Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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Paparatzifan
00domenica 6 maggio 2012 18:00
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI, 06.05.2012


Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!


Il Vangelo di oggi, quinta domenica di Pasqua, si apre con l’immagine della vigna. «Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”» (Gv 15,1).
Spesso, nella Bibbia, Israele viene paragonato alla vigna feconda quando è fedele a Dio; ma, se si allontana da Lui, diventa sterile, incapace di produrre quel «vino che allieta il cuore dell’uomo», come canta il Salmo 104 (v. 15).
La vera vigna di Dio, la vite vera, è Gesù, che con il suo sacrificio d’amore ci dona la salvezza, ci apre il cammino per essere parte di questa vigna. E come Cristo rimane nell’amore di Dio Padre, così i discepoli, sapientemente potati dalla parola del Maestro (cfr Gv 15,2-4), se sono uniti in modo profondo a Lui, diventano tralci fecondi, che producono abbondante raccolto. Scrive san Francesco di Sales: «Il ramo unito e congiunto al tronco porta frutto non per propria virtù, ma per virtù del ceppo: ora, noi siamo stati uniti dalla carità al nostro Redentore, come le membra al capo; ecco perché … le buone opere, traendo il loro valore da Lui, meritano la vita eterna» (Trattato dell’amore di Dio, XI, 6, Roma 2011, 601).
Nel giorno del nostro Battesimo la Chiesa ci innesta come tralci nel Mistero Pasquale di Gesù, nella sua Persona stessa. Da questa radice riceviamo la preziosa linfa per partecipare alla vita divina. Come discepoli, anche noi, con l’aiuto dei Pastori della Chiesa, cresciamo nella vigna del Signore vincolati dal suo amore. «Se il frutto che dobbiamo portare è l’amore, il suo presupposto è proprio questo “rimanere” che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 305). È indispensabile rimanere sempre uniti a Gesù, dipendere da Lui, perché senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5). In una lettera scritta a Giovanni il Profeta, vissuto nel deserto di Gaza nel V secolo, un fedele pone la seguente domanda: Come è possibile tenere insieme la libertà dell’uomo e il non poter far nulla senza Dio? E il monaco risponde: Se l’uomo inclina il suo cuore verso il bene e chiede a Dio l’aiuto, ne riceve la forza necessaria per compiere la propria opera. Perciò la libertà dell’uomo e la potenza di Dio procedono insieme. Questo è possibile perché il bene viene dal Signore, ma esso è compiuto grazie ai suoi fedeli (cfr Ep. 763, SC 468, Paris 2002, 206). Il vero «rimanere» in Cristo garantisce l’efficacia della preghiera, come dice il beato cistercense Guerrico d’Igny: «O Signore Gesù … senza di te non possiamo fare nulla. Tu infatti sei il vero giardiniere, creatore, coltivatore e custode del tuo giardino, che pianti con la tua parola, irrighi con il tuo spirito, fai crescere con la tua potenza» (Sermo ad excitandam devotionem in psalmodia, SC 202, 1973, 522).
Cari amici, ognuno di noi è come un tralcio, che vive solo se fa crescere ogni giorno nella preghiera, nella partecipazione ai Sacramenti, nella carità, la sua unione con il Signore. E chi ama Gesù, vera vite, produce frutti di fede per un abbondante raccolto spirituale. Supplichiamo la Madre di Dio perché rimaniamo saldamente innestati in Gesù e ogni nostra azione abbia in Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento.


DOPO IL REGINA COELI



Cari fratelli e sorelle! Desidero anzitutto ricordare che tra meno di un mese avrà luogo a Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Ringrazio la Diocesi ambrosiana e le altre Diocesi lombarde che stanno collaborando alla preparazione di questo evento ecclesiale, promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, presieduto dal Cardinale Ennio Antonelli. Anch’io, a Dio piacendo, avrò la gioia di parteciparvi e per questo mi recherò a Milano dall’1 al 3 giugno.


Je suis heureux de saluer les pèlerins de langue française, dont le groupe de la paroisse Notre-Dame de Bonne Nouvelle de Paris, ainsi que les nouveaux Gardes Suisses Pontificaux francophones et leurs familles venues pour la prestation de serment. Aujourd’hui, en prenant exemple sur la vigne, le Seigneur nous demande de rester greffés sur Lui pour demeurer en son amour afin de porter beaucoup de fruits. En ce mois de mai, que la Vierge Marie, Reine du monde et Étoile de l’Évangélisation, nous accompagne sur ce chemin ! Bon dimanche a vous tous!


I extend warm greetings to the English-speaking visitors present for today’s Regina Caeli, and especially to the large group of pilgrims from Indonesia. In today’s Gospel Jesus speaks of himself as the true vine and he calls us to be fruit-bearing branches. I pray that God’s children all over the world will grow in unity and love, sustained and nourished by the divine life that he has planted deep within us. May God bless all of you!


Gerne heiße ich alle Pilger deutscher Sprache willkommen. Von Herzen grüße ich heute die Familien und Gäste der neuen Schweizergardisten, die zur Feier der Vereidigung nach Rom gekommen sind, sowie das Spiel der Luzerner Polizei und den Kirchenchor aus Ebikon. Im heutigen Evangelium fordert der Herr uns auf, in ihm zu bleiben (vgl. Joh 15,4). Wenn wir mit Christus verbunden sind, kann unser Leben gelingen und fruchtbar sein. Leben wir die Gemeinschaft mit Christus, die er uns in seiner Kirche schenkt, und helfen wir unseren Mitmenschen, Jesus Christus, das wahre Leben, zu finden. Gesegneten Sonntag Euch allen!


Dirijo mi cordial saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. El Evangelio de hoy nos presenta la hermosa imagen de la viña y los sarmientos, con la cual nos manifiesta cómo la unión con Cristo es la fuente de vida y nos lleva a dar mucho fruto. Hoy recordamos también el cincuenta aniversario de la canonización de san Martín de Porres, al que pedimos que interceda por los trabajos de la nueva evangelización, que haga florecer la santidad en la Iglesia. Invoquemos a la Santísima Virgen María para que nos acompañe en este camino. Feliz Domingo.


Lepo pozdravljam romarje iz Slovenije! V današnjem evangeliju nas Jezus spominja, da smo lahko duhovno rodovitni le, če rastemo iz Njega kot mladike iz trte. Bodite torej tesno povezani s Kristusom v Njegovi Cerkvi, da boste prinašali obilne sadove ljubezni do Boga in bližnjega ter postali deležni večnega življenja. Naj bo z vami moj blagoslov!


[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Slovenia! Nel vangelo odierno Gesù ci ricorda che possiamo essere spiritualmente fecondi solamente se germogliamo da Lui come i tralci dalla vite. Siate dunque strettamente uniti al Cristo nella sua Chiesa, affinché portiate abbondanti frutti dell’amore verso Iddio e verso il prossimo e partecipiate alla vita eterna. Vi accompagni la mia Benedizione!]


S láskou pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Farností Stará Ľubovňa, Smolnícka Huta, Jaklovce, Topoľčany a Kuzmice. Bratia a sestry, prajem vám, aby táto vaša púť priniesla bohaté duchovné ovocie, na príhovor Panny Márie, ktorú si v tomto mesiaci máji osobitne ctíme. Zo srdca vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!


[Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalle Parrocchie di Stará Ľubovňa, Smolnícka Huta, Jaklovce, Topoľčany e Kuzmice. Fratelli e sorelle, auguro che questo vostro pellegrinaggio vi porti ricchi frutti spirituali, per intercessione della Vergine Maria, che veneriamo in questo mese di maggio. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!]


Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. W liturgii dzisiejszej niedzieli Chrystus wzywa: „Wytrwajcie we Mnie, a Ja [będę trwał] w was". Chodzi o więź tak mocną i żywą, jak połączenie winnej gałązki z pniem drzewa. Przez Chrzest zostaliśmy włączeni w Chrystusa, abyśmy żyjąc Jego życiem, przynosili chwałę Ojcu. Trwajmy w tym zjednoczeniu, aby nasze życie obfitowało w dobre owoce łaski. Niech Bóg wam błogosławi!


[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Nella liturgia dell’odierna domenica Cristo dice: "Rimanete in me e io in voi". Si tratta di un legame così forte e vivo, come l’unione del tralcio con il tronco della vite. Attraverso il Battesimo siamo stati innestati in Cristo, affinché, vivendo la Sua vita, diamo gloria al Padre. Rimaniamo in quest’unione, perché la nostra vita abbondi di buoni frutti della grazia. Dio vi benedica!]


Infine rivolgo il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare all’Associazione Meter, che promuove l’impegno in favore dei bambini vittime della violenza.
Saluto inoltre i fedeli venuti da Salerno e dalla parrocchia di Santa Francesca Cabrini in Roma, i bambini di Caserta con i loro genitori, i ragazzi di San Leonardo in Parma che hanno ricevuto la Cresima, e l’Istituto "Majorana" di Messina.
Un saluto speciale va alle nuove Guardie Svizzere e ai loro familiari, nel giorno della festa di questo storico Corpo. A tutti auguro una buona domenica e un buon mese di maggio, in spirituale compagnia della Madonna. Grazie! Buona domenica. Buona settimana a tutti voi.

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Paparatzifan
00giovedì 10 maggio 2012 10:25
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 09.05.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la Sua catechesi sulla preghiera negli Atti degli Apostoli, ha incentrato la sua meditazione sull’episodio della liberazione miracolosa di san Pietro dalla prigionia (cfr At 12, 1-17). Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.



CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La liberazione miracolosa di san Pietro dalla prigionia (cfr At 12, 1-17)

Cari fratelli e sorelle,


oggi vorrei soffermarmi sull’ultimo episodio della vita di san Pietro raccontato negli Atti degli Apostoli: la sua carcerazione per volere di Erode Agrippa e la sua liberazione per l’intervento prodigioso dell’Angelo del Signore, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme (cfr At 12,1-17).
Il racconto è ancora una volta segnato dalla preghiera della Chiesa. San Luca, infatti, scrive: «Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). E, dopo aver miracolosamente lasciato il carcere, in occasione della sua visita alla casa di Maria, la madre di Giovanni detto Marco, si afferma che «molti erano riuniti e pregavano» (At 12,12). Fra queste due annotazioni importanti che illustrano l’atteggiamento della comunità cristiana di fronte al pericolo e alla persecuzione, viene narrata la detenzione e la liberazione di Pietro, che comprende tutta la notte. La forza della preghiera incessante della Chiesa sale a Dio e il Signore ascolta e compie una liberazione impensabile e insperata, inviando il suo Angelo.
Il racconto richiama i grandi elementi della liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Come avvenne in quell’evento fondamentale, anche qui l’azione principale è compiuta dall’Angelo del Signore che libera Pietro. E le stesse azioni dell’Apostolo - al quale viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettersi la cintura e di legarsi i fianchi – ricalcano quelle del popolo eletto nella notte della liberazione per intervento di Dio, quando venne invitato a mangiare in fretta l’agnello con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, pronto per uscire dal Paese (cfr Es 12,11).
Così Pietro può esclamare: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (At 12,11). Ma l’Angelo richiama non solo quello della liberazione di Israele dall’Egitto, ma anche quello della Risurrezione di Cristo. Narrano, infatti, gli Atti degli Apostoli: «Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro e lo destò» (At 12,7). La luce che riempie la stanza della prigione, l’azione stessa di destare l’Apostolo, rimandano alla luce liberante della Pasqua del Signore che vince le tenebre della notte e del male. L’invito, infine: «Metti il mantello e seguimi» (At 12,8), fa risuonare nel cuore le parole della chiamata iniziale di Gesù (cfr Mc 1,17), ripetuta dopo la Risurrezione sul lago di Tiberiade, dove il Signore dice per ben due volte a Pietro: «Seguimi» (Gv 21,19.22). E’ un invito pressante alla sequela: solo uscendo da se stessi per mettersi in cammino con il Signore e fare la sua volontà, si vive la vera libertà.
Vorrei sottolineare anche un altro aspetto dell’atteggiamento di Pietro in carcere; notiamo, infatti, che, mentre la comunità cristiana prega con insistenza per lui, Pietro «stava dormendo» (At 12,6). In una situazione così critica e di serio pericolo, è un atteggiamento che può sembrare strano, ma che invece denota tranquillità e fiducia; egli si fida di Dio, sa di essere circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi e si abbandona totalmente nelle mani del Signore.
Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura…» (Mt 10, 30-31).
Pietro vive la notte della prigionia e della liberazione dal carcere come un momento della sua sequela del Signore, che vince le tenebre della notte e libera dalla schiavitù delle catene e dal pericolo di morte. La sua è una liberazione prodigiosa, segnata da vari passaggi descritti accuratamente: guidato dall’Angelo, nonostante la sorveglianza delle guardie, attraversa il primo e il secondo posto di guardia, sino alla porta di ferro che immette in città: e la porta si apre da sola davanti a loro (cfr At 12,10). Pietro e l’Angelo del Signore compiono insieme un tratto di strada finché, rientrato in se stesso, l’Apostolo si rende conto che il Signore lo ha realmente liberato e, dopo aver riflettuto, si reca in casa di Maria, la madre di Marco, dove molti dei discepoli sono riuniti in preghiera; ancora una volta la risposta della comunità alla difficoltà e al pericolo è affidarsi a Dio, intensificare il rapporto con Lui.
Qui mi pare utile richiamare un’altra situazione non facile che ha vissuto la comunità cristiana delle origini. Ce ne parla san Giacomo nella sua Lettera. E’ una comunità in crisi, in difficoltà, non tanto per le persecuzioni, ma perché al suo interno sono presenti gelosie e contese (cfr Gc 3,14-16). E l’Apostolo si chiede il perché di questa situazione. Egli trova due motivi principali: il primo è il lasciarsi dominare dalle passioni, dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo (cfr Gc 4,1-2a); il secondo è la mancanza di preghiera – «non chiedete» (Gc 4,2b) – o la presenza di una preghiera che non si può definire come tale – «chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare le vostre passioni» (Gc 4,3).
Questa situazione cambierebbe, secondo san Giacomo, se la comunità parlasse tutta insieme con Dio, pregasse realmente in modo assiduo e unanime. Anche il discorso su Dio, infatti, rischia di perdere la sua forza interiore e la testimonianza inaridisce se non sono animati, sorretti e accompagnati dalla preghiera, dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore. Un richiamo importante anche per noi e le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera. E mi fa pensare che hanno pregato in questa comunità di san Giacomo, ma hanno pregato male, solo per le proprie passioni. Dobbiamo sempre di nuovo imparare a pregare bene, pregare realmente, orientarsi verso Dio e non verso il bene proprio.
La comunità, invece, che accompagna la prigionia di Pietro è una comunità che prega veramente, per tutta la notte, unita. Ed è una gioia incontenibile quella che invade il cuore di tutti quando l’Apostolo bussa inaspettatamente alla porta. Sono la gioia e lo stupore di fronte all’azione di Dio che ascolta. Così dalla Chiesa sale la preghiera per Pietro e nella Chiesa egli torna per raccontare «come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere» (At 12,17). In quella Chiesa dove egli è posto come roccia (cfr Mt 16,18), Pietro racconta la sua «Pasqua» di liberazione: egli sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà, si è avvolti dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto e «veramente ha mandato il suo angelo e lo ha strappato dalle mani di Erode» (At 12,11). Il martirio che subirà poi a Roma lo unirà definitivamente a Cristo, che gli aveva detto: quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi, per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (cfr Gv 21,18-19).
Cari fratelli e sorelle, l’episodio della liberazione di Pietro raccontato da Luca ci dice che la Chiesa, ciascuno di noi, attraversa la notte della prova, ma è la vigilanza incessante della preghiera che ci sostiene. Anche io, fin dal primo momento della mia elezione a Successore di san Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera di voi, dalla preghiera della Chiesa, soprattutto nei momenti più difficili. Ringrazio di cuore.
Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione.
L’episodio di Pietro mostra questa forza della preghiera. E l’Apostolo, anche se in catene, si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino; anzi egli sa che «la forza di Cristo si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri. Grazie.

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Paparatzifan
00giovedì 10 maggio 2012 18:17
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UDIENZA ALLA DELEGAZIONE DEL "LATIN AMERICAN JEWISH CONGRESS", 10.05.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza una delegazione del "Latin American Jewish Congress".
Pubblichiamo di seguito il saluto che il Papa rivolge ai Membri della delegazione:


SALUTO DEL SANTO PADRE


Cari amici ebrei,

Sono molto lieto di dare il benvenuto a questa delegazione del Congresso Ebraico Latino-Americano. Il nostro incontro è particolarmente significativo, poiché voi siete il primo gruppo che rappresenta organizzazioni e comunità ebraiche in America Latina che incontro qui in Vaticano. In tutta l'America Latina, e specialmente in Argentina e in Brasile, ci sono comunità ebraiche dinamiche, che vivono insieme a una grande maggioranza di cattolici. A partire dagli anni del concilio Vaticano II, le relazioni tra ebrei e cattolici si sono rafforzate anche nella vostra regione, e ci sono diverse iniziative che continuano ad approfondire la reciproca amicizia.
Come sapete, il prossimo mese di ottobre si celebra il cinquantesimo anniversario dell'inizio del concilio Vaticano II, la cui Dichiarazione Nostrae Aetate continua a essere la base e la guida dei nostri sforzi per promuovere maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità.
Questa Dichiarazione non solo assunse una netta posizione contro ogni forma di antisemitismo, ma gettò anche le basi per una nuova valorizzazione teologica del rapporto della Chiesa con l'ebraismo, e mostrò la sua fiducia nel fatto che l'apprezzamento dell'eredità spirituale condivisa da ebrei e cristiani avrebbe portato a una comprensione e a una stima reciproca sempre più grandi (n. 4).
Nel considerare i progressi compiuti negli ultimi cinquant'anni di relazioni ebreo-cattoliche, in tutto il mondo, non possiamo fare a meno di rendere grazie all'Onnipotente per questo segno evidente della sua bontà e della sua provvidenza. Con la crescita della fiducia, il rispetto e la buona volontà, gruppi che inizialmente si relazionavano con una certa sfiducia, poco a poco sono diventati interlocutori fiduciosi e amici, persino buoni amici, capaci di far fronte insieme alla crisi e di superare i conflitti in modo positivo.
Certo resta ancora molto da fare nel superamento degli ostacoli del passato, nella promozione di migliori relazioni tra le nostre due comunità, e nella risposta alle sfide che i credenti affrontano sempre più nel mondo attuale. Tuttavia è un motivo per cui rendere grazie il fatto che siamo impegnati a percorrere insieme il cammino del dialogo, della riconciliazione e della cooperazione.
Cari amici, in un mondo sempre più minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali, che sono quelli che possono garantire il rispetto della dignità umana e la pace duratura, un dialogo sincero e rispettoso tra religioni e culture è fondamentale per il futuro della nostra famiglia umana. Nutro la speranza che questa visita odierna sia fonte d'incoraggiamento e di fiducia rinnovata al momento di affrontare la sfida di costruire vincoli di amicizia e di collaborazione sempre più forti, e di rendere testimonianza profetica della forza della verità di Dio, della giustizia e dell'amore riconciliatore, per il bene di tutta l'umanità.
Con questi sentimenti, cari amici, chiedo al tre volte Santo di benedire voi e le vostre famiglie con abbondanti doni spirituali e di guidare i vostri passi lungo il cammino della pace.
Shalom elichém.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00giovedì 10 maggio 2012 18:18
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UDIENZA ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO COLLEGIO SPAGNOLO DI ROMA , 10.05.2012


Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in udienza i membri della Comunità del Pontificio Collegio Spagnolo San José in Roma e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato,
Caro signor rettore, superiori, religiose, studenti del Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe» di Roma.


È per me motivo di gioia ricevervi nella commemorazione dei cinquant'anni della sede attuale del Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe», e precisamente nella memoria liturgica di san Giovanni d'Ávila, patrono del clero secolare spagnolo, che prossimamente dichiarerò Dottore della Chiesa universale. Saluto il signor Cardinale Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, che ringrazio per le sue cordiali parole, come ringrazio anche i signori Arcivescovi membri del Patronato, il signor rettore, i formatori, le religiose e voi, cari studenti.
Questa ricorrenza segna una tappa importante del già lungo itinerario di questo convitto, che iniziò alla fine del diciannovesimo secolo, quando il beato Manuel Domingo y Sol, fondatore della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani, si lanciò nell'avventura di creare un collegio a Roma, con la benedizione del mio venerato predecessore, Leone XIII, e l'interesse dell'Episcopato spagnolo.
Per il vostro collegio sono passati migliaia di seminaristi e sacerdoti che hanno servito la Chiesa in Spagna con amore profondo e fedeltà alla missione. La formazione specifica dei sacerdoti è sempre una delle priorità più grandi della Chiesa. Inviati a Roma per approfondire i vostri studi sacerdotali, dovete pensare soprattutto, non tanto al vostro bene personale, quanto al vostro servizio al popolo santo di Dio, che ha bisogno di pastori che si dedichino al bel servizio della santificazione dei fedeli con grande preparazione e competenza.
Ricordatevi però che il sacerdote rinnova la sua vita e trae forza per il suo ministero dalla contemplazione della divina Parola e dal dialogo intenso con il Signore. È consapevole che non potrà condurre a Cristo i suoi fratelli, né incontrarlo nei poveri e nei malati, se non lo scopre prima nella preghiera fervente e costante. È necessario promuovere il contatto personale con Colui che poi si annuncia, celebra e comunica. È qui il fondamento della spiritualità sacerdotale, fino a giungere a essere segno trasparente e testimonianza viva del Buon Pastore.
L'itinerario della formazione sacerdotale è anche una scuola di comunione missionaria: con il Successore di Pietro, con il proprio presbiterio, e sempre al servizio della Chiesa particolare e universale.
Cari sacerdoti, che la vita e la dottrina del Santo Maestro Giovanni d'Ávila illuminino e sostengano la vostra permanenza nel Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe». La sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, dei santi Padri, dei concili, delle fonti liturgiche e della sana teologia, insieme con il suo amore fedele e filiale alla Chiesa, fece di lui un autentico rinnovatore, in un'epoca difficile della storia della Chiesa. Proprio per questo, fu «uno spirito lungimirante e ardente, che alla denuncia dei mali, al suggerimento di rimedi canonici, ha aggiunto una scuola d'intensa spiritualità» (Paolo VI, Omelia durante la canonizzazione di San Giovanni d'Ávila, 31 maggio 1970).
L'insegnamento centrale dell'Apostolo dell'Andalusia è il mistero di Cristo, Sacerdote e Buon Pastore, vissuto in sintonia con i sentimenti del Signore, a imitazione di san Paolo (cfr. Fil 2, 5). «In questo specchio sacerdotale si deve guardare il sacerdote per conformarsi ai desideri e alla preghiera con Lui» (Trattato sul sacerdozio, n. 10). Il sacerdozio richiede essenzialmente il suo aiuto e la sua amicizia: «Questa comunicazione del Signore con il sacerdote è rapporto tra amici», dice il Santo (Ibidem, n. 9).
Animati dalle virtù e dall'esempio di san Giovanni d'Ávila, vi invito quindi a esercitare il vostro ministero presbiterale con lo stesso zelo apostolico che lo caratterizzava, con la sua stessa austerità di vita, come pure con lo stesso affetto filiale che nutriva per la santissima Vergine Maria, Madre dei sacerdoti.
Con l'affettuoso titolo di «Mater clementissima» sono stati innumerevoli gli studenti che hanno affidato a lei la loro vocazione, i loro studi, i loro desideri e progetti più nobili, come pure le loro tristezze e preoccupazioni. Non smettete d'invocarla ogni giorno, non stancatevi di ripetere il suo nome con devozione. Ascoltate san Giovanni d'Ávila, che esortava i sacerdoti a imitarla: «Guardiamoci, padri, dalla testa ai piedi, anima e corpo, e ci vedremo fatti simili alla santissima Vergine Maria, che con le sue parole portò Dio nel suo ventre... E il sacerdote lo porta con le parole della consacrazione» (Predica 1 ai sacerdoti). La Madre di Cristo è modello di quell'amore che porta a dare la vita per il Regno di Dio, senza aspettarsi nulla in cambio.
Che, sotto la protezione di Nostra Signora, la comunità del Pontificio Collegio Spagnolo di Roma possa continuare a conseguire i suoi obiettivi di approfondimento e aggiornamento degli studi ecclesiastici, nel clima di profonda comunione presbiterale e alto rigore scientifico che lo contraddistingue, al fine di realizzare, fin da ora, l'intima fraternità chiesta dal concilio Vaticano II «In virtù della comunità di ordinazione e missione» (Lumen gentium, n. 28). Così si formeranno pastori che, come riflesso della vita di Dio Amore, uno e trino, serviranno i propri fratelli con rettitudine d'intenzioni e totale dedizione, promuovendo l'unità della Chiesa e il bene di tutta la società umana.
Con questi sentimenti, vi imparto una speciale Benedizione Apostolica, che con piacere estendo ai vostri familiari, alle comunità di origine e a quanti collaborano al vostro itinerario formativo durante la vostra permanenza a Roma. Grazie.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00venerdì 11 maggio 2012 17:28
Dal blog di Lella...

UDIENZA AI DIRETTORI NAZIONALI DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE , 11.05.2012


Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie in occasione dell’Assemblea annuale del Consiglio Superiore.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!


