèi e dell’antico teatro, in cui si provava gusto vedendo persone vive sbranate da bestie feroci. Così questo era il rifiuto di un tipo di cultura che incatenava l’uomo all’adorazione del potere, al mondo della cupidigia, alla menzogna, alla crudeltà. Era un atto di liberazione dall’imposizione di una forma di vita, che si offriva come piacere e, tuttavia, spingeva verso la distruzione di ciò che nell’uomo sono le sue qualità migliori. Questa rinuncia – con un procedimento meno drammatico – costituisce anche oggi una parte essenziale del Battesimo. In esso leviamo le “vesti vecchie” con le quali non si può stare davanti a Dio. Detto meglio: cominciamo a deporle. Questa rinuncia è, infatti, una promessa in cui diamo la mano a Cristo, affinché Egli ci guidi e ci rivesta. Quali siano le “vesti” che deponiamo, quale sia la promessa che pronunciamo, si rende evidente quando leggiamo, nel quinto capitolo della Lettera ai Galati, che cosa Paolo chiami “opere della carne” – termine che significa precisamente le vesti vecchie da deporre. Paolo le designa così: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19ss). Sono queste le vesti che deponiamo; sono vesti della morte.

Poi il battezzando nella Chiesa antica si volgeva verso oriente – simbolo della luce, simbolo del nuovo sole della storia, nuovo sole che sorge, simbolo di Cristo. Il battezzando determina la nuova direzione della sua vita: la fede nel Dio trinitario al quale egli si consegna. Così Dio stesso ci veste dell’abito di luce, dell’abito della vita. Paolo chiama queste nuove “vesti” “frutto dello Spirito” e le descrive con le seguenti parole: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).

Nella Chiesa antica, il battezzando veniva poi veramente spogliato delle sue vesti. Egli scendeva nel fonte battesimale e veniva immerso tre volte – un simbolo della morte che esprime tutta la radicalità di tale spogliazione e di tale cambio di veste. Questa vita, che comunque è votata alla morte, il battezzando la consegna alla morte, insieme con Cristo, e da Lui si lascia trascinare e tirare su nella vita nuova che lo trasforma per l’eternità. Poi, risalendo dalle acque battesimali, i neofiti venivano rivestiti con la veste bianca, la veste di luce di Dio, e ricevevano la candela accesa come segno della nuova vita nella luce che Dio stesso aveva accesa in essi. Lo sapevano: avevano ottenuto il farmaco dell’immortalità, che ora, nel momento di ricevere la santa Comunione, prendeva pienamente forma. In essa riceviamo il Corpo del Signore risorto e veniamo, noi stessi, attirati in questo Corpo, così che siamo già custoditi in Colui che ha vinto la morte e ci porta attraverso la morte.

Nel corso dei secoli, i simboli sono diventati più scarsi, ma l’avvenimento essenziale del Battesimo è tuttavia rimasto lo stesso. Esso non è solo un lavacro, ancor meno un’accoglienza un po’ complicata in una nuova associazione. È morte e risurrezione, rinascita alla nuova vita.

Sì, l’erba medicinale contro la morte esiste. Cristo è l’albero della vita reso nuovamente accessibile. Se ci atteniamo a Lui, allora siamo nella vita. Per questo canteremo in questa notte della risurrezione, con tutto il cuore, l’alleluia, il canto della gioia che non ha bisogno di parole. Per questo Paolo può dire ai Filippesi: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti!” (Fil 4,4). La gioia non la si può comandare. La si può solo donare. Il Signore risorto ci dona la gioia: la vera vita. Noi siamo ormai per sempre custoditi nell’amore di Colui al quale è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (cfr Mt 28,18). Così chiediamo, certi di essere esauditi, con la preghiera sulle offerte che la Chiesa eleva in questa notte: Accogli, Signore, le preghiere del tuo popolo insieme con le offerte sacrificali, perché ciò che con i misteri pasquali ha avuto inizio ci giovi, per opera tua, come medicina per l’eternità. Amen.



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+PetaloNero+
00domenica 4 aprile 2010 15:39
SANTA MESSA DEL GIORNO NELLA PASQUA DI RISURREZIONE

Alle ore 10.15 di oggi - Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore - il Santo Padre Benedetto XVI presiede sul sagrato della Basilica Vaticana la solenne celebrazione della Messa del giorno.

Al rito partecipano fedeli romani e pellegrini provenienti da ogni parte del mondo in occasione delle feste pasquali.






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2010&videoclip=1334&sett...
+PetaloNero+
00domenica 4 aprile 2010 15:41
MESSAGGIO PASQUALE DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE "URBI ET ORBI"


Alle ore 12, dalla loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli presenti in Piazza San Pietro ed a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione il Messaggio che riportiamo di seguito:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est".
"Cantiamo al Signore: è veramente glorioso!" (Liturgia delle Ore, Pasqua, Ufficio di Lettura, Ant. 1).

Cari fratelli e sorelle!

Vi reco l’annuncio della Pasqua con queste parole della Liturgia, che riecheggiano l’antichissimo inno di lode degli ebrei dopo il passaggio del Mar Rosso. Narra il Libro dell’Esodo (cfr 15,19-21) che quando ebbero attraversato il mare all’asciutto e videro gli egiziani sommersi dalle acque, Miriam – la sorella di Mosè e di Aronne – e le altre donne intonarono danzando questo canto di esultanza: "Cantate al Signore, / perché ha mirabilmente trionfato: / cavallo e cavaliere / ha gettato nel mare!". I cristiani, in tutto il mondo, ripetono questo cantico nella Veglia pasquale, ed una speciale preghiera ne spiega il significato; una preghiera che ora, nella piena luce della Risurrezione, con gioia facciamo nostra: "O Dio, anche ai nostri tempi vediamo risplendere i tuoi antichi prodigi: ciò che facesti con la tua mano potente per liberare un solo popolo dall’oppressione del faraone, ora lo compi attraverso l’acqua del Battesimo per la salvezza di tutti i popoli; concedi che l’umanità intera sia accolta tra i figli di Abramo e partecipi alla dignità del popolo eletto".

Il Vangelo ci ha rivelato il compimento delle antiche figure: con la sua morte e risurrezione, Gesù Cristo ha liberato l’uomo dalla schiavitù radicale, quella del peccato, e gli ha aperto la strada verso la vera Terra promessa, il Regno di Dio, Regno universale di giustizia, di amore e di pace. Questo "esodo" avviene prima di tutto dentro l’uomo stesso, e consiste in una nuova nascita nello Spirito Santo, effetto del Battesimo che Cristo ci ha donato proprio nel mistero pasquale. L’uomo vecchio lascia il posto all’uomo nuovo; la vita di prima è alle spalle, si può camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4). Ma l’"esodo" spirituale è principio di una liberazione integrale, capace di rinnovare ogni dimensione umana, personale e sociale.

