Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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Paparatzifan
00giovedì 13 dicembre 2012 03:57
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 12.12.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sulle tappe della Rivelazione.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.Quindi il Santo Padre ha lanciato da un tablet il primo twitter.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. Le tappe della Rivelazione


Cari fratelli e sorelle,

nella scorsa catechesi ho parlato della Rivelazione di Dio, come comunicazione che Egli fa di Se stesso e del suo disegno di benevolenza e di amore. Questa Rivelazione di Dio si inserisce nel tempo e nella storia degli uomini: storia che diventa «il luogo in cui possiamo costatare l’agire di Dio a favore dell’umanità. Egli ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare, e facile da verificare, perché costituisce il nostro contesto quotidiano, senza il quale non riusciremmo a comprenderci» (Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, 12).
L’evangelista san Marco – come abbiamo sentito - riporta, in termini chiari e sintetici, i momenti iniziali della predicazione di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Ciò che illumina e dà senso pieno alla storia del mondo e dell’uomo inizia a brillare nella grotta di Betlemme; è il Mistero che contempleremo tra poco nel Natale: la salvezza che si realizza in Gesù Cristo. In Gesù di Nazaret Dio manifesta il suo volto e chiede la decisione dell’uomo di riconoscerlo e di seguirlo. Il rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo d’amore con l’uomo, dona un nuovo senso all’intero cammino umano. La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza.
Dove possiamo leggere le tappe di questa Rivelazione di Dio? La Sacra Scrittura è il luogo privilegiato per scoprire gli eventi di questo cammino, e vorrei - ancora una volta - invitare tutti, in questo Anno della fede, a prendere in mano più spesso la Bibbia per leggerla e meditarla e a prestare maggiore attenzione alle Letture della Messa domenicale; tutto ciò costituisce un alimento prezioso per la nostra fede.
Leggendo l’Antico Testamento possiamo vedere come gli interventi di Dio nella storia del popolo che si è scelto e con cui stringe alleanza non sono fatti che passano e cadono nella dimenticanza, ma diventano “memoria”, costituiscono insieme la “storia della salvezza”, mantenuta viva nella coscienza del popolo d’Israele attraverso la celebrazione degli avvenimenti salvifici.
Così, nel Libro dell’Esodo il Signore indica a Mosè di celebrare il grande momento della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica, con queste parole: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (12,14). Per l’intero popolo d’Israele ricordare ciò che Dio ha operato diventa una sorta di imperativo costante perché il trascorrere del tempo sia segnato dalla memoria vivente degli eventi passati, che così formano, giorno per giorno, di nuovo la storia e rimangono presenti. Nel Libro del Deuteronomio, Mosè si rivolge al popolo dicendo: «Guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (4,9). E così dice anche a noi: «Guardati bene dal dimenticare le cose che Dio ha fatto con noi».
La fede è alimentata dalla scoperta e dalla memoria del Dio sempre fedele, che guida la storia e che costituisce il fondamento sicuro e stabile su cui poggiare la propria vita. Anche il canto del Magnificat, che la Vergine Maria innalza a Dio, è un esempio altissimo di questa storia della salvezza, di questa memoria che rende e tiene presente l'agire di Dio. Maria esalta l’agire misericordioso di Dio nel cammino concreto del suo popolo, la fedeltà alle promesse di alleanza fatte ad Abramo e alla sua discendenza; e tutto questo è memoria viva della presenza divina che mai viene meno (cfr Lc 1,46-55).
Per Israele, l’Esodo è l’evento storico centrale in cui Dio rivela la sua azione potente. Dio libera gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto perché possano ritornare alla Terra Promessa e adorarlo come l’unico e vero Signore. Israele non si mette in cammino per essere un popolo come gli altri - per avere anche lui un'indipendenza nazionale -, ma per servire Dio nel culto e nella vita, per creare per Dio un luogo dove l'uomo è in obbedienza a Lui, dove Dio è presente e adorato nel mondo; e, naturalmente, non solo per loro, ma per testimoniarlo in mezzo agli altri popoli. La celebrazione di questo evento è un renderlo presente e attuale, perché l’opera di Dio non viene meno. Egli tiene fede al suo disegno di liberazione e continua a perseguirlo, affinché l’uomo possa riconoscere e servire il suo Signore e rispondere con fede e amore alla sua azione.
Dio quindi rivela Se stesso non solo nell’atto primordiale della creazione, ma entrando nella nostra storia, nella storia di un piccolo popolo che non era né il più numeroso, né il più forte. E questa Rivelazione di Dio, che va avanti nella storia, culmina in Gesù Cristo: Dio, il Logos, la Parola creatrice che è all’origine del mondo, si è incarnata in Gesù e ha mostrato il vero volto di Dio. In Gesù si compie ogni promessa, in Lui culmina la storia di Dio con l’umanità. Quando leggiamo il racconto dei due discepoli in cammino verso Emmaus, narratoci da san Luca, vediamo come emerga in modo chiaro che la persona di Cristo illumina l’Antico Testamento, l’intera storia della salvezza e mostra il grande disegno unitario dei due Testamenti, mostra la via della sua unicità. Gesù, infatti, spiega ai due viandanti smarriti e delusi di essere il compimento di ogni promessa: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (24,27). L’Evangelista riporta l’esclamazione dei due discepoli dopo aver riconosciuto che quel compagno di viaggio era il Signore: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume le tappe della Rivelazione divina mostrandone sinteticamente lo sviluppo (cfr nn. 54-64): Dio ha invitato l’uomo fin dagli inizi ad un’intima comunione con Sé e anche quando l’uomo, per la propria disobbedienza, ha perso la sua amicizia, Dio non l’ha abbandonato in potere della morte, ma ha offerto molte volte agli uomini la sua alleanza (cfr Messale Romano, Pregh. Euc. IV). Il Catechismo ripercorre il cammino di Dio con l’uomo dall’alleanza con Noé dopo il diluvio, alla chiamata di Abramo ad uscire dalla sua terra per renderlo padre di una moltitudine di popoli. Dio forma Israele quale suo popolo, attraverso l’evento dell’Esodo, l’alleanza del Sinai e il dono, per mezzo di Mosè, della Legge per essere riconosciuto e servito come l’unico Dio vivo e vero. Con i profeti, Dio guida il suo popolo nella speranza della salvezza. Conosciamo - tramite Isaia - il “secondo Esodo”, il ritorno dall'esilio di Babilonia alla propria terra, la rifondazione del popolo; nello stesso tempo, però, molti rimangono nella dispersione e così comincia l'universalità di questa fede. Alla fine non si aspetta più solo un re, Davide, un figlio di Davide, ma un “Figlio d’uomo”, la salvezza di tutti i popoli. Si realizzano incontri tra le culture, prima con Babilonia e la Siria, poi anche con la moltitudine greca. Così vediamo come il cammino di Dio si allarga, si apre sempre più verso il Mistero di Cristo, il Re dell'universo. In Cristo si realizza finalmente la Rivelazione nella sua pienezza, il disegno di benevolenza di Dio: Egli stesso si fa uno di noi.
Mi sono soffermato sul fare memoria dell’agire di Dio nella storia dell’uomo, per mostrare le tappe di questo grande disegno di amore testimoniato nell’Antico e nel Nuovo Testamento: un unico disegno di salvezza rivolto all’intera umanità, progressivamente rivelato e realizzato dalla potenza di Dio, dove Dio sempre reagisce alle risposte dell'uomo e trova nuovi inizi di alleanza quando l'uomo si smarrisce. Questo è fondamentale nel cammino di fede. Siamo nel tempo liturgico dell’Avvento che ci prepara al Santo Natale. Come sappiamo tutti, il termine “Avvento” significa “venuta”, “presenza”, e anticamente indicava proprio l’arrivo del re o dell’imperatore in una determinata provincia.
Per noi cristiani la parola indica una realtà meravigliosa e sconvolgente: Dio stesso ha varcato il suo Cielo e si è chinato sull’uomo; ha stretto alleanza con lui entrando nella storia di un popolo; Egli è il re che è sceso in questa povera provincia che è la terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne, diventando uomo come noi.
L’Avvento ci invita a ripercorrere il cammino di questa presenza e ci ricorda sempre di nuovo che Dio non si è tolto dal mondo, non è assente, non ci ha abbandonato a noi stessi, ma ci viene incontro in diversi modi, che dobbiamo imparare a discernere. E anche noi con la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità, siamo chiamati ogni giorno a scorgere e a testimoniare questa presenza nel mondo spesso superficiale e distratto, e a far risplendere nella nostra vita la luce che ha illuminato la grotta di Betlemme. Grazie.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00giovedì 13 dicembre 2012 18:04
Dal blog di Lella...

LE LETTERE CREDENZIALI DEGLI AMBASCIATORI DI: GUINEA, SAINT VINCENT E GRENADINE, NIGER, ZAMBIA, THAILANDIA, SRI LANKA PRESSO LA SANTA SEDE, 13.12.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali, le Loro Eccellenze la Signora e i Signori Ambasciatori di: Guinea, Saint Vincent e Grenadine, Niger, Zambia, Thailandia, Sri Lanka.
Di seguito pubblichiamo il discorso che il Papa rivolge ai nuovi Ambasciatori, nonché i cenni biografici essenziali di ciascuno:

DISCORSO COLLETTIVO DEL SANTO PADRE AGLI AMBASCIATORI IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE COLLETTIVA DELLE LETTERE CREDENZIALI


Signora e Signori Ambasciatori,

È con piacere che vi accolgo in occasione della presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la Santa Sede: la Repubblica di Guinea, San Vincenzo e Grenadine, il Niger, lo Zambia, la Thailandia, lo Sri Lanka. Vi ringrazio per le cordiali parole che mi avete rivolto e anche per i saluti che mi avete trasmesso da parte dei vostri rispettivi Capi di Stato. In cambio, vi sarei grato se poteste far pervenire loro i miei voti migliori per la loro persona e per lo svolgimento dell'incarico al servizio del proprio popolo. Prego Dio di concedere a tutti i vostri concittadini di condurre una vita pacifica e degna, nella concordia e nell'unità.
Esaminando le numerose sfide della nostra epoca, possiamo constatare che l'educazione occupa un posto di primo piano. Essa avviene oggigiorno in contesti in cui l'evoluzione degli stili di vita e di conoscenza crea fratture umane, culturali, sociali e spirituali inedite nella storia dell'umanità. Le reti sociali, altra novità, tendono a sostituire gli spazi naturali della società e della comunicazione, divenendo spesso l'unico punto di riferimento dell'informazione e della conoscenza. La famiglia e la scuola non sembrano essere più il terreno fertile primario e naturale da dove le giovani generazioni attingono la linfa nutritiva della loro esistenza. Inoltre, negli ambiti scolastico ed accademico, l'autorità degli insegnanti e dei professori è messa in discussione e, purtroppo, la competenza di alcuni di loro non è esente da parzialità cognitiva e da carenza antropologica, escludendo o limitando così la verità sulla persona umana. Quest'ultima è un essere integrale e non una somma di elementi che si possono isolare e manipolare a proprio piacimento. La scuola e l'università sembrano essere divenute incapaci di progetti creativi che rechino in sé una teleologia trascendentale in grado di sedurre i giovani nel loro essere profondo, sebbene questi ultimi, pur essendo preoccupati per il loro futuro, siano tentati dallo sforzo minore, dal minimo sufficiente e dal successo facile, utilizzando talvolta in modo inappropriato le possibilità offerte dalla tecnologia contemporanea. Molti vorrebbero aver successo e ottenere rapidamente uno status sociale e professionale importante, disinteressandosi della formazione, delle competenze e dell'esperienza richieste. Il mondo attuale e gli adulti responsabili non hanno saputo dare loro i necessari punti di riferimento. La disfunzione di alcune istituzioni e di alcuni servizi pubblici e privati non potrebbe essere spiegata da un'educazione mal garantita e male assimilata?
Riprendendo le parole del mio predecessore, Papa Leone XIII, sono convinto che «che la vera dignità e grandezza dell'uomo è tutta morale, ossia riposta nella virtù; che la virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari» (Rerum novarum, n. 20). Invito dunque i vostri governi a contribuire con coraggio al progresso della nostra umanità favorendo l'educazione delle nuove generazioni grazie alla promozione di una sana antropologia, base indispensabile per ogni educazione autentica, e conforme al patrimonio naturale comune. Questo compito potrebbe passare prima di tutto per una riflessione seria sulle diverse problematiche esistenti nei vostri rispettivi Paesi, dove talune opzioni politiche o economiche possono erodere subdolamente i vostri patrimoni antropologici e spirituali. Questi sono passati al vaglio dei secoli e si sono pazientemente costituiti su basi che rispettano l'essenza della persona umana nella sua realtà plurale, restando nel contempo in perfetta sintonia con l'insieme del cosmo. Invito ancora i vostri governanti ad avere il coraggio di adoperarsi per il consolidamento dell'autorità morale -- intesa come chiamata a una coerenza di vita -- necessaria per un'autentica e sana educazione delle giovani generazioni.
Il diritto a un'educazione ai giusti valori non deve mai essere negato né dimenticato. Il dovere di educare a tali valori non deve essere mai impedito o indebolito da qualsivoglia interesse politico nazionale o sovrannazionale. È pertanto necessario educare nella verità e alla verità.
Ma, «che cos'è la verità?» (Gv 18, 38), si chiedeva già Pilato, che era un governatore. Ai giorni nostri, dire il vero è divenuto sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e promuoverla sembra essere uno sforzo vano. Eppure il futuro dell'umanità si trova anche nel rapporto dei bambini e dei giovani con la verità: la verità sull'uomo, la verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via. Oltre all'educazione alla rettitudine del cuore e della mente, i giovani hanno pure bisogno, oggi più che mai, di essere educati al senso dello sforzo e della perseveranza nelle difficoltà. Occorre insegnare loro che ogni atto che la persona umana compie deve essere responsabile e coerente con il suo desiderio d'infinito, e che tale atto accompagna la sua crescita in vista della formazione a un'umanità sempre più fraterna e libera da tentazioni individualiste e materialiste.
Permettetemi di salutare per mezzo vostro i vescovi e i fedeli delle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi. La Chiesa compie la sua missione nella fedeltà al suo Signore e con il desiderio ardente di apportare il suo contributo specifico alla promozione integrale dei vostri concittadini, in particolare attraverso l'educazione dei bambini e dei giovani. Essa partecipa ogni giorno agli sforzi comuni per la crescita spirituale e umana di tutti, mediante le sue strutture educative, caritative e sanitarie, avendo a cuore il risveglio delle coscienze al rispetto reciproco e alla responsabilità. In tal senso, incoraggio i vostri governanti a continuare a permettere alla Chiesa di occuparsi liberamente dei suoi ambiti di attività tradizionali che, come voi sapete, contribuiscono allo sviluppo dei vostri Paesi e al bene comune.
Signora e Signori Ambasciatori, mentre comincia ufficialmente la vostra missione presso la Santa Sede, vi porgo i miei migliori auguri, assicurandovi del sostegno dei diversi servizi della Curia romana nello svolgimento della vostra funzione. A tal fine, invoco con piacere su di voi e sulle vostre famiglie, come pure sui vostri collaboratori, l'abbondanza delle Benedizioni Divine.


© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)

Paparatzifan
00venerdì 14 dicembre 2012 14:54
Dal blog di Lella...

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2013

BEATI GLI OPERATORI DI PACE

1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.

A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.

In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.

E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.

Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).

La beatitudine evangelica

2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.

La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).

La pace: dono di Dio e opera dell’uomo

3. La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.

Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].

La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).

Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.

Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.

Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità

4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace.

Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.

Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione.

L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.

Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.

Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia

5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.

Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.

Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.

Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni

6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.

Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].

In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.

Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.

Una pedagogia dell’operatore di pace

7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8].

Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

BENEDICTUS PP XVI

[1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.

[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.

[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.

[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666-667.

[5] Cfr ibid., 34 e 36: AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.

[6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.

[7] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del Governo, delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del mondo della cultura, Baabda-Libano (15 settembre 2012): L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 7.

[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.

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Paparatzifan
00venerdì 14 dicembre 2012 15:00
Dal blog di Lella...

UDIENZA ALLA DELEGAZIONE DEL COMUNE DI PESCOPENNATARO (ISERNIA) PER IL DONO DELL’ALBERO DI NATALE IN PIAZZA SAN PIETRO, 14.12.2012

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza la Delegazione giunta dal Molise, e in particolare dal Comune di Pescopennataro (Isernia) per il dono dell’albero di Natale in Piazza San Pietro.
La cerimonia di accensione dell’albero di Natale avrà luogo nel pomeriggio di oggi in Piazza San Pietro.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi nel giorno in cui viene presentato l’albero di Natale di Piazza San Pietro, un abete che quest’anno proviene da Pescopennataro, in Provincia di Isernia, nel Molise. Penso che oggi qui ci sia tutto il paese! Rivolgo a ciascuno il mio cordiale saluto, a iniziare dal Sindaco Pompilio Sciulli, che ringrazio per le parole poc’anzi rivoltemi a nome dei presenti. Saluto inoltre le altre Autorità civili, con un particolare pensiero per il Presidente della Regione. Con fraterno affetto sono lieto di salutare il Vescovo di Trivento, Mons. Domenico Scotti, e il Parroco di Pescopennataro.
Questa sera, al termine della cerimonia di consegna ufficiale, verranno accese le luci che ornano l’albero. Esso resterà accanto al Presepe fino al termine delle festività natalizie e sarà ammirato dai numerosi pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo. Grazie per questo devoto omaggio, come pure per gli altri alberi più piccoli destinati al Palazzo Apostolico e alle sale del Vaticano! L’abete bianco che avete voluto donarmi, cari pescolani e abitanti dell’intera Regione del Molise, manifesta anche la fede e la religiosità della gente molisana, che attraverso i secoli ha custodito un importante tesoro spirituale espresso nella cultura, nell’arte e nelle tradizioni locali. E’ compito di ciascuno di voi e dei vostri conterranei attingere costantemente a questo patrimonio e incrementarlo, per poter affrontare le nuove urgenze sociali e le odierne sfide culturali nel solco della consolidata e feconda fedeltà al Cristianesimo.
Auguro di cuore a tutti voi qui presenti, ai vostri concittadini e a tutti gli abitanti della vostra Regione, di trascorrere con serenità ed intensità il Natale del Signore. Egli, secondo il celebre oracolo del profeta Isaia, è apparso come una grande luce per il popolo che camminava nelle tenebre (cfr Is 9,1). Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi, per dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, recando all’umanità la sua luce divina.
Questa luce altissima, di cui l’albero natalizio è segno e richiamo, non solo non ha subito alcun calo di tensione col passare dei secoli e dei millenni, ma continua a risplendere su di noi e a illuminare ogni uomo che viene al mondo, specialmente quando dobbiamo attraversare momenti di incertezza e difficoltà.
Gesù stesso dirà di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
E quando nelle varie epoche si è tentato di spegnere la luce di Dio, per accendere bagliori illusori e ingannevoli, si sono aperte stagioni segnate da tragiche violenze sull’uomo. Questo perché, quando si cerca di cancellare il nome di Dio sulle pagine della storia, il risultato è che si tracciano righe storte, dove anche le parole più belle e nobili perdono il loro vero significato. Pensiamo a termini come «libertà», «bene comune», «giustizia»: privati del radicamento in Dio e nel suo amore, nel Dio che ha mostrato il suo volto in Gesù Cristo, queste realtà rimangono molto spesso in balìa degli interessi umani, perdendo l’aggancio con le esigenze di verità e di civile responsabilità.
Cari amici, vi ringrazio ancora di cuore per il gesto che avete compiuto. Il vostro Albero è quello dell’Anno della fede: voglia il Signore ricompensare il vostro dono rafforzando la fede in voi e nelle vostre comunità! Lo chiedo per intercessione della Vergine Maria, Colei che per prima ha accolto e seguito il Verbo di Dio fatto uomo, mentre imparto di cuore a tutti voi ed alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 15 dicembre 2012 17:10
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 50ma GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI, 15.12.2012