Rivolgo a tutti voi il mio cordiale saluto, cominciando dal Signor Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ringrazio per le sue gentili espressioni e per le informazioni circa l’attività delle Pontificie Opere Missionarie. Estendo il mio grato pensiero al Segretario Mons. Savio Hon Tai-Fai, al Segretario Aggiunto Mons. Piergiuseppe Vacchelli, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, ai Direttori Nazionali e a tutti i collaboratori, come pure a chi presta il suo generoso servizio nel Dicastero. Il pensiero mio e di tutti voi va in questo momento al Padre Massimo Cenci, Sottosegretario, improvvisamente scomparso. Il Signore lo ricompensi per tutto il lavoro da lui compiuto in missione e a servizio della Santa Sede.
L’odierno incontro si svolge nel contesto dell’Assemblea annuale del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie, a cui è affidata la cooperazione missionaria di tutte le Chiese nel mondo.
L’evangelizzazione, che ha sempre carattere di urgenza, in questi tempi spinge la Chiesa ad operare con passo ancora più spedito per le vie del mondo, per portare ogni uomo alla conoscenza di Cristo. Solo nella Verità, infatti, che è Cristo stesso, l’umanità può scoprire il senso dell’esistenza, trovare salvezza, e crescere nella giustizia e nella pace. Ogni uomo e ogni popolo ha diritto a ricevere il Vangelo della verità. In questa prospettiva, assume particolare significato il vostro impegno a celebrare l’Anno della Fede, ormai prossimo, per rafforzare l’impegno di diffusione del Regno di Dio e di conoscenza della fede cristiana.
Questo esige da parte di coloro che già hanno incontrato Gesù Cristo «un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta Fidei, 6). Le comunità cristiane «infatti hanno bisogno di riascoltare la voce dello Sposo, che le invita alla conversione, le sprona all’ardimento di cose nuove e le chiama a impegnarsi nella grande opera della nuova evangelizzazione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Europa, 23). Gesù, il Verbo incarnato, è sempre il centro dell’annuncio, il punto di riferimento per la sequela e per la stessa metodologia della missione evangelizzatrice, perché Egli è il volto umano di Dio che vuole incontrare ogni uomo e ogni donna per farli entrare in comunione con Lui, nel suo amore. Percorrere le strade del mondo per proclamare il Vangelo a tutti i popoli della terra e guidarli all’incontro con il Signore (cfr. Lett. ap. Porta Fidei, 7), esige allora che l’annunciatore abbia un rapporto personale e quotidiano con Cristo, lo conosca e lo ami profondamente.
La missione oggi ha bisogno di rinnovare la fiducia nell’azione di Dio; ha bisogno di una preghiera più intensa perché venga il suo Regno, perché sia fatta la sua volontà come in Cielo, così in terra. Occorre invocare luce e forza dallo Spirito Santo, e impegnarsi con decisione e generosità per inaugurare, in un certo senso, «una nuova epoca di annuncio del Vangelo ... perché, dopo duemila anni, una grande parte della famiglia umana ancora non riconosce Cristo, ma anche perché la situazione in cui la Chiesa e il mondo si trovano presenta particolari sfide alla fede religiosa» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Asia, 29). Sono pertanto ben lieto di incoraggiare il progetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e delle Pontificie Opere Missionarie, in sostegno all’Anno della Fede. Tale progetto prevede una campagna mondiale, che, attraverso la preghiera del Santo Rosario, accompagni l’opera di evangelizzazione nel mondo e per tanti battezzati la riscoperta e l’approfondimento della fede.
Cari amici, voi sapete bene che l’annuncio del Vangelo non poche volte comporta difficoltà e sofferenze; la crescita del Regno di Dio nel mondo, infatti, non di rado avviene a prezzo del sangue dei suoi servi. In questa fase di cambiamenti economici, culturali e politici, dove spesso l’essere umano si sente solo, in preda all’angoscia e alla disperazione, i messaggeri del Vangelo, anche se annunciatori di speranza e di pace, continuano ad essere perseguitati come il loro Maestro e Signore. Ma, nonostante i problemi e la tragica realtà della persecuzione, la Chiesa non si scoraggia, rimane fedele al mandato del suo Signore, nella consapevolezza che «come sempre nella storia cristiana, i martiri, cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino dell'evangelo» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 45). Il messaggio di Cristo, oggi come ieri, non può adeguarsi alla logica di questo mondo, perché è profezia e liberazione, è seme di una umanità nuova che cresce, e solo alla fine dei tempi avrà la sua piena realizzazione.
A voi è affidato, in maniera particolare, il compito di sostenere i ministri del Vangelo, aiutandoli a «conservare la gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime» (Paolo VI, Esort. ap. Evangeli nuntiandi, 80). Vostro peculiare impegno è anche quello di tenere viva la vocazione missionaria di tutti i discepoli di Cristo, perché ciascuno, secondo il carisma ricevuto dallo Spirito Santo, possa prendere parte alla missione universale consegnata dal Risorto alla sua Chiesa. La vostra opera di animazione e formazione missionaria fa parte dell’anima della cura pastorale, perché la missio ad gentes costituisce il paradigma di tutta l’azione apostolica della Chiesa. Siate sempre più espressione visibile e concreta della comunione di persone e di mezzi tra le Chiese, che, come vasi comunicanti, vivono la stessa vocazione e tensione missionaria, e in ogni angolo della terra lavorano per seminare il Verbo di Verità in tutti i popoli e le culture. Sono certo che continuerete ad impegnarvi, affinché le Chiese locali assumano, sempre più generosamente, la loro parte di responsabilità nella missione universale della Chiesa.
Vi accompagni in questo servizio la Vergine Santissima, Regina delle Missioni, e sostenga ogni vostra fatica nel promuovere la coscienza e la collaborazione missionaria. Con questo auspicio, che tengo sempre presente nella mia preghiera, ringrazio voi e tutti quelli che cooperano alla causa dell’evangelizzazione, e di cuore imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.


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Paparatzifan
00sabato 12 maggio 2012 00:06
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CONCERTO OFFERTO DA NAPOLITANO - DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Onorevoli Ministri e Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Gentili Signori e Signore!

Un vivo e deferente saluto al Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole Giorgio Napolitano e alla Sua gentile Signora, al quale unisco il sincero ringraziamento per le cordiali parole, per i doni di un violino e di una pregevole partitura, e per questo Concerto di musica sacra di due grandi autori italiani; sono segni che manifestano, ancora una volta, il legame tra il Successore di Pietro e questa cara Nazione. Un saluto al Presidente del Consiglio, Senatore Mario Monti, e a tutte le Autorità.

Un sincero ringraziamento all’Orchestra e al Coro del Teatro dell’Opera di Roma, alle due Soprano, e soprattutto al Maestro Riccardo Muti per l’intensa interpretazione ed esecuzione. La sensibilità del Maestro Muti per la musica sacra è nota, come pure l’impegno perché sia più conosciuto questo ricco repertorio che esprime in musica la fede della Chiesa. Anche per questo sono lieto di conferirgli un’onorificenza pontificia. Esprimo gratitudine al Comune di Cremona, al Centro di Musicologia Walter Stauffer e alla Fondazione Antonio Stradivari-La Triennale per aver messo a disposizione delle prime parti dell’Orchestra alcuni antichi e preziosi strumenti delle proprie collezioni.
Antonio Vivaldi è un grande esponente della tradizione musicale veneziana. Di lui chi non conosce almeno le Quattro Stagioni! Ma rimane ancora poco nota la sua produzione sacra, che occupa un posto significativo nella sua opera ed è di grande valore, soprattutto perché esprime la sua fede. Il Magnificat che abbiamo ascoltato è il canto di lode di Maria e di tutti gli umili di cuore, che riconoscono e celebrano con gioia e gratitudine l’azione di Dio nella propria vita e nella storia; di Dio che ha uno «stile» diverso da quello dell’uomo, perché si schiera dalla parte degli ultimi per dare speranza. E la musica di Vivaldi esprime la lode, l’esultanza, il ringraziamento e anche la meraviglia di fronte all’opera di Dio, con una straordinaria ricchezza di sentimenti: dal solenne unisono corale all’inizio, in cui è tutta la Chiesa che magnifica il Signore, al brioso «Et exultavit», al bellissimo momento corale dell’«Et misericordia» sul quale si sofferma con audaci armonie, ricche di improvvise modulazioni, per invitarci a meditare sulla misericordia di Dio che è fedele e si estende per tutte le generazioni.
Con i due pezzi sacri di Giuseppe Verdi, che abbiamo ascoltato, il registro cambia: ci troviamo di fronte al dolore di Maria ai piedi della Croce: Stabat Mater dolorosa. Il grande Operista italiano, come aveva indagato ed espresso il dramma di tanti personaggi nelle sue opere, qui tratteggia quello della Vergine che guarda al Figlio sulla Croce. La musica si fa essenziale, quasi si «afferra» alle parole per esprimerne nel modo più intenso possibile il contenuto, in una grande gamma di sentimenti. Basta pensare al dolente senso di «pietà» con cui ha inizio la Sequenza, al drammatico «Pro peccatis suae gentis», al sussurrato «dum emisit spiritum», alle invocazioni corali cariche di emozione, ma anche di serenità, rivolte a Maria «fons amoris», perché possiamo partecipare al suo dolore materno e far ardere il nostro cuore di amore a Cristo, fino alla strofa finale, supplica intensa e potente a Dio che all’anima sia data la gloria del Paradiso, aspirazione ultima dell’umanità.
Anche il Te Deum è un susseguirsi di contrasti, ma l’attenzione di Verdi al testo sacro è minuziosa, così da offrirne una lettura diversa dalla tradizione. Egli non vede tanto il canto delle vittorie o delle incoronazioni, ma, come scrive, un susseguirsi di situazioni: l’esultanza iniziale - «Te Deum», «Sanctus» -, la contemplazione del Cristo incarnato, che libera e apre il Regno dei Cieli, l’invocazione all’«Judex venturus», perché abbia misericordia, e infine il grido ripetuto dal soprano e dal coro «In te, Domine speravi» con cui si chiude il brano, quasi una richiesta dello stesso Verdi di avere speranza e luce nell’ultimo tratto della vita. Quelli che abbiamo ascoltato stasera sono gli ultimi due pezzi scritti dal Compositore, non destinati alla pubblicazione, ma scritti solo per sé; anzi, egli avrebbe voluto essere sepolto con la partitura del Te Deum.
Cari amici, mi auguro che questa sera possiamo ripetere a Dio, con fede: In te, Signore, ripongo, con gioia, la mia speranza, fa’ che ti ami come la tua Santa Madre, perché alla mia anima, al termine del cammino, sia data la gloria del Paradiso. Al Signor Presidente della Repubblica Italiana, alle soliste, ai complessi del Teatro dell’Opera di Roma, al Maestro Muti, agli organizzatori e a tutti i presenti di nuovo grazie. Il Signore benedica voi e i vostri cari.Grazie di cuore!

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Paparatzifan
00sabato 12 maggio 2012 21:11
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Lettera del Santo Padre in occasione del millenario del Duomo Imperiale di Bamberga (3 maggio 2012)


Al mio venerato fratello Ludwig Schick
Arcivescovo di Bamberg

Con gioia ho appreso che l’arcidiocesi di Bamberg celebra in questi giorni i mille anni del suo Duomo Imperiale. Volentieri mi unisco a Lei, Eccellenza, al reverendissimo Vescovo ausiliare, ai sacerdoti, ai diaconi e ai religiosi, come anche a tutti i fedeli, nella gioia festosa, e trasmetto a tutti voi cordiali auguri di benedizione.
Nello svettante edificio del duomo di Bamberg, potenza e bellezza si uniscono in una straordinaria testimonianza di quella fede dal cui spirito e dalla cui forza è nata questa sublime casa di Dio.
La celebrazione solenne del millenario della sua consacrazione, alla quale partecipo intimamente, può diventare per l’arcidiocesi di Bamberg il preludio dell’Anno della Fede che ho proclamato per tutta la Chiesa. Può incoraggiare tutti voi, sacerdoti e fedeli, a riscoprire e ad approfondire quella fede, della quale il vostro splendido duomo si erge come testimone di pietra al centro della città vescovile e della Franconia.
Desidero dunque invitarvi a compiere mentalmente una «visita» a questa casa di Dio, ad ascoltare il messaggio che essa stessa ci annuncia senza usare parole, ma tuttavia in modo impressionante.
Ciò che distingue il duomo da tutte le altre chiese è la cattedra del vescovo, situata in posizione prominente. Per questo chiamiamo il duomo cattedrale. La cattedra non è un trono, bensì un pulpito per l’insegnamento. Da qui si diffonde la parola del vescovo. E i vescovi, quali successori degli Apostoli, sono istituiti da Dio, come insegna il concilio Vaticano II: «Chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo» (Lumen gentium n. 20). Il vescovo, come insegnante della verità cattolica, è garante dell’unità della diocesi, dei suoi sacerdoti e dei suoi fedeli, e ciò solo in sintonia con la comunità di fede della Chiesa universale, che abbraccia lo spazio e il tempo.
Proseguendo, ci troviamo dinanzi all’altare. È il centro del duomo. L’altare, vale a dire il luogo sacro dove viene offerto il sacrificio eucaristico, dove la passione, la morte e la risurrezione vengono rese presenti ogni giorno di nuovo. «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20), ha promesso Gesù. Con intensità unica, la Chiesa gioisce di questa presenza nell’Eucaristia, «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Lumen gentium n. 11). Tale fonte scaturisce da questo altare e il suo flusso vivificante da qui si riversa in tutta la diocesi. Inoltre, dinanzi a questo altare il vescovo impone le mani a quei giovani uomini che invia come sacerdoti nelle comunità. Qui vengono consacrati gli oli sacri — del Crisma, dei Catecumeni e degli Infermi — con i quali vengono amministrati i santi sacramenti in tutta l’arcidiocesi. Davvero questo altare è il cuore di tutta l’arcidiocesi.
Da qui traspare per noi la natura vera, nascosta della Chiesa. Pur costituendo una comunità composta da persone, essa è però al tempo stesso un mistero divino. Corpo di Cristo, casa di Dio, così la chiama la Sacra Scrittura. La Chiesa di Gesù Cristo non è semplicemente un gruppo d’interessi, un’impresa comune, in breve una forma di società umana, che quindi potrebbe essere formata e guidata secondo regole secolari, politiche, con mezzi temporali. Chi viene chiamato al servizio nella Chiesa non è un funzionario della comunità, ma riceve l’incarico e il mandato da Gesù Cristo, il Capo del suo Corpo misterioso. È Cristo stesso a unire i fedeli in un’unità piena di vita.
Sostiamo poi davanti allo straordinario monumento funebre dei santi Enrico e Cunegonda, realizzato da Riemenschneider. In loro incontriamo cristiani per noi esemplari, che dai Sacramenti del Battesimo, della Confermazione e del Matrimonio hanno ricevuto il mandato e la missione al servizio del Regno di Dio nel mondo. In questa coppia di regnanti santi, possiate voi, cari Fratelli e Sorelle, riconoscere che cosa significa vivere come cristiani nel mondo e plasmarlo secondo lo spirito di Cristo. Dalla tomba della coppia imperiale, come anche da quella di re Corrado III, proviene per voi un appello a fare ascoltare la Parola del Vangelo in famiglia, nella professione, nella società, nell’economia e nella cultura e di modellare le realtà terrene secondo il suo spirito.
Infine, il vostro duomo custodisce la tomba di Papa Clemente ii, che anche dopo la sua elezione a Successore di Pietro voleva rimanere vescovo di Bamberg, dando così una notevole prova dell’unità di Bamberg con Roma. Anche da questa tomba proviene un messaggio. È un’eco di quelle parole che, un tempo, il Signore ha detto a Pietro e, attraverso la sua persona, a tutti i suoi successori: Pietro, «su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18). Tali parole ricordano che la vostra arcidiocesi di Bamberg è costruita su questa pietra. Nella stretta comunione con il Successore dell’Apostolo Pietro e della Chiesa universale troverete, anche nell’attuale crisi della fede, una certezza di fede e una fiducia incrollabili.
La cattedra del vescovo, l’altare e le tombe dei patroni della vostra diocesi, nonché di un Papa e di un re, hanno trasmesso il loro messaggio nel nostro tempo. Lo stesso fanno le forti mura del duomo, che custodiscono questi luoghi sacri. Sono mura che hanno retto alle tempeste di un millennio. Su di esse si sono infrante le onde delle ideologie ostili a Dio e agli uomini dello scorso secolo. La casa era e continua a essere costruita sulla pietra. Infine, ci sono le quattro alte torri del Duomo Imperiale, che puntano verso il cielo. Indicano la meta del pellegrinaggio terreno della Chiesa, come dice il motto del giubileo del duomo: «Incontro al cielo». In tal senso, voglia il giubileo trascinare «verso il cielo» anche la Chiesa a Bamberg, tutti i fedeli e coloro che visitano il duomo.
Conoscere questa casa sulla pietra, cari Fratelli e Sorelle, può rafforzarvi nella certezza che il Signore non abbandona la sua Chiesa, nemmeno in futuro, per quanto possa essere difficile. Nella Chiesa, della quale il millenario duomo è un potente simbolo, anche le generazioni future di fedeli cattolici troveranno la patria del cuore e protezione.
Possano Maria, Madre di nostro Signore, che voi chiamate con orgoglio e con gioia duchessa della Franconia, e i santi patroni della diocesi Enrico e Cunegonda, continuare a stendere la loro mano protettrice sul duomo, la città, l’arcidiocesi e tutta la Franconia! Con questo auspicio imparto a tutti voi di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 3 maggio 2012, festa degli Apostoli Filippo e Giacomo


Benedictus PP. XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00mercoledì 16 maggio 2012 17:31
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L’UDIENZA GENERALE, 16.05.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la Giornata Internazionale delle Famiglie.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera nelle Lettere di San Paolo

Cari fratelli e sorelle,


nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto sulla preghiera negli Atti degli Apostoli, oggi vorrei iniziare a parlare della preghiera nelle Lettere di san Paolo, l’Apostolo delle genti.
Anzitutto vorrei notare come non sia un caso che le sue Lettere siano introdotte e si chiudano con espressioni di preghiera: all’inizio ringraziamento e lode, e alla fine augurio affinché la grazia di Dio guidi il cammino delle comunità a cui è indirizzato lo scritto.
Tra la formula di apertura: «ringrazio il mio Dio per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 1,8), e l’augurio finale: la «grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi» (1Cor 16,23), si sviluppano i contenuti delle Lettere dell’Apostolo. Quella di san Paolo è una preghiera che si manifesta in una grande ricchezza di forme che vanno dal ringraziamento alla benedizione, dalla lode alla richiesta e all’intercessione, dall’inno alla supplica: una varietà di espressioni che dimostra come la preghiera coinvolga e penetri tutte le situazioni della vita, sia quelle personali, sia quelle delle comunità a cui si rivolge.
Un primo elemento che l’Apostolo vuole farci comprendere è che la preghiera non deve essere vista come una semplice opera buona compiuta da noi verso Dio, una nostra azione. E’ anzitutto un dono, frutto della presenza viva, vivificante del Padre e di Gesù Cristo in noi. Nella Lettera ai Romani scrive: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza: non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (8,26). E sappiamo come è vero quanto dice l'Apostolo: «Non sappiamo come pregare in modo conveniente». Vogliamo pregare, ma Dio è lontano, non abbiamo le parole, il linguaggio, per parlare con Dio, neppure il pensiero. Solo possiamo aprirci, mettere il nostro tempo a disposizione di Dio, aspettare che Lui ci aiuti ad entrare nel vero dialogo. L'Apostolo dice: proprio questa mancanza di parole, questa assenza di parole, eppure questo desiderio di entrare in contatto con Dio, è preghiera che lo Spirito Santo non solo capisce, ma porta, interpreta, presso Dio. Proprio questa nostra debolezza diventa, tramite lo Spirito Santo, vera preghiera, vero contatto con Dio. Lo Spirito Santo è quasi l'interprete che fa capire a noi stessi e a Dio che cosa vogliamo dire.
Nella preghiera noi sperimentiamo, più che in altre dimensioni dell’esistenza, la nostra debolezza, la nostra povertà, il nostro essere creature, poiché siamo posti di fronte all’onnipotenza e alla trascendenza di Dio. E quanto più progrediamo nell’ascolto e nel dialogo con Dio, perché la preghiera diventi il respiro quotidiano della nostra anima, tanto più percepiamo anche il senso del nostro limite, non solo davanti alle situazioni concrete di ogni giorno, ma anche nello stesso rapporto con il Signore. Cresce allora in noi il bisogno di fidarci, di affidarci sempre più a Lui; comprendiamo che «non sappiamo… come pregare in modo conveniente» (Rm 8,26). Ed è lo Spirito Santo che aiuta la nostra incapacità, illumina la nostra mente e scalda il nostro cuore, guidando il nostro rivolgerci a Dio.
Per san Paolo la preghiera è soprattutto operare dello Spirito nella nostra umanità, per farsi carico della nostra debolezza e trasformarci da uomini legati alle realtà materiali in uomini spirituali.
Nella Prima Lettera ai Corinti dice: «Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (2,12-13). Con il suo abitare nella nostra fragilità umana, lo Spirito Santo ci cambia, intercede per noi, ci conduce verso le altezze di Dio (cfr Rm 8,26).
Con questa presenza dello Spirito Santo si realizza la nostra unione a Cristo, poiché si tratta dello Spirito del Figlio di Dio, nel quale siamo resi figli. San Paolo parla dello Spirito di Cristo (cfr Rm 8,9), non solo dello Spirito di Dio. E' ovvio: se Cristo è il Figlio di Dio, il suo Spirito è anche Spirito di Dio e così se lo Spirito di Dio, Spirito di Cristo, divenne già molto vicino a noi nel Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, lo Spirito di Dio diventa anche spirito umano e ci tocca; possiamo entrare nella comunione dello Spirito.
E' come se dicesse che non solamente Dio Padre si è fatto visibile nell’Incarnazione del Figlio, ma anche lo Spirito di Dio si manifesta nella vita e nell’azione di Gesù, di Gesù Cristo, che ha vissuto, è stato crocifisso, è morto e risorto. L’Apostolo ricorda che «nessuno può dire “Gesù è Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). Dunque lo Spirito orienta il nostro cuore verso Gesù Cristo, in modo che «non siamo più noi a vivere, ma Cristo vive in noi» (cfr Gal 2,20). Nelle sue Catechesi sui Sacramenti, riflettendo sull’Eucaristia, sant’Ambrogio afferma: «Chi si inebria dello Spirito è radicato in Cristo» (5, 3, 17: PL 16, 450).
E vorrei adesso evidenziare tre conseguenze nella nostra vita cristiana quando lasciamo operare in noi non lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Cristo come principio interiore di tutto il nostro agire.
Anzitutto con la preghiera animata dallo Spirito siamo messi in condizione di abbandonare e superare ogni forma di paura o di schiavitù, vivendo l’autentica libertà dei figli di Dio. Senza la preghiera che alimenta ogni giorno il nostro essere in Cristo, in una intimità che cresce progressivamente, ci troviamo nella condizione descritta da san Paolo nella Lettera ai Romani: non facciamo il bene che vogliamo, bensì il male che non vogliamo (cfr Rm 7,19). E questa è l'espressione dell'alienazione dell'essere umano, della distruzione della nostra libertà, per le circostanze del nostro essere per il peccato originale: vogliamo il bene che non facciamo e facciamo ciò che non vogliamo, il male.
L’Apostolo vuole far capire che non è anzitutto la nostra volontà a liberarci da queste condizioni e neppure la Legge, bensì lo Spirito Santo. E poiché «dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2Cor 3,17), con la preghiera sperimentiamo la libertà donata dallo Spirito: una libertà autentica, che è libertà dal male e dal peccato per il bene e per la vita, per Dio. La libertà dello Spirito, continua san Paolo, non s’identifica mai né con il libertinaggio, né con la possibilità di fare la scelta del male, bensì con il «frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» (Gal 5,22). Questa è la vera libertà: poter realmente seguire il desiderio del bene, della vera gioia, della comunione con Dio e non essere oppresso dalle circostanze che ci chiedono altre direzioni.
Una seconda conseguenza che si verifica nella nostra vita quando lasciamo operare in noi lo Spirito di Cristo è che il rapporto stesso con Dio diventa talmente profondo da non essere intaccato da alcuna realtà o situazione.
Comprendiamo allora che con la preghiera non siamo liberati dalle prove o dalle sofferenze, ma possiamo viverle in unione con Cristo, con le sue sofferenze, nella prospettiva di partecipare anche della sua gloria (cfr Rm 8,17).
Molte volte, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio di essere liberati dal male fisico e spirituale, e lo facciamo con grande fiducia. Tuttavia spesso abbiamo l’impressione di non essere ascoltati e allora rischiamo di scoraggiarci e di non perseverare. In realtà non c’è grido umano che non sia ascoltato da Dio e proprio nella preghiera costante e fedele comprendiamo con san Paolo che «le sofferenze del tempo presente non ostacolano la gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18).
La preghiera non ci esenta dalla prova e dalle sofferenze, anzi – dice san Paolo - noi «gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8, 26); egli dice che la preghiera non ci esenta dalla sofferenza ma la preghiera ci permette di viverla e affrontarla con una forza nuova, con la stessa fiducia di Gesù, il quale – secondo la Lettera agli Ebrei - «nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (5,7).
La risposta di Dio Padre al Figlio, alle sue forti grida e lacrime, non è stata la liberazione dalle sofferenze, dalla croce, dalla morte, ma è stata un esaudimento molto più grande, una risposta molto più profonda; attraverso la croce e la morte Dio ha risposto con la risurrezione del Figlio, con la nuova vita. La preghiera animata dallo Spirito Santo porta anche noi a vivere ogni giorno il cammino della vita con le sue prove e sofferenze, nella piena speranza, nella fiducia in Dio che risponde come ha risposto al Figlio.
E, terzo, la preghiera del credente si apre anche alle dimensioni dell’umanità e dell’intero creato, facendosi carico dell’«ardente aspettativa della creazione, protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,19).
Questo significa che la preghiera, sostenuta dallo Spirito di Cristo che parla nell’intimo di noi stessi, non rimane mai chiusa in se stessa, non è mai solo preghiera per me, ma si apre alla condivisione delle sofferenze del nostro tempo, degli altri. Diventa intercessione per gli altri, e così liberazione da me, canale di speranza per tutta la creazione, espressione di quell’amore di Dio che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (cfr Rm 5,5). E proprio questo è un segno di una vera preghiera, che non finisce in noi stessi, ma si apre per gli altri e così mi libera, così aiuta per la redenzione del mondo.
Cari fratelli e sorelle, san Paolo ci insegna che nella nostra preghiera dobbiamo aprirci alla presenza dello Spirito Santo, il quale prega in noi con gemiti inesprimibili, per portarci ad aderire a Dio con tutto il nostro cuore e con tutto il nostro essere. Lo Spirito di Cristo diventa la forza della nostra preghiera «debole», la luce della nostra preghiera «spenta», il fuoco della nostra preghiera «arida», donandoci la vera libertà interiore, insegnandoci a vivere affrontando le prove dell’esistenza, nella certezza di non essere soli, aprendoci agli orizzonti dell’umanità e della creazione «che geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Grazie.


APPELLO


Ieri, martedì 15 maggio, si è celebrata la Giornata Internazionale delle Famiglie, istituita dalle Nazioni Unite e dedicata quest’anno all’equilibrio fra due questioni strettamente connesse: la famiglia e il lavoro. Quest’ultimo non dovrebbe ostacolare la famiglia, ma piuttosto sostenerla e unirla, aiutarla ad aprirsi alla vita e ad entrare in relazione con la società e con la Chiesa. Auspico, inoltre, che la Domenica, giorno del Signore e Pasqua della settimana, sia giorno di riposo e occasione per rafforzare i legami familiari.


