Notizie dal B16F

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+PetaloNero+
00sabato 11 aprile 2009 16:00
L’Ora della Madre: la fede di Maria ci guida nel buio in attesa della Risurrezione


Nel giorno del Sabato Santo, tutta la Chiesa si raccoglie nel cuore della Madre, straziata dal dolore per la morte di Gesù. La fede della Vergine Maria ci guida nel buio in attesa della risurrezione del Figlio. E stamani si è tenuta nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore la tradizionale celebrazione dell’Ora della Madre. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con la teologa Cettina Militello, membro del direttivo della Pontificia Accademia mariologica internazionale:

R. - Maria ai piedi della Croce rappresenta la primizia della Chiesa e questo suo soffrire per la morte del Figlio esprime la Passione della Chiesa nei confronti del suo Signore. Tutto questo avviene a livelli inconsci.

D. – Maria, straziata dal dolore per la morte di Gesù, vive la prova suprema della fede…

R. - Maria vive il buio della fede, cioè vive quel momento terribile nel quale non ci sono parole. Dio è in qualche modo assente, non perché non ci sia, ma perché non lo si percepisce più, data l’enormità della prova cui si è sottoposti. Quello è veramente il momento in cui sembra che tutto sia perduto, perché la morte è un fatto ineluttabile, è un fatto definitivo.

D. – La Vergine rappresenta la comunità redenta che attende con trepidazione la Risurrezione…

R. –In realtà il problema è sempre quello di sapere quali fossero i livelli di consapevolezza del mistero. La comunità tante cose le capisce dopo la Pasqua. Io credo che anche Maria tante cose le comprenda dopo la Pasqua, nell’esperienza di Gesù Risorto. Ma se c’è qualcuno dei membri della comunità che si abbandona a Dio fiduciosamente, pur nel silenzio di Dio, certamente è Maria. La Madre di Gesù diventa il modello di quello che deve essere il nostro atteggiamento come comunità credente quando la prova ci mette nelle condizioni di, non dico dubitare, ma di non vedere con chiarezza quello che ci sta accadendo.

D. - Come può l’uomo imitare il sì di Maria nella Passione del Figlio, nei momenti di grande tribolazione... pensiamo ai terremotati…

R. – Per tutto il tempo in cui ho parlato ho avuto davanti le mamme dell’Abruzzo, straziate dal dolore. Ho pensato agli uomini e alle donne straziati nella perdita dei loro figli, dei loro congiunti, delle loro cose. Credo che l’unica possibilità che ci viene data sia proprio quella dell’abbandonarci, ma non di un abbandono passivo. Mi è capitato, parlando con una mia collega che ha perso la propria figlia, di sentirle dire: ‘Poi mi dovrà dar conto di tutto questo’. Nel senso che questa sofferenza terribile che ci colpisce deve avere un senso che a noi in questo momento sfugge. La morte sfugge sempre dalla nostra comprensione. Sappiamo che è un fatto biologico ma dal punto di vista degli affetti che vengono recisi, c’è una ribellione totale, così come c’è una ribellione totale verso il nostro morire. Allora tutto questo chiede questo salto, questo abbandono. Chiede un atteggiamento di fiducia.
+PetaloNero+
00sabato 11 aprile 2009 16:01
Uomini e Dio: editoriale di padre Lombardi

Questa è la quarta Pasqua di Benedetto XVI che, nei giorni del Triduo, culmine dell'Anno liturgico, offre alla Chiesa e al mondo riflessioni di particolare intensità: testi che meritano un'attenzione tutta speciale. Ascoltiamo l'editoriale di padre Federico Lombardi per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

“La priorità che sta al disopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un Dio qualsiasi, ma a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Questo è per il Papa il punto centrale del suo pontificato, come ha ricordato nella sua recente appassionata lettera ai vescovi del mondo. Naturalmente, perché è la ragion d’essere della Chiesa! E in questi giorni centrali dell’anno liturgico questo appare in tutta la sua evidenza, perché è proprio qui – grazie alla preghiera della Chiesa - che siamo aiutati a incontrare Dio attraverso Gesù Cristo che muore e risorge.