Il 21 aprile 2013, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 50ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: "Le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede".
Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Nella 50ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che si celebrerà il 21 aprile 2013, quarta domenica di Pasqua, vorrei invitarvi a riflettere sul tema: «Le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede», che ben si inscrive nel contesto dell’Anno della fede e nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il Servo di Dio Paolo VI, durante l’Assise conciliare, istituì questa Giornata di invocazione corale a Dio Padre affinché continui a mandare operai per la sua Chiesa (cfr Mt 9,38). «Il problema del numero sufficiente dei sacerdoti - sottolineò allora il Pontefice - tocca da vicino tutti i fedeli: non solo perché ne dipende l’avvenire religioso della società cristiana, ma anche perché questo problema è il preciso e inesorabile indice della vitalità di fede e di amore delle singole comunità parrocchiali e diocesane, e testimonianza della sanità morale delle famiglie cristiane. Ove numerose sbocciano le vocazioni allo stato ecclesiastico e religioso, là si vive generosamente secondo il Vangelo» (PAOLO VI, Radiomessaggio, 11 aprile 1964).
In questi decenni, le diverse comunità ecclesiali sparse in tutto il mondo si sono ritrovate spiritualmente unite ogni anno, nella quarta domenica di Pasqua, per implorare da Dio il dono di sante vocazioni e per riproporre alla comune riflessione l’urgenza della risposta alla chiamata divina. Questo significativo appuntamento annuale ha favorito, infatti, un forte impegno a porre sempre più al centro della spiritualità, dell’azione pastorale e della preghiera dei fedeli l’importanza delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.
La speranza è attesa di qualcosa di positivo per il futuro, ma che al tempo stesso deve sostenere il nostro presente, segnato non di rado da insoddisfazioni e insuccessi. Dove si fonda la nostra speranza? Guardando alla storia del popolo di Israele narrata nell’Antico Testamento, vediamo emergere, anche nei momenti di maggiore difficoltà come quelli dell’esilio, un elemento costante, richiamato in particolare dai profeti: la memoria delle promesse fatte da Dio ai Patriarchi; memoria che chiede di imitare l’atteggiamento esemplare di Abramo, il quale, ricorda l’Apostolo Paolo, «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: così sarà la tua discendenza» (Rm 4,18). Una verità consolante e illuminante che emerge da tutta la storia della salvezza è allora la fedeltà di Dio all’alleanza, alla quale si è impegnato e che ha rinnovato ogniqualvolta l’uomo l’ha infranta con l’infedeltà, con il peccato, dal tempo del diluvio (cfr Gen 8,21-22), a quello dell’esodo e del cammino nel deserto (cfr Dt 9,7); fedeltà di Dio che è giunta a sigillare la nuova ed eterna alleanza con l’uomo, attraverso il sangue del suo Figlio, morto e risorto per la nostra salvezza.
In ogni momento, soprattutto in quelli più difficili, è sempre la fedeltà del Signore, autentica forza motrice della storia della salvezza, a far vibrare i cuori degli uomini e delle donne e a confermarli nella speranza di giungere un giorno alla «Terra promessa». Qui sta il fondamento sicuro di ogni speranza: Dio non ci lascia mai soli ed è fedele alla parola data. Per questo motivo, in ogni situazione felice o sfavorevole, possiamo nutrire una solida speranza e pregare con il salmista: «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza» (Sal 62,6). Avere speranza equivale, dunque, a confidare nel Dio fedele, che mantiene le promesse dell’alleanza. Fede e speranza sono pertanto strettamente unite. « "Speranza", di fatto, è una parola centrale della fede biblica, al punto che in diversi passi le parole "fede" e "speranza" sembrano interscambiabili. Così la Lettera agli Ebrei lega strettamente alla "pienezza della fede" (10,22) la "immutabile professione della speranza" (10,23). Anche quando la Prima Lettera di Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos - il senso e la ragione - della loro speranza (cfr 3,15), "speranza" è l'equivalente di "fede"» (Enc. Spe salvi, 2).
Cari fratelli e sorelle, in che cosa consiste la fedeltà di Dio alla quale affidarci con ferma speranza? Nel suo amore. Egli, che è Padre, riversa nel nostro io più profondo, mediante lo Spirito Santo, il suo amore (cfr Rm 5,5). E proprio questo amore, manifestatosi pienamente in Gesù Cristo, interpella la nostra esistenza, chiede una risposta su ciò che ciascuno vuole fare della propria vita, su quanto è disposto a mettere in gioco per realizzarla pienamente. L’amore di Dio segue a volte percorsi impensabili, ma raggiunge sempre coloro che si lasciano trovare. La speranza si nutre, dunque, di questa certezza: « Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16). E questo amore esigente, profondo, che va oltre la superficialità, ci dà coraggio, ci fa sperare nel cammino della vita e nel futuro, ci fa avere fiducia in noi stessi, nella storia e negli altri. Vorrei rivolgermi in modo particolare a voi giovani e ripetervi: «Che cosa sarebbe la vostra vita senza questo amore? Dio si prende cura dell’uomo dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando porterà a compimento il suo progetto di salvezza. Nel Signore Risorto abbiamo la certezza della nostra speranza» (Discorso ai giovani della diocesi di San Marino-Montefeltro, 19 giugno 2011).
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza. Egli, Vivente nella comunità di discepoli che è la Chiesa, anche oggi chiama a seguirlo. E questo appello può giungere in qualsiasi momento. Anche oggi Gesù ripete: «Vieni! Seguimi!» (Mc 10,21). Per accogliere questo invito, occorre non scegliere più da sé il proprio cammino. Seguirlo significa immergere la propria volontà nella volontà di Gesù, dargli davvero la precedenza, metterlo al primo posto rispetto a tutto ciò che fa parte della nostra vita: alla famiglia, al lavoro, agli interessi personali, a se stessi. Significa consegnare la propria vita a Lui, vivere con Lui in profonda intimità, entrare attraverso di Lui in comunione col Padre nello Spirito Santo e, di conseguenza, con i fratelli e le sorelle. E questa comunione di vita con Gesù il «luogo» privilegiato dove sperimentare la speranza e dove la vita sarà libera e piena!
Le vocazioni sacerdotali e religiose nascono dall’esperienza dell’incontro personale con Cristo, dal dialogo sincero e confidente con Lui, per entrare nella sua volontà. È necessario, quindi, crescere nell’esperienza di fede, intesa come relazione profonda con Gesù, come ascolto interiore della sua voce, che risuona dentro di noi. Questo itinerario, che rende capaci di accogliere la chiamata di Dio, può avvenire all’interno di comunità cristiane che vivono un intenso clima di fede, una generosa testimonianza di adesione al Vangelo, una passione missionaria che induca al dono totale di sé per il Regno di Dio, alimentato dall’accostamento ai Sacramenti, in particolare all’Eucaristia, e da una fervida vita di preghiera. Quest’ultima «deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall’altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata e illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il Signore ci insegna continuamente a pregare nel modo giusto» (Enc. Spe salvi, 34).
La preghiera costante e profonda fa crescere la fede della comunità cristiana, nella certezza sempre rinnovata che Dio mai abbandona il suo popolo e che lo sostiene suscitando vocazioni speciali, al sacerdozio e alla vita consacrata, perché siano segni di speranza per il mondo. I presbiteri e i religiosi, infatti, sono chiamati a donarsi in modo incondizionato al Popolo di Dio, in un servizio di amore al Vangelo e alla Chiesa, un servizio a quella salda speranza che solo l’apertura all’orizzonte di Dio può donare. Pertanto essi, con la testimonianza della loro fede e con il loro fervore apostolico, possono trasmettere, in particolare alle nuove generazioni, il vivo desiderio di rispondere generosamente e prontamente a Cristo che chiama a seguirlo più da vicino. Quando un discepolo di Gesù accoglie la divina chiamata per dedicarsi al ministero sacerdotale o alla vita consacrata, si manifesta uno dei frutti più maturi della comunità cristiana, che aiuta a guardare con particolare fiducia e speranza al futuro della Chiesa e al suo impegno di evangelizzazione. Esso infatti necessita sempre di nuovi operai per la predicazione del Vangelo, per la celebrazione dell’Eucaristia, per il Sacramento della Riconciliazione. Non manchino perciò sacerdoti zelanti, che sappiano accompagnare i giovani quali «compagni di viaggio» per aiutarli a riconoscere, nel cammino a volte tortuoso e oscuro della vita, il Cristo, Via, Verità e Vita (cfr Gv 14,6); per proporre loro, con coraggio evangelico, la bellezza del servizio a Dio, alla comunità cristiana, ai fratelli. Sacerdoti che mostrino la fecondità di un impegno entusiasmante, che conferisce un senso di pienezza alla propria esistenza, perché fondato sulla fede in Colui che ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,19). Ugualmente, auspico che i giovani, in mezzo a tante proposte superficiali ed effimere, sappiano coltivare l’attrazione verso i valori, le mete alte, le scelte radicali, per un servizio agli altri sulle orme di Gesù. Cari giovani, non abbiate paura di seguirlo e di percorrere le vie esigenti e coraggiose della carità e dell’impegno generoso! Così sarete felici di servire, sarete testimoni di quella gioia che il mondo non può dare, sarete fiamme vive di un amore infinito ed eterno, imparerete a «rendere ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15)!

Dal Vaticano, 6 ottobre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00domenica 16 dicembre 2012 14:50
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN PATRIZIO A COLLE PRENESTINO, 16.12.2012

Alle ore 9 di oggi, III domenica di Avvento - domenica "Guadete" - il Santo Padre Benedetto XVI ha lasciato il Vaticano per recarsi in visita pastorale alla parrocchia di San Patrizio a Colle Prenestino, nel settore est della diocesi di Roma.
Al suo arrivo, il Papa ha salutato i Parroci della Prefettura, i Ministranti e i bambini che sono stati battezzati nel corso dell’anno, con i genitori.
Alle ore 10 ha presieduto la celebrazione della Santa Messa, introdotta dal saluto del Parroco, don Fabio Fasciani.
Terminata la celebrazione eucaristica, prima di rientrare in Vaticano per la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha salutato gli anziani e gli ammalati raccolti nella cappella feriale.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di San Patrizio!

Sono molto lieto di essere in mezzo a voi e di celebrare con voi e per voi la Santa Eucaristia. Vorrei anzitutto offrirvi qualche pensiero alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato. In questa terza domenica di Avvento, chiamata domenica «Gaudete», la Liturgia ci invita alla gioia.
L’Avvento è un tempo di impegno e di conversione per preparare la venuta del Signore, ma la Chiesa oggi ci fa pregustare la gioia del Natale ormai vicino. In effetti, l’Avvento è anche tempo di gioia, perché in esso si risveglia nei cuori dei credenti l’attesa del Salvatore, e attendere la venuta di una persona amata è sempre motivo di gioia. Questo aspetto gioioso è presente nelle prime Letture bibliche di questa domenica. Il Vangelo invece corrisponde all’altra dimensione caratteristica dell’Avvento: quella della conversione in vista della manifestazione del Salvatore, annunciato da Giovanni Battista.
La prima Lettura che abbiamo sentito è un invito insistente alla gioia. Il brano inizia con l’espressione: «Rallégrati, figlia di Sion… esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (Sof 3,14), che è simile a quella dell’annuncio dell’angelo a Maria: «Rallégrati, piena di grazia» (Lc 1,26). Il motivo essenziale per cui la figlia di Sion può esultare è espresso nell’affermazione che abbiamo appena ascoltato: «il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,15.17); letteralmente sarebbe «è nel tuo grembo», con un chiaro riferimento al dimorare di Dio nell’Arca dell’Alleanza, posta sempre in mezzo al popolo di Israele. Il profeta vuole dirci che non c’è più alcun motivo di sfiducia, di scoraggiamento, di tristezza, qualunque sia la situazione che si deve affrontare, perché siamo certi della presenza del Signore, che da sola basta a rasserenare e rallegrare i cuori. Il profeta Sofonia, inoltre, fa capire che questa gioia è reciproca: noi siamo invitati a rallegrarci, ma anche il Signore si rallegra per la sua relazione con noi; infatti, il profeta scrive: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (v. 17). La gioia che viene promessa in questo testo profetico trova il suo compimento in Gesù, che è nel grembo di Maria, la "Figlia di Sion", e pone così la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1, 14). Egli infatti, venendo nel mondo, ci dona la sua gioia, come Egli stesso confida ai suoi discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).
Gesù reca agli uomini la salvezza, una nuova relazione con Dio che vince il male e la morte, e porta la vera gioia per questa presenza del Signore che viene a illuminare il nostro cammino che spesso è oppresso dalle tenebre e dall’egoismo. E possiamo riflettere se realmente siamo consapevoli di questo fatto della presenza del Signore tra noi, che non è un Dio lontano, ma un Dio con noi, un Dio in mezzo a noi, che sta con noi qui nella Santa Eucaristia, sta con noi nella Chiesa viva. E noi dobbiamo essere portatori di questa presenza di Dio. E così Dio gioisce per noi e noi possiamo avere la gioia: Dio c’è, e Dio è buono, e Dio è vicino.
Nella seconda Lettura che abbiamo ascoltato san Paolo invita i cristiani di Filippi a rallegrarsi nel Signore. Possiamo rallegrarci? E perché bisogna rallegrarsi? La risposta di san Paolo è: perché «il Signore è vicino!» (Fil 4,5). Tra pochi giorni celebreremo il Natale, la festa della venuta di Dio, che si è fatto bambino e nostro fratello per stare con noi e condividere la nostra condizione umana. Dobbiamo rallegrarci per questa sua vicinanza, per questa sua presenza e cercare di capire sempre più che realmente è vicino, e così essere penetrati dalla realtà della bontà di Dio, della gioia che Cristo è con noi. Paolo dice con forza in un'altra Lettera che nulla può separarci dall’amore di Dio che si è manifestato in Cristo.
Solo il peccato ci allontana da Lui, ma questo è un fattore di separazione che noi stessi introduciamo nel nostro rapporto con il Signore. Però, anche quando noi ci allontaniamo, Egli non cessa di amarci e continua ad esserci vicino con la sua misericordia, con la sua disponibilità a perdonare e a riaccoglierci nel suo amore. Perciò, così prosegue san Paolo, non dobbiamo mai angustiarci, possiamo sempre esporre al Signore le nostre richieste, le nostre necessità, le nostre preoccupazioni, «con preghiere e suppliche» (v. 6). E questo è un grande motivo di gioia: sapere che è sempre possibile pregare il Signore e che il Signore ci ascolta, che Dio non è lontano, ma ascolta realmente, ci conosce, e sapere che non respinge mai le nostre preghiere, anche se non risponde sempre così come noi desideriamo, ma risponde.
E l’Apostolo aggiunge: pregare «con ringraziamenti» (ibid.). La gioia che il Signore ci comunica deve trovare in noi l’amore riconoscente. Infatti, la gioia è piena quando riconosciamo la sua misericordia, quando diventiamo attenti ai segni della sua bontà, se realmente percepiamo che questa bontà di Dio è con noi, e lo ringraziamo per quanto riceviamo da Lui ogni giorno. Chi accoglie i doni di Dio in modo egoistico, non trova la vera gioia; invece chi trae occasione dai doni ricevuti da Dio per amarlo con sincera gratitudine e per comunicare agli altri il suo amore, questi ha il cuore veramente pieno di gioia. Ricordiamolo!
Dopo le due Letture veniamo al Vangelo. Il Vangelo di oggi ci dice che per accogliere il Signore che viene dobbiamo prepararci guardando bene alla nostra condotta di vita. Alle diverse persone che gli chiedono che cosa devono fare per essere pronte alla venuta del Messia (cfr Lc 3,10.12.14), Giovanni Battista risponde che Dio non esige niente di straordinario, ma che ciascuno viva secondo criteri di solidarietà e di giustizia; senza di esse non ci si può preparare bene all’incontro con il Signore. Quindi chiediamo anche noi al Signore che cosa aspetta e che cosa vuole che facciamo, e iniziamo a capire che non esige cose straordinarie, ma vivere la vita ordinaria in rettitudine e bontà.
Infine Giovanni Battista indica chi dobbiamo seguire con fedeltà e coraggio. Anzitutto nega di essere lui stesso il Messia e poi proclama con fermezza: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (v. 16). Qui notiamo la grande umiltà di Giovanni nel riconoscere che la sua missione è quella di preparare la strada a Gesù. Dicendo «io vi battezzo con acqua», vuol far capire che la sua è un’azione simbolica. Egli infatti non può eliminare e perdonare i peccati: battezzando con acqua, può solo indicare che bisogna cambiare la vita. Nello stesso tempo Giovanni annuncia la venuta del «più forte», che «vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (ibid.). E, come abbiamo ascoltato, questo grande profeta usa immagini forti per invitare alla conversione, ma non lo fa con lo scopo di incutere timore, piuttosto lo fa per spronare ad accogliere bene l’Amore di Dio, che solo può purificare veramente la vita. Dio si fa uomo come noi per donarci una speranza che è certezza: se lo seguiamo, se viviamo con coerenza la nostra vita cristiana, Egli ci attirerà a Sé, ci condurrà alla comunione con Lui; e nel nostro cuore ci sarà la vera gioia e la vera pace, anche nelle difficoltà, anche nei momenti di debolezza.
Cari amici! Sono contento di pregare con voi il Signore che si rende presente nell’Eucaristia per essere sempre con noi. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco Don Fabio Fasciani, che ringrazio per le sue parole nelle quali mi ha esposto la situazione della parrocchia, la ricchezza spirituale della vita parrocchiale, e saluto tutti i Sacerdoti presenti. Saluto quanti sono attivi nell’ambito della parrocchia: i catechisti, i membri del coro e dei vari gruppi parrocchiali, come pure gli aderenti al Cammino Neocatecumenale, qui impegnati nella missione. Vedo con gioia tanti bambini che seguono la parola di Dio in diversi livelli, preparandosi alla Comunione, alla Cresima e al dopo Cresima, alla vita. Benvenuti! Sono felice di vedere qui una Chiesa viva! Estendo il mio pensiero alle Oblate della Madonna del Rosario, presenti nel territorio della parrocchia, e a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Per tutti e per ciascuno prego in questa Santa Messa.
La vostra parrocchia, formatasi sul Colle Prenestino tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80, dopo le difficoltà iniziali dovute alla mancanza di strutture e di servizi, si è dotata di una nuova bella chiesa, inaugurata nel 2007 dopo una lunga attesa. Questo edificio sacro sia pertanto uno spazio privilegiato per crescere nella conoscenza e nell’amore di Colui che tra pochi giorni accoglieremo nella gioia del Natale come Redentore del mondo e nostro Salvatore. Non mancate di venirlo a trovare spesso, per sentire ancora di più la sua presenza che dona forza. Mi rallegro per il senso di appartenenza alla comunità parrocchiale che, nel corso di questi anni, è venuto sempre più maturando e consolidandosi. Vi incoraggio affinché cresca sempre più la corresponsabilità pastorale in una prospettiva di autentica comunione fra tutte le realtà presenti, chiamate a vivere la complementarietà nella diversità. In modo particolare, desidero richiamare a voi tutti l’importanza e la centralità dell’Eucaristia nella vita personale e comunitaria.
La Santa Messa sia al centro della vostra Domenica, che va riscoperta e vissuta come giorno di Dio e della comunità, giorno in cui lodare e celebrare Colui che è morto e risorto per la nostra salvezza e ci chiede di vivere insieme nella gioia di una comunità aperta e pronta ad accogliere ogni persona sola o in difficoltà. Allo stesso modo, vi esorto ad accostarvi con regolarità al sacramento della Riconciliazione, soprattutto in questo tempo di Avvento.
Conosco quanto fate nella preparazione dei ragazzi e dei giovani ai Sacramenti della vita cristiana. L’Anno della fede, che stiamo vivendo, deve diventare un’occasione per far crescere e consolidare l’esperienza della catechesi, in modo da permettere a tutto il quartiere di conoscere e approfondire il Credo della Chiesa e incontrare il Signore come una Persona viva. Rivolgo uno speciale pensiero alle famiglie, con l’augurio che possano pienamente realizzare la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza. E una speciale parola di affetto e di amicizia il Papa vuole dirigerla anche a voi, carissimi ragazzi, ragazze e giovani che mi ascoltate, ed ai vostri coetanei che vivono in questa parrocchia. Sentitevi veri protagonisti della nuova evangelizzazione, mettendo le vostre fresche energie, il vostro entusiasmo e le vostre capacità a servizio di Dio e degli altri, nella comunità.
Cari fratelli e sorelle, come abbiamo detto all’inizio di questa celebrazione, la liturgia odierna ci chiama alla gioia e alla conversione. Apriamo il nostro spirito a questo invito; corriamo incontro al Signore che viene, invocando e imitando san Patrizio, grande evangelizzatore, e la Vergine Maria, che ha atteso e preparato, silenziosa e orante, la nascita del Redentore. Amen!

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Paparatzifan
00domenica 16 dicembre 2012 14:52
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 16.12.2012

Di ritorno dalla visita pastorale alla Parrocchia romana di San Patrizio a Colle Prenestino, alle ore 12 il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
In questa III domenica di Avvento, domenica "Gaudete", sono presenti - tra gli altri - i bambini del Centro Oratori Romani per la benedizione dei "Bambinelli", le statuine di Gesù Bambino che i ragazzi metteranno nei presepi delle famiglie, delle scuole e delle parrocchie.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa Domenica di Avvento presenta nuovamente la figura di Giovanni Battista, e lo ritrae mentre parla alla gente che si reca da lui al fiume Giordano per farsi battezzare. Poiché Giovanni, con parole sferzanti, esorta tutti a prepararsi alla venuta del Messia, alcuni gli domandano: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14). Questi dialoghi sono molto interessanti e si rivelano di grande attualità.
La prima risposta è rivolta alla folla in generale.
Il Battista dice: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Qui possiamo vedere un criterio di giustizia, animato dalla carità.
La giustizia chiede di superare lo squilibrio tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario; la carità spinge ad essere attento all’altro e ad andare incontro al suo bisogno, invece di trovare giustificazioni per difendere i propri interessi. Giustizia e carità non si oppongono, ma sono entrambe necessarie e si completano a vicenda. «L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta», perché «sempre ci saranno situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo« (Enc. Deus caritas est, 28).
E poi vediamo la seconda risposta, che è diretta ad alcuni «pubblicani», cioè esattori delle tasse per conto dei Romani. Già per questo i pubblicani erano disprezzati, e anche perché spesso approfittavano della loro posizione per rubare. Ad essi il Battista non dice di cambiare mestiere, ma di non esigere nulla di più di quanto è stato fissato (cfr v. 13). Il profeta, a nome di Dio, non chiede gesti eccezionali, ma anzitutto il compimento onesto del proprio dovere. Il primo passo verso la vita eterna è sempre l’osservanza dei comandamenti; in questo caso il settimo: «Non rubare» (cfr Es 20,15).
La terza risposta riguarda i soldati, un’altra categoria dotata di un certo potere, e quindi tentata di abusarne. Ai soldati Giovanni dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (v. 14). Anche qui, la conversione comincia dall’onestà e dal rispetto degli altri: un’indicazione che vale per tutti, specialmente per chi ha maggiori responsabilità.
Considerando nell’insieme questi dialoghi, colpisce la grande concretezza delle parole di Giovanni: dal momento che Dio ci giudicherà secondo le nostre opere, è lì, nei comportamenti, che bisogna dimostrare di seguire la sua volontà. E proprio per questo le indicazioni del Battista sono sempre attuali: anche nel nostro mondo così complesso, le cose andrebbero molto meglio se ciascuno osservasse queste regole di condotta. Preghiamo allora il Signore, per intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a prepararci al Natale portando buoni frutti di conversione (cfr Lc 3,8).

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

dal 28 dicembre al 2 gennaio prossimi, si terrà a Roma l’Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Ringrazio le famiglie che, secondo la tradizione romana di accoglienza, si sono rese disponibili ad ospitare questi giovani. Poiché, grazie a Dio, le richieste sono superiori alle attese, rinnovo l’appello già rivolto nelle parrocchie, affinché altre famiglie, con grande semplicità, possano fare questa bella esperienza di amicizia cristiana.

Chers pèlerins francophones, le troisième dimanche de l’Avent est celui de la joie ! Mais que signifie la joie alors que des personnes souffrent l’épreuve ou la solitude ? En cette Année de la Foi, cherchons à considérer nos vies et nos difficultés avec les yeux de la foi, pour découvrir que le Christ est la source de la joie ! Sa présence qui sauve, délivre notre cœur de ce qui l’inquiète ; elle renouvelle et apaise. Oui, réjouissons-nous dans le Seigneur qui vient ! Que notre joie rayonne dans nos familles, nos lieux de travail, nos communautés et nos pays par des gestes d’attention, de partage, de pardon ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Angelus. I was deeply saddened by Friday’s senseless violence in Newtown, Connecticut. I assure the families of the victims, especially those who lost a child, of my closeness in prayer. May the God of consolation touch their hearts and ease their pain. During this Advent Season, let us dedicate ourselves more fervently to prayer and to acts of peace. Upon those affected by this tragedy, and upon each of you, I invoke God’s abundant blessings!

Ein herzliches Grüß Gott sage ich allen deutschsprachigen Pilgern und Besuchern, besonders der Musikkapelle und dem Pfarrchor aus Lengmoos am Ritten in Südtirol. Im heutigen Evangelium hören wir von Johannes dem Täufer, der auf den Größeren hinweist, der nach ihm kommen wird. Dieser bringt den Heiligen Geist, der uns unsere Sünden von Gott her zeigen wird und sie in seinem Feuer verbrennt. In der Taufe ist uns der Heilige Geist geschenkt, dessen Liebe wir uns nur zu öffnen brauchen. Euch allen wünsche ich eine gesegnete Zeit der Vorbereitung auf das Fest der Geburt Christi.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los fieles de diversas parroquias de Valencia. Cercana ya la Navidad, la liturgia repite este domingo las palabras del Apóstol Pablo: «Gaudete», estad alegres. El Señor está cerca. Es una alegría que llena el corazón de quienes, aun en las dificultades, saben que Dios viene a tomarnos de su mano, para no abandonarnos jamás. Id preparando el Nacimiento en vuestros hogares con la expectación y ternura con la que María esperaba acoger la venida al mundo del Salvador de todos los hombres. Que Ella os acompañe y os anime especialmente en estos días. Feliz domingo.