* * *


Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli dell’Arcidiocesi de L’Aquila, accompagnati dal loro Pastore Mons. Giuseppe Molinari, come pure a quelli di Rocca Santo Stefano qui convenuti con il loro Vescovo Mons. Domenico Sigalini: invoco su ciascuno una rinnovata effusione di grazia divina per una sempre più feconda e lieta adesione a Cristo. Saluto i genitori e gli alunni della Scuola «Regina Apostolorum» delle Suore Francescane dell’Immacolata in Roma, ed auspico che continui con rinnovato slancio spirituale l’opera educativa e sociale iniziata cinquant’anni orsono. Saluto i sacerdoti e i diaconi del Collegio Urbano di Roma, assicurando la mia preghiera affinché siano rafforzati nei generosi propositi di fedeltà alla chiamata del Signore.
Il mio pensiero va ora ai rappresentanti della Comunità cattolica «Shalom». Cari amici, voi festeggiate il 30° anniversario di fondazione. Cari amici, grazie per la vostra presenza! Questa ricorrenza, come pure l’approvazione dei vostri statuti, siano di incoraggiamento a proseguire con entusiasmo nella testimonianza evangelica. Ma vedo già il vostro entusiasmo! Vi accompagno con la mia preghiera e la mia benedizione, affinché possiate essere gioiosi strumenti dell’amore e della misericordia di Dio tra quanti incontrate nel vostro impegno missionario.
Il mio pensiero si rivolge adesso ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. La Solennità dell’Ascensione del Signore, che domani celebreremo, ci invita a guardare a Gesù che, salendo al cielo, affida agli Apostoli il mandato di portare il suo messaggio di salvezza in tutto il mondo. Cari giovani, impegnatevi a mettere il vostro entusiasmo a servizio del Vangelo. Voi, cari malati, vivete le vostre sofferenze uniti al Signore, per offrire un contributo prezioso alla crescita del Regno di Dio. E voi, cari sposi novelli, testimoniate l’amore di Cristo con il vostro amore coniugale.


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Paparatzifan
00mercoledì 16 maggio 2012 19:15
Dal blog di Lella...

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA 98ma EDIZIONE DEL "DEUTSCHER KATHOLIKENTAG"

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, S.E. Mons. Robert Zollitsch, Arcivescovo di Freiburg im Breisgau, ed ai partecipanti alla 98ma edizione del "Deutscher Katholikentag", che si svolge dal 16 al 20 maggio 2012 a Mannheim sul tema: "Osare un nuovo inizio":

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al mio venerato Fratello
Robert Zollitsch,
Arcivescovo di Freiburg,
ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Diaconi, ai Religiosi,
e a tutti i partecipanti al Katholikentag di Mannheim


Cari Fratelli e Sorelle in Cristo!


«Osare una nuova partenza»: con tale motto in questi giorni si riuniscono numerosi fedeli per il 98° Katholikentag a Mannheim. Con affetto saluto tutti voi, che vi siete riuniti per l'apertura solenne nella Marktplatz, nel cuore della città. Il mio saluto particolare va all'arcivescovo di Freiburg e presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, ai cardinali e ai vescovi presenti, come pure al comitato centrale dei cattolici tedeschi che, insieme all'arcidiocesi di Mannheim, è il padrone di casa di questo Katholikentag. Saluto inoltre i rappresentanti dell'ecumenismo, della vita pubblica e tutti coloro che sono collegati con voi attraverso i media. In questa occasione ricordo volentieri e con profonda gratitudine la mia visita pastorale nella nostra patria lo scorso anno e i molti edificanti incontri con persone di ogni settore della popolazione in quella grande festa della fede.
«Osare una nuova partenza» è il tema del vostro incontro a Mannheim. Che cosa ci vogliono dire in realtà queste parole? Partire significa mettersi in moto, mettersi in cammino. Spesso, però, implica anche la decisione di cambiare e rinnovare. Può partire solo chi è disposto a lasciarsi dietro il vecchio e affrontare il nuovo. Questo che cosa significa però per la comunità della Chiesa, che secondo l'Apostolo Paolo è il Corpo mistico di Cristo? Cristo è il Capo e noi siamo le membra. Non possiamo manipolare la Chiesa nel suo Capo, piuttosto, come membra, siamo chiamati a orientarci sempre di nuovo al Capo, l'«autore e perfezionatore» della nostra fede (cfr.Eb 12, 2). Il rinnovamento dà frutto solo se avviene a partire da ciò che è veramente nuovo di Cristo, che è via, verità e vita (cfr. Gv 14, 6).
Quindi la partenza riguarda ogni credente in modo personale e intimo. Attraverso il Battesimo siamo nuovi in Cristo. Il Signore ha liberato la nostra umanità dalla schiavitù del peccato e l'ha «fatta partire» verso la relazione vivifica con Dio. Questa partenza donata a partire da Dio deve quindi diventare sempre una partenza personale verso Dio. Ognuno deve preoccuparsi della sua fede personale, di viverla concretamente e di continuare a svilupparla. Ma nella nostra fede non siamo soli, isolati dagli altri. Crediamo con e nella comunità della Chiesa. La partenza di ogni battezzato è allo stesso tempo partenza nella Chiesa e con essa!
In ogni tempo ci sono state persone che hanno osato questa partenza e alle quali si è rivelata in modo particolarmente chiaro la presenza di Dio. La testimonianza di fede dei santi e della grande schiera di cristiani che hanno annunciato, lieti e impavidi, il messaggio del Vangelo agli altri, può incoraggiarci anche oggi a una nuova partenza, spronarci a un nuovo coraggio della fede. La Sacra Scrittura e la storia della Chiesa conoscono una molteplicità di persone alle quali non bastava, non poteva bastare, ciò che era comune al loro tempo. Con cuore irrequieto e aperto, sono state capaci di sentire nella loro vita e nelle esigenze della quotidianità la «chiamata a uscire» di Dio. Non è stata l'incoerenza umana a farli partire, ma l'anelito di verità e l'ascolto della Parola di Dio. La vera partenza consiste, come ci dimostrano, nell'obbedienza e nella fiducia verso le indicazioni e la chiamata di Dio. Chi si sente interpellato da Dio e modella la propria vita a partire da questo dialogo con Dio, supera le angustie e le paure e può quindi «rispondere della speranza che è in lui» (cfr. 1 Pt 3, 15).
Un figlio della città di Mannheim, il padre gesuita, poi diventato martire, Alfred Delp, in una riflessione scritta poche settimane prima della sua morte, ci descrive le persone che osano mettersi in cammino seguendo la chiamata di Dio: «Sono queste -- scrive -- persone dallo sguardo infinito. Hanno fame e sete di ciò che è definitivo; davvero fame e sete. Sono capaci di decidere di conseguenza. Subordinano la vita alle sue definitività. Sono diventate persone che cercano, che errano perché hanno creduto di più alla chiamata interiore e al segno esteriore -- che senza la fame interiore e la curiosa attenzione non avrebbero mai notato -- che alla sicura e comoda stabilità» (Im Angesicht des Todes, 97 s.).
Cari Fratelli e Sorelle! Il Katholikentag è ospitato in una città nella quale si trova una immensa molteplicità d'idee e di concezioni, di progetti di vita e di religioni. L'avventura di una nuova partenza, in un tale ambito, significa riconoscerne le opportunità e i pericoli e creare gli spazi per una convivenza autentica. Infatti, solo un'umanità nella quale regna la «civiltà dell'amore» potrà godere di una pace vera e duratura.
Come Chiesa abbiamo il compito di annunciare in modo aperto e chiaro l'esigenza e il messaggio del Vangelo. Il contributo di tutti i battezzati alla nuova evangelizzazione è irrinunciabile. Anche il nostro Paese ha bisogno di una nuova partenza missionaria, apostolica.
Desidero dedicare qualche parola particolare ai giovani e ai giovani adulti.
Ho potuto incontrare molti di voi lo scorso anno durante la Giornata mondiale della gioventù a Madrid e, alcune settimane dopo, durante la veglia a Freiburg. A chi, come voi, ha ancora la vita davanti, viene continuamente chiesto di prendere decisioni e, anche in caso di delusioni, di rialzarsi e di modellare con forza il futuro. Abbiate il coraggio di orientarvi a Gesù Cristo! Rafforzatevi gli uni gli altri nella fede! Sostenete tra i vostri amici, a scuola, al lavoro, il messaggio del Vangelo! Così come Cristo ama la Chiesa (cfr. Ef 5, 25), anche noi vogliamo amare la Chiesa. Sì, identificatevi con la Chiesa, perché Cristo s'identifica con la Chiesa, perché Cristo s'identifica con noi! Attingete alla vita e alla verità che Cristo ci dona nella Chiesa! Tutti noi vogliamo portare questo tesoro dell'amore di Dio agli uomini nel nostro Paese.
Seguendo la sua Parola, vogliamo metterci in cammino (cfr. Lc 5, 5), rispondendo così alla partenza di Dio verso noi uomini.
Il 98° Katholikentag costituisce in un certo senso un preludio all'Anno della Fede, che inizieremo tra breve, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II. Possano questi giorni diventare quindi una festa della fede e aiutare a riscoprire la fede della Chiesa nella sua bellezza e freschezza, a farla nuovamente propria in modo sempre più profondo e anche ad annunciarla in un tempo nuovo. Con questo auspicio metto lo svolgimento del Katholikentag nelle mani di Dio e vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 14 maggio 2012


Benedictus pp XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00giovedì 17 maggio 2012 13:25
Dal blog di Lella...

PROIEZIONE DEL FILM "MARIA DI NAZARETH", 16.05.2012

Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, ha avuto luogo la proiezione del film "Maria di Nazareth", una co-produzione RaiFiction, Lux Vide, BetaFilm, Tellux, Bayerischer Rundfunk, Telecinco Cinema, per la regia di Giacomo Campiotti.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Papa ha rivolto ai presenti, al termine della proiezione:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari amici,

Grazie a tutti voi per questo momento che invita a riflettere attraverso le immagini e i dialoghi del film «Maria di Nazareth». Grazie in particolare alla RAI con il suo Direttore Generale, Signora Lorenza Lei, e gli altri rappresentanti, come pure a «Lux Vide», con la famiglia Bernabei e lo staff di produzione.

Ganz herzlichen Dank sage ich dem Intendanten des Bayerischen Rundfunks Professor Gerhard Fuchs, dem Produzenten Martin Choroba der Tellux-Film-Gesellschaft München sowie allen Mitwirkenden, den anwesenden Schauspielern und dem Kamerateam für diese Vorführung im Apostolischen Palast.

Gracias también a los representantes de Telecinco de España.

Non è facile tratteggiare la figura di una madre, perché contiene una ricchezza di vita difficilmente descrivibile; e ciò è ancora più impegnativo se si tratta di Maria di Nazareth, una donna che è Madre di Gesù, del Figlio di Dio fatto uomo.
Avete impostato il film su tre figure femminili, che incrociano le loro vite, ma che fanno scelte profondamente diverse.
Erodiade rimane chiusa in se stessa, nel suo mondo, non riesce a sollevare lo sguardo per leggere i segni di Dio e non esce dal male.
Maria Maddalena ha una vicenda più complessa: subisce il fascino di una vita facile, basata sulle cose, e usa vari mezzi per raggiungere i suoi scopi, fino al momento drammatico in cui è giudicata, è messa davanti alla sua vita e qui l’incontro con Gesù le apre il cuore, le cambia l’esistenza.
Ma il centro è Maria di Nazareth, in Lei c’è la ricchezza di una vita che è stata un «Eccomi» a Dio: è una madre che avrebbe il desiderio di tenere sempre con sé il proprio Figlio, ma sa che è di Dio; ha una fede e un amore così grandi da accettare che parta e compia la sua missione; è un ripetere «Eccomi» a Dio dall’Annunciazione fino alla Croce.
Tre esperienze, un paradigma di come si può impostare la vita: sull’egoismo, sulla chiusura in se stessi e sulle cose materiali, lasciandosi guidare dal male; oppure sul senso della presenza di un Dio che è venuto e rimane in mezzo a noi e che ci attende con bontà se sbagliamo e ci chiede di seguirlo, di fidarci di Lui. Maria di Nazareth è la donna dell’«Eccomi» pieno e totale alla volontà divina, e in questo «Sì», ripetuto anche davanti al dolore della perdita del Figlio, trova la beatitudine piena e profonda.
Grazie a tutti per la buona serata!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00venerdì 18 maggio 2012 22:00
Dal blog di Lella...

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA (REGIONI XIV-XV), 18.05.2012


Alle ore 12 di questa mattina, a conclusione della serie di Visite quinquennali "ad Limina Apostolorum" dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America, il Santo Padre Benedetto XVI incontra un gruppo di Presuli, che sta ricevendo in questo mese in separate udienze, delle Regioni XIV e XV, tra i quali i Vescovi dei diversi Riti orientali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE



Cari Fratelli Vescovi,


Saluto tutti voi con affetto fraterno nel Signore. Il nostro incontro odierno conclude la serie delle visite quinquennali dei Vescovi degli Stati Uniti d'America ad limina Apostolorum.
Come sapete, negli ultimi sei mesi ho voluto riflettere con voi e i vostri Fratelli Vescovi su alcune sfide spirituali e culturali pressanti che deve affrontare la Chiesa nel vostro Paese, mentre assume il compito della nuova evangelizzazione.
Sono particolarmente lieto che questo nostro incontro, quello conclusivo, si svolga alla presenza dei Vescovi delle diverse Chiese orientali presenti negli Stati Uniti, poiché voi e i vostri fedeli incarnate in modo unico la ricchezza etnica, culturale e spirituale della comunità cattolica americana, passata e presente. Storicamente, la Chiesa in America ha lottato per riconoscere e incorporare questa diversità, e c'è riuscita, non senza difficoltà, forgiando una comunione in Cristo e nella fede apostolica che rispecchia la cattolicità, segno indefettibile della Chiesa. In questa comunione, che ha la fonte e il modello nel mistero del Dio Uno e Trino (cfr. Lumen gentium n. 4), l'unità e la diversità sono costantemente riconciliate e valorizzate, come segno e sacramento della vocazione ultima e del destino dell'intera famiglia umana.
Durante i nostri incontri, voi e i vostri Fratelli Vescovi avete parlato con insistenza dell'importanza di preservare, alimentare e promuovere questo dono dell'unità cattolica, quale condizione fondamentale per lo svolgimento della missione della Chiesa nel vostro Paese. In questo discorso conclusivo vorrei semplicemente affrontare due punti specifici, che sono emersi ripetutamente nelle nostre conversazioni e che, come voi, considero fondamentali per l'esercizio del vostro ministero di condurre il gregge di Cristo attraverso le difficoltà e le opportunità del presente.
Vorrei iniziare elogiando i vostri instancabili sforzi, nella migliore tradizione della Chiesa in America, per rispondere al fenomeno costante dell'immigrazione nel vostro Paese. La comunità cattolica negli Stati Uniti continua, con grande generosità, ad accogliere ondate di nuovi immigranti, a fornire loro cure pastorali e assistenza caritativa e a sostenere modi per regolarizzare la loro situazione, specialmente per quanto riguarda la riunificazione delle famiglie. Un segno particolare di ciò è l'impegno di lunga data dei Vescovi americani a favore della riforma riguardante l'immigrazione. Si tratta evidentemente di una questione difficile e complessa dal punto di vista civile e politico, come anche da quello sociale ed economico, ma soprattutto da quello umano. Preoccupa quindi profondamente la Chiesa, poiché implica la necessità di assicurare un trattamento giusto agli immigranti e di difenderne la dignità umana.
Anche oggi la Chiesa in America è chiamata ad abbracciare, incorporare e coltivare il ricco patrimonio di fede e di cultura esistente tra i numerosi gruppi di immigranti nel Paese, tra cui non solo quelli appartenenti ai vostri riti, ma anche il numero crescente di cattolici ispanici, asiatici e africani. L'esigente compito pastorale di promuovere una comunione di culture nelle vostre Chiese locali deve essere considerato di particolare importanza nell'esercizio del vostro ministero al servizio dell'unità (cfr. Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi n. 63). Questa diaconia di comunione implica qualcosa di più che rispettare meramente la diversità linguistica, promuovere solide tradizioni e fornire i programmi e i servizi sociali tanto necessari. Esige anche un impegno costante nella predicazione, nella catechesi e nell'attività pastorale volta a ispirare in tutti i fedeli un senso più profondo della loro comunione nella fede apostolica e della loro responsabilità per la missione della Chiesa negli Stati Uniti. Né si può sottovalutare l'importanza di questa sfida: l'immensa promessa e le energie vive di una nuova generazione di cattolici stanno aspettando di essere utilizzate per il rinnovamento della vita della Chiesa e la ricostruzione del tessuto della società americana.
Questo impegno per promuovere l'unità cattolica è necessario non solo per far fronte alle sfide positive della nuova evangelizzazione, ma anche per contrastare le forze di disgregazione nella Chiesa, che rappresentano sempre più un grande ostacolo alla sua missione negli Stati Uniti. Apprezzo gli sforzi che vengono compiuti per incoraggiare i fedeli, individualmente e nelle molteplici associazioni cattoliche, a procedere insieme, parlando con una voce sola nell'affrontare i problemi urgenti del presente.
Vorrei qui ripetere il sentito appello che ho rivolto ai cattolici americani durante la mia Visita Pastorale: «Possiamo andare avanti solo se insieme fissiamo il nostro sguardo su Cristo» e in tal modo abbracciamo «quel vero rinnovamento spirituale che voleva il Concilio, un rinnovamento che, solo, può rinforzare la Chiesa nella santità e nell'unità indispensabili per la proclamazione efficace del Vangelo nel mondo di oggi» (Omelia nella Cattedrale di Saint Patrick, New York, 19 aprile 2008).
Nei nostri colloqui, molti di voi hanno parlato della preoccupazione di costruire rapporti sempre più stretti di amicizia, cooperazione e fiducia con i vostri sacerdoti. Anche adesso vi esorto a rimanere particolarmente vicini agli uomini e alle donne nelle vostre Chiese locali, che sono impegnati a seguire Cristo in modo sempre più perfetto, abbracciando generosamente i consigli evangelici. Desidero ribadire la mia profonda gratitudine per l'esempio di fedeltà e di sacrificio dato da molte donne consacrate nel vostro Paese, e unirmi a loro nel pregare affinché questo momento di discernimento dia abbondanti frutti spirituali per ravvivare le loro comunità e rafforzarle nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa, come pure ai loro carismi fondazionali. L'urgente necessità, al presente, di una testimonianza credibile e attraente del potere di redenzione e di trasformazione del Vangelo, rende fondamentale riconquistare il senso della sublime dignità e bellezza della vita consacrata, pregare per le vocazioni religiose e promuoverle attivamente, rafforzando al contempo i canali di comunicazione e cooperazione esistenti, specialmente attraverso la rete del Vicario o del Delegato per i religiosi in ogni Diocesi.
Cari Fratelli Vescovi, è mio auspicio che l'Anno della Fede, che inizierà il prossimo 12 ottobre, nel cinquantesimo anniversario della convocazione del concilio Vaticano II, possa risvegliare il desiderio, da parte di tutta la comunità cattolica in America, di riappropriarsi con gioia e gratitudine dell'incommensurabile tesoro della nostra fede. Con il progressivo indebolirsi dei valori cristiani tradizionali e la minaccia di un tempo in cui la nostra fedeltà al Vangelo ci può costare cara, la verità di Cristo non ha bisogno solo di essere compresa, articolata e difesa, ma anche di essere proposta con gioia e fiducia come chiave della realizzazione umana autentica e del benessere della società nel suo insieme.
Ora, a conclusione di questi incontri, mi unisco volentieri a voi nel ringraziare Dio Onnipotente per i segni di nuova vitalità e di speranza con i quali ha benedetto la Chiesa negli Stati Uniti d'America. Al contempo, gli chiedo di rafforzare voi e i vostri Fratelli Vescovi nella delicata missione di guidare la comunità cattolica nel vostro Paese sulle vie dell'unità, della verità e della carità, mentre affronta le sfide del futuro. Con le parole dell'antica preghiera, chiediamo al Signore di orientare i nostri cuori e quelli del nostro popolo, affinché il gregge non manchi mai nell'obbedienza ai suoi Pastori, e i Pastori non vengano meno nella cura del gregge (cfr. Sacramentarium Veronese, «Missa de natale Episcoporum»). Con grande affetto raccomando voi, il clero, i religiosi e i fedeli laici affidati alla vostra cura pastorale, all'amorevole intercessione di Maria Immacolata, Patrona degli Stati Uniti, e vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, come pegno di gioia e di pace nel Signore.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00domenica 20 maggio 2012 23:57
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI , 20.05.2012

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!


Quaranta giorni dopo la Risurrezione – secondo il Libro degli Atti degli Apostoli – Gesù ascese al Cielo, cioè ritornò al Padre, dal quale era stato mandato nel mondo. In molti Paesi questo mistero viene celebrato non il giovedì, ma oggi, la domenica seguente.
L’Ascensione del Signore segna il compiersi della salvezza iniziata con l’Incarnazione. Dopo avere istruito per l’ultima volta i suoi discepoli, Gesù sale al cielo (cfr Mc 16,19).
Egli, però, «non si è separato dalla nostra condizione» (cfr Prefazio); infatti, nella sua umanità, ha assunto con sé gli uomini nell’intimità del Padre e così ha rivelato la destinazione finale del nostro pellegrinaggio terreno. Come per noi è disceso dal Cielo, e per noi ha patito ed è morto sulla croce, così per noi è risorto ed è risalito a Dio, che perciò non è più lontano. San Leone Magno spiega che con questo mistero «viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. Oggi, infatti, non solo siamo confermati possessori del paradiso, ma siamo anche penetrati in Cristo nelle altezze dei cieli» (De Ascensione Domini, Tractatus 73, 2.4: CCL 138 A, 451.453).
Per questo i discepoli, quando videro il Maestro sollevarsi da terra e innalzarsi verso l’alto, non furono presi dallo sconforto, come si potrebbe pensare; anzi, provarono una grande gioia e si sentirono spinti a proclamare la vittoria di Cristo sulla morte (cfr Mc 16,20). E il Signore risorto operava con loro, distribuendo a ciascuno un carisma proprio. Lo scrive ancora san Paolo: «Ha distribuito doni agli uomini … ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri … allo scopo di edificare il corpo di Cristo … fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,8.11-13).
Cari amici, l’Ascensione ci dice che in Cristo la nostra umanità è portata alle altezze di Dio; così, ogni volta che preghiamo, la terra si congiunge al Cielo. E come l’incenso, bruciando, fa salire in alto il suo fumo, così, quando innalziamo al Signore la nostra fervida e fiduciosa preghiera in Cristo, essa attraversa i cieli e raggiunge Dio stesso, viene da Lui ascoltata ed esaudita.
Nella celebre opera di san Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, leggiamo che «per vedere realizzati i desideri del nostro cuore, non v’è modo migliore che porre la forza della nostra preghiera in ciò che più piace a Dio. Allora, Egli non ci darà soltanto quanto gli chiediamo, cioè la salvezza, ma anche quanto Egli vede sia conveniente e buono per noi, anche se non glielo chiediamo» (Libro III, cap. 44, 2, Roma 1991, 335).
Supplichiamo infine la Vergine Maria, perché ci aiuti a contemplare i beni celesti, che il Signore ci promette, e a diventare testimoni sempre più credibili della sua Resurrezione, della vera vita.


DOPO IL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Si celebra oggi la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione». Il silenzio è parte integrante della comunicazione, è un luogo privilegiato per l’incontro con la Parola di Dio e con i nostri fratelli e sorelle. Invito tutti a pregare affinché la comunicazione, in ogni sua forma, serva sempre ad instaurare con il prossimo un dialogo autentico, fondato sul rispetto reciproco, sull’ascolto e la condivisione.

Giovedì, 24 maggio, è giorno dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con grande devozione nel Santuario di Sheshan a Shanghai: ci uniamo in preghiera con tutti i cattolici che sono in Cina, perché annuncino con umiltà e con gioia Cristo morto e risorto, siano fedeli alla sua Chiesa e al Successore di Pietro e vivano la quotidianità in modo coerente con la fede che professano. Maria, Vergine fedele, sostenga il cammino dei cattolici cinesi, renda la loro preghiera sempre più intensa e preziosa agli occhi del Signore, e faccia crescere l’affetto e la partecipazione della Chiesa universale al cammino della Chiesa che è in Cina.

Rivolgo un cordiale saluto alle migliaia di aderenti al Movimento per la Vita italiano, riuniti in Aula Paolo VI. Cari amici, il vostro Movimento si è sempre impegnato a difendere la vita umana, secondo gli insegnamenti della Chiesa. In questa linea avete annunciato una nuova iniziativa chiamata «Uno di noi», per sostenere la dignità e diritti di ogni essere umano fin dal concepimento. Vi incoraggio e vi esorto ad essere sempre testimoni e costruttori della cultura della vita.

Je suis heureux de vous saluer chers pèlerins francophones, en particulier les jeunes de la paroisse Saint Étienne d’Ohain, en Belgique, et leurs accompagnateurs. En ce dimanche où, en Italie et dans de nombreux pays, est célébrée la solennité de l’Ascension, je vous invite à demeurer enracinés dans le Christ. Car nous ne pouvons pas l’annoncer si nous ne vivons pas pleinement de sa vie. Je prie pour tous ceux qui, en ces jours, reçoivent le Sacrement de Confirmation : que l’Esprit-Saint les accompagne et les fortifie. Que la Vierge Marie, Mère des croyants, nous protège de son amour maternel ! Bon dimanche !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors here today. Jesus tells us in the Gospel that he has come so that his joy may be fulfilled in us. Let us ask the Virgin Mary to obtain for us a deeper faith in her Son, so that we may live to the full the spiritual joy which he wills for us. Upon all of you I invoke God’s abundant blessings.