Sì, fratelli, la Pasqua è la vera salvezza dell’umanità! Se Cristo – l’Agnello di Dio – non avesse versato il suo Sangue per noi, non avremmo alcuna speranza, il destino nostro e del mondo intero sarebbe inevitabilmente la morte. Ma la Pasqua ha invertito la tendenza: la Risurrezione di Cristo è una nuova creazione, come un innesto che può rigenerare tutta la pianta. E’ un avvenimento che ha modificato l’orientamento profondo della storia, sbilanciandola una volta per tutte dalla parte del bene, della vita, del perdono. Siamo liberi, siamo salvi! Ecco perché dall’intimo del cuore esultiamo: "Cantiamo al Signore: è veramente glorioso!".

Il popolo cristiano, uscito dalle acque del Battesimo, è inviato in tutto il mondo a testimoniare questa salvezza, a portare a tutti il frutto della Pasqua, che consiste in una vita nuova, liberata dal peccato e restituita alla sua bellezza originaria, alla sua bontà e verità. Continuamente, nel corso di duemila anni, i cristiani – specialmente i santi – hanno fecondato la storia con l’esperienza viva della Pasqua. La Chiesa è il popolo dell’esodo, perché costantemente vive il mistero pasquale e diffonde la sua forza rinnovatrice in ogni tempo e in ogni luogo. Anche ai nostri giorni l’umanità ha bisogno di un "esodo", non di aggiustamenti superficiali, ma di una conversione spirituale e morale. Ha bisogno della salvezza del Vangelo, per uscire da una crisi che è profonda e come tale richiede cambiamenti profondi, a partire dalle coscienze.

Al Signore Gesù chiedo che in Medio Oriente, ed in particolare nella Terra santificata dalla sua morte e risurrezione, i Popoli compiano un "esodo" vero e definitivo dalla guerra e dalla violenza alla pace ed alla concordia. Alle comunità cristiane, che, specialmente in Iraq, conoscono prove e sofferenze, il Risorto ripeta la parola carica di consolazione e di incoraggiamento che rivolse agli Apostoli nel Cenacolo: "Pace a voi!" (Gv 20,21).

Per quei Paesi Latino-americani e dei Caraibi che sperimentano una pericolosa recrudescenza dei crimini legati al narcotraffico, la Pasqua di Cristo segni la vittoria della convivenza pacifica e del rispetto per il bene comune. La diletta popolazione di Haiti, devastata dall’immane tragedia del terremoto, compia il suo "esodo" dal lutto e dalla disperazione ad una nuova speranza, sostenuta dalla solidarietà internazionale. Gli amati cittadini cileni, prostrati da un’altra grave catastrofe, ma sorretti dalla fede, affrontino con tenacia l’opera di ricostruzione.

Nella forza di Gesù risorto, in Africa si ponga fine ai conflitti che continuano a provocare distruzione e sofferenze e si raggiunga quella pace e quella riconciliazione che sono garanzie di sviluppo. In particolare, affido al Signore il futuro della Repubblica Democratica del Congo, della Guinea e della Nigeria.

Il Risorto sostenga i cristiani che, per la loro fede, soffrono la persecuzione e persino la morte, come in Pakistan. Ai Paesi afflitti dal terrorismo e dalle discriminazioni sociali o religiose, Egli conceda la forza di intraprendere percorsi di dialogo e di convivenza serena. Ai responsabili di tutte le Nazioni, la Pasqua di Cristo rechi luce e forza, perché l’attività economica e finanziaria sia finalmente impostata secondo criteri di verità, di giustizia e di aiuto fraterno. La potenza salvifica della risurrezione di Cristo investa tutta l’umanità, affinché essa superi le molteplici e tragiche espressioni di una "cultura di morte" che tende a diffondersi, per edificare un futuro di amore e di verità, in cui ogni vita umana sia rispettata ed accolta.

Cari fratelli e sorelle! La Pasqua non opera alcuna magia. Come al di là del Mar Rosso gli ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo la Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue speranze, i suoi dolori e le sue angosce. E tuttavia, questa storia è cambiata, è segnata da un’alleanza nuova ed eterna, è realmente aperta al futuro. Per questo, salvati nella speranza, proseguiamo il nostro pellegrinaggio, portando nel cuore il canto antico e sempre nuovo: "Cantiamo al Signore: è veramente glorioso!".



TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

« Cantemus Domino : gloriose enim magnificatus est ».
« Chantons le Seigneur : il est vraiment ressuscité! » (Liturgie des Heures, Pâques, Office des Lectures, Ant. 1).

Chers frères et sœurs,

Je vous porte l’annonce de la Pâque avec ces paroles de la Liturgie, qui font écho à l’hymne très ancien de louange des hébreux après le passage de la Mer rouge. Le livre de l’Exode (cf. 15, 19-21) raconte que quand ils eurent traversé la mer à pied sec et qu’ils virent les égyptiens engloutis par les eaux, Myriam – la sœur de Moïse et d’Aaron – et les autres femmes entonnèrent en dansant ce chant d’exultation : « Chantons le Seigneur, / car il a fait éclater sa gloire, / il a jeté à l’eau cheval et cavalier. ». Partout dans le monde, les chrétiens répètent ce cantique au cours de la Vigile pascale, et une prière dite pour la circonstance en explique la signification, une prière que maintenant, dans la pleine lumière de la résurrection, nous faisons nôtre avec joie : « Maintenant encore, Seigneur, nous voyons resplendir tes merveilles d’autrefois : Alors que jadis tu manifestais ta puissance en délivrant un seul peuple de la poursuite des Égyptiens, tu assures désormais le salut de toutes les nations en les faisant renaître à travers les eaux du baptême ; fais que les hommes du monde entier deviennent des fils d’Abraham et accèdent à la dignité de peuple élu ».

L’Évangile nous a révélé l’accomplissement des anciennes prophéties : par sa mort et sa résurrection, Jésus Christ a libéré l’homme de l’esclavage radical, celui du péché, et lui a ouvert la route vers la Terre promise, le Royaume de Dieu, règne universel de justice, d’amour et de paix. Cet « exode » se réalise avant tout à l’intérieur de l’homme lui-même, et il consiste en une nouvelle naissance dans l’Esprit Saint, conséquence du Baptême que le Christ nous a précisément donné dans le mystère pascal. L’homme ancien laisse la place à l’homme nouveau ; en laissant derrière soi la vie d’avant, il est possible d’avancer dans une vie nouvelle (cf. Rm 6, 4). Mais l’ ‘exode’ spirituel est le principe d’une libération intégrale, susceptible de rénover l’homme dans toutes ses dimensions, personnelle et sociale.

Oui, frères, Pâques est le vrai salut de l’humanité ! Si le Christ – l’Agneau de Dieu – n’avait pas versé son Sang pour nous, nous n’aurions aucune espérance ; notre destin et celui du monde entier serait inévitablement la mort. Mais la Pâque a renversé la perspective : la Résurrection du Christ est une nouvelle création, à la manière d’une greffe qui peut régénérer l’ensemble de la planète. C’est un événement qui a modifié l’orientation profonde de l’histoire, la faisant basculer une fois pour toutes du côté du bien, de la vie, du pardon. Nous sommes libres, nous sommes sauvés ! Voilà pourquoi du plus profond de nous-mêmes nous exultons : « Chantons le Seigneur : il est vraiment ressuscité! ».