Słowo pozdrowienia i duchowej bliskości kieruję do Polaków, szczególnie do tych, którzy w Polsce włączają się w Wigilijne Dzieło Pomocy Dzieciom. Życzę, by ta charytatywna i ekumeniczna inicjatywa, będąca gestem konkretnej pomocy potrzebującym, przyniosła radość wielu dziecięcym sercom. Niech jej symbolem będzie płomień świec, które zapłoną w rodzinach podczas wigilijnej wieczerzy. Niech Bóg wynagrodzi hojność serc i wszystkim błogosławi.

[Ai Polacchi rivolgo parole di saluto e spirituale vicinanza, in modo particolare verso coloro che in Polonia fanno parte dell’"Opera Natalizia Aiuto ai Bambini". Auspico che questa iniziativa caritativa ed ecumenica, un gesto di concreto aiuto offerto ai bisognosi, porti la gioia nei cuori di molti bambini. La fiamma delle candele accese nelle famiglie durante la cena della Vigilia di Natale sia il simbolo di tale iniziativa. Sia Dio a premiare la generosità dei cuori e benedica tutti.]

Oggi rivolgo un saluto speciale ai bambini di Roma! Siete venuti per la tradizionale benedizione dei Bambinelli. Carissimi, mentre benedico le statuine di Gesù che metterete nei vostri presepi, benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre famiglie, come pure gli educatori e il Centro Oratori Romani.

Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Palazzo Adriano, Porto San Giorgio, Grottammare, San Lorenzello, Atella, Bucchianico e Valmontone. Saluto il gruppo di studenti dell’Istituto De Merode di Roma con alcuni compagni australiani di Adelaide; come pure i rappresentanti dell’agenzia di informazione religiosa Zenit. Auguro a tutti una buona domenica e un buon cammino spirituale verso Betlemme! Buona domenica. Auguri!

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Paparatzifan
00lunedì 17 dicembre 2012 15:59
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UDIENZA AD UNA DELEGAZIONE DEL COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO (C.O.N.I.) , 17.12.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza una Delegazione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), con gli atleti che hanno vinto una medaglia ai giochi olimpici e paralimpici di Londra 2012, e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici!

Sono molto lieto di accogliere voi Dirigenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e, soprattutto, voi atleti che avete rappresentato l’Italia nelle recenti Olimpiadi di Londra. Vi saluto con viva cordialità, ad iniziare dal Presidente del CONI, Dottor Giovanni Petrucci, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti. La scorsa estate, avete partecipato al più grande evento sportivo internazionale: i Giochi Olimpici. Su quel palcoscenico vi siete confrontati con altri atleti provenienti da quasi tutti i Paesi del mondo.
Vi siete sfidati sul terreno dell’agonismo e delle abilità tecniche, ma prima ancora su quello delle qualità umane, mettendo in campo le vostre doti e le vostre capacità, acquisite con l’impegno e il rigore nella preparazione, la costanza nell’allenamento, la consapevolezza dei vostri limiti. Lontano dai riflettori vi siete sottoposti ad una dura disciplina e diversi di voi hanno visto poi riconosciuto il valore raggiunto.
Mi pare che a Londra abbiate conquistato ben 28 medaglie, di cui 8 d’oro! Ma a voi atleti non è stato chiesto solo di competere e ottenere risultati. Ogni attività sportiva, sia a livello amatoriale che agonistico, richiede la lealtà nella competizione, il rispetto del proprio corpo, il senso di solidarietà e di altruismo e poi anche la gioia, la soddisfazione e la festa. Tutto ciò presuppone un cammino di autentica maturazione umana, fatto di rinunce, di tenacia, di pazienza, e soprattutto di umiltà, che non viene applaudita, ma che è il segreto della vittoria.
Uno sport che voglia avere un senso pieno per chi lo pratica deve essere sempre a servizio della persona. La posta in gioco allora non è solo il rispetto delle regole, ma la visione dell’uomo, dell’uomo che fa sport e che, al tempo stesso, ha bisogno di educazione, di spiritualità e di valori trascendenti. Lo sport infatti è un bene educativo e culturale, capace di rivelare l’uomo a se stesso ed avvicinarlo a comprendere il valore profondo della sua vita. Il Concilio Ecumenico Vaticano II parla dello sport all’interno della Costituzione pastorale Gaudium et spes, nell’ampio quadro dei rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, e lo colloca nel settore della cultura, cioè nell’ambito in cui si evidenzia la capacità interpretativa della vita, della persona e delle relazioni. Il Concilio auspica che lo sport contribuisca ad affinare lo spirito dell’uomo, consenta alle persone di arricchirsi con la reciproca conoscenza, aiuti a mantenere l’equilibrio della personalità, favorisca le fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni e stirpi diverse (cfr n. 61). Insomma, una cultura dello sport fondata sul primato della persona umana; uno sport al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio dello sport.
La Chiesa si interessa di sport, perché le sta a cuore l’uomo, tutto l’uomo, e riconosce che l’attività sportiva incide sull’educazione, sulla formazione della persona, sulle relazioni, sulla spiritualità. Lo testimonia la presenza di spazi ludici e sportivi negli oratori parrocchiali e nei centri giovanili; lo dimostrano le associazioni sportive di ispirazione cristiana, che sono palestre di umanità, luoghi di incontro in cui coltivare anche quel forte desiderio di vita e d’infinito che c’è negli adolescenti e nei giovani. L’atleta che vive integralmente la propria esperienza si fa attento al progetto di Dio sulla sua vita, impara ad ascoltarne la voce nei lunghi tempi di allenamento, a riconoscerlo nel volto del compagno, e anche dell’avversario di gara! L’esperienza sportiva può «contribuire a rispondere alle domande profonde che pongono le nuove generazioni circa il senso della vita, il suo orientamento e la sua meta» (Giovanni Paolo II, Discorso al Centro Sportivo Italiano, 26 giugno 2004, 2), quando è vissuta in pienezza; sa educare ai valori umani e aiuta l’apertura al trascendente. Penso dunque a voi, cari atleti, come a dei campioni-testimoni, con una missione da compiere: possiate essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare. Ma anche voi, cari Dirigenti, come pure gli allenatori, i diversi operatori sportivi, siete chiamati ad essere testimoni di buona umanità, cooperatori con le famiglie e le istituzioni formative dell’educazione dei giovani, maestri di una pratica sportiva che sia sempre leale e limpida. La pressione di conseguire risultati significativi non deve mai spingere a imboccare scorciatoie come avviene nel caso del doping. Lo stesso spirito di squadra sia di sprone ad evitare questi vicoli ciechi, ma anche di sostegno a chi riconosce di avere sbagliato, in modo che si senta accolto e aiutato.
Cari amici, in questo Anno della fede vorrei sottolineare che l’attività sportiva può educare la persona anche all’"agonismo" spirituale, cioè a vivere ogni giorno cercando di far vincere il bene sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi. Pensando poi all’impegno della nuova evangelizzazione, anche il mondo dello sport può essere considerato un moderno "cortile dei gentili", cioè un’opportunità preziosa di incontro aperta a tutti, credenti e non credenti, dove sperimentare la gioia e anche la fatica di confrontarsi con persone diverse per cultura, lingua e orientamento religioso.
Vorrei concludere ricordando la luminosa figura del beato Pier Giorgio Frassati: un giovane che univa in sé la passione per lo sport – amava specialmente le ascensioni in montagna – e la passione per Dio. Vi invito, cari atleti, a leggere una sua biografia: il beato Pier Giorgio ci mostra che essere cristiani significa amare la vita, amare la natura, ma soprattutto amare il prossimo, in particolare le persone in difficoltà. Auguro anche a ciascuno di voi di gustare la gioia più grande: quella di migliorarvi giorno dopo giorno, riuscendo ad amare sempre un po’ di più. Lo chiediamo come dono al Signore Gesù per questo Natale. Vi ringrazio di essere venuti e benedico di cuore tutti voi e i vostri familiari.

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Paparatzifan
00giovedì 20 dicembre 2012 03:41
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L’UDIENZA GENERALE, 19.12.2012

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Maria Vergine: Icona della fede obbediente

Cari fratelli e sorelle,

nel cammino dell’Avvento la Vergine Maria occupa un posto particolare come colei che in modo unico ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande mistero dell’Annunciazione.
«Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou», «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Sono queste le parole - riportate dall’evangelista Luca – con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria. A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo. Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il saluto dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella.
Ma perché Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente» (3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio vivente.
Nel saluto dell’angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in greco il termine “grazia”, charis, ha la stessa radice linguistica della parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione di Dio.
Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore, si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede.
L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo nella promessa divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti.
Vorrei sottolineare un altro aspetto importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui che - come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr Lc 2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.
Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno di noi: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia - come Abramo e come Maria - tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’Infanzia di Gesù narrati da san Luca. Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al Signore come prescrive la legge di Mosé: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,48-49). Cioè nella proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più difficile, quello della Croce.
Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo - è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio –, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù, dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.
Cari amici, la solennità del Natale del Signore che tra poco celebreremo, ci invita a vivere questa stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino.
L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo.

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Paparatzifan
00giovedì 20 dicembre 2012 15:11
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ARTICLE BY THE HOLY FATHER BENEDICT XVI IN THE FINANCIAL TIMES "A TIME FOR CHRISTIANS TO ENGAGE WITH THE WORLD", 20.12.2012

L’articolo del Papa per il "Financial Times" (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla redazione del "Financial Times" stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazione dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in occasione del Natale.
Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il Santo Padre ha accettato con disponibilità.
Forse è giusto ricordare la disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC, proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o la richiesta di intervista televisiva per il programma "A sua immagine" della RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo.
Si è trattato anche allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.

Tempo di impegno nel mondo per i cristiani

"Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: "Il mio regno non è di questo mondo".

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

E’ nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.

© Copyright Financial Times, 20 dicembre 2012


Paparatzifan
00giovedì 20 dicembre 2012 15:45
Dal blog di Lella...

UDIENZA A UNA DELEGAZIONE DI RAGAZZI DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA , 20.12.2012

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza una rappresentanza di ragazzi dell’Azione Cattolica Italiana (A.C.R.) per gli auguri natalizi e rivolge loro le parole di saluto che riportiamo di seguito:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Carissimi ragazzi e ragazze dell’ACR (ACIERRE),

sono contento di incontrarvi e di accogliere i vostri auguri per il Natale del Signore. Vi saluto con affetto, insieme con i vostri educatori, il presidente Prof. Franco Miano e l’assistente generale Mons. Domenico Sigalini.
Mi avete detto che siete "in cerca di autore" e che questa è la frase guida del vostro cammino di quest’anno in ACIERRE. Mi verrebbe subito da chiedervi: Chi è questo autore? Lo avete già trovato? Sono certo che, con i formatori e con gli altri amici dell’Azione Cattolica, troverete una risposta sempre più chiara alla vostra ricerca e sarete capaci di aiutare anche molti altri a trovarla. Però, vorrei anch’io dirvi qualcosa. Anzitutto, so che voi cercate l’autore della vita, chi vi aiuta a vivere bene, contenti con voi stessi e con gli altri. Ma noi sappiamo chi è questo autore: è Dio, che ci ha mostrato il suo volto. Dio ci ha creati, ci ha fatti a sua immagine, soprattutto ci ha donato il suo Figlio Gesù, che si è fatto bambino - lo contempleremo tra poco nel Santo Natale -, è cresciuto da ragazzo come voi, ha percorso le strade di questo nostro mondo per comunicarci l’amore di Dio, che rende bella e felice la vita, piena di bontà e di generosità.
Certamente voi cercate anche l’autore della vostra gioia. Se vi chiedessi che cosa vi dà gioia, forse la risposta sarebbe: i giochi, lo sport, gli amici, i genitori, che vivono per voi e vi vogliono bene. Sono tanti che vi rendono felici, ma c’è un grande Amico che è l’autore della gioia di tutti e con il quale il nostro cuore si riempie di una gioia che sorpassa tutte le altre e che dura per tutta la vita: è Gesù. Ricordate, cari amici: quanto più imparerete a conoscerlo e a dialogare con Lui, tanto più sentirete nel cuore di essere contenti e sarete capaci di vincere le piccole tristezze che ci sono a volte nell’animo.
Inoltre, siete in cerca dell’autore dell’amore. Si può vivere da soli, chiusi in se stessi? Se riflettete un momento, vedrete che la risposta è un chiaro: "no". Tutti abbiamo bisogno di voler bene e di sentire che qualcuno ci accetta e ci vuole bene. Sentirsi amati è necessario per vivere, ma è altrettanto importante essere capaci di amare gli altri, per rendere bella la loro vita, la vita di tutti, anche dei vostri coetanei che si trovano in situazioni difficili. Gesù ci ha fatto vedere con la sua vita che Dio ama tutti senza distinzione e vuole che tutti vivano felici. Mi piace, allora, questa vostra iniziativa nel mese di gennaio per sostenere un progetto in Egitto di aiuto concreto a ragazzi di strada.
Infine, voi cercate sicuramente l’autore della pace, di cui il mondo ha tanto bisogno. Spesso gli uomini pensano di poter costruire la pace da soli, ma è importante capire che è Dio che può donarci una pace vera e solida. Se lo sappiamo ascoltare, se gli facciamo spazio nella nostra vita, Dio scioglie l’egoismo che spesso inquina i rapporti tra le persone e tra le Nazioni e fa sorgere desideri di riconciliazione, di perdono e di pace, anche in chi ha il cuore indurito.
Cari ragazzi e ragazze dell’ACIERRE, vi auguro di fare questa ricerca insieme, tra di voi e con i vostri compagni di scuola e di giochi. Se vi aiutate l’un l’altro a cercare il grande Autore della vita, della gioia, dell’amore, della pace, scoprirete che questo Autore non è mai lontano da voi, anzi, è vicinissimo: è il Dio che si è fatto bambino in Gesù!
Cari amici, un augurio di Buon Natale a voi e all’intera Azione Cattolica!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00venerdì 21 dicembre 2012 12:51
Dal blog di Lella...

UDIENZA DEL PAPA ALLA CURIA ROMANA

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi incontro oggi, cari Membri del Collegio Cardinalizio, Rappresentanti della Curia Romana e del Governatorato, per questo tradizionale momento prima del Santo Natale. Rivolgo a ciascuno un cordiale saluto, iniziando dal Cardinale Angelo Sodano, che ringrazio per le belle parole e per i fervidi auguri che mi ha indirizzato anche a nome vostro. Il Cardinale Decano ci ha ricordato un’espressione che ritorna spesso in questi giorni nella liturgia latina: Prope est iam Dominus, venite, adoremus!
Il Signore è ormai vicino, venite adoriamolo! Anche noi, come un’unica famiglia ci disponiamo ad adorare, nella grotta di Betlemme, quel Bambino che è Dio stesso fattosi così vicino da diventare uomo come noi. Ricambio volentieri gli auguri e ringrazio di cuore tutti, compresi i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per la generosa e qualificata collaborazione che ognuno di voi presta al mio Ministero. Ci troviamo alla fine di un anno che nuovamente, nella Chiesa e nel mondo, è stato caratterizzato da molteplici situazioni travagliate, da grandi questioni e sfide, ma anche da segni di speranza. Menziono soltanto alcuni momenti salienti nell’ambito della vita della Chiesa e del mio ministero petrino. Ci sono stati, come ha detto il cardinale Decano, anzitutto i viaggi in Messico e a Cuba – incontri indimenticabili con la forza della fede, profondamente radicata nei cuori degli uomini, e con la gioia per la vita che scaturisce dalla fede.
Ricordo che, dopo l’arrivo in Messico, ai bordi della lunga strada da percorrere, c’erano interminabili schiere di persone che salutavano, sventolando fazzoletti e bandiere. Ricordo che durante il tragitto verso Guanajuato, pittoresca capitale dello Stato omonimo, c’erano giovani devotamente inginocchiati ai margini della strada per ricevere la benedizione del Successore di Pietro; ricordo come la grande liturgia nelle vicinanze della statua di Cristo Re sia diventata un atto che ha reso presente la regalità di Cristo – la sua pace, la sua giustizia, la sua verità. Tutto ciò sullo sfondo dei problemi di un Paese che soffre per molteplici forme di violenza e per le difficoltà di dipendenze economiche. Sono problemi che, certo, non possono essere risolti semplicemente mediante la religiosità, ma lo possono ancor meno senza quella purificazione interiore dei cuori che proviene dalla forza della fede, dall’incontro con Gesù Cristo.
E c’è stata poi l’esperienza di Cuba – anche qui le grandi liturgie, nei cui canti, preghiere e silenzi si è resa percepibile la presenza di Colui al quale, per molto tempo, si era voluto rifiutare un posto nel Paese. La ricerca, in quel Paese, di una giusta impostazione del rapporto tra vincoli e libertà, sicuramente non può riuscire senza un riferimento a quei criteri di fondo che si sono manifestati all’umanità nell’incontro con il Dio di Gesù Cristo. Quali ulteriori tappe dell’anno che volge al termine, vorrei menzionare la grande Festa della Famiglia a Milano, come anche la visita in Libano con la consegna dell’Esortazione Apostolica Postsinodale, che ora dovrà costituire, nella vita delle Chiese e della società in Medio Oriente, un orientamento sulle difficili vie dell’unità e della pace. L’ultimo avvenimento importante di questo anno che sta tramontando è stato il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che è stato contemporaneamente un inizio comunitario dell’Anno della Fede, con cui commemoriamo l’inaugurazione del Concilio Vaticano II, cinquant’anni orsono, per comprenderlo e assimilarlo nuovamente nella mutata situazione.
Con tutte queste occasioni si sono toccati temi fondamentali del nostro momento storico: la famiglia (Milano), il servizio alla pace nel mondo e il dialogo interreligioso (Libano), come anche l’annuncio del messaggio di Gesù Cristo nel nostro tempo a coloro che ancora non l’hanno incontrato e ai tanti che lo conoscono soltanto dall’esterno e, proprio per questo, non lo riconoscono.
Tra queste grandi tematiche vorrei riflettere un po’ più dettagliatamente soprattutto sul tema della famiglia e sulla natura del dialogo, per aggiungere poi ancora una breve annotazione sul tema della Nuova Evangelizzazione.
La grande gioia con cui a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente sottolineata l’importanza della famiglia come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali dell’essere persona umana.
Le si impara vivendole e anche soffrendole insieme. Così si è reso evidente che nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana.
Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27).
No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo. Con ciò vorrei giungere al secondo grande tema che, da Assisi fino al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, ha pervaso tutto l’anno che volge al termine: la questione cioè del dialogo e dell’annuncio. Parliamo anzitutto del dialogo. Vedo per la Chiesa nel nostro tempo soprattutto tre campi di dialogo nei quali essa deve essere presente, nella lotta per l’uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni. La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana.
La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità. Ciò che, nell’incontro tra rivelazione ed esperienza umana, è stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell’ambito della ragione, ma non costituisce un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse. Se l’uomo con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze, esse allargano l’orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica.
Nella situazione attuale dell’umanità, il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico, diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana.
Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro. Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:
1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione. 2. Conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri. Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità.
Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità. Alla fine, è doverosa ancora una breve annotazione sull’annuncio, sull’evangelizzazione, di cui infatti, a seguito delle proposte dei Padri sinodali, parlerà ampiamente il documento postsinodale. Trovo che gli elementi essenziali del processo di evangelizzazione appaiano in modo eloquente nel racconto di san Giovanni sulla chiamata di due discepoli del Battista, che diventano discepoli di Cristo (cfr Gv 1,35-39). C’è anzitutto il semplice atto dell’annuncio. Giovanni Battista addita Gesù e dice: “Ecco l’agnello di Dio!” Un po’ più avanti l’evangelista racconta un evento simile. Questa volta è Andrea che dice a suo fratello Simone: “Abbiamo trovato il Messia” (1,41). Il primo e fondamentale elemento è il semplice annuncio, il kerigma, che attinge la sua forza dalla convinzione interiore dell’annunciatore. Nel racconto dei due discepoli segue poi l’ascolto, l’andare dietro i passi di Gesù, un seguire che non è ancora sequela, ma piuttosto una santa curiosità, un movimento di ricerca. Sono, infatti, ambedue persone alla ricerca, persone che, al di là del quotidiano, vivono nell’attesa di Dio – nell’attesa perché Egli c’è e quindi si mostrerà. Toccata dall’annuncio, la loro ricerca diventa concreta. Vogliono conoscere meglio Colui che il Battista ha qualificato come Agnello di Dio. Il terzo atto poi prende avvio per il fatto che Gesù si volge indietro, si volge verso di essi e domanda loro: “Che cosa cercate?”. La risposta dei due è, nuovamente, una domanda che indica l’apertura della loro attesa, la disponibilità a fare nuovi passi. Domandano: “Rabbì, dove dimori?” La risposta di Gesù: “Venite e vedrete!” è un invito ad accompagnarlo e, camminando con Lui, a diventare vedenti.
La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti. “Venite e vedrete!” Questa parola che Gesù rivolge ai due discepoli in ricerca, la rivolge anche alle persone di oggi che sono in ricerca. Alla fine dell’anno vogliamo pregare il Signore, affinché la Chiesa, nonostante le proprie povertà, diventi sempre più riconoscibile come sua dimora. Lo preghiamo perché, nel cammino verso la sua casa, renda anche noi sempre più vedenti, affinché possiamo dire sempre meglio e in modo sempre più convincente: Abbiamo trovato Colui, del quale è in attesa tutto il mondo, Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero uomo. In questo spirito auguro di cuore a tutti voi un Santo Natale e un felice Anno Nuovo.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00domenica 23 dicembre 2012 23:53
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 23.12.2012

Alle ore 12 di oggi, quarta Domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa IV domenica di Avvento, che precede di poco il Natale del Signore, il Vangelo narra la visita di Maria alla parente Elisabetta. Questo episodio non rappresenta un semplice gesto di cortesia, ma raffigura con grande semplicità l’incontro dell’Antico con il Nuovo Testamento. Le due donne, entrambe incinte, incarnano infatti l’attesa e l’Atteso. L’anziana Elisabetta simboleggia Israele che attende il Messia, mentre la giovane Maria porta in sé l’adempimento di tale attesa, a vantaggio di tutta l’umanità. Nelle due donne si incontrano e riconoscono prima di tutto i frutti dei loro grembi, Giovanni e Cristo. Commenta il poeta cristiano Prudenzio: «Il bambino contenuto nel grembo senile saluta, attraverso la bocca di sua madre, il Signore figlio della Vergine» (Apotheosis, 590: PL 59, 970). L’esultanza di Giovanni nel grembo di Elisabetta è il segno del compimento dell’attesa: Dio sta per visitare il suo popolo. Nell’Annunciazione l’arcangelo Gabriele aveva parlato a Maria della gravidanza di Elisabetta (cfr Lc 1,36) come prova della potenza di Dio: la sterilità, nonostante l’età avanzata, si era trasformata in fertilità.
Elisabetta, accogliendo Maria, riconosce che si sta realizzando la promessa di Dio all’umanità ed esclama: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (Lc 1,42-43). L’espressione «benedetta tu fra le donne» è riferita nell’Antico Testamento a Giaele (Gdc 5,24) e a Giuditta (Gdt 13,1), due donne guerriere che si adoperano per salvare Israele. Ora invece è rivolta a Maria, giovinetta pacifica che sta per generare il Salvatore del mondo. Così anche il sussulto di gioia di Giovanni (cfr Lc 1,44) richiama la danza che il re Davide fece quando accompagnò l’ingresso dell’Arca dell’Alleanza in Gerusalemme (cfr 1 Cr 15,29). L’Arca, che conteneva le tavole della Legge, la manna e lo scettro di Aronne (cfr Eb 9,4), era il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il nascituro Giovanni esulta di gioia davanti a Maria, Arca della nuova Alleanza, che porta in grembo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo.
La scena della Visitazione esprime anche la bellezza dell’accoglienza: dove c’è accoglienza reciproca, ascolto, il fare spazio all’altro, lì c’è Dio e la gioia che viene da Lui. Imitiamo Maria nel tempo di Natale, facendo visita a quanti vivono un disagio, in particolare gli ammalati, i carcerati, gli anziani e i bambini. E imitiamo anche Elisabetta che accoglie l’ospite come Dio stesso: senza desiderarlo non conosceremo mai il Signore, senza attenderlo non lo incontreremo, senza cercarlo non lo troveremo. Con la stessa gioia di Maria che va in fretta da Elisabetta (cfr Lc 1,39), anche noi andiamo incontro al Signore che viene. Preghiamo perché tutti gli uomini cerchino Dio, scoprendo che è Dio stesso per primo a venire a visitarci. A Maria, Arca della Nuova ed Eterna Alleanza, affidiamo il nostro cuore, perché lo renda degno di accogliere la visita di Dio nel mistero del suo Natale.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins francophones, en cette Année de la Foi, et à l’approche de Noël, recevons l’appel à convertir notre cœur pour fêter le Christ dans l’Enfant de Bethléem. Croire en Dieu demande de reconnaître dans Celui qui va naître, le Tout puissant qui vient nous sauver. Le mystère de l’Incarnation est au cœur de notre foi. Puisse cette fête de la Nativité la fortifier ! Dépassons le souci des préparatifs extérieurs et l’aspect superficiel pour suivre la Vierge Marie dans son silence et son recueillement ! Avec elle, préparons-nous à accueillir le Sauveur. Je vous bénis de grand cœur !