Per parte sua, Benedetto XVI si impegna a fondo, nelle omelie dei giorni della Settimana Santa, per farci partecipare nel modo più intenso alle celebrazioni, svelandocene il senso profondo. Teologia, spiritualità, esortazione alla testimonianza nella vita cristiana, tutto ciò è presente nelle sue parole in sintesi densissima, limpida e avvincente. E’ un suo carisma particolare, che merita la nostra ammirazione e l’attenzione non solo dei fedeli, ma di tutte le persone che sinceramente cercano la verità, cercano Dio. Dalle parole ai giovani nella Domenica delle Palme, a quelle ai sacerdoti nella Messa del Crisma, a quelle a tutti i fedeli nella Cena e nella Veglia pasquale, a tutti gli uomini nel Messaggio pasquale. Non c’è condizione di vita, né vicenda – anche la più tragica, come il terremoto -, che non venga aiutata a trovare il suo senso e il suo sbocco di speranza attraverso l’amore di Dio che si manifesta in Cristo. Ascoltiamo davvero la parola del Papa. Vale la pena!


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00sabato 11 aprile 2009 16:02
La Chiesa si prepara alla Notte Santa: alle 21.00 la Veglia Pasquale presieduta dal Papa in San Pietro


La Chiesa si prepara a vivere la Notte Santa: questa sera alle 21.00 il Papa presiederà la Veglia Pasquale nella Basilica Vaticana con la benedizione del fuoco nuovo nell’atrio, seguita dalla processione con il cero pasquale e il canto dell’Exsultet. Durante la celebrazione cinque catecumeni riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana: si tratta di tre italiani, una cinese e una statunitense. Domani alle 10.15 la Messa del Giorno sempre in San Pietro con la Benedizione "Urbi et Orbi" dalla Loggia Centrale della Basilica alle 12.00. Sul significato della Veglia Pasquale Debora Donnini ha sentito il padre gesuita Arturo Elberti, docente di liturgia alla Gregoriana e all’Antonianum:
R. – La Veglia è un’attesa, è un cammino, un ripercorrere tutta la storia della salvezza perché questa non è una veglia di ricordo ma è un memoriale. Oggi ciò che è avvenuto si riperpetua tra di noi. Noi facciamo parte di quel popolo della salvezza; ciò che è avvenuto con Cristo nella prima generazione, avviene oggi in mezzo a noi. Non è un ricordare con la testa o con dei segni, ma un rivivere, un entrare attraverso i segni nel mistero: ciò che è stato fatto, oggi avviene in noi. Questo è il grande mistero. Ecco perché Agostino, ricordando che tutte le settimane noi celebriamo "in breve" questa Pasqua settimanale, questa diventa la Veglia delle veglie e quindi va preparata con entusiasmo, va preparata non soltanto spiritualmente, ma anche comunitariamente, perché è un evento che tocca tutti!

D. – Qual è il legame tra la Veglia Pasquale e la Messa della Domenica di Risurrezione?

R. – La Notte è la celebrazione della Risurrezione di Cristo, che noi non sappiamo quando è avvenuta; ecco perché, con l’alba, più o meno, bisogna terminare questa celebrazione; mentre il giorno della Pasqua noi celebriamo le apparizioni del Cristo. Cioè, il momento in cui la Chiesa ha preso coscienza di questo grande evento, di questo grande mistero che l’ha coinvolta. E’ questo memoriale della salvezza, nella sua globalità: Cristo è risorto, è apparso, Cristo è presente nella sua Chiesa, Cristo appare nella sua Chiesa, Cristo agisce nella sua Chiesa.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00sabato 11 aprile 2009 16:03
Lettera del Papa al cardinale Biffi per il nono centenario della morte di Sant’Anselmo

L’importanza di approfondire il rapporto tra fede e ragione è stata ribadita da Benedetto XVI in una lettera al cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, nominato suo Inviato Speciale alle celebrazioni del nono centenario della morte di Sant’Anselmo, che si terranno ad Aosta dal 19 al 26 aprile. Il Papa ricorda il grande vescovo e dottore della Chiesa, nato ad Aosta nel 1033, monaco benedettino nel monastero di Bec nella Normandia, in Francia, e poi arcivescovo di Canterbury: durante la sua vita ha insegnato a progredire sulla via della perfezione incontrando Dio con una “fede che cerca di comprendere”. E’ infatti “caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio Colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che Egli ha rivelato”. La grazia della fede apre “gli occhi della mente” per una intelligenza viva dei contenuti della Rivelazione, cioè dell'insieme del disegno di Dio e dei misteri della fede, dell'intima connessione che li lega tra loro e con Cristo, centro del Mistero rivelato. Sant’Anselmo segue così il detto di Sant'Agostino: “credo per comprendere e comprendo per meglio credere”. Tra i maggiori teologi dell'