Le peuple chrétien, sorti des eaux du Baptême, est envoyé partout dans le monde pour témoigner de ce salut, pour porter à tous le fruit de la Pâque, qui consiste en une vie nouvelle, libérée du péché et rendue à sa beauté originelle, à sa bonté et à sa vérité. Continuellement, pendant deux mille ans, les chrétiens – spécialement les saints – ont fécondé l’histoire par l’expérience vivante de la Pâque. L’Église est le peuple de l’exode, parce qu’elle vit constamment le mystère pascal et répand sa puissance de renouvellement à tout moment et en tout lieu. Aujourd’hui encore, l’humanité a besoin d’un ‘exode’, non pas seulement d’ajustements superficiels, mais d’une conversion spirituelle et morale. Elle a besoin du salut de l’Évangile, pour sortir d’une crise qui est profonde et qui, comme telle, réclame des changements profonds, à commencer par celui de la conscience.

Au Seigneur Jésus, je demande qu’au Moyen Orient, et en particulier sur la Terre sanctifiée par sa mort et sa résurrection, les Peuples accomplissent un ‘exode’ vrai et définitif qui les fasse passer de la guerre et de la violence à la paix et à la concorde. Aux communautés chrétiennes qui, spécialement en Iraq, connaissent épreuves et souffrances, que le Ressuscité redise la parole pleine de consolation et d’encouragement qu’il adressa aux Apôtres dans le Cénacle : « La paix soit avec vous ! » ( Jn 20, 21).

Pour les pays latino-américains et des Caraïbes qui font l’expérience d’une dangereuse recrudescence des crimes liés au trafic de la drogue, que la Pâque du Christ marque la victoire de la convivialité pacifique et du respect pour le bien commun. Que la population bien-aimée d’Haïti, dévastée par l’effroyable tragédie du tremblement de terre, accomplisse son ‘exode’ du deuil et de la désespérance vers une nouvelle espérance, soutenue par la communauté internationale. Que les très chers citoyens du Chili, accablés par une autre grave catastrophe, mais soutenus par la foi, s’attachent avec ténacité à l’œuvre de reconstruction.

Dans la force de Jésus ressuscité, qu’il soit mis fin en Afrique aux conflits qui continuent à provoquer destructions et souffrances et que l’on parvienne à cette paix et à cette réconciliation qui sont des garanties de développement. Je confie en particulier au Seigneur l’avenir de la République démocratique du Congo, de la Guinée et du Nigéria.

Que le Ressuscité soutiennent les chrétiens qui, à cause de leur foi, souffrent la persécution et même la mort, comme au Pakistan. Aux pays affectés par le terrorisme et par les discriminations sociales ou religieuses, qu’Il accorde la force d’ouvrir des chemins de dialogue et de coexistence sereine. Aux responsables de toutes les Nations, que la Pâque du Christ porte lumière et force, pour que l’activité économique et financière soit finalement fondée sur des critères de vérité, de justice et d’entraide fraternelle. Que la puissance salvifique de la résurrection du Christ remplisse l’humanité entière, afin que celle-ci dépasse les multiples et tragiques expressions d’une ‘culture de mort’ qui tend à se répandre, pour édifier un avenir d’amour et de vérité, dans lequel chaque vie humaine soit respectée et accueillie.

Chers frères et sœurs ! La Pâque n’agit pas de façon magique. Tout comme au-delà de la Mer rouge les hébreux trouvèrent le désert, l’Église, après la Résurrection, rencontre toujours l’histoire avec ses joies et ses espérances, ses douleurs et ses angoisses. Et cependant, cette histoire est transformée, elle est marquée par une alliance nouvelle et éternelle, elle est réellement ouverte à un avenir. C’est pourquoi, sauvés en espérance, nous poursuivons notre pèlerinage en portant dans le cœur le cantique ancien et toujours nouveau : « Chantons le Seigneur : il est vraiment ressuscité! ».



TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est.
"Let us sing to the Lord, glorious his triumph!" (Liturgy of the Hours, Easter, Office of Readings, Antiphon 1).

Dear Brothers and Sisters,

I bring you the Easter proclamation in these words of the Liturgy, which echo the ancient hymn of praise sung by the Israelites after crossing the Red Sea. It is recounted in the Book of Exodus (cf 15:19-21) that when they had crossed the sea on dry land, and saw the Egyptians submerged by the waters, Miriam, the sister of Moses and Aaron, and the other women sang and danced to this song of joy: "Sing to the Lord, for he has triumphed wonderfully: horse and rider he has thrown into the sea!" Christians throughout the world repeat this canticle at the Easter Vigil, and a special prayer explains its meaning; a prayer that now, in the full light of the resurrection, we joyfully make our own: "Father, even today we see the wonders of the miracles you worked long ago. You once saved a single nation from slavery, and now you offer that salvation to all through baptism. May the peoples of the world become true sons of Abraham and prove worthy of the heritage of Israel."

The Gospel has revealed to us the fulfilment of the ancient figures: in his death and resurrection, Jesus Christ has freed us from the radical slavery of sin and opened for us the way towards the promised land, the Kingdom of God, the universal Kingdom of justice, love and peace. This "exodus" takes place first of all within man himself, and it consists in a new birth in the Holy Spirit, the effect of the baptism that Christ has given us in his Paschal Mystery. The old man yields his place to the new man; the old life is left behind, and a new life can begin (cf. Rom 6:4). But this spiritual "exodus" is the beginning of an integral liberation, capable of renewing us in every dimension – human, personal and social.

Yes, my brothers and sisters, Easter is the true salvation of humanity! If Christ – the Lamb of God – had not poured out his blood for us, we would be without hope, our destiny and the destiny of the whole world would inevitably be death. But Easter has reversed that trend: Christ’s resurrection is a new creation, like a graft that can regenerate the whole plant. It is an event that has profoundly changed the course of history, tipping the scales once and for all on the side of good, of life, of pardon. We are free, we are saved! Hence from deep within our hearts we cry out: "Let us sing to the Lord: glorious his triumph!"

The Christian people, having emerged from the waters of baptism, is sent out to the whole world to bear witness to this salvation, to bring to all people the fruit of Easter, which consists in a new life, freed from sin and restored to its original beauty, to its goodness and truth. Continually, in the course of two thousand years, Christians – especially saints – have made history fruitful with their lived experience of Easter. The Church is the people of the Exodus, because she constantly lives the Paschal Mystery and disseminates its renewing power in every time and place. In our days too, humanity needs an "exodus", not just superficial adjustment, but a spiritual and moral conversion. It needs the salvation of the Gospel, so as to emerge from a profound crisis, one which requires deep change, beginning with consciences.

I pray to the Lord Jesus that in the Middle East, and especially in the land sanctified by his death and resurrection, the peoples will accomplish a true and definitive "exodus" from war and violence to peace and concord. To the Christian communities who are experiencing trials and sufferings, especially in Iraq, the Risen Lord repeats those consoling and encouraging words that he addressed to the Apostles in the Upper Room: "Peace be with you!" (Jn 20:21).

For the countries in Latin America and the Caribbean that are seeing a dangerous resurgence of crimes linked to drug trafficking, let Easter signal the victory of peaceful coexistence and respect for the common good. May the beloved people of Haiti, devastated by the appalling tragedy of the earthquake, accomplish their own "exodus" from mourning and from despair to a new hope, supported by international solidarity. May the beloved citizens of Chile, who have had to endure another grave catastrophe, set about the task of reconstruction with tenacity, supported by their faith.