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present at this Angelus prayer. Today, as we approach the Solemnity of our Lord’s Birth among us, let us strive again to make room in our hearts to welcome the Christ child with love and humility before such a great gift from on high. In anticipation, let me already wish you and your families a holy and peaceful Christmas!

Gerne heiße ich die Pilger und Gäste deutscher Sprache willkommen. „Der Herr ist nahe", beten wir in diesen Tagen vor Weihnachten. Schon leuchtet der Glanz der Heiligen Nacht auf, und wir dürfen gewiß sein: Gott kommt in die Welt, er wird einer von uns, um uns Menschen Frieden und Heil zu bringen. Wie Maria wollen wir Gottes Wort und Willen gläubig annehmen, damit der Herr auch in uns und bei uns wohnen kann. Als Brüder und Schwestern Christi möchten wir unseren Mitmenschen seine Liebe und Gegenwart weiterschenken, besonders den Kranken, den Notleidenden und Bedürftigen. Allen wünsche ich ein frohes und gnadenreiches Weihnachtsfest.

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española presentes en esta oración mariana. El evangelio de la Visitación, que la Iglesia nos propone este domingo, nos muestra la doble alegría que lleva consigo el anuncio de la salvación: la de quien, como la Santísima Virgen, acepta la buena noticia de Jesucristo y se pone en camino para proclamarla, y la de aquellos que, como Juan en el vientre de Isabel, saltan de gozo al escuchar al que les trae al Salvador. Invito a todos a acoger al Señor, que llega y quiere colmar los corazones del inefable júbilo del Espíritu Santo. Que Dios os bendiga.

Drodzy Polacy, bracia i siostry! Już wkrótce duch Bożego Narodzenia przeniknie wasze domy, rodziny, wspólnoty. Połączy was wiara i radość z narodzin Zbawiciela. Każdemu z was, a szczególnie samotnym, chorym, tym, którym w życiu jest trudno, życzę pokoju, ciepła i miłości; wszystkim ducha nadziei, przebaczenia i pojednania. Niech światło płynące z betlejemskiego żłóbka opromienia w tym szczególnym roku – Roku Wiary – całą Polskę, wasze życie i serca. Niech Boże Dziecię wszystkim wam błogosławi.

[Cari polacchi, fratelli e sorelle! Ormai tra poco lo spirito del Natale pervaderà le vostre case, le vostre famiglie e comunità. Vi uniranno la fede e la gioia della nascita del Salvatore. Auguro a ciascuno di voi – e in modo speciale alle persone che si sentono sole, ai malati, ai coloro che devono affrontare le difficoltà della vita – pace, calore e amore; a tutti la speranza, il perdono e la riconciliazione. La luce che giunge dalla stalla di Betlemme si irradi in questo speciale anno – Anno della Fede – su tutta la Polonia, nella vostra vita e nei vostri cuori. Il Divino Bambino vi benedica tutti!]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Auguro a tutti una buona domenica e tanta serenità per le prossime feste del Natale. Buona domenica!

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Paparatzifan
00mercoledì 26 dicembre 2012 02:26
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SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sempre di nuovo la bellezza di questo Vangelo tocca il nostro cuore – una bellezza che è splendore della verità. Sempre di nuovo ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo, affinché osiamo amarlo, e, come bambino, si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Dio dice quasi: So che il mio splendore ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, perché tu possa accogliermi ed amarmi.
Sempre di nuovo mi tocca anche la parola dell’evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c’era posto nell’alloggio. Inevitabilmente sorge la domanda su come andrebbero le cose, se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? E poi ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla, l’evangelista Giovanni l’ha approfondita e portata all’essenza scrivendo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più velocemente possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione.
E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’“ipotesi Dio”. Non c’è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c’è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell’alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l’esortazione di san Paolo: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!” (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto (nous); parla, in generale, del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo.
C’è ancora una seconda parola nel racconto di Natale sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l’inno di lode che gli angeli intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento”.
Dio è glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell’amore. Egli è buono. È il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il loro canto è un’irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo. Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c’è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell’amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.
Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell’unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare.
Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in quest’ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai vicini. Fa’ che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le persone che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l’assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini “del tuo compiacimento” – uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace.
Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori dicevano l’un l’altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro cammino verso Betlemme, ci dice l’evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l’angelo aveva detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui l’angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali.
Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: “attraversare”, andare di là, osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale per giungere all’essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore.
Andiamo di là, a Betlemme: con queste parole che, insieme con i pastori, ci diciamo l’un l’altro, non dobbiamo pensare soltanto alla grande traversata verso il Dio vivente, ma anche alla città concreta di Betlemme, a tutti i luoghi in cui il Signore ha vissuto, operato e sofferto. Preghiamo in quest’ora per le persone che oggi lì vivono e soffrono. Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell’unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l’Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio.
I pastori si affrettavano. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente importante. Perché non dovremmo essere presi anche noi dalla curiosità di vedere più da vicino e di conoscere ciò che Dio ci ha detto? Preghiamolo affinché la santa curiosità e la santa gioia dei pastori tocchino in quest’ora anche noi, e andiamo quindi con gioia di là, a Betlemme – verso il Signore che anche oggi viene nuovamente verso di noi. Amen.

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Paparatzifan
00mercoledì 26 dicembre 2012 02:34
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MESSAGGIO NATALIZIO DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE URBI ET ORBI, 25.12.2012


Alle ore 12 di oggi, Solennità del Natale del Signore, dalla Loggia della Benedizione il Santo Padre Benedetto XVI rivolge il tradizionale Messaggio natalizio ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione.
Questo il testo del Messaggio del Santo Padre per il Natale 2012:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

«Veritas de terra orta est!» - «La verità è germogliata dalla terra!» (Sal 85,12).

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie!

Il mio augurio natalizio, in quest’Anno della fede, lo esprimo con queste parole, tratte da un Salmo: «La verità è germogliata dalla terra». Nel testo del Salmo, in realtà, le troviamo al futuro: «La verità germoglierà dalla terra»: è un annuncio, una promessa, accompagnata da altre espressioni, che nell’insieme suonano così: «Amore e verità s’incontreranno, / giustizia e pace si baceranno. / Verità germoglierà dalla terra / e giustizia si affaccerà dal cielo. / Certo, il Signore donerà il suo bene / e la nostra terra darà il suo frutto; / giustizia camminerà davanti a lui: / i suoi passi tracceranno il cammino» (Sal 85,11-14).
Oggi questa parola profetica si è compiuta! In Gesù, nato a Betlemme da Maria Vergine, realmente l’amore e la verità si incontrano, la giustizia e la pace si sono baciate; la verità è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo. Sant’Agostino spiega con felice concisione: «Che cos’è la verità? Il Figlio di Dio. Che cos’è la terra? La carne. Domàndati da dove è nato Cristo, e vedi perché la verità è germogliata dalla terra … la verità è nata da Maria Vergine» (En. in Ps. 84,13).
E in un discorso di Natale afferma: «Con questa festa che ricorre ogni anno celebriamo dunque il giorno in cui si adempì la profezia: "La verità è sorta dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo". La Verità che è nel seno del Padre è sorta dalla terra perché fosse anche nel seno di una madre. La Verità che regge il mondo intero è sorta dalla terra perché fosse sorretta da mani di donna … La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo» (Sermones, 185, 1).
«Se crediamo». Ecco la potenza della fede! Dio ha fatto tutto, ha fatto l’impossibile: si è fatto carne. La sua onnipotenza d’amore ha realizzato ciò che va al di là dell’umana comprensione: l’Infinito si è fatto bambino, è entrato nell’umanità.
Eppure, questo stesso Dio non può entrare nel mio cuore se non apro io la porta. Porta fidei! La porta della fede! Potremmo rimanere spaventati, davanti a questa nostra onnipotenza alla rovescia. Questo potere dell’uomo di chiudersi a Dio può farci paura. Ma ecco la realtà che scaccia questo pensiero tenebroso, la speranza che vince la paura: la verità è germogliata! Dio è nato!
«La terra ha dato il suo frutto» (Sal 67,7). Sì, c’è una terra buona, una terra sana, libera da ogni egoismo e da ogni chiusura. C’è nel mondo una terra che Dio ha preparato per venire ad abitare in mezzo a noi. Una dimora per la sua presenza nel mondo. Questa terra esiste, e anche oggi, nel 2012, da questa terra è germogliata la verità! Perciò c’è speranza nel mondo, una speranza affidabile, anche nei momenti e nelle situazioni più difficili. La verità è germogliata portando amore, giustizia e pace.
Sì, la pace germogli per la popolazione siriana, profondamente ferita e divisa da un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti. Ancora una volta faccio appello perché cessi lo spargimento di sangue, si facilitino i soccorsi ai profughi e agli sfollati e, tramite il dialogo, si persegua una soluzione politica al conflitto.

La pace germogli nella Terra dove è nato il Redentore, ed Egli doni a Israeliani e Palestinesi il coraggio di porre fine a troppi anni di lotte e di divisioni, e di intraprendere con decisione il cammino del negoziato.

Nei Paesi del Nord Africa, che attraversano una profonda transizione alla ricerca di un nuovo futuro - in particolare in Egitto, terra amata e benedetta dall’infanzia di Gesù - i cittadini costruiscano insieme società basate sulla giustizia, il rispetto della libertà e della dignità di ogni persona.

La pace germogli nel vasto Continente asiatico. Gesù Bambino guardi con benevolenza ai numerosi Popoli che abitano quelle terre e, in modo speciale, quanti credono in Lui. Il Re della Pace rivolga inoltre il suo sguardo ai nuovi Dirigenti della Repubblica Popolare Cinese per l’alto compito che li attende. Auspico che esso valorizzi l'apporto delle religioni, nel rispetto di ciascuna, così che queste possano contribuire alla costruzione di una società solidale, a beneficio di quel nobile Popolo e del mondo intero.

Il Natale di Cristo favorisca il ritorno della pace nel Mali e della concordia in Nigeria, dove efferati attentati terroristici continuano a mietere vittime, in particolare tra i Cristiani. Il Redentore rechi aiuto e conforto ai profughi dell’Est della Repubblica Democratica del Congo e doni pace al Kenya, dove sanguinosi attentati hanno colpito la popolazione civile e i luoghi di culto.

Gesù Bambino benedica i numerosissimi fedeli che Lo celebrano in America Latina. Accresca le loro virtù umane e cristiane, sostenga quanti sono costretti ad emigrare dalle loro famiglie e dalla loro terra, rafforzi i Governanti nell’impegno per lo sviluppo e nella lotta alla criminalità.

Cari fratelli e sorelle! Amore e verità, giustizia e pace si sono incontrate, si sono incarnate nell’uomo nato a Betlemme da Maria. Quell’uomo è il Figlio di Dio, è Dio apparso nella storia. La sua nascita è un germoglio di vita nuova per tutta l’umanità. Possa ogni terra diventare una terra buona, che accoglie e germoglia l’amore, la verità, la giustizia e la pace. Buon Natale a tutti!

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Paparatzifan
00giovedì 27 dicembre 2012 03:08
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.12.2012

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

ogni anno, all’indomani del Natale del Signore, la liturgia ci fa celebrare la festa di santo Stefano, diacono e primo martire. Il libro degli Atti degli Apostoli ce lo presenta come uomo pieno di grazia e di Spirito Santo (cfr At 6,8-10; 7,55); in lui si è verificata in pieno la promessa di Gesù riportata dal testo evangelico odierno, che cioè i credenti chiamati a rendere testimonianza in circostanze difficili e pericolose non saranno abbandonati e indifesi: lo Spirito di Dio parlerà in loro (cfr Mt 10,20). Il diacono Stefano, in effetti, operò, parlò e morì animato dallo Spirito Santo, testimoniando l’amore di Cristo fino all’estremo sacrificio. Il primo martire viene descritto, nella sua sofferenza, come imitazione perfetta di Cristo, la cui passione si ripete fino nei dettagli.
La vita di santo Stefano è interamente plasmata da Dio, conformata a Cristo, la cui passione si ripete in lui; nel momento finale della morte, in ginocchio, egli riprende la preghiera di Gesù sulla croce, affidandosi al Signore (cfr At 7,59) e perdonando i suoi nemici: «Signore, non imputare loro questo peccato» (v. 60). Ricolmo di Spirito Santo, mentre i suoi occhi stanno per spegnersi, egli fissa lo sguardo su «Gesù che stava alla destra di Dio» (v. 55), Signore di tutto e che tutti attira a Sé.
Nel giorno di santo Stefano, anche noi siamo chiamati a fissare lo sguardo sul Figlio di Dio, che nel clima gioioso del Natale contempliamo nel mistero della sua Incarnazione. Con il Battesimo e la Cresima, con il prezioso dono della fede alimentata dai Sacramenti, specialmente dall’Eucaristia, Gesù Cristo ci ha legati a Sé e vuole continuare in noi, con l’azione dello Spirito Santo, la sua opera di salvezza, che tutto riscatta, valorizza, eleva e conduce al compimento. Lasciarsi attirare da Cristo, come ha fatto santo Stefano, significa aprire la propria vita alla luce che la richiama, la orienta e le fa percorrere la via del bene, la via di un’umanità secondo il disegno di amore di Dio.
Infine, santo Stefano è un modello per tutti coloro che vogliono mettersi al servizio della nuova evangelizzazione. Egli dimostra che la novità dell’annuncio non consiste primariamente nell’uso di metodi o tecniche originali, che certo hanno la loro utilità, ma nell’essere ricolmi di Spirito Santo e lasciarsi guidare da Lui. La novità dell’annuncio sta nella profondità dell’immersione nel mistero di Cristo, dell’assimilazione della sua parola e della sua presenza nell’Eucaristia, così che Lui stesso, Gesù vivo, possa parlare e agire nel suo inviato. In sostanza, l’evangelizzatore diventa capace di portare Cristo agli altri in maniera efficace quando vive di Cristo, quando la novità del Vangelo si manifesta nella sua stessa vita. Preghiamo la Vergine Maria, affinché la Chiesa, in quest’Anno della fede, veda moltiplicarsi gli uomini e le donne che, come santo Stefano, sanno dare una testimonianza convinta e coraggiosa del Signore Gesù.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins francophones, au lendemain de Noël, le martyre du diacre Etienne montre que la naissance du Fils de Dieu a inauguré une ère nouvelle, celle de l’amour. L’amour abat les barrières entre les hommes. Il les rend frères en les réconciliant par le pardon, donné et reçu. Que l’intercession de saint Etienne, fidèle jusqu’au bout au Seigneur, soutienne les chrétiens persécutés et que notre prière les encourage ! À sa suite, témoignons sans peur, avec courage et détermination de notre foi. Bonnes fêtes à tous !

I am pleased to welcome all those present for this

Angelus prayer. Today, immediately after Christmas Day, by tradition we celebrate the feast of the first martyr, Saint Stephen the Deacon. Like him, may we be blessed by God’s grace to have the courage to speak up and to defend the truth of our faith in public, with charity and constancy. God bless all of you and your loved ones!

Am heutigen Stephanustag heiße ich ganz herzlich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher hier auf dem Petersplatz willkommen. Der heilige Stephanus sieht den Himmel offen und den Menschensohn zur Rechten Gottes stehen, so erzählt uns die Apostelgeschichte. Mit seinem Zeugnis und seinem Martyrium bestätigt er die Botschaft von der Menschwerdung Gottes. Er bezeugt, daß der Mensch, der sich Christus, dem göttlichen Wort, zuwendet, Gott selbst begegnet und durch die Kraft der Liebe verwandelt wird in Gottes neue Schöpfung hinein. Der Herr schenke euch und euren Familien in dieser Weihnachtszeit seinen Frieden und seine Freude.

Dirijo un cordial saludo a los peregrinos de lengua española aquí presentes y a cuantos participan en esta oración mariana a través de los medios de comunicación social. La fiesta de San Esteban prolonga el fervor de la Navidad y se convierte en una invitación a pedir al Niño Dios que renueve nuestra fe y la haga más activa por la caridad. A Él también le suplicamos que el ejemplo de fidelidad al Evangelio de este primer mártir ayude a los cristianos a vencer sus miedos e inercias, para que así puedan dar razón de su esperanza a quien se la pidiere, con audacia y sabiduría. De nuevo deseo a todos una santa y feliz Navidad. Muchas gracias.

Com afecto, saúdo também os peregrinos de língua portuguesa, desejando que esta vinda a Roma encha de paz e alegria natalícia os vossos corações, com uma viva adesão a Cristo como fez Santo Estêvão: Confiai no seu poder, deixai agir a sua graça! De coração vos agradeço e abençoo.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Wspominając świętego Szczepana, pierwszego męczennika, przez jego wstawiennictwo, prośmy Boga, aby i nam w codziennym życiu nie brakowało mądrości i odwagi, wiary i miłości, które znajdują swoje zwieńczenie w chwale Pana. Wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. Commemorando San Stefano, primo martire, per sua intercessione chiediamo a Dio affinché nella vita quotidiana non ci manchino la saggezza e il coraggio, la fede e l’amore, che trovano il loro compimento nella gloria del Signore.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani del Movimento dei Focolari provenienti da molti Paesi del mondo. Cari giovani, l’esempio della beata Chiara Badano vi aiuti nel cammino della fede! A tutti auguro una buona festa, nella luce e nella pace del Natale del Nostro Signore Gesù Cristo. Grazie! Buona festa e tanta gioia...

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Paparatzifan
00domenica 30 dicembre 2012 04:05
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Incontro con i giovani di Taizé - 29/12/2012

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Grazie, caro Fratello Alois, per le Sue parole calorose e piene di affetto.
Cari giovani, cari pellegrini della fiducia, benvenuti a Roma!

Siete venuti molto numerosi, da tutta l’Europa e anche da altri continenti, per pregare presso le tombe dei santi Apostoli Pietro e Paolo. In questa città, infatti, entrambi hanno versato il loro sangue per Cristo. La fede che animava questi due grandi Apostoli di Gesù è anche quella che vi ha messi in cammino. Durante l’anno che sta per iniziare, voi vi proponete di liberare le sorgenti della fiducia in Dio per viverne nel quotidiano. Mi rallegro che voi incontriate in tal modo l’intenzione dell’Anno della fede iniziato nel mese di ottobre.
E’ la quarta volta che tenete un Incontro europeo a Roma. In questa occasione, vorrei ripetere le parole che il mio predecessore Giovanni Paolo II aveva detto ai giovani durante il vostro terzo Incontro a Roma: «Il Papa si sente profondamente impegnato con voi in questo pellegrinaggio di fiducia sulla terra … Anch’io sono chiamato ad essere un pellegrino di fiducia in nome di Cristo» (30 dicembre 1987).
Poco più di 70 anni fa, Fratel Roger ha dato vita alla comunità di Taizé. Questa continua a veder venire a sé migliaia di giovani di tutto il mondo, alla ricerca di un senso per la loro vita, i Fratelli li accolgono nella loro preghiera e offrono ad essi l’occasione di fare l’esperienza di una relazione personale con Dio. Per sostenere questi giovani nel loro cammino verso Cristo, Fratel Roger ebbe l’idea di cominciare un «pellegrinaggio di fiducia sulla terra». Testimone instancabile del Vangelo della pace e della riconciliazione, animato dal fuoco di un ecumenismo della santità, Fratel Roger ha incoraggiato tutti coloro che passano per Taizé a diventare dei cercatori di comunione.
Lo dissi all’indomani della sua morte: «Dovremmo ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo veramente interiorizzato e spiritualizzato». Sulle sue orme, siate tutti portatori di questo messaggio di unità. Vi assicuro dell’impegno irrevocabile della Chiesa cattolica a proseguire la ricerca di vie di riconciliazione per giungere all’unità visibile dei cristiani. E questa sera vorrei salutare con affetto tutto particolare quanti tra voi sono ortodossi o protestanti.
Oggi, Cristo vi pone la domanda che rivolse ai suoi discepoli: «Chi sono io per voi?». A tale domanda, Pietro, presso la cui tomba noi ci troviamo in questo momento, rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,15-16). E tutta la sua vita divenne una risposta concreta a questa domanda. Cristo desidera ricevere anche da ciascuno di voi una risposta che venga non dalla costrizione né dalla paura, ma dalla vostra libertà profonda. Rispondendo a tale domanda la vostra vita troverà il suo senso più forte. Il testo della Lettera di San Giovanni che abbiamo appena ascoltato ci fa capire con grande semplicità in modo sintetico come dare una risposta: «Che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri» (3,23).
Avere fede e amare Dio e gli altri! Che cosa c’è di più esaltante? Che cosa di più bello? Durante questi giorni a Roma, possiate lasciar crescere nei vostri cuori questo sì a Cristo, approfittando specialmente dei lunghi tempi di silenzio che occupano un posto centrale nelle vostre preghiere comunitarie, dopo l’ascolto della Parola di Dio.
Questa Parola, dice la Seconda Lettera di Pietro, è «come una lampada che brilla in un luogo oscuro», che voi fate bene a guardare «finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino» (1,19). Voi l’avete capito: se la stella del mattino deve sorgere nei vostri cuori è perché non sempre vi è presente. A volte il male e la sofferenza degli innocenti creano in voi il dubbio e il turbamento. E il sì a Cristo può diventare difficile. Ma questo dubbio non fa di voi dei non credenti! Gesù non ha respinto l’uomo del Vangelo che gridò: «Credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24). Perché in questo combattimento voi non perdiate la fiducia, Dio non vi lascia soli e isolati. Egli dà a tutti noi la gioia e il conforto della comunione della Chiesa.
Durante il vostro soggiorno a Roma, grazie specialmente all’accoglienza generosa di tante parrocchie e comunità religiose, voi fate una nuova esperienza di Chiesa. Tornando a casa, nei vostri diversi Paesi, vi invito a scoprire che Dio vi fa corresponsabili della sua Chiesa, in tutta la varietà delle vocazioni. Questa comunione che è il Corpo di Cristo ha bisogno di voi e voi avete in esso tutto il vostro posto. A partire dai vostri doni, da ciò che è specifico di ognuno di voi, lo Spirito Santo plasma e fa vivere questo mistero di comunione che è la Chiesa, al fine di trasmettere la buona novella del Vangelo al mondo di oggi.
Con il silenzio, il canto occupa un posto importante nelle vostre preghiere comunitarie. I canti di Taizé riempiono in questi giorni le basiliche di Roma.
Il canto è un sostegno e un’espressione incomparabile della preghiera. Cantando Cristo, voi vi aprite anche al mistero della sua speranza. Non abbiate paura di precedere l’aurora per lodare Dio. Non sarete delusi. Cari giovani amici, Cristo non vi toglie dal mondo. Vi manda là dove la luce manca, perché la portiate ad altri. Sì, siete tutti chiamati ad essere delle piccole luci per quanti vi circondano. Con la vostra attenzione a una più equa ripartizione dei beni della terra, con l’impegno per la giustizia e per una nuova solidarietà umana, voi aiuterete quanti sono intorno a voi a comprendere meglio come il Vangelo ci conduca al tempo stesso verso Dio e verso gli altri. Così, con la vostra fede, contribuirete a far sorgere la fiducia sulla terra.
Siate pieni di speranza. Dio vi benedica, con i vostri familiari e amici!

