Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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Paparatzifan
00giovedì 23 agosto 2012 22:07
Dal blog di Lella...

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALLA VI ASSEMBLEA ORDINARIA DEL FORUM INTERNAZIONALE DI AZIONE CATTOLICA (IAŞI, ROMANIA, 22-26 AGOSTO 2012), 23.08.2012

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato a S.E. Mons. Domenico Sigalini, in occasione della VI Assemblea Ordinaria del Forum Internazionale di Azione Cattolica (FIAC), in corso a Iaşi, in Romania:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello
Mons. Domenico Sigalini
Assistente Generale del Forum Internazionale di Azione Cattolica

in occasione della VI Assemblea Ordinaria di codesto Forum Internazionale di Azione Cattolica, desidero rivolgere un cordiale saluto a Lei e a quanti partecipano al significativo incontro, in particolare al Coordinatore del Segretariato, Emilio Inzaurraga, ai Presidenti Nazionali e agli Assistenti Spirituali. Un pensiero speciale rivolgo al Vescovo di Iaşi, Mons. Petru Gherghel, e alla sua diocesi, che ospitano questo evento ecclesiale durante il quale siete chiamati a riflettere sulla «corresponsabilità ecclesiale e sociale». Si tratta di un tema di grande rilevanza per il laicato, che bene si colloca nell’imminenza dell’Anno della Fede e dell’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione.
La corresponsabilità esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come «collaboratori» del clero, ma come persone realmente «corresponsabili» dell’essere e dell’agire della Chiesa.
E’ importante, pertanto, che si consolidi un laicato maturo ed impegnato, capace di dare il proprio specifico contributo alla missione ecclesiale, nel rispetto dei ministeri e dei compiti che ciascuno ha nella vita della Chiesa e sempre in cordiale comunione con i Vescovi.
A tale proposito, la Costituzione dogmatica Lumen Gentium qualifica lo stile dei rapporti tra laici e Pastori con l’aggettivo «familiare»: «Da questi familiari rapporti tra i laici e i pastori, si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti si afferma nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio, e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità sia in cose spirituali che temporali; e così tutta la Chiesa, forte di tutti i suoi membri, compie con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo» (n. 37).
Cari amici, è importante approfondire e vivere questo spirito di comunione profonda nella Chiesa, caratteristica degli inizi della Comunità cristiana, come attesta il libro degli Atti degli Apostoli: «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola» (4,32).
Sentite come vostro l’impegno ad operare per la missione della Chiesa: con la preghiera, con lo studio, con la partecipazione attiva alla vita ecclesiale, con uno sguardo attento e positivo verso il mondo, nella continua ricerca dei segni dei tempi. Non stancatevi di affinare sempre più, con un serio e quotidiano impegno formativo, gli aspetti della vostra peculiare vocazione di fedeli laici, chiamati ad essere testimoni coraggiosi e credibili in tutti gli ambiti della società, affinché il Vangelo sia luce che porta speranza nelle situazioni problematiche, di difficoltà, di buio, che gli uomini d’oggi trovano spesso nel cammino della vita.
Guidare all’incontro con Cristo, annunciando il suo Messaggio di salvezza con linguaggi e modi comprensibili al nostro tempo, caratterizzato da processi sociali e culturali in rapida trasformazione, è la grande sfida della nuova evangelizzazione. Vi incoraggio a proseguire con generosità nel vostro servizio alla Chiesa, vivendo pienamente il vostro carisma, che ha come tratto fondamentale quello di assumere il fine apostolico della Chiesa nella sua globalità, in equilibrio fecondo tra Chiesa universale e Chiesa locale e in spirito di intima unione con il Successore di Pietro e di operosa corresponsabilità con i propri Pastori (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuorsitatem, 20). In questa fase della storia, alla luce del Magistero sociale della Chiesa, lavorate anche per essere sempre più un laboratorio di «globalizzazione della solidarietà e della carità», per crescere, con tutta la Chiesa, nella corresponsabilità di offrire un futuro di speranza all’umanità, avendo il coraggio anche di formulare proposte esigenti.
Le vostre Associazioni di Azione Cattolica vantano una lunga e feconda storia, scritta da coraggiosi testimoni di Cristo e del Vangelo, alcuni dei quali sono stati riconosciuti dalla Chiesa come beati e santi. In questa scia siete chiamati oggi a rinnovare l’impegno di camminare sulla via della santità, mantenendo un’intensa vita di preghiera, favorendo e rispettando percorsi personali di fede e valorizzando le ricchezze di ciascuno, con l’accompagnamento dei sacerdoti assistenti e di responsabili capaci di educare alla corresponsabilità ecclesiale e sociale. La vostra vita sia «trasparente», guidata dal vangelo e illuminata dall’incontro con Cristo, amato e seguito senza timore. Assumete e condividete le scelte pastorali delle diocesi e delle parrocchie, favorendo occasioni di incontro e di sincera collaborazione con le altre componenti della comunità ecclesiale, creando rapporti di stima e di comunione con i sacerdoti, per una comunità viva, ministeriale e missionaria. Coltivate relazioni personali autentiche con tutti, a iniziare dalla famiglia, e offrite la vostra disponibilità alla partecipazione, a tutti i livelli della vita sociale, culturale e politica avendo sempre di mira il bene comune.
Con questi brevi pensieri, mentre assicuro il mio affettuoso ricordo nella preghiera per voi, per le vostre famiglie e per le vostre associazioni, di cuore invio a tutti i partecipanti all’Assemblea la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a quanti incontrerete nel vostro apostolato quotidiano.

Da Castel Gandolfo, 10 agosto 2012

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00lunedì 27 agosto 2012 07:57
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.08.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nelle scorse domeniche abbiamo meditato il discorso sul «pane della vita», che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Oggi, il Vangelo presenta la reazione dei discepoli a quel discorso, una reazione che fu Cristo stesso, consapevolmente, a provocare.
Anzitutto, l’evangelista Giovanni – che era presente insieme agli altri Apostoli – riferisce che «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). Perché? Perché non credettero alle parole di Gesù che diceva: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno (cfr Gv 6,51.54), veramente parole inaccettabili, per loro incomprensibili. Questa rivelazione rimaneva per loro incomprensibile, come ho detto, perché la intendevano in senso solo materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo.
Vedendo che molti dei suoi discepoli se ne andavano, Gesù si rivolse agli Apostoli dicendo: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Come in altri casi, è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? - anche noi possiamo ripetere «Da chi andremo?» - Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Su questo passo abbiamo un bellissimo commento di Sant’Agostino, che dice: «Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo risorto e il tuo sangue, te stesso. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei» (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9).
Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito.
Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese.
Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti.

DOPO L’ANGELUS

Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier le groupe de jeunes venus avec les Serviteurs de Jésus et de Marie. Nous pouvons chaque jour orienter notre vie par les choix que nous faisons. Mettons-nous sous le regard de Dieu pour qu’il nous aide à discerner ce qui est bon pour l’accomplir. Il nous connaît et il nous aime. Chers pèlerins et chers jeunes, ayez conscience que Dieu veut votre bonheur. Ayez confiance en lui ! Il est la source de la paix. Que Jésus soit votre guide sur ce chemin de Vie ! Bon dimanche à tous !

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer. I also greet the new students of the Pontifical North American College. Dear seminarians, use your time in Rome to conform yourselves more completely to Christ. Indeed, may all of us remain faithful to the Lord, even when our faith in his teachings is tested. May God bless you!

Ein frohes Grüß Gott sage ich allen deutschsprachigen Gästen hier in Castel Gandolfo. Die liturgischen Lesungen des heutigen Sonntags wollen uns deutlich machen, wie wir das Wort Gottes aufnehmen sollen. Es genügt nicht, nur etwas von Gott zu wissen. Christus will in unserem Leben und in unserem Alltag präsent sein, er will uns begleiten. Wir sind eingeladen, ihm nachzugehen: nach seinem Vorbild zu handeln, mit ihm im Gebet Zwiesprache zu halten, anderen von seiner Güte zu erzählen. So kann die Gestalt Christi an uns lebendig werden, und unser Herz wird immer mehr von seiner Liebe erfüllt. Dazu schenke Gott euch seine Gnade.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. La liturgia de la Palabra de este domingo nos ha presentado la disyuntiva entre servir al verdadero Dios o a los falsos ídolos. Invito a todos a proclamar con valentía la opción incondicional por Aquel que tiene palabras de vida eterna, Jesucristo, el Santo de Dios. Él no nos dejará de su mano y seguirá obrando maravillas, guiándonos a la tierra prometida, a la vida eterna. Feliz domingo.

Pozdrawiam Polaków. Tym pozdrowieniem obejmuję również Biskupów polskich i pielgrzymów zgromadzonych na Jasnej Górze. „Maryjo, jestem przy Tobie, pamiętam, czuwam" – powtarzając to wyznanie miłości do Matki Boga, mamy świadomość, że oznacza ono również zobowiązanie do wierności i posłuszeństwa wobec Jej Syna: „Zróbcie wszystko, cokolwiek wam powie" (J 2, 5). Niech Maryja otacza was zawsze swoją opieką! Serdecznie wam błogosławię.

[Saluto i polacchi. Rivolgo questo saluto anche ai Vescovi polacchi e ai pellegrini radunati a Jasna Gora. «Maria, con Te sto, ricordo, vigilo» – ripetendo questa dichiarazione di amore alla Madre di Dio, siamo consapevoli che essa significa anche l’impegno alla fedeltà e all’obbedienza al suo Figlio: «Tutto ciò che vi dirà, fatelo» (Gv 2, 5). Maria vi protegga sempre! Vi benedico di cuore.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le Religiose del Santo Volto, alle quali auguro ogni bene per il loro Capitolo Generale: lo Spirito Santo vi illumini e vi guidi. Accolgo con gioia la comunità del Seminario Minore di Verona. Cari ragazzi, il prossimo anno sia per ciascuno ricco di frutti nell’amicizia con il Signore Gesù. Saluto i fedeli di Mozzate, per i quali benedico una simbolica fiaccola, come pure quelli di Occhieppo Superiore, Acquapendente, Nardò, e il folto gruppo dalla Diocesi di Lodi. Rivolgo fervidi auguri ai Religiosi Salesiani che celebrano 50 anni di Professione Perpetua, tra i quali il Parroco di Castel Gandolfo. A tutti auguro una buona domenica.

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Paparatzifan
00mercoledì 29 agosto 2012 22:06
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 29.08.2012

Alle ore 10.30 di oggi, nella Piazza della Libertà antistante il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i fedeli ed i pellegrini convenuti per l’Udienza Generale del mercoledì.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha presentato la figura di san Giovanni Battista, profeta e martire, del quale ricorre oggi la memoria liturgica del martirio. Quindi ha rivolto un saluto in varie lingue ai gruppi di pellegrini presenti.
Successivamente, nel cortile del Palazzo Apostolico, il Papa ha incontrato oltre 2600 chierichetti che partecipano al Pellegrinaggio a Roma dei ministranti di Francia. Il pellegrinaggio, in corso a Roma dal 25 al 31 agosto e guidato da S.E. Mons. Philippe Breton, Vescovo emerito di Aire et Dax, è stato promosso dalla Commissione episcopale francese per la Liturgia, sul tema: "Servire il Signore, gioia dell’uomo, gioia di Dio".
L’Udienza si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Il martirio di San Giovanni Battista

Cari fratelli e sorelle,

in quest’ultimo mercoledì del mese di agosto, ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio.
Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.
Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, Il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità.(cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79).
L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto.
L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).
Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio.
San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.

SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE

Chers francophones, l’Église nous invite aujourd’hui à faire mémoire du martyre de saint Jean-Baptiste. Son exemple nous invite à ne pas faire de compromis dans notre vie avec l’amour du Christ, avec sa Parole et avec sa Vérité. Nous devons avoir le courage de laisser grandir Dieu en nous afin qu’il puisse orienter nos pensées et nos actions. Seule une vie de prière fidèle, constante et confiante nous en rendra capables ! Bon pèlerinage à vous tous !

I offer a warm welcome to all the English-speaking pilgrims and visitors, especially those from England, Indonesia, Japan and Malta. Today, the Church celebrates the Martyrdom of Saint John the Baptist. John, whose birth we celebrate on the twenty-fourth of June, gave himself totally to Christ, by preparing the way for him through the preaching of repentance, by leading others to him once he arrived, and by giving the ultimate sacrifice. Dear friends, may we follow John’s example by allowing Christ to penetrate every part of our lives so that we may boldly proclaim him to the world. May God bless all of you!

Ein herzliches Grüß Gott sage ich allen Pilgern und Besuchern deutscher Sprache. Die Kirche feiert heute das Gedächtnis des Martyriums von Johannes dem Täufer. Er war es, der Christus als das »Lamm Gottes« bezeichnet hat, das die Sünde der Welt hinwegnimmt (Joh1,29). Bis zum Vergießen seines eigenen Blutes hat er die Treue zum Herrn gehalten. Der heilige Beda sagt, er wurde nicht aufgefordert, Christus zu verleugnen; aber er wurde aufgefordert, die Wahrheit zu verschweigen. Und das hat er nicht getan. Er ist für die Wahrheit gestorben, und so ist er für Christus gestorben. In der Zurückgezogenheit und Stille der Wüste ist er in der inneren Freundschaft zu Gott gewachsen und gereift. In dieser Zeit ist Gott selbst zu seiner Kraft, zur Mitte seines Lebens geworden. So zeigt uns Johannes der Täufer, daß die Beziehung zu Gott, die innere Beziehung zu ihm wesentlich ist und daß Beten nie verlorene Zeit ist. Im Gegenteil. Durch das Gebet befähigt uns Gott, Schwierigkeiten zu überwinden und ihn mit Mut zu bezeugen, auch in unserer Zeit. Gott segne euch alle!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los provenientes de España, Venezuela, Colombia, Argentina, México y otros países Latinoamericanos. La Iglesia celebra hoy la memoria del Martirio de San Juan Bautista, el precursor de Jesús, que testimonia con su sangre su fidelidad a los mandamientos de Dios. Su vida nos enseña que cuando la existencia se fundamenta sobre la oración, sobre una constante y sólida relación con Dios, se adquiere la valentía de permitir que Cristo oriente nuestros pensamientos y nuestras acciones. Muchas gracias.

Amados peregrinos de Portugal e do Brasil, e demais pessoas de língua portuguesa, sede bem-vindos! Uma saudação particular aos fiéis de Chã Grande, Natal e do Rio de Janeiro. Que o exemplo e a intercessão de São João Batista vos ajudem a viver a vossa entrega a Deus sem reservas, sobretudo por meio da oração e da fidelidade ao Evangelho, para que Cristo cresça em vós, guiando os vossos pensamento e ações. Com estes votos, de bom grado a todos abençôo.

Witam obecnych tu Polaków. Moi drodzy, męczeństwo św. Jana Chrzciciela, które dziś wspominamy, uświadamia nam, że wiara budowana na więzi z Bogiem uzdalnia człowieka do dochowania wierności dobru i prawdzie nawet za cenę wyrzeczenia i ofiary. Jak Jan trwajmy przy Bogu na modlitwie, aby kompromis ze złem i kłamstwem tego świata nie fałszował naszego życia. Niech Bóg wam błogosławi!

[Do il benvenuto ai polacchi qui presenti. Carissimi, il martirio di San Giovanni Battista, che commemoriamo oggi, ci fa prendere consapevolezza che la fede fondata sul legame con Dio rende l’uomo capace di essere fedele al bene e alla verità anche al costo dell’abnegazione e del sacrificio. Come Giovanni perseveriamo accanto a Dio nella preghiera, affinché nessun compromesso con il male e con la menzogna di questo mondo falsifichi la nostra vita. Dio vi benedica.]

Srdečne vítam slovenských pútnikov, osobitne z Nitry a okolia. Bratia a sestry, vaša návšteva Ríma - sídla nástupcu Apoštola Petra - nech vo vás posilní povedomie, že aj vy patríte do Kristovej Cirkvi. S týmto želaním vás rád žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Cordialmente do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Nitra e dintorni. Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma - sede del Successore dell’Apostolo Pietro - rafforzi in voi la coscienza della vostra appartenenza alla Chiesa di Cristo. Con questo augurio volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!]

E rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, convenuti a Roma per un periodo di preghiera e di riflessione, e le Suore Domenicane Missionarie di San Sisto che celebrano il Capitolo Generale. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, le associazioni e i seminaristi del Seminario San Pio X di Messina, ai quali auguro di continuare la formazione teologica nutrendosi costantemente della Parola di Dio e del Pane di Vita.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La radicalità della fede e della vita di San Giovanni Battista ispiri il vostro essere credenti: cari giovani, manifestate apertamente in tutti i contesti la vostra appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa; cari ammalati, attingete alla forza della preghiera per lenire le vostre sofferenze; e voi, cari sposi novelli, ponete sempre il Signore Gesù al centro della vostra vita familiare. Grazie a voi tutti. Una buona giornata. Grazie.

SALUTO AI MINISTRANTI FRANCESI

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto con affetto, cari ministranti venuti dalla Francia per il vostro pellegrinaggio nazionale a Roma, e saluto anche Monsignor Breton, gli altri Vescovi presenti e gli accompagnatori di questo importante gruppo. Cari giovani, il servizio che svolgete con fedeltà vi permette di essere particolarmente vicini a Cristo Gesù nell'Eucaristia. Voi avete l'enorme privilegio di stare vicino all'altare, vicino al Signore. Siate consapevoli dell'importanza di questo servizio per la Chiesa e per voi stessi. Che sia per voi l'occasione di far crescere un'amicizia, una relazione personale con Gesù. Non abbiate paura di trasmettere con entusiasmo attorno a voi la gioia che ricevete dalla sua presenza! Che tutta la vostra vita risplenda della felicità di questa vicinanza al Signore Gesù! E se un giorno udite la sua chiamata a seguirlo nel cammino del sacerdozio o della vita religiosa, rispondetegli con generosità! Auguro a tutti un buon pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo! Grazie. Buon pellegrinaggio. Il Signore vi benedica.

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Paparatzifan
00venerdì 31 agosto 2012 21:52
Dal blog di Lella...

TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL SANTO PADRE PER LA MORTE DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI

SIGNOR CARDINALE ANGELO SCOLA
ARCIVESCOVO DI MILANO
PIAZZA FONTANA, 2 – 20122 MILANO

APPRESA CON TRISTEZZA LA NOTIZIA DELLA MORTE DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI DOPO LUNGA INFERMITA’, VISSUTA CON ANIMO SERENO E CON FIDUCIOSO ABBANDONO ALLA VOLONTA’ DEL SIGNORE, DESIDERO ESPRIMERE A LEI ED ALL’INTERA COMUNITA’ DIOCESANA COME PURE AI FAMILIARI DEL COMPIANTO PORPORATO LA MIA PROFONDA PARTECIPAZIONE AL LORO DOLORE PENSANDO CON AFFETTO A QUESTO CARO FRATELLO CHE HA SERVITO GENEROSAMENTE IL VANGELO E LA CHIESA.
RICORDO CON GRATITUDINE LA SUA INTENSA OPERA APOSTOLICA PROFUSA QUALE ZELANTE RELIGIOSO FIGLIO SPIRITUALE DI SANT’IGNAZIO, ESPERTO DOCENTE, AUTOREVOLE BIBLISTA E APPREZZATO RETTORE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA E DEL PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO, E QUINDI COME SOLERTE E SAGGIO ARCIVESCOVO DI CODESTA ARCIDIOCESI AMBROSIANA. PENSO ALTRESI’ AL COMPETENTE E FERVIDO SERVIZIO DA LUI RESO ALLA PAROLA DI DIO, APRENDO SEMPRE PIU’ ALLA COMUNITA’ ECCLESIALE I TESORI DELLA SACRA SCRITTURA, SPECIALMENTE ATTRAVERSO LA PROMOZIONE DELLA LECTIO DIVINA. ELEVO FERVIDE PREGHIERE AL SIGNORE AFFINCHE’, PER INTERCESSIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA, ACCOLGA QUESTO SUO FEDELE SERVITORE E INSIGNE PASTORE NELLA CELESTE GERUSALEMME, E DI CUORE IMPARTO A QUANTI NE PIANGONO LA SCOMPARSA LA CONFORTATRICE BENEDIZIONE APOSTOLICA

BENEDICTUSPP. XVI

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Paparatzifan
00lunedì 3 settembre 2012 10:14
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 02.09.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nella Liturgia della Parola di questa domenica emerge il tema della Legge di Dio, del suo comandamento: un elemento essenziale della religione ebraica e anche di quella cristiana, dove trova il suo pieno compimento nell’amore (cfr Rm 13,10). La Legge di Dio è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita, lo fa uscire dalla schiavitù dell’egoismo e lo introduce nella «terra» della vera libertà e della vita. Per questo nella Bibbia la Legge non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere il suo Alleato e scrivere con esso una storia di amore. Così prega il pio israelita: «Nei tuoi decreti è la mia delizia, / non dimenticherò la tua parola. (…) Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, / perché in essi è la mia felicità» (Sal 119,16.35). Nell’Antico Testamento, colui che a nome di Dio trasmette la Legge al popolo è Mosè. Egli, dopo il lungo cammino nel deserto, sulla soglia della terra promessa, così proclama: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi» (Dt 4,1).
Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo.
E così la religione smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per fare la sua volontà, - che è la verità del nostro essere - e così vivere bene, nella vera libertà, e si riduce a pratica di usanze secondarie, che soddisfano piuttosto il bisogno umano di sentirsi a posto con Dio. Ed è questo un grave rischio di ogni religione, che Gesù ha riscontrato nel suo tempo, ma che si può verificare, purtroppo, anche nella cristianità. Perciò le parole di Gesù nel Vangelo di oggi contro gli scribi e i farisei devono far pensare anche noi. Gesù fa proprie le parole del profeta Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6-7; cfr Is 29,13). E poi conclude: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8).
Anche l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera, mette in guardia dal pericolo di una falsa religiosità. Egli scrive ai cristiani: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Vergine Maria, alla quale ora ci rivolgiamo in preghiera, ci aiuti ad ascoltare con cuore aperto e sincero la Parola di Dio, perché orienti i nostri pensieri, le nostre scelte e le nostre azioni, ogni giorno.