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern deutscher Sprache. In den neun Tagen zwischen Christi Himmelfahrt und dem Pfingstfest hält die Kirche die sogenannte Pfingstnovene. Die Apostel, so berichtet die Schrift, blieben ständig im Abendmahlssaal und verharrten einmütig im Gebet. Nach ihrem Beispiel bittet die Kirche bis Pfingsten um die Herabkunft des Heiligen Geistes. In dieses große Beten der Kirche können wir uns einbinden und mit einem Heilig-Geist-Gebet oder dem Rosenkranz diese verwandelnde Kraft von oben, den Tröster Geist, erbitten, damit er unsere Freude im Glauben stärke und unsere Liebe groß werden lasse. Gott segne euch alle.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a los que se unen a la misma a través de los medios de comunicación social. Invito a todos a perseverar junto con la Virgen María, Madre de Dios y Madre nuestra, en ferviente oración, para que la fuerza divina del Espíritu Santo haga morada en nosotros, y podamos así cumplir fielmente la voluntad del Señor, dando testimonio de su Evangelio con nuestra palabra y modo de obrar. Muchas gracias y feliz domingo.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, em particular o grupo brasileiro da paróquia Nossa Senhora Aparecida de Piabetá, a quem agradeço o apoio espiritual e material que dão ao meu serviço de Sucessor de Pedro. Sobre todos invoco os dons do Espírito Santo, para serem verdadeiros discípulos de Jesus Cristo, fazendo jorrar a sua Vida no meio das respectivas famílias e comunidades, que de coração abençôo.

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Wniebowstąpienie Pańskie, które dzisiaj obchodzimy, kieruje naszą myśl ku Chrystusowi, który powraca do domu Ojca, by przygotować nam miejsce i kiedyś zabrać nas do siebie (por. J 14,2-3). Niech ta prawda pomaga nam w odnajdywaniu celu i sensu naszego życia, w pełnieniu obowiązków i włączaniu się w budowanie „cywilizacji miłości". Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i Polacchi. L’Ascensione del Signore che festeggiamo oggi ci fa rivolgere il nostro pensiero a Cristo, il quale ritorna alla casa del Padre per prepararci un posto e, un giorno, prenderci con sé (cfr Gv 14,2-3). Questa verità ci aiuti a trovare lo scopo e il senso della vita, dedicandoci agli impegni e indirizzandoci a costruire la "civiltà d’amore". Vi benedico di cuore.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il grande gruppo dei ragazzi della Cresima dell’arcidiocesi di Genova. Cari ragazzi, lo Spirito Santo sia sempre la vostra guida, perché siate veri discepoli e testimoni di Gesù. Saluto i fedeli venuti da Montoro Superiore, Setteville di Guidonia, Brindisi e Sava; l’associazione «Amici di Edo» di Pizzighettone; i partecipanti al convegno sul Catechismo della Chiesa Cattolica e i rappresentanti del Consorzio Greenvision che collaborano con l’Ospedale «Bambino Gesù» per la prevenzione e la cura delle malattie degli occhi.

Saluto le varie scolaresche, e qui oggi devo purtroppo ricordare le ragazze e i ragazzi della scuola di Brindisi, coinvolti ieri in un vile attentato. Preghiamo insieme per i feriti, tra cui alcuni gravi, e specialmente per la giovane Melissa, vittima innocente di una brutale violenza e per i suoi familiari, che sono nel dolore.

Il mio affettuoso pensiero va anche alle care popolazioni dell’Emilia Romagna colpite poche ore fa da un terremoto. Sono spiritualmente vicino alle persone provate da questa calamità: imploriamo da Dio la misericordia per quanti sono morti e il sollievo nella sofferenza per i feriti.

A tutti auguro una buona domenica.

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Paparatzifan
00martedì 22 maggio 2012 21:50
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INCONTRO CONVIVIALE CON I MEMBRI DEL COLLEGIO CARDINALIZIO, 21.05.2012


Alle ore 13, nella Sala Ducale del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha pranzato con i Membri del Collegio Cardinalizio, in segno di ringraziamento per i voti augurali da Loro espressi nella duplice ricorrenza del Suo 85° Genetliaco e del settimo anniversario della Sua elezione alla Cattedra di Pietro.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Papa ha rivolto ai presenti al termine del pranzo:

PAROLE DEL SANTO PADRE


Alle ore 13, nella Sala Ducale del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha pranzato con i Membri del Collegio Cardinalizio, in segno di ringraziamento per i voti augurali da Loro espressi nella duplice ricorrenza del Suo 85° Genetliaco e del settimo anniversario della Sua elezione alla Cattedra di Pietro.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Papa ha rivolto ai presenti al termine del pranzo:


PAROLE DEL SANTO PADRE


Eminenza,
Cari fratelli,


in questo momento la mia parola può solo essere una parola di ringraziamento.
Ringraziamento innanzitutto al Signore per i tanti anni che mi ha concesso; anni con tanti giorni di gioia, splendidi tempi, ma anche notti oscure. Ma in retrospettiva si capisce che anche le notti erano necessarie e buone, motivo di ringraziamento.
Oggi la parola ecclesia militans è un po’ fuori moda, ma in realtà possiamo comprendere sempre meglio che è vera, porta in sé verità. Vediamo come il male vuole dominare nel mondo e che è necessario entrare in lotta contro il male.
Vediamo come lo fa in tanti modi, cruenti, con le diverse forme di violenza, ma anche mascherato col bene e proprio così distruggendo le fondamenta morali della società.
Sant’Agostino ha detto che tutta la storia è una lotta tra due amori: amore di se stesso fino al disprezzo di Dio; amore di Dio fino al disprezzo di sé, nel martirio. Noi siamo in questa lotta e in questa lotta è molto importante avere degli amici. E per quanto mi riguarda, io sono circondato dagli amici del Collegio cardinalizio: sono i miei amici e mi sento a casa, mi sento sicuro in questa compagnia di grandi amici, che stanno con me e tutti insieme col Signore.
Grazie per questa amicizia.
Grazie a lei, Eminenza, per tutto quello che ha fatto per questo momento oggi e per tutto quello che fa sempre. Grazie a voi per la comunione delle gioie e dei dolori. Andiamo avanti, il Signore ha detto: coraggio, ho vinto il mondo. Siamo nella squadra del Signore, quindi nella squadra vittoriosa. Grazie a voi tutti. Il Signore vi benedica tutti. E brindiamo.


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Paparatzifan
00mercoledì 23 maggio 2012 18:06
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L’UDIENZA GENERALE, 23.05.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la sua catechesi sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo, ha incentrato la sua meditazione sul tema: "Lo Spirito e l’ "abbà" dei credenti (cfr Gal 4,6-7; Rm 8,14-17).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA


Lo Spirito e l’ "abbà" dei credenti (cfr Gal 4,6-7; Rm 8,14-17)

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso ho mostrato come san Paolo dice che lo Spirito Santo è il grande maestro della preghiera e ci insegna a rivolgerci a Dio con i termini affettuosi dei figli, chiamandolo «Abbà, Padre».
Così ha fatto Gesù; anche nel momento più drammatico della sua vita terrena, Egli non ha mai perso la fiducia nel Padre e lo ha sempre invocato con l’intimità del Figlio amato. Al Getsemani, quando sente l’angoscia della morte, la sua preghiera è: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sin dai primi passi del suo cammino, la Chiesa ha accolto questa invocazione e l’ha fatta propria, soprattutto nella preghiera del Padre nostro, in cui diciamo quotidianamente: «Padre… sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6,9-10). Nelle Lettere di san Paolo la ritroviamo due volte. L’Apostolo, lo abbiamo sentito ora, si rivolge ai Galati con queste parole: «E che voi siete figli lo prova che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida in noi: Abbà! Padre!» (Gal 4,6). E al centro di quel canto allo Spirito che è il capitolo ottavo della Lettera ai Romani, san Paolo afferma: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!"» (Rm 8,15).
Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell'amore al Padre che ci ama. Queste due dense affermazioni ci parlano dell’invio e dell’accoglienza dello Spirito Santo, il dono del Risorto, che ci rende figli in Cristo, il Figlio Unigenito, e ci colloca in una relazione filiale con Dio, relazione di profonda fiducia, come quella dei bambini; una relazione filiale analoga a quella di Gesù, anche se diversa è l’origine e diverso è lo spessore: Gesù è il Figlio eterno di Dio che si è fatto carne, noi invece diventiamo figli in Lui, nel tempo, mediante la fede e i Sacramenti del Battesimo e della Cresima; grazie a questi due sacramenti siamo immersi nel Mistero pasquale di Cristo.
Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri umani perché, come precisa la benedizione divina della Lettera agli Efesini, Dio, in Cristo, «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,4).
Forse l’uomo d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola «padre» con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana.
L'assenza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi. Da Gesù stesso, dal suo rapporto filiale con Dio, possiamo imparare che cosa significhi propriamente «padre», quale sia la vera natura del Padre che è nei cieli.
Critici della religione hanno detto che parlare del «Padre», di Dio, sarebbe una proiezione dei nostri padri al cielo. Ma è vero il contrario: nel Vangelo, Cristo ci mostra chi è padre e come è un vero padre, così che possiamo intuire la vera paternità, imparare anche la vera paternità. Pensiamo alla parola di Gesù nel sermone della montagna dove dice: «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). È proprio l’amore di Gesù, il Figlio Unigenito - che giunge al dono di se stesso sulla croce - che ci rivela la vera natura del Padre: Egli è l’Amore, e anche noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore di Dio che purifica i nostri desideri, i nostri atteggiamenti segnati dalla chiusura, dall’autosufficienza, dall’egoismo tipici dell’uomo vecchio.
Vorrei fermarmi un momento sulla paternità di Dio, perché possiamo lasciarci scaldare il cuore da questa profonda realtà che Gesù ci ha fatto conoscere pienamente e perché ne sia nutrita la nostra preghiera. Potremmo quindi dire che in Dio l’essere Padre ha due dimensioni. Anzitutto, Dio è nostro Padre, perché è nostro Creatore. Ognuno di noi, ogni uomo e ogni donna è un miracolo di Dio, è voluto da Lui ed è conosciuto personalmente da Lui. Quando nel Libro della Genesi si dice che l’essere umano è creato a immagine di Dio (cfr 1,27), si vuole esprimere proprio questa realtà: Dio è il nostro padre, per Lui non siamo esseri anonimi, impersonali, ma abbiamo un nome. E una parola nei Salmi mi tocca sempre quando la prego: «Le tue mani mi hanno plasmato», dice il salmista (Sal 119,73).
Ognuno di noi può dire, in questa bella immagine, la relazione personale con Dio: «Le tue mani mi hanno plasmato. Tu mi hai pensato e creato e voluto». Ma questo non basta ancora. Lo Spirito di Cristo ci apre ad una seconda dimensione della paternità di Dio, oltre la creazione, poiché Gesù è il «Figlio» in senso pieno, «della stessa sostanza del Padre», come professiamo nel Credo. Diventando un essere umano come noi, con l’Incarnazione, la Morte e la Risurrezione, Gesù a sua volta ci accoglie nella sua umanità e nel suo stesso essere Figlio, così anche noi possiamo entrare nella sua specifica appartenenza a Dio. Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù: noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra vita. E’ questa realtà fondamentale che ci viene dischiusa quando ci apriamo allo Spirito Santo ed Egli ci fa rivolgere a Dio dicendogli «Abbà!», Padre! Siamo realmente entrati oltre la creazione nella adozione con Gesù; uniti siamo realmente in Dio e figli in un nuovo modo, in una dimensione nuova.
Ma vorrei adesso ritornare ai due brani di san Paolo che stiamo considerando circa questa azione dello Spirito Santo nella nostra preghiera; anche qui sono due passi che si corrispondono, ma contengono una diversa sfumatura. Nella Lettera ai Galati, infatti, l’Apostolo afferma che lo Spirito grida in noi «Abbà! Padre!»; nella Lettera ai Romani dice che siamo noi a gridare «Abbà! Padre!». E San Paolo vuole farci comprendere che la preghiera cristiana non è mai, non avviene mai in senso unico da noi a Dio, non è solo un «agire nostro», ma è espressione di una relazione reciproca in cui Dio agisce per primo: è lo Spirito Santo che grida in noi, e noi possiamo gridare perché l'impulso viene dallo Spirito Santo. Noi non potremmo pregare se non fosse iscritto nella profondità del nostro cuore il desiderio di Dio, l'essere figli di Dio. Da quando esiste, l'homo sapiens è sempre in ricerca di Dio, cerca di parlare con Dio, perché Dio ha iscritto se stesso nei nostri cuori. Quindi la prima iniziativa viene da Dio, e con il Battesimo, di nuovo Dio agisce in noi, lo Spirito Santo agisce in noi; è il primo iniziatore della preghiera perché possiamo poi realmente parlare con Dio e dire "Abbà" a Dio. Quindi la sua presenza apre la nostra preghiera e la nostra vita, apre agli orizzonti della Trinità e della Chiesa.
Inoltre comprendiamo, questo è il secondo punto, che la preghiera dello Spirito di Cristo in noi e la nostra in Lui, non è solo un atto individuale, ma un atto dell’intera Chiesa. Nel pregare si apre il nostro cuore, entriamo in comunione non solo con Dio, ma proprio con tutti i figli di Dio, perché siamo una cosa sola. Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore, nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo. Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio; certo i musicisti e gli strumenti sono diversi - e questo è un elemento di ricchezza -, ma la melodia di lode è unica e in armonia. Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: «Abbà! Padre!» è la Chiesa, tutta la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra invocazione è invocazione della Chiesa. Questo si riflette anche nella ricchezza dei carismi, dei ministeri, dei compiti, che svolgiamo nella comunità. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «Ci sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; ci sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; ci sono diverse attività, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6). La preghiera guidata dallo Spirito Santo, che ci fa dire «Abbà! Padre!» con Cristo e in Cristo, ci inserisce nell’unico grande mosaico della famiglia di Dio in cui ognuno ha un posto e un ruolo importante, in profonda unità con il tutto.
Un’ultima annotazione: noi impariamo a gridare «Abba!, Padre!» anche con Maria, la Madre del Figlio di Dio. Il compimento della pienezza del tempo, del quale parla san Paolo nella Lettera ai Galati (cfr 4,4), avviene al momento del «sì» di Maria, della sua adesione piena alla volontà di Dio: «ecco, sono la serva del Signore» (Lc 1,38).
Cari fratelli e sorelle, impariamo a gustare nella nostra preghiera la bellezza di essere amici, anzi figli di Dio, di poterlo invocare con la confidenza e la fiducia che ha un bambino verso i genitori che lo amano. Apriamo la nostra preghiera all’azione dello Spirito Santo perché in noi gridi a Dio «Abbà! Padre!» e perché la nostra preghiera cambi, converta costantemente il nostro pensare, il nostro agire per renderlo sempre più conforme a quello del Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Grazie.

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Paparatzifan
00giovedì 24 maggio 2012 22:12
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UDIENZA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.), 24.05.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula del Sinodo, in Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i partecipanti alla 64ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in corso dal 21 al 25 maggio sul tema: Gli adulti nella comunità: maturi nella fede e testimoni di umanità.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Presuli italiani:


DISCORSO DEL SANTO PADRE



Venerati e cari Fratelli,


è un momento di grazia questo vostro annuale convenire in Assemblea, in cui vivete una profonda esperienza di confronto, di condivisione e di discernimento per il comune cammino, animato dallo Spirito del Signore Risorto; è un momento di grazia che manifesta la natura della Chiesa.
Ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco per le cordiali parole con cui mi ha accolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: a Lei, Eminenza, rivolgo i migliori auguri per la riconferma alla guida della Conferenza Episcopale Italiana.
L’affetto collegiale che vi anima nutra sempre più la vostra collaborazione a servizio della comunione ecclesiale e del bene comune della Nazione italiana, nell’interlocuzione fruttuosa con le sue istituzioni civili. In questo nuovo quinquennio proseguite insieme il rinnovamento ecclesiale che ci è stato affidato dal Concilio Ecumenico Vaticano II; il 50° anniversario del suo inizio, che celebreremo in autunno, sia motivo per approfondirne i testi, condizione di una recezione dinamica e fedele.
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Giovanni XXIII nel discorso d’apertura.
Egli impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi». (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).
Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica non certo di un’inaccettabile ermeneutica della discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa.
La razionalità scientifica e la cultura tecnica, infatti, non soltanto tendono ad uniformare il mondo, ma spesso travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di delineare il perimetro delle certezze di ragione unicamente con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura dell’agire, svincolato da ogni norma morale. Proprio in tale contesto non manca di riemergere, a volte in maniera confusa, una singolare e crescente domanda di spiritualità e di soprannaturale, segno di un’inquietudine che alberga nel cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente di Dio. Questa situazione di secolarismo caratterizza soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed erode quel tessuto culturale che, fino a un recente passato, era un riferimento unificante, capace di abbracciare l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più significativi, dalla nascita al passaggio alla vita eterna. Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto. Ne è un segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella partecipazione alla Liturgia eucaristica e, ancora di più, al Sacramento della Penitenza. Tanti battezzati hanno smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti essenziali della fede o pensano di poterla coltivare prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti guardano dubbiosi alle verità insegnate dalla Chiesa, altri riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che hanno certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non riguardano ancora il nucleo centrale della fede cristiana. Il Regno di Dio è dono che ci trascende. Come affermava il beato Giovanni Paolo II, «il regno non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile» (Redemptoris missio, 18).
Purtroppo, è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte di tante persone; e quando non incontra indifferenza, chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si vuole comunque relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e privato, marginalizzato dalla coscienza pubblica. Passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso. In questo contesto, come possiamo corrispondere alla responsabilità che ci è stata affidata dal Signore? Come possiamo seminare con fiducia la Parola di Dio, perché ognuno possa trovare la verità di se stesso, la propria autenticità e speranza?
Siamo consapevoli che non bastano nuovi metodi di annuncio evangelico o di azione pastorale a far sì che la proposta cristiana possa incontrare maggiore accoglienza e condivisione. Nella preparazione del Vaticano II, l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare intendeva dare risposta era: «Chiesa, che dici di te stessa?». Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari furono, per così dire, ricondotti al cuore della risposta: si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e testimoniato. Non a caso, infatti, la prima Costituzione approvata fu quella sulla Sacra Liturgia: il culto divino orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il suo primato, plasma la Chiesa, incessantemente convocata dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro con Dio. A nostra volta, mentre dobbiamo coltivare uno sguardo riconoscente per la crescita del grano buono anche in un terreno che si presenta spesso arido, avvertiamo che la nostra situazione richiede un rinnovato impulso, che punti a ciò che è essenziale della fede e della vita cristiana. In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio. Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua Grazia. Sant’Agostino, dopo un cammino di affannosa, ma sincera ricerca della Verità era finalmente giunto a trovarla in Dio. Allora si rese conto di un aspetto singolare che riempì di stupore e di gioia il suo cuore: capì che lungo tutto il suo cammino era la Verità che lo stava cercando e che l’aveva trovato. Vorrei dire a ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare da Dio, per aiutare ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla Verità. E’ dalla relazione con Lui che nasce la nostra comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire l’unico Popolo di Dio.
Per questo ho voluto indire un Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre prossimo, per riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per conoscere in modo più profondo le verità che sono la linfa della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, ad un rinnovato incontro con Gesù Cristo «via, verità e vita». In mezzo a trasformazioni che interessavano ampi strati dell’umanità, il Servo di Dio Paolo VI indicava chiaramente quale compito della Chiesa quello di «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Evangelii nuntiandi, 19).
Vorrei qui ricordare come, in occasione della prima visita da Pontefice nella sua terra natale, il beato Giovanni Paolo II visitò un quartiere industriale di Cracovia concepito come una sorta di «città senza Dio». Solo l’ostinazione degli operai aveva portato a erigervi prima una croce, poi una chiesa. In quei segni, il Papa riconobbe l’inizio di quella che egli, per la prima volta, definì «nuova evangelizzazione», spiegando che «l’evangelizzazione del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del Concilio Vaticano II. Deve essere, come insegna questo Concilio, opera comune dei Vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». E concluse: «Avete costruito la chiesa; edificate la vostra vita col Vangelo!» (Omelia nel Santuario della Santa Croce, Mogila, 9 giugno 1979).
Cari Confratelli, la missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della vita. Dio è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino. Come evidenzia opportunamente il tema principale di questa vostra Assemblea, la nuova evangelizzazione necessita di adulti che siano «maturi nella fede e testimoni di umanità». L’attenzione al mondo degli adulti manifesta la vostra consapevolezza del ruolo decisivo di quanti sono chiamati, nei diversi ambiti di vita, ad assumere una responsabilità educativa nei confronti delle nuove generazioni. Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita. In questo cammino formativo è particolarmente importante – a vent’anni dalla sua pubblicazione – il Catechismo della Chiesa Cattolica, sussidio prezioso per una conoscenza organica e completa dei contenuti della fede e per guidare all’incontro con Cristo. Anche grazie a questo strumento possa l’assenso di fede diventare criterio di intelligenza e di azione che coinvolge tutta l’esistenza.
Trovandoci nella novena di Pentecoste, vorrei concludere queste riflessioni con una preghiera allo Spirito Santo:


Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull’abisso,
aiuta l’umanità del nostro tempo a comprendere
che l’esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.
Spirito della Pentecoste, che fai della Chiesa un solo Corpo,
restituisci noi battezzati a un’autentica esperienza di comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.
Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno della vita e assicura l’abbondanza del
raccolto.
Amen.


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Paparatzifan
00sabato 26 maggio 2012 21:14
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DAL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO, 26.05.2012


Alle ore 11.45 di questa mattina, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Benedetto XVI riceve i partecipanti all’incontro promosso dal Rinnovamento nello Spirito Santo, in occasione del quarantesimo anniversario della nascita del Movimento.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge loro:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!


Con grande gioia vi accolgo in occasione del quarantesimo anniversario della nascita del Rinnovamento nello Spirito Santo in Italia, espressione del più vasto movimento di rinnovamento carismatico che ha attraversato la Chiesa Cattolica all’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano II. Vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dal Presidente Nazionale, che ringrazio per le belle parole, piene di Spirito, rivoltemi a nome di tutti voi. Saluto il Consigliere Spirituale, i membri del Comitato e del Consiglio, i responsabili e gli animatori dei Gruppi e delle Comunità sparsi in Italia. In questo vostro pellegrinaggio, che vi offre l’opportunità di sostare in preghiera presso la tomba di san Pietro, possiate rinvigorire la vostra fede, crescere nella testimonianza cristiana e affrontare senza paura, guidati dallo Spirito Santo, gli impegnativi compiti della nuova evangelizzazione.
Sono lieto di incontrarvi nella vigilia di Pentecoste, festa fondamentale per la Chiesa e così significativa per il vostro Movimento, e vi esorto ad accogliere l’amore di Dio che si comunica a noi mediante il dono dello Spirito Santo, principio unificatore della Chiesa. In questi decenni - quarant'anni - vi siete sforzati di offrire il vostro specifico apporto alla diffusione del Regno di Dio e all’edificazione della comunità cristiana, alimentando la comunione con il Successore di Pietro, con i Pastori e con tutta la Chiesa. In diversi modi avete affermato il primato di Dio, al quale va sempre e sommamente la nostra adorazione. E avete cercato di proporre questa esperienza alle nuove generazioni, mostrando la gioia della vita nuova nello Spirito, attraverso un’ampia opera di formazione e molteplici attività legate alla nuova evangelizzazione e alla missio ad gentes. La vostra opera apostolica ha così contribuito alla crescita della vita spirituale nel tessuto ecclesiale e sociale italiano, mediante cammini di conversione che hanno condotto molte persone ad essere risanate in profondità dall’amore di Dio, e molte famiglie a superare momenti di crisi. Non sono mancati nei vostri gruppi giovani che hanno generosamente risposto alla vocazione di speciale consacrazione a Dio nel sacerdozio o nella vita consacrata. Di tutto questo rendo grazie a voi e al Signore!
Cari amici, continuate a testimoniare la gioia della fede in Cristo, la bellezza di essere discepoli di Cristo, la potenza d’amore che il suo Vangelo sprigiona nella storia, come pure l’incomparabile grazia che ogni credente può sperimentare nella Chiesa con la pratica santificante dei Sacramenti e l’esercizio umile e disinteressato dei carismi, che, come dice san Paolo, vanno sempre utilizzati per il bene comune. Non cedete alla tentazione della mediocrità e dell’abitudine! Coltivate nell’animo desideri alti e generosi! Fate vostri i pensieri, i sentimenti, le azioni di Gesù! Sì, il Signore chiama ciascuno di voi ad essere collaboratore infaticabile del suo disegno di salvezza, che cambia i cuori; ha bisogno anche di voi per fare delle vostre famiglie, delle vostre comunità e delle vostre città, luoghi di amore e di speranza.
Nella società attuale viviamo una situazione per certi versi precaria, caratterizzata dalla insicurezza e dalla frammentarietà delle scelte. Mancano spesso validi punti di riferimento a cui ispirare la propria esistenza. Diventa, pertanto, sempre più importante costruire l’edificio della vita e il complesso delle relazioni sociali sulla roccia stabile della Parola di Dio, lasciandosi guidare dal Magistero della Chiesa. Si comprende sempre più il valore determinante dell’affermazione di Gesù, che dice: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia» (Mt 7, 24-25).
Il Signore è con noi, agisce con la forza del suo Spirito. Ci invita a crescere nella fiducia e nell’abbandono alla sua volontà, nella fedeltà alla nostra vocazione e nell’impegno a diventare adulti nella fede, nella speranza e nella carità.
Adulto, secondo il Vangelo, non è colui che non è sottoposto a nessuno e non ha bisogno di nessuno. Adulto, cioè maturo e responsabile, può essere solo colui che si fa piccolo, umile e servo davanti a Dio, e che non segue semplicemente i venti del tempo.
È necessario, perciò, formare le coscienze alla luce della Parola di Dio e così dare fermezza e vera maturità; Parola di Dio da cui trae senso e spinta ogni progetto ecclesiale e umano, anche per quanto concerne l’edificazione della città terrena (cfr Sal 127,1). Occorre rinnovare l’anima delle istituzioni e fecondare la storia con semi di vita nuova.
Oggi i credenti sono chiamati ad una convinta, sincera e credibile testimonianza di fede, strettamente unita all’impegno della carità. Per mezzo della carità, infatti, anche persone lontane o indifferenti al Messaggio del Vangelo riescono ad avvicinarsi alla verità e convertirsi all’amore misericordioso del Padre celeste.
A questo proposito, esprimo compiacimento per quanto fate per diffondere una «cultura della Pentecoste» negli ambienti sociali, proponendo un’animazione spirituale con iniziative in favore di quanti soffrono situazioni di disagio e di emarginazione. Penso in particolare alla vostra opera in favore della rinascita spirituale e materiale dei detenuti e degli ex-detenuti; penso al «Polo di Eccellenza della promozione umana e della solidarietà Mario e Luigi Sturzo», in Caltagirone; come pure al «Centro Internazionale per la Famiglia» di Nazaret, di cui ho avuto la gioia di benedire la prima pietra. Proseguite nel vostro impegno per la famiglia, imprescindibile luogo di educazione all’amore e al sacrificio di sé.
Cari amici del Rinnovamento nello Spirito Santo! Non stancatevi di rivolgervi verso il Cielo: il mondo ha bisogno della preghiera. Servono uomini e donne che sentano l’attrazione del Cielo nella loro vita, che facciano della lode al Signore uno stile di vita nuova. E siate cristiani gioiosi! Vi affido tutti a Maria Santissima, presente nel Cenacolo all’evento della Pentecoste. Perseverate con Lei nell’orazione, camminate guidati dalla luce dello Spirito Santo vivendo e proclamando l’annuncio di Cristo. Vi accompagni la Benedizione Apostolica, che con affetto vi imparto, estendendola a tutti gli aderenti e ai vostri familiari. Grazie!