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Paparatzifan
00lunedì 31 dicembre 2012 04:00
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 30.12.2012

Alle ore 12 di oggi, festa della Santa Famiglia, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi è la festa della Santa Famiglia di Nazaret. Nella liturgia il brano del Vangelo di Luca ci presenta la Vergine Maria e san Giuseppe che, fedeli alla tradizione, salgono a Gerusalemme per la Pasqua insieme con Gesù dodicenne. La prima volta in cui Gesù era entrato nel Tempio del Signore era stata quaranta giorni dopo la sua nascita, quando i suoi genitori avevano offerto per lui «una coppia di tortore o di giovani colombi» (Lc 2,24), cioè il sacrificio dei poveri. «Luca, il cui intero Vangelo è pervaso da una teologia dei poveri e della povertà, fa capire … che la famiglia di Gesù era annoverata tra i poveri di Israele; ci fa capire che proprio tra loro poteva maturare l’adempimento della promessa» (L’infanzia di Gesù, 96). Gesù oggi è di nuovo nel Tempio, ma questa volta ha un ruolo differente, che lo coinvolge in prima persona. Egli compie, con Maria e Giuseppe, il pellegrinaggio a Gerusalemme secondo quanto prescrive la Legge (cfr Es 23,17; 34,23ss), anche se non aveva ancora compiuto il tredicesimo anno di età: un segno della profonda religiosità della Santa Famiglia. Quando, però, i suoi genitori ripartono per Nazaret, avviene qualcosa di inaspettato: Egli, senza dire nulla, rimane nella Città. Per tre giorni Maria e Giuseppe lo cercano e lo ritrovano nel Tempio, a colloquio con i maestri della Legge (cfr Lc 2,46-47); e quando gli chiedono spiegazioni, Gesù risponde che non devono meravigliarsi, perché quello è il suo posto, quella è la sua casa, presso il Padre, che è Dio (cfr L’infanzia di Gesù, 143). «Egli – scrive Origene – professa di essere nel tempio di suo Padre, quel Padre che ha rivelato a noi e del quale ha detto di essere Figlio» (Omelie sul Vangelo di Luca, 18, 5).
La preoccupazione di Maria e Giuseppe per Gesù è la stessa di ogni genitore che educa un figlio, lo introduce alla vita e alla comprensione della realtà. Oggi pertanto è doverosa una speciale preghiera al Signore per tutte le famiglie del mondo. Imitando la santa Famiglia di Nazaret, i genitori si preoccupino seriamente della crescita e dell’educazione dei propri figli, perché maturino come uomini responsabili e onesti cittadini, senza dimenticare mai che la fede è un dono prezioso da alimentare nei propri figli anche con l’esempio personale. Nello stesso tempo preghiamo perché ogni bambino venga accolto come dono di Dio, sia sostenuto dall’amore del padre e della madre, per poter crescere come il Signore Gesù «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). L’amore, la fedeltà e la dedizione di Maria e Giuseppe siano di esempio per tutti gli sposi cristiani, che non sono gli amici o i padroni della vita dei loro figli, ma i custodi di questo dono incomparabile di Dio.
Il silenzio di Giuseppe, uomo giusto (cfr Mt 1,19), e l’esempio di Maria, che custodiva ogni cosa nel suo cuore (cfr Lc 2,51), ci facciano entrare nel mistero pieno di fede e di umanità della Santa Famiglia. Auguro a tutte le famiglie cristiane di vivere alla presenza di Dio con lo stesso amore e con la stessa gioia della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins francophones, nous célébrons aujourd’hui la Sainte Famille que Dieu a donnée à l’humanité pour modèle des valeurs humaines et familiales. Le Fils de Dieu a voulu naître dans une famille, lui donnant ainsi sa noble signification et sa place irremplaçable pour la personne et pour la société. La famille est le berceau naturel de l’enfant. Elle est le terreau premier et indispensable où s’enracinent et se construisent la personne et les liens humains. Que la Vierge Marie et saint Joseph aident les parents à éduquer leurs enfants et à leur transmettre la foi ! Je vous bénis tous de grand cœur ainsi que vos familles !

I welcome all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer. Today the Church throughout the world celebrates the Feast of the Holy Family. May Jesus, Mary and Joseph bring greater love, unity and harmony to all Christian families, that they in their turn may be a firm example to the communities in which they live. May God bless you and your dear families!

Einen weihnachtlichen Gruß richte ich an alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die Kirche feiert heute das Fest der Heiligen Familie. Dem Ratschluß des himmlischen Vaters entsprechend hat Gottes Sohn viele Jahre lang verborgen in einer irdischen Familie gelebt. Die Familie von Nazareth ist Urbild und Modell jeder christlichen Familie. Sie regt uns an zur echten Frömmigkeit und wahren Liebe zu denen, die um uns sind. Sie lehrt uns auch, in den alltäglichen Dingen mit unserem Herrn Jesus Christus zu leben. Er schenke allen Familien seinen Segen. Von Herzen wünsche ich euch eine gnadenreiche Weihnachtszeit.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Y también, desde aquí, a los numerosos participantes en la Eucaristía que se celebra en Madrid en esta Fiesta de la Sagrada Familia. Que Jesús, María y José sean un ejemplo de la fe que hace brillar el amor y fortalece la vida de los hogares. Por su intercesión, pidamos que la familia siga siendo un don precioso para cada uno de sus miembros y una esperanza firme para toda la humanidad. Y que el júbilo de compartir la vida al amparo de Dios, que aprendimos de niños de labios de nuestros padres, nos impulse a hacer del mundo un verdadero hogar, un espacio de concordia, solidaridad y respeto mutuo. Con ese propósito, acudimos a María, nuestra Madre del cielo, para que acompañe a las familias en su vocación de ser una forma entrañable de iglesia doméstica y célula originaria de la sociedad. Que Dios os bendiga a todos. Feliz domingo.

Pozdrawiam Polaków uczestniczących w modlitwie Anioł Pański. Liturgia dzisiejszej niedzieli ukazuje nam życie świętej Rodziny: Jezusa, Maryi i Józefa. Życzę, by wasze rodziny przenikała obecność Boga, wyróżniała miłość i zaufanie, by umacniała je więź oparta na wzajemnym szacunku i zrozumieniu. Niech święta Rodzina pomaga wam pokonywać trudności, jakie niesie życie. Wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi partecipanti alla preghiera dell’Angelus. La liturgia dell’odierna domenica ci mostra la vita della Santa Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe. Auguro che le vostre famiglie siano penetrate dalla presenza di Dio, ricolme di amore e fiducia e caratterizzate da reciproco rispetto e comprensione. La Santa Famiglia vi aiuti a superare le difficoltà della vita. Vi benedico tutti di cuore.]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in modo speciale le famiglie. Saluto i giovani dei vicariati di Tirano e Grosio, in Valtellina, e quelli delle comunità pastorali di Besana Brianza e Triuggio; come pure i Religiosi Mercedari con un gruppo di ministranti, e gli amici e i volontari della «Fraterna Domus» di Roma. A tutti auguro una buona domenica e una fine d’anno nella luce e nella pace del Signore. Buona domenica!

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Paparatzifan
00lunedì 31 dicembre 2012 18:26
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CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO, 31.12.2012

OMELIA DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
distinte Autorità,
cari fratelli e sorelle!

Ringrazio voi tutti che avete voluto partecipare a questa liturgia dell’ultima ora dell’anno del Signore 2012. Quest’«ora» porta in sé una particolare intensità e diventa, in certo qual modo, una sintesi di tutte le ore dell’anno che sta per tramontare. Saluto cordialmente i Signori Cardinali, i Vescovi, i Presbiteri, le persone consacrate e i fedeli laici, specialmente quanti rappresentano la comunità ecclesiale di Roma. In modo speciale saluto tutte le Autorità presenti, ad iniziare dal Sindaco della Città, e le ringrazio per aver voluto condividere con noi questo momento di preghiera e di rendimento di grazie a Dio.
Il Te Deum che innalziamo al Signore questa sera, al termine di un anno solare, è un inno di ringraziamento che si apre con la lode - «Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore» - e termina con una professione di fiducia - «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». Quale che sia stato l’andamento dell’anno, facile o difficile, sterile o ricco di frutti, noi rendiamo grazie a Dio. Nel Te Deum, infatti, è contenuta una saggezza profonda, quella saggezza che ci fa dire che, nonostante tutto, c’è del bene nel mondo, e questo bene è destinato a vincere grazie a Dio, il Dio di Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto. Certo, a volte è difficile cogliere questa profonda realtà, poiché il male fa più rumore del bene; un omicidio efferato, delle violenze diffuse, delle gravi ingiustizie fanno notizia; al contrario i gesti di amore e di servizio, la fatica quotidiana sopportata con fedeltà e pazienza rimangono spesso in ombra, non emergono. Anche per questo motivo non possiamo fermarci solo alle notizie se vogliamo capire il mondo e la vita; dobbiamo essere capaci di sostare nel silenzio, nella meditazione, nella riflessione calma e prolungata; dobbiamo saperci fermare per pensare. In questo modo il nostro animo può trovare guarigione dalle inevitabili ferite del quotidiano, può scendere in profondità nei fatti che accadono nella nostra vita e nel mondo, e giungere a quella sapienza che permette di valutare le cose con occhi nuovi. Soprattutto nel raccoglimento della coscienza, dove ci parla Dio, si impara a guardare con verità le proprie azioni, anche il male presente in noi e intorno a noi, per iniziare un cammino di conversione che renda più saggi e più buoni, più capaci di generare solidarietà e comunione, di vincere il male con il bene. Il cristiano è un uomo di speranza, anche e soprattutto di fronte al buio che spesso c’è nel mondo e che non dipende dal progetto di Dio ma dalle scelte sbagliate dell’uomo, perché sa che la forza della fede può spostare le montagne (cfr Mt 17,20): il Signore può illuminare anche la tenebra più profonda.
L’Anno della fede, che la Chiesa sta vivendo, vuole suscitare nel cuore di ciascun credente una maggiore consapevolezza che l’incontro con Cristo è la sorgente della vera vita e di una solida speranza. La fede in Gesù permette un costante rinnovamento nel bene e la capacità di uscire dalle sabbie mobili del peccato e di ricominciare di nuovo. Nel Verbo fatto carne è possibile, sempre nuovamente, trovare la vera identità dell’uomo, che si scopre destinatario dell’infinito amore di Dio e chiamato alla comunione personale con Lui. Questa verità, che Gesù Cristo è venuto a rivelare, è la certezza che ci spinge a guardare con fiducia all’anno che stiamo per iniziare.
La Chiesa, che ha ricevuto dal suo Signore la missione di evangelizzare, sa bene che il Vangelo è destinato a tutti gli uomini, in particolare alle nuove generazioni, per saziare quella sete di verità che ognuno porta nel cuore e che spesso è offuscata dalle tante cose che occupano la vita. Questo impegno apostolico è tanto più necessario quando la fede rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale. Anche Roma è una città dove la fede cristiana deve essere annunciata sempre di nuovo e testimoniata in maniera credibile. Da una parte, il numero crescente di credenti di altre religioni, la difficoltà delle comunità parrocchiali ad avvicinare i giovani, il diffondersi di stili di vita improntati all’individualismo e al relativismo etico; dall’altra parte, la ricerca in tante persone di un senso per la propria esistenza e di una speranza che non deluda, non possono lasciarci indifferenti. Come l’Apostolo Paolo (cfr Rm 1,14-15) ogni fedele di questa Città deve sentirsi debitore del Vangelo verso gli altri abitanti!
Proprio per questo, ormai da diversi anni, la nostra Diocesi è impegnata ad accentuare la dimensione missionaria della pastorale ordinaria, affinché i credenti, sostenuti specialmente dall’Eucaristia domenicale, possano diventare discepoli e testimoni coerenti di Gesù Cristo. A questa coerenza di vita sono chiamati in modo del tutto particolare i genitori cristiani, che sono per i loro figli i primi educatori della fede. La complessità della vita in una grande città come Roma e una cultura che appare spesso indifferente nei confronti di Dio, impongono di non lasciare soli i padri e le madri in questo compito così decisivo, anzi, di sostenerli e accompagnarli nella loro vita spirituale. A tale proposito, incoraggio quanti operano nella pastorale familiare a mettere in pratica gli indirizzi pastorali emersi dallo scorso Convegno diocesano, dedicato alla pastorale battesimale e post-battesimale. E’ necessario un impegno generoso per sviluppare gli itinerari di formazione spirituale che dopo il Battesimo dei bambini accompagnino i genitori a tenere viva la fiamma della fede, offrendo loro suggerimenti concreti affinché, fin dalla più tenera età, sia annunciato il Vangelo di Gesù. La nascita di gruppi di famiglie, nei quali si ascolta la Parola di Dio e si condividono le esperienze di vita cristiana, aiuta a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità ecclesiale e a crescere nell’amicizia con il Signore. È altresì importante costruire un rapporto di cordiale amicizia anche con quei fedeli che, dopo aver battezzato il proprio bambino, distolti dalle urgenze della vita quotidiana, non mostrano grande interesse a vivere questa esperienza: essi potranno così sperimentare l’affetto della Chiesa che, come madre premurosa, si pone loro accanto per favorirne la vita spirituale.
Per poter annunciare il Vangelo e permettere a quanti ancora non conoscono Gesù, o lo hanno abbandonato, di varcare nuovamente la porta della fede e vivere la comunione con Dio, è indispensabile conoscere in maniera approfondita il significato delle verità contenute nella Professione di fede. L’impegno allora per una formazione sistematica degli operatori pastorali, che ormai da alcuni anni avviene nelle diverse Prefetture della Diocesi di Roma, è una preziosa via che richiede di essere perseguita con impegno anche in futuro, per formare laici che sappiano farsi eco del Vangelo in ogni casa e in ogni ambiente, anche attraverso i centri di ascolto che tanto frutto hanno portato al tempo della Missione cittadina. A tale riguardo, i «Dialoghi in Cattedrale», che da anni si tengono nella Basilica di San Giovanni in Laterano, costituiscono un’esperienza quanto mai opportuna per incontrare la Città e dialogare con quanti, cercatori di Dio e della verità, si interrogano sulle grandi domande dell’esistenza umana.
Come già nei secoli passati, anche oggi la Chiesa di Roma è chiamata ad annunciare e testimoniare instancabilmente la ricchezza del Vangelo di Cristo. Questo anche sostenendo quanti vivono situazioni di povertà e di emarginazione, come pure le famiglie in difficoltà, specialmente quando devono assistere persone malate e disabili. Confido vivamente che le Istituzioni ai vari livelli non faranno mancare la loro azione affinché tutti i cittadini abbiano accesso a quanto è essenziale per vivere dignitosamente.
Cari amici, nell’ultima sera dell’anno che volge al termine e davanti alla soglia del nuovo, lodiamo il Signore! Manifestiamo a «Colui che è, che era e che viene» (Ap 1,8) il pentimento e la richiesta di perdono per le mancanze commesse, come pure il grazie sincero per gli innumerevoli benefici accordati dalla divina Bontà. In particolare, ringraziamo per la grazia e la verità che sono venute a noi per mezzo di Gesù Cristo. In Lui è riposta la pienezza di ogni tempo umano. In Lui è custodito il futuro di ogni uomo. In Lui si avvera il compimento delle speranze della Chiesa e del mondo. Amen.

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Paparatzifan
00martedì 1 gennaio 2013 21:17
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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO E NELLA XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 01.01.2013

Alle ore 9.30 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 46a Giornata Mondiale della Pace sul tema: Beati gli operatori di pace.
Concelebrano con il Papa il Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato; il Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu, Arcivescovo tit. di Roselle, Sostituto della Segreteria di Stato; S.E. Mons. Dominique Mamberti, Arcivescovo tit. di Sagona, Segretario per i Rapporti con gli Stati; S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Vescovo tit. di Bisarcio, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e S.E. Mons. Beniamino Stella, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

«Dio ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto».
Così abbiamo acclamato, con le parole del Salmo 66, dopo aver ascoltato nella prima Lettura l’antica benedizione sacerdotale sul popolo dell’alleanza. E’ particolarmente significativo che all’inizio di ogni nuovo anno Dio proietti su di noi, suo popolo, la luminosità del suo santo Nome, il Nome che viene pronunciato tre volte nella solenne formula della benedizione biblica. E non meno significativo è che al Verbo di Dio – che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» come la «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9.14) – venga dato, otto giorni dopo il suo natale – come ci narra il Vangelo di oggi – il nome di Gesù (cfr Lc 2,21). E’ in questo nome che siamo qui riuniti.
Saluto di cuore tutti i presenti, ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Saluto con affetto il Cardinale Bertone, mio Segretario di Stato, e il Cardinale Turkson, con tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come tema «Beati gli operatori di pace».
Nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da «focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», oltre che da diverse forme di terrorismo e di criminalità, sono persuaso che «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alla parole di Gesù Cristo: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9)» (Messaggio, 1). Questa beatitudine «dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo …E’ pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. E’ pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato» (ibid., 2 e 3). Sì, la pace è il bene per eccellenza da invocare come dono di Dio e, al tempo stesso, da costruire con ogni sforzo.
Ci possiamo chiedere: qual è il fondamento, l’origine, la radice di questa pace? Come possiamo sentire in noi la pace, malgrado i problemi, le oscurità, le angosce? La risposta ci viene data dalle Letture della liturgia odierna. I testi biblici, anzitutto quello tratto dal Vangelo di Luca, poc’anzi proclamato, ci propongono di contemplare la pace interiore di Maria, la Madre di Gesù. Per lei si compiono, durante i giorni in cui «diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7), tanti avvenimenti imprevisti: non solo la nascita del Figlio, ma prima il viaggio faticoso da Nazaret a Betlemme, il non trovare posto nell’alloggio, la ricerca di un rifugio di fortuna nella notte; e poi il canto degli angeli, la visita inaspettata dei pastori. In tutto ciò, però, Maria non si scompone, non si agita, non è sconvolta da fatti più grandi di lei; semplicemente considera, in silenzio, quanto accade, lo custodisce nella sua memoria e nel suo cuore, riflettendovi con calma e serenità. E’ questa la pace interiore che vorremmo avere in mezzo agli eventi a volte tumultuosi e confusi della storia, eventi di cui spesso non cogliamo il senso e che ci sconcertano.
Il brano evangelico termina con un accenno alla circoncisione di Gesù. Secondo la Legge di Mosè, dopo otto giorni dalla nascita, un bambino doveva essere circonciso, e in quel momento gli veniva dato il nome. Dio stesso, mediante il suo messaggero, aveva detto a Maria – e anche a Giuseppe – che il nome da dare al Bambino era «Gesù» (cfr Mt 1,21; Lc 1,31); e così avviene. Quel nome che Dio aveva già stabilito prima ancora che il Bambino fosse concepito, ora gli viene dato ufficialmente nel momento della circoncisione. E questo segna una volta per sempre anche l’identità di Maria: lei è «la madre di Gesù», cioè la madre del Salvatore, del Cristo, del Signore. Gesù non è un uomo come qualunque altro, ma è il Verbo di Dio, una delle Persone divine, il Figlio di Dio: perciò la Chiesa ha dato a Maria il titolo di Theotokos, cioè «Madre di Dio».
La prima Lettura ci ricorda che la pace è dono di Dio ed è legata allo splendore del volto di Dio, secondo il testo del Libro dei Numeri, che tramanda la benedizione usata dai sacerdoti del popolo d’Israele nelle assemblee liturgiche. Una benedizione che per tre volte ripete il nome santo di Dio, il nome impronunciabile, e ogni volta lo collega con due verbi indicanti un’azione a favore dell’uomo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (6,24-26). La pace è dunque il culmine di queste sei azioni di Dio a nostro favore, in cui Egli rivolge a noi lo splendore del suo volto.
Per la Sacra Scrittura, contemplare il volto di Dio è somma felicità: «Lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto», dice il Salmista (Sal 21,7). Dalla contemplazione del volto di Dio nascono gioia, sicurezza e pace. Ma che cosa significa concretamente contemplare il volto del Signore, così come può essere inteso nel Nuovo Testamento? Vuol dire conoscerlo direttamente, per quanto sia possibile in questa vita, mediante Gesù Cristo, nel quale si è rivelato. Godere dello splendore del volto di Dio vuol dire penetrare nel mistero del suo Nome manifestatoci da Gesù, comprendere qualcosa della sua vita intima e della sua volontà, affinché possiamo vivere secondo il suo disegno di amore sull’umanità. Lo esprime l’apostolo Paolo nella seconda Lettura, tratta dalla Lettera ai Galati (4,4-7), parlando dello Spirito che, nell’intimo dei nostri cuori, grida: «Abbà! Padre!».
E’ il grido che sgorga dalla contemplazione del vero volto di Dio, dalla rivelazione del mistero del Nome. Gesù afferma: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini» (Gv 17,6). Il Figlio di Dio fattosi carne ci ha fatto conoscere il Padre, ci ha fatto percepire nel suo volto umano visibile il volto invisibile del Padre; attraverso il dono dello Spirito Santo riversato nei nostri cuori, ci ha fatto conoscere che in Lui anche noi siamo figli di Dio, come afferma san Paolo nel brano che abbiamo ascoltato: «Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida: Abbà! Padre!» (Gal 4,6).
Ecco, cari fratelli, il fondamento della nostra pace: la certezza di contemplare in Gesù Cristo lo splendore del volto di Dio Padre, di essere figli nel Figlio, e avere così, nel cammino della vita, la stessa sicurezza che il bambino prova nelle braccia di un Padre buono e onnipotente. Lo splendore del volto del Signore su di noi, che ci concede pace, è la manifestazione della sua paternità; il Signore rivolge su di noi il suo volto, si mostra Padre e ci dona pace. Sta qui il principio di quella pace profonda - «pace con Dio» - che è legata indissolubilmente alla fede e alla grazia, come scrive san Paolo ai cristiani di Roma (cfr Rm 5,2).
Niente può togliere ai credenti questa pace, nemmeno le difficoltà e le sofferenze della vita. Infatti, le sofferenze, le prove e le oscurità non corrodono, ma accrescono la nostra speranza, una speranza che non delude perché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
La Vergine Maria, che oggi veneriamo con il titolo di Madre di Dio, ci aiuti a contemplare il volto di Gesù, Principe della Pace. Ci sostenga e ci accompagni in questo nuovo anno; ottenga per noi e per il mondo intero il dono della pace. Amen!