In the strength of the risen Jesus, may the conflicts in Africa come to an end, conflicts which continue to cause destruction and suffering, and may peace and reconciliation be attained, as guarantees of development. In particular I entrust to the Lord the future of the Democratic Republic of Congo, Guinea and Nigeria.

May the Risen Lord sustain the Christians who suffer persecution and even death for their faith, as for example in Pakistan. To the countries afflicted by terrorism and by social and religious discrimination, may He grant the strength to undertake the work of building dialogue and serene coexistence. To the leaders of nations, may Easter bring light and strength, so that economic and financial activity may finally be driven by the criteria of truth, justice and fraternal aid. May the saving power of Christ’s resurrection fill all of humanity, so that it may overcome the multiple tragic expressions of a "culture of death" which are becoming increasingly widespread, so as to build a future of love and truth in which every human life is respected and welcomed.

Dear brothers and sisters, Easter does not work magic. Just as the Israelites found the desert awaiting them on the far side of the Red Sea, so the Church, after the resurrection, always finds history filled with joy and hope, grief and anguish. And yet, this history is changed, it is marked by a new and eternal covenant, it is truly open to the future. For this reason, saved by hope, let us continue our pilgrimage, bearing in our hearts the song that is ancient and yet ever new: "Let us sing to the Lord: glorious his triumph!"



TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

„Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est."
„Dem Herrn will ich singen, machtvoll hat er sich kundgetan." (Stundengebet, Ostern, Lesehore, 1. Antiphon).

Liebe Brüder und Schwestern!

Mit diesen Worten der Liturgie, in denen der uralte Lobgesang der Hebräer nach dem Durchzug durch das Rote Meer anklingt, überbringe ich euch die Botschaft von Ostern. Das Buch Exodus (vgl. 15,19-21) erzählt, daß, nachdem die Israeliten auf trockenem Boden durch das Meer gezogen waren und die Ägypter im Wasser untergehen sahen, Mirjam – die Schwester Moses und Aarons – und die anderen Frauen mit Tanz dieses Jubellied anstimmten: „Singt dem Herrn ein Lied, denn er ist hoch und erhaben! Rosse und Wagen warf er ins Meer." Die Christen in aller Welt wiederholen diesen Gesang in der Osternacht, und ein besonderes Gebet erläutert seine Bedeutung: „Gott, deine uralten Wunder leuchten noch in unseren Tagen. Was einst dein mächtiger Arm an e i n e m Volk getan hat, das tust du jetzt an allen Völkern: Einst hast du Israel aus der Knechtschaft des Pharao befreit und durch die Fluten des Roten Meeres geführt; nun aber führst du alle Völker durch das Wasser der Taufe zur Freiheit. Gib, daß alle Menschen Kinder Abrahams werden und zur Würde des auserwählten Volkes gelangen."

Das Evangelium hat uns die Erfüllung der alten Bilder offenbart: Mit seinem Tod und seiner Auferstehung hat Jesus Christus den Menschen von der tiefgreifenden Knechtschaft der Sünde befreit und ihm den Weg in das verheißene Land, in das Reich Gottes, in das universale Reich der Gerechtigkeit, der Liebe und des Friedens aufgetan. Dieser „Auszug" geschieht zunächst im Menschen selbst und besteht in einer neuen Geburt im Heiligen Geist, einer Wirkung der Taufe, die Christus uns im Ostergeheimnis geschenkt hat. Der alte Mensch weicht dem neuen; das frühere Leben liegt hinter einem, man kann in einem neuen Leben wandeln (vgl. Röm 6,4). Der geistige „Auszug" ist aber Anfang einer umfassenden Befreiung, die fähig ist, jede menschliche, persönliche und soziale Dimension zu erneuern.

Ja, Brüder und Schwestern, Ostern ist das wahre Heil der Menschheit! Wenn Christus – das Lamm Gottes – nicht sein Blut für uns vergossen hätte, hätten wir keine Hoffnung, wäre unser Schicksal und das der ganzen Welt unausweichlich der Tod. Aber Ostern hat diese Tendenz umgekehrt: Die Auferstehung Christi ist eine neue Schöpfung, wie ein Pfröpfling, der die ganze Pflanze regenerieren kann. Es ist ein Geschehen, das die tiefe Richtung der Geschichte verändert hat, indem es ein für alle Mal das Gewicht zugunsten des Guten, des Lebens, der Vergebung verschoben hat. Wir sind frei, wir sind gerettet! Das ist der Grund, warum wir aus innerstem Herzen jubeln: „Dem Herrn will ich singen, machtvoll hat er sich kundgetan."

Aus dem Wasser der Taufe hervorgekommen, ist das christliche Volk in die ganze Welt gesandt, um dieses Heil zu bezeugen, um allen die Frucht von Ostern zu bringen, die in einem neuen Leben besteht, das von der Sünde befreit ist und das in seiner ursprünglichen Schönheit, seiner Güte und Wahrheit wieder hergestellt wurde. Ununterbrochen im Lauf von zweitausend Jahren haben die Christen – besonders die Heiligen – die Geschichte mit der lebendigen Ostererfahrung befruchtet. Die Kirche ist das Volk des Auszugs, da sie ständig das Ostergeheimnis lebt und dessen erneuernde Kraft zu jeder Zeit und an allen Orten verbreitet. Auch in unseren Tagen bedarf die Menschheit eines „Auszugs", nicht oberflächlicher Verbesserungen, sondern einer geistigen und moralischen Verwandlung. Sie bedarf des Heils des Evangeliums, um aus einer Krise herauszukommen, die tief ist und als solche tiefe Veränderungen verlangt, angefangen von den Gewissen der Menschen.

Jesus, den Herrn, bitte ich, daß im Nahen Osten, und besonders in dem durch seinen Tod und seine Auferstehung geheiligten Land, die Völker einen wahren und endgültigen „Auszug" aus dem Krieg und der Gewalt zum Frieden und zur Eintracht vollziehen mögen. An die christlichen Gemeinschaften, die insbesondere im Irak Prüfungen und Leid erleben, richte der Auferstandene erneut sein trostvolles und ermutigendes Wort, das er zu den Aposteln im Abendmahlssaal gesprochen hat: „Friede sei mit euch!" (Joh 20,21).

Für jene Länder Lateinamerikas und der Karibik, in denen die Kriminalität im Zusammenhang mit dem Rauschgifthandel gefährlich zunimmt, bedeute Ostern der Sieg des friedlichen Zusammenlebens und der Achtung des Gemeinwohls. Die geschätzte Bevölkerung Haitis, das von der ungeheueren Erdbebentragödie verwüstet wurde, vollziehe seinen „Auszug" aus der Trauer und Verzweiflung zu einer neuen Hoffnung, die von der internationalen Solidarität gestützt wird. Die geliebten Bürger Chiles, die von einer weiteren schweren Katastrophe gebeugt sind, aber vom Glauben aufrecht gehalten werden, mögen mit Beharrlichkeit den Wiederaufbau in Angriff nehmen.