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Paparatzifan
00domenica 27 maggio 2012 14:39
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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE, 27.05.2012

Alle ore 9.30 di oggi, Domenica di Pentecoste, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Santa Messa del giorno. Concelebrano con il Santo Padre i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi presenti in Urbe.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che pubblichiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di celebrare con voi questa Santa Messa, animata oggi anche dal Coro dell’Accademia di Santa Cecilia e dall’Orchestra giovanile - che ringrazio -, nella Solennità di Pentecoste. Questo mistero costituisce il battesimo della Chiesa, è un evento che le ha dato, per così dire, la forma iniziale e la spinta per la sua missione. E questa «forma» e questa «spinta» sono sempre valide, sempre attuali, e si rinnovano in modo particolare mediante le azioni liturgiche. Stamani vorrei soffermarmi su un aspetto essenziale del mistero della Pentecoste, che ai nostri giorni conserva tutta la sua importanza.
La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della comunione umana. Tutti possiamo constatare come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, la comprensione e la comunione tra le persone è spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo veramente trovare e vivere quell’unità di cui abbiamo tanto bisogno?
La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verifica qualcosa di strano e di singolare.
Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano costruendo l’uno contro l’altro. Mentre tentavano di essere come Dio, correvano il pericolo di non essere più neppure uomini, perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo. Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?
La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. Questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco d’amore, capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.
Ma guardiamo al Vangelo di oggi, nel quale Gesù afferma: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito di unità e di verità, può continuare a risuonare nei cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.
La contrapposizione tra Babele e Pentecoste riecheggia anche nella seconda lettura, dove l’Apostolo dice: "Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne" (Gal 5,16). San Paolo ci spiega che la nostra vita personale è segnata da un conflitto interiore, da una divisione, tra gli impulsi che provengono dalla carne e quelli che provengono dallo Spirito; e noi non possiamo seguirli tutti.
Non possiamo, infatti, essere contemporaneamente egoisti e generosi, seguire la tendenza a dominare sugli altri e provare la gioia del servizio disinteressato. Dobbiamo sempre scegliere quale impulso seguire e lo possiamo fare in modo autentico solo con l’aiuto dello Spirito di Cristo. San Paolo elenca le opere della carne, sono i peccati di egoismo e di violenza, come inimicizia, discordia, gelosia, dissensi; sono pensieri e azioni che non fanno vivere in modo veramente umano e cristiano, nell’amore. E’ una direzione che porta a perdere la propria vita. Invece lo Spirito Santo ci guida verso le altezze di Dio, perché possiamo vivere già in questa terra il germe di vita divina che è in noi. Afferma, infatti, san Paolo: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace» (Gal 5,22). Notiamo che l’Apostolo usa il plurale per descrivere le opere della carne, che provocano la dispersione dell’essere umano, mentre usa il singolare per definire l’azione dello Spirito, parla di «frutto», proprio come alla dispersione di Babele si contrappone l’unità di Pentecoste.
Cari amici, dobbiamo vivere secondo lo Spirito di unità e di verità, e per questo dobbiamo pregare perché lo Spirito ci illumini e ci guidi a vincere il fascino di seguire nostre verità, e ad accogliere la verità di Cristo trasmessa nella Chiesa. Il racconto lucano della Pentecoste ci dice che Gesù prima di salire al cielo chiese agli Apostoli di rimanere insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo.
Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.



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Paparatzifan
00domenica 27 maggio 2012 14:44
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI, 27.05.2012


Conclusa la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana per la Solennità di Pentecoste, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:


PRIMA DEL REGINA CAELI


Cari fratelli e sorelle!


Celebriamo oggi la grande festa di Pentecoste, che porta a compimento il Tempo di Pasqua, cinquanta giorni dopo la Domenica della Risurrezione. Questa solennità ci fa ricordare e rivivere l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli e gli altri discepoli, riuniti in preghiera con la Vergine Maria nel Cenacolo (cfr At 2,1-11). Gesù, risorto e asceso al cielo, invia alla Chiesa il suo Spirito, affinché ogni cristiano possa partecipare alla sua stessa vita divina e diventare suo valido testimone nel mondo. Lo Spirito Santo, irrompendo nella storia, ne sconfigge l’aridità, apre i cuori alla speranza, stimola e favorisce in noi la maturazione interiore nel rapporto con Dio e con il prossimo.
Lo Spirito, che «ha parlato per mezzo dei profeti», con i doni della sapienza e della scienza continua ad ispirare donne e uomini che si impegnano nella ricerca della verità, proponendo vie originali di conoscenza e di approfondimento del mistero di Dio, dell’uomo e del mondo.
In questo contesto, sono lieto di annunciare che il prossimo 7 ottobre, all’inizio dell’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, proclamerò san Giovanni d’Avila e santa Ildegarda di Bingen Dottori della Chiesa universale. Questi due grandi testimoni della fede vissero in periodi storici e ambienti culturali assai diversi. Ildegarda fu monaca benedettina nel cuore del Medioevo tedesco, autentica maestra di teologia e profonda studiosa delle scienze naturali e della musica. Giovanni, sacerdote diocesano negli anni del rinascimento spagnolo, partecipò al travaglio del rinnovamento culturale e religioso della Chiesa e della compagine sociale agli albori della modernità. Ma la santità della vita e la profondità della dottrina li rendono perennemente attuali: la grazia dello Spirito Santo, infatti, li proiettò in quell’esperienza di penetrante comprensione della rivelazione divina e di intelligente dialogo con il mondo che costituiscono l’orizzonte permanente della vita e dell’azione della Chiesa.
Soprattutto alla luce del progetto di una nuova evangelizzazione, alla quale sarà dedicata la menzionata Assemblea del Sinodo dei Vescovi, e alla vigilia dell’Anno della Fede, queste due figure di Santi e Dottori appaiono di rilevante importanza e attualità. Anche ai nostri giorni, attraverso il loro insegnamento, lo Spirito del Signore risorto continua a far risuonare la sua voce e ad illuminare il cammino che conduce a quella Verità che sola può renderci liberi e dare senso pieno alla nostra vita.
Pregando ora insieme il Regina Caeli, invochiamo l’intercessione della Vergine Maria affinché ottenga alla Chiesa di essere potentemente animata dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirsi sempre più alla pienezza della verità.


DOPO IL REGINA CAELI


Cari fratelli e sorelle!


Stamani a Vannes, in Francia, è stata proclamata Beata Mère Saint-Louis, al secolo Louise-Élisabeth Molé, fondatrice delle Suore della Carità di San Luigi, vissuta tra il XVIII e il XIX secolo. Rendiamo grazie a Dio per questa esemplare testimone dell’amore per Dio e per il prossimo.


Ricordo inoltre che venerdì prossimo, 1° giugno, mi recherò a Milano, dove avrà luogo il VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Invito tutti a seguire questo evento e a pregare per la sua buona riuscita.


En ce jour de la fête de la Pentecôte, je suis heureux de vous accueillir chers pèlerins francophones. Aujourd’hui, je participe aussi spirituellement à la joie des fidèles du diocèse de Vannes rassemblés pour la célébration de la Béatification de Louise-Élisabeth Molé, Mère Saint-Louis. Fondatrice des Sœurs de la Charité de Saint-Louis, elle nous apprend comment, avec l’aide de l’Esprit-Saint, nous pouvons ouvrir notre cœur avec douceur pour rejoindre les autres dans leur différence, leur fragilité et leur pauvreté. Laissons nous guider nous aussi par l’Esprit pour annoncer au monde les merveilles de Dieu ! Que la Vierge Marie nous aide à être des témoins de l’Esprit de vérité et de liberté ! Bonne fête de la Pentecôte à tous !


I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Regina Caeli on the Solemnity of Pentecost. Next Friday, I will go to Milan to be with families from all over the world celebrating the Seventh World Meeting of Families. I ask you to join me in praying for the success of this important event, and that families may be filled with the Holy Spirit, rediscover the joy of their vocation in the Church and the world, and bear loving witness to the faith. Upon all of you, I invoke God’s abundant blessings!


Einen frohen Pfingstgruß richte ich an alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die liturgischen Texte dieses Hochfestes sagen uns, wie der Heilige Geist wirkt: Der Heilige Geist schafft Gemeinschaft und Verständnis unter Menschen verschiedener Herkunft. Er macht die Jünger Jesu zu mutigen Zeugen, die das Erlösungswerk Christi in allen Sprachen verkünden. Er führt in die ganze Wahrheit ein und ist Tröster in Leid und Not. Erbitten wir sein Wirken auch in unseren Tagen, damit das Angesicht der Erde aus dem innersten Geheimnis Gottes heraus erneuert werde. Euch allen wünsche ich ein gesegnetes Pfingstfest!


Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Hoy, día de Pentecostés, la liturgia alaba al Espíritu Santo por haber congregado a su Iglesia en la confesión de una misma fe, infundiéndole el conocimiento de Dios. Pidamos que el Espíritu de la Verdad, que procede del Padre, nos siga enseñando y dando la fuerza necesaria para ser testigos ante el mundo de Cristo Redentor, y en todo el orbe se ensalce e invoque al tres veces Santo. Feliz domingo.


Srdečně zdravím poutníky z České republiky, kteří v těchto dnech zde v Římě zahajují jubilejní rok svatého Cyrila a Metoděje. Pokoj vám!


[Saluto cordialmente i pellegrini della Repubblica Ceca, che in questi giorni inaugurano qui a Roma l’anno giubilare dei santi Cirillo e Metodio. Pace a voi!]


Lepo pozdravljam romarje iz Grosuplja in drugih krajev Slovenije! Ob današnjem prazniku binkošti se kristjani še posebej obračamo na Svetega Duha. Naj On napolnjuje vaša srca in vodi vaše misli, da se ne boste ravnali po tem svetu, ampak boste deležni sadov Kristusovega vstajenja. Naj bo z vami moj blagoslov!


[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti da Grosuplje e da altri luoghi della Slovenia! In occasione dell’odierna solennità di Pentecoste, noi cristiani ci rivolgiamo con particolare devozione allo Spirito Santo. Sia Lui a riempire i vostri cuori e a guidare le vostre menti, affinché non vi adeguiate alla mentalità di questo secolo, ma siate partecipi dei frutti della Risurrezione di Cristo. Vi accompagni la mia Benedizione!]


Pozdrawiam wszystkich Polaków. Myślą obejmuję pielgrzymów, którzy gromadzą się u stóp Maryi w Piekarach Śląskich. W uroczystość Zesłania Ducha Świętego otwieramy serca i umysły na Jego działanie i prosimy, aby nieustannie rozpalał naszą wiarę, nadzieję i miłość ogniem Bożej łaski. Niech żywe doświadczenie obecności Ducha Parakleta napełnia was pokojem.


[Saluto tutti i polacchi. Con il pensiero abbraccio i pellegrini che si radunano ai piedi di Maria a Piekary Slaskie. Nella solennità della Pentecoste apriamo i nostri cuori e le nostre menti alla Sua azione e chiediamo perché ininterrottamente infochi la nostra fede, la speranza e l’amore con la fiamma della grazia di Dio. La viva esperienza della presenza dello Spirito Paraclito vi colmi di pace.]


Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare all’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e alla Fondazione "Gigi Ghirotti", alle quali esprimo apprezzamento per l’impegno di dare sostegno e speranza a tante persone nella sofferenza. Saluto la Misericordia di Santa Croce sull’Arno e la Federazione Italiana di Tiro con l’Arco. Un saluto speciale va alla rappresentanza della Polizia di Stato, a 160 anni dalla fondazione. A tutti auguro una buona festa, una buona domenica. Buona festa!


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Paparatzifan
00mercoledì 30 maggio 2012 22:27
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L’UDIENZA GENERALE, 30.05.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo,

Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando la Sua catechesi sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo, ha incentrato la Sua meditazione sul tema: "In Gesù Cristo il "sì" fedele di Dio e l’ "amen" della Chiesa" (2Cor 1,3-14.19-20).

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

In Gesù Cristo il "sì" fedele di Dio e l’ "amen" della Chiesa" (2Cor 1,3-14.19-20)

Cari fratelli e sorelle,

in queste catechesi stiamo meditando la preghiera nelle lettere di san Paolo e cerchiamo di vedere la preghiera cristiana come un vero e personale incontro con Dio Padre, in Cristo, mediante lo Spirito Santo. Oggi in questo incontro entrano in dialogo il «sì» fedele di Dio e l’«amen» fiducioso dei credenti. E vorrei sottolineare questa dinamica, soffermandomi sulla Seconda Lettera ai Corinzi. San Paolo invia questa appassionata Lettera a una Chiesa che più volte ha messo in discussione il suo apostolato, ed egli apre il suo cuore perché i destinatari siano rassicurati sulla sua fedeltà a Cristo e al Vangelo. Questa Seconda Lettera ai Corinzi inizia con una delle preghiere di benedizione più alte del Nuovo Testamento. Suona così: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2Cor 1,3-4).
Quindi Paolo vive in grande tribolazione, sono molte le difficoltà e le afflizioni che ha dovuto attraversare, ma non ha mai ceduto allo scoraggiamento, sorretto dalla grazia e dalla vicinanza del Signore Gesù Cristo, per il quale era diventato apostolo e testimone consegnando nelle sue mani tutta la propria esistenza.
Proprio per questo, Paolo inizia questa Lettera con una preghiera di benedizione e di ringraziamento verso Dio, perché non c’è stato alcun momento della sua vita di apostolo di Cristo in cui abbia sentito venir meno il sostegno del Padre misericordioso, del Dio di ogni consolazione.
Ha sofferto terribilmente, lo dice proprio in questa Lettera, ma in tutte queste situazioni, dove sembrava non aprirsi una ulteriore strada, ha ricevuto consolazione e conforto da Dio. Per annunziare Cristo ha subito anche persecuzioni, fino ad essere rinchiuso in carcere, ma si è sentito sempre interiormente libero, animato dalla presenza di Cristo e desideroso di annunciare la parola di speranza del Vangelo.
Dal carcere così scrive a Timoteo, suo fedele collaboratore. Lui in catene scrive: «la Parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, affinché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo, insieme alla gloria eterna» (2Tm 2,9b-10). Nel suo soffrire per Cristo, egli sperimenta la consolazione di Dio. Scrive: «come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo, abbonda la nostra consolazione» (2Cor 1,5).
Nella preghiera di benedizione che introduce la Seconda Lettera ai Corinzi domina quindi, accanto al tema delle afflizioni, il tema della consolazione, da non intendersi solo come semplice conforto, ma soprattutto come incoraggiamento ed esortazione a non lasciarsi vincere dalla tribolazione e dalle difficoltà. L’invito è a vivere ogni situazione uniti a Cristo, che carica su di sé tutta la sofferenza e il peccato del mondo per portare luce, speranza, e redenzione. E così Gesù ci rende capaci di consolare a nostra volta quelli che si trovano in ogni genere di afflizione. La profonda unione con Cristo nella preghiera, la fiducia nella sua presenza, conducono alla disponibilità a condividere le sofferenze e le afflizioni dei fratelli. Scrive Paolo: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non frema?» (2Cor 11,29). Questa condivisione non nasce da una semplice benevolenza, né solo dalla generosità umana o dallo spirito di altruismo, bensì scaturisce dalla consolazione del Signore, dal sostegno incrollabile della «straordinaria potenza che viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7).
Cari fratelli e sorelle, la nostra vita e il nostro cammino cristiano sono segnati spesso da difficoltà, da incomprensioni, da sofferenze. Tutti lo sappiamo. Nel rapporto fedele con il Signore, nella preghiera costante, quotidiana, possiamo anche noi, concretamente, sentire la consolazione che viene da Dio. E questo rafforza la nostra fede, perché ci fa sperimentare in modo concreto il «sì» di Dio all’uomo, a noi, a me, in Cristo; fa sentire la fedeltà del suo amore, che giunge fino al dono del suo Figlio sulla Croce. Afferma san Paolo: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunziato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui ci fu il "sì". Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono "sì". Per questo per mezzo di lui sale a Dio il nostro "amen", per la sua gloria» (2Cor 1,19-20). Il «sì» di Dio non è dimezzato, non va tra «sì» e «no», ma è un semplice e sicuro «sì». E a questo «sì» noi rispondiamo con il nostro «sì», con il nostro «amen» e così siamo sicuri nel «sì» di Dio.
La fede non è primariamente azione umana, ma dono gratuito di Dio, che si radica nella sua fedeltà, nel suo «sì», che ci fa comprendere come vivere la nostra esistenza amando Lui e i fratelli. Tutta la storia della salvezza è un progressivo rivelarsi di questa fedeltà di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti, nella certezza che «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!», come dichiara l’Apostolo nella Lettera ai Romani (11,29).
Cari fratelli e sorelle, il modo di agire di Dio - ben diverso dal nostro - ci dà consolazione, forza e speranza perché Dio non ritira il suo «sì». Di fronte ai contrasti nelle relazioni umane, spesso anche familiari, noi siamo portati a non perseverare nell’amore gratuito, che costa impegno e sacrificio. Invece, Dio non si stanca con noi, non si stanca mai di avere pazienza con noi e con la sua immensa misericordia ci precede sempre, ci viene incontro per primo, è assolutamente affidabile questo suo «sì». Nell’evento della Croce ci offre la misura del suo amore, che non calcola, che non ha misura. San Paolo nella Lettera a Tito scrive: «È apparsa la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4). E perché questo «sì» si rinnovi ogni giorno «ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,21b-22).
E’ infatti lo Spirito Santo che rende continuamente presente e vivo il «sì» di Dio in Gesù Cristo e crea nel nostro cuore il desiderio di seguirlo per entrare totalmente, un giorno, nel suo amore, quando riceveremo una dimora non costruita da mani umane nei cieli. Non c’è persona che non sia raggiunta e interpellata da questo amore fedele, capace di attendere anche quanti continuano a rispondere con il «no» del rifiuto o dell’indurimento del cuore. Dio ci aspetta, ci cerca sempre, vuole accoglierci nella comunione con Sé per donare a ognuno di noi pienezza di vita, di speranza e di pace.
Sul «sì» fedele di Dio s’innesta l’«amen» della Chiesa che risuona in ogni azione della liturgia: «amen» è la risposta della fede che chiude sempre la nostra preghiera personale e comunitaria, e che esprime il nostro «sì» all’iniziativa di Dio. Spesso rispondiamo per abitudine col nostro «amen» nella preghiera, senza coglierne il significato profondo.
Questo termine deriva da ’aman che, in ebraico e in aramaico, significa «rendere stabile», «consolidare» e, di conseguenza, «essere certo», «dire la verità». Se guardiamo alla Sacra Scrittura, vediamo che questo «amen» è detto alla fine dei Salmi di benedizione e di lode, come, ad esempio, nel Salmo 41: «Per la mia integrità tu mi sostieni e mi fai stare alla tua presenza per sempre. Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen» (vv. 13-14). Oppure esprime adesione a Dio, nel momento in cui il popolo di Israele ritorna pieno di gioia dall’esilio babilonese e dice il suo «sì», il suo «amen» a Dio e alla sua Legge. Nel Libro di Neemia si narra che, dopo questo ritorno, «Esdra aprì il libro (della Legge) in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: "Amen, amen", alzando le mani» (Ne 8,5-6).
Sin dagli inizi, quindi, l’«amen» della liturgia giudaica è diventato l’«amen» delle prime comunità cristiane. E il libro della liturgia cristiana per eccellenza, l’Apocalisse di San Giovanni, inizia con l’«amen» della Chiesa: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,5b-6). Così nel primo capitolo dell'Apocalisse. E lo stesso libro si chiude con l’invocazione «Amen, vieni, Signore Gesù» (Ap 22,21).
Cari amici, la preghiera è l’incontro con una Persona viva da ascoltare e con cui dialogare; è l’incontro con Dio che rinnova la sua fedeltà incrollabile, il suo «sì» all’uomo, a ciascuno di noi, per donarci la sua consolazione in mezzo alle tempeste della vita e farci vivere, uniti a Lui, un’esistenza piena di gioia e di bene, che troverà il suo compimento nella vita eterna.
Nella nostra preghiera siamo chiamati a dire «sì» a Dio, a rispondere con questo «amen» dell’adesione, della fedeltà a Lui di tutta la nostra vita. Questa fedeltà non la possiamo mai conquistare con le nostre forze, non è solo frutto del nostro impegno quotidiano; essa viene da Dio ed è fondata sul «sì» di Cristo, che afferma: mio cibo è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34). E’ in questo «sì» che dobbiamo entrare, entrare in questo «sì» di Cristo, nell’adesione alla volontà di Dio, per giungere con san Paolo ad affermare che non siamo noi a vivere, ma è Cristo stesso che vive in noi. Allora l’«amen» della nostra preghiera personale e comunitaria avvolgerà e trasformerà tutta la nostra vita, una vita di consolazione di Dio, una vita immersa nell'Amore eterno e incrollabile. Grazie.


Saluto in lingua italiana

Porgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, le Suore di Nostra Signora della Mercede e le Suore Francescane dell’Immacolata, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali. Care sorelle, il Signore vi doni di rispondere con prontezza alle sue sollecitazioni. Saluto gli esponenti del Centro Sportivo Italiano di Imola, accompagnati dal Vescovo Mons. Tommaso Ghirelli, i membri della Selezione Sacerdoti Calcio e i ministranti della Parrocchia dei Santi Antonio e Annibale Maria in Roma.

Mi è poi gradito rivolgere un saluto particolare ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Lo Spirito Santo, dono di Cristo risuscitato, guidi voi, cari giovani, e vi renda cарасi di orientare con decisione la vita verso il bene; sostenga voi, cari ammalati, ad accogliere la sofferenza quale misterioso strumento di salvezza per voi e реr i fratelli; aiuti voi, cari sposi novelli, a riscoprire ogni giorno le esigenze dell'amore, per essere sempre pronti a comprendervi e sostenervi reciprocamente.

Gli avvenimenti successi in questi giorni, circa la Curia e i miei collaboratori, hanno recato tristezza nel mio cuore, ma non si è mai offuscata la ferma certezza che, nonostante la debolezza dell’uomo, le difficoltà e le prove, la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo e il Signore mai le farà mancare il suo aiuto per sostenerla nel suo cammino. Si sono moltiplicate, tuttavia, illazioni, amplificate da alcuni mezzi di comunicazione, del tutto gratuite e che sono andate ben oltre i fatti, offrendo un’immagine della Santa Sede che non risponde alla realtà. Desidero, per questo, rinnovare la mia fiducia e il mio incoraggiamento ai miei più stretti collaboratori e a tutti coloro che, quotidianamente, con fedeltà, spirito di sacrificio e nel silenzio, mi aiutano nell’adempimento del mio Ministero.

E, infine, il mio pensiero va ancora una volta alle care popolazioni dell’Emilia, colpite da ulteriori forti scosse sismiche, che hanno causato vittime e ingenti danni, specialmente alle chiese. Sono vicino con la preghiera e l’affetto ai feriti, come pure a coloro che hanno subito disagi, ed esprimo il più sentito cordoglio ai familiari di quanti hanno perso la vita. Auspico che con l’aiuto di tutti e la solidarietà dell’intera Nazione possa riprendere al più presto la vita normale in quelle terre così duramente provate.

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Paparatzifan
00venerdì 1 giugno 2012 16:36
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CELEBRAZIONE MARIANA PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO, 31.05.2012

Si svolge questa sera alle ore 20, nei Giardini Vaticani, la tradizionale processione con la recita del Santo Rosario, a conclusione del mese mariano. Dalla chiesa di Santo Stefano degli Abissini, antistante l’abside della Basilica di San Pietro, i fedeli raggiungono la grotta della Madonna di Lourdes. La celebrazione mariana è presieduta dal Cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Arciprete della Basilica di San Pietro.
Alle ore 21, il Santo Padre Benedetto XVI giunge alla Grotta di Lourdes e prima di impartire la Benedizione Apostolica rivolge ai presenti le parole che riportiamo di seguito:

PAROLE DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle,


sono sempre molto lieto di partecipare a questa veglia mariana in Vaticano, un momento che, anche con la presenza di tante persone, ha sempre un carattere intimo e familiare. Il mese che la devozione dei fedeli dedica in modo tutto particolare al culto della Madre di Dio si chiude con la festa liturgica che ricorda il «secondo mistero gaudioso»: la visita di Maria alla parente Elisabetta. Questo evento è caratterizzato dalla gioia espressa dalle parole con le quali la Vergine Santa glorifica l’Onnipotente per le grandi cose che Egli ha compiuto guardando all’umiltà della sua serva: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore» (Lc 1, 46). Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino.
Al contrario, Maria ha posto Dio al centro della propria vita, si è abbandonata fiduciosa alla sua volontà, in atteggiamento di umile docilità al suo disegno d’amore. A motivo di questa sua povertà di spirito e umiltà di cuore, è stata scelta per essere il tempio che porta in sé il Verbo, il Dio fatto uomo. Di Lei, pertanto, è figura la «Figlia di Sion» che il profeta Sofonia invita a rallegrarsi, a esultare di gioia (cfr Sof 3,14).
Cari amici, questa sera vogliamo volgere il nostro sguardo a Maria con rinnovato affetto filiale.
Tutti abbiamo sempre da imparare dalla nostra Madre celeste: la sua fede ci invita a guardare al di là delle apparenze e a credere fermamente che le difficoltà quotidiane preparano una primavera che è già iniziata in Cristo Risorto.
Al Cuore Immacolato di Maria vogliamo attingere questa sera con rinnovata fiducia per lasciarci contagiare dalla sua gioia, che trova la sorgente più profonda nel Signore. La gioia, frutto dello Spirito Santo, è distintivo fondamentale del cristiano: essa si fonda sulla speranza in Dio, trae forza dalla preghiera incessante, permette di affrontare con serenità le tribolazioni. San Paolo ci ricorda: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12, 12). Queste parole dell’Apostolo sono come un’eco al Magnificat di Maria e ci esortano a riprodurre in noi stessi, nella vita di tutti i giorni, i sentimenti di gioia nella fede, propri del cantico mariano.
Vorrei augurare a tutti e a ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle, venerati Signori Cardinali, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli tutti, che questa letizia spirituale, traboccata dal cuore ricolmo di gratitudine della Madre di Cristo e Madre nostra, sia alla fine di questo mese di maggio più consolidata nei nostri animi, nella nostra vita personale e familiare, in ogni ambiente, specialmente nella vita di questa famiglia che qui in Vaticano serve la Chiesa universale. Grazie a tutti!