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Paparatzifan
00martedì 1 gennaio 2013 21:20
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 01.01.2013

Al termine della Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella ricorrenza della 46a Giornata Mondiale della Pace, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano e - prima di recitare l’Angelus - rivolge ai fedeli e ai pellegrini presenti in Piazza San Pietro le seguenti parole:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

buon anno a tutti! In questo primo giorno del 2013 vorrei far giungere ad ogni uomo e ogni donna del mondo la benedizione di Dio. Lo faccio con l’antica formula contenuta nella Sacra Scrittura: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).
Come la luce e il calore del sole sono una benedizione per la terra, così la luce di Dio lo è per l’umanità, quando Egli fa brillare su di essa il suo volto. E questo è avvenuto con la nascita di Gesù Cristo! Dio ha fatto risplendere per noi il suo volto: all’inizio in modo molto umile, nascosto – a Betlemme soltanto Maria e Giuseppe e alcuni pastori furono testimoni di questa rivelazione –; ma a poco a poco, come il sole che dall’alba giunge al mezzogiorno, la luce di Cristo è cresciuta e si è diffusa ovunque. Già nel breve tempo della sua vita terrena, Gesù di Nazaret ha fatto risplendere il volto di Dio sulla Terra Santa; e poi, mediante la Chiesa animata dal suo Spirito, ha esteso a tutte le genti il Vangelo della pace. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento» (Lc 2,14). Questo è il canto degli angeli a Natale, ed è il canto dei cristiani sotto ogni cielo; un canto che dai cuori e dalle labbra passa nei gesti concreti, nelle azioni dell’amore che costruiscono dialogo, comprensione e riconciliazione.
Per questo, otto giorni dopo il Natale, quando la Chiesa, come la Vergine Madre Maria, mostra al mondo il neonato Gesù, Principe della Pace, celebriamo la Giornata Mondiale della Pace. Sì, quel Bambino, che è il Verbo di Dio fatto carne, è venuto a portare agli uomini una pace che il mondo non può dare (cfr Gv 14,27). La sua missione è abbattere il «muro dell’inimicizia» (cfr Ef 2,14). E quando, sulle rive del lago di Galilea, Egli proclama le sue «Beatitudini», tra queste vi è anche «beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Chi sono gli operatori di pace? Sono tutti coloro che, giorno per giorno, cercano di vincere il male con il bene, con la forza della verità, con le armi della preghiera e del perdono, con il lavoro onesto e ben fatto, con la ricerca scientifica al servizio della vita, con le opere di misericordia corporale e spirituale. Gli operatori di pace sono tanti, ma non fanno rumore. Come il lievito nella pasta, fanno crescere l’umanità secondo il disegno di Dio.
In questo primo Angelus del nuovo anno, chiediamo a Maria Santissima, Madre di Dio, che ci benedica, come la mamma benedice i suoi figli che devono partire per un viaggio. Un nuovo anno è come un viaggio: con la luce e la grazia di Dio, possa essere un cammino di pace per ogni uomo e ogni famiglia, per ogni Paese e per il mondo intero.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Rivolgo a tutti l’augurio più cordiale per il nuovo anno: possa essere veramente un buon anno, e lo sarà se accoglieremo in noi e tra di noi l’amore che Cristo ci ha donato. Con gratitudine formulo i migliori auspici al Presidente della Repubblica Italiana e all’intera Nazione, come pure alle altre Autorità che mi hanno fatto pervenire messaggi augurali.

Rinnovo il mio affettuoso saluto ai giovani venuti a Roma per l’Incontro europeo della Comunità di Taizé. Esprimo la mia spirituale vicinanza alle iniziative ecclesiali in occasione dell’odierna Giornata Mondiale della Pace: penso, in particolare, alla Marcia nazionale che ha avuto luogo ieri sera a Lecce, come pure a quella di stamani qui a Roma, animata dalla Comunità di Sant’Egidio. Saluto gli aderenti al Movimento dell’Amore Familiare che stanotte hanno vegliato in preghiera in Piazza San Pietro, a anche a Milano e L’Aquila. A tutti ripeto la parola di Gesù: «Beati gli operatori di pace»!

Je suis heureux de saluer les francophones en ce premier jour de l’année civile où nous célébrons la Vierge Marie, Mère de Dieu. Nous louons sa foi profonde et son « oui » sans réserve à la volonté divine. Par elle, Dieu s’est rendu visible en Jésus, et nous pouvons voir son visage ! Marie a donné au monde le Sauveur, le Prince de la Paix. Qu’elle intercède auprès de son Fils pour que nous trouvions les chemins de la réalisation de la paix ! Tout au long de cette année, puissions-nous devenir des artisans de paix, et des témoins de l’amour de Dieu pour tous les hommes d’aujourd’hui. Bonne et Sainte année à tous !

I am pleased to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present today for this prayer. Today, New Year’s Day, we celebrate the Solemnity of Mary, Mother of God. With affectionate trust, Our Lady believed the message revealed to her by the angel’s word and bore Jesus Christ, true God and true man. May her powerful intercession bring you a happy and prosperous New Year!

Mit einem frohen Neujahrsgruß heiße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Die Kirche feiert am ersten Tag des Jahres das Hochfest der Gottesmutter Maria und empfiehlt sich selbst dem mütterlichen Schutz Marias an. Das Evangelium berichtet uns, daß Maria alles, was geschehen war, in ihrem Herzen behielt. In ihrem Herzen ist Platz für alles, was die Menschen bewegt. So wollen wir ihr unsere Anliegen und Hoffnungen für das neue Jahr anvertrauen, damit sie bei Gott unsere Fürsprecherin sei. Euch und euren Familien wünsche ich ein gutes und friedvolles neues Jahr.

Saludo a los fieles de lengua española aquí presentes y a cuantos participan en el rezo del Ángelus a través de los medios de comunicación social. En esta solemnidad de Santa María, Madre de Dios, deseo hacer llegar mi cercanía espiritual y mi sincero afecto a todos los que, inspirados en la Palabra de Jesucristo, Luz de los pueblos, se esfuerzan por construir un mundo más justo y fraterno, cada vez más digno del hombre, y en el que no haya espacio para la guerra, las enemistades y las discordias. Encomiendo esta noble causa a las manos amorosas de la Virgen Santísima, Reina de la Paz. ¡Feliz año nuevo!

A todos os povos e nações de língua portuguesa, aos seus lares e comunidades, aos seus governantes e instituições, desejo a paz do Céu que hoje vemos reclinada nos braços da Virgem Mãe. Feliz Ano Novo!

Pozdrawiam wszystkich Polaków i życzę, aby rozpoczynający się rok był pełen pokoju i Bożego błogosławieństwa. Niech ten czas, przeżywany w duchu wzajemnej miłości, przyniesie wam wszelką pomyślność. Do siego roku!

[Saluto tutti i polacchi e auguro che l’anno che inizia sia pieno della pace e della benedizione di Dio. Questo tempo, vissuto in spirito di amore fraterno, vi porti ogni prosperità. Felice anno nuovo!]

Infine, saluto tutti i pellegrini di lingua italiana: i gruppi parrocchiali, le famiglie, i giovani; in particolare i ragazzi di Gioventù Studentesca della Liguria. A tutti auguro abbondanza di pace e di bene per ogni giorno del nuovo anno!

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Paparatzifan
00giovedì 3 gennaio 2013 02:17
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L’UDIENZA GENERALE, 02.01.2013

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato ancora sul tempo liturgico del Natale e sul mistero di Dio fatto uomo. Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Fu concepito per opera dello Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle,

il Natale del Signore illumina ancora una volta con la sua luce le tenebre che spesso avvolgono il nostro mondo e il nostro cuore, e porta speranza e gioia.
Da dove viene questa luce? Dalla grotta di Betlemme, dove i pastori trovarono «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). Di fronte a questa Santa Famiglia sorge un’altra e più profonda domanda: come può quel piccolo e debole Bambino avere portato una novità così radicale nel mondo da cambiare il corso della storia? Non c’è forse qualcosa di misterioso nella sua origine che va al di là di quella grotta?
Sempre di nuovo riemerge così la domanda sull’origine di Gesù, la stessa che pone il Procuratore Ponzio Pilato durante il processo: «Di dove sei tu?» (Gv 19,29). Eppure si tratta di un’origine ben chiara. Nel Vangelo di Giovanni, quando il Signore afferma: «Io sono il pane disceso dal cielo», i Giudei reagiscono mormorando: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”» (Gv 6,42). E, poco più tardi, i cittadini di Gerusalemme si oppongono con forza di fronte alla pretesa messianicità di Gesù, affermando che si sa bene «di dov’è; il Cristo, invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (Gv 7,27). Gesù stesso fa notare quanto sia inadeguata la loro pretesa di conoscere la sua origine, e con questo offre già un orientamento per sapere da dove venga: «Non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete» (Gv 7,28). Certo, Gesù è originario di Nazaret, è nato a Betlemme, ma che cosa si sa della sua vera origine?
Nei quattro Vangeli emerge con chiarezza la risposta alla domanda «da dove» viene Gesù: la sua vera origine è il Padre, Dio; Egli proviene totalmente da Lui, ma in un modo diverso da qualsiasi profeta o inviato da Dio che l’hanno preceduto. Questa origine dal mistero di Dio, “che nessuno conosce”, è contenuta già nei racconti dell’infanzia dei Vangeli di Matteo e di Luca, che stiamo leggendo in questo tempo natalizio. L’angelo Gabriele annuncia: «Lo Spirito scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Ripetiamo queste parole ogni volta che recitiamo il Credo, la Professione di fede: «et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine», «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi”. Quando ascoltiamo le Messe composte dai grandi maestri di musica sacra, penso per esempio alla Messa dell’Incoronazione di Mozart, notiamo subito come si soffermino in modo particolare su questa frase, quasi a voler cercare di esprimere con il linguaggio universale della musica ciò che le parole non possono manifestare: il mistero grande di Dio che si incarna, si fa uomo.
Se consideriamo attentamente l’espressione «per opera dello Spirito Santo nato nel seno della Vergine Maria», troviamo che essa include quattro soggetti che agiscono. In modo esplicito vengono menzionati lo Spirito Santo e Maria, ma è sottointeso «Egli», cioè il Figlio, che si è fatto carne nel seno della Vergine. Nella Professione di fede, il Credo, Gesù viene definito con diversi appellativi: «Signore, … Cristo, unigenito Figlio di Dio… Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero… della stessa sostanza del Padre» (Credo niceno-costantinopolitano). Vediamo allora che “Egli” rinvia ad un’altra persona, quella del Padre. Il primo soggetto di questa frase è dunque il Padre che, con il Figlio e lo Spirito Santo, è l’unico Dio.
Questa affermazione del Credo non riguarda l’essere eterno di Dio, ma piuttosto ci parla di un’azione a cui prendono parte le tre Persone divine e che si realizza «ex Maria Virgine». Senza di lei l’ingresso di Dio nella storia dell’umanità non sarebbe giunto al suo fine e non avrebbe avuto luogo quello che è centrale nella nostra Professione di fede: Dio è un Dio con noi. Così Maria appartiene in modo irrinunciabile alla nostra fede nel Dio che agisce, che entra nella storia. Ella mette a disposizione tutta la sua persona, «accetta» di diventare luogo dell’abitazione di Dio.
A volte, anche nel cammino e nella vita di fede possiamo avvertire la nostra povertà, la nostra inadeguatezza di fronte alla testimonianza da offrire al mondo. Ma Dio ha scelto proprio un’umile donna, in uno sconosciuto villaggio, in una delle provincie più lontane del grande impero romano.
Sempre, anche in mezzo alle difficoltà più ardue da affrontare, dobbiamo avere fiducia in Dio, rinnovando la fede nella sua presenza e azione nella nostra storia, come in quella di Maria. Nulla è impossibile a Dio! Con Lui la nostra esistenza cammina sempre su un terreno sicuro ed è aperta ad un futuro di ferma speranza.
Professando nel Credo: «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria», affermiamo che lo Spirito Santo, come forza del Dio Altissimo, ha operato in modo misterioso nella Vergine Maria il concepimento del Figlio di Dio. L’evangelista Luca riporta le parole dell’arcangelo Gabriele: «Lo Spirito scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (1,35). Due richiami sono evidenti: il primo è al momento della creazione. All’inizio del Libro della Genesi leggiamo che «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (1,2); è lo Spirito creatore che ha dato vita a tutte le cose e all’essere umano. Ciò che accade in Maria, attraverso l’azione dello stesso Spirito divino, è una nuova creazione: Dio, che ha chiamato l’essere dal nulla, con l’Incarnazione dà vita ad un nuovo inizio dell’umanità. I Padri della Chiesa più volte parlano di Cristo come del nuovo Adamo, per sottolineare l’inizio della nuova creazione dalla nascita del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria. Questo ci fa riflettere su come la fede porti anche in noi una novità così forte da produrre una seconda nascita. Infatti, all’inizio dell’essere cristiani c’è il Battesimo che ci fa rinascere come figli di Dio, ci fa partecipare alla relazione filiale che Gesù ha con il Padre. E vorrei far notare come il Battesimo si riceve, noi «siamo battezzati» - è un passivo - perché nessuno è capace di rendersi figlio di Dio da sé: è un dono che viene conferito gratuitamente. San Paolo richiama questa figliolanza adottiva dei cristiani in un passo centrale della sua Lettera ai Romani, dove scrive: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio”» (8,14-16), non servi. Solo se ci apriamo all’azione di Dio, come Maria, solo se affidiamo la nostra vita al Signore come ad un amico di cui ci fidiamo totalmente, tutto cambia, la nostra vita acquista un nuovo senso e un nuovo volto: quello di figli di un Padre che ci ama e mai ci abbandona.
Abbiamo parlato di due elementi: l'elemento primo lo Spirito sulle acque, lo Spirito Creatore; c'è un altro elemento nelle parole dell'Annunciazione.
L’angelo dice a Maria: «La potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra». E’ un richiamo alla nube santa che, durante il cammino dell’esodo, si fermava sulla tenda del convegno, sull’arca dell’alleanza, che il popolo di Israele portava con sé, e che indicava la presenza di Dio (cfr Es 40,40,34-38). Maria, quindi, è la nuova tenda santa, la nuova arca dell’alleanza: con il suo «sì» alle parole dell’arcangelo, Dio riceve una dimora in questo mondo, Colui che l’universo non può contenere prende dimora nel grembo di una vergine.
Ritorniamo allora alla questione da cui siamo partiti, quella sull’origine di Gesù, sintetizzata dalla domanda di Pilato: «Di dove sei tu?». Dalle nostre riflessioni appare chiara, fin dall’inizio dei Vangeli, qual è la vera origine di Gesù: Egli è il Figlio Unigenito del Padre, viene da Dio. Siamo di fronte al grande e sconvolgente mistero che celebriamo in questo tempo di Natale: il Figlio di Dio, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel seno della Vergine Maria. E’ questo un annuncio che risuona sempre nuovo e che porta in sé speranza e gioia al nostro cuore, perché ci dona ogni volta la certezza che, anche se spesso ci sentiamo deboli, poveri, incapaci davanti alle difficoltà e al male del mondo, la potenza di Dio agisce sempre e opera meraviglie proprio nella debolezza. La sua grazia è la nostra forza (cfr 2 Cor 12,9-10).
Grazie.

SALUTO AI PELLEGRINI DI LINGUA ITALIANA

A tutti i pellegrini di lingua italiana presenti a questa prima Udienza Generale del 2013 porgo un cordiale augurio di serenità e di bene per il nuovo anno. In particolare, saluto le Missionarie della Scuola dell’Unione di Santa Caterina da Siena partecipanti al Capitolo Generale, esortandole a crescere nel loro generoso impegno di testimonianza evangelica. Saluto i fedeli di Trasacco, accompagnati dal loro Pastore Mons. Pietro Santoro, e quelli della parrocchia del Buon Pastore di Caserta, invitando ciascuno a coltivare verso il prossimo quell’amore divino capace di rinnovare il mondo. Saluto con speciale affetto e gioia i Ministranti della Diocesi di Tempio-Ampurias: cari amici, il vostro servizio all’altare è un compito importante, che vi permette di essere particolarmente vicini al Signore e di crescere in un’amicizia vera e profonda con Lui; comunicate anche ai vostri coetanei il dono di questa amicizia.
Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di saper considerare ogni giorno del nuovo anno come un dono di Dio, da accogliere con riconoscenza e da vivere con rettitudine. A voi, cari malati, il nuovo anno porti consolazione nel corpo e nello spirito. E voi, cari sposi novelli, ponetevi alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth, per imparare a realizzare un’autentica comunione di vita e d’amore.

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Paparatzifan
00lunedì 7 gennaio 2013 04:21
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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE, CON IL RITO DI ORDINAZIONE EPISCOPALE, 06.01.2013

Alle ore 9.00 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI celebra nella Basilica Vaticana la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione episcopale ai presbiteri: Mons. Angelo Vincenzo Zani, eletto Arcivescovo titolare di Volturno e nominato Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Mons. Fortunatus Nwachukwu, eletto Arcivescovo titolare di Acquaviva e nominato Nunzio Apostolico in Nicaragua; Mons. Georg Gänswein, Segretario particolare del Santo Padre, eletto Arcivescovo titolare di Urbisaglia e nominato Prefetto della Casa Pontificia; Mons. Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, eletto Arcivescovo titolare di Eclano e nominato Nunzio Apostolico in Guatemala.
Concelebrano con il Santo Padre i Vescovi co-ordinanti: il Card. Tarcisio Bertone, S.D.B., e il Card. Zenon Grocholewski, e i quattro Vescovi eletti.
Il rito di Ordinazione ha luogo dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno della Pasqua, che quest’anno si celebra il 31 marzo.
Nel corso della Santa Messa, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme.
Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui.
La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l'apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4). Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente.
Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità.
Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito. Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto.
Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae.
L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore. Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera.
Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve vivere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri.
Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).
Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano in dono la sua gioia.
Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen.

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Paparatzifan
00lunedì 7 gennaio 2013 04:26
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 06.01.2013

Al termine della Santa Messa celebrata con il rito di ordinazione episcopale nella Basilica Vaticana in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Scusate il ritardo. Ho ordinato quattro nuovi Vescovi nella Basilica di San Pietro e il rito è durato un po’ di più.
Ma celebriamo oggi soprattutto l’Epifania del Signore, la sua manifestazione alle genti, mentre numerose Chiese Orientali, secondo il calendario Giuliano, festeggiano il Natale. Questa leggera differenza, che fa sovrapporre i due momenti, pone in risalto che quel Bambino, nato nell’umiltà della grotta di Betlemme, è la luce del mondo, che orienta il cammino di tutti i popoli.
E’ un accostamento che fa riflettere anche dal punto di vista della fede: da una parte, a Natale, davanti a Gesù, vediamo la fede di Maria, di Giuseppe e dei pastori; oggi, nell’Epifania, la fede dei tre Magi, venuti dall’Oriente per adorare il re dei Giudei.
La Vergine Maria, insieme con il suo sposo, rappresentano il “ceppo” di Israele, il “resto” preannunciato dai profeti, da cui doveva germogliare il Messia. I Magi rappresentano invece i popoli, e possiamo dire anche le civiltà, le culture, le religioni che sono, per così dire, in cammino verso Dio, alla ricerca del suo regno di pace, di giustizia, di verità e di libertà. C’è dapprima un nucleo, impersonato soprattutto da Maria, la «figlia di Sion»: un nucleo di Israele, il popolo che conosce e ha fede in quel Dio che si è rivelato ai Patriarchi e nel cammino della storia. Questa fede raggiunge il suo compimento in Maria, nella pienezza dei tempi; in lei, «beata perché ha creduto», il Verbo si è fatto carne, Dio è «apparso» nel mondo. La fede di Maria diventa la primizia e il modello della fede della Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza. Ma questo popolo è fin dall’inizio universale, e questo lo vediamo oggi nelle figure dei Magi, che giungono a Betlemme seguendo la luce di una stella e le indicazioni delle Sacre Scritture.
San Leone Magno afferma: «Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede» (Discorso 3 per l’Epifania, 1: PL 54, 240). La fede di Maria può essere accostata a quella di Abramo: è il nuovo inizio della stessa promessa, dello stesso immutabile disegno di Dio, che trova ora il suo pieno compimento in Cristo Gesù. E la luce di Cristo è così limpida e forte che rende intelligibile sia il linguaggio del cosmo, sia quello delle Scritture, così che tutti coloro che, come i Magi, sono aperti alla verità possono riconoscerla e giungere a contemplare il Salvatore del mondo. Dice ancora San Leone: «Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti … Tutti i popoli… adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non solo nella Giudea, ma in tutta la terra» (ibid.). In questa prospettiva possiamo vedere anche le Ordinazioni episcopali che ho avuto la gioia di conferire questa mattina nella Basilica di San Pietro: due dei nuovi Vescovi rimarranno al servizio della Santa Sede, e gli altri due partiranno per essere Rappresentanti Pontifici presso due Nazioni. Preghiamo per ciascuno di loro, per il loro ministero, e perché la luce di Cristo risplenda nel mondo intero.

DOPO L'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Domani le Chiese d’Oriente che seguono il calendario giuliano celebreranno il Natale del Signore: nella gioia della fede comune rivolgo ad esse il mio più cordiale augurio di pace, con uno speciale ricordo nella preghiera.