DOPO L’ANGELUS

Chers frères et sœurs!

En cette période de rentrée, je m’adresse à vous, chers écoliers et élèves qui commencez une nouvelle année scolaire. Il est beau et nécessaire d’apprendre. Faites-le de bon cœur. Puissiez-vous découvrir aussi la joie de l’amitié ! Le temps pour le sport et pour les loisirs est important, mais le temps pour la famille et pour Dieu est plus important encore. Vos parents et vos professeurs doivent en favoriser le juste équilibre. Je salue également les Libanais présents ce matin ; je les assure de ma prière et leur dis ma joie de visiter bientôt leur beau pays. Je vous bénis tous de grand cœur.

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Angelus. The Gospel of today’s liturgy spurs all of us to a greater harmony between the faith we treasure in our hearts and our outward behaviour. By God’s grace, may we be purified inside and out, so as to live integrally our commitment to Christ and to his message. God bless all of you!

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium spricht Christus von der wahren Reinheit des Herzens. Es geht nicht um äußeren Schein, sondern um, innere Lauterkeit. Und die beginnt bereits in unseren Gedanken. Die Seligpreisungen des Herrn, von denen wir heute zwei im Kommunionvers gesungen haben, weisen uns den Weg dieser Lauterkeit und eröffnen uns zugleich die frohmachende Gemeinschaft mit dem Herrn. Ich wünsche euch allen einen gesegneten Sonntag!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. La liturgia de la Palabra de este domingo nos enseña que la verdadera sabiduría consiste en cumplir con sinceridad los preceptos de Dios, para con su ayuda crecer en el conocimiento y en la práctica de la virtud. Que a ejemplo de la Santísima Virgen seamos dóciles al Señor y tratemos de cumplir constantemente su voluntad, cueste lo que cueste, sin caer en el desaliento o la hipocresía. Feliz domingo.

Witam obecnych tu Polaków. Jutro dzieci i młodzież rozpoczną nowy rok szkolny i katechetyczny. Proszę Boga o światło Ducha Świętego i potrzebne dary dla uczniów i uczennic oraz dla wszystkich, którzy będą się trudzić, aby był to dla nich czas wzrastania w mądrości i w łasce u Boga i u ludzi (por. Łk 2, 52). Niech Bóg wam błogosławi!

[Do il benvenuto ai polacchi qui presenti. Domani i bambini e i giovani cominceranno il nuovo anno scolastico e catechistico. Chiedo a Dio la luce dello Spirito Santo e i doni necessari per gli allievi e le allieve, nonché per tutti coloro che si impegneranno affinché questo sia per loro un tempo di crescita nella sapienza e nella grazia davanti a Dio e agli uomini (cfr Lc 2,52). Dio vi benedica!]

Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Aprilia e ai ragazzi di alcune parrocchie delle Diocesi di Verona e di Vicenza. Saluto inoltre il gruppo di coniugi che festeggiano i 25 anni di matrimonio. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Buona domenica a tutti voi!

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Paparatzifan
00lunedì 3 settembre 2012 19:45
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Funerale del card. Martini

TESTO DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle,

in questo momento desidero esprimere la mia vicinanza, con la preghiera e l'affetto, all'intera Arcidiocesi di Milano, alla Compagnia di Gesù, ai parenti e a tutti coloro che hanno stimato e amato il Cardinale Carlo Maria Martini e hanno voluto accompagnarlo per questo ultimo viaggio.
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118[117], 105): le parole del Salmista possono riassumere l'intera esistenza di questo Pastore generoso e fedele della Chiesa. È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l'ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse «ad maiorem Dei gloriam», per la maggior gloria di Dio. E proprio per questo è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l'unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell'amore. Lo è stato con una grande apertura d'animo, non rifiutando mai l'incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all'invito dell'Apostolo di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3, 15). Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza.
In un'omelia del suo lungo ministero a servizio di questa Arcidiocesi ambrosiana pregava così: «Ti chiediamo, Signore, che tu faccia di noi acqua sorgiva per gli altri, pane spezzato per i fratelli, luce per coloro che camminano nelle tenebre, vita per coloro che brancolano nelle ombre di morte. Signore, sii la vita del mondo; Signore, guidaci tu verso la tua Pasqua; insieme cammineremo verso di te, porteremo la tua croce, gusteremo la comunione con la tua risurrezione. Insieme con te cammineremo verso la Gerusalemme celeste, verso il Padre» (Omelia del 29 marzo 1980).
Il Signore, che ha guidato il Cardinale Carlo Maria Martini in tutta la sua esistenza accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa nella Gerusalemme del Cielo. A tutti i presenti e a coloro che ne piangono la scomparsa, giunga il conforto della mia Benedizione.

Da Castel Gandolfo, 3 Settembre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00martedì 4 settembre 2012 17:34
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SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELL’INCONTRO CON IL "RATZINGER SCHÜLERKREIS" , 02.09.2012

Dal 30 agosto al 3 settembre si è svolto a Castel Gandolfo il tradizionale seminario estivo degli ex-allievi di Papa Benedetto XVI (Ratzinger Schülerkreis), incentrato quest’anno sul tema: "Risultati e domande ecumenici nel dialogo con il luteranesimo e l’anglicanesimo".
A conclusione, alle ore 8 di questa mattina, il Santo Padre ha presieduto nel Centro Mariapoli la Santa Messa con i suoi ex-allievi.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della celebrazione eucaristica:

OMELIA DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

risuonano ancora profondamente in me le parole con cui, tre anni fa, il Cardinale Schönborn ci ha fatto l’esegesi di questo Vangelo: la misteriosa correlazione dell’intimo con l’esterno e quello che rende l’uomo impuro, quello che lo contamina e quello che è puro. Oggi, perciò, non voglio fare anch’io l’esegesi di questo stesso Vangelo, o la farò soltanto marginalmente. Proverò invece a dire una parola sulle due Letture.
Nel Deuteronomio vediamo la «gioia della legge»: legge non come vincolo, come qualcosa che ci toglie la libertà, ma come regalo e dono. Quando gli altri popoli guarderanno verso questo grande popolo - così dice la Lettura, così dice Mosè -, allora diranno: Che popolo saggio! Ammireranno la saggezza di questo popolo, l’equità della legge e la vicinanza del Dio che sta al suo fianco e che gli risponde quando viene chiamato. E’ questa la gioia umile di Israele: ricevere un dono da Dio.
Questo è diverso dal trionfalismo, dall’orgoglio di ciò che viene da se stessi: Israele non è orgoglioso della propria legge come Roma poteva esserlo del diritto romano quale dono all’umanità, come la Francia forse del «Code Napoléon», come la Prussia del «Preußisches Landrecht» ecc. – opere del diritto che riconosciamo.
Ma Israele sa: questa legge non l’ha fatta egli stesso, non è frutto della sua genialità, è dono. Dio gli ha mostrato che cos’è il diritto.
Dio gli ha dato saggezza. La legge è saggezza. Saggezza è l’arte dell’essere uomini, l’arte di poter vivere bene e di poter morire bene. E si può vivere e morire bene solo quando si è ricevuta la verità e quando la verità ci indica il cammino. Essere grati per il dono che noi non abbiamo inventato, ma che ci è stato dato in dono, e vivere nella saggezza; imparare, grazie al dono di Dio, ad essere uomini in modo retto.
Il Vangelo ci mostra però che c’è anche un pericolo – come si dice pure direttamente all`inizio del brano odierno del Deuteronomio: «non aggiungere, non togliere nulla». Ci insegna che, con il passare del tempo, al dono di Dio si sono aggiunti applicazioni, opere, costumi umani, che crescendo nascondono ciò che è proprio della saggezza donata da Dio, così da diventare un vero vincolo che bisogna spezzare, oppure da portare alla presunzione: noi l’abbiamo inventato!
Ma passiamo a noi, alla Chiesa. Secondo la nostra fede, infatti, la Chiesa è l’Israele che è diventato universale, nel quale tutti diventano, attraverso il Signore, figli di Abramo; l’Israele diventato universale, nel quale persiste il nucleo essenziale della legge, privo delle contingenze del tempo e del popolo. Questo nucleo è semplicemente Cristo stesso, l’amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui e per gli uomini. Egli è la Torah vivente, è il dono di Dio per noi, nel quale, ora, riceviamo tutti la saggezza di Dio. Nell’essere uniti con Cristo, nel «con-camminare» e «con-vivere» con Lui, impariamo noi stessi come essere uomini in modo giusto, riceviamo la saggezza che è verità, sappiamo vivere e morire, perché Lui stesso è la vita e la verità.
Conviene, quindi, alla Chiesa, come per Israele, essere piena di gratitudine e di gioia. «Quale popolo può dire che Dio gli sia così vicino? Quale popolo ha ricevuto questo dono?».
Non lo abbiamo fatto noi, ci è stato donato. Gioia e gratitudine per il fatto che lo possiamo conoscere, che abbiamo ricevuto la saggezza del vivere bene, che è ciò che dovrebbe caratterizzare il cristiano. Infatti, nel Cristianesimo delle origini era così: l’essere liberato dalle tenebre dell’andare a tastoni, dell’ignoranza - che cosa sono? perché sono? come devo andare avanti? -, l’essere diventato libero, l’essere nella luce, nell’ampiezza della verità. Questa era la consapevolezza fondamentale. Una gratitudine che si irradiava intorno e che così univa gli uomini nella Chiesa di Gesù Cristo.
Ma anche nella Chiesa c’è lo stesso fenomeno: elementi umani si aggiungono e conducono o alla presunzione, al cosiddetto trionfalismo che vanta se stesso invece di dare la lode a Dio, o al vincolo, che bisogna togliere, spezzare e schiacciare. Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.
Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata?
Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi.
Penso che dobbiamo imparare di nuovo questo «non-avere-la-verità». Come nessuno può dire: ho dei figli – non sono un nostro possesso, sono un dono, e come dono di Dio ci sono dati per un compito - così non possiamo dire: ho la verità, ma la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra.
Cari amici, vogliamo chiedere al Signore che ci faccia questo dono. San Giacomo ci dice oggi nella Lettura: non dovete limitarvi ad ascoltare la Parola, la dovete mettere in pratica. Questo è un avvertimento circa l’intellettualizzazione della fede e della teologia. E’ un mio timore in questo tempo, quando leggo tante cose intelligenti: che diventi un gioco dell’intelletto nel quale «ci passiamo la palla», nel quale tutto è solo un mondo intellettuale che non compenetra e forma la nostra vita, e che quindi non ci introduce nella verità. Credo che queste parole di san Giacomo si dirigano proprio a noi come teologi: non solo ascoltare, non solo intelletto – fare, lasciarsi formare dalla verità, lasciarsi guidare da lei! Preghiamo il Signore che ci accada questo, e che così la verità diventi potente sopra di noi, e che conquisti forza nel mondo attraverso di noi.
La Chiesa ha posto la parola del Deuteronomio - «Dov`è un popolo al quale Dio è così vicino come il nostro Dio è vicino a noi, ogni volta che lo invochiamo?» - nel centro dell’Officio divino del Corpus Domini, e gli ha dato così un nuovo significato: dov`è un popolo al quale il suo Dio è così vicino come il nostro Dio lo è a noi? Nell’Eucaristia questo è diventato piena realtà. Certo, non è solo un aspetto esteriore: qualcuno può stare vicino al tabernacolo e, allo stesso tempo, essere lontano dal Dio vivente. Ciò che conta è la vicinanza interiore! Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo! Egli è così vicino che è uno di noi.
Conosce l’essere umano, il «sapore» dell’essere umano, lo conosce dal di dentro, lo ha provato con le sue gioie e le sue sofferenze. Come uomo, mi è vicino, vicino «a portata di voce» – così vicino che mi ascolta e che posso sapere: Lui mi sente e mi esaudisce, anche se forse non come io me lo immagino.
Lasciamoci riempire di nuovo di questa gioia: dov’è un popolo al quale Dio è così vicino come il nostro Dio lo è a noi? Così vicino da essere uno di noi, da toccarmi dal di dentro. Sì, da entrare dentro di me nella santa Eucaristia. Un pensiero perfino sconcertante. Su questo processo, San Bonaventura ha utilizzato, una volta, nelle sue preghiere di Comunione, una formulazione che scuote, quasi spaventa. Egli dice: mio Signore, come ha potuto venirti in mente di entrare nella sporca latrina del mio corpo?
Sì, Lui entra dentro la nostra miseria, lo fa con consapevolezza e lo fa per compenetrarci, per pulirci e per rinnovarci, affinché, attraverso di noi, in noi, la verità sia nel mondo e si realizzi la salvezza. Chiediamo al Signore perdono per la nostra indifferenza, per la nostra miseria che ci fa pensare solo a noi stessi, per il nostro egoismo che non cerca la verità, ma che segue la propria abitudine, e che forse spesso fa sembrare il Cristianesimo solo come un sistema di abitudini.
Chiediamogli che Egli entri, con potenza, nelle nostre anime, che si faccia presente in noi e attraverso di noi – e che così la gioia nasca anche in noi: Dio è qui, e mi ama, è la nostra salvezza! Amen.

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Paparatzifan
00mercoledì 5 settembre 2012 21:21
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL CONGRESSO PANAFRICANO DEI LAICI CATTOLICI , 05.09.2012

Dal 4 al 9 settembre 2012 si svolge presso l’Università Cattolica dell’Africa Centrale (UCAC) a Yaoundé, in Camerun, il Congresso panafricano dei Laici Cattolici organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, sul tema: "Essere testimoni di Gesù Cristo in Africa oggi. Sale della Terra...luce del mondo" (Mt 5,13-14).
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato in occasione dell’apertura del Congresso, al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, l’Em.mo Card. Stanisław Ryłko:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Signor Cardinale
Stanisław Ryłko,
Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

Sono lieto di rivolgere il mio cordiale pensiero a Lei, Venerato Fratello, ai Cardinali, ai Vescovi, ai Sacerdoti, alle persone consacrate, e in modo speciale a tutti i fedeli laici riuniti a Yaoundé dal 4 al 9 settembre per l’importante Congresso dei laici cattolici dell'Africa, organizzato dal Pontifìcio Consiglio per i Laici con l'appoggio della Conferenza Episcopale del Camerun, sul tema: «Testimoni di Gesù Cristo in Africa oggi. Sale della terra... luce del mondo (Mt 5,13.14)». Il tema richiama volutamente l'Esortazione apostolica postsinodale Africae munus, che reca come sottotitolo la medesima citazione tratta dal vangelo di san Matteo: «Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo». Consegnando personalmente questo rilevante documento ai Vescovi dell'Africa a Cotonou, il 20 novembre dello scorso anno, ho voluto offrire alcune linee teologiche e pastorali per il cammino della Chiesa nel Continente.
Il vostro Congresso si presenta come una tappa significativa per realizzare quanto lo Spirito Santo ha ispirato ai Padri sinodali durante la Seconda Assemblea Speciale per l'Africa, celebrata nell'ottobre del 2009 a Roma. A Cotonou ho espresso l'auspicio che l'Esortazione Africae munus serva da guida soprattutto nell'annuncio del Vangelo attraverso l'impegno di tutto il Popolo di Dio. È per questo che ho appreso con soddisfazione l'iniziativa del Pontificio Consiglio di convocare un Congresso dedicato ai fedeli laici africani, chiamati in modo speciale ai nostri tempi ad un lavoro sempre più intenso nella vigna del Signore (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 2).
Durante i miei viaggi nel Continente, ho affermato, in varie occasioni, che l'Africa è chiamata ad essere il «Continente della speranza». Non erano parole di circostanza, ma indicavano l'orizzonte luminoso che si apre allo sguardo della fede. Certo, a prima vista i problemi dell'Africa appaiono gravi e di non facile soluzione, e non solo per le difficoltà materiali, ma anche per ostacoli spirituali e morali che pure la Chiesa incontra. E’ vero inoltre che persino i valori tradizionali più validi della cultura africana oggi sono minacciati dalla secolarizzazione, che provoca disorientamento, lacerazioni nel tessuto personale e sociale, esasperazione del tribalismo, violenza, corruzione nella vita pubblica, umiliazione e sfruttamento delle donne e dei bambini, crescita della miseria e della fame. A questo si aggiunge anche l'ombra del terrorismo fondamentalista, che di recente ha preso di mira le comunità cristiane di alcuni Paesi africani. Se però, con uno sguardo più profondo, guardiamo al cuore dei popoli africani, scopriamo una grande ricchezza di risorse spirituali, preziose per il nostro tempo.
L'amore alla vita e alla famiglia, il senso della gioia e della condivisione, l’entusiasmo di vivere la fede nel Signore, che ho potuto constatare nei miei viaggi africani, sono ancora impressi nel mio cuore. Non lasciate mai che la cupa mentalità relativista e nichilista che colpisce varie parti del nostro mondo, apra una breccia nella vostra realtà! Accogliete e diffondete con forza rinnovata il messaggio di gioia e di speranza che porta Cristo, messaggio capace di purificare e rafforzare i grandi valori delle vostre culture.
Per questo, nell'Enciclica Spe salvi ho voluto presentare la santa sudanese Giuseppina Bakhita come testimone di speranza (cfr n. 3), per mostrare come l'incontro con il Dio di Gesù Cristo sia capace di trasformare profondamente ogni essere umano, anche nelle condizioni più povere - Bakhita era una schiava – per conferirgli la dignità suprema di figlio di Dio. Proprio «mediante la conoscenza di questa speranza lei era "redenta", non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio» (ibidem). E la scoperta della speranza cristiana suscitò in lei un nuovo, incontenibile desiderio: «la liberazione che aveva ricevuto mediante l'incontro con il Dio di Gesù Cristo, sentiva di doverla estendere, doveva essere donata anche ad altri, al maggior numero possibile di persone. La speranza, che era nata per lei e l'aveva "redenta", non poteva tenerla per sé; questa speranza doveva raggiungere molti, raggiungere tutti» (ibidem). L'incontro con Cristo dona lo slancio per superare anche le difficoltà apparentemente più insormontabili. E’ l'esperienza di santa Bakhita, ma è anche l'esperienza che tanti giovani africani - grazie a Dio, la grande maggioranza della popolazione - sono chiamati a vivere oggi nella fedele sequela del Signore. Rendere l'Africa «Continente della speranza» è un impegno che deve orientare la missione dei fedeli laici africani oggi, come pure lo stesso Congresso che state celebrando.
In questa prospettiva, la vostra Assise costituisce un momento significativo nella preparazione di due eventi ecclesiali di rilievo universale ormai alle porte: il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e l’«Anno della fede». A Cotonou, consegnando l'Esortazione Africae munus, ho ricordato che «tutti coloro che hanno ricevuto il dono meraviglioso della fede, questo dono dell'incontro con il Signore risorto, sentono anche il bisogno di annunciarlo agli altri» (Omelia nella S. Messa allo "Stade de l’amitié", Cotonou-Benin, 20 novembre 2011). La missione scaturisce infatti dalla fede, dono di Dio da accogliere, nutrire e approfondire perché «non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta» (Motu proprio Porta fìdei, 3). La priorità della fede naturalmente ha un significato più logico che cronologico. Infatti l'accoglienza di questo dono divino va di pari passo con lo slancio per l'annuncio del Vangelo, in una sorta di "circolo virtuoso", dove la fede muove all'annuncio e l'annuncio rafforza la fede: «La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia» (ibid., n. 7). Veramente «La fede si rafforza donandola!», secondo le indimenticabili parole del beato Giovanni Paolo II (Lett. enc. Redemptoris Missio, 2).
Vorrei richiamare, infine, alcune parole del Servo di Dio Paolo VI, fedele interprete del Concilio: «evangelizzare per la Chiesa è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 18). In quest'opera di trasformazione di tutta la società, così urgente per l'Africa di oggi, i fedeli laici hanno un ruolo insostituibile: «Tramite i suoi membri laici, la Chiesa si rende presente e attiva nella vita del mondo. I laici hanno un grande ruolo da svolgere nella Chiesa e nella società. [...] I fedeli laici, infatti, sono "ambasciatori di Cristo" (2 Cor 5,20) nello spazio pubblico, nel cuore del mondo» (Esort. ap. postsin. Africae munus, 128). Donne e uomini, giovani, anziani e bambini, famiglie e intere società, tutta l'Africa oggi attende gli «ambasciatori» della Buona Novella, fedeli laici provenienti dalle parrocchie, dalle Communautés Ecclésiales Vivantes, dai movimenti ecclesiali e dalle nuove comunità, innamorati di Cristo e della Chiesa, pieni di gioia e riconoscenza per il Battesimo che hanno ricevuto, coraggiosi operatori di pace e annunciatori di autentica speranza.
Affidando il Congresso all'intercessione premurosa e materna della Beata Vergine Maria, che, come recita la preghiera del vostro Congresso, è «Nostra Signora d'Africa, Regina della Pace e Stella della Nuova Evangelizzazione», imparto volentieri a tutti i partecipanti la mia Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 agosto 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00mercoledì 5 settembre 2012 21:32
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L’UDIENZA GENERALE, 05.09.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sul Libro dell’Apocalisse.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera nella prima parte dell'Apocalisse (AP 1,4-3,22)