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Paparatzifan
00venerdì 8 giugno 2012 14:09
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L’UDIENZA GENERALE, 06.06.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa ha parlato della Sua Visita Pastorale all’arcidiocesi di Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La visita pastorale a Milano
VII Incontro Mondiale delle Famiglie

Cari fratelli e sorelle,

«La famiglia, il lavoro e la festa»: è stato questo il tema del Settimo Incontro Mondiale delle Famiglie, che si è svolto nei giorni scorsi a Milano.
Porto ancora negli occhi e nel cuore le immagini e le emozioni di questo indimenticabile e meraviglioso evento, che ha trasformato Milano in una città delle famiglie: nuclei familiari provenienti da tutto il mondo, uniti dalla gioia di credere in Gesù Cristo. Sono profondamente grato a Dio che mi ha concesso di vivere questo appuntamento «con» le famiglie e «per» la famiglia. In quanti mi hanno ascoltato in questi giorni ho trovato una sincera disponibilità ad accogliere e testimoniare il «Vangelo della famiglia». Sì, perché non c’è futuro dell’umanità senza la famiglia; in particolare i giovani, per apprendere i valori che danno senso all’esistenza, hanno bisogno di nascere e di crescere in quella comunità di vita e di amore che Dio stesso ha voluto per l’uomo e per la donna.
L’incontro con le numerose famiglie provenienti dai diversi Continenti mi ha offerto la felice occasione di visitare per la prima volta come Successore di Pietro l’Arcidiocesi di Milano. Mi hanno accolto con grande calore - di cui sono profondamente grato - il Cardinale Angelo Scola, i presbiteri e i fedeli tutti, come pure il Sindaco e le altre Autorità. Ho così potuto sperimentare da vicino la fede della popolazione ambrosiana, ricca di storia, di cultura, di umanità e di operosa carità.
Nella piazza del Duomo, simbolo e cuore della Città, c’è stato il primo appuntamento di questa intensa visita pastorale di tre giorni. Non posso dimenticare l’abbraccio caloroso della folla dei milanesi e dei partecipanti al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che mi ha accompagnato poi lungo tutto il percorso della mia Visita, con le strade gremite di gente.
Una distesa di famiglie in festa, che con sentimenti di profonda partecipazione si è unita in particolare al pensiero affettuoso e solidale che ho voluto da subito rivolgere a quanti hanno bisogno di aiuto e di conforto, e sono afflitti da varie preoccupazioni, specialmente alle famiglie più colpite dalla crisi economica e alle care popolazioni terremotate. In questo primo incontro con la Città ho voluto anzitutto parlare al cuore dei fedeli ambrosiani, esortandoli a vivere la fede nella loro esperienza personale e comunitaria, privata e pubblica, così da favorire un autentico «ben-essere», a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità.
Dall’alto del Duomo, la statua della Madonna con le braccia spalancate sembrava accogliere con tenerezza materna tutte le famiglie di Milano e del mondo intero!
Milano mi ha riservato poi un singolare e nobile saluto in uno dei luoghi più suggestivi e significativi della Città, il Teatro alla Scala dove sono state scritte pagine importanti della storia del Paese, sotto l’impulso di grandi valori spirituali e ideali. In questo tempio della musica, le note della Nona Sinfonia di Ludwing van Beethoven hanno dato voce a quell’istanza di universalità e di fraternità, che la Chiesa ripropone instancabilmente, annunciando il Vangelo. E proprio al contrasto tra questo ideale e i drammi della storia, e all’esigenza di un Dio vicino, che condivida le nostre sofferenze, ho fatto riferimento alla fine del concerto, dedicandolo ai tanti fratelli e sorelle provati dal terremoto.
Ho sottolineato che in Gesù di Nazaret Dio si fa vicino e porta con noi la nostra sofferenza. Al termine di quell’intenso momento artistico e spirituale, ho voluto fare riferimento alla famiglia del terzo millennio, ricordando che è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; ed è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo.
All’indomani, nel Duomo gremito di sacerdoti, religiosi e religiose, e seminaristi, alla presenza di molti Cardinali e di Vescovi che hanno raggiunto Milano da vari Paesi del mondo, ho celebrato l’Ora Terza secondo la liturgia ambrosiana. Là ho voluto ribadire il valore del celibato e della verginità consacrata, tanto cara al grande sant’Ambrogio. Celibato e verginità nella Chiesa sono un segno luminoso dell’amore per Dio e per i fratelli, che parte da un rapporto sempre più intimo con Cristo nella preghiera e si esprime nel dono totale di se stessi.
Un momento carico di grande entusiasmo è stato poi l’appuntamento allo stadio «Meazza», dove ho sperimentato l’abbraccio di una moltitudine gioiosa di ragazzi e ragazze che quest’anno hanno ricevuto o stanno per ricevere il Sacramento della Cresima. L’accurata preparazione della manifestazione, con significativi testi e preghiere, come pure coreografie, ha reso ancora più stimolante l’incontro. Ai ragazzi ambrosiani ho rivolto l’appello a dire un «sì» libero e consapevole al Vangelo di Gesù, accogliendo i doni dello Spirito Santo che permettono di formarsi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Li ho incoraggiati ad essere impegnati, in particolare nello studio e nel servizio generoso al prossimo.
L’incontro con le rappresentanze delle autorità istituzionali, degli imprenditori e dei lavoratori, del mondo della cultura e dell’educazione della società milanese e lombarda, mi ha permesso di evidenziare l’importanza che la legislazione e l’opera delle istituzioni statali siano a servizio e a tutela della persona nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione, e dal riconoscimento dell’identità propria della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Dopo questo ultimo appuntamento dedicato alla realtà diocesana e cittadina, mi sono recato alla grande area del Parco Nord, in territorio di Bresso, dove ho preso parte alla coinvolgente Festa delle Testimonianze dal titolo «One world, family, love».
Qui ho avuto la gioia di incontrare migliaia di persone, un arcobaleno di famiglie italiane e di tutto il mondo, già riunite dal primo pomeriggio in un’atmosfera di festa e di calore autenticamente familiare.
Rispondendo alle domande di alcune famiglie, domande scaturite dalla loro vita e dalle loro esperienze, ho voluto dare un segno del dialogo aperto che esiste tra le famiglie e la Chiesa, tra il mondo e la Chiesa. Sono stato molto colpito dalle testimonianze toccanti di coniugi e figli di diversi Continenti, sui temi scottanti dei nostri tempi: la crisi economica, la difficoltà di conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, il diffondersi di separazioni e divorzi, come anche interrogativi esistenziali che toccano adulti, giovani e bambini. Qui vorrei ricordare quanto ho ribadito a difesa del tempo della famiglia, minacciato da una sorta di «prepotenza» degli impegni lavorativi: la domenica è il giorno del Signore e dell’uomo, un giorno in cui tutti devono poter essere liberi, liberi per la famiglia e liberi per Dio. Difendendo la domenica, difendiamo la libertà dell’uomo!
La Santa Messa di domenica 3 giugno, conclusiva del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, ha visto la partecipazione di una immensa assemblea orante, che ha riempito completamente l’area dell’aeroporto di Bresso, diventata quasi una grande cattedrale a cielo aperto, anche grazie alla riproduzione delle stupende vetrate policrome del Duomo che spiccavano sul palco.
Davanti a quella miriade di fedeli, provenienti da diverse Nazioni e profondamente partecipi della liturgia molto ben curata, ho lanciato un appello a edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza della Santissima Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma per irradiazione, con la forza dell’amore vissuto, perché l’amore è l’unica forza che può trasformare il mondo. Inoltre, ho sottolineato l’importanza della «triade» famiglia, lavoro e festa. Sono tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio per costruire società dal volto umano.
Sento profonda gratitudine per queste magnifiche giornate milanesi. Grazie al Cardinale Ennio Antonelli e al Pontificio Consiglio per la Famiglia, a tutte le Autorità, per la loro presenza e collaborazione all’evento; grazie anche al Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana per aver partecipato alla Santa Messa di Domenica. E rinnovo un «grazie» cordiale alle varie istituzioni che hanno generosamente cooperato con la Santa Sede e con l’Arcidiocesi di Milano per l’organizzazione dell’Incontro, che ha avuto grande successo pastorale ed ecclesiale, come pure vasta eco in tutto il mondo.
Esso, infatti, ha richiamato a Milano oltre un milione di persone, che per diversi giorni hanno pacificamente invaso le strade, testimoniando la bellezza della famiglia, speranza per l’umanità.
L’Incontro mondiale di Milano è risultato così un’eloquente «epifania» della famiglia, che si è mostrata nella varietà delle sue espressioni, ma anche nell’unicità della sua identità sostanziale: quella di una comunione d’amore, fondata sul matrimonio e chiamata ad essere santuario della vita, piccola Chiesa, cellula della società.
Da Milano è stato lanciato a tutto il mondo un messaggio di speranza, sostanziato di esperienze vissute: è possibile e gioioso, anche se impegnativo, vivere l’amore fedele, «per sempre», aperto alla vita; è possibile partecipare come famiglie alla missione della Chiesa ed alla costruzione della società.
Grazie all’aiuto di Dio e alla speciale protezione di Maria Santissima, Regina della Famiglia, l'esperienza vissuta a Milano sia apportatrice di frutti abbondanti al cammino della Chiesa, e sia auspicio di una accresciuta attenzione alla causa della famiglia, che è la causa stessa dell’uomo e della civiltà. Grazie.


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Paparatzifan
00venerdì 8 giugno 2012 19:07
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE A SUA MAESTÀ ELISABETTA II, REGINA DEL REGNO UNITO, IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DI DIAMANTE DEL SUO REGNO , 06.06.2012

Pubblichiamo di seguito il Messaggio d’augurio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato a Sua Maestà la Regina Elisabetta II in occasione dei festeggiamenti per i Suoi 60 anni di regno:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


A Sua Maestà la Regina Elisabetta II

Scrivo per formularle, Maestà, le mie più cordiali congratulazioni nella lieta occasione del giubileo di diamante del suo regno. Negli ultimi sessant’anni lei ha offerto ai suoi sudditi e al mondo intero un esempio ispirante di dedizione al dovere e d’impegno a sostenere i principi di libertà, giustizia e democrazia, conformemente a una nobile visione del ruolo di un monarca cristiano.
Conservo cordiali ricordi della cortese accoglienza che lei, Maestà, mi ha riservato a Holyroodhouse a Edimburgo, all’inizio della mia visita Apostolica nel Regno Unito nel settembre 2010, e rinnovo i miei ringraziamenti per l’ospitalità che ho ricevuto in tutti e quattro quei giorni. Il suo impegno personale a favore della cooperazione e del mutuo rispetto tra i seguaci delle diverse tradizioni religiose ha contribuito in non poca misura a migliorare le relazioni ecumeniche e interreligiose nei suoi regni.
Affidando Sua Maestà e l’intera Famiglia Reale alla protezione di Dio Onnipotente, rinnovo i miei cordiali buoni auspici in questa gioiosa occasione e l’assicuro delle mie preghiere per la sua buona salute e prosperità.
Dal Vaticano, 23 maggio 2012


BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00sabato 9 giugno 2012 10:57
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER L’APERTURA DEI CAMPIONATI EUROPEI DI CALCIO 2012, 08.06.2012


Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente della Conferenza Episcopale Polacca, S.E. Mons. Józef Michalik, per l’apertura dei Campionati Europei di Calcio 2012 che si svolgeranno in Polonia e Ucraina:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


Sua Eccellenza
Mons. Józef Michalik
Presidente della Conferenza Episcopale Polacca
Varsavia


Fra poco inizieranno i Campionati Europei di calcio, che si svolgeranno in Polonia e in Ucraina. Quest’evento sportivo coinvolge non solo gli organizzatori, gli atleti e i tifosi, ma – in diversi modi e nei diversi campi della vita – tutta la società. Anche la Chiesa non rimane indifferente a tale evento, in particolare alle necessità spirituali di coloro che ne prendono parte. Con riconoscenza accolgo le informazioni che giungono di programmati incontri catechetici, liturgici e di preghiera.
Il mio amato Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, ha detto: "Le potenzialità del fenomeno sportivo lo rendono strumento significativo per lo sviluppo globale della persona e fattore quanto mai utile per la costruzione di una società più a misura d'uomo. Il senso di fratellanza, la magnanimità, l'onestà e il rispetto del corpo - virtù indubbiamente indispensabili ad ogni buon atleta - contribuiscono all'edificazione di una società civile dove all'antagonismo si sostituisca l'agonismo, dove allo scontro si preferisca l'incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale. Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo; può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri" (28.10.2000).
Lo sport di squadra, poi, qual è il calcio, è una scuola importante per educare al senso del rispetto dell’altro, anche dell’avversario sportivo, allo spirito di sacrificio personale in vista del bene dell’intero gruppo, alla valorizzazione delle doti di ogni elemento che forma la squadra; in una parola, a superare la logica dell’individualismo e dell’egoismo, che spesso caratterizza i rapporti umani, per lasciare spazio alla logica della fraternità e dell’amore, la sola che può permettere – a tutti i livelli – di promuovere l’autentico bene comune.
Con questi brevi pensieri incoraggio tutti coloro che sono impegnati nell’evento a operare con sollecitudine, affinché esso sia vissuto come l’espressione delle più nobili virtù e azioni umane, nello spirito di pace e di sincera gioia. Nella preghiera affido a Dio i Pastori, i volontari, i calciatori, i tifosi e tutti coloro che si impegnano nella preparazione e nello svolgimento dei Campionati. A tutti imparto la mia Benedizione.


Dal Vaticano, 6 giugno 2012


Paparatzifan
00sabato 9 giugno 2012 20:43
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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI PAPUA NUOVA GUINEA E ISOLE SALOMONE, 09.06.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,

Vi porgo un cordiale benvenuto fraterno in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum e ringrazio l'arcivescovo John Ribat per le gentili parole pronunciate a nome di tutta la Conferenza dei Vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone. Questo incontro è un'opportunità privilegiata per esprimere la nostra comunione nell'unica Chiesa di Cristo. Attraverso di voi mando cordiali saluti ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutti coloro che sono affidati alla vostre cure pastorali. Assicurateli delle mie preghiere perché continuino a crescere nella fede, nella speranza e nella carità.
Desidero elogiare i vostri sforzi per pascere «il gregge di Dio che vi è affidato» (1 Pt 5, 2). L'attenzione che dedicate a quanti sono affidati alle vostre cure pastorali è stata particolarmente degna di rilievo nel modo in cui provvedete ai bisogni elementari dei poveri, degli emarginati e dei malati -- specialmente di quanti sono affetti dall'Hiv/Aids -- attraverso il lavoro dei vostri enti diocesani.
Un'altra parte importante del vostro ministero pastorale viene esercitata quando parlate pubblicamente come voce morale obiettiva a nome di quanti sono nel bisogno. Quando la Chiesa esprime la sua preoccupazione nella pubblica piazza, lo fa legittimamente e al fine di contribuire al bene comune, non proponendo soluzioni politiche concrete, ma piuttosto aiutando a «purificare e gettare luce sull'applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi» (Discorso alla Westminster Hall, 17 settembre 2010). Tali principi sono accessibili a tutti attraverso il corretto ragionamento e sono necessari per il giusto ordinamento della società civile. In considerazione di ciò, vi incoraggio a continuare a dialogare e a lavorare con le autorità civili, affinché la Chiesa possa essere libera di parlare e di fornire servizi per il bene comune in modo pienamente conforme ai valori evangelici.
Dai vostri rapporti apprendo che state avviando diversi sforzi pastorali che hanno come elemento comune l'evangelizzazione della cultura. Ciò è molto importante, poiché la persona umana può «raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano» solo «mediante la cultura» (Gaudium et spes, n. 53). Osserviamo anche il ruolo fondamentale della cultura nella storia della salvezza, poiché il Dio Uno e Trino si è gradualmente rivelato nel tempo, culminando nell'invio del Figlio unigenito, nato egli stesso in una cultura particolare. D'altro canto, pur riconoscendo i rispettivi contributi di ogni cultura e avvalendosi talvolta delle sue risorse nel compiere la propria missione, la Chiesa è stata mandata a predicare il Vangelo a tutte le nazioni, trascendendo i confini costruiti dall'uomo.
Nell'opera di evangelizzazione, dunque, Fratelli Vescovi, continuate ad applicare le verità eterne del Vangelo agli usi delle persone che servite, al fine di costruire sugli elementi positivi già presenti e di purificare gli altri laddove è necessario. In questo modo fate la vostra parte nella missione della Chiesa di condurre la gente di ogni nazione, razza e lingua a Gesù Cristo il Salvatore, nel quale troviamo rivelate la pienezza e la verità dell'umanità (cfr. ibidem).
Parlando di questo aspetto dell'evangelizzazione, la famiglia deve svolgere un ruolo centrale, poiché è l'unità di base della società umana e il primo luogo in cui ci si appropria della fede e della cultura. Sebbene la società abbia riconosciuto il ruolo importante della famiglia nella storia, attualmente occorre prestare particolare attenzione ai beni religiosi, sociali e morali della fedeltà, dell'uguaglianza e del rispetto reciproco, che devono esistere tra marito e moglie.
La Chiesa proclama instancabilmente che la famiglia è basata sull'istituzione naturale del matrimonio tra un uomo e una donna e, nel caso dei cristiani battezzati, è un contratto che è stato elevato da Cristo al livello soprannaturale di sacramento, attraverso il quale marito e moglie partecipano all'amore di Dio diventando una sola carne, promettendo di amarsi e rispettarsi reciprocamente, rimanendo aperti al dono dei figli da parte di Dio. A questo proposito, lodo i vostri sforzi di dare la priorità pastorale all'evangelizzazione del matrimonio e della famiglia conformemente all'insegnamento cattolico. Mentre proseguite le celebrazioni per il centenario della nascita del beato Pietro To Rot, che ha versato il proprio sangue per la difesa della santità del matrimonio, invito tutte le coppie sposate a guardare al suo esempio di coraggio e di aiutare così gli altri a vedere la famiglia come un dono di Dio e come ambito privilegiato in cui i bambini possono «nascere con dignità, crescere e svilupparsi in modo integrale» (Omelia, 9 luglio 2006).
L'opera di evangelizzazione coinvolge tutti i membri della Chiesa di Cristo. Ricordando che i Vescovi, come gli Apostoli «sono inviati nelle loro Diocesi come primi testimoni del Risorto» (Ecclesia in Oceania, n. 19), compite ogni sforzo necessario per offrire programmi di formazione e di catechesi adeguati per il clero, per i religiosi e le religiose, e per i fedeli laici, affinché possano essere testimoni forti e gioiosi della fede che professano come membri della Chiesa cattolica. Un laicato adeguatamente catechizzato e un clero e dei religiosi ben formati, similmente «a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia» (Mt 7, 24), saranno attrezzati per resistere alle tentazioni del mondo secolare e saranno abbastanza saggi da non farsi ingannare dai tentativi di convertirli a versioni eccessivamente semplicistiche del cristianesimo, spesso basate solo su false promesse di prosperità materiale. Mentre riconosco l'importanza di sviluppare e mantenere programmi formali, v'incoraggio a ricordare che un elemento chiave per programmi di formazione e di catechesi efficaci è l'esempio di testimoni santi che «in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo» (Lumen gentium, n. 40). Questi testimoni, e le persone alle quali insegnano, con la vostra guida e il vostro sostegno, aiuteranno ad assicurare che la Chiesa nei vostri Paesi continui ad essere uno strumento efficace di evangelizzazione, attirando coloro che ancora non conoscono Cristo e ispirando coloro che sono diventati tiepidi nella fede.
Infine, Fratelli Vescovi, è mia speranza che la vostra visita al Successore di Pietro e alle tombe degli Apostoli vi rafforzi nella vostra determinazione a essere protagonisti della nuova evangelizzazione, specialmente nell'imminente Anno della fede. Prego anche perché i vostri sforzi diano frutti, affinché il Regno di Dio possa continuare a crescere nella porzione della vigna del Signore affidata alle vostre cure pastorali. Raccomandandovi all'intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e assicurandovi del mio affetto e delle mie preghiere per voi e per la vostra gente, imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.


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Paparatzifan
00domenica 10 giugno 2012 19:25
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.06.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia e in molti altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, cioè la festa solenne del Corpo e Sangue del Signore, l’Eucaristia. E’ tradizione sempre viva, in questo giorno, tenere solenni processioni con il Santissimo Sacramento, per le strade e nelle piazze.
A Roma questa processione si è già svolta a livello diocesano giovedì scorso, giorno preciso di questa ricorrenza, che ogni anno rinnova nei cristiani la gioia e la gratitudine per la presenza eucaristica di Gesù in mezzo a noi.
La festa del Corpus Domini è un grande atto di culto pubblico dell’Eucaristia, Sacramento nel quale il Signore rimane presente anche al di là del tempo della celebrazione, per stare sempre con noi, lungo il trascorrere delle ore e delle giornate. Già san Giustino, che ci ha lasciato una delle testimonianze più antiche sulla liturgia eucaristica, afferma che, dopo la distribuzione della comunione ai presenti, il pane consacrato veniva portato dai diaconi anche agli assenti (cfr Apologia, 1, 65).
Perciò nelle chiese il luogo più sacro è proprio quello in cui si custodisce l’Eucaristia. Non posso a questo proposito non pensare con commozione alle numerose chiese che sono state gravemente danneggiate dal recente terremoto in Emilia Romagna, al fatto che anche il Corpo eucaristico di Cristo, nel tabernacolo, è rimasto in alcuni casi sotto le macerie. Con affetto prego per le comunità, che con i loro sacerdoti devono riunirsi per la Santa Messa all’aperto o in grandi tende; le ringrazio per la loro testimonianza e per quanto stanno facendo a favore dell’intera popolazione. E’ una situazione che fa risaltare ancora di più l’importanza di essere uniti nel nome del Signore, e la forza che viene dal Pane eucaristico, chiamato anche «pane dei pellegrini». Dalla condivisione di questo Pane nasce e si rinnova la capacità di condividere anche la vita e i beni, di portare i pesi gli uni degli altri, di essere ospitali e accoglienti.
La solennità del Corpo e Sangue del Signore ci ripropone anche il valore dell’adorazione eucaristica. Il Servo di Dio Paolo VI ricordava che la Chiesa cattolica professa il culto dell’Eucaristia «non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana» (Enc. Mysterium fidei, 57). La preghiera di adorazione si può compiere sia personalmente, sostando in raccoglimento davanti al tabernacolo, sia in forma comunitaria, anche con salmi e canti, ma sempre privilegiando il silenzio, in cui ascoltare interiormente il Signore vivo e presente nel Sacramento. La Vergine Maria è maestra anche di questa preghiera, perché nessuno più e meglio di lei ha saputo contemplare Gesù con sguardo di fede e accogliere nel cuore le intime risonanze della sua presenza umana e divina. Per sua intercessione si diffonda e cresca in ogni comunità ecclesiale un’autentica e profonda fede nel Mistero eucaristico.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

Vorrei anzitutto ricordare che giovedì prossimo, 14 giugno, ricorre la Giornata mondiale del donatore di sangue, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Esprimo il mio vivo apprezzamento a quanti praticano questa forma di solidarietà, indispensabile per la vita di tanti malati.

En ce dimanche, chers pèlerins francophones et membres de l’Aumônerie mauricienne de Paris, de nombreux pays célèbrent la solennité du Saint-Sacrement du Corps et du Sang du Christ. Je vous invite à rencontrer régulièrement et à adorer le Christ-Eucharistie. Pour cela, notre monde à besoin de prêtres, ministres de l’Eucharistie. Prions pour que dans les familles, et ailleurs, puissent s’épanouir, à l’appel du Seigneur, des vocations sacerdotales. Que la Vierge Marie, Mère des prêtres, soutienne tous les ministres ordonnés et plus particulièrement ceux qui sont ordonnés au cours de cette année ! Bon dimanche à tous !


I greet all the English-speaking pilgrims present for this Angelus prayer. Today’s Solemnity of the Body and Blood of Christ celebrates the Lord’s saving presence in the Most Holy Eucharist. At the Last Supper, on the night before his death on the Cross, Jesus instituted the Eucharist as the sacrament of the new and eternal covenant between God and man. May this sacrifice of forgiveness and reconciliation strengthen the Church in faith, unity and holiness. Upon all of you I invoke the Lord’s blessings of joy and peace!


Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Am Fronleichnamsfest, das in Italien am heutigen Sonntag gefeiert wird, bezeugen wir den Menschen in unseren Städten, daß Gott unter uns, in unserer Lebenswelt, sein will und sich uns zur Nahrung gibt. Er will mit seiner Liebe jedem von uns persönlich nahe sein. Christus will den Menschen in seinem Innersten berühren, und in seinem eigenen Herzen hat der Herr Platz für alle. Er lädt uns ein, unser Herz ihm zu öffnen und das Feuer seiner Liebe hineinzulassen, damit wir in unseren Mitmenschen ihn erkennen und ihm dienen. So wollen wir uns auf das Fest des Heiligsten Herzens Jesu vorbereiten, das wir am kommenden Freitag feiern. Der Heilige Geist schenke euch sein Licht auf allen euren Wegen.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que se unen a esta plegaria mariana. En diversos lugares, se traslada a este domingo la celebración de la Solemnidad del Corpus Christi, en la cual se realza la presencia real de Cristo entre nosotros en todo momento. Él está dispuesto de continuo a escucharnos personalmente, y este coloquio frecuente y confidencial hará de nosotros hombres esperanzados, sabedores de que, en la propia vida y en el mundo, hay alguien que nos ama infinitamente y con quien siempre podemos contar. Que la Virgen María nos enseñe a vivir con el corazón y la mirada constantemente fija en su divino Hijo. Feliz domingo.