In Italia ricorre oggi la Giornata della Santa Infanzia, dedicata ai bambini che si impegnano per la diffusione del Vangelo e per aiutare concretamente i coetanei che ne hanno più bisogno. Cari bambini, vi ringrazio e vi incoraggio: portate a tutti l’amore di Dio!

Je suis heureux de saluer les pèlerins francophones et particulièrement nos frères chrétiens d’Orient qui célèbrent le Saint Noël. Je salue également ceux d’entre vous qui sont venus pour l’ordination de Monseigneur Thevenin. L’Épiphanie manifeste que le salut apporté par le Christ est pour tous. En adorant cet Enfant, c’est-à-dire en croyant qu’il est Dieu, notre Sauveur et notre Roi, recevons la mission qu’il nous confie : le faire connaître à ceux qui nous entourent. Soyons comme une étoile pour les personnes qui cherchent l’espérance et repartons de la crèche comblés de la joie de Noël ! Bonne fête à tous !

I greet all the English-speaking pilgrims present today, including the boys of the Palestrina Choir of Saint Mary’s Pro-Cathedral, Dublin, who sang this morning at the solemn Mass of the Epiphany. At that ceremony I had the joy of conferring episcopal ordination upon four priests, including Archbishop Fortunatus Nwachukwu of Nigeria. May the new Bishops be faithful successors of the Apostles, always bearing witness to Christ, who today reveals the face of God to the nations. May the Lord bless all of you and grant you his peace!

Am heutigen Stephanustag heiße ich ganz herzlich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher hier auf dem Petersplatz willkommen. Der heilige Stephanus sieht den Himmel offen und den Menschensohn zur Rechten Gottes stehen, so erzählt uns die Apostelgeschichte. Mit seinem Zeugnis und seinem Martyrium bestätigt er die Botschaft von der Menschwerdung Gottes. Er bezeugt, daß der Mensch, der sich Christus, dem göttlichen Wort, zuwendet, Gott selbst begegnet und durch die Kraft der Liebe verwandelt wird in Gottes neue Schöpfung hinein. Der Herr schenke euch und euren Familien in dieser Weihnachtszeit seinen Frieden und seine Freude.

Saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. En esta solemnidad de la Epifanía del Señor, a ejemplo de los Magos de oriente, invito a todos a buscar a Dios con sencillez de espíritu, sin sucumbir ante el desaliento o la crítica. Él se revela a los humildes y a los pobres de espíritu. Él no se cansa de llamar a la puerta de nuestro corazón. Encontrar a Dios es lo mejor que le puede ocurrir a un hombre. Abramos, pues, nuestra vida a la luz de su gracia y descubriremos la fuerza necesaria para edificar una sociedad cada vez más reconciliada y solidaria. Feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam – zgromadzonych na modlitwie Anioł Pański – Polaków. Szczególnie pozdrawiam uczestników Orszaków Trzech Króli, którzy wzorem ewangelicznych Mędrców ze Wschodu, wędrują ulicami wielu miast do duchowego Betlejem, by spotkać narodzonego Zbawiciela. Niech ta inscenizacja umocni wierzących, zbliży do Kościoła tych, którzy się od niego oddalili, pomoże znaleźć Boga tym, którzy Go szukają. Uczestnikom Orszaków i wam wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i Polacchi radunati per la preghiera dell’Angelus. In modo particolare saluto i partecipanti ai cortei dei Magi i quali, sull’esempio dei Magi d’oriente citati nel Vangelo, camminano per le strade di tante città spiritualmente rivolti verso Betlemme in cerca del Salvatore. Questa rappresentazione rafforzi i credenti, avvicini alla Chiesa quanti se ne sono allontanati e aiuti coloro che cercano Dio a trovarlo. Benedico di cuore i partecipanti ai cortei e voi tutti.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani del Movimento dei Focolari provenienti da molti Paesi del mondo. Cari giovani, l’esempio della beata Chiara Badano vi aiuti nel cammino della fede! A tutti auguro una buona festa, nella luce e nella pace del Natale del Nostro Signore Gesù Cristo. Grazie! Buona festa e tanta gioia.

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Paparatzifan
00martedì 8 gennaio 2013 02:28
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UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO, 07.01.2013

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor Alejandro Emilio Valladares Lanza, Ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede e l’indirizzo augurale del Vice-Decano, S.E. il Signor Jean-Claude Michel, Ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenze,
Signore e Signori,

Sono lieto di accogliervi come all’inizio di ogni nuovo anno, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per rivolgervi un personale saluto e augurio; lo estendo volentieri alle care Nazioni che rappresentate e ad esse assicuro il mio costante ricordo e la mia preghiera. Sono particolarmente grato al Decano, Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e al Vice-Decano, Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti parole che mi hanno rivolto a nome di tutti Voi.
In modo speciale desidero, poi, salutare quanti prendono parte per la prima volta a questo incontro. La vostra presenza è un segno significativo e apprezzato dei proficui rapporti che, in tutto il mondo, la Chiesa cattolica intrattiene con le Autorità civili. Si tratta di un dialogo che ha a cuore il bene integrale, spirituale e materiale, di ogni uomo, e mira a promuoverne ovunque la dignità trascendente. Come ho ricordato nell’Allocuzione dell’ultimo Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali, «la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia cioè tutto l’universo» e con esso ogni popolo, ogni cultura e tradizione. Tale “orientamento” non rappresenta un’ingerenza nella vita delle diverse società, ma serve piuttosto a illuminare la coscienza retta dei loro cittadini e ad invitarli a lavorare per il bene di ogni persona e per il progresso del genere umano. E’ in questa prospettiva, e per favorire una proficua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato al servizio del bene comune, che l’anno scorso la Santa Sede ha firmato Accordi bilaterali con il Burundi e con la Guinea Equatoriale e ha ratificato quello con il Montenegro; con lo stesso animo partecipa ai lavori di varie Organizzazioni ed Enti internazionali. Al riguardo, sono lieto che, nello scorso mese di dicembre, sia stata accolta la sua richiesta di diventare Osservatore Extra-Regionale nel Sistema di Integrazione Centroamericana, anche in ragione del contributo che la Chiesa cattolica offre in vari settori delle società di tale Regione. Le visite di diversi Capi di Stato e di Governo che ho ricevuto nel corso dell’anno passato, come pure gli indimenticabili Viaggi apostolici che ho compiuto in Messico, a Cuba e in Libano, sono state occasioni privilegiate per riaffermare l’impegno civico dei cristiani di quei Paesi, come pure per promuovere la dignità della persona umana e i fondamenti della pace.
In questa sede, mi è pure caro menzionare il prezioso lavoro svolto dai Rappresentanti Pontifici nel costante dialogo con i Vostri Governi. In particolare desidero ricordare l’apprezzamento goduto da S.E. Mons. Ambrose Madtha, il Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio che è tragicamente perito un mese fa in un incidente stradale, insieme all’autista che lo accompagnava.
Signore e Signori Ambasciatori,
Il Vangelo di Luca racconta che, nella notte di Natale, i pastori odono i cori angelici che glorificano Dio e annunciano la pace sull’umanità. L’Evangelista sottolinea così la stretta relazione fra Dio e l’anelito profondo dell’uomo di ogni tempo a conoscere la verità, a praticare la giustizia e a vivere nella pace (cfr Giovanni XXIII, Pacem in terris: AAS 55 [1963], 257). Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace.
Alle manifestazioni contemporanee dell’oblio di Dio si possono associare quelle dovute all’ignoranza del suo vero volto, che è la causa di un pernicioso fanatismo di matrice religiosa, che anche nel 2012 ha mietuto vittime in alcuni Paesi qui rappresentati. Come ho avuto modo di dire, si tratta di una falsificazione della religione stessa, la quale, invece, mira a riconciliare l’uomo con Dio, a illuminare e purificare le coscienze e a rendere chiaro che ogni uomo è immagine del Creatore. Se, dunque, la glorificazione di Dio e la pace sulla terra sono fra loro strettamente congiunte, appare evidente che la pace è, ad un tempo, dono di Dio e compito dell’uomo, perché esige la sua risposta libera e consapevole.
Per tale ragione ho voluto intitolare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: Beati gli operatori di pace. E’ anzitutto alle Autorità civili e politiche che incombe la grave responsabilità di operare per la pace. Esse per prime sono chiamate a risolvere i numerosi conflitti che continuano a insanguinare l’umanità, a cominciare da quella Regione privilegiata nel disegno di Dio, che è il Medio Oriente. Penso anzitutto alla Siria, dilaniata da continui massacri e teatro d’immani sofferenze fra la popolazione civile. Rinnovo il mio appello affinché le armi siano deposte e quanto prima prevalga un dialogo costruttivo per porre fine a un conflitto che, se perdura, non vedrà vincitori, ma solo sconfitti, lasciando dietro di sé soltanto una distesa di rovine. Permettetemi, Signore e Signori Ambasciatori, di domandarvi di continuare a sensibilizzare le vostre Autorità, affinché siano forniti con urgenza gli aiuti indispensabili per far fronte alla grave situazione umanitaria. Guardo poi con viva attenzione alla Terra Santa. In seguito al riconoscimento della Palestina quale Stato Osservatore non Membro delle Nazioni Unite, rinnovo l’auspicio che, con il sostegno della comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi s’impegnino per una pacifica convivenza nell’ambito di due Stati sovrani, dove il rispetto della giustizia e delle legittime aspirazioni dei due Popoli sia tutelato e garantito. Gerusalemme, diventa ciò che il Tuo nome significa! Città della pace e non della divisione; profezia del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione! Rivolgendo poi il pensiero alla cara popolazione irachena, auguro che essa percorra la via della riconciliazione, per giungere alla desiderata stabilità.
In Libano – dove, nello scorso mese di settembre, ho incontrato le sue diverse realtà costitutive - la pluralità delle tradizioni religiose sia una vera ricchezza per il Paese, come pure per tutta la Regione, e i cristiani offrano una testimonianza efficace per la costruzione di un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà.
Anche in Nord Africa è prioritaria la collaborazione di tutte le componenti della società e a ciascuna deve essere garantita piena cittadinanza, la libertà di professare pubblicamente la propria religione e la possibilità di contribuire al bene comune. A tutti gli Egiziani assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, in questo periodo in cui si formano nuove istituzioni. Volgendo lo sguardo all’Africa sub-sahariana, incoraggio gli sforzi per costruire la pace, soprattutto dove rimangono aperte le ferite delle guerre e pesano gravi conseguenze umanitarie. Penso in modo particolare alla Regione del Corno d’Africa, come pure all’Est della Repubblica Democratica del Congo, dove le violenze si sono riacutizzate, obbligando numerose persone ad abbandonare le proprie case, le proprie famiglie e i propri contesti di vita. In pari tempo, non posso ignorare le altre minacce che si affacciano all’orizzonte. A intervalli regolari la Nigeria è teatro di attentati terroristici che mietono vittime, soprattutto tra i fedeli cristiani riuniti in preghiera, quasi che l’odio volesse trasformare dei templi di preghiera e di pace in altrettanti centri di paura e di divisione. Ho provato una grande tristezza nell’apprendere che, perfino nel giorno in cui noi celebriamo il Natale, dei cristiani sono stati uccisi barbaramente. Anche il Mali è dilaniato dalla violenza ed è segnato da una profonda crisi istituzionale e sociale, che deve suscitare un efficace interessamento da parte della comunità internazionale. Nella Repubblica Centrafricana, auspico che i colloqui annunciati per i prossimi giorni riportino la stabilità e risparmino alla popolazione di rivivere gli orrori della guerra civile.
Sempre di nuovo la costruzione della pace passa per la tutela dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali. Tale impegno, seppure con modalità e intensità diverse, interpella tutti i Paesi e deve costantemente essere ispirato dalla dignità trascendente della persona umana e dai principi iscritti nella sua natura. Fra questi figura in primo piano il rispetto della vita umana, in ogni sua fase. Mi sono pertanto rallegrato che una Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nel gennaio dello scorso anno, abbia chiesto la proibizione dell’eutanasia, intesa come uccisione volontaria, per atto o omissione, di un essere umano in condizioni di dipendenza. Allo stesso tempo, constato con tristezza che, in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale. Nell’affermare ciò la Chiesa cattolica non intende mancare di comprensione e di benevolenza, anche verso la madre. Si tratta, piuttosto, di vigilare affinché la legge non giunga ad alterare ingiustamente l’equilibrio fra l’eguale diritto alla vita della madre e del figlio non nato. In questo campo, la recente decisione della Corte Interamericana dei Diritti Umani relativa alla fecondazione in vitro, che ridefinisce arbitrariamente il momento del concepimento e indebolisce la difesa della vita prenatale, è ugualmente fonte di preoccupazione. Purtroppo, soprattutto nell’Occidente, vi sono numerosi equivoci sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati. Non di rado i diritti sono confusi con esacerbate manifestazioni di autonomia della persona, che diventa autoreferenziale, non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri, ma ripiegata su se stessa nel tentativo di soddisfare i propri bisogni. Per essere autentica, la difesa dei diritti deve, al contrario, considerare l’uomo nella sua integralità personale e comunitaria.
Proseguendo nella nostra riflessione, vale la pena di sottolineare come l’educazione sia un’altra via privilegiata per la costruzione della pace. Ce lo insegna, fra l’altro, l’odierna crisi economica e finanziaria. Essa si è sviluppata perché troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale. Occorre dunque recuperare il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato. A tal fine, giova educare a resistere alle tentazioni degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi piuttosto in direzione del bene comune. Inoltre, è urgente formare i leaders, che, in futuro, guideranno le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali (cfr Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2012, 6). Anche l’Unione Europea ha bisogno di Rappresentanti lungimiranti e qualificati, per compiere le scelte difficili che sono necessarie per risanare la sua economia e porre basi solide per il suo sviluppo. Da soli alcuni Paesi andranno forse più veloci, ma, insieme, tutti andranno certamente più lontano! Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo “spread del benessere sociale”, mentre si combatte quello della finanza.
Investire nell’educazione nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina significa aiutarli a vincere la povertà e le malattie, come pure a realizzare sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana. E’ chiaro che, per affermare la giustizia, non bastano buoni modelli economici, per quanto essi siano necessari. La giustizia si realizza soltanto se ci sono persone giuste! Costruire la pace significa pertanto educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione ed il traffico della droga, nonché ad evitare divisioni e tensioni, che rischiano di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza. Continuando la nostra odierna conversazione, vorrei aggiungere che la pace sociale è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni della religione nella vita sociale; in altri casi di intolleranza, o persino di violenza nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni religiose. Capita anche che ai credenti - e ai cristiani in modo particolare - sia impedito di contribuire al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali. Per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa è poi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà tocca dei principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella dignità stessa della persona umana. Essi sono come i “muri portanti” di ogni società che voglia essere veramente libera e democratica. Pertanto, vietare l’obiezione di coscienza individuale ed istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, paradossalmente aprirebbe invece le porte proprio all’intolleranza e al livellamento forzato.
Inoltre, in un mondo dai confini sempre più aperti, costruire la pace mediante il dialogo non è una scelta, ma una necessità! In questa prospettiva la Dichiarazione congiunta tra il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca e il Patriarca di Mosca, firmata nello scorso mese di agosto, è un segno forte dato dai credenti per favorire i rapporti fra il Popolo russo e il Popolo polacco. Parimenti, desidero menzionare l’accordo di pace recentemente raggiunto nelle Filippine e, in modo particolare, sottolineare il ruolo del dialogo tra le religioni per una convivenza pacifica nella regione di Mindanao.
Eccellenze, Signore e Signori,
al termine dell’Enciclica Pacem in terris, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, il mio Predecessore Beato Giovanni XXIII, ricordava che la pace rimane «solo suono di parole» se non è vivificata e integrata dalla carità (AAS 55 [1963], 303). Dunque, quest’ultima è al cuore dell’azione diplomatica della Santa Sede e, prima ancora, della sollecitudine del Successore di Pietro e di tutta la Chiesa cattolica. La carità non sostituisce la giustizia negata, ma d’altra parte la giustizia non supplisce la carità rifiutata. La Chiesa pratica quotidianamente la carità nelle opere assistenziali, quali ospedali e dispensari, ed educative, quali orfanotrofi, scuole, collegi, università, nonché con l’assistenza fornita alle popolazioni in difficoltà, specialmente durante e dopo i conflitti. In nome della carità la Chiesa vuol’essere vicina anche a quanti soffrono a causa delle calamità naturali. Penso alle vittime delle inondazioni nel Sud-Est asiatico e dell’uragano che ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti d’America. Penso anche a coloro che hanno subito il forte terremoto, che ha devastato alcune Regioni dell’Italia settentrionale. Come sapete, ho voluto recarmi personalmente in questi luoghi, dove ho potuto constatare l’ardente desiderio con cui s’intende ricostruire ciò che è andato distrutto. Auspico che, in questo momento della sua storia, tale spirito di tenacia e di impegno condiviso animi tutta la diletta Nazione italiana.
Concludendo il nostro incontro, vorrei ricordare che al termine del Concilio Vaticano II – inaugurato proprio cinquant’anni or sono – il Venerabile Papa Paolo VI indirizzò alcuni Messaggi che sono sempre di attualità, uno dei quali destinato a tutti i Governanti. Li esortò in questi termini: «Tocca a voi essere sulla terra i promotori dell’ordine e della pace tra gli uomini. Ma non lo dimenticate: è Dio (…) il grande artefice dell’ordine e della pace sulla terra» (Messaggio ai Governanti, 8 dicembre 1965, 3). Oggi faccio mie queste considerazioni, nel formulare a Voi, Signore e Signori Ambasciatori e distinti Membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie e ai Vostri Collaboratori, i più fervidi auguri per il Nuovo Anno. Grazie!

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Paparatzifan
00martedì 8 gennaio 2013 03:01
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VIDEO-MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CHIESA CATTOLICA IN CAMBOGIA IN OCCASIONE DEL CONGRESSO NAZIONALE SUL CONCILIO VATICANO II (PHNOM PENH, 5-7 GENNAIO 2013), 07.01.2013

Il Congresso nazionale della Chiesa cambogiana sul tema "Il Vaticano II e la Chiesa" si è svolto a Phnom Penh dal 5 al 7 gennaio. Questa mattina, la chiusura del convegno - cui oltre ai delegati eletti dalle tre circoscrizioni ecclesiastiche era invitata tutta la popolazione cattolica - è stata caratterizzata da due grandi eventi: la pubblicazione in cambogiano dei testi del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica e la trasmissione di un video-messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, il cui testo riportiamo qui di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle della Cambogia!

È una grande gioia per me unirmi a voi con la preghiera e con il cuore, e potervi porgere il mio cordiale saluto mentre siete riuniti attorno ai vostri pastori per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il ventesimo anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Auspico che la traduzione in lingua cambogiana dei documenti conciliari e del catechismo, che riceverete in questa occasione, vi permetta di conoscere meglio l’insegnamento della Chiesa e di crescere nella fede.
In questo Anno della fede, vi invito a tenere il vostro sguardo fisso sulla persona di Gesù Cristo che è all’origine e al termine della nostra fede (cfr. Eb 12, 2) e a riaffermare che Egli è Buona Novella per il mondo di oggi. È in Lui che gli esempi di fede che hanno segnato la nostra storia trovano la loro piena luce.
Così, ricordando il periodo di sconvolgimenti che ha fatto precipitare il vostro Paese nelle tenebre, vorrei sottolineare quanto la fede, il coraggio e la perseveranza dei vostri pastori e di tanti vostri fratelli e sorelle cristiani, molti dei quali hanno trovato la morte, sia una nobile testimonianza resa alla verità del Vangelo. E questa testimonianza è diventata un’inestimabile forza spirituale per ricostruire la comunità ecclesiale nel vostro Paese. Oggi, i numerosi catecumeni e i battezzati adulti mostrano il vostro dinamismo e sono un felice segno della presenza di Dio che agisce in voi.
Cari fratelli e sorelle, sull’esempio dell’Apostolo Paolo, vi esorto a «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4, 3). Siate certi della preghiera dei vostri fratelli e delle vostre sorelle il cui sangue è scorso nelle risaie! Siate lievito nella massa della vostra società, testimoniando la carità di Cristo verso tutti, intessendo legami di fraternità con i membri delle altre tradizioni religiose e camminando lungo le vie della giustizia e della misericordia.
Cari giovani, amici miei, che siete stati battezzati in questi ultimi anni, non dimenticate che la Chiesa è la vostra famiglia; essa conta su di voi per testimoniare la vita e l’amore che avete scoperto in Gesù. Prego per voi e vi invito a essere discepoli generosi di Cristo.
E voi seminaristi e sacerdoti cambogiani, siete il segno dei germogli della Chiesa che si costruisce. La vostra vita offerta e la vostra preghiera sono fonti di speranza, che siano anche un invito per altri giovani a donare la propria vita come sacerdoti secondo il cuore di Dio!
Missionari, religiosi, religiose, laici consacrati venuti dai cinque continenti, siate il bel segno della comunione ecclesiale attorno ai vostri pastori affinché la vostra fraternità, nella diversità dei rispettivi carismi, conduca molti di coloro che servite e amate con zelo a incontrare Gesù Cristo.
E a voi tutti che cercate Dio dico: perseverate e siate certi che Cristo vi ama e vi offre la pace!
Amati fratelli e sorelle, pastori e fedeli della Cambogia, che la Vergine Maria, Nostra Signora del Mekong, nella sua umiltà e nella sua fedeltà alla volontà del Signore, vi illumini nel corso di questo Anno della fede. Siate certi che vi ricordo nella mia preghiera, e di tutto cuore vi imparto un’affettuosa Benedizione Apostolica!

BENEDICTUS PP XVI

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Paparatzifan
00mercoledì 9 gennaio 2013 02:03
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO (11 FEBBRAIO 2013), 08.01.2013

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI in occasione della XXI Giornata Mondiale del Malato, che come di consueto ricorre l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, e che quest’anno si celebra in forma solenne presso il Santuario mariano di Altötting, in Germania:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

«Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37)

Cari fratelli e sorelle!

1. L’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, si celebrerà in forma solenne, presso il Santuario mariano di Altötting, la XXI Giornata Mondiale del Malato. Tale giornata è per i malati, per gli operatori sanitari, per i fedeli cristiani e per tutte le persone di buona volontà «momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992, 3). In questa circostanza, mi sento particolarmente vicino a ciascuno di voi, cari ammalati che, nei luoghi di assistenza e di cura o anche a casa, vivete un difficile momento di prova a causa dell’infermità e della sofferenza. A tutti giungano le parole rassicuranti dei Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Non siete né abbandonati, né inutili: voi siete chiamati da Cristo, voi siete la sua trasparente immagine» (Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti).

2. Per accompagnarvi nel pellegrinaggio spirituale che da Lourdes, luogo e simbolo di speranza e di grazia, ci conduce verso il Santuario di Altötting, vorrei proporre alla vostra riflessione la figura emblematica del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Enc. Spe salvi, 37).