Cari fratelli e sorelle,

oggi, dopo l’interruzione delle vacanze, riprendiamo le Udienze in Vaticano, continuando in quella «scuola della preghiera» che sto vivendo insieme con voi in queste Catechesi del mercoledì.
Oggi vorrei parlare della preghiera nel Libro dell’Apocalisse, che, come sapete, è l’ultimo del Nuovo Testamento. E’ un libro difficile, ma che contiene una grande ricchezza. Esso ci mette in contatto con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno del Signore» (Ap 1,10): è questa infatti la traccia di fondo in cui si muove il testo.
Un lettore presenta all’assemblea un messaggio affidato dal Signore all’Evangelista Giovanni. Il lettore e l’assemblea costituiscono, per così dire, i due protagonisti dello sviluppo del libro; ad essi, fin dall’inizio, viene indirizzato un augurio festoso: «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia» (1,3). Dal dialogo costante tra loro, scaturisce una sinfonia di preghiera, che si sviluppa con grande varietà di forme fino alla conclusione. Ascoltando il lettore che presenta il messaggio, ascoltando e osservando l’assemblea che reagisce, la loro preghiera tende a diventare nostra.
La prima parte dell’Apocalisse (1,4-3,22) presenta, nell’atteggiamento dell’assemblea che prega, tre fasi successive. La prima (1,4-8) è costituita da un dialogo che – unico caso nel Nuovo Testamento – si svolge tra l’assemblea appena radunata e il lettore, il quale le rivolge un augurio benedicente: «Grazia a voi e pace» (1,4).
Il lettore prosegue sottolineando la provenienza di questo augurio: esso deriva dalla Trinità: dal Padre, dallo Spirito Santo, da Gesù Cristo, coinvolti insieme nel portare avanti il progetto creativo e salvifico per l’umanità. L’assemblea ascolta e, quando sente nominare Gesù Cristo, ha come un sussulto di gioia e risponde con entusiasmo, elevando la seguente preghiera di lode: «A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (1,5b-6). L’assemblea, avvolta dall’amore di Cristo, si sente liberata dai legami del peccato e si proclama «regno» di Gesù Cristo, che appartiene totalmente a Lui. Riconosce la grande missione che con il Battesimo le è stata affidata di portare nel mondo la presenza di Dio. E conclude questa sua celebrazione di lode guardando di nuovo direttamente a Gesù e, con entusiasmo crescente, ne riconosce «la gloria e la potenza» per salvare l’umanità.
L’«amen» finale conclude l’inno di lode a Cristo. Già questi primi quattro versetti contengono una grande ricchezza di indicazioni per noi; ci dicono che la nostra preghiera deve essere anzitutto ascolto di Dio che ci parla. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare, soprattutto a metterci nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per essere attenti a ciò che Dio vuole dirci. Tali versetti ci insegnano inoltre che la nostra preghiera, spesso solo di richiesta, deve essere invece anzitutto di lode a Dio per il suo amore, per il dono di Gesù Cristo, che ci ha portato forza, speranza e salvezza.
Un nuovo intervento del lettore richiama poi all’assemblea, afferrata dall’amore di Cristo, l’impegno a coglierne la presenza nella propria vita. Dice così: «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto» (1,7a). Dopo essere salito al cielo in una «nube», simbolo della trascendenza (cfr At 1,9), Gesù Cristo ritornerà così come è salito al Cielo (cfr At 1,11b). Allora tutti i popoli lo riconosceranno e, come esorta san Giovanni nel Quarto Vangelo, «volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto» (19,37). Penseranno ai propri peccati, causa della sua crocifissione, e, come coloro che avevano assistito direttamente ad essa sul Calvario, «si batteranno il petto» (cfr Lc 23,48) chiedendogli perdono, per seguirlo nella vita e preparare così la comunione piena con Lui, dopo il suo ritorno finale. L’assemblea riflette su questo messaggio e dice: «Sì. Amen!» (Ap 1,7b). Esprime col suo «sì» l’accoglienza piena di quanto le è comunicato e chiede che questo possa davvero diventare realtà. E’ la preghiera dell’assemblea, che medita sull’amore di Dio manifestato in modo supremo sulla Croce e chiede di vivere con coerenza da discepoli di Cristo. E c’è la risposta di Dio: «Io sono l’Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (1,8).
Dio, che si rivela come l’inizio e la conclusione della storia, accoglie e prende a cuore la richiesta dell’assemblea. Egli è stato, è, e sarà presente e attivo con il suo amore nelle vicende umane, nel presente, nel futuro, come nel passato, fino a raggiungere il traguardo finale. Questa è la promessa di Dio. E qui troviamo un altro elemento importante: la preghiera costante risveglia in noi il senso della presenza del Signore nella nostra vita e nella storia, e la sua è una presenza che ci sostiene, ci guida e ci dona una grande speranza anche in mezzo al buio di certe vicende umane; inoltre, ogni preghiera, anche quella nella solitudine più radicale, non è mai un isolarsi e non è mai sterile, ma è la linfa vitale per alimentare un’esistenza cristiana sempre più impegnata e coerente.
La seconda fase della preghiera dell’assemblea (1,9-22) approfondisce ulteriormente il rapporto con Gesù Cristo: il Signore si fa vedere, parla, agisce, e la comunità, sempre più vicina a Lui, ascolta, reagisce ed accoglie. Nel messaggio presentato dal lettore, san Giovanni racconta una sua esperienza personale di incontro con Cristo: si trova nell’isola di Patmos a causa della «parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (1,9) ed è il «giorno del Signore» (1,10a), la domenica, nella quale si celebra la Risurrezione. E san Giovanni viene «preso dallo Spirito» (1,10a). Lo Spirito Santo lo pervade e lo rinnova, dilatando la sua capacità di accogliere Gesù, il Quale lo invita a scrivere. La preghiera dell’assemblea che ascolta, assume gradualmente un atteggiamento contemplativo ritmato dai verbi «vede», «guarda»: contempla, cioè, quanto il lettore le propone, interiorizzandolo e facendolo suo.
Giovanni ode «una voce potente, come di tromba» (1,10b): la voce gli impone di inviare un messaggio «alle sette Chiese» (1,11) che si trovano nell’Asia Minore e, attraverso di esse, a tutte le Chiese di tutti i tempi, unitamente ai loro Pastori. L’espressione «voce … di tromba», presa dal libro dell’Esodo (cfr 20,18), richiama la manifestazione divina a Mosè sul monte Sinai e indica la voce di Dio, che parla dal suo Cielo, dalla sua trascendenza. Qui è attribuita a Gesù Cristo Risorto, che dalla gloria del Padre parla, con la voce di Dio, all’assemblea in preghiera. Voltatosi «per vedere la voce» (1,12), Giovanni scorge «sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo» (1,12-13), termine particolarmente familiare a Giovanni, che indica Gesù stesso. I candelabri d’oro, con le loro candele accese, indicano la Chiesa di ogni tempo in atteggiamento di preghiera nella Liturgia: Gesù Risorto, il «Figlio dell’uomo», si trova in mezzo ad essa e, rivestito delle vesti del sommo sacerdote dell’Antico Testamento, svolge la funzione sacerdotale di mediatore presso il Padre. Nel messaggio simbolico di Giovanni, segue una manifestazione luminosa di Cristo Risorto, con le caratteristiche proprie di Dio, che ricorrono nell’Antico Testamento. Si parla dei «capelli… candidi, simili a lana candida come neve» (1,14), simbolo dell’eternità di Dio (cfr Dn 7,9) e della Risurrezione. Un secondo simbolo è quello del fuoco, che, nell’Antico Testamento, viene spesso riferito a Dio per indicare due proprietà. La prima è l’intensità gelosa del suo amore, che anima la sua alleanza con l’uomo (cfr Dt 4,24). Ed è questa stessa intensità bruciante dell’amore che si legge nello sguardo di Gesù Risorto: «i suoi occhi erano come fiamma di fuoco» (Ap 1,14a). La seconda è la capacità inarrestabile di vincere il male come un «fuoco divoratore» (Dt 9,3). Così anche «i piedi» di Gesù, in cammino per affrontare e distruggere il male, hanno l’incandescenza del «bronzo splendente» (Ap 1,15). La voce di Gesù Cristo poi, «simile al fragore di grandi acque» (1,15c), ha il frastuono impressionante «della gloria del Dio di Israele» che si muove verso Gerusalemme, di cui parla il profeta Ezechiele (cfr 43,2). Seguono ancora tre elementi simbolici che mostrano quanto Gesù Risorto stia facendo per la sua Chiesa: la tiene saldamente nella sua mano destra - un’immagine molto importante: Gesù tiene la Chiesa nella sua mano - le parla con la forza penetrante di una spada affilata, e le mostra lo splendore della sua divinità: «il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza» (Ap 1,16). Giovanni è talmente preso da questa stupenda esperienza del Risorto, che si sente venire meno e cade come morto.
Dopo questa esperienza di rivelazione, l’Apostolo ha davanti il Signore Gesù che parla con lui, lo rassicura, gli pone una mano sulla testa, gli dischiude la sua identità di Crocifisso Risorto e gli affida l’incarico di trasmettere un suo messaggio alle Chiese (cfr Ap 1,17-18).
Una cosa bella questo Dio davanti al quale viene meno, cade come morto. E’ l’amico della vita, e gli pone la mano sulla testa. E così sarà anche per noi: siamo amici di Gesù. Poi la rivelazione del Dio Risorto, del Cristo Risorto, non sarà tremenda, ma sarà l’incontro con l’amico. Anche l’assemblea vive con Giovanni il momento particolare di luce davanti al Signore, unito, però, all’esperienza dell’ incontro quotidiano con Gesù, avvertendo la ricchezza del contatto con il Signore, che riempie ogni spazio dell’esistenza.
Nella terza ed ultima fase della prima parte dell’Apocalisse (Ap 2-3), il lettore propone all’assemblea un messaggio settiforme in cui Gesù parla in prima persona. Indirizzato a sette Chiese situate nell’Asia Minore intorno ad Efeso, il discorso di Gesù parte dalla situazione particolare di ciascuna Chiesa, per poi estendersi alle Chiese di ogni tempo. Gesù entra subito nel vivo della situazione di ciascuna Chiesa, evidenziandone luci e ombre e rivolgendole un pressante invito: «Convertiti» (2,5.16; 3,19c); «Tieni saldo quello che hai» (3,11); «compi le opere di prima» (2,5); «Sii dunque zelante e convertiti» (3,19b)... Questa parola di Gesù, se ascoltata con fede, inizia subito ad essere efficace: la Chiesa in preghiera, accogliendo la Parola del Signore viene trasformata. Tutte le Chiese devono mettersi in attento ascolto del Signore, aprendosi allo Spirito come Gesù richiede con insistenza ripetendo questo comando sette volte: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (2,7.11.17.29; 3,6.13.22). L’assemblea ascolta il messaggio ricevendo uno stimolo per il pentimento, la conversione, la perseveranza, la crescita nell’amore, l’orientamento per il cammino.
Cari amici, l’Apocalisse ci presenta una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi. Quanto più e meglio preghiamo con costanza, con intensità, tanto più ci assimiliamo a Lui, ed Egli entra veramente nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace. E quanto più noi conosciamo, amiamo e seguiamo Gesù, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci in preghiera con Lui, ricevendo serenità, speranza e forza nella nostra vita. Grazie per l’attenzione.

Saluto in lingua italiana

Cari fratelli e sorelle, rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi e i sacerdoti ex-alunni del Collegio Urbano, che ricordano il 40° di Ordinazione sacerdotale. Auguri. Saluto i giovani di Pesaro accompagnati dal loro Pastore Mons. Coccia; i ragazzi di Lucca che hanno ricevuto la Cresima, qui convenuti con il loro Vescovo Mons. Italo Castellani; gli altri ragazzi, provenienti da varie Regioni, che si apprestano a ricevere il Sacramento della Confermazione. Saluto altresì i rappresentanti della Pia Società San Gaetano. Auguro a tutti che questa visita alle tombe degli Apostoli vi rinsaldi nell'adesione a Cristo e vi renda suoi testimoni nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità ecclesiali.

Saluto infine tutti i giovani qui presenti, le persone ammalate e gli sposi novelli. Cari giovani, tornando dopo le vacanze alle consuete attività quotidiane, riprendete anche il ritmo regolare del vostro dialogo con Dio, che infonda luce in voi e attorno a voi. Cari ammalati, trovate sostegno e conforto nel Signore Gesù, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo. E voi, cari sposi novelli, sappiate coltivare la dimensione spirituale, affinché la vostra unione sia sempre solida e profonda. Grazie.


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Paparatzifan
00sabato 8 settembre 2012 00:32
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UDIENZA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI DI RECENTE NOMINA PARTECIPANTI AL CORSO PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, 07.09.2012

Alle ore 12 di oggi, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico d Castel Gandolfo, il Santo Padre riceve in Udienza i Vescovi di recente nomina alla guida dei Territori di Missione, che hanno partecipato al corso di formazione promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli,

sono lieto di incontrami con voi, riuniti a Roma per il corso di formazione dei Vescovi di recente nomina, promosso dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Saluto cordialmente il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto del Dicastero, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto anche a nome vostro. Saluto Mons. Savio Hon Tai-Fai e Mons. Protase Rugambwa, Segretario e Segretario Aggiunto della Congregazione; a loro e a quanti contribuiscono alla buona riuscita del Seminario esprimo la mia riconoscenza.
Questo corso si svolge in prossimità dell’Anno della fede, un dono prezioso del Signore alla sua Chiesa per aiutare i battezzati a prendere coscienza della propria fede e a comunicarla a quanti non ne hanno ancora sperimentato la bellezza.
Le comunità di cui siete Pastori in Africa, Asia, America Latina ed Oceania, pur in situazioni differenti, sono tutte impegnate nella prima evangelizzazione e nell’opera di consolidamento della fede.
Di esse percepite le gioie e le speranze, come pure le ferite e le preoccupazioni, similmente all’apostolo Paolo, che scriveva: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). E aggiungeva: «Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (v. 29).
Nel vostro cuore sia sempre salda la fiducia nel Signore; la Chiesa è sua, ed è Lui che la guida sia nei momenti difficili, che di serenità. Le vostre comunità sono quasi tutte di recente fondazione, e presentano i pregi e le debolezze legati alla loro breve storia. Mostrano una fede partecipata e gioiosa, vivace e creativa, ma spesso non ancora radicata. In esse l’entusiasmo e lo zelo apostolico si alternano a momenti di instabilità e incoerenza. Emergono qua e là frizioni ed abbandoni. Tuttavia, sono Chiese che vanno maturando grazie all’azione pastorale, ma anche al dono di quella communio sanctorum, che consente una vera e propria osmosi di grazia tra le Chiese di antica tradizione e quelle di recente costituzione, oltre che, prima ancora, tra la Chiesa celeste e quella pellegrinante. Da qualche tempo si registra una diminuzione dei missionari, bilanciata, però, dall’aumento del clero diocesano e religioso.
La crescita numerica di sacerdoti autoctoni produce pure una nuova forma di cooperazione missionaria: alcune giovani Chiese hanno iniziato ad inviare propri presbiteri a Chiese sorelle sprovviste di clero nel medesimo Paese o in nazioni dello stesso Continente; è una comunione che deve animare sempre l’azione evangelizzatrice.
Le giovani Chiese costituiscono, dunque, un segno di speranza per il futuro della Chiesa universale. In tale contesto, cari Fratelli, vi incoraggio a non risparmiare forza e coraggio per una solerte opera pastorale, memori del dono di grazia che è stato seminato in voi nell’ordinazione episcopale, e che si può riassumere nei tria munera di insegnare, santificare e governare.
Abbiate a cuore la missio ad gentes, l’inculturazione della fede, la formazione dei candidati al sacerdozio, la cura del clero diocesano, dei religiosi, delle religiose e dei laici. La Chiesa nasce dalla missione e cresce con la missione.
Fate vostro l’appello interiore dell’Apostolo delle genti: «Caritas Christi urget nos» (2 Cor 5,14). Una corretta inculturazione della fede vi aiuti ad incarnare il Vangelo nelle culture dei popoli e ad assumere ciò che di buono vive in esse. Si tratta di un processo lungo e difficile che non deve in alcun modo compromettere la specificità e l'integrità della fede cristiana (cfr Enc. Redemptoris missio, 52). La missione richiede Pastori configurati a Cristo per santità di vita, prudenti e lungimiranti, pronti a spendersi generosamente per il Vangelo e a portare nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese.
Vigilate sul gregge, avendo un’attenzione specifica per i sacerdoti. Guidateli con l’esempio, vivete in comunione con loro, siate disponibili ad ascoltarli e ad accoglierli con paterna benevolenza, valorizzando le loro diverse capacità. Impegnatevi ad assicurare ai vostri sacerdoti specifici e periodici incontri di formazione.
Fate sì che l’Eucaristia sia sempre il cuore della loro esistenza e la ragion d’essere del loro ministero. Abbiate sul mondo di oggi uno sguardo di fede, per comprenderlo in profondità, ed un cuore generoso, pronto ad entrare in comunione con le donne e gli uomini del nostro tempo. Non mancate alla vostra prima responsabilità di uomini di Dio, chiamati alla preghiera e al servizio della sua Parola a vantaggio del gregge. Si possa dire anche di voi quanto il sacerdote Onia affermò del profeta Geremia: «Questi è l’amico dei suoi fratelli, che prega molto per il popolo e per la città santa» (2 Mac 15,14). Tenete lo sguardo fisso su Gesù, il Pastore dei pastori: il mondo di oggi ha bisogno di persone che parlino a Dio, per poter parlare di Dio. Solo così la Parola di salvezza porterà frutto (cfr Discorso al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 15 ottobre 2011).
Cari Fratelli, le vostre Chiese conoscono bene il contesto di instabilità che incide in modo preoccupante sulla vita quotidiana della gente. Le emergenze alimentari, sanitarie ed educative interrogano le comunità ecclesiali e le coinvolgono in modo diretto. Anzi, la loro attenzione e la loro opera sono apprezzate e lodate. Alle calamità naturali si aggiungono discriminazioni culturali e religiose, intolleranze e faziosità, frutto di fondamentalismi che rivelano visioni antropologiche errate e che conducono a sottovalutare, se non a disconoscere, il diritto alla libertà religiosa, il rispetto dei più deboli, soprattutto dei bambini, delle donne e dei portatori di handicap. Pesano, infine, riaffioranti contrasti tra le etnie e le caste, che causano violenze ingiustificabili. Date fiducia al Vangelo, alla sua forza rinnovatrice, alla sua capacità di risvegliare le coscienze e di provocare dall’interno il riscatto delle persone e la creazione di una nuova fraternità. La diffusione della Parola del Signore fa fiorire il dono della riconciliazione e favorisce l’unità dei popoli.
Nel Messaggio per la prossima Giornata Missionaria Mondiale ho voluto ricordare che la fede è un dono da accogliere nel cuore e nella vita, e di cui ringraziare sempre il Signore. Ma la fede è data perché sia condivisa; un talento consegnato perché porti frutto; una luce cui non è concesso di rimanere nascosta. La fede è il dono più importante che ci è stato fatto nella vita: non possiamo tenerlo solo per noi! «Tutti… hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e di accedervi». Dice Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio (11). Il Servo di Dio Paolo VI, riaffermando la priorità dell’evangelizzazione, affermava: «Gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). Tale interrogativo risuoni nel nostro cuore come appello a sentire l’assoluta priorità del compito dell’evangelizzazione. Cari Fratelli, affido voi e le vostre Comunità a Maria Santissima, prima discepola del Signore e prima evangelizzatrice, avendo dato al mondo il Verbo di Dio fatto carne. Lei, la Stella dell’evangelizzazione, orienti sempre i vostri passi. In questo senso vi imparto la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 8 settembre 2012 17:42
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UDIENZA AI PARTECIPANTI AL 23° CONGRESSO MARIOLOGICO MARIANO INTERNAZIONALE, 08.09.2012