In der Kraft des auferstandenen Jesus möge in Afrika den Konflikten ein Ende bereitet werden, die weiter Zerstörung und Leid verursachen, um zu jenem Frieden und zu jener Versöhnung zu gelangen, die Gewähr für die Entwicklung bieten. Dem Herrn vertraue ich im besonderen die Zukunft der Demokratischen Republik Kongo, Guineas und Nigerias an.

Der Auferstandene stütze die Christen, die wie in Pakistan wegen ihres Glaubens Verfolgung und sogar Tod erleiden. Er gebe den Ländern, die vom Terrorismus und von sozialen oder religiösen Diskriminierungen betroffen sind, die Kraft, Wege des Dialogs und des friedvollen Zusammenlebens einzuschlagen. Den Verantwortlichen aller Nationen bringe das Osterfest Christi, seine Auferstehung, Licht und Kraft, damit das Wirtschaftsleben und die Finanzaktionen endlich nach Kriterien der Wahrheit, der Gerechtigkeit und der brüderlichen Hilfe gestaltet werden. Die rettende Kraft der Auferstehung Christi stärke die ganze Menschheit, daß sie die vielfachen und tragischen Äußerungen einer sich ausbreitenden „Kultur des Todes" überwinde, um eine Zukunft der Liebe und Wahrheit aufzubauen, in der jedes menschliche Leben geachtet und angenommen wird.

Liebe Brüder und Schwestern! Ostern vollbringt keine Zauberei. Wie die Hebräer jenseits des Roten Meeres die Wüste vorfanden, so findet die Kirche nach der Auferstehung stets die Geschichte mit ihren Freuden und Hoffnungen, Leiden und Ängsten vor. Und dennoch hat sich diese Geschichte verändert, ist sie von einem neuen und ewigen Bund geprägt, ist sie wirklich offen für die Zukunft. Deswegen setzen wir, gerettet auf Hoffnung hin, unsere Pilgerreise fort und tragen dabei das alte und stets neue Lied im Herzen: „Dem Herrn will ich singen, machtvoll hat er sich kundgetan!".



TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

«Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est».
«Cantaré al Señor, sublime es su victoria» (Liturgia de las Horas, Pacua, Oficio de Lecturas, Ant. 1).

Queridos hermanos y hermanas:

Os anuncio la Pascua con estas palabras de la Liturgia, que evocan el antiquísimo himno de alabanza de los israelitas después del paso del Mar Rojo. El libro del Éxodo (cf. 15, 19-21) narra cómo, al atravesar el mar a pie enjuto y ver a los egipcios ahogados por las aguas, Miriam, la hermana de Moisés y de Aarón, y las demás mujeres danzaron entonando este canto de júbilo: «Cantaré al Señor, sublime es su victoria, / caballos y carros ha arrojado en el mar». Los cristianos repiten en todo el mundo este canto en la Vigilia pascual, y explican su significado en una oración especial de la misma; es una oración que ahora, bajo la plena luz de la resurrección, hacemos nuestra con alegría: «También ahora, Señor, vemos brillar tus antiguas maravillas, y lo mismo que en otro tiempo manifestabas tu poder al librar a un solo pueblo de la persecución del faraón, hoy aseguras la salvación de todas las naciones, haciéndolas renacer por las aguas del bautismo. Te pedimos que los hombres del mundo entero lleguen a ser hijos de Abrahán y miembros del nuevo Israel».

El Evangelio nos ha revelado el cumplimiento de las figuras antiguas: Jesucristo, con su muerte y resurrección, ha liberado al hombre de aquella esclavitud radical que es el pecado, abriéndole el camino hacia la verdadera Tierra prometida, el Reino de Dios, Reino universal de justicia, de amor y de paz. Este "éxodo" se cumple ante todo dentro del hombre mismo, y consiste en un nuevo nacimiento en el Espíritu Santo, fruto del Bautismo que Cristo nos ha dado precisamente en el misterio pascual. El hombre viejo deja el puesto al hombre nuevo; la vida anterior queda atrás, se puede caminar en una vida nueva (cf. Rm 6,4). Pero, el "éxodo" espiritual es fuente de una liberación integral, capaz de renovar cualquier dimensión humana, personal y social.

Sí, hermanos, la Pascua es la verdadera salvación de la humanidad. Si Cristo, el Cordero de Dios, no hubiera derramado su Sangre por nosotros, no tendríamos ninguna esperanza, la muerte sería inevitablemente nuestro destino y el del mundo entero. Pero la Pascua ha invertido la tendencia: la resurrección de Cristo es una nueva creación, como un injerto capaz de regenerar toda la planta. Es un acontecimiento que ha modificado profundamente la orientación de la historia, inclinándola de una vez por todas en la dirección del bien, de la vida y del perdón. ¡Somos libres, estamos salvados! Por eso, desde lo profundo del corazón exultamos: «Cantemos al Señor, sublime es su victoria».

El pueblo cristiano, nacido de las aguas del Bautismo, está llamado a dar testimonio en todo el mundo de esta salvación, a llevar a todos el fruto de la Pascua, que consiste en una vida nueva, liberada del pecado y restaurada en su belleza originaria, en su bondad y verdad. A lo largo de dos mil años, los cristianos, especialmente los santos, han fecundado continuamente la historia con la experiencia viva de la Pascua. La Iglesia es el pueblo del éxodo, porque constantemente vive el misterio pascual difundiendo su fuerza renovadora siempre y en todas partes. También hoy la humanidad necesita un "éxodo", que consista no sólo en retoques superficiales, sino en una conversión espiritual y moral. Necesita la salvación del Evangelio para salir de una crisis profunda y que, por consiguiente, pide cambios profundos, comenzando por las conciencias.

Le pido al Señor Jesús que en Medio Oriente, y en particular en la Tierra santificada con su muerte y resurrección, los Pueblos lleven a cabo un "éxodo" verdadero y definitivo de la guerra y la violencia a la paz y la concordia. Que el Resucitado se dirija a las comunidades cristianas que sufren y son probadas, especialmente en Iraq, dirigiéndoles las palabras de consuelo y de ánimo con que saludó a los Apóstoles en el Cenáculo: "Paz a vosotros" (Jn 20,21).

Que la Pascua de Cristo represente, para aquellos Países Latinoamericanos y del Caribe que sufren un peligroso recrudecimiento de los crímenes relacionados con el narcotráfico, la victoria de la convivencia pacífica y del respeto del bien común. Que la querida población de Haití, devastada por la terrible tragedia del terremoto, lleve a cabo su "éxodo" del luto y la desesperación a una nueva esperanza, con la ayuda de la solidaridad internacional. Que los amados ciudadanos chilenos, asolados por otra grave catástrofe, afronten con tenacidad, y sostenidos por la fe, los trabajos de reconstrucción.

Que se ponga fin, con la fuerza de Jesús resucitado, a los conflictos que siguen provocando en África destrucción y sufrimiento, y se alcance la paz y la reconciliación imprescindibles para el desarrollo. De modo particular, confío al Señor el futuro de la República Democrática del Congo, de Guínea y de Nigeria.