3. Vari Padri della Chiesa hanno visto nella figura del Buon Samaritano Gesù stesso, e nell’uomo incappato nei briganti Adamo, l’Umanità smarrita e ferita per il proprio peccato (cfr Origene, Omelia sul Vangelo di Luca XXXIV, 1-9; Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 71-84; Agostino, Discorso 171). Gesù è il Figlio di Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini. Ma Gesù è anche Colui che "si spoglia" del suo "abito divino", che si abbassa dalla sua "condizione" divina, per assumere forma umana (Fil 2,6-8) e accostarsi al dolore dell’uomo, fino a scendere negli inferi, come recitiamo nel Credo, e portare speranza e luce. Egli non considera un tesoro geloso il suo essere uguale a Dio, il suo essere Dio (cfr Fil 2,6), ma si china, pieno di misericordia, sull’abisso della sofferenza umana, per versare l’olio della consolazione e il vino della speranza.

4. L’Anno della fede che stiamo vivendo costituisce un’occasione propizia per intensificare la diaconia della carità nelle nostre comunità ecclesiali, per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto. A questo proposito, vorrei richiamare alcune figure, tra le innumerevoli nella storia della Chiesa, che hanno aiutato le persone malate a valorizzare la sofferenza sul piano umano e spirituale, affinché siano di esempio e di stimolo. Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, "esperta della scientia amoris" (Giovanni Paolo II, Lett. ap., Novo Millennio ineunte, 42), seppe vivere «in unione profonda alla Passione di Gesù» la malattia che la condusse «alla morte attraverso grandi sofferenze». (Udienza Generale, 6 aprile 2011). Il Venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei Santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes. Mosso dalla carità verso il prossimo, Raoul Follereau ha dedicato la propria vita alla cura delle persone affette dal morbo di Hansen sin nelle aree più remote del pianeta, promuovendo fra l’altro la Giornata Mondiale contro la Lebbra. La beata Teresa di Calcutta iniziava sempre la sua giornata incontrando Gesù nell’Eucaristia, per uscire poi nelle strade con la corona del Rosario in mano ad incontrare e servire il Signore presente nei sofferenti, specialmente in coloro che sono "non voluti, non amati, non curati". Sant’Anna Schäffer di Mindelstetten seppe, anche lei, in modo esemplare unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo: «il letto di dolore diventò… cella conventuale e la sofferenza costituì il suo servizio missionario… Confortata dalla Comunione quotidiana, ella diventò un’instancabile strumento di intercessione nella preghiera e un riflesso dell’amore di Dio per molte persone che cercavano il suo consiglio» (Omelia per la canonizzazione, 21 ottobre 2012). Nel Vangelo emerge la figura della Beata Vergine Maria, che segue il Figlio sofferente fino al supremo sacrificio sul Golgota. Ella non perde mai la speranza nella vittoria di Dio sul male, sul dolore e sulla morte, e sa accogliere con lo stesso abbraccio di fede e di amore il Figlio di Dio nato nella grotta di Betlemme e morto sulla croce. La sua ferma fiducia nella potenza divina viene illuminata dalla Risurrezione di Cristo, che dona speranza a chi si trova nella sofferenza e rinnova la certezza della vicinanza e della consolazione del Signore.

5. Vorrei infine rivolgere il mio pensiero di viva riconoscenza e di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie cattoliche e alla stessa società civile, alle diocesi, alle comunità cristiane, alle famiglie religiose impegnate nella pastorale sanitaria, alle associazioni degli operatori sanitari e del volontariato. In tutti possa crescere la consapevolezza che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici, 38).

Affido questa XXI Giornata Mondiale del Malato all’intercessione della Santissima Vergine Maria delle Grazie venerata ad Altötting, affinché accompagni sempre l’umanità sofferente, in cerca di sollievo e di ferma speranza, aiuti tutti coloro che sono coinvolti nell’apostolato della misericordia a diventare dei buoni samaritani per i loro fratelli e sorelle provati dalla malattia e dalla sofferenza, mentre ben volentieri imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 gennaio 2013

BENEDICTUS PP XVI

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Paparatzifan
00giovedì 10 gennaio 2013 01:44
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L’UDIENZA GENERALE, 09.01.2013


L’Udienza Generale di questa mattina è si svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, si è soffermato ancora sul tempo liturgico del Natale e sul Mistero dell’incarnazione.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Si è fatto uomo.

Cari fratelli e sorelle,


in questo tempo natalizio ci soffermiamo ancora una volta sul grande mistero di Dio che è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui.
In questi giorni, nelle nostre chiese è risuonato più volte il termine "Incarnazione" di Dio, per esprimere la realtà che celebriamo nel Santo Natale: il Figlio di Dio si è fatto uomo, come recitiamo nel Credo. Ma che cosa significa questa parola centrale per la fede cristiana? Incarnazione deriva dal latino "incarnatio".
Sant'Ignazio di Antiochia - fine del primo secolo - e, soprattutto, sant’Ireneo hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: "Il Verbo si fece carne" (Gv 1,14). Qui la parola "carne", secondo l'uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l'uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di "Abbà, Padre" ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Adversus haereses, 3,19,1: PG 7,939; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 460).
"Il Verbo si fece carne" è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Ed effettivamente in questo periodo natalizio, in cui tale espressione ritorna spesso nella liturgia, a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai "colori" della festa, che al cuore della grande novità cristiana che celebriamo: qualcosa di assolutamente impensabile, che solo Dio poteva operare e in cui possiamo entrare solamente con la fede.
Il Logos, che è presso Dio, il Logos che è Dio, il Creatore del mondo, (cfr Gv 1,1), per il quale furono create tutte le cose (cfr 1,3), che ha accompagnato e accompagna gli uomini nella storia con la sua luce (cfr 1,4-5; 1,9), diventa uno tra gli altri, prende dimora in mezzo a noi, diventa uno di noi (cfr 1,14). Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost. Gaudium et spes, 22). E’ importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell’uomo, per comunicarci la sua stessa vita (cfr 1 Gv 1,1-4). E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l’umiltà di un bambino.
Vorrei sottolineare un secondo elemento. Nel Santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima.
Nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale la Chiesa prega così: «Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria».
Il pensiero della donazione, quindi, è al centro della liturgia e richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha fatto del suo Figlio unico un dono per noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. Questo è il grande dono. Anche nel nostro donare non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali. Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell'amore.
Vorrei offrire una terza riflessione: il fatto dell’Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati, a Betlemme durante il regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirino (cfr Lc 2,1-2); è cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di discepoli, ha istruito gli Apostoli per continuare la sua missione, ha terminato il corso della sua vita terrena sulla croce. Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico. Dio non si è fermato alle parole, ma ci ha indicato come vivere, condividendo la nostra stessa esperienza, fuorché nel peccato. Il Catechismo di san Pio X, che alcuni di noi hanno studiato da ragazzi, con la sua essenzialità, alla domanda: «Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?», dà questa risposta: «Per vivere secondo Dio dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti con l'aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l'orazione». La fede ha un aspetto fondamentale che interessa non solo la mente e il cuore, ma tutta la nostra vita.
Un ultimo elemento propongo alla vostra riflessione. San Giovanni afferma che il Verbo, il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (cfr Gv 1,1-3). L’Evangelista allude chiaramente al racconto della creazione che si trova nei primi capitoli del Libro della Genesi, e lo rilegge alla luce di Cristo. Questo è un criterio fondamentale nella lettura cristiana della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico. Quello stesso Verbo, che esiste da sempre presso Dio, che è Dio Egli stesso e per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato creato (cfr Col 1,16-17), si è fatto uomo: il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’intera creazione a Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima» (n. 349). I Padri della Chiesa hanno accostato Gesù ad Adamo, tanto da definirlo «secondo Adamo» o l’Adamo definitivo, l’immagine perfetta di Dio. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda «Chi è l’uomo?». Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio. Il Concilio Vaticano II lo ribadisce con forza: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione» (Cost. Gaudium et spes, 22; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 359). In quel bambino, il Figlio di Dio contemplato nel Natale, possiamo riconoscere il vero volto, non solo di Dio, ma il vero volto dell’essere umano; e solo aprendoci all’azione della sua grazia e cercando ogni giorno di seguirlo, noi realizziamo il progetto di Dio su di noi, su ciascuno di noi.
Cari amici, in questo periodo meditiamo la grande e meravigliosa ricchezza del Mistero dell’Incarnazione, per lasciare che il Signore ci illumini e ci trasformi sempre più a immagine del suo Figlio fatto uomo per noi.

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Paparatzifan
00domenica 13 gennaio 2013 02:26
Dal blog di Lella...

UDIENZA AL CORPO DELLA GENDARMERIA DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO, 11.01.2013

Questa sera alle ore 18, nella Sala Clementina, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in udienza il Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. Il Papa ha desiderato concedere questa udienza per manifestare al Corpo il suo incoraggiamento e la sua gratitudine dopo un periodo in cui ha dovuto rispondere a sfide particolarmente impegnative.
Dopo l’indirizzo di omaggio del Direttore della Direzione dei Servizi di sicurezza e Protezione civile, Dott. Domenico Giani, il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Comandante,
Cari Dirigenti, Commissari e Ispettori,
Cari Gendarmi e Vigili del Fuoco!

Sono molto lieto di accogliervi oggi nel Palazzo Apostolico e di dedicare questo momento a tutti voi, che quotidianamente siete al servizio del Successore di Pietro, offrendo con encomiabile disponibilità la vostra preziosa opera diurna e notturna nello Stato della Città del Vaticano.
Vi saluto con viva cordialità, ad iniziare dal Comandante dott. Domenico Giani, che ringrazio per le parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti, delineando gli intendimenti che orientano il vostro impegno. Rivolgo il mio grato pensiero al Cardinale Giuseppe Bertello e al Vescovo Mons. Giuseppe Sciacca, rispettivamente Presidente e Segretario Generale del Governatorato, che non lasciano mancare al Corpo della Gendarmeria e a quello dei Vigili del Fuoco il necessario sostegno. Saluto cordialmente il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, ringraziandolo per la sua presenza a questo incontro. Una parola di apprezzamento dirigo anche a padre Gioele Schiavella e a don Sergio Pellini, per il loro ministero in favore della crescita spirituale dell’intero Corpo della Gendarmeria.
Un saluto quanto mai affettuoso ad ognuno di voi, cari Gendarmi! Questa circostanza mi offre l’opportunità di esprimervi con intensità di sentimenti la mia stima, il mio vivo incoraggiamento e soprattutto la mia profonda riconoscenza per il generoso lavoro che svolgete con discrezione, competenza ed efficienza e non senza sacrificio.
Quasi ogni giorno ho l’opportunità di incontrare qualcuno di voi nei vari posti di servizio e di constatare di persona la vostra professionalità nel collaborare a garantire la sorveglianza al Papa, come anche il necessario ordine e la sicurezza di quanti risiedono nello Stato o di coloro che prendono parte alle celebrazioni e agli incontri che si svolgono in Vaticano.
Il Corpo della Gendarmeria è chiamato a svolgere, fra i diversi compiti, quello di accogliere con cortesia e con gentilezza i pellegrini e i visitatori del Vaticano, che giungono da Roma, dall’Italia e da ogni parte del mondo. Quest’opera di vigilanza e di controllo, che voi svolgete con diligenza e sollecitudine, è certamente considerevole e delicata: essa richiede a volte non poca pazienza, perseveranza e disponibilità all’ascolto. Si tratta di un servizio quanto mai utile al tranquillo e sicuro svolgimento della vita quotidiana e delle manifestazioni religiose della Città del Vaticano.
In ogni pellegrino o visitatore, sappiate vedere il volto di un fratello che Dio pone sulla vostra strada; pertanto accoglietelo con gentilezza e aiutatelo, sentendolo parte della grande famiglia umana. Come ho scritto nel Messaggio per la recente celebrazione della Giornata Mondiale della Pace: «La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un "noi" comunitario ... La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui» (n.3).
La vostra attività sarà tanto più efficace per la Santa Sede e arricchente per voi, quanto più si potrà svolgere in un contesto di serenità e di armonia. A tale proposito, è necessario che i Gendarmi che garantiscono da lungo tempo il loro servizio in seno al Corpo e i responsabili del Comando, favoriscano sempre più rapporti di fiducia in grado di sostenere e di incoraggiare tutti i membri della Gendarmeria Vaticana, anche nei momenti difficili.
Cari amici Gendarmi e Vigili del Fuoco, la vostra peculiare presenza nel cuore della cristianità, dove folle di fedeli giungono senza sosta per incontrare il Successore di Pietro e per visitare le tombe degli Apostoli, susciti sempre più in ciascuno di voi il proposito di intensificare la dimensione spirituale della vita, come pure l’impegno ad approfondire la vostra fede cristiana, testimoniandola coraggiosamente in ogni ambiente con una coerente condotta di vita. A tale scopo, vi è di aiuto l’Anno della fede che stiamo celebrando: esso costituisce un’occasione privilegiata per riscoprire quanta gioia c’è nel credere e nel comunicare agli altri che l’incontro salvifico e liberante con Dio realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore.
Nei giorni scorsi la liturgia ci ha invitato a contemplare Gesù che si è fatto uomo ed è venuto tra noi. Egli è la luce che illumina e dà senso alla nostra esistenza; è il Redentore che reca al mondo la pace. Contempliamo la Vergine Santissima mentre lo tiene tra le braccia, quale madre premurosa, per donarlo a tutti gli uomini, e accogliamolo con fiducia e gioia! Come Maria, anche noi guardiamo con attenzione e custodiamo nel cuore le grandi cose che Dio compie ogni giorno nella storia. Impareremo così a riconoscere, nella trama della vita quotidiana, l’intervento costante della divina Provvidenza, che tutto guida con saggezza e amore.
Cari amici, rinnovo a tutti voi il grazie più sincero e affettuoso per la vostra collaborazione; possa questo vostro generoso e apprezzato servizio essere abbondantemente ricompensato dal Signore. A Lui rivolgo la mia preghiera, affinché vi aiuti a svolgere la vostra professione, fedeli sempre a quegli ideali che essa richiede. Più saldi sono i principi morali che vi ispirano, più autorevoli saranno i vostri interventi. Continuate ad agire sempre con tale spirito. Vi proteggano e sostengano nelle giuste aspirazioni che nutrite i vostri celesti patroni, l’Arcangelo San Michele e Santa Barbara; vi sia di conforto e di incoraggiamento la mia costante benevolenza; e vi accompagni la speciale Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie.

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Paparatzifan
00domenica 13 gennaio 2013 23:00
Dal blog di Lella...

SANTA MESSA NELLA CAPPELLA SISTINA CON IL RITO DEL BATTESIMO DEI BAMBINI , 13.01.2013

Alle ore 9.45 di oggi, Festa del Battesimo del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 20 neonati.
Dopo la lettura del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

La letizia scaturita dalla celebrazione del Santo Natale trova oggi compimento nella festa del Battesimo del Signore. A questa gioia viene ad aggiungersi un ulteriore motivo per noi che siamo qui riuniti: nel sacramento del Battesimo che tra poco amministrerò a questi neonati si manifesta infatti la presenza viva e operante dello Spirito Santo che, arricchendo la Chiesa di nuovi figli, la vivifica e la fa crescere, e di questo non possiamo non gioire. Desidero rivolgere uno speciale saluto a voi, cari genitori, padrini e madrine, che oggi testimoniate la vostra fede chiedendo il Battesimo per questi bambini, perché siano generati alla vita nuova in Cristo ed entrino a far parte della comunità dei credenti.
Il racconto evangelico del battesimo di Gesù, che oggi abbiamo ascoltato secondo la redazione di san Luca, mostra la via di abbassamento e di umiltà, che il Figlio di Dio ha scelto liberamente per aderire al disegno del Padre, per essere obbediente alla sua volontà di amore verso l’uomo in tutto, fino al sacrificio sulla croce. Diventato ormai adulto, Gesù dà inizio al suo ministero pubblico recandosi al fiume Giordano per ricevere da Giovanni un battesimo di penitenza e di conversione. Avviene quello che ai nostri occhi potrebbe apparire paradossale. Gesù ha bisogno di penitenza e di conversione? Certamente no. Eppure proprio Colui che è senza peccato si pone tra i peccatori per farsi battezzare, per compiere questo gesto di penitenza; il Santo di Dio si unisce a quanti si riconoscono bisognosi di perdono e chiedono a Dio il dono della conversione, cioè la grazia di tornare a Lui con tutto il cuore, per essere totalmente suoi. Gesù vuole mettersi dalla parte dei peccatori, facendosi solidale con essi, esprimendo la vicinanza di Dio. Gesù si mostra solidale con noi, con la nostra fatica di convertirci, di lasciare i nostri egoismi, di staccarci dai nostri peccati, per dirci che se lo accettiamo nella nostra vita Egli è capace di risollevarci e condurci all’altezza di Dio Padre. E questa solidarietà di Gesù non è, per così dire, un semplice esercizio della mente e della volontà.
Gesù si è immerso realmente nella nostra condizione umana, l’ha vissuta fino in fondo, fuorché nel peccato, ed è in grado di comprenderne la debolezza e la fragilità. Per questo Egli si muove a compassione, sceglie di "patire con" gli uomini, di farsi penitente assieme a noi. Questa è l’opera di Dio che Gesù vuole compiere: la missione divina di curare chi è ferito e medicare chi è ammalato, di prendere su di sé il peccato del mondo.
Che cosa avviene al momento in cui Gesù si fa battezzare da Giovanni? Di fronte a questo atto di amore umile da parte del Figlio di Dio, si aprono i cieli e si manifesta visibilmente lo Spirito Santo sotto forma di colomba, mentre una voce dall’alto esprime il compiacimento del Padre, che riconosce il Figlio unigenito, l’Amato. Si tratta di una vera manifestazione della Santissima Trinità, che dà testimonianza della divinità di Gesù, del suo essere il Messia promesso, Colui che Dio ha mandato a liberare il suo popolo, perché sia salvato (cfr Is 40,2). Si realizza così la profezia di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore Dio viene con potenza per distruggere le opere del peccato e il suo braccio esercita il dominio per disarmare il Maligno; ma teniamo presente che questo braccio è il braccio esteso sulla croce e che la potenza di Cristo è la potenza di Colui che soffre per noi: questo è il potere di Dio, diverso dal potere del mondo; così viene Dio con potenza per distruggere il peccato. Davvero Gesù agisce come il Pastore buono che pasce il gregge e lo raduna, perché non sia disperso (cfr Is 40,10-11), ed offre la sua stessa vita perché abbia vita. E’ per la sua morte redentrice che l’uomo è liberato dal dominio del peccato ed è riconciliato col Padre; è per la sua risurrezione che l’uomo è salvato dalla morte eterna ed è reso vittorioso sul Maligno.
Cari fratelli e sorelle, che cosa avviene nel Battesimo che tra poco amministrerò ai vostri bambini? Avviene proprio questo: verranno uniti in modo profondo e per sempre con Gesù, immersi nel mistero di questa sua potenza, di questo suo potere, cioè nel mistero della sua morte, che è fonte di vita, per partecipare alla sua risurrezione, per rinascere ad una vita nuova. Ecco il prodigio che oggi si ripete anche per i vostri bambini: ricevendo il Battesimo essi rinascono come figli di Dio, partecipi della relazione filiale che Gesù ha con il Padre, capaci di rivolgersi a Dio chiamandolo con piena confidenza e fiducia: "Abbà, Padre". Anche sui vostri bambini il cielo è aperto, e Dio dice: questi sono i miei figli, figli del mio compiacimento. Inseriti in questa relazione e liberati dal peccato originale, essi diventano membra vive dell’unico corpo che è la Chiesa e sono messi in grado di vivere in pienezza la loro vocazione alla santità, così da poter ereditare la vita eterna, ottenutaci dalla risurrezione di Gesù.
Cari genitori, nel domandare il Battesimo per i vostri bambini, voi manifestate e testimoniate la vostra fede, la gioia di essere cristiani e di appartenere alla Chiesa. È la gioia che scaturisce dalla consapevolezza di avere ricevuto un grande dono da Dio, la fede appunto, un dono che nessuno di noi ha potuto meritare, ma che ci è stato dato gratuitamente e al quale abbiamo risposto con il nostro "sì". È la gioia di riconoscerci figli di Dio, di scoprirci affidati alle sue mani, di sentirci accolti in un abbraccio d’amore, allo stesso modo in cui una mamma sostiene ed abbraccia il suo bambino.
Questa gioia, che orienta il cammino di ogni cristiano, si fonda su un rapporto personale con Gesù, un rapporto che orienta l’intera esistenza umana. È Lui infatti il senso della nostra vita, Colui sul quale vale la pena di tenere fisso lo sguardo, per essere illuminati dalla sua Verità e poter vivere in pienezza.
Il cammino della fede che oggi comincia per questi bambini si fonda perciò su una certezza, sull’esperienza che non vi è niente di più grande che conoscere Cristo e comunicare agli altri l’amicizia con Lui; solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana e possiamo sperimentare ciò che è bello e ciò che libera (cfr Omelia nella S. Messa per l’inizio del pontificato, 24 aprile 2005).
Chi ha fatto questa esperienza non è disposto a rinunciare alla propria fede per nulla al mondo.
A voi, cari padrini e madrine, l’importante compito di sostenere e aiutare l’opera educativa dei genitori, affiancandoli nella trasmissione delle verità della fede e nella testimonianza dei valori del Vangelo, nel far crescere questi bambini in un’amicizia sempre più profonda con il Signore. Sappiate sempre offrire loro il vostro buon esempio, attraverso l’esercizio delle virtù cristiane.
Non è facile manifestare apertamente e senza compromessi ciò in cui si crede, specie nel contesto in cui viviamo, di fronte ad una società che considera spesso fuori moda e fuori tempo coloro che vivono della fede in Gesù.
Sull’onda di questa mentalità, vi può essere anche tra i cristiani il rischio di intendere il rapporto con Gesù come limitante, come qualcosa che mortifica la propria realizzazione personale; «Dio viene visto come il limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l'uomo possa essere totalmente se stesso» (L’infanzia di Gesù, 101). Ma non è così! Questa visione mostra di non avere capito nulla del rapporto con Dio, perché proprio a mano a mano che si procede nel cammino della fede, si comprende come Gesù eserciti su di noi l’azione liberante dell’amore di Dio, che ci fa uscire dal nostro egoismo, dall’essere ripiegati su noi stessi, per condurci ad una vita piena, in comunione con Dio e aperta agli altri. «"Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui" (1 Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino» (Enc. Deus caritas est, 1).
L’acqua con la quale questi bambini saranno segnati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, li immergerà in quella "fonte" di vita che è Dio stesso e che li renderà suoi veri figli. E il seme delle virtù teologali, infuse da Dio, la fede, la speranza e la carità, seme che oggi è posto nel loro cuore per la potenza dello Spirito Santo, dovrà essere alimentato sempre dalla Parola di Dio e dai Sacramenti, così che queste virtù del cristiano possano crescere e giungere a piena maturazione, sino a fare di ciascuno di loro un vero testimone del Signore. Mentre invochiamo su questi piccoli l’effusione dello Spirito Santo, li affidiamo alla protezione della Vergine Santa; lei li custodisca sempre con la sua materna presenza e li accompagni in ogni momento della loro vita. Amen.

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