Alle ore 12.15 di questa mattina, nel Cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al 23° Congresso Mariologico Mariano Internazionale, che si svolge in questi giorni presso la Pontificia Università Antonianum di Roma, in occasione del 50° anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II.
Riportiamo di seguito il discorso che il Santo Padre rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

con grande gioia accolgo tutti voi qui a Castel Gandolfo, quasi a conclusione del XXIII Congresso Mariologico Mariano Internazionale. Molto opportunamente state riflettendo sul tema: «La mariologia a partire dal Concilio Vaticano II. Ricezione, bilancio e prospettive», dato che ci accingiamo a ricordare e celebrare il 50° anniversario dell’inizio della grande Assise, apertasi l’11 ottobre del 1962.
Saluto cordialmente il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Presidente del Congresso; il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e del Consiglio di Coordinamento tra Accademie Pontificie, come pure il Presidente e le Autorità Accademiche della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, a cui va la mia gratitudine per l’organizzazione di questo importante evento. Un saluto ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai Presidenti e ai rappresentanti delle Società mariologiche presenti, agli studiosi di mariologia e, infine, a tutti coloro che partecipano ai lavori del Congresso.
Il Beato Giovanni XXIII volle che il Concilio Ecumenico Vaticano II si aprisse proprio l’11 ottobre, nello stesso giorno in cui, nel 431, il Concilio di Efeso aveva proclamato Maria «Theotokos», Madre di Dio (cfr AAS 54, 1962, 67-68). In tale circostanza egli iniziò il suo discorso con parole significative e programmatiche: «Gaudet Mater Ecclesia quod, singulari Divinae providentiae munere, optatissimus iam dies illuxit, quo, auspice Deipara Virgine, cuius materna dignitas hodie festo ritu recolitur, hic ad Beati Petri sepulchrum Concilium Oecumenicum Vaticanum Secundum sollemniter initium capit». [trad. it: «La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, qui, presso il sepolcro di san Pietro, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II»].
Come sapete, il prossimo 11 ottobre, per ricordare quello straordinario avvenimento, si aprirà solennemente l’Anno della Fede, che ho voluto indire con il Motu proprio Porta fidei, in cui, presentando Maria come modello esemplare di fede, invoco la Sua speciale protezione e intercessione sul cammino della Chiesa, affidando a Lei, beata perché ha creduto, questo tempo di grazia. Anche oggi, cari fratelli e sorelle, la Chiesa gioisce nella celebrazione liturgica della Natività della Beata Vergine Maria, la Tutta Santa, aurora della nostra salvezza.
Il senso di questa festa mariana ci viene ricordato da sant’Andrea di Creta, vissuto tra il VII e l’VIII secolo, in una sua famosa Omelia per la Festa della Natività di Maria, in cui l’evento viene presentato come un tassello prezioso dello straordinario mosaico che è il disegno divino di salvezza dell’umanità: «Il mistero del Dio che diventa uomo, la divinizzazione dell’uomo assunto dal Verbo, rappresentano la somma dei beni che Cristo ci ha donati, la rivelazione del piano divino e la sconfitta di ogni presuntuosa autosufficienza umana. La venuta di Dio fra gli uomini, come luce splendente e realtà divina chiara e visibile, è il dono grande e meraviglioso della salvezza che ci venne elargito. La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l’incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio» (Discorso I: PG 97, 806-807). Questa importante e antica testimonianza ci porta al cuore della tematica su cui riflettete e che il Concilio Vaticano II volle sottolineare già nel titolo del Capitolo VIII della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium: «La Beata Vergine Maria Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa». Si tratta del «nexus mysteriorum», dell’intimo collegamento tra i misteri della fede cristiana, che il Concilio ha indicato come orizzonte per comprendere i singoli elementi e le diverse affermazioni del patrimonio della fede cattolica.
Nel Concilio, a cui presi parte da giovane teologo come esperto, ebbi modo di vedere i vari modi di affrontare le tematiche circa la figura e il ruolo della Beata Vergine Maria nella storia della salvezza. Nella seconda sessione del Concilio un nutrito gruppo di Padri chiese che della Madonna si trattasse in seno alla Costituzione sulla Chiesa, mentre un altrettanto numeroso gruppo sostenne la necessità di un documento specifico che mettesse adeguatamente in luce la dignità, i privilegi e il singolare ruolo di Maria nella redenzione operata da Cristo. Con la votazione del 29 ottobre 1963 si decise di optare per la prima proposta e lo schema della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa fu arricchito con il capitolo sulla Madre di Dio, nel quale la figura di Maria, riletta e riproposta a partire dalla Parola di Dio, dai testi della tradizione patristica e liturgica, oltre che dalla ampia riflessione teologica e spirituale, appare in tutta la sua bellezza e singolarità e strettamente inserita nei misteri fondamentali della fede cristiana. Maria, di cui è sottolineata innanzitutto la fede, è compresa nel mistero di amore e di comunione della SS. Trinità; la sua cooperazione al piano divino della salvezza e all’unica mediazione di Cristo è chiaramente affermata e posta nel giusto rilievo, facendone così un modello e un punto di riferimento per la Chiesa, che in Lei riconosce se stessa, la propria vocazione e la propria missione. La pietà popolare, da sempre rivolta a Maria, risulta infine nutrita dai riferimenti biblici e patristici.
Certo, il testo conciliare non ha esaurito tutte le problematiche relative alla figura della Madre di Dio, ma costituisce l’orizzonte ermeneutico essenziale per ogni ulteriore riflessione, sia di carattere teologico, sia di carattere più prettamente spirituale e pastorale. Rappresenta, inoltre, un prezioso punto di equilibrio, sempre necessario, tra la razionalità teologica e l’affettività credente.
La singolare figura della Madre di Dio deve essere colta e approfondita da prospettive diverse e complementari: mentre rimane sempre valida e necessaria la via veritatis, non si può non percorrere anche la via pulchritudinis e la via amoris per scoprire e contemplare ancor più profondamente la fede cristallina e solida di Maria, il suo amore per Dio, la sua speranza incrollabile. Per questo, nell’Esortazione apostolica Verbum Domini, ho rivolto un invito a proseguire sulla linea dettata dal Concilio, invito che rivolgo cordialmente a voi, cari amici e studiosi.
Offrite il vostro competente contributo di riflessione e di proposta pastorale, per far sì che l’imminente Anno della Fede possa rappresentare per tutti i credenti in Cristo un vero momento di grazia, in cui la fede di Maria ci preceda e ci accompagni come faro luminoso e come modello di pienezza e maturità cristiana a cui guardare con fiducia e da cui attingere entusiasmo e gioia per vivere con sempre maggiore impegno e coerenza la nostra vocazione di figli di Dio, fratelli in Cristo, membra vive del suo Corpo che è la Chiesa.
Affido tutti voi e il vostro impegno di ricerca alla materna protezione di Maria e vi imparto una particolare Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00domenica 9 settembre 2012 19:18
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VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELL’INIZIATIVA "DIECI PIAZZE PER DIECI COMANDAMENTI" PROMOSSA DAL RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO, 09.09.2012

Ieri sera, in Piazza del Popolo a Roma, si è aperta l’iniziativa "Dieci Piazze per Dieci Comandamenti" promossa dal Rinnovamento nello Spirito Santo, una serata di evangelizzazione e di festa che proseguirà nel corso dell’anno in altre città italiane.
Nel corso dell’evento è stato trasmesso su schermi giganti un Videomessaggio del Santo Padre Benedetto XVI il cui testo riportiamo di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di porgere un cordiale saluto a tutti voi che partecipate nelle piazze di varie città italiane a questa catechesi sui Dieci Comandamenti e aderite all’iniziativa «Quando l’Amore dà senso alla tua vita…». In particolare saluto e ringrazio gli aderenti al Movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito Santo, che hanno organizzato questa lodevole iniziativa, con il sostegno del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e della Conferenza Episcopale Italiana.
Il Decalogo ci riporta al Monte Sinai, quando Dio entra in modo particolare nella storia del popolo ebreo, e tramite questo popolo nella storia dell’intera umanità, donando le «Dieci Parole» che esprimono la sua volontà e che sono una sorta di «codice etico» per costruire una società in cui il rapporto di alleanza con il Dio Santo e Giusto illumini e guidi i rapporti tra le persone. E Gesù viene a dare compimento a queste parole, innalzandole e riassumendole nel duplice comandamento dell’amore: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso» (cfr Mt 22,37-40).
Ma domandiamoci: che senso hanno queste Dieci Parole per noi, nell’attuale contesto culturale, in cui secolarismo e relativismo rischiano di diventare i criteri di ogni scelta e in questa nostra società che sembra vivere come se Dio non esistesse?
Noi rispondiamo che Dio ci ha donato i Comandamenti per educarci alla vera libertà e all’amore autentico, così che possiamo essere davvero felici. Essi sono un segno dell’amore di Dio Padre, del suo desiderio di insegnarci il retto discernimento del bene dal male, del vero dal falso, del giusto dall’ingiusto. Essi sono comprensibili da tutti e proprio perché fissano i valori fondamentali in norme e regole concrete, nel metterli in pratica l’uomo può percorrere il cammino della vera libertà, che lo rende saldo nella via che conduce alla vita e alla felicità.
Al contrario, quando nella sua esistenza l’uomo ignora i Comandamenti, non solo si aliena da Dio e abbandona l’alleanza con Lui, ma si allontana anche dalla vita e dalla felicità duratura. L’uomo lasciato a se stesso, indifferente verso Dio, fiero della propria autonomia assoluta, finisce per seguire gli idoli dell’egoismo, del potere, del dominio, inquinando i rapporti con se stesso e con gli altri e percorrendo sentieri non di vita, ma di morte. Le tristi esperienze della storia, soprattutto del secolo scorso, rimangono un monito per tutta l’umanità.
«Quando l’Amore dà senso alla tua vita…». Gesù porta a pienezza la via dei Comandamenti con la sua Croce e Risurrezione; porta al superamento radicale dell’egoismo, del peccato e della morte, con il dono di Se stesso per amore. Solo l’accoglienza dell’amore infinito di Dio, l’avere fiducia in Lui, il seguire la strada che Egli ha tracciato, dona senso profondo alla vita e apre a un futuro di speranza.
Cari amici, auguro che questa iniziativa susciti un rinnovato impegno nel testimoniare che la via dell’amore tracciata dai Comandamenti e perfezionata da Cristo è l’unica capace di rendere la nostra vita, quella degli altri, quella delle nostre comunità più piena, più buona e più felice. La Vergine Maria accompagni questo cammino, mentre imparto la mia Benedizione.

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Paparatzifan
00domenica 9 settembre 2012 19:50
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 09.09.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Al centro del Vangelo di oggi (Mc 7,31-37) c’è una piccola parola, molto importante.
Una parola che – nel suo senso profondo – riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. L’evangelista Marco la riporta nella lingua stessa di Gesù, in cui Gesù la pronunciò, così che la sentiamo ancora più viva. Questa parola è «effatà», che significa: «apriti». Vediamo il contesto in cui è collocata. Gesù stava attraversando la regione detta «Decapoli», tra il litorale di Tiro e Sidone e la Galilea; una zona dunque non giudaica. Gli portarono un uomo sordomuto, perché lo guarisse – evidentemente la fama di Gesù si era diffusa fin là. Gesù lo prese in disparte, gli toccò le orecchie e la lingua e poi, guardando verso il cielo, con un profondo sospiro disse: «Effatà», che significa appunto: «Apriti». E subito quell’uomo incominciò a udire e a parlare speditamente (cfr Mc 7,35). Ecco allora il significato storico, letterale di questa parola: quel sordomuto, grazie all’intervento di Gesù, «si aprì»; prima era chiuso, isolato, per lui era molto difficile comunicare; la guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo, un’apertura che, partendo dagli organi dell’udito e della parola, coinvolgeva tutta la sua persona e la sua vita: finalmente poteva comunicare e quindi relazionarsi in modo nuovo.
Ma tutti sappiamo che la chiusura dell’uomo, il suo isolamento, non dipende solo dagli organi di senso. C’è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il «cuore». E’ questo che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché dicevo che questa piccola parola, «effatà – apriti», riassume in sé tutta la missione di Cristo.
Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell’«effatà» sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato: il sacerdote, toccando la bocca e le orecchie del neo-battezzato dice: «Effatà», pregando che possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede. Mediante il Battesimo, la persona umana inizia, per così dire, a «respirare» lo Spirito Santo, quello che Gesù aveva invocato dal Padre con quel profondo sospiro, per guarire il sordomuto.
Ci rivolgiamo ora in preghiera a Maria Santissima, di cui ieri abbiamo celebrato la Natività. A motivo del suo singolare rapporto con il Verbo Incarnato, Maria è pienamente «aperta» all’amore del Signore, il suo cuore è costantemente in ascolto della sua Parola. La sua materna intercessione ci ottenga di sperimentare ogni giorno, nella fede, il miracolo dell’«effatà», per vivere in comunione con Dio e con i fratelli.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins présents ici, ou participant à cet Angelus par la radio ou la télévision, dans les prochains jours, je vais me rendre au Liban en Voyage apostolique pour signer l’Exhortation apostolique post-synodale, fruit de l’Assemblée spéciale pour le Moyen-Orient du Synode des Évêques, célébrée en octobre 2010. J’aurai l’heureuse occasion de rencontrer le peuple libanais et ses autorités, ainsi que les chrétiens de ce cher pays, et ceux venus des pays voisins. Je n’ignore pas la situation souvent dramatique vécue par les populations de cette région meurtrie depuis trop de temps par d’incessants conflits. Je comprends l’angoisse de nombreux Moyen-orientaux plongés quotidiennement dans des souffrances de tous ordres qui affectent tristement, et parfois mortellement, leur vie personnelle et familiale. J’ai une pensée préoccupée pour ceux qui, cherchant un espace de paix, fuient leur vie familiale et professionnelle et expérimentent la précarité de l’exilé. Même s’il semble difficile de trouver des solutions aux différents problèmes qui touchent la région, on ne peut pas se résigner à la violence et à l’exaspération des tensions. L’engagement pour un dialogue et pour la réconciliation doit être prioritaire pour toutes les parties impliquées, et il doit être soutenu par la communauté internationale, toujours plus consciente de l’importance pour le monde entier d’une paix stable et durable dans toute la région. Mon Voyage apostolique au Liban, et par extension à l’ensemble du Moyen-Orient, se place sous le signe de la paix en reprenant la parole du Christ : « Je vous donne ma paix » (Jn 14, 27). Que Dieu bénisse le Liban et le Moyen-Orient ! Que Dieu vous bénisse tous !

TRADUZIONE IN ITALIANO:

Cari pellegrini qui presenti, o che partecipate all’Angelus attraverso la radio o la televisione, nei prossimi giorni, mi recherò in viaggio apostolico in Libano per firmare l’Esortazione apostolica post-sinodale, frutto dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, svoltosi nell’ottobre del 2010. Avrò la felice occasione di incontrare il popolo libanese e le sue autorità, oltre ai cristiani di questo caro paese e quelli provenienti dai paesi vicini. Non ignoro la situazione spesso drammatica vissuta dalle popolazioni di questa regione da troppo tempo straziata da incessanti conflitti. Comprendo l’angoscia dei molti medio-orientali quotidianamente immersi in sofferenze di ogni tipo, che affliggono tristemente, e talvolta mortalmente, la loro vita personale e familiare. Il mio preoccupato pensiero va a coloro che, alla ricerca di uno spazio di pace, abbandonano la loro vita familiare e professionale e sperimentano la precarietà degli esuli. Anche se sembra difficile trovare delle soluzioni ai diversi problemi che toccano la regione, non ci si può rassegnare alla violenza ed all’esasperazione delle tensioni. L’impegno per un dialogo e per la riconciliazione deve essere prioritario per tutte le parti coinvolte, e deve essere sostenuto dalla comunità internazionale, sempre più cosciente dell’importanza per tutto il mondo di una pace stabile e durevole nell’intera regione. Il mio viaggio apostolico in Libano, e per estensione nel Medio Oriente nel suo insieme, si colloca sotto il segno della pace, facendo riferimento alle parole del Cristo: "Vi dò la mia pace" (Giov. 14,27). Che Dio benedica il Libano ed il Medio Oriente! Che Dio vi benedica tutti!

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer, especially those from the Rome campus of the University of Mary in the United States. In today’s Gospel Jesus cures a deaf man with a speech impediment. Let us pray that our spiritual infirmities may be cured, so that our ears may be open to listen attentively to the Lord’s life-giving teachings, and our speech may plainly profess our faith in him. May God bless you!

Gerne heiße ich alle Gäste und Gläubigen aus den Ländern deutscher Sprache willkommen. „Effata! – Öffne dich!", sagt Jesus im heutigen Evangelium zum Taubstummen (Mk 7,34). In der Taufe wird dieses Wort auch uns zugerufen. Christus will uns Ohren und Mund öffnen, damit wir in Gemeinschaft mit Gott und so in Gemeinschaft mit unseren Mitmenschen treten können. Bitten wir den Herrn, daß er uns von aller Schwerhörigkeit im Glauben und von aller Sprachlosigkeit heile, daß er uns hörend und sehend mache für die Menschen um uns, die unser Wort und unsere Hilfe brauchen. Dabei stärke und leite uns der Heilige Geist.

Saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. En el Evangelio de hoy, Jesús cura a un sordomudo. Por así decirlo, este hecho evoca el itinerario de conversión por el cual se llega a la confesión de la fe auténtica, proclamada con los labios y profesada en el corazón. Que la Virgen interceda para que nuestra fe no vacile.
Ha sido anunciado, en Colombia, en Noruega y en Cuba, un importante diálogo entre el Gobierno Colombiano y representantes de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, con la participación de delegados de Venezuela y Chile, para intentar poner fin al conflicto que, por décadas, aflige a ese amado País. Espero que cuantos tomen parte en esa iniciativa se dejen guiar por la voluntad de perdón y reconciliación, en la sincera búsqueda del bien común. Muchas gracias.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Z inicjatywy Konferencji Episkopatu wkrótce rozpocznie się w Polsce II Tydzień Wychowania. Życzę, by ożywił on współpracę rodziny, szkoły i Kościoła, by zapewnić dzieciom i młodzieży solidną formację intelektualną, kulturową, duchową i chrześcijańską. Niech środowiska wychowawcze przenika „Ewangelia rodziny". Wzrastając w jej świetle, we wspólnocie życia, wiary i miłości, młodzi mogą nabyć wartości, które nadają sens ludzkiej egzystencji. Wspierajmy rodziców, wychowawców i nauczycieli naszą modlitwą. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i Polacchi. Per iniziativa della Conferenza dell’Episcopato Polacco, tra poco inizierà in Polonia la II Settimana dell’Educazione. Auguro che essa ravvivi la cooperazione tra la famiglia, la scuola e la Chiesa, per garantire ai bambini e ai giovani una solida formazione intellettuale, culturale, spirituale e cristiana. Che gli ambienti educativi siano pervasi dal "Vangelo della famiglia". Crescendo alla luce di esso nella comunione di vita, di fede e d’amore i giovani possono acquisire i valori che conferiscono il senso all’esistenza umana. Sosteniamo con la nostra preghiera i genitori, gli educatori e il corpo docente. Vi benedico di cuore.]

Rivolgo un cordiale saluto ai cattolici e a tutti i cittadini del Kazakhstan, dove il Cardinale Sodano, quale mio Legato, celebra oggi la Dedicazione della nuova Cattedrale di Karaganda; come pure ai fedeli di Leopoli dei Latini, in Ucraina, che ieri, alla presenza del mio Legato il Cardinale Tomko, hanno commemorato il sesto centenario della fondazione di quella Arcidiocesi.

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la comunità del Seminario Minore di Padova - benvenuti! - con l’augurio di un anno formativo che sia un vero cammino di fede e di fraternità. Saluto il gruppo parrocchiale di Petrella Tifernina, il Coro «La Preara» di Lubiara di Caprino Veronese, l’Associazione «Calima» di Orzinuovi e il Rotary Club di Acireale. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie! Buona domenica.

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Paparatzifan
00lunedì 10 settembre 2012 20:59
Dal blog di Lella...

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA COLOMBIA (II GRUPPO) , 10.09.2012

Alle ore 12 di oggi, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale della Colombia (2° gruppo), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari Fratelli nell’Episcopato:

1. Con profonda gioia vi do il più cordiale benvenuto a questo incontro di comunione con il Vescovo di Roma e Capo del Collegio Episcopale. Ringrazio Monsignor Ricardo Tobón Restrepo, Arcivescovo di Medellín, per le cordiali parole con le quali mi ha trasmesso l’affetto dei vescovi, presbiteri, diaconi, comunità religiose e fedeli laici colombiani, come pure le grandi linee del compito pastorale che si sta portando avanti nelle vostre Chiese particolari, che peregrinano in mezzo alle persecuzioni del mondo e alle consolazioni di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 8).

2. La vostra visita sulle tombe dei principi degli Apostoli, come ben sapete, costituisce un momento importante per la vita delle circoscrizioni ecclesiastiche di cui siete i pastori, perché consolida i vincoli di fede e di comunione che vi uniscono al Successore di San Pietro e all’intero corpo ecclesiale. Anche per il Papa questa è un’occasione dal profondo significato, poiché in essa si esprime la sua sollecitudine per tutte le Chiese. Che la vostra presenza a Roma sia quindi un’opportunità per ravvivare l’unità effettiva e affettiva con il Pastore della Chiesa universale e anche fra di voi, di modo che s’intensifichi in tutti, e si rafforzi positivamente tra i fedeli, quell’ideale che ha identificato la comunità ecclesiale fin dal suo inizio: «aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32).

3. La storia della Colombia è indelebilmente segnata dalla profonda fede cattolica della sua gente, dal suo amore per l’Eucaristia, la sua devozione alla Vergine Maria e la testimonianza di carità di insigni pastori e laici. L’annuncio del Vangelo ha recato frutti tra di voi con abbondanti vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, nella disponibilità mostrata per la missione ad gentes, nella nascita di movimenti apostolici, come pure nella vitalità pastorale delle comunità parrocchiali. Accanto a tutto ciò, voi stessi avete però constatato gli effetti devastanti di una crescente secolarizzazione, che incide con forza sugli stili di vita e sconvolge la scala dei valori delle persone, scuotendo le fondamenta stesse della fede cattolica, del matrimonio, della famiglia e della morale cristiana. A tale proposito, l’instancabile difesa e promozione dell’istituzione familiare continua a essere una priorità pastorale per voi. Perciò, in mezzo alle difficoltà, vi invito a non desistere nei vostri sforzi e a continuare a proclamare la verità integrale della famiglia, fondata sul matrimonio come Chiesa domestica e santuario della vita (cfr. Discorso a conclusione del v Incontro Mondiale delle Famiglie, Valencia, 8 luglio 2006).

4. Il Piano Globale (2012-2020) della Conferenza Episcopale della Colombia indica come obiettivo generale quello di «promuovere processi di nuova evangelizzazione, che formino discepoli missionari, incoraggino la comunione ecclesiale e incidano sulla società a partire dai valori del Vangelo» (cfr. n. 5.1). Accompagno con la mia preghiera questo proposito, che ho già avuto l’occasione di commentare nell’inaugurare la v Conferenza Generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi, ad Aparecida, chiedendo a Dio che, nel portarlo a compimento, i ministri della Chiesa non si stanchino d’identificarsi con i sentimenti di Cristo, Buon Pastore, andando incontro a tutti con cuore misericordioso, per offrire loro la luce della sua Parola. In tal modo, il dinamismo di rinnovamento interiore porterà i vostri concittadini a ravvivare il loro amore per il Signore, fonte da cui potrebbero nascere cammini in grado d’infondere una ferma speranza per vivere in modo responsabile e gioioso la fede e irradiarla in ogni ambiente (cfr. Discorso inaugurale, n. 2).

5. Con spirito paterno, dedicate la parte migliore del vostro ministero ai presbiteri, ai diaconi e ai religiosi affidati alla vostra cura. Date loro l’attenzione di cui ha bisogno la loro vita spirituale, intellettuale e materiale, perché possano vivere in modo fedele e fecondo il proprio ministero. E se fosse necessario, non lesinate con essi l’opportuna, chiarificatrice e caritativa correzione e guida. Ma soprattutto siate per loro modello di vita e di dedizione alla missione ricevuta da Cristo. E non smettete di privilegiare la cura delle vocazioni e la formazione iniziale dei candidati agli ordini sacri o alla vita religiosa, aiutandoli a discernere l’autenticità della chiamata di Dio, affinché rispondano a essa con generosità e rettitudine d’intenzioni. A tale riguardo, sarà opportuno che, seguendo gli orientamenti del Magistero, favoriate la revisione dei contenuti e dei metodi della loro formazione, con il desiderio che questa risponda alle sfide del momento presente e ai bisogni e alle urgenze del Popolo di Dio. Allo stesso modo, è importante promuovere una corretta pastorale giovanile, per mezzo della quale le nuove generazioni percepiscano con nitidezza che Cristo le cerca e desidera offrire loro la propria amicizia (cfr. Gv 15, 13-15). Egli ha dato la sua vita affinché abbiano la vita in abbondanza, affinché il loro cuore non si faccia trascinare dalla mediocrità o da proposte che finiscono col lasciare dietro di sé il vuoto e la tristezza. Egli desidera aiutare quanti hanno il futuro dinanzi a sé a realizzare le loro più nobili aspirazioni, affinché apportino una linfa feconda alla società ed essa quindi avanzi lungo i sentieri della salvaguardia dell’ambiente, dell’ordinato progresso e della reale solidarietà.