Radosno pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a osobito sudionike ignacijanskih duhovnih vježbi iz Hrvatske i Bosne i Hercegovine. Dragi prijatelji, došli ste na grobove apostola potvrditi svoju odanost Crkvi. U ovom vas mjesecu potičem da molite za vaše svećenike kako bi slijedili primjer našega Gospodina. Hvaljen Isus i Marija!

[Con gioia saluto tutti i pellegrini Croati, particolarmente i partecipanti agli Esercizi spirituali ignaziani dalla Croazia e dalla Bosnia ed Erzegovina. Cari amici, siete venuti sulle tombe degli Apostoli per confermare la vostra devozione alla Chiesa. Vi esorto a pregare in questo mese per i vostri sacerdoti, affinché seguano l’esempio di nostro Signore. Siano lodati Gesù e Maria!]

Zo srdca pozdravujem pútnikov zo Slovenska, osobitne z Farnosti Huncovce. Bratia a sestry, Ježiš Kristus je cesta k Otcovi a v Eucharistii sa ponúka každému z nás ako prameň božského života. Čerpajme vytrvalo z tohoto prameňa. S týmto želaním žehnám vás i vašich drahých. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Di cuore saluto i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, specialmente quelli della Parrocchia di Huncovce. Fratelli e sorelle, Gesù Cristo è via che conduce al Padre e nell’Eucaristia si offre ad ognuno di noi come sorgente di vita divina. Attingiamone con perseveranza. Con questi voti benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!]

Сердечнo вітаю присутнiх тут українців греко-католиків із Барселони і Тарагони. Єднаюся із Вами у молитві за Ваші родини, український народ i Вашу Батьківщину. Уділяю моє Апостольське благословення! Слава Ісусу Христу!

[Saluto con affetto i pellegrini greco-cattolici ucraini provenienti da Barcellona e Tarragona. Mi unisco a voi nella preghiera per le vostre famiglie, per il popolo ucraino e la vostra Patria. Vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!]

Witam serdecznie obecnych tu Polaków. Pozdrawiam szczególnie mieszkańców Krakowa, Łodzi, Bydgoszczy i Gdańska, którzy z moim Sekretarzem Stanu wspominają w tych dniach pielgrzymkę do Polski – sprzed ćwierć wieku – błogosławionego Jana Pawła II. Jej owocem jest Święto Eucharystii, które dzisiaj obchodzicie w Łodzi, gdzie zostanie poświęcone Centrum Studiów imienia Błogosławionego. Pozdrawiam uczestników jutrzejszego spotkania w Bydgoszczy, którzy będą zgłębiać treść encykliki Caritas in Veritate i dziękuję za dedykowane mi Centrum Studiów. Niech te spotkania umocnią waszą więź z Chrystusem, który do końca nas umiłował (por. J 13, 1). Z serca wszystkim błogosławię.

[Do il mio benvenuto a tutti i polacchi qui presenti. Saluto inoltre gli abitanti di Cracovia, Łódz, Bydgoszcz e Gdańsk, che con il mio Segretario di Stato commemorano in questi giorni il pellegrinaggio apostolico compiuto da Giovanni Paolo II 25 anni fa. Frutto di esso è la Festa dell’Eucaristia che celebrate oggi a Łódz, dove verrà inaugurato il Centro Studi intitolato al Beato Giovanni Paolo II. Domani a Bydgoszcz sarà approfondito il contenuto dell’Enciclica Caritas in Veritate: esprimo la mia gratitudine per il Centro di Studi là a me dedicato. Questi incontri rafforzino il vostro legame con Cristo, che ci amò sino alla fine (cfr Gv 13,1). Vi benedico di cuore.]

Infine rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alla delegazione della Diocesi di Concordia-Pordenone, in occasione della presentazione del volume dell’epistolario del Cardinale Celso Costantini. Saluto le Suore di Santa Dorotea di Santa Paola Frassinetti, con un augurio per il loro impegno formativo; i fedeli della parrocchia di Santo Strato a Posillipo (Napoli), di Santa Lucia alla Sala in Firenze e di Sant’Anna in Roma, di Marina di Strongoli, Battipaglia e Cava de’ Tirreni, come pure l’Associazione Motociclisti Forze di Polizia. A tutti auguro una buona domenica.

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Paparatzifan
00lunedì 11 giugno 2012 20:46
Dal blog di Lella...

UDIENZA AI PARTECIPANTI AL XV SEMINARIO MONDIALE DEI CAPPELLANI CATTOLICI DELL’AVIAZIONE CIVILE E DEI MEMBRI DELLE CAPPELLANIE AEROPORTUALI, 11.06.2012


Alle 11.40 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al XV Seminario internazionale dei Cappellani Cattolici dell’Aviazione Civile e dei Membri delle Cappellanie Aeroportuali, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,
Cari Cappellani ed operatori pastorali dell’Aviazione Civile,
Cari fratelli e sorelle,


sono lieto di accogliervi all’apertura del XV Seminario Internazionale dei Cappellani cattolici e membri delle Cappellanie dell’Aviazione Civile, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti sul tema «La Nuova Evangelizzazione nel mondo dell’Aviazione Civile». Rivolgo un cordiale saluto al Presidente del Dicastero, il Cardinale Antonio Maria Vegliò, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Con affetto saluto tutti voi, che partecipate a queste giornate di preghiera, di studio e di condivisione per riaffermare e approfondire le motivazioni spirituali che vi spingono a portare avanti con rinnovato zelo ed entusiasmo il vostro peculiare servizio ecclesiale.
Ho appreso con piacere che, in questo Seminario, intendete riflettere, grazie anche all’aiuto di autorevoli relatori, su nuovi metodi e nuove espressioni dell’opera di evangelizzazione nell’ambito in cui svolgete il vostro ministero. Cari amici, siate sempre ben consapevoli di essere chiamati a rendere presente, negli aeroporti del mondo, la missione stessa della Chiesa, che è quella di portare Dio all’uomo e guidare l’uomo all’incontro con Dio.
E gli aeroporti sono luoghi che rispecchiano sempre di più la realtà globalizzata del nostro tempo. In essi si incontrano persone differenti per nazionalità, cultura, religione, stato sociale ed età, ma si incontrano anche situazioni umane variegate e non facili, che richiedono sempre maggiore attenzione; penso, ad esempio, a coloro che vivono un’attesa piena di angoscia nel tentativo di transitare senza i documenti necessari, in qualità di migranti o di richiedenti asilo; penso ai disagi causati dalle misure per contrastare gli atti terroristici. Anche nelle comunità aeroportuali si rispecchia poi la crisi di fede che tocca molte persone: i contenuti della dottrina cristiana e i valori che essa insegna non sono più considerati punti di riferimento, pure in Paesi che hanno una lunga tradizione di vita ecclesiale. È in questo contesto umano e spirituale che siete chiamati ad annunciare con forza rinnovata la Buona Novella, con la parola, con la vostra presenza, con il vostro esempio e con la vostra testimonianza, ben consapevoli che, pur nell’occasionalità degli incontri, la gente sa riconoscere un uomo di Dio e che spesso anche un piccolo seme in un terreno accogliente può germogliare e produrre frutti abbondanti.
Nelle aerostazioni, inoltre, voi avete la possibilità di venire a contatto ogni giorno con tante persone, uomini e donne, che lavorano in un ambiente in cui sia la mobilità continua, sia la tecnologia costantemente in progresso, rischiano di oscurare la centralità che deve avere l’essere umano; spesso l’attenzione maggiore viene riservata all’efficienza e alla produttività, a scapito dell’amore del prossimo e della solidarietà, che devono, invece, caratterizzare sempre i rapporti umani. Anche in questo la vostra presenza è importante e preziosa: è una testimonianza viva di un Dio che è vicino all’uomo; ed è un richiamo a non essere mai indifferenti verso chi si incontra, ma a trattarlo con disponibilità e con amore. Vi incoraggio ad essere segno luminoso di questa carità di Cristo, che porta serenità e pace.
Cari amici, abbiate cura che ogni persona, qualunque sia la sua nazionalità o condizione sociale, trovi in voi un cuore accogliente, capace di ascoltare e di comprendere. Tutti possano sperimentare, attraverso la vostra vita cristiana e sacerdotale, l’amore che viene da Dio, affinché ognuno sia condotto ad un rapporto rinnovato e approfondito con Cristo, che non manca di parlare a quanti si aprono con fiducia a Lui, specialmente nella preghiera. Da qui l’importanza delle cappelle aeroportuali, come luoghi di silenzio e di ristoro spirituale.
In questo vostro servizio pastorale avete come modello e protettrice la Vergine Santa, che voi venerate con il titolo di Madonna di Loreto, patrona di tutti i viaggiatori in aereo, in ossequio alla tradizione che attribuisce agli angeli il trasporto da Nazaret a Loreto della Casa di Maria. C’è però un altro «volo» di cui quella santa Casa è testimone, ben più significativo per l’umanità intera, quello dell’arcangelo Gabriele, il quale recò a Maria il lieto annuncio che sarebbe diventata Madre del Figlio dell’Altissimo (cf. Lc 1,26-32). Così l’Eterno è entrato nel tempo, Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). È la manifestazione dell’infinito amore di Dio per la sua creatura. Mentre eravamo ancora peccatori Dio ha mandato il suo Figlio, Gesù Cristo, per redimerci con la sua morte e risurrezione. Egli non è rimasto nell’«alto dei cieli», ma si è immerso nelle gioie e nelle angosce degli uomini del suo tempo e di tutti i tempi, condividendo la loro sorte e ridonando loro la speranza.
Questa è la missione della Chiesa: annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, «missione – come diceva il Servo di Dio Papa Paolo VI - che i vasti e profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgente» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Infatti, anche ai nostri giorni «avvertiamo l’urgenza di promuovere, con nuova forza e rinnovate modalità, l’opera di evangelizzazione in un mondo in cui l’abbattimento delle frontiere e i nuovi processi di globalizzazione rendono ancora più vicine le persone e i popoli, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sia per la frequenza e la facilità con cui sono resi possibili spostamenti di singoli e di gruppi» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2012).
Cari fratelli e sorelle, l’incontro quotidiano con il Signore Gesù nella Celebrazione eucaristica e nella preghiera personale, vi dia l’entusiasmo e la forza di essere annunciatori della novità evangelica, che trasforma i cuori e fa nuove tutte le cose. Vi assicuro il mio orante ricordo, affinché possiate essere strumenti efficaci nell’aiutare le persone affidate alle vostre cure pastorali a varcare la «porta fidei», accompagnandole nell’incontro con Cristo vivo ed operante in mezzo a noi. Con questi auspici ben volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a quanti condividono il vostro ministero, come pure a coloro che fanno parte del vasto mondo dell’aviazione civile.


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Paparatzifan
00lunedì 11 giugno 2012 20:52
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UDIENZA ALLA COMUNITÀ DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA, 11.06.2012

Alle 11.10 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Superiori e gli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerato Fratello nell’Episcopato,
Cari Sacerdoti,

ringrazio anzitutto Mons. Beniamino Stella per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti, come pure per il prezioso servizio che svolge. Saluto con grande affetto l’intera comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Sono lieto di accogliervi anche quest’anno, nel momento in cui si concludono i corsi di studi e, per alcuni di voi, si avvicina il giorno della partenza per il servizio nelle Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo. Il Papa conta anche su di voi, per essere assistito nello svolgimento del suo universale ministero. Vi invito a non avere timore, preparandovi con diligenza e impegno alla missione che vi attende, confidando nella fedeltà di Colui che da sempre vi conosce e vi ha chiamato alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo (cfr 1 Cor 1,9).
La fedeltà di Dio è la chiave e la sorgente della nostra fedeltà. Oggi vorrei richiamare la vostra attenzione proprio su questa virtù, che bene esprime il legame tutto particolare che si stabilisce tra il Papa e i suoi diretti collaboratori, tanto nella Curia Romana come nelle Rappresentanze Pontificie: un legame che per molti si radica nel carattere sacerdotale del quale sono investititi, e si specifica poi nella peculiare missione affidata a ciascuno a servizio del Successore di Pietro.
Nel contesto biblico la fedeltà è anzitutto un attributo divino: Dio si fa conoscere come colui che è fedele per sempre all’alleanza che ha stretto con il suo popolo, nonostante l’infedeltà di questo. In quanto fedele, Dio garantisce di condurre a termine il suo disegno di amore, e per questo Egli è anche degno di fede e veritiero. È questo atteggiamento divino a creare nell’uomo la possibilità di essere, a sua volta, fedele. Applicata all’uomo, la virtù della fedeltà è profondamente legata al dono soprannaturale della fede, divenendo espressione di quella solidità propria di chi ha fondato in Dio tutta la vita. Nella fede troviamo infatti l’unica garanzia della nostra stabilità (cfr Is 7,9b), e solo a partire da essa possiamo a nostra volta essere veramente fedeli: anzitutto a Dio, quindi alla sua famiglia, la Chiesa che è madre e maestra, e in essa alla nostra vocazione, alla storia in cui il Signore ci ha inseriti.
Cari amici, in questa ottica vi incoraggio a vivere il legame personale con il Vicario di Cristo come parte della vostra spiritualità. Si tratta, certamente, di un elemento proprio di ogni cattolico, ancor più di ogni sacerdote. Tuttavia, per quanti operano presso la Santa Sede esso assume un carattere particolare, dal momento che essi pongono al servizio del Successore di Pietro buona parte delle proprie energie, del proprio tempo e del proprio ministero quotidiano. Si tratta di una grave responsabilità, ma anche di un dono speciale, che con il passare del tempo va sviluppando un legame affettivo con il Papa, di interiore confidenza, un naturale idem sentire, che è ben espresso proprio dalla parola «fedeltà».
E dalla fedeltà a Pietro, che vi invia, deriva anche una particolare fedeltà verso coloro ai quali siete inviati: si richiede infatti ai Rappresentanti del Romano Pontefice, e ai loro collaboratori, di farsi interpreti della sua sollecitudine per tutte le Chiese, come anche della partecipazione e dell’affetto con cui egli segue il cammino di ogni popolo. Dovrete pertanto alimentare un rapporto di profonda stima e benevolenza, direi di vera amicizia, verso le Chiese e le comunità alle quali sarete inviati. Anche rispetto ad esse avete un dovere di fedeltà, che si concretizza nell’assidua dedizione al lavoro quotidiano, nella presenza in mezzo ad esse nei momenti lieti e tristi, talora persino drammatici della loro storia, nell’acquisizione di una conoscenza approfondita della loro cultura, del cammino ecclesiale, nel saper apprezzare quanto la grazia divina è andata operando in ogni popolo e nazione.
Si tratta di un prezioso aiuto per il ministero petrino, a riguardo del quale così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI: «Con l’affidare al suo Vicario la potestà delle chiavi e con il costituirlo pietra e fondamento della sua Chiesa, il Pastore eterno gli attribuì pure il mandato di "confermare i propri fratelli": ciò si avvera non solo col guidarli e tenerli uniti nel suo nome, ma anche col sostenerli e confortarli, certamente con la sua parola, ma in qualche modo anche con la sua presenza» (Lett. ap. Sollicitudo omnium ecclesiarum, 24 giugno 1969: AAS 61 (1969) 473-474).
In questo modo incoraggerete e stimolerete anche le Chiese particolari a crescere nella fedeltà al Romano Pontefice, e a trovare nel principio di comunione con la Chiesa universale un sicuro orientamento per il proprio pellegrinaggio nella storia. E, non da ultimo, aiuterete lo stesso Successore di Pietro ad essere fedele alla missione ricevuta da Cristo, consentendogli di conoscere più da vicino il gregge a lui affidato e di raggiungerlo più efficacemente con la sua parola, la sua vicinanza, il suo affetto. Penso in questo momento con gratitudine all’aiuto che ricevo quotidianamente dai molti collaboratori della Curia romana e delle Rappresentanze Pontificie, come anche al sostegno che mi viene dalla preghiera di innumerevoli fratelli e sorelle di tutto il mondo.
Cari amici, nella misura in cui sarete fedeli, sarete anche degni di fede. Sappiamo del resto che la fedeltà che si vive nella Chiesa e nella Santa Sede non è una lealtà «cieca», poiché essa è illuminata dalla fede in Colui che ha detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Impegnamoci tutti in questo cammino affinché possiamo sentirci rivolgere, un giorno, le parole della parabola evangelica: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (cfr Mt 25,21).
Con questi sentimenti, rinnovo a Mons. Presidente, ai suoi Collaboratori, alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino e alla comunità tutta della Pontificia Accademia Ecclesiastica il mio saluto, mentre di cuore vi benedico.

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Paparatzifan
00martedì 12 giugno 2012 19:12
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APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 11.06.2012


Alle ore 19.30 di questa sera, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato nella Basilica di San Giovanni in Laterano dove ha inaugurato il Convegno ecclesiale che conclude l’anno pastorale della Diocesi di Roma e che ha per tema: "Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo" (11-13 giugno 2012).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Eminenza,
cari fratelli nel Sacerdozio e nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,


per me è una grande gioia essere qui, nella Cattedrale di Roma con i rappresentanti della mia diocesi, e ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le sue buone parole.
Abbiamo già sentito che le ultime parole del Signore su questa terra ai suoi discepoli, sono state: «Andate, fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo» (cfr Mt 28,19).


Fate discepoli e battezzate. Perché non è sufficiente per il discepolato conoscere le dottrine di Gesù, conoscere i valori cristiani? Perché è necessario essere battezzati? Questo è il tema della nostra riflessione, per capire la realtà, la profondità del Sacramento del Battesimo.


Una prima porta si apre se leggiamo attentamente queste parole del Signore. La scelta della parola «nel nome del Padre» nel testo greco è molto importante: il Signore dice «eis» e non «en», cioè non «in nome» della Trinità – come noi diciamo che un vice prefetto parla «in nome» del prefetto, un ambasciatore parla «in nome» del governo: no. Dice: «eis to onoma», cioè una immersione nel nome della Trinità, un essere inseriti nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome.
Il Signore ci ha aiutato a capire ancora meglio questa realtà nel suo colloquio con i sadducei circa la risurrezione. I sadducei riconoscevano dal canone dell’Antico Testamento solo i cinque Libri di Mosè e in questi non appare la risurrezione; perciò la negavano. Il Signore, proprio da questi cinque Libri dimostra la realtà della risurrezione e dice: Voi non sapete che Dio si chiama Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? (cfr Mt 22,31-32). Quindi, Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. E così vediamo che chi sta nel nome di Dio, chi è immerso in Dio, è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi, e se è Dio di questi, è Dio dei vivi; i vivi sono vivi perché stanno nella memoria, nella vita di Dio. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio.
Quindi, essere battezzati vuol dire essere uniti a Dio; in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso. Pensando a questo, possiamo subito vedere alcune conseguenze.


La prima è che Dio non è più molto lontano per noi, non è una realtà da discutere – se c’è o non c’è –, ma noi siamo in Dio e Dio è in noi. La priorità, la centralità di Dio nella nostra vita è una prima conseguenza del Battesimo. Alla questione: «C’è Dio?», la risposta è: «C’è ed è con noi; centra nella nostra vita questa vicinanza di Dio, questo essere in Dio stesso, che non è una stella lontana, ma è l’ambiente della mia vita». Questa sarebbe la prima conseguenza e quindi dovrebbe dirci che noi stessi dobbiamo tenere conto di questa presenza di Dio, vivere realmente nella sua presenza.


Una seconda conseguenza di quanto ho detto è che noi non ci facciamo cristiani.


Divenire cristiani non è una cosa che segue da una mia decisione: «Io adesso mi faccio cristiano». Certo, anche la mia decisione è necessaria, ma soprattutto è un’azione di Dio con me: non sono io che mi faccio cristiano, io sono assunto da Dio, preso in mano da Dio e così, dicendo «sì» a questa azione di Dio, divento cristiano. Divenire cristiani, in un certo senso, è passivo: io non mi faccio cristiano, ma Dio mi fa un suo uomo, Dio mi prende in mano e realizza la mia vita in una nuova dimensione. Come io non mi faccio vivere, ma la vita mi è data; sono nato non perché io mi sono fatto uomo, ma sono nato perché l’essere umano mi è donato. Così anche l’essere cristiano mi è donato, è un passivo per me, che diventa un attivo nella nostra, nella mia vita. E questo fatto del passivo, di non farsi da se stessi cristiani, ma di essere fatti cristiani da Dio, implica già un po’ il mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso, posso essere cristiano.


Un terzo elemento che si apre subito in questa visione è che, naturalmente, essendo immerso in Dio, sono unito ai fratelli e alle sorelle, perché tutti gli altri sono in Dio e se io sono tirato fuori dal mio isolamento, se io sono immerso in Dio, sono immerso nella comunione con gli altri.


Essere battezzati non è mai un atto solitario di «me», ma è sempre necessariamente un essere unito con tutti gli altri, un essere in unità e solidarietà con tutto il Corpo di Cristo, con tutta la comunità dei suoi fratelli e sorelle. Questo fatto che il Battesimo mi inserisce in comunità, rompe il mio isolamento. Dobbiamo tenerlo presente nel nostro essere cristiani.
E finalmente, ritorniamo alla Parola di Cristo ai sadducei: «Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe» (cfr Mt 22,32), e quindi questi non sono morti; se sono di Dio sono vivi. Vuol dire che con il Battesimo, con l’immersione nel nome di Dio, siamo anche noi già immersi nella vita immortale, siamo vivi per sempre. Con altre parole, il Battesimo è una prima tappa della Risurrezione: immersi in Dio, siamo già immersi nella vita indistruttibile, comincia la Risurrezione. Come Abramo, Isacco e Giacobbe essendo «nome di Dio» sono vivi, così noi, inseriti nel nome di Dio, siamo vivi nella vita immortale. Il Battesimo è il primo passo della Risurrezione, l’entrare nella vita indistruttibile di Dio.
Così, in un primo momento, con la formula battesimale di san Matteo, con l’ultima parola di Cristo, abbiamo visto già un po’ l’essenziale del Battesimo. Adesso vediamo il rito sacramentale, per poter capire ancora più precisamente che cosa è il Battesimo.
Questo rito, come il rito di quasi tutti i Sacramenti, si compone da due elementi: da materia – acqua – e dalla parola. Questo è molto importante.
Il cristianesimo non è una cosa puramente spirituale, una cosa solamente soggettiva, del sentimento, della volontà, di idee, ma è una realtà cosmica. Dio è il Creatore di tutta la materia, la materia entra nel cristianesimo, e solo in questo grande contesto di materia e spirito insieme siamo cristiani.
Molto importante è, quindi, che la materia faccia parte della nostra fede, il corpo faccia parte della nostra fede; la fede non è puramente spirituale, ma Dio ci inserisce così in tutta la realtà del cosmo e trasforma il cosmo, lo tira a sé. E con questo elemento materiale – l’acqua – entra non soltanto un elemento fondamentale del cosmo, una materia fondamentale creata da Dio, ma anche tutto il simbolismo delle religioni, perché in tutte le religioni l’acqua ha qualcosa da dire.
Il cammino delle religioni, questa ricerca di Dio in diversi modi – anche sbagliati, ma sempre ricerca di Dio – diventa assunta nel Sacramento. Le altre religioni, con il loro cammino verso Dio, sono presenti, sono assunte, e così si fa la sintesi del mondo; tutta la ricerca di Dio che si esprime nei simboli delle religioni, e soprattutto – naturalmente – il simbolismo dell’Antico Testamento, che così, con tutte le sue esperienze di salvezza e di bontà di Dio, diventa presente. Su questo punto ritorneremo.
L’altro elemento è la parola, e questa parola si presenta in tre elementi: rinunce, promesse, invocazioni. Importante è che queste parole quindi non siano solo parole, ma siano cammino di vita.
In queste si realizza un decisione, in queste parole è presente tutto il nostro cammino battesimale – sia pre-battesimale, sia post-battesimale; quindi, con queste parole, e anche con i simboli, il Battesimo si estende a tutta la nostra vita. Questa realtà delle promesse, delle rinunce, delle invocazioni è una realtà che dura per tutta la nostra vita, perché siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale, tramite queste parole e la realizzazione di queste parole. Il Sacramento del Battesimo non è un atto di un’ora, ma è una realtà di tutta la nostra vita, è un cammino di tutta la nostra vita. In realtà, dietro c’è anche la dottrina delle due vie, che era fondamentale nel primo cristianesimo: una via alla quale diciamo «no» e una via alla quale diciamo «sì».
Cominciamo con la prima parte, le rinunce.
Sono tre e prendo anzitutto la seconda: «Rinunciate alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?». Che cosa sono queste seduzioni del male? Nella Chiesa antica, e ancora per secoli, qui c’era l’espressione: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», e oggi sappiamo che cosa era inteso con questa espressione «pompa del diavolo».
La pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la «pompa del diavolo», dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà.
Ma oltre a questo significato immediato della parola «pompa del diavolo», si voleva parlare di un tipo di cultura, di una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Si decideva contro una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo». Con «questo mondo», naturalmente, Giovanni e Gesù non parlano della Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma parlano di una certa creatura che è dominante e si impone come se fosse questo il mondo, e come se fosse questo il modo di vivere che si impone.
Lascio adesso ad ognuno di voi di riflettere su questa «pompa del diavolo», su questa cultura alla quale diciamo «no». Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura.
Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no».
Conosciamo bene anche da tanti Salmi questo contrasto di una cultura nella quale uno sembra intoccabile da tutti i mali del mondo, si pone sopra tutti, sopra Dio, mentre, in realtà, è una cultura del male, un dominio del male. E così, la decisione del Battesimo, questa parte del cammino catecumenale che dura per tutta la nostra vita, è proprio questo «no», detto e realizzato di nuovo ogni giorno, anche con i sacrifici che costa opporsi alla cultura in molte parti dominante, anche se si imponesse come se fosse il mondo, questo mondo: non è vero. E ci sono anche tanti che desiderano realmente la verità.
Così passiamo alla prima rinuncia: «Rinunciate al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?». Oggi libertà e vita cristiana, osservanza dei comandamenti di Dio, vanno in direzioni opposte; essere cristiani sarebbe come una schiavitù; libertà è emanciparsi dalla fede cristiana, emanciparsi – in fin dei conti – da Dio. La parola peccato appare a molti quasi ridicola, perché dicono: «Come! Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi». Sembra vero, ma non è vero. Dio si è fatto vulnerabile. Nel Cristo crocifisso vediamo che Dio si è fatto vulnerabile, si è fatto vulnerabile fino alla morte. Dio si interessa a noi perché ci ama e l’amore di Dio è vulnerabilità, l’amore di Dio è interessamento dell’uomo, l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà. E, in realtà, questa apparente libertà nell’emancipazione da Dio diventa subito schiavitù di tante dittature del tempo, che devono essere seguite per essere ritenuti all’altezza del tempo.
E finalmente: «Rinunciate a Satana?». Questo ci dice che c’è un «sì» a Dio e un «no» al potere del Maligno che coordina tutte queste attività e si vuol fare dio di questo mondo, come dice ancora san Giovanni. Ma non è Dio, è solo l’avversario, e noi non ci sottomettiamo al suo potere; noi diciamo «no» perché diciamo «sì», un «sì» fondamentale, il «sì» dell’amore e della verità. Queste tre rinunce, nel rito del Battesimo, nell’antichità, erano accompagnate da tre immersioni: immersione nell’acqua come simbolo della morte, di un «no» che realmente è la morte di un tipo di vita e risurrezione ad un’altra vita. Su questo ritorneremo.
Poi, la confessione in tre domande: «Credete in Dio Padre onnipotente, Creatore; in Cristo e, infine, nello Spirito Santo e la Chiesa?». Questa formula, queste tre parti, sono state sviluppate a partire dalla Parola del Signore «battezzare in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; queste parole sono concretizzate ed approfondite: che cosa vuol dire Padre, cosa vuol dire Figlio – tutta la fede in Cristo, tutta la realtà del Dio fattosi uomo – e che cosa vuol dire credere di essere battezzati nello Spirito Santo, cioè tutta l’azione di Dio nella storia, nella Chiesa, nella comunione dei Santi.
Così, la formula positiva del Battesimo è anche un dialogo: non è semplicemente una formula. Soprattutto la confessione della fede non è soltanto una cosa da capire, una cosa intellettuale, una cosa da memorizzare - certo, anche questo - tocca anche l’intelletto, tocca anche il nostro vivere, soprattutto. E questo mi sembra molto importante. Non è una cosa intellettuale, una pura formula. E’ un dialogo di Dio con noi, un’azione di Dio con noi, e una risposta nostra, è un cammino. La verità di Cristo si può capire soltanto se si è capita la sua via. Solo se accettiamo Cristo come via incominciamo realmente ad essere nella via di Cristo e possiamo anche capire la verità di Cristo. La verità non vissuta non si apre; solo la verità vissuta, la verità accettata come modo di vivere, come cammino, si apre anche come verità in tutta la sua ricchezza e profondità. Quindi, questa formula è una via, è espressione di una nostra conversione, di un’azione di Dio. E noi vogliamo realmente tenere presente questo anche in tutta la nostra vita: che siamo in comunione di cammino con Dio, con Cristo. E così siamo in comunione con la verità: vivendo la verità, la verità diventa vita e vivendo questa vita troviamo anche la verità.
Adesso passiamo all’elemento materiale: l’acqua. E’ molto importante vedere due significati dell’acqua. Da una parte, l’acqua fa pensare al mare, soprattutto al Mar Rosso, alla morte nel Mar Rosso. Nel mare si rappresenta la forza della morte, la necessità di morire per arrivare ad una nuova vita. Questo mi sembra molto importante.
Il Battesimo non è solo una cerimonia, un rituale introdotto tempo fa, e non è nemmeno soltanto un lavaggio, un’operazione cosmetica. E’ molto più di un lavaggio: è morte e vita, è morte di una certa esistenza e rinascita, risurrezione a nuova vita. Questa è la profondità dell’essere cristiano: non solo è qualcosa che si aggiunge, ma è una nuova nascita.
Dopo aver attraversato il Mar Rosso, siamo nuovi. Così il mare, in tutte le esperienze dell’Antico Testamento, è divenuto per i cristiani simbolo della Croce. Perché solo attraverso la morte, una rinuncia radicale nella quale si muore ad un certo tipo di vita, può realizzarsi la rinascita e può realmente esserci vita nuova. Questa è una parte del simbolismo dell’acqua: simboleggia - soprattutto nelle immersioni dell’antichità - il Mar Rosso, la morte, la Croce. Solo dalla Croce si arriva alla nuova vita e questo si realizza ogni giorno. Senza questa morte sempre rinnovata, non possiamo rinnovare la vera vitalità della nuova vita di Cristo.
Ma l’altro simbolo è quello della fonte. L’acqua è origine di tutta la vita; oltre al simbolismo della morte, ha anche il simbolismo della nuova vita. Ogni vita viene anche dall’acqua, dall’acqua che viene da Cristo come la vera vita nuova che ci accompagna all’eternità.


Alla fine rimane la questione - solo una parolina – del Battesimo dei bambini.


E’ giusto farlo, o sarebbe più necessario fare prima il cammino catecumenale per arrivare ad un Battesimo veramente realizzato? E l’altra questione che si pone sempre è: «Ma possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?».
Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa.
La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: «vuoi essere nato o no?». La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no».
E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?». Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita.
E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del «sì» di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita. Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso.
E la nostra sfida è vivere questo dono, vivere realmente, in un cammino post-battesimale, sia le rinunce che il «sì» e vivere sempre nel grande «sì» di Dio, e così vivere bene. Grazie.

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Paparatzifan
00mercoledì 13 giugno 2012 19:45
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L’UDIENZA GENERALE, 13.06.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel raggiungere l’Aula Paolo VI per l’Udienza generale, il Papa ha fatto una breve sosta in Piazza Santa Marta per la presentazione dei lavori di restauro della Basilica Vaticana.
Nel discorso in lingua italiana il Santo Padre ha ripreso la Sua catechesi sulla preghiera nelle Lettere di San Paolo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Papa ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha pronunciato un appello per invitare i partecipanti all’udienza alla preghiera per i lavori del 50° Congresso Eucaristico Internazionale in corso di svolgimento a Dublino.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La contemplazione e la forza della preghiera (2Cor 12, 1-10)

Cari fratelli e sorelle,

l’incontro quotidiano con il Signore e la frequenza ai Sacramenti permettono di aprire la nostra mente e il nostro cuore alla sua presenza, alle sue parole, alla sua azione.
La preghiera non è solamente il respiro dell’anima, ma, per usare un’immagine, è anche l’oasi di pace in cui possiamo attingere l’acqua che alimenta la nostra vita spirituale e trasforma la nostra esistenza. E Dio ci attira verso di sé, ci fa salire il monte della santità, perché siamo sempre più vicini a Lui, offrendoci lungo il cammino luci e consolazioni.
Questa è l’esperienza personale a cui san Paolo fa riferimento nel capitolo 12 della Seconda Lettera ai Corinzi, sul quale desidero soffermarmi oggi. Di fronte a chi contestava la legittimità del suo apostolato, egli non elenca tanto le comunità che ha fondato, i chilometri che ha percorso; non si limita a ricordare le difficoltà e le opposizioni che ha affrontato per annunciare il Vangelo, ma indica il suo rapporto con il Signore, un rapporto così intenso da essere caratterizzato anche da momenti di estasi, di contemplazione profonda (cfr 2 Cor 12,1); quindi non si vanta di ciò che ha fatto lui, della sua forza, delle sua attività e successi, ma si vanta dell’azione che ha fatto Dio in lui e tramite lui. Con grande pudore egli racconta, infatti, il momento in cui visse l’esperienza particolare di essere rapito sino al cielo di Dio. Egli ricorda che quattordici anni prima dall’invio della Lettera «fu rapito - così dice - fino al terzo cielo» (v. 2).
Con il linguaggio e i modi di chi racconta ciò che non si può raccontare, san Paolo parla di quel fatto addirittura in terza persona; afferma che un uomo fu rapito nel «giardino» di Dio, in paradiso. La contemplazione è così profonda e intensa che l’Apostolo non ricorda neppure i contenuti della rivelazione ricevuta, ma ha ben presenti la data e le circostanze in cui il Signore lo ha afferrato in modo così totale, lo ha attirato a sé, come aveva fatto sulla strada di Damasco al momento della sua conversione (cfr Fil 3,12).
San Paolo continua dicendo che proprio per non montare in superbia per la grandezza delle rivelazioni ricevute, egli porta in sé una «spina» (2 Cor 12,7), una sofferenza, e supplica con forza il Risorto di essere liberato dall’inviato del Maligno, da questa spina dolorosa nella carne. Per tre volte – riferisce – ha pregato insistentemente il Signore di allontanare questa prova. Ed è in questa situazione che, nella contemplazione profonda di Dio, durante la quale «udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare» (v. 4), riceve risposta alla sua supplica. Il Risorto gli rivolge una parola chiara e rassicurante: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (v. 9).
Il commento di Paolo a queste parole può lasciare stupiti, ma rivela come egli abbia compreso che cosa significa essere veramente apostolo del Vangelo. Esclama, infatti così: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (vv. 9b-10), cioè non si vanta delle sue azioni, ma dell'attività di Cristo che agisce proprio nella sua debolezza. Soffermiamoci ancora un momento su questo fatto avvenuto durante gli anni in cui san Paolo visse in silenzio e in contemplazione, prima di iniziare a percorrere l’Occidente per annunciare Cristo, perché questo atteggiamento di profonda umiltà e fiducia di fronte al manifestarsi di Dio è fondamentale anche per la nostra preghiera e per la nostra vita, per la nostra relazione a Dio e alle nostre debolezze.
Anzitutto, di quali debolezze parla l’Apostolo? Che cosa è questa «spina» nella carne? Non lo sappiamo e non lo dice, ma il suo atteggiamento fa comprendere che ogni difficoltà nella sequela di Cristo e nella testimonianza del suo Vangelo può essere superata aprendosi con fiducia all’azione del Signore. San Paolo è ben consapevole di essere un «servo inutile» (Lc 17,10) - non è lui che ha fatto le cose grandi, è il Signore - , un «vaso di creta» (2 Cor 4,7), in cui Dio pone la ricchezza e la potenza della sua Grazia. In questo momento di intensa preghiera contemplativa, san Paolo comprende con chiarezza come affrontare e vivere ogni evento, soprattutto la sofferenza, la difficoltà, la persecuzione: nel momento in cui si sperimenta la propria debolezza, si manifesta la potenza di Dio, che non abbandona, non lascia soli, ma diventa sostegno e forza.
Certo, Paolo avrebbe preferito essere liberato da questa «spina», da questa sofferenza; ma Dio dice: «No, questo è necessario per te. Avrai sufficiente grazia per resistere e per fare quanto deve essere fatto. Questo vale anche per noi. Il Signore non ci libera dai mali, ma ci aiuta a maturare nelle sofferenze, nelle difficoltà, nelle persecuzioni. La fede, quindi, ci dice che, se rimaniamo in Dio, «se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, ci sono tante difficoltà, quello interiore invece si rinnova, matura di giorno in giorno proprio nelle prove» (cfr v. 16).
L’Apostolo comunica ai cristiani di Corinto e anche a noi che «il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (v. 17) In realtà, umanamente parlando, non era leggero il peso delle difficoltà, era gravissimo; ma in confronto con l'amore di Dio, con la grandezza dell'essere amato da Dio, appare leggero, sapendo che la quantità della gloria sarà smisurata. Quindi, nella misura in cui cresce la nostra unione con il Signore e si fa intensa la nostra preghiera, anche noi andiamo all’essenziale e comprendiamo che non è la potenza dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostre capacità che realizza il Regno di Dio, ma è Dio che opera meraviglie proprio attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza all'incarico. Dobbiamo, quindi, avere l’umiltà di non confidare semplicemente in noi stessi, ma di lavorare, con l'aiuto del Signore, nella vigna del Signore, affidandoci a Lui come fragili «vasi di creta».
San Paolo riferisce di due particolari rivelazioni che hanno cambiato radicalmente la sua vita. La prima - lo sappiamo - è la domanda sconvolgente sulla strada di Damasco: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4), domanda che lo ha portato a scoprire e incontrare Cristo vivo e presente, e a sentire la sua chiamata ad essere apostolo del Vangelo. La seconda sono le parole che il Signore gli ha rivolto nell’esperienza di preghiera contemplativa su cui stiamo riflettendo: «Ti basta la mia grazia: la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Solo la fede, il confidare nell’azione di Dio, nella bontà di Dio che non ci abbandona, è la garanzia di non lavorare invano. Così la Grazia del Signore è stata la forza che ha accompagnato san Paolo nelle immani fatiche per diffondere il Vangelo e il suo cuore è entrato nel cuore di Cristo, diventando capace di condurre gli altri verso Colui che è morto ed è risorto per noi.
Nella preghiera noi apriamo, quindi, il nostro animo al Signore affinché Egli venga ad abitare la nostra debolezza, trasformandola in forza per il Vangelo. Ed è ricco di significato anche il verbo greco con cui Paolo descrive questo dimorare del Signore nella sua fragile umanità; usa episkenoo, che potremmo rendere con «porre la propria tenda». Il Signore continua a porre la sua tenda in noi, in mezzo a noi: è il Mistero dell’Incarnazione. Lo stesso Verbo divino, che è venuto a dimorare nella nostra umanità, vuole abitare in noi, piantare in noi la sua tenda, per illuminare e trasformare la nostra vita e il mondo.
L’intensa contemplazione di Dio sperimentata da san Paolo richiama quella dei discepoli sul monte Tabor, quando, vedendo Gesù trasfigurarsi e risplendere di luce, Pietro gli disse: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mc 9,5). «Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati» aggiunge san Marco (v. 6).
Contemplare il Signore è, allo stesso tempo, affascinante e tremendo: affascinante perché Egli ci attira a sé e rapisce il nostro cuore verso l’alto, portandolo alla sua altezza dove sperimentiamo la pace, la bellezza del suo amore; tremendo perché mette a nudo la nostra debolezza umana, la nostra inadeguatezza, la fatica di vincere il Maligno che insidia la nostra vita, quella spina conficcata anche nella nostra carne.
Nella preghiera, nella contemplazione quotidiana del Signore, noi riceviamo la forza dell’amore di Dio e sentiamo che sono vere le parole di san Paolo ai cristiani di Roma, dove ha scritto: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli, né principati, né presente né avvenire,né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).
In un mondo in cui rischiamo di confidare solamente sull’efficienza e la potenza dei mezzi umani, in questo mondo siamo chiamati a riscoprire e testimoniare la potenza di Dio che si comunica nella preghiera, con la quale cresciamo ogni giorno nel conformare la nostra vita a quella di Cristo, il quale - come afferma Paolo - «fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio a vostro vantaggio» (2 Cor 13,4).
Cari amici, nel secolo scorso, Albert Schweitzer, teologo protestante e premio Nobel per la pace, affermava che «Paolo è un mistico e nient’altro che un mistico», cioè un uomo veramente innamorato di Cristo e così unito a Lui, da poter dire: Cristo vive in me.
La mistica di san Paolo non si fonda soltanto sugli eventi eccezionali da lui vissuti, ma anche sul quotidiano e intenso rapporto con il Signore che lo ha sempre sostenuto con la sua Grazia. La mistica non lo ha allontanato dalla realtà, al contrario gli ha dato la forza di vivere ogni giorno per Cristo e di costruire la Chiesa fino alla fine del mondo di quel tempo. L'unione con Dio non allontana dal mondo, ma ci dà la forza di rimanere realmente nel modo, di fare quanto si deve fare nel mondo.
Anche nella nostra vita di preghiera possiamo, quindi, avere momenti di particolare intensità, forse, in cui sentiamo più viva la presenza del Signore, ma è importante la costanza, la fedeltà del rapporto con Dio, soprattutto nelle situazioni di aridità, di difficoltà, di sofferenza, di apparente assenza di Dio. Soltanto se siamo afferrati dall’amore di Cristo, saremo in grado di affrontare ogni avversità come Paolo, convinti che tutto possiamo in Colui che ci dà la forza (cfr Fil 4,13). Quindi, quanto più diamo spazio alla preghiera, tanto più vedremo che la nostra vita si trasformerà e sarà animata dalla forza concreta dell’amore di Dio. Così avvenne, ad esempio, per la beata Madre Teresa di Calcutta, che nella contemplazione di Gesù e proprio anche in tempi di lunga aridità trovava la ragione ultima e la forza incredibile per riconoscerlo nei poveri e negli abbandonati, nonostante la sua fragile figura. La contemplazione di Cristo nella nostra vita non ci estranea - come ho già detto - dalla realtà, bensì ci rende ancora più partecipi delle vicende umane, perché il Signore, attirandoci a sé nella preghiera, ci permette di farci presenti e prossimi ad ogni fratello nel suo amore.
Grazie.


APPELLO


Rivolgo ora il mio affettuoso pensiero e il mio benedicente saluto alla Chiesa in Irlanda, dove a Dublino, alla presenza del Cardinale Marc Oullet, mio Legato, si svolge il 50° Congresso Eucaristico Internazionale sul tema: «L’Eucaristia: Comunione con Cristo e tra di noi». Numerosi Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici provenienti dai diversi Continenti prendono parte a questo importante evento ecclesiale.
E’ una preziosa occasione per riaffermare la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa. Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’Altare con il supremo Sacrificio di amore della Croce si dona a noi, si fa nostro cibo per assimilarci a Lui, per farci entrare in comunione con Lui. E attraverso questa comunione siamo uniti anche tra di noi, diventiamo una cosa sola in Lui, membra gli uni degli altri.
Vorrei invitarvi ad unirvi spiritualmente ai cristiani di Irlanda e del mondo, pregando per i lavori del Congresso, perché l’Eucaristia sia sempre il cuore pulsante della vita di tutta la Chiesa.



© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00domenica 17 giugno 2012 22:37
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 17.06.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia odierna ci propone due brevi parabole di Gesù: quella del seme che cresce da solo e quella del granello di senape (cfr Mc 4,26–34).
Attraverso immagini tratte dal mondo dell’agricoltura, il Signore presenta il mistero della Parola e del Regno di Dio, e indica le ragioni della nostra speranza e del nostro impegno.
Nella prima parabola l’attenzione è posta sul dinamismo della semina: il seme che viene gettato nella terra, sia che il contadino dorma sia che vegli, germoglia e cresce da solo. L’uomo semina con la fiducia che il suo lavoro non sarà infecondo. Ciò che sostiene l’agricoltore nelle sue quotidiane fatiche è proprio la fiducia nella forza del seme e nella bontà del terreno. Questa parabola richiama il mistero della creazione e della redenzione, dell’opera feconda di Dio nella storia. E’ Lui il Signore del Regno, l’uomo è suo umile collaboratore, che contempla e gioisce dell’azione creatrice divina e ne attende con pazienza i frutti. Il raccolto finale ci fa pensare all’intervento conclusivo di Dio alla fine dei tempi, quando Egli realizzerà pienamente il suo Regno. Il tempo presente è tempo di semina, e la crescita del seme è assicurata dal Signore. Ogni cristiano, allora, sa bene di dover fare tutto quello che può, ma che il risultato finale dipende da Dio: questa consapevolezza lo sostiene nella fatica di ogni giorno, specialmente nelle situazioni difficili. A tale proposito scrive Sant’ Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio» (cfr Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998).
Anche la seconda parabola utilizza l’immagine della semina. Qui, però, si tratta di un seme specifico, il granello di senape, considerato il più piccolo di tutti i semi. Pur così minuto, però, esso è pieno di vita, dal suo spezzarsi nasce un germoglio capace di rompere il terreno, di uscire alla luce del sole e di crescere fino a diventare «più grande di tutte le piante dell’orto» (cfr Mc 4,32): la debolezza è la forza del seme, lo spezzarsi è la sua potenza. E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola, composta da chi è povero nel cuore, da chi non confida nella propria forza, ma in quella dell’amore di Dio, da chi non è importante agli occhi del mondo; eppure proprio attraverso di loro irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è apparentemente insignificante.
L’immagine del seme è particolarmente cara a Gesù, perché esprime bene il mistero del Regno di Dio. Nelle due parabole di oggi esso rappresenta una «crescita» e un «contrasto»: la crescita che avviene grazie a un dinamismo insito nel seme stesso e il contrasto che esiste tra la piccolezza del seme e la grandezza di ciò che produce.
Il messaggio è chiaro: il Regno di Dio, anche se esige la nostra collaborazione, è innanzitutto dono del Signore, grazia che precede l’uomo e le sue opere. La nostra piccola forza, apparentemente impotente dinanzi ai problemi del mondo, se immessa in quella di Dio non teme ostacoli, perché certa è la vittoria del Signore. È il miracolo dell’amore di Dio, che fa germogliare e fa crescere ogni seme di bene sparso sulla terra. E l’esperienza di questo miracolo d’amore ci fa essere ottimisti, nonostante le difficoltà, le sofferenze e il male che incontriamo. Il seme germoglia e cresce, perché lo fa crescere l’amore di Dio. La Vergine Maria, che ha accolto come «terra buona» il seme della divina Parola, rafforzi in noi questa fede e questa speranza.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

ricorre mercoledì prossimo, 20 giugno, la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite. Essa vuole attirare l’attenzione della comunità internazionale sulle condizioni di tante persone, specialmente famiglie, costrette a fuggire dalle proprie terre, perché minacciate dai conflitti armati e da gravi forme di violenza. Per questi fratelli e sorelle così provati assicuro la preghiera e la costante sollecitudine della Santa Sede, mentre auspico che i loro diritti siano sempre rispettati e che possano presto ricongiungersi con i propri cari.

Oggi, in Irlanda, si terrà la celebrazione conclusiva del Congresso Eucaristico Internazionale, che durante questa settimana ha fatto di Dublino la città dell’Eucaristia, dove molte persone si sono raccolte in preghiera alla presenza di Cristo nel Sacramento dell’altare. Nel mistero dell’Eucaristia Gesù ha voluto restare con noi, per farci entrare in comunione con Lui e tra di noi. Affidiamo a Maria Santissima i frutti maturati in questi giorni di riflessione e di preghiera.

Desidero, infine, ricordare con gioia che questo pomeriggio, a Nepi, nella Diocesi di Civita Castellana, verrà proclamata beata Cecilia Eusepi, morta a soli 18 anni. Questa giovane che aspirava a diventare suora missionaria, fu costretta ad abbandonare il convento a causa della malattia, che visse con fede incrollabile, dimostrando grande capacità di sacrificio per la salvezza delle anime Negli ultimi giorni della sua esistenza, in profonda unione con Cristo crocifisso, ripeteva: «è bello darsi a Gesù, che si è dato tutto per noi».

Je suis heureux de saluer les pèlerins francophones présents, ainsi que les personnes qui nous rejoignent par la radio ou la télévision. En ce dimanche, Jésus nous invite à vivre dans la confiance. Comme la semence qui germe et qui grandit toute seule, le don gratuit de l’Esprit-Saint - Esprit d’amour et de force - et la Bonne Nouvelle - annoncée avec courage - agissent dans notre monde pour nous faire grandir dans la vie même du Père. Ensemble, n’ayons pas peur de cheminer dans la foi car le Seigneur nous accompagne. Que la Vierge Marie nous montre le chemin qui nous conduit vers le Père de toute tendresse! Bon dimanche et bonne semaine à tous!

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Angelus. In today’s Gospel, the Lord teaches us that God’s kingdom is like a tiny mustard seed which becomes the largest of shrubs. Let us fervently pray that God may take our weak but sincere desires and transform them into great works of love for him and our neighbour. Upon each of you and your loved ones, I invoke God’s abundant blessings.

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern deutscher Sprache. Mit dem Gleichnis vom Senfkorn, welches das kleinste von allen Samenkörnern ist, aus dem aber ein großer Baum entsteht, gibt uns Christus einen Hinweis auf das Wirken der Gnade Gottes. Der Herr sät im Stillen und gibt Zeit zum Wachsen. Die Dinge Gottes sind nicht lautstark und äußerlich mächtig. Aber sie tragen die innere Kraft des wahren Lebens in sich. Und wo immer der Mensch auf sein Wort hört, ihn in sich aufnimmt, entsteht Großes, auch wenn wir es zunächst nicht sehen. Öffnen wir uns also der großen Liebe Gottes, öffnen wir unser Herz, damit der Same des Glaubens in uns und in dieser Welt wachsen und Frucht bringen kann. Ich wünsche euch allen einen gesegneten Sonntag.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. En el evangelio de este domingo, el Señor nos ha mostrado que el Reino de Dios es como una semilla que, aunque al principio puede parecer pequeña, sin embargo está llamada a crecer y a desarrollarse hasta convertirse en un árbol frondoso. Así también, que la vida de gracia y amor de Dios, sembrada en nuestra alma con el bautismo, y alimentada con la escucha de la palabra de Dios, la participación en los sacramentos y la oración constante, crezca continuamente y llegue a madurar en frutos abundantes de fe, esperanza y caridad. Muchas gracias y feliz domingo.

W tych dniach Kościół obchodził uroczystość Najświętszego Serca Pana Jezusa i wspomnienie Niepokalanego Serca Matki Bożej. Życzę wszystkim Polakom, by od Boskiego Serca Jezusa, które jest dobroci i miłości pełne, uczyli się wrażliwości na potrzeby drugiego człowieka, zwłaszcza człowieka słabego, dotkniętego cierpieniem. Niech z tego Serca, które jest królem i zjednoczeniem serc wszystkich, czerpią siłę do budowania wzajemnych więzi w rodzinie i w środowisku pracy. Z serca wam błogosławię.

[Nei giorni scorsi la Chiesa ha celebrato la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e la memoria del Cuore Immacolato della B. V. Maria. A tutti i Polacchi auguro di imparare dal Cuore Divino di Gesù, che è traboccante di bontà e d’amore, la sensibilità alle necessità altrui, specialmente di chi è debole, provato dalla sofferenza. Da questo cuore, che è sovrano e centro di tutti i cuori, sappiano inoltre attingere la forza per costruire nelle famiglie e nell’ambiente di lavoro rapporti fraterni.]

E infine saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare quanti hanno partecipato agli incontri promossi dal Movimento dell’Amore Familiare su "La preghiera del Padre Nostro e le radici cristiane della famiglia e della società", i fedeli delle parrocchie Madonna del Cavatore in Carrara e Natività di Nostro Signore Gesù Cristo in Roma, come pure quelli provenienti da Giulianova, Fermo, Fossalunga, Scandicci e Napoli. A tutti auguro una buona domenica. Buona domenica, buona settimana a voi tutti.

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