Que el Resucitado sostenga a los cristianos que, como en Pakistán, sufren persecución e incluso la muerte por su fe. Que Él conceda la fuerza para emprender caminos de diálogo y de convivencia serena a los Países afligidos por el terrorismo y las discriminaciones sociales o religiosas. Que la Pascua de Cristo traiga luz y fortaleza a los responsables de todas las Naciones, para que la actividad económica y financiera se rija finalmente por criterios de verdad, de justicia y de ayuda fraterna. Que la potencia salvadora de la resurrección de Cristo colme a toda la humanidad, para que superando las múltiples y trágicas expresiones de una "cultura de la muerte" que se va difundiendo, pueda construir un futuro de amor y de verdad, en el que toda vida humana sea respetada y acogida.

Queridos hermanos y hermanas. La Pascua no consiste en magia alguna. De la misma manera que el pueblo hebreo se encontró con el desierto, más allá del Mar Rojo, así también la Iglesia, después de la Resurrección, se encuentra con los gozos y esperanzas, los dolores y angustias de la historia. Y, sin embargo, esta historia ha cambiado, ha sido marcada por una alianza nueva y eterna, está realmente abierta al futuro. Por eso, salvados en esperanza, proseguimos nuestra peregrinación llevando en el corazón el canto antiguo y siempre nuevo: "Cantaré al Señor, sublime es su victoria».



TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

«Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est».
«Cantemos ao Senhor: é verdadeiramente glorioso!» (Liturgia das Horas: Páscoa, Ofício de Leituras, Ant. 1).

Queridos irmãos e irmãs!

Transmito-vos o anúncio da Páscoa com estas palavras da Liturgia, que repercutem o antiquíssimo hino de louvor dos hebreus depois da travessia do Mar Vermelho. Conta o Livro do Éxodo (cf. 15, 19-21) que, depois de atravessarem o mar enxuto e terem visto os egípcios submersos pelas águas, Miriam – a irmã de Moisés e Aarão – e as outras mulheres entoaram, dançando, este cântico de exultação: «Cantai ao Senhor que Se revestiu de glória. Precipitou no mar o cavalo e o cavaleiro!» Por todo o mundo, os cristãos repetem este cântico na Vigília Pascal, cujo significado é depois explicado na respectiva oração; uma oração que agora, na plena luz da Ressurreição, jubilosamente fazemos nossa: «Também em nossos dias, Senhor, vemos brilhar as vossas antigas maravilhas: se outrora manifestastes o vosso poder libertando um só povo da perseguição do Faraó, hoje assegurais a salvação de todas as nações fazendo-as renascer pela água do Baptismo: fazei que todos os povos da terra se tornem filhos de Abraão e membros do vosso povo eleito».

O Evangelho revelou-nos o cumprimento das figuras antigas: com a sua morte e ressurreição, Jesus Cristo libertou o homem da escravidão radical, a do pecado, e abriu-lhe a estrada para a verdadeira Terra Prometida, o Reino de Deus, Reino universal de justiça, de amor e de paz. Este «êxodo» verifica-se, antes de mais nada, no íntimo do próprio homem e consiste num novo nascimento no Espírito Santo, efeito do Baptismo que Cristo nos deu precisamente no mistério pascal. O homem velho cede o lugar ao homem novo; a vida anterior é deixada para trás, pode-se caminhar numa vida nova (cf. Rm 6, 4). Mas o «êxodo» espiritual é princípio duma libertação integral, capaz de renovar toda a dimensão humana, pessoal e social.

Sim, irmãos, a Páscoa é a verdadeira salvação da humanidade! Se Cristo – o Cordeiro de Deus – não tivesse derramado o seu Sangue por nós, não teríamos qualquer esperança, o destino nosso e do mundo inteiro seria inevitavelmente a morte. Mas a Páscoa inverteu a tendência: a Ressurreição de Cristo é uma nova criação, como um enxerto que pode regenerar toda a planta. É um acontecimento que modificou a orientação profunda da história, fazendo-a pender de uma vez por todas para o lado do bem, da vida, do perdão. Somos livres, estamos salvos! Eis o motivo por que exultamos do íntimo do coração: «Cantemos ao Senhor: é verdadeiramente glorioso!»

O povo cristão, saído das águas do Baptismo, é enviado por todo o mundo a testemunhar esta salvação, a levar a todos o fruto da Páscoa, que consiste numa vida nova, liberta do pecado e restituída à sua beleza original, à sua bondade e verdade. Continuamente, ao longo de dois mil anos, os cristãos – especialmente os santos – fecundaram a história com a experiência viva da Páscoa. A Igreja é o povo do êxodo, porque vive constantemente o mistério pascal e espalha a sua força renovadora em todo o tempo e lugar. Também em nossos dias a humanidade tem necessidade de um «êxodo», não de ajustamentos superficiais, mas de uma conversão espiritual e moral. Necessita da salvação do Evangelho, para sair de uma crise que é profunda e, como tal, requer mudanças profundas, a partir das consciências.

Peço ao Senhor Jesus que, no Médio Oriente e de modo particular na Terra santificada pela sua morte e ressurreição, os Povos realizem um verdadeiro e definitivo «êxodo» da guerra e da violência para a paz e a concórdia. Às comunidades cristãs que conhecem provações e sofrimentos, especialmente no Iraque, repita o Ressuscitado a frase cheia de consolação e encorajamento que dirigiu aos Apóstolos no Cenáculo: «A paz esteja convosco!» (Jo 20,21).

Para os países da América Latina e do Caribe que experimentam uma perigosa recrudescência de crimes ligados ao narcotráfico, a Páscoa de Cristo conceda a vitória da convivência pacífica e do respeito pelo bem comum. A dilecta população do Haiti, devastado pela enorme tragédia do terremoto, realize o seu «êxodo» do luto e do desânimo para uma nova esperança, com o apoio da solidariedade internacional. Os amados cidadãos chilenos, prostrados por outra grave catástrofe mas sustentados pela fé, enfrentem com tenacidade a obra de reconstrução.

Na força de Jesus ressuscitado, ponha-se fim em África aos conflitos que continuam a provocar destruição e sofrimentos e chegue-se àquela paz e reconciliação que são garantias de desenvolvimento. De modo particular confio ao Senhor o futuro da República Democrática do Congo, da Guiné e da Nigéria.

O Ressuscitado ampare os cristãos que, pela sua fé, sofrem a perseguição e até a morte, como no Paquistão. Aos países assolados pelo terrorismo e pelas discriminações sociais ou religiosas, conceda Ele a força de começar percursos de diálogo e serena convivência. Aos responsáveis de todas as Nações, a Páscoa de Cristo traga luz e força para que a actividade económica e financeira seja finalmente orientada segundo critérios de verdade, justiça e ajuda fraterna. A força salvífica da ressurreição de Cristo invada a humanidade inteira, para que esta supere as múltiplas e trágicas expressões de uma «cultura de morte» que tende a difundir-se, para edificar um futuro de amor e verdade no qual toda a vida humana seja respeitada e acolhida.

Queridos irmãos e irmãs! A Páscoa não efectua qualquer magia. Assim como, para além do Mar Vermelho, os hebreus encontraram o deserto, assim também a Igreja, depois da Ressurreição, encontra sempre a história com as suas alegrias e as suas esperanças, os seus sofrimentos e as suas angústias. E todavia esta história mudou, está marcada por uma aliança nova e eterna, está realmente aberta ao futuro. Por isso, salvos na esperança, prosseguimos a nossa peregrinação, levando no coração o cântico antigo e sempre novo: «Cantemos ao Senhor: é verdadeiramente glorioso!»








AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DELLA SANTA PASQUA

Al termine del Messaggio pasquale e prima di impartire la Benedizione Urbi et Orbi ai fedeli radunati in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia l’augurio di Pasqua in 65 lingue:


AUGURI DEL SANTO PADRE

A quanti mi ascoltano, rivolgo un cordiale augurio nelle diverse espressioni linguistiche:

italiano:
Buona Pasqua a voi, uomini e donne di Roma e d’Italia! Il Signore Risorto benedica le famiglie, i giovani e gli anziani, in particolare i malati e quanti soffrono nel corpo e nello spirito. La sua luce e la sua grazia sostengano i progetti di sviluppo e di bene che l’intera Comunità Nazionale è chiamata ad attuare nella concordia operosa e nella pace.

francese:
Le Christ est ressuscité. Sainte fête de Pâques ! Que pour vous ce mystère soit source de bonheur et de paix profonde.

inglese:
May the grace and joy of the Risen Christ be with you all.

tedesco:
Euch allen ein gesegnetes und frohes Osterfest! Der Friede und die Freude des auferstandenen Herrn sei mit Euch.

spagnolo:
Os deseo a todos una buena y feliz fiesta de Pascua, con la paz y la alegría, la esperanza y el amor de Jesucristo Resucitado.

portoghese:
Uma Páscoa feliz com Cristo Ressuscitado.

neerlandese:
Zalig Pasen!
Ik wil mijn hartelijke dank tot uitdrukking brengen voor de fraaie bloemen uit Nederland voor de Paasmis op het Sint Pietersplein.
[Buona Pasqua!
Desidero esprimere la mia viva gratitudine per i bei fiori, provenienti dai Paesi Bassi, che adornano la Piazza S. Pietro in occasione della Santa Messa di Pasqua.]

lussemburghese:
Frou a geseent Oushteren.

irlandese:
Beannacht na Cāsga dhuibh go lēir.

greco:
5D4FJ`H •
albanese:
Për shumë wjet Pashkët.

romeno:
Cristos a ínviat.

ungherese:
Krisztus feltamadott.

polacco:
Chrystus zmartwychwstał.

ceco:
Kristus vstal z mrtvých.

slovacco:
Radostné veľkonočné sviatky.

croato:
Sretan Uskrs!

sloveno:
Blagoslovljene velikonočne praznike.

serbo:
Христос васкрсе!

serbo-lusazio:
Chrystus z mortwych stanył.

bulgaro:
Христос възкресе

macedone:
Христос Воскресна.

bielorusso:
Christos uvaskrós.

russo:
Христос Воскресе.

mongolo:
ХРИСТИЙН ДАХИН АМИЛАЛЫН БАЯРЫН МЗНД ХУРГЗЕ!

kazako:
Иса тірілпті

ucraino:
Христос Воскрес.

lituano:
Linksmų Šventų Velykų.

lettone:
Priecīgas lieldienas.

estone:
Kristus on surnuist üles tyusnud.

svedese:
Glad Pàsk.

finlandese:
Siunattua Pääsiäistä.

islandese:
Gleðilega Páska.

romanès:
Lachi Patrači.

maltese:
L-Ghid it-tajjeb.

georgiano:


turco:
Paskalya bayramini kutlarim.

arabo:


etiopico-eritreo:


ebraico:


aramaico:


armeno:


suahili:
Heri na baraka zangu kwa sikukuu ja Pasaka kwenu wote.

kirundi e kinyarwanda:
Pasika Nziza, mwese.

malgascio:
Arahaba Tratry Ny Paka.

hindi:


tamil:


malayalam:


bengalese:


birmano:


urdu:


cinese:


giapponese:


coreano:


vietnamita:
Mù’ng lé phuc sinh.

singalese:


tailandese:


indonesiano:
Selamat Paskah.

cambogiano:


filippino:
Maligajang pagkabuhay ni Kristo.

maori:
Nga mihi o te Aranga ki a koutou.

samoano:
Ia manuia le Efeta.

esperanto:
Felician Paskon en Kristo resurektinta.

guaraní:
Ña nerenyhe vy’agui, Aleluya

latino:
Cantemus Domino: gloriose enim magnificatus est.
+PetaloNero+
00lunedì 5 aprile 2010 15:50
LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI


Nel pomeriggio di ieri il Santo Padre Benedetto XVI ha raggiunto la residenza pontificia di Castel Gandolfo per un breve periodo di riposo.

Alle ore 12 di oggi, Lunedì dell’Angelo, il Papa guida la recita del Regina Cæli con i fedeli e i pellegrini convenuti nel Cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e in collegamento audio-video con Piazza San Pietro.

Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana del Regina Cæli, che per tutto il tempo pasquale sostituisce l’Angelus:


PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Nella luce della Pasqua – che celebriamo in tutta questa Settimana – rinnovo il mio più cordiale augurio di pace e di gioia. Come sapete, il lunedì dopo la Domenica di Risurrezione è detto tradizionalmente "Lunedì dell’Angelo". E’ molto interessante approfondire questo riferimento all’"Angelo". Naturalmente il pensiero va subito ai racconti evangelici della risurrezione di Gesù, nei quali compare la figura di un messaggero del Signore. San Matteo scrive: "Ed ecco vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come neve" (Mt 28,2-3). Tutti gli Evangelisti, poi, precisano che, quando le donne si recarono al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto, fu un angelo ad annunciare loro che Gesù era risorto. In Matteo questo messaggero del Signore dice loro: "Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. E’ risorto, infatti, come aveva detto" (Mt 28,5-6); quindi mostra la tomba vuota e le incarica di portare l’annuncio ai discepoli. In Marco l’angelo è descritto come "un giovane, vestito di una veste bianca", che dà alle donne l’identico messaggio (cfr Mc 16,5-6). Luca parla di "due uomini in abito sfolgorante", che ricordano alle donne come Gesù avesse preannunciato molto prima la sua morte e risurrezione (cfr Lc 24,4-7). Anche Giovanni parla di "due angeli in bianche vesti"; è Maria di Magdala a vederli, mentre piange vicino al sepolcro, e le dicono: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,11-13).

Ma l’Angelo della risurrezione richiama anche un altro significato. Bisogna ricordare, infatti, che il termine "angelo" oltre a definire gli Angeli, creature spirituali dotate di intelligenza e volontà, servitori e messaggeri di Dio, è anche uno dei titoli più antichi attribuiti a Gesù stesso. Leggiamo ad esempio in Tertulliano: "Egli - cioè Cristo - è stato anche chiamato «angelo del consiglio», cioè annunziatore, che è un termine che denota un ufficio, non la natura. In effetti, egli doveva annunziare al mondo il grande disegno del Padre per la restaurazione dell’uomo" (De carne Christi, 14). Così l’antico scrittore cristiano. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, dunque, viene chiamato anche l’Angelo di Dio Padre: Egli è il Messaggero per eccellenza del suo amore. Cari amici, pensiamo ora a ciò che Gesù risorto disse agli Apostoli: "Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi" (Gv 20,21); e comunicò ad essi il suo Santo Spirito. Ciò significa che, come Gesù è stato annunciatore dell’amore di Dio Padre, anche noi lo dobbiamo essere della carità di Cristo: siamo messaggeri della sua risurrezione, della sua vittoria sul male e sulla morte, portatori del suo amore divino. Certo, rimaniamo per natura uomini e donne, ma riceviamo la missione di "angeli", messaggeri di Cristo: viene data a tutti nel Battesimo e nella Cresima. In modo speciale, attraverso il Sacramento dell’Ordine, la ricevono i sacerdoti, ministri di Cristo; mi piace sottolinearlo in quest’Anno Sacerdotale.