6. Nonostante alcuni incoraggianti segni, la violenza continua a portare dolore, solitudine, morte e ingiustizia a molti fratelli in Colombia. Mentre riconosco e ringrazio per la missione pastorale che, molto spesso in luoghi pieni di difficoltà e di pericoli, si sta realizzando a favore di tante persone che soffrono ingiustamente nella vostra amata Nazione, vi incoraggio a continuare a contribuire a tutelare la vita umana e coltivare la pace, ispirandovi a tal fine all’esempio del nostro Salvatore e supplicando umilmente la sua grazia. Seminate il Vangelo e raccogliete riconciliazione, sapendo che, dove giunge Cristo, la concordia si fa strada, l’odio cede il passo al perdono e la rivalità si trasforma in fraternità.

7. Cari Fratelli nell’Episcopato, nell’assicurarvi ancora una volta della mia vicinanza e benevolenza, affido ognuno di voi alla protezione materna di Maria Santissima, nel suo titolo di Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá. Che Ella interceda per i ministri ordinati, i religiosi, le religiose, i seminaristi, i catechisti e i fedeli di ognuna delle vostre arcidiocesi e diocesi, accrescendo in tutti il desiderio di amare e di servire il suo divino Figlio. A tutti imparto di cuore un’affettuosa Benedizione Apostolica, pegno di copiosi favori celesti.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00mercoledì 12 settembre 2012 14:51
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L’UDIENZA GENERALE, 12.09.2012


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera nella seconda parte dell'Apocalisse (Ap 4,1-22,21)

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso ho parlato sulla preghiera nella prima parte dell'Apocalisse, oggi passiamo alla seconda parte del libro, e mentre nella prima parte la preghiera è orientata verso l’interno della vita ecclesiale, l'attenzione nella seconda è rivolta al mondo intero; la Chiesa, infatti, cammina nella storia, ne è parte secondo il progetto di Dio.
L’assemblea che, ascoltando il messaggio di Giovanni presentato dal lettore, ha riscoperto il proprio compito di collaborare allo sviluppo del Regno di Dio come «sacerdoti di Dio e di Cristo» (Ap 20,6; cfr 1,5; 5,10), e si apre sul mondo degli uomini. E qui emergono due modi di vivere in rapporto dialettico tra loro: il primo lo potremmo definire il «sistema di Cristo», a cui l’assemblea è felice di appartenere, e il secondo il «sistema terrestre anti-Regno e anti-alleanza messo in atto dall’influsso del Maligno», il quale, ingannando gli uomini, vuole realizzare un mondo opposto a quello voluto da Cristo e da Dio (cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e Morale. Radici bibliche dell’agire cristiano, 70). L’assemblea deve allora saper leggere in profondità la storia che sta vivendo, imparando a discernere con la fede gli avvenimenti per collaborare, con la sua azione, allo sviluppo del Regno di Dio. E questa opera di lettura e di discernimento, come pure di azione, è legata alla preghiera.
Anzitutto, dopo l’appello insistente di Cristo che, nella prima parte dell’Apocalisse, ben sette volte ha detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» (cfr Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22), l’assemblea viene invitata a salire in Cielo per guardare la realtà con gli occhi di Dio; e qui ritroviamo tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro (cfr Ap 4,1 – 5,14).

Primo simbolo è il trono, sul quale sta seduto un personaggio che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui. Questo personaggio misterioso è Dio, Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni. Vi sono vari elementi che appaiono attorno al trono di Dio, come i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi, che rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia.
Primo simbolo, quindi, il trono. Secondo simbolo è il libro, che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo. Di fronte a questa incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio, Giovanni sente una profonda tristezza che lo porta al pianto. Ma c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo.
E qui appare il terzo simbolo: Cristo, l’Agnello immolato nel Sacrificio della Croce, ma che è in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia.
Che cosa dicono questi simboli? Essi ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita. Alzando lo sguardo al Cielo di Dio, nel rapporto costante con Cristo, aprendo a Lui il nostro cuore e la nostra mente nella preghiera personale e comunitaria, noi impariamo a vedere le cose in modo nuovo e a coglierne il senso più vero. La preghiera è come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio, non solo per ricordarci la meta verso cui siamo diretti, ma anche per lasciare che la volontà di Dio illumini il nostro cammino terreno e ci aiuti a viverlo con intensità e impegno.
In che modo il Signore guida la comunità cristiana ad una lettura più profonda della storia? Anzitutto invitandola a considerare con realismo il presente che stiamo vivendo. L’Agnello apre allora i primi quattro sigilli del libro e la Chiesa vede il mondo in cui è inserita, un mondo in cui vi sono vari elementi negativi. Vi sono i mali che l’uomo compie, come la violenza, che nasce dal desiderio di possedere, di prevalere gli uni sugli altri, tanto da giungere ad uccidersi (secondo sigillo); oppure l’ingiustizia, perché gli uomini non rispettano le leggi che si sono date (terzo sigillo). A questi si aggiungono i mali che l’uomo deve subire, come la morte, la fame, la malattia (quarto sigillo). Davanti a queste realtà, spesso drammatiche, la comunità ecclesiale è invitata a non perdere mai la speranza, a credere fermamente che l’apparente onnipotenza del Maligno si scontra con la vera onnipotenza che è quella di Dio. E il primo sigillo che scioglie l’Agnello contiene proprio questo messaggio. Narra Giovanni: «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). Nella storia dell’uomo è entrata la forza di Dio, che non solo è in grado di bilanciare il male, ma addirittura di vincerlo; il colore bianco richiama la Risurrezione: Dio si è fatto così vicino da scendere nell’oscurità della morte per illuminarla con lo splendore della sua vita divina; ha preso su di sé il male del mondo per purificarlo col fuoco del suo amore.
Come crescere in questa lettura cristiana della realtà? L’Apocalisse ci dice che la preghiera alimenta in ciascuno di noi e nelle nostre comunità questa visione di luce e di profonda speranza: ci invita a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere il male con il bene, a guardare al Cristo Crocifisso e Risorto che ci associa alla sua vittoria. La Chiesa vive nella storia, non si chiude in se stessa, ma affronta con coraggio il suo cammino in mezzo a difficoltà e sofferenze, affermando con forza che il male in definitiva non vince il bene, il buio non offusca lo splendore di Dio. Questo è un punto importante per noi; come cristiani non possiamo mai essere pessimisti; sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia. Soprattutto la preghiera ci educa a vedere i segni di Dio, la sua presenza e azione, anzi ad essere noi stessi luci di bene, che diffondono speranza e indicano che la vittoria è di Dio.
Questa prospettiva porta ad elevare a Dio e all’Agnello il ringraziamento e la lode: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi cantano insieme il «cantico nuovo» che celebra l’opera di Cristo Agnello, il quale renderà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ma questo rinnovamento è anzitutto un dono da chiedere. E qui troviamo un altro elemento che deve caratterizzare la preghiera: invocare dal Signore con insistenza che il suo Regno venga, che l’uomo abbia il cuore docile alla signoria di Dio, che sia la sua volontà ad orientare la nostra vita e quella del mondo. Nella visione dell’Apocalisse questa preghiera di domanda è rappresentata da un particolare importante: «i ventiquattro anziani» e «i quattro esseri viventi» tengono in mano, insieme alla cetra che accompagna il loro canto, «delle coppe d’oro piene di incenso» (5,8a) che, come viene spiegato, «sono le preghiere dei santi» (5,8b), di coloro, cioè, che hanno già raggiunto Dio, ma anche di tutti noi che ci troviamo in cammino. E vediamo che davanti al trono di Dio, un angelo tiene in mano un turibolo d’oro in cui mette continuamente i grani di incenso, cioè nostre preghiere, il cui soave odore viene offerto insieme alle preghiere che salgono al cospetto di Dio (cfr Ap 8,1-4). E’ un simbolismo che ci dice come tutte le nostre preghiere - con tutti i limiti, la fatica, la povertà, l’aridità, le imperfezioni che possono avere - vengono quasi purificate e raggiungono il cuore di Dio. Dobbiamo essere certi, cioè, che non esistono preghiere superflue, inutili; nessuna va perduta. Ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è Amore e Misericordia infinita. L’angelo – scrive Giovanni - «prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, rumori, fulmini e scosse di terremoto» (Ap 8,5). Questa immagine significa che Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene e fa sentire la sua potenza e la sua voce sulla terra, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno. Spesso, di fronte al male si ha la sensazione di non poter fare nulla, ma è proprio la nostra preghiera la risposta prima e più efficace che possiamo dare e che rende più forte il nostro quotidiano impegno nel diffondere il bene. La potenza di Dio rende feconda la nostra debolezza (cfr Rm 8,26-27).
Vorrei concludere con qualche cenno al dialogo finale (cfr Ap 22,6-21). Gesù ripete varie volte: «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7.12). Questa affermazione non indica solo la prospettiva futura alla fine dei tempi, ma anche quella presente: Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie. L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: «Vieni» (Ap 22,17a). E’ come la «sposa» (22,17) che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. Per la terza volta ricorre l’invocazione: «Amen. Vieni, Signore Gesù» (22,20b); e il lettore conclude con un’espressione che manifesta il senso di questa presenza: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (22,21).
L’Apocalisse, pur nella complessità dei simboli, ci coinvolge in una preghiera molto ricca, per cui anche noi ascoltiamo, lodiamo, ringraziamo, contempliamo il Signore, gli chiediamo perdono. La sua struttura di grande preghiera liturgica comunitaria è anche un forte richiamo a riscoprire la carica straordinaria e trasformante che ha l’Eucaristia; in particolare vorrei invitare con forza ad essere fedeli alla Santa Messa domenicale nel Giorno del Signore, la Domenica, vero centro della settimana! La ricchezza della preghiera nell’Apocalisse ci fa pensare a un diamante, che ha una serie affascinante di sfaccettature, ma la cui preziosità risiede nella purezza dell’unico nucleo centrale. Le suggestive forme di preghiera che incontriamo nell’Apocalisse fanno brillare allora la preziosità unica e indicibile di Gesù Cristo. Grazie.

APPELLO

Chers pèlerins, dans deux jours à pareille heure, je serais en vol vers le Liban. Je me réjouis de ce Voyage apostolique. Il me permettra de rencontrer de nombreuses composantes de la société libanaise : des responsables civils et ecclésiaux, des fidèles catholiques de divers rites, et des autres chrétiens, des musulmans et des druzes de cette région. Je rends grâce au Seigneur pour cette richesse qui ne pourra continuer que si elle vit dans la paix et la réconciliation permanente. C’est pourquoi j’exhorte tous les chrétiens du Moyen-Orient, qu’ils soient de souche ou nouveaux arrivés, à être des constructeurs de paix et des acteurs de réconciliation. Demandons à Dieu de fortifier la foi des chrétiens du Liban et du Moyen-Orient, et de les remplir d’espérance. Je remercie Dieu pour leur présence et j’encourage l’ensemble de l’Église à la solidarité afin qu’ils puissent continuer à témoigner du Christ sur ces terres bénies en recherchant la communion dans l’unité. Je rends grâce à Dieu pour toutes les personnes et toutes les institutions qui, de multiples manières, les aident dans ce sens. L’histoire du Moyen-Orient nous enseigne le rôle important et souvent primordial joué par les différentes communautés chrétiennes dans le dialogue interreligieux et interculturel. Demandons à Dieu de donner à cette région du monde la paix si désirée, dans le respect des légitimes différences. Que Dieu bénisse le Liban et le Moyen-Orient ! Que Dieu vous bénisse tous !

E adesso rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i religiosi dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: auguro loro di essere sempre fedeli ai carismi dei Fondatori, e li ringrazio per il loro prezioso contributo alla nuova evangelizzazione. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali e le associazioni, in particolare la rappresentanza della Società Italiana delle Scienze Veterinarie e i soci del Distretto di Italia e San Marino del Kiwanis International.

Vorrei invitare tutti ad accompagnare con la preghiera il mio imminente viaggio apostolico in Libano, durante il quale consegnerò l’Esortazione postsinodale sul Medio Oriente. Possa questa visita incoraggiare i cristiani e favorire la pace e la fraternità in tutta quella Regione.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria del SS.mo Nome di Maria: cari giovani, imparate ad amare alla scuola della Madre di Gesù; cari ammalati, nelle sofferenze chiedete aiuto e conforto a Maria con la preghiera del Rosario; e voi, cari sposi novelli, sappiate sempre, come la Madonna, ascoltare la volontà di Dio sulla vostra famiglia.

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Paparatzifan
00venerdì 14 settembre 2012 23:30
Esortazione Apostolica postsinodale "Ecclesia in Medio Oriente

Testo integrale qui.

Paparatzifan
00mercoledì 19 settembre 2012 21:35
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 19.09.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti in Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul Suo recente Viaggio Apostolico in Libano.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Al termine il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Il viaggio apostolico in Libano

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei riandare brevemente, con il pensiero e con il cuore, alle straordinarie giornate del Viaggio apostolico che ho compiuto in Libano.
Un Viaggio che ho fortemente voluto, nonostante le circostanze difficili, considerando che un padre dev’essere sempre accanto ai suoi figli quando incontrano gravi problemi. Sono stato mosso dal vivo desiderio di annunciare la pace che il Signore risorto ha lasciato ai suoi discepoli, con le parole: «Vi dono la mia pace - سَلامي أُعطيكُم » (Gv 14,27).
Questo mio Viaggio aveva come scopo principale la firma e la consegna dell’Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente ai rappresentanti delle Comunità cattoliche del Medio Oriente, come pure alle altre Chiese e comunità ecclesiali e anche ai Capi musulmani.
È stato un evento ecclesiale commovente e, al tempo stesso, una provvida occasione di dialogo vissuta in un Paese complesso ma emblematico per tutta la regione, a motivo della sua tradizione di convivenza e di operosa collaborazione tra le diverse componenti religiose e sociali.
Di fronte alle sofferenze e ai drammi che permangono in quella zona del Medio Oriente, ho manifestato la mia sentita vicinanza alle legittime aspirazioni di quelle care popolazioni, recando loro un messaggio di incoraggiamento e di pace.
Penso in particolare al terribile conflitto che tormenta la Siria, causando, oltre a migliaia di morti, un flusso di profughi che si riversano nella regione alla ricerca disperata di sicurezza e di futuro; e non dimentico la situazione difficile dell’Irak. Durante la mia Visita, la gente del Libano e del Medio Oriente - cattolici, rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali e delle diverse comunità musulmane - ha vissuto, con entusiasmo e in un clima disteso e costruttivo, un’importante esperienza di rispetto reciproco, di comprensione e di fraternità, che costituisce un forte segno di speranza per tutta l’umanità.
Ma è soprattutto l’incontro con i fedeli cattolici del Libano e del Medio Oriente, presenti a migliaia, che ha suscitato nel mio animo un sentimento di profonda gratitudine per l’ardore della loro fede e della loro testimonianza.
Ringrazio il Signore per questo dono prezioso, che dà speranza per il futuro della Chiesa in quei territori: giovani, adulti e famiglie animati dal tenace desiderio di radicare la loro vita in Cristo, rimanere ancorati al Vangelo, camminare insieme nella Chiesa. Rinnovo la mia riconoscenza anche a quanti hanno lavorato instancabilmente per questa mia Visita: i Patriarchi e i Vescovi del Libano con i loro collaboratori, la Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, le persone consacrate, i fedeli laici, i quali sono una realtà preziosa e significativa nella società libanese.
Ho potuto constatare direttamente che le Comunità cattoliche libanesi, mediante la loro presenza bimillenaria e il loro impegno pieno di speranza, offrono un significativo e apprezzato contributo nella vita quotidiana di tutti gli abitanti del Paese.
Un pensiero grato e deferente va alle Autorità libanesi, alle istituzioni e associazioni, ai volontari e a quanti hanno offerto il sostegno della preghiera.
Non posso dimenticare la cordiale accoglienza che ho ricevuto dal Presidente della Repubblica, Signor Michel Sleiman, come anche dalle varie componenti del Paese e dalla gente: è stata un’accoglienza calorosa, secondo la celebre ospitalità libanese. I musulmani mi hanno accolto con grande rispetto e sincera considerazione; la loro costante e partecipe presenza mi ha dato modo di lanciare un messaggio di dialogo e di collaborazione tra Cristianesimo e Islam: mi sembra che sia venuto il momento di dare insieme una testimonianza sincera e decisa contro le divisioni e contro le guerre. I cattolici, venuti anche dai Paesi confinanti, hanno manifestato con fervore il loro profondo affetto al Successore di Pietro.
Dopo la bella cerimonia al mio arrivo all’aeroporto di Beirut, il primo appuntamento era di particolare solennità: la firma dell’Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente, nella Basilica Greco-Melkita di San Paolo ad Harissa.
In quella circostanza ho invitato i cattolici mediorientali a fissare lo sguardo su Cristo crocifisso per trovare la forza, anche in contesti difficili e dolorosi, di celebrare la vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta e dell’unità sulla divisione.
A tutti ho assicurato che la Chiesa universale è più che mai vicina, con l’affetto e la preghiera, alla Chiesa in Medio Oriente: esse, pur essendo un «piccolo gregge», non devono temere, nella certezza che il Signore è sempre con loro. Il Papa non li dimentica.
Nel secondo giorno del mio Viaggio apostolico ho incontrato i rappresentanti delle Istituzioni della Repubblica e del mondo della cultura, il Corpo diplomatico e i Capi religiosi.
Ad essi, tra l’altro, ho indicato una via da percorrere per favorire un futuro di pace e di solidarietà: si tratta di operare affinché le differenze culturali, sociali e religiose approdino, nel dialogo sincero, ad una nuova fraternità, dove ciò che unisce è il senso condiviso della grandezza e dignità di ogni persona, la cui vita va sempre difesa e tutelata.
Nella stessa giornata ho avuto un incontro con i Capi delle Comunità religiose musulmane, che si è svolto in uno spirito di dialogo e di benevolenza reciproca. Ringrazio Dio per questo incontro. Il mondo di oggi ha bisogno di segni chiari e forti di dialogo e di collaborazione, e di ciò il Libano è stato e deve continuare ad essere un esempio per i Paesi arabi e per il resto del mondo.
Nel pomeriggio, presso la residenza del Patriarca Maronita, sono stato accolto dall’entusiasmo incontenibile di migliaia di giovani libanesi e dei Paesi vicini, che hanno dato vita ad un festoso e orante momento, che rimarrà indimenticabile nel cuore di molti. Ho sottolineato la loro fortuna di vivere in quella parte del mondo che ha visto Gesù, morto e risorto per la nostra salvezza, e lo sviluppo del Cristianesimo, esortandoli alla fedeltà e all’amore per la loro terra, nonostante le difficoltà causate dalla mancanza di stabilità e di sicurezza.
Inoltre, li ho incoraggiati ad essere saldi nella fede, fiduciosi in Cristo, fonte della nostra gioia, e ad approfondire il rapporto personale con Lui nella preghiera, come anche ad essere aperti ai grandi ideali della vita, della famiglia, dell’amicizia e della solidarietà. Vedendo giovani cristiani e musulmani fare festa in grande armonia, li ho spronati a costruire insieme il futuro del Libano e del Medio Oriente e ad opporsi insieme alla violenza e alla guerra.
La concordia e la riconciliazione devono essere più forti delle spinte di morte.
Nella mattina della domenica, c’è stato il momento molto intenso e partecipato della Santa Messa nel City Center Waterfront di Beirut, accompagnata da suggestivi canti, che hanno caratterizzato anche le altre celebrazioni. Alla presenza di numerosi Vescovi e di una grande folla di fedeli, provenienti da ogni parte del Medio Oriente, ho voluto esortare tutti a vivere la fede e a testimoniarla senza paura, nella consapevolezza che la vocazione del cristiano e della Chiesa è quella di portare il Vangelo a tutti senza distinzione, sull’esempio di Gesù. In un contesto segnato da aspri conflitti, ho richiamato l’attenzione sulla necessità di servire la pace e la giustizia, diventando strumenti di riconciliazione e costruttori di comunione. Al termine della Celebrazione eucaristica, ho avuto la gioia di consegnare l’Esortazione apostolica che raccoglie le conclusioni dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata al Medio Oriente. Attraverso i Patriarchi e i Vescovi orientali e latini, i sacerdoti, i consacrati e i laici, questo Documento vuole raggiungere tutti i fedeli di quella cara regione, per sostenerli nella fede e nella comunione e spronarli sulla via della tanto auspicata nuova evangelizzazione.
Nel pomeriggio, presso la sede del Patriarcato Siro-cattolico, ho avuto poi la gioia di un fraterno incontro ecumenico con i Patriarchi ortodossi e ortodossi orientali e i rappresentanti di quelle Chiese, come pure delle Comunità ecclesiali.
Cari amici, i giorni trascorsi in Libano sono stati una stupenda manifestazione di fede e di intensa religiosità e un segno profetico di pace. La moltitudine di credenti, provenienti dall’intero Medio Oriente, ha avuto l’opportunità di riflettere, di dialogare e soprattutto di pregare insieme, rinnovando l’impegno di radicare la propria vita in Cristo.
Sono certo che il popolo libanese, nella sua multiforme ma ben amalgamata composizione religiosa e sociale, saprà testimoniare con nuovo slancio la vera pace, che nasce dalla fiducia in Dio. Auspico che i vari messaggi di pace e di stima che ho voluto dare, possano aiutare i governanti della Regione a compiere passi decisivi verso la pace e verso una migliore comprensione delle relazioni tra cristiani e musulmani. Da parte mia continuo ad accompagnare quelle amate popolazioni con la preghiera, affinché rimangano fedeli agli impegni assunti.
Alla materna intercessione di Maria, venerata in tanti ed antichi santuari libanesi, affido i frutti di questa Visita pastorale, come anche i propositi di bene e le giuste aspirazioni dell’intero Medio Oriente.

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Paparatzifan
00mercoledì 19 settembre 2012 23:05
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Messaggio del Papa per il centenario della «Lacrimabili statu indorum»

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al venerato Fratello
Monsignor Rubén Salazar Gómez
Arcivescovo di Bogotá
e Presidente della Conferenza Episcopale di Colombia

Mi ha allietato sapere che in Colombia quest’anno è stata prevista la celebrazione del centenario della Lettera enciclica Lacrimabili statu indorum firmata, il 7 giugno 1912, dal mio predecessore san Pio X, e ho il piacere, in questa fausta circostanza, d’inviare a lei e a tutte le Chiese particolari di quell’amata Nazione il mio cordiale saluto nel Signore.
Il suddetto documento, in continuità con la Lettera enciclica Immensa pastorum, di Papa Benedetto XIV, aveva messo in evidenza la necessità di dedicarsi con maggior cura all’evangelizzazione dei popoli indigeni e alla promozione costante della loro dignità e del loro progresso.
Il ricordo di quel magistero è un’occasione straordinaria che ci viene offerta per continuare ad approfondire la pastorale indigena e non smettere d’interpretare ogni realtà umana per impregnarla della forza del Vangelo (cfr. Paolo VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, n. 20). Di fatto la Chiesa non ritiene estranea nessuna legittima aspirazione umana e fa sue le più nobili mete di questi popoli, tante volte emarginati o non compresi, la cui dignità non è inferiore a quella di qualsiasi altra persona, poiché ogni uomo, e ogni donna, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 26-27). E Gesù Cristo, che mostrò sempre la sua predilezione per le persone povere e abbandonate, ci dice che tutto ciò che facciamo, o smettiamo di fare, «a uno solo di questi miei fratelli più piccoli», lo facciamo a lui (cfr. Mt 25, 40). Quindi, nessuno che si gloria del nome di cristiano può disinteressarsi del suo prossimo o sminuirlo per motivi di lingua, razza o cultura. In tal senso, lo stesso apostolo Paolo ci offre l’opportuna luce dicendo: «noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi» (1 Cor 12, 13).
Con vivi sentimenti di vicinanza a quei popoli, mi unisco di buon grado a quanti, incoraggiati dai messaggi dei miei predecessori sulla Cattedra di San Pietro, stanno portando avanti una benemerita opera a loro favore, vedono con gioia le grazie che ogni giorno condividono con essi e s’impegnano con coraggio a continuare ad accompagnarli al fine di costruire un futuro luminoso e promettente per tutti.
In questa opera ci servono da modello l’audacia apostolica di vescovi insigni come Toribio de Mogrovejo o Ezequiel Moreno, la carità impeccabile di religiosi come Roque González de Santa Cruz o Laura Montoya, e la semplicità e l’umiltà di laici tanto esemplari come Ceferino Namuncurá o Juan Diego Cuauhtlatoatzin. Non possiamo neppure dimenticare le numerose congregazioni e gli istituti di vita religiosa che nacquero nel continente americano per affrontare le sfide di quella missione. E come non ricordare in questo stesso contesto l’illustre testimonianza e le significative opere apostoliche intraprese da tanti uomini e donne che, con grande spirito di comunione e di collaborazione ecclesiale, si dedicarono strenuamente a portare a quelle genti il nome di Gesù Cristo, valorizzando ciò che le caratterizzava, affinché nel Vangelo scoprissero la vita in pienezza alla quale avevano sempre aspirato.
Desidero esortare tutti a considerare questa ricorrenza come un momento propizio per dare un nuovo impulso alla proclamazione del Vangelo tra questi nostri amati fratelli, accrescendo lo spirito di mutua comprensione, di servizio solidale e di rispetto reciproco. Aprendosi a Cristo, non subiscono alcun danno nelle loro virtù e qualità naturali; anzi l’opera redentrice li rinvigorisce, li purifica e li rafforza. Nel suo divino Cuore potranno trovare una fonte viva di speranza, forza per affrontare con tenacia le sfide che hanno di fronte, consolazione nelle loro difficoltà e ispirazione per scoprire i cammini di superamento e di elevazione che sono chiamati a percorrere. Annunciando loro il messaggio salvifico, la Chiesa segue il mandato del suo Fondatore, e su di Lui si fonda per assecondare i genuini aneliti di questi popoli, spesso frenati dalla frequente mancanza di rispetto verso le loro usanze, come pure da scenari di migrazione forzata, dalla violenza iniqua o dai seri ostacoli nella difesa delle loro riserve naturali.
Con profondo amore verso tutti, e in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa, invito ad ascoltare senza pregiudizi la voce di questi nostri fratelli, a favorire una vera conoscenza della loro storia e del loro modo di essere, come pure a potenziare la loro partecipazione a tutti gli ambiti della società e della Chiesa. L’attuale congiuntura è provvidenziale affinché, con rettitudine d’intenzioni e configurati a Gesù Cristo, la via, la verità e la vita per tutto il genere umano, cresca tra i pastori e i fedeli il desiderio di salvaguardare la dignità e i diritti dei popoli indigeni e questi ultimi, a loro volta, siano più disposti ad adempiere ai loro doveri, in armonia con le loro tradizioni ancestrali.
Supplico l’Onnipotente affinché, prima di tutto, venga tutelato il carattere sacro della loro vita. Che per nessun motivo si limiti la loro esistenza, poiché Dio non vuole la morte di nessuno e ci ordina di amarci come fratelli. Che le loro terre siano adeguatamente protette. Che nessuno, per nessun motivo, strumentalizzi e manipoli questi popoli e che questi ultimi non si lascino trascinare da ideologie che li attanagliano pericolosamente.
Come pegno di copiosi doni celesti, mentre invoco la potente intercessione di Maria Santissima, Madre del Creatore e nostra Madre, su tutti i partecipanti alle diverse iniziative previste per commemorare il centenario della Lettera enciclica Lacrimabili statu indorum, imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica, che aiuti i popoli indigeni a sentire sempre più la Chiesa come la propria casa, per maturare in tutto ciò che li nobilita dal punto di vista morale e religioso, e come focolare di comunione per vivere autenticamente e uniti a Cristo la loro condizione di figli di Dio.

Dal Vaticano, 15 giugno 2012

Benedetto XVI

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Paparatzifan
00giovedì 20 settembre 2012 21:57
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TELEGRAMMA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL RABBINO CAPO DI ROMA NELLA RICORRENZA DI ROSH HA-SHANAH, DI YOM KIPPUR E DI SUKKOT , 20.09.2012

Pubblichiamo di seguito il telegramma che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Rabbino Capo di Roma, Dott. Riccardo Di Segni, nella ricorrenza di Rosh Ha-Shanah 5773, di Yom Kippur e di Sukkot:

TELEGRAMMA DEL SANTO PADRE
ILLUSTRISSIMO DOTT. RICCARDO DI SEGNI
RABBINO CAPO DI ROMA
COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA - TEMPIO MAGGIORE
LUNGOTEVERE CENCI - 00186 ROMA

IN OCCASIONE DELLE FESTOSE RICCORENZE DI ROSH HA-SHANAH 5773 E YOM KIPPUR E SUKKOT, RIVOLGO UN SENTITO AUGURIO DI PACE E DI BENE A LEI E ALL’INTERA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA, INVOCANDO DALL’ALTISSIMO COPIOSE BENEDIZIONI PER IL NUOVO ANNO E AUSPICANDO CHE EBREI E CRISTIANI, CRESCENDO NELLA STIMA E NELL’AMICIZIA RECIPROCA, POSSANO TESTIMONIARE NEL MONDO I VALORI CHE SCATURISCONO DALL’ADORAZIONE DEL DIO UNICO.

BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00giovedì 20 settembre 2012 22:00
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UDIENZA AI VESCOVI DI RECENTE NOMINA PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLE CONGREGAZIONI PER I VESCOVI E PER LE CHIESE ORIENTALI, 20.09.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Vescovi di recente nomina partecipanti al Convegno promosso dalle Congregazioni per i Vescovi e per le Chiese Orientali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell'episcopato,

Il pellegrinaggio alla Tomba di san Pietro, che avete compiuto in questi giorni di riflessione sul ministero episcopale, assume quest'anno particolare rilievo.
Siamo infatti alla vigilia dell'Anno della fede, del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e della tredicesima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema: «Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Questi eventi, ai quali si deve aggiungere il ventennale del Catechismo della Chiesa Cattolica, sono occasione per rafforzare la fede, di cui, cari Confratelli, voi siete maestri ed araldi (cfr Lumen gentium, 25).
Vi saluto ad uno ad uno, ed esprimo viva riconoscenza al Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche per le parole che mi ha rivolto, e al Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il ritrovarvi insieme a Roma, all'inizio del vostro servizio episcopale, è un momento propizio per fare esperienza concreta della comunicazione e della comunione tra di voi, e, nell'incontro con il Successore di Pietro, alimentare il senso di responsabilità per tutta la Chiesa. In quanto membri del collegio episcopale, infatti, dovete sempre avere una speciale sollecitudine per la Chiesa universale, in primo luogo promuovendo e difendendo l'unità della fede. Gesù Cristo ha voluto affidare la missione dell'annuncio del Vangelo anzitutto al corpo dei Pastori, che devono collaborare tra loro e con il Successore di Pietro (cfr ibid., 23), affinché esso raggiunga tutti gli uomini. Ciò è particolarmente urgente nel nostro tempo, che vi chiama ad essere audaci nell'invitare gli uomini di ogni condizione all'incontro con Cristo e a rendere più solida la fede (cfr Christus Dominus, 12).
Vostra preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo siete chiamati a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle vostre diocesi. L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).
Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962).
Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.
Questa eredità è stata affidata anche alla vostra cura pastorale. Attingete da questo patrimonio di dottrina, di spiritualità e di santità per formare nella fede i vostri fedeli, affinché la loro testimonianza sia più credibile. Allo stesso tempo, il vostro servizio episcopale vi chiede di «rendere ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15) a quanti sono alla ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium et spes, 22).
Vi incoraggio, perciò, ad impegnarvi affinché a tutti, secondo le diverse età e condizioni di vita, siano presentati i contenuti essenziali della fede, in forma sistematica ed organica, per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro mondo tecnologico e globalizzato. Sono sempre attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20).
A questo scopo è fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione!
La fede chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 15).
Il Vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore, quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il vostro personale impegno di santità vi veda assimilare ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirvi dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la linfa vitale per il ministero.
La carità vi spinga ad essere vicini ai vostri sacerdoti, con quell'amore paterno che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i vostri primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon Pastore vi farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro che hanno perduto il senso della vita. Siate particolarmente vicini alle famiglie: ai genitori, aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo. Abbiate speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente, affinché le comunità possano avere Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.
Cari Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2 Tm 2,22-25). Ricordando, a me e a voi, queste parole, imparto di cuore a ciascuno la Benedizione Apostolica, perché le Chiese a voi affidate, spinte dal vento dello Spirito Santo, crescano nella fede e la annuncino sui sentieri della storia con nuovo ardore.

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Paparatzifan
00venerdì 21 settembre 2012 21:04
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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (1° GRUPPO), 21.09.2012

Alle ore 12.15 di oggi, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (1° gruppo: province ecclesiastiche di Rouen, Rennes, Poitiers, Tours e Bordeaux), che sta ricevendo in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti, dopo l’indirizzo di omaggio del Card. Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

Grazie, Eminenza, per le sue parole. È la prima volta che ci ritroviamo insieme dalla mia visita apostolica del 2008 nel vostro bel Paese, caro al mio cuore.
Avevo allora tenuto a sottolineare le radici cristiane della Francia che, fin dalle origini, ha accolto il messaggio del Vangelo. Questa antica eredità costituisce un basamento solido sul quale potete fondare i vostri sforzi per continuare instancabilmente ad annunciare la Parola di Dio, nello spirito che anima la nuova evangelizzazione, tema della prossima Assemblea sinodale. La Francia possiede una lunga tradizione spirituale e missionaria, al punto da poter essere definita dal beato Giovanni Paolo II «educatrice dei popoli» (Omelia, Le Bourget, 30 giugno 1980).
Le sfide di una società largamente secolarizza invitano ora a ricercare con coraggio e ottimismo, una risposta proponendo con audacia e inventiva la novità permanente del Vangelo. È in questa prospettiva, per spronare i fedeli del mondo intero, che ho proposto l'Anno della Fede, segnando in tal modo il cinquantesimo anniversario dell'apertura dei lavori del Concilio Vaticano II: «L'Anno della fede è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Porta fidei, n. 6).
La figura del Buon Pastore che conosce le sue pecore, parte alla ricerca di quella che si è persa, e le ama fino a dare la propria vita per loro, è una delle più suggestive del Vangelo (cfr. Gv 10). Si applica in primo luogo ai Vescovi nella loro sollecitudine per tutti i fedeli cristiani, ma anche ai sacerdoti, loro cooperatori. Il sovraccarico di lavoro che grava sui vostri sacerdoti crea un obbligo maggiore di vegliare sul «loro benessere materiale e soprattutto spirituale» (Presbyterorum ordinis, n. 7), poiché voi avete ricevuto la responsabilità della santità dei vostri sacerdoti, sapendo bene che, come vi ho detto a Lourdes «la loro vita spirituale è il fondamento della loro vita apostolica» e, di conseguenza, garante della fecondità di tutto il loro ministero. Il vescovo diocesano è dunque chiamato a manifestare una sollecitudine particolare verso i suoi sacerdoti (cfr. cic, can. 384), e più in particolare verso quanti hanno ricevuto l'ordinazione di recente e quanti sono nel bisogno o anziani. Non posso non incoraggiare i vostri sforzi per accoglierli senza mai stancarvi, per agire verso di loro con un cuore di padre e di madre e considerarli «come figli e amici» (Lumen gentium, n. 28). Vi starà a cuore mettere a loro disposizione i mezzi di cui hanno bisogno per alimentare la loro vita spirituale e intellettuale e per trovare anche il sostegno della vita fraterna. Apprezzo le iniziative che avete preso in tal senso e che si presentano come un prolungamento dell'Anno sacerdotale, posto sotto il patrocinio del santo Curato d'Ars. È stata un'eccellente occasione per contribuire a sviluppare questo aspetto spirituale della vita del sacerdote. Proseguire in tale direzione non può che recare grande beneficio alla santità dell'intero Popolo di Dio. Ai nostri giorni, indubbiamente, gli operai del Vangelo sono pochi. È dunque urgente chiedere al Padre d'inviare operai per la sua messe (cfr. Lc 10, 2). Occorre pregare e far pregare a tal fine e v'incoraggio a seguire con maggiore attenzione la formazione dei seminaristi.
Voi volete che i gruppi parrocchiali che vi trovate a organizzare consentano una migliore qualità delle celebrazioni e una ricca esperienza comunitaria, facendo al contempo appello a una nuova valorizzazione della domenica. L'avete evidenziato nella vostra nota sui «laici in missione ecclesiale in Francia». Io stesso ho avuto l'opportunità di sottolineare in diverse occasioni questo punto essenziale per ogni battezzato. Tuttavia, la soluzione dei problemi pastorali diocesani che si presentano non dovrebbe limitarsi a questioni organizzative, per quanto importanti esse siano. Si rischia di porre l'accento sulla ricerca dell'efficacia con una sorta di «burocratizzazione della pastorale», concentrandosi sulle strutture, sull'organizzazione e sui programmi, che possono diventare «autoreferenziali», a uso esclusivo dei membri di quelle strutture. Queste ultime avrebbero allora scarso impatto sulla vita dei cristiani allontanatisi dalla pratica regolare. L'evangelizzazione richiede, invece, di partire dall'incontro con il Signore, in un dialogo stabilito nella preghiera, poi di concentrarsi sulla testimonianza da dare al fine di aiutare i nostro contemporanei a riconoscere e a riscoprire i segni della presenza di Dio. So anche che un po' ovunque nel vostro Paese vengono proposti ai fedeli tempi di adorazione. Me ne rallegro profondamente e v'incoraggio a fare di Cristo presente nell'Eucaristia la fonte e il culmine della vita cristiana (cfr. Lumen gentium, n. 11). È dunque necessario che nella riorganizzazione pastorale sia sempre confermata la funzione del sacerdote che «in quanto strettamente vincolata all'ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo» (Presbyterorum ordinis, n. 2).
Rendo omaggio alla generosità dei laici chiamati a partecipare a uffici e a incarichi nella Chiesa (cfr. cic, can. 228 § 1), dando così prova di una disponibilità per la quale quest'ultima è profondamente riconoscente. È però opportuno, d'altra parte, ricordare che il compito specifico dei fedeli laici è l'animazione cristiana delle realtà temporali all'interno delle quali agiscono di propria iniziativa e in modo autonomo, alla luce della fede e dell'insegnamento della Chiesa (cfr. Gaudium et spes, n. 43). È dunque necessario vegliare sul rispetto della differenza esistente tra il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale di quanti sono stati ordinati al servizio della comunità, differenza non solo di grado ma anche di natura (cfr. Lumen gentium, n. 10). D'altro canto occorre restare fedeli al deposito integrale della fede così come è insegnata dal Magistero autentico e professata da tutta la Chiesa. In effetti, «la stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede» (Porta fidei, n. 10). Tale professione di fede trova nella liturgia la sua espressione più alta. È importante che questa collaborazione si situi sempre nel quadro della comunione ecclesiale attorno al Vescovo, che ne è il garante, comunione per la quale la Chiesa si manifesta come una, santa, cattolica e apostolica.
Quest'anno celebrate il sesto centenario della nascita di Giovanna d'Arco. A tale proposito ho sottolineato che «uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica. Dopo gli anni di vita nascosta e di maturazione interiore segue il biennio breve, ma intenso, della sua vita pubblica: un anno di azione e un anno di passione» (Udienza generale, 26 gennaio 2011). Avete in lei un modello di santità laica al servizio del bene comune.
Vorrei inoltre sottolineare l'interdipendenza esistente tra «il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società» (Gaudium et spes, n. 25), dal momento che la famiglia «è il fondamento della società» (Ibidem, n. 52). Quest'ultima è minacciata in molti luoghi, come conseguenza di una concezione della natura umana che si dimostra manchevole. Difendere la vita e la famiglia nella società non è assolutamente un atto retrogrado, ma piuttosto profetico, poiché significa promuovere valori che permettono il pieno sviluppo della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 26). Abbiamo qui di fronte una vera sfida da raccogliere. In effetti, «grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale» (Sacramentum caritatis, n. 29).
D'altro canto, al Vescovo diocesano spetta il dovere di «difendere l'unità della Chiesa universale» (cic, can. 392 § 1), nella porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata, anche se al suo interno si esprimono legittimamente sensibilità diverse che meritano di essere oggetto di un'eguale sollecitudine pastorale. Le attese particolari delle nuove generazioni esigono che venga proposta loro una catechesi adeguata, affinché trovino il proprio posto nella comunità dei credenti. Mi ha fatto piacere di aver incontrato un numero considerevole di giovani francesi nella Giornata mondiale della gioventù a Madrid, con molti loro pastori, segno di un nuovo dinamismo della fede, che apre la porta alla speranza. Vi incoraggio a continuare nel vostro impegno tanto promettente, nonostante le difficoltà.
Per finire, vorrei ancora una volta rivolgere il mio incoraggiamento per l'iniziativa Diaconia 2013, mediante la quale volete esortare le vostre comunità diocesane e locali, e anche ogni fedele, a rimettere al centro del dinamismo ecclesiale il servizio al fratello, in particolare a quello più fragile. Che il servizio al fratello, radicato nell'amore di Dio, susciti in tutti voi diocesani la preoccupazione di contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, a fare dell'umanità, in Cristo, un'unica famiglia, fraterna e solidale!
Cari Fratelli nell'Episcopato, conosco il vostro amore e il vostro servizio alla Chiesa, e rendo grazie a Dio per gli sforzi che realizzate ogni giorno per annunciare e rendere efficace nelle vostre comunità la Parola di vita del Vangelo. Che, per intercessione della Beata Vergine Maria, patrona del vostro caro Paese, e quella delle sante co-patrone Giovanna d'Arco e Teresa di Lisieux, Dio vi benedica e benedica la Francia!

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00sabato 22 settembre 2012 19:20
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’INTERNAZIONALE DEMOCRATICO-CRISTIANA, 22.09.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Incontro promosso dall’Internazionale Democratico-Cristiana.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Presidente,
onorevoli Parlamentari,
distinti Signore e Signori!