Cari fratelli e sorelle, ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, invocandola quale Regina Caeli, Regina del Cielo. Ci aiuti Lei ad accogliere pienamente la grazia del mistero pasquale e a diventare messaggeri coraggiosi e gioiosi della risurrezione di Cristo.



DOPO IL REGINA CAELI

Le Christ est vraiment ressuscité, alléluia ! Chers frères et sœurs francophones, que la Solennité de Pâques soit vraiment, pour chacun de vous, un jour de fête et de joie ! À la suite des femmes quittant le tombeau tremblantes et toutes joyeuses, après avoir fait l’expérience de la Résurrection du Seigneur, je vous invite à annoncer, vous aussi, cette Bonne Nouvelle. Forts de notre foi au Christ ressuscité, sachons rayonner de la joie pascale et de la beauté de l’espérance chrétienne. N’ayons pas peur de témoigner que Jésus est vivant et présent au milieu de nous ! À tous, je souhaite de bonnes et saintes fêtes de Pâques !

I am very pleased to greet all the English-speaking pilgrims present here today for the Regina Cæli prayer. In these first days of Easter, we celebrate intensely the mystery of the Resurrection of the Lord. Like the women in today’s Gospel passage, may all of us, especially those baptized this Easter, keep alive in our hearts our awe and great joy in the presence of the Risen Lord. God bless you all!

Einen frohen Ostergruß richte ich an alle Pilger und Besucher deutscher Sprache hier in Castelgandolfo. Der Herr ist wahrhaft auferstanden! Er hat uns den Weg eröffnet, den wir aus eigener Kraft nicht gehen konnten. Der auferstandene Christus ist uns zur Brücke geworden, auf der wir zu Gott gelangen und in Gemeinschaft mit ihm ein erfülltes Leben führen können. Euch und euren Familien wünsche ich von Herzen eine gesegnete Osterwoche.

Dirijo mi cordial saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Que el triunfo de Cristo sobre el pecado y la muerte llene vuestra vida de alegría y paz, y os ayude siempre a ser consecuentes con vuestra condición de cristianos. No tengáis miedo. Cristo ha resucitado y vive entre nosotros. Su presencia amorosa acompaña el camino de la Iglesia y la sostiene en medio de las dificultades. Con esta certeza en vuestro corazón, ofreced al mundo un testimonio sereno y valiente de la vida nueva que brota del Evangelio. Feliz Pascua de Resurrección a todos.

"Chrystus zmartwychwstał, jak zapowiedział, radujmy się wszyscy, ponieważ króluje na wieki". Te słowa wielkanocnej antyfony kieruję do Polaków jako zaproszenie, by w każdej sytuacji, jaką przynosi życie, powracać do radości w Panu. On zmartwychwstał, zwyciężył grzech i śmierć. Dzięki wierze i ufności nasze serca napełnia światło Wielkiej Nocy, które rozprasza mroki każdego smutku. Tej radości wam życzę i wypraszam Boże błogosławieństwo.

[„Cristo è risorto come aveva predetto; rallegratevi tutti ed esultiamo, perché egli regna in eterno". Queste parole dell’antifona pasquale rivolgo ai polacchi come invito al ritorno alla gioia del Signore in ogni situazione che reca la vita. Egli è risorto, ha vinto il peccato e la morte. Grazie alla fede e alla fiducia in lui la luce della Pasqua colma i nostri cuori e dissipa le ombre di ogni tristezza. Vi auguro questa gioia e chiedo a Dio la sua benedizione.]

Saluto, infine, i pellegrini di lingua italiana, con un ricordo particolare per le Autorità e gli abitanti di Castel Gandolfo. Un affettuoso pensiero dirigo ai pellegrini che da Piazza S. Pietro partecipano a questo incontro di preghiera. A tutti e ciascuno auguro di trascorrere serenamente questo Lunedì dell’Angelo, in cui risuona con forza l’annuncio gioioso della Pasqua.
+PetaloNero+
00martedì 6 aprile 2010 16:57
RINUNCE E NOMINE



RINUNCIA DEL VESCOVO DI CHALAN KANOA (ISOLE DEL PACIFICO) RINUNCIA DEL VESCOVO DI CHALAN KANOA (ISOLE DEL PACIFICO)

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Chalan Kanoa (Isole del Pacifico), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Thomas Aguon Camacho, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.



NOMINA DEL COADIUTORE DI LOS ANGELES (U.S.A.) NOMINA DEL COADIUTORE DI LOS ANGELES (U.S.A.)

Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Coadiutore dell’Arcidiocesi di Los Angeles (U.S.A.) Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor José Horacio GÓMEZ, finora Arcivescovo di San Antonio.

S.E. Mons. José Horacio GÓMEZ

S.E. Mons. José H. Gómez è nato a Monterrey (Messico) il 26 dicembre 1951. Ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia e un Diploma in Public Accountancy presso la National University di Monterrey in Messico nel 1975. Ha quindi studiato Teologia all’Università di Navarra in Spagna, dove ha ottenuto il Dottorato in Teologia nel 1980.

È stato ordinato sacerdote della Prelatura dell’Opus Dei il 15 agosto 1978.

Negli anni 1978-1980 ha prestato servizio pastorale in un centro giovanile dell’Opus Dei in Spagna. Dal 1980 al 1987 ha insegnato in un Collegio e in una Scuola Superiore in Messico ed ha anche lavorato come responsabile per la gioventù nel decanato di Fatima della diocesi di Monterrey (1985-1987). Dal 1987 è in Texas, risiedendo soprattutto nella diocesi di Galveston-Houston. Ha svolto il ministero pastorale sia nelle opere della Prelatura sia come aiuto in qualche parrocchia. Nel 1999 è diventato Vicario della Delegazione del Texas della Prelatura dell’Opus Dei. Inoltre, dal 1991 è membro dell’Associazione Nazionale dei Sacerdoti Ispanici ed ha ricoperto per due volte la carica di Presidente.

Nominato Vescovo titolare di Belali ed Ausiliare di Denver (Colorado) il 23 gennaio 2001, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 26 marzo successivo. Dal 2001 al 2003 è stato Rettore della Cattedrale dell’Immacolata Concezione a Denver e dal 2004 Parroco della Mother of God Parish a Denver e Moderatore della Curia diocesana.

Il 29 dicembre 2004 è stato nominato Arcivescovo di San Antonio. È Membro di numerosi Comitati della Conferenza Episcopale e Presidente del "Committee on Migration" e del "Task Force on the Spanish Language Bible"
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