Sono lieto di ricevervi durante i lavori del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Democratico-Cristiana, e desidero, anzitutto, rivolgere un cordiale saluto alle numerose Delegazioni, provenienti da tante nazioni del mondo. Saluto in particolare il Presidente, On. Pier Ferdinando Casini, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. È trascorso un lustro dal nostro precedente incontro ed in questo tempo l’impegno dei cristiani nella società non ha cessato di essere vivace fermento per un miglioramento delle relazioni umane e delle condizioni di vita. Questo impegno non deve conoscere flessioni o ripiegamenti, ma al contrario va profuso con rinnovata vitalità, in considerazione del persistere e, per alcuni versi, dell’aggravarsi delle problematiche che abbiamo dinanzi.
Un rilievo crescente assume l’attuale situazione economica, la cui complessità e gravità giustamente preoccupa, ma dinanzi alla quale il cristiano è chiamato ad agire e ad esprimersi con spirito profetico, capace cioè di cogliere nelle trasformazioni in atto l’incessante quanto misteriosa presenza di Dio nella storia, assumendo così con realismo, fiducia e speranza le nuove emergenti responsabilità. «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, diventando così occasione di discernimento e di nuova progettualità» (Enc. Caritas in veritate, 21).
E’ in questa chiave, fiduciosa e non rassegnata, che l’impegno civile e politico può ricevere nuovo stimolo ed impulso nella ricerca di un solido fondamento etico, la cui assenza in campo economico ha contribuito a creare l’attuale crisi finanziaria globale (Discorso alla Westminster Hall, Londra, 17 settembre 2010). Il contributo politico ed istituzionale di cui voi siete portatori non potrà quindi limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato, ma dovrà continuare ad assumere come centrale ed imprescindibile la ricerca del bene comune, rettamente inteso, come pure la promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana. Oggi risuona quanto mai attuale l’insegnamento conciliare secondo cui «nell’ordinare le cose ci si deve adeguare all’ordine delle persone e non il contrario» (Gaudium et spes, 26). Un ordine, questo della persona, che «ha come fondamento la verità, si edifica nella giustizia» ed «è vivificato dall’amore» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1912) ed il cui discernimento non può procedere senza una costante attenzione alla Parola di Dio ed al Magistero della Chiesa, particolarmente da parte di coloro che, come voi, ispirano la propria attività ai principi ed ai valori cristiani.
Sono purtroppo molte e rumorose le offerte di risposte sbrigative, superficiali e di breve respiro ai bisogni più fondamentali e profondi della persona. Ciò fa considerare tristemente attuale il monito dell’Apostolo, quando mette in guardia il discepolo Timoteo dal giorno «in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole» (2 Tm 4,3).
Gli ambiti nei quali si esercita questo decisivo discernimento sono proprio quelli concernenti gli interessi più vitali e delicati della persona, lì dove hanno luogo le scelte fondamentali inerenti il senso della vita e la ricerca della felicità. Tali ambiti peraltro non sono separati, ma profondamente collegati, sussistendo tra di essi un evidente continuum costituito dal rispetto della dignità trascendente della persona umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1929), radicata nel suo essere immagine del Creatore e fine ultimo di ogni giustizia sociale autenticamente umana.
Il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale - con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica - è un impegno che si intreccia infatti con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare.
E’ nella famiglia, «fondata sul matrimonio e aperta alla vita» (Discorso alle Autorità, Milano, 2 giugno 2012), che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e l’amore gratuito, ricevendo al tempo stesso – dal bambino al malato, all’anziano – la solidarietà che gli occorre. Ed è ancora la famiglia a costituire il principale e più incisivo luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per aiutarli a trarre fuori («e-ducere») il meglio di sé. La famiglia, cellula originaria della società, è pertanto radice che alimenta non solo la singola persona, ma anche le stesse basi della convivenza sociale. Correttamente quindi il Beato Giovanni Paolo II aveva incluso tra i diritti umani il «diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità» (Enc. Centesimus annus, 44).
Un autentico progresso della società umana non potrà dunque prescindere da politiche di tutela e promozione del matrimonio e della comunità che ne deriva, politiche che spetterà non solo agli Stati ma alla stessa Comunità internazionale adottare, al fine di invertire la tendenza di un crescente isolamento dell’individuo, fonte di sofferenza e di inaridimento sia per il singolo sia per la stessa comunità.
Onorevoli Signore e Signori, se è vero che della difesa e della promozione della dignità della persona umana «sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1929), è altrettanto vero che tale responsabilità concerne in modo particolare quanti sono chiamati a ricoprire un ruolo di rappresentanza. Essi, specialmente se animati dalla fede, devono essere «capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et Spes, 31). Utilmente risuona in questo senso il monito del libro della Sapienza, secondo cui «il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto» (Sap 6,5); monito dato però non per spaventare, ma per spronare e incoraggiare i governanti, ad ogni livello, a realizzare tutte le possibilità di bene di cui sono capaci, secondo la misura e la missione che il Signore affida a ciascuno.
Auguro quindi ad ognuno di voi di proseguire con entusiasmo e decisione nell’impegno personale e pubblico, e assicuro il ricordo nella preghiera affinché Dio benedica voi e i vostri familiari.

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Paparatzifan
00domenica 23 settembre 2012 20:44
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 23.09.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nel nostro cammino con il Vangelo di san Marco, domenica scorsa siamo entrati nella seconda parte, cioè l’ultimo viaggio verso Gerusalemme e verso il culmine della missione di Gesù. Dopo che Pietro, a nome dei discepoli, ha professato la fede in Lui riconoscendolo come il Messia (cfr Mc 8,29), Gesù incomincia a parlare apertamente di ciò che gli accadrà alla fine.
L’Evangelista riporta tre successive predizioni della morte e risurrezione, ai capitoli 8, 9 e 10: in esse Gesù annuncia in modo sempre più chiaro il destino che l’attende e la sua intrinseca necessità. Il brano di questa domenica contiene il secondo di questi annunci. Gesù dice: «Il Figlio dell’uomo – espressione con cui designa se stesso – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» (Mc 9,31). I discepoli «però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (v. 32).
In effetti, leggendo questa parte del racconto di Marco, appare evidente che tra Gesù e i discepoli c’era una profonda distanza interiore; si trovano, per così dire, su due diverse lunghezze d’onda, così che i discorsi del Maestro non vengono compresi, o lo sono soltanto superficialmente. L’apostolo Pietro, subito dopo aver manifestato la sua fede in Gesù, si permette di rimproverarlo perché ha predetto che dovrà essere rifiutato e ucciso.
Dopo il secondo annuncio della passione, i discepoli si mettono a discutere su chi tra loro sia il più grande (cfr Mc 9,34); e, dopo il terzo, Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di poter sedere alla sua destra e alla sua sinistra, quando sarà nella gloria (cfr Mc 10,35-40). Ma ci sono diversi altri segni di questa distanza: ad esempio, i discepoli non riescono a guarire un ragazzo epilettico, che poi Gesù guarisce con la forza della preghiera (cfr Mc 9,14-29); o quando vengono presentati a Gesù dei bambini, i discepoli li rimproverano, e Gesù invece, indignato, li fa rimanere, e afferma che solo chi è come loro può entrare nel Regno di Dio (cfr Mc 10,13-16).
Che cosa ci dice tutto questo? Ci ricorda che la logica di Dio è sempre «altra» rispetto alla nostra, come rivelò Dio stesso per bocca del profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, / le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8).
Per questo, seguire il Signore richiede sempre all’uomo una profonda con-versione - da noi tutti -, un cambiamento nel modo di pensare e di vivere, richiede di aprire il cuore all’ascolto per lasciarsi illuminare e trasformare interiormente.
Un punto-chiave in cui Dio e l’uomo si differenziano è l’orgoglio: in Dio non c’è orgoglio, perché Egli è tutta la pienezza ed è tutto proteso ad amare e donare vita; in noi uomini, invece, l’orgoglio è intimamente radicato e richiede costante vigilanza e purificazione. Noi, che siamo piccoli, aspiriamo ad apparire grandi, ad essere i primi, mentre Dio, che è realmente grande, non teme di abbassarsi e di farsi ultimo.
E la Vergine Maria è perfettamente «sintonizzata» con Dio: invochiamola con fiducia, affinché ci insegni a seguire fedelmente Gesù sulla via dell’amore e dell’umiltà.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, nella città francese di Troyes, è stato proclamato Beato il sacerdote Louis Brisson, vissuto nel secolo XIX, fondatore delle Oblate e degli Oblati di San Francesco di Sales. Mi unisco con gioia al rendimento di grazie della comunità diocesana di Troyes e di tutti i figli e le figlie spirituali del nuovo Beato.

Chers pèlerins francophones, je vous remercie de tout cœur pour votre prière qui a accompagné la belle réussite du Voyage apostolique au Liban, et par extension à l’ensemble du Moyen Orient. Continuez à prier pour les chrétiens moyen-orientaux, pour la paix et pour le dialogue serein entre les religions. Hier, je me suis uni spirituellement à la joie des fidèles du diocèse de Troyes rassemblés pour la béatification du Père Louis Brisson, fondateur des Sœurs Oblates et des Oblats de saint François de Sales. Puisse l’exemple du nouveau Bienheureux éclairer votre vie ! Il disait : « J’ai besoin de Dieu, c’est une faim qui me dévore ». Comme lui, apprenez à avoir faim de Dieu et à recourir sans cesse à lui avec confiance. Bon dimanche à vous tous!

I greet all the English-speaking visitors present at today’s Angelus prayer. In the Gospel today, our Lord reveals to his disciples that he will be delivered unto death and rise again for our salvation. As we reflect on the call to be «last of all and servants of all», may Christ’s supreme act of love on Calvary always be our true measure of greatness. God bless you and your loved ones!

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium hören wir, wie Jesus die Jünger über etwas belehrt. Er kündigt ihnen unerwartet und unverständlich sein Leiden und seinen Sühnetod an und spricht aber auch von seiner Auferstehung. Die Jünger begreifen den Sinn dieser Worte nicht, sagt der Evangelist (vgl. Mk 9,31f.), und auch uns geht es so. Wir müssen immer wieder das Geheimnis Christi, das Geheimnis des Kreuzes zu verstehen versuchen. Wer dem Herrn sein Herz öffnet und sich vom Erlösungswerk Christi beschenken läßt, für den sind Leid, Krankheit und Tod nicht mehr das Ende. Er weiß sich mit Christus verbunden, und wer dem Herrn gehört, hat Anteil an der Auferstehung und am ewigen Leben irgendwie schon in dieser Welt. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. El Evangelio de hoy nos habla de una actitud central del cristiano, que debe aprender constantemente de Cristo: no ambicionar el poder y la importancia humana, sino ponerse al servicio de los demás. El poder de Dios se manifiesta precisamente en la humildad, en dejarle a Él como único Omnipotente. Que la humilde Virgen María, que mañana celebramos con el título La Merced, se apiade de nosotros y nos ayude en el camino hacia Cristo, verdadero portador de la paz y la alegría en el corazón de los hombres. Feliz domingo.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dziś w Ewangelii Jezus poświęca szczególną uwagę dziecku. Mówi: „Kto przyjmuje jedno z tych dzieci w imię moje, Mnie przyjmuje". Prośmy Boga, aby te słowa inspirowały wszystkich, którzy są odpowiedzialni za dar życia, za godne warunki egzystencji i edukacji, za bezpieczeństwo i szczęśliwe wzrastanie dzieci. Oby każdy młody człowiek mógł cieszyć się miłością i rodzinnym ciepłem! Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Nel Vangelo di oggi Gesù presta una speciale attenzione ai bambini. Dice: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me». Chiediamo a Dio che queste parole ispirino tutti coloro che sono responsabili del dono della vita, delle degne condizioni di esistenza e di educazione, della sicura e serena crescita dei bambini. Ogni bambino possa godere dell’amore e del calore familiare! Dio vi benedica!]

Sono lieto di accogliere, da vari Paesi, le Suore del Collegio Missionario «Mater Ecclesiae» di Castel Gandolfo, alle quali auguro un sereno e fruttuoso anno di formazione e di vita comunitaria.

Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai soci della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti. Cari amici, esprimo apprezzamento per il vostro impegno in favore della salvaguardia del creato e vi ringrazio per i doni. Saluto i fedeli della parrocchia di Sant’Agostino in Bisceglie, nel centenario della sua istituzione; e la sezione di Perugia dell’Associazione Maestri Cattolici.

A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie!

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Paparatzifan
00mercoledì 26 settembre 2012 21:28
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L’UDIENZA GENERALE, 26.09.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sulla Liturgia.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La Liturgia, scuola di preghiera: il Signore stesso ci insegna a pregare

Cari fratelli e sorelle,

in questi mesi abbiamo compiuto un cammino alla luce della Parola di Dio, per imparare a pregare in modo sempre più autentico guardando ad alcune grandi figure dell’Antico Testamento, ai Salmi, alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse, ma soprattutto guardando all’esperienza unica e fondamentale di Gesù, nel suo rapporto con il Padre celeste.
In realtà, solo in Cristo l’uomo è reso capace di unirsi a Dio con la profondità e la intimità di un figlio nei confronti di un padre che lo ama, solo in Lui noi possiamo rivolgerci in tutta verità a Dio chiamandolo con affetto “Abbà! Padre!”. Come gli Apostoli, anche noi abbiamo ripetuto in queste settimane e ripetiamo a Gesù oggi: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).
Inoltre, per apprendere a vivere ancora più intensamente la relazione personale con Dio abbiamo imparato a invocare lo Spirito Santo, primo dono del Risorto ai credenti, perché è Lui che «viene in aiuto alla nostra debolezza: da noi non sappiamo come pregare in modo conveniente» (Rm 8,26), dice san Paolo, e noi sappiamo come abbia ragione.
A questo punto, dopo una lunga serie di catechesi sulla preghiera nella Scrittura, possiamo domandarci: come posso io lasciarmi formare dallo Spirito Santo e così divenire capace di entrare nell'atmosfera di Dio, di pregare con Dio? Qual è questa scuola nella quale Egli mi insegna a pregare, viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo giusto a Dio?
La prima scuola per la preghiera - lo abbiamo visto in queste settimane - è la Parola di Dio, la Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è un permanente dialogo tra Dio e l'uomo, un dialogo progressivo nel quale Dio si mostra sempre più vicino, nel quale possiamo conoscere sempre meglio il suo volto, la sua voce, il suo essere; e l'uomo impara ad accettare di conoscere Dio, a parlare con Dio. Quindi, in queste settimane, leggendo la Sacra Scrittura, abbiamo cercato, dalla Scrittura, da questo dialogo permanente, di imparare come possiamo entrare in contatto con Dio.
C’è ancora un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella preghiera, una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta.
Che cos’è la liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso, direi indispensabile – possiamo leggere che originariamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene.
Il Catechismo indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio.
Questo ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio.
Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare.
Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera.
Però possiamo chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio.
Facciamo un altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)» (Vicesimus quintus annus, n. 7).
Sulla stessa linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153).
Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua «Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci, « la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente.
Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l'inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all'interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio.
In questa linea, vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione.
Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale.
Quando viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum.
Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre. Dio stesso ci insegna a pregare, afferma san Paolo (cfr Rm 8,26). Egli stesso ci ha dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che incontriamo nel Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più consapevoli del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera che sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2564). Grazie.

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Paparatzifan
00giovedì 27 settembre 2012 20:49
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OPERA AUGUSTINUS- UN MOSAICO DI SUONI IN ONORE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI OFFERTA DALLA DIOCESI DI WÜRZBURG, 26.09.2012

Alle ore 17.30, nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, ha avuto luogo l’Opera Augustinus - un mosaico di suoni offerta dalla diocesi di Würzburg in onore del Santo Padre Benedetto XVI. Autore del libretto il Prof. Winfried Böhm di Würzburg, musiche del compositore Wilfried Hiller di Monaco.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Signori Cardinali,
Cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Caro Monsignor Hofmann, caro Monsignor Scheele,
Illustri musicisti,
Cari ospiti provenienti da Würzburg e dalla Franconia!
Gentili Signore e Signori!

L’esecuzione di un’opera su sant’Agostino qui a Castel Gandolfo è sicuramente un evento unico. Ringrazio di cuore tutti coloro che questa sera hanno reso possibile questo evento. Il mio ringraziamento particolare va a Lei, caro Mons. Hofmann, all’Augustinus-Institut e alla Diocesi di Würzburg, per il dono che mi avete fatto di questo concerto nell’ambito del Simposio Internazionale su Agostino che si svolge all’Augustinianum di Roma. Ringrazio soprattutto gli artisti – il Maestro di Cappella Prof. Martin Berger, i solisti, il Coro da Camera del Duomo di Würzburg e tutti i musicisti – per l’esecuzione magistrale. A tutti voi, di cuore un "Vergelt’s Gott" [Dio ve ne renda merito].
Il titolo di quest’opera su Agostino la definisce "un mosaico in suoni". In sette immagini musicali, a loro volta composte da diverse voci, canti e melodie, si è dipinto, in modo impressionante, un ritratto di Sant’Agostino in suoni. È un mosaico. Alcune pietre rifulgono, a seconda di come cade la luce e del punto di osservazione, ma solo nell’insieme si schiude l’immagine. Questo mosaico rappresenta la grandezza e la complessità dell’uomo e del teologo Agostino che si sottrae ad una classificazione e ad una sistematizzazione tendenti ad evidenziarne troppo solo singoli aspetti. Così questa composizione ci dice che, se veramente vogliamo conoscere Agostino, non dobbiamo mai perdere di vista, mentre ci occupiamo del particolare, l’insieme del suo pensiero, della sua opera e della sua persona.
L’attualità del grande Padre latino della Chiesa è ininterrotta. Anche questo ci ha dimostrato, ancora una volta, l’opera su Agostino [che abbiamo ascoltato]. Le sette immagini ci hanno fatto conoscere il Vescovo di Ippona nel linguaggio musicale contemporaneo. E’ da rilevare che lo hanno fatto senza far apparire lo stesso personaggio principale. Ma proprio per questa sua "assenza", Agostino si fa presente ed è "senza tempo". La lotta dell’uomo e la sua ricerca di quanto gli è più intimo, la ricerca della verità, la ricerca di Dio rimane valida tutti i tempi; essa non riguarda soltanto un retore e maestro di grammatica nelle lacerazioni e nei rivolgimenti della tarda antichità, ma ogni uomo in ogni tempo. E così, alla fine dell’opera, troviamo le famose parole introduttive dalle Confessiones che sono risuonate smorzandosi in diverse lingue: "Magnus es, Domine, et laudibils valde: magna virtus tua et sapientiae tuae non est numerus. … Quaerentes enim inveniunt eum et invenientes laudabunt eum". – "Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. …Loderanno il Signore coloro che lo cercano, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno" (I,1,1).
Il mio ringraziamento va ancora una volta ai promotori di questa serata dedicata alla figura di Sant’Agostino, ai musicisti e a quanti hanno contribuito alla realizzazione di questo concerto. Grazie per la vostra generosa offerta e il prezioso dono. Saluto anche tutti i partecipanti al Simposio Internazionale su Sant’Agostino che in questi giorni si svolge nella sede dell’Istituto Patristico Augustinianum a Roma. Il vostro convegno sul rapporto tra le culture nel De civitate Dei contribuisca in modo fecondo ad approfondire il pensiero del santo Vescovo di Ippona e a riconoscere la sua attualità per le questioni e le sfide che si presentano a noi oggi. A tutti imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00venerdì 28 settembre 2012 20:48
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL CONSIGLIO DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA (CCEE) (27-30 SETTEMBRE 2012, ST. GALLEN - SVIZZERA), 28.09.2012

Pubblichiamo di seguito il Messaggio ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), che ha luogo a St. Gallen, in Svizzera, dal 27 al 30 settembre 2012, inviato dal Santo Padre Benedetto XVI, a firma del Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, al Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, Card Péter Erdő, e di cui è stata data lettura ieri in apertura dei lavori:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,

è ormai imminente l'annuale Assemblea Plenaria del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, che avrà luogo in codesta città per commemorare il 1400° anniversario dell'arrivo in essa di San Gallo. Per tale circostanza il Sommo Pontefice rivolge a tutti i partecipanti il Suo cordiale e beneaugurante saluto, assicurando un particolare ricordo nella preghiera. Egli si compiace della felice convergenza tra il luogo dell'incontro, sede del Segretariato del CCEE, e la summenzionata ricorrenza, che invita a riflettere sul perenne compito dell'evangelizzazione e sulla sua attuale rinnovata urgenza.
San Gallo, discepolo del grande abate San Colombano, insieme con lui ed altri discepoli venne dall'Irlanda nel Continente. Dopo che una malattia lo aveva costretto a fermarsi nei pressi di Arbon, decise di dedicarsi alla vita eremitica. Ben presto, però, la sua fama di santità attirò molti intorno a lui e ne nacque una comunità monastica che diventò, a sua volta, centro propulsivo di ulteriori missioni tra numerosi popoli.
L'esperienza di San Gallo, come quella di tanti altri protagonisti dell'evangelizzazione nelle terre europee e nel mondo intero, insegna che il Messaggio cristiano viene seminato e si radica efficacemente là dove è vissuto in modo autentico ed eloquente da una comunità, così che la predicazione sia sostenuta dalla testimonianza della carità fraterna e animata dalla preghiera comune.
Pertanto, la memoria di San Gallo e della sua opera, alla vigilia dell'Assemblea sinodale sulla Nuova Evangelizzazione, sarà di stimolo alla Plenaria di codesto Consiglio per guardare con fede e speranza - con lo sguardo di Cristo Signore - alla grande «messe» che sono i popoli dell'Europa, nella scia del Concilio Ecumenico Vaticano II e degli insegnamenti dei Sommi Pontefici che lo hanno attuato. In particolare, sarà opportuno riprendere la magistrale lezione del Servo di Dio Paolo VI nella Evangelii nuntiandi e la consegna del Beato Giovanni Paolo II nella Nova millennio ineunte, naturalmente nella luce de Magistero del Santo Padre Benedetto XVI e nella prospettiva del prossimo Anno della fede.
Nell'invocare sull'Assemblea del C.C.E.E. la protezione della Madre di Dio e della Chiesa, Sua Santità imparte di cuore a Vostra Eminenza ed agli altri Fratelli nell'Episcopato, come pure a tutti i collaboratori, l’implorata Benedizione Apostolica.
Unisco anche il mio personale augurio di una serena e proficua sessione e profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio.

dell'Eminenza Vostra Rev.ma
dev.mo nel Signore
Tarcisio Card. Bertone Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato


Paparatzifan
00sabato 29 settembre 2012 17:58
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UDIENZA ALLA DELEGAZIONE DEL COMUNE DI CASTEL GANDOLFO, ALLE AUTORITÀ CIVILI E MILITARI, ALLE COMUNITÀ RELIGIOSE E AI DIPENDENTI CHE HANNO ASSICURATO IL SERVIZIO DURANTE IL PERIODO ESTIVO, 29.09.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza le Delegazioni del Comune di Castel Gandolfo, le Autorità Civili e Militari, le Comunità Religiose e i Dipendenti delle Ville Pontificie che hanno assicurato il servizio durante il periodo estivo.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre rivolge ai presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di accogliervi al termine del mio soggiorno estivo a Castel Gandolfo. Esso mi ha consentito di vivere un periodo di studio, preghiera e riposo, durante il quale ho notato con ammirazione la sollecitudine e la premura di tutte le persone impegnate a garantire assistenza ed ospitalità a me, ai miei collaboratori, come anche agli ospiti e ai pellegrini qui giunti per incontrare il Successore di Pietro. Esprimo la mia grande riconoscenza a tutti e a ciascuno per la dedizione profusa nell’arco di questi mesi. Nel periodo estivo Castel Gandolfo si conferma come una "seconda sede" del Vescovo di Roma, che gareggia con la "prima" nella capacità di accogliere i visitatori e pellegrini venuti a pregare per l’Angelus domenicale o per le Udienze Generali del mercoledì.
Saluto con affetto e con gratitudine in primo luogo il Vescovo di Albano, Mons. Marcello Semeraro. Saluto il Parroco di Castel Gandolfo e i suoi collaboratori, insieme alle comunità religiose e laicali, maschili e femminili, presenti nel territorio. Vi invito tutti a continuare a farmi sentire la vostra vicinanza spirituale anche dopo la mia partenza, così come è accaduto in questo periodo della mia permanenza. Di questo vi sono grato, mentre vi incoraggio a proseguire con fiducia e con gioia il vostro servizio a Cristo e al suo Vangelo.
Un cordiale saluto rivolgo alle autorità civili di Castel Gandolfo nella persona del Sindaco. Mentre vi ringrazio per la disponibilità e la sollecitudine dimostrate, assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutta la vostra comunità, in particolare per le famiglie in difficoltà e per gli ammalati.
Mi è caro quindi porgere il mio saluto ai responsabili dei Servizi del Governatorato: il Corpo della Gendarmeria, la Floreria, i Servizi tecnici e sanitari; e gli altri corpi che hanno cooperato in maniera determinante all’ordinato svolgimento di tutti gli appuntamenti: la Guardia Svizzera Pontificia, i funzionari e gli agenti delle Forze dell’Ordine Italiane e gli ufficiali e gli avieri del 31° Stormo dell’Aeronautica Militare. Il Signore vi ricompensi tutti con abbondanti doni celesti, e custodisca voi e le vostre famiglie.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra presenza oggi a quest’incontro. Il modo migliore per ricordarsi è quello della preghiera: io non mancherò di pregare per voi e per le vostre intenzioni, e confido che voi facciate altrettanto. Alla Vergine Maria, che veneriamo nel mese di ottobre come Regina del santo Rosario, affido ciascuno di voi, i vostri parenti ed amici. Sia sempre lei, con il suo sguardo amorevole, ad accompagnare e sostenere i nostri passi sulla strada della giustizia e della verità. Con tali sentimenti imparto di cuore a ciascuno di voi qui presenti ed a tutti i vostri cari la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 29 settembre 2012 17:58
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CONGEDO DAI DIPENDENTI DELLE VILLE PONTIFICIE, 28.09.2012

Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato la comunità di lavoro del Palazzo e delle Ville Pontificie, al termine del Suo soggiorno estivo.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

tutto passa in questo mondo! Ogni cosa che inizia, anche la più positiva e più bella, porta poi con sé, inevitabilmente, la propria conclusione. Così è anche per il tempo sereno e tranquillo che ho trascorso qui con voi, nella bella cornice di Castel Gandolfo, dove, ancora una volta, ho potuto respirare un clima di famiglia e di viva cordialità. Questo nostro incontro, diventato ormai gradita consuetudine, mi dà l’opportunità di ringraziare tutti e ciascuno di voi per il generoso servizio che svolgete in questa Residenza Pontificia. Il mio speciale ed affettuoso saluto va anzitutto al Dottor Saverio Petrillo, Direttore Generale delle Ville Pontificie, con gratitudine per le cortesi parole che, anche a nome di tutti voi qui presenti, mi ha rivolto. Un caro saluto a tutti i dipendenti e alle loro famiglie. Il Signore, ricco di bontà, vi benedica e vi custodisca nel suo amore!
Il mese di settembre, che ormai sta alle nostre spalle, è sempre il tempo di un positivo rilancio, dopo le ferie estive: per i vostri bambini e ragazzi è ricominciata la scuola; per tutti voi è ripreso il lavoro più intenso ed assiduo.
Anche nella Chiesa, per molte comunità cristiane sparse nel mondo, questo che Dio Padre ci dona è il tempo di un nuovo anno pastorale che inizia. Vediamo ormai vicini, poi, alcuni eventi molto significativi: penso alla mia imminente visita a Loreto, con la quale desidero ricordare il 50° anniversario del pellegrinaggio del Beato Giovanni XXIII, compiuto a quel Santuario mariano per affidare a Maria il Concilio Ecumenico Vaticano II; penso al Sinodo dei Vescovi, che rifletterà sulla nuova evangelizzazione nell’oggi della Chiesa e del mondo; e infine - nel 50° dell’inizio del Concilio - all’apertura dell’Anno della fede, da me indetto per aiutare ogni uomo a spalancare il proprio cuore e la propria vita a Gesù Signore e alla Parola di salvezza.
Affido perciò alla vostra preghiera, cari amici, questi importanti momenti ecclesiali che siamo chiamati a vivere. Il Signore ci assista, perché essi aiutino ciascuno di noi a crescere nella fede, a riscoprire Gesù come la perla preziosa e vero il tesoro della nostra vita. La Vergine Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra, che invocheremo fiduciosi nel prossimo mese di ottobre con la recita quotidiana del santo Rosario, vi protegga sempre e vi sostenga nel realizzare tutti i propositi di bene che portate nel cuore.
Vi accompagni anche la mia Benedizione, che con affetto imparto a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e a tutte le persone care, in modo speciale ai malati e ai sofferenti.

[Benedizione]

Arrivederci!

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Paparatzifan
00domenica 30 settembre 2012 21:04
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 30.09.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo per recitare l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa domenica presenta uno di quegli episodi della vita di Cristo che, pur essendo colti, per così dire, en passant, contengono un profondo significato (cfr Mc 9,38-41). Si tratta del fatto che un tale, che non era dei seguaci di Gesù, aveva scacciato dei demoni nel suo nome. L’apostolo Giovanni, giovane e zelante come era, vorrebbe impedirglielo, ma Gesù non lo permette, anzi, prende spunto da quella occasione per insegnare ai suoi discepoli che Dio può operare cose buone e persino prodigiose anche al di fuori della loro cerchia, e che si può collaborare alla causa del Regno di Dio in diversi modi, anche offrendo un semplice bicchiere d’acqua ad un missionario (v. 41).
Sant’Agostino scrive a proposito : «Come nella Cattolica – cioè nella Chiesa – si può trovare ciò che non è cattolico, così fuori della Cattolica può esservi qualcosa di cattolico» (Agostino, Sul battesimo contro i donatisti: PL 43, VII, 39, 77).
Perciò, i membri della Chiesa non devono provare gelosia, ma rallegrarsi se qualcuno esterno alla comunità opera il bene nel nome di Cristo, purché lo faccia con intenzione retta e con rispetto. Anche all’interno della Chiesa stessa, può capitare, a volte, che si faccia fatica a valorizzare e ad apprezzare, in uno spirito di profonda comunione, le cose buone compiute dalle varie realtà ecclesiali. Invece dobbiamo essere tutti e sempre capaci di apprezzarci e stimarci a vicenda, lodando il Signore per l’infinita ‘fantasia’ con cui opera nella Chiesa e nel mondo.
Nella Liturgia odierna risuona anche l’invettiva dell’apostolo Giacomo contri i ricchi disonesti, che ripongono la loro sicurezza nelle ricchezze accumulate a forza di soprusi (cfr Gc 5,1-6). Al riguardo, Cesario di Arles così afferma in un suo discorso: «La ricchezza non può fare del male a un uomo buono, perché la dona con misericordia, così come non può aiutare un uomo cattivo, finché la conserva avidamente o la spreca nella dissipazione» (Sermoni 35, 4). Le parole dell’apostolo Giacomo, mentre mettono in guardia dalla vana bramosia dei beni materiali, costituiscono un forte richiamo ad usarli nella prospettiva della solidarietà e del bene comune, operando sempre con equità e moralità, a tutti i livelli.
Cari amici, per intercessione di Maria Santissima, preghiamo affinché sappiamo gioire per ogni gesto e iniziativa di bene, senza invidie e gelosie, e usare saggiamente dei beni terreni nella continua ricerca dei beni eterni.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Seguo con affetto e preoccupazione le vicende della popolazione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo, oggetto, in questi giorni, di attenzione anche da parte di una Riunione di alto livello, presso le Nazioni Unite. Sono particolarmente vicino ai profughi, alle donne e ai bambini, che a causa dei persistenti scontri armati subiscono sofferenze, violenze e profondi disagi. Invoco Dio, perché si trovino vie pacifiche di dialogo e di protezione di tanti innocenti e affinché torni al più presto la pace, fondata sulla giustizia, e sia ripristinata la convivenza fraterna in quella popolazione così provata, come pure nell’intera Regione.

Chers frères et sœurs, en cette période de rentrée universitaire, j’encourage les enseignants et les éducateurs dans leur haute mission au service de la jeunesse. Puissiez-vous donner aux étudiants le goût d’apprendre pour avoir un métier et prendre leur place dans la société. L’université peut être un lieu où se vit déjà la fraternité. Un lieu duquel Dieu ne peut pas être absent. J’invite les adultes à éduquer en toutes circonstances les plus jeunes à l’estime mutuelle, à l’attention à l’autre et à la recherche de Dieu. Que Jésus soit notre guide sur le chemin de l’amour du prochain et de la prière ! Bonne rentrée à tous !

I welcome the English-speaking pilgrims here at Castel Gandolfo and in Rome! Dear friends, in today’s Gospel Jesus calls us to be not only open-hearted, but also firm in our opposition to what is dishonest or evil. May God grant us to be both generous to others and steadfast in living a life of purity and integrity. Upon you and your loved ones, I invoke the strength and peace of Christ our Lord!

Mit Freude grüße ich die deutschsprachigen Pilger hier in Castel Gandolfo und alle, die über Rundfunk und Fernsehen mit uns verbunden sind. Gottes Geist schafft Leben und läßt Gutes wachsen. Er ist auch dort am Werk, wo wir es vielleicht nicht erwarten. In der Taufe und in der Firmung haben wir den Heiligen Geist empfangen, der uns fähig macht, das Gute zu tun und das Böse zu meiden. Lassen wir nicht zu, daß diese Gabe durch Sünde und Nachlässigkeit verschüttet wird. Wenn wir sein Licht in uns aufnehmen, können wir Werkzeug des Heiligen Geistes sein und mithelfen, daß Gottes Kraft und Liebe die Welt verwandeln. Der Heilige Geist leite uns auf allen unsern Wegen.

Con todo afecto saludo a los peregrinos de lengua española. En la primera lectura de la Misa de este domingo dice Moisés: «¡Ojalá todo el pueblo del Señor fuera profeta y recibiera el espíritu del Señor!». Este anhelo se cumple en la Iglesia, que en Pentecostés recibió el Espíritu Santo. Pidamos a la Virgen María que interceda por todos nosotros, bautizados en el Espíritu de Cristo, para que seamos cada vez más conscientes del don que hemos recibido y nos decidamos a quitar de nuestra vida todo lo que nos aparte del amor de Dios. Feliz domingo.

S láskou pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Farnosti Kysucké Nové Mesto. Bratia a sestry, prajem vám, aby táto vaša púť priniesla bohaté duchovné ovocie, na príhovor Panny Márie, ktorú v budúcom mesiaci októbri budeme vzývať modlitbou posvätného ruženca. Zo srdca vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalla Parrocchia Kysucké Nové Mesto. Fratelli e sorelle, auguro che questo vostro pellegrinaggio porti ricchi frutti spirituali, per intercessione della Vergine Maria, che nel prossimo mese di ottobre invocheremo con la preghiera del Santo Rosario. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!]

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Dziś liturgia Kościoła przypomina, że wszyscy otrzymaliśmy dar Ducha Świętego, który uzdalnia do spełniania dobra i unikania zła, i jednoczy tych, którzy szczerym sercem pragną pełnić wolę Bożą. Niech Jego światło pomaga nam rozeznawać Boże zamysły, a Jego moc wspiera w ich realizacji. Niech Bóg wam błogosławi!

[Saluto cordialmente i polacchi. Oggi la liturgia della Chiesa ci ricorda che tutti abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo, che ci rende capaci di compiere il bene ed evitare il male, e unisce coloro che con un cuore sincero vogliono eseguire la volontà di Dio. La sua luce ci aiuti nel conoscere i disegni divini, e la sua potenza ci sostenga nella loro realizzazione. Dio vi benedica!]

E rivolgo infine un saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, incominciando dai membri del rinnovato Consiglio pastorale della parrocchia di Castel Gandolfo. Cari amici, come sapete, domani rientrerò in Vaticano; con affetto vi dico «arrivederci» e vi prego di portare il mio saluto all’intera comunità.
Saluto il Gruppo Scout di Bisuschio e il Lions Club di Castellabate Cilento Antico. Vorrei rivolgere anche il mio augurio alla nuova missione «Gesù al centro», della Diocesi di Roma, che in questa settimana si svolgerà nel territorio di Ostia. Prego per questo momento forte di testimonianza e di annuncio. A tutti voi, cari amici, buona domenica, buona settimana! Arrivederci! Buona domenica!

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Paparatzifan
00mercoledì 3 ottobre 2012 22:44
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L’UDIENZA GENERALE, 03.10.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sulla natura ecclesiale della preghiera liturgica. Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello alla preghiera per l’Anno della fede e per il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, alla vigilia del Suo pellegrinaggio al Santuario di Loreto.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La natura ecclesiale della preghiera liturgica

Cari fratelli e sorelle,



nella scorsa catechesi ho iniziato a parlare di una delle fonti privilegiate della preghiera cristiana: la sacra liturgia, che - come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica - è «partecipazione alla preghiera di Cristo, rivolta al Padre nello Spirito Santo. Nella liturgia ogni preghiera cristiana trova la sua sorgente e il suo termine» (n. 1073).

Oggi vorrei che ci chiedessimo: nella mia vita, riservo uno spazio sufficiente alla preghiera e, soprattutto, che posto ha nel mio rapporto con Dio la preghiera liturgica, specie la Santa Messa, come partecipazione alla preghiera comune del Corpo di Cristo che è la Chiesa?

Nel rispondere a questa domanda dobbiamo ricordare anzitutto che la preghiera è la relazione vivente dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo (cfr ibid., 2565). Quindi la vita di preghiera consiste nell’essere abitualmente alla presenza di Dio e averne coscienza, nel vivere in relazione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari più cari, con i veri amici; anzi quella con il Signore è la relazione che dona luce a tutte le altre nostre relazioni. Questa comunione di vita con Dio, Uno e Trino, è possibile perché per mezzo del Battesimo siamo stati inseriti in Cristo, abbiamo iniziato ad essere una sola cosa con Lui (cfr Rm 6,5).

In effetti, solo in Cristo possiamo dialogare con Dio Padre come figli, altrimenti non è possibile, ma in comunione col Figlio possiamo anche dire noi come ha detto Lui: «Abbà». In comunione con Cristo possiamo conoscere Dio come Padre vero (cfr Mt 11,27). Per questo la preghiera cristiana consiste nel guardare costantemente e in maniera sempre nuova a Cristo, parlare con Lui, stare in silenzio con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui. Il cristiano riscopre la sua vera identità in Cristo, «primogenito di ogni creatura», nel quale sussistono tutte le cose (cfr Col 1,15ss). Nell’identificarmi con Lui, nell’essere una cosa sola con Lui, riscopro la mia identità personale, quella di vero figlio che guarda a Dio come a un Padre pieno di amore.
Ma non dimentichiamo: Cristo lo scopriamo, lo conosciamo come Persona vivente, nella Chiesa. Essa è il «suo Corpo». Tale corporeità può essere compresa a partire dalle parole bibliche sull’uomo e sulla donna: i due saranno una carne sola (cfr Gn 2,24; Ef 5,30ss.; 1 Cor 6,16s). Il legame inscindibile tra Cristo e la Chiesa, attraverso la forza unificante dell’amore, non annulla il «tu» e l’«io», bensì li innalza alla loro unità più profonda. Trovare la propria identità in Cristo significa giungere a una comunione con Lui, che non mi annulla, ma mi eleva alla dignità più alta, quella di figlio di Dio in Cristo: «la storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più» (Enc. Deus caritas est, 17). Pregare significa elevarsi all’altezza di Dio, mediante una necessaria graduale trasformazione del nostro essere.
Così, partecipando alla liturgia, facciamo nostra la lingua della madre Chiesa, apprendiamo a parlare in essa e per essa. Naturalmente, come ho già detto, questo avviene in modo graduale, poco a poco. Devo immergermi progressivamente nelle parole della Chiesa, con la mia preghiera, con la mia vita, con la mia sofferenza, con la mia gioia, con il mio pensiero. E’ un cammino che ci trasforma.
Penso allora che queste riflessioni ci permettano di rispondere alla domanda che ci siamo fatti all’inizio: come imparo a pregare, come cresco nella mia preghiera? Guardando al modello che ci ha insegnato Gesù, il Padre nostro, noi vediamo che la prima parola è «Padre» e la seconda è «nostro».
La risposta, quindi, è chiara: apprendo a pregare, alimento la mia preghiera, rivolgendomi a Dio come Padre e pregando-con-altri, pregando con la Chiesa, accettando il dono delle sue parole, che mi diventano poco a poco familiari e ricche di senso. Il dialogo che Dio stabilisce con ciascuno di noi, e noi con Lui, nella preghiera include sempre un «con»; non si può pregare Dio in modo individualista. Nella preghiera liturgica, soprattutto l’Eucaristia, e - formati dalla liturgia - in ogni preghiera, non parliamo solo come singole persone, bensì entriamo nel «noi» della Chiesa che prega. E dobbiamo trasformare il nostro «io» entrando in questo «noi».
Vorrei richiamare un altro aspetto importante. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «Nella liturgia della Nuova Alleanza, ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa» (n. 1097); quindi è il «Cristo totale», tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo che celebra.
La liturgia allora non è una specie di «auto-manifestazione» di una comunità, ma è invece l’uscire dal semplice «essere-se-stessi», essere chiusi in se stessi, e l’accedere al grande banchetto, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. La liturgia implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto.
Non è mai solamente l’evento di una comunità singola, con una sua collocazione nel tempo e nello spazio. E’ importante che ogni cristiano si senta e sia realmente inserito in questo «noi» universale, che fornisce il fondamento e il rifugio all’«io», nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.
In questo dobbiamo tenere presente e accettare la logica dell’incarnazione di Dio: Egli si è fatto vicino, presente, entrando nella storia e nella natura umana, facendosi uno di noi. E questa presenza continua nella Chiesa, suo Corpo.
La liturgia allora non è il ricordo di eventi passati, ma è la presenza viva del Mistero Pasquale di Cristo che trascende e unisce i tempi e gli spazi. Se nella celebrazione non emerge la centralità di Cristo non avremo liturgia cristiana, totalmente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice. Dio agisce per mezzo di Cristo e noi non possiamo agire che per mezzo suo e in Lui. Ogni giorno deve crescere in noi la convinzione che la liturgia non è un nostro, un mio «fare», ma è azione di Dio in noi e con noi.
Quindi, non è il singolo - sacerdote o fedele - o il gruppo che celebra la liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. Questa universalità ed apertura fondamentale, che è propria di tutta la liturgia, è una delle ragioni per cui essa non può essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve essere fedele alle forme della Chiesa universale.
Anche nella liturgia della più piccola comunità è sempre presente la Chiesa intera. Per questo non esistono «stranieri» nella comunità liturgica. In ogni celebrazione liturgica partecipa assieme tutta la Chiesa, cielo e terra, Dio e gli uomini. La liturgia cristiana, anche se si celebra in un luogo e uno spazio concreto ed esprime il «sì» di una determinata comunità, è per sua natura cattolica, proviene dal tutto e conduce al tutto, in unità con il Papa, con i Vescovi, con i credenti di tutte le epoche e di tutti i luoghi. Quanto più una celebrazione è animata da questa coscienza, tanto più fruttuosamente in essa si realizza il senso autentico della liturgia.
Cari amici, la Chiesa si rende visibile in molti modi: nell’azione caritativa, nei progetti di missione, nell’apostolato personale che ogni cristiano deve realizzare nel proprio ambiente. Però il luogo in cui la si sperimenta pienamente come Chiesa è nella liturgia: essa è l’atto nel quale crediamo che Dio entra nella nostra realtà e noi lo possiamo incontrare, lo possiamo toccare. È l’atto nel quale entriamo in contatto con Dio: Egli viene a noi, e noi siamo illuminati da Lui. Per questo, quando nelle riflessioni sulla liturgia noi centriamo la nostra attenzione soltanto su come renderla attraente, interessante bella, rischiamo di dimenticare l’essenziale: la liturgia si celebra per Dio e non per noi stessi; è opera sua; è Lui il soggetto; e noi dobbiamo aprirci a Lui e lasciarci guidare da Lui e dal suo Corpo che è la Chiesa.
Chiediamo al Signore di imparare ogni giorno a vivere la sacra liturgia, specialmente la Celebrazione eucaristica, pregando nel «noi» della Chiesa, che dirige il suo sguardo non a se stessa, ma a Dio, e sentendoci parte della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Grazie.

APPELLO DEL SANTO PADRE



Cari fratelli e sorelle, domani mi recherò in visita al Santuario di Loreto, nel 50° anniversario del celebre pellegrinaggio del Beato Papa Giovanni XXIII in quella località mariana, avvenuto una settimana prima dell’apertura del Concilio Vaticano II.

Vi chiedo di unirvi alla mia preghiera nel raccomandare alla Madre di Dio i principali eventi ecclesiali che ci apprestiamo a vivere: l’Anno della fede e il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione. Possa la Vergine Santa accompagnare la Chiesa nella sua missione di annunciare il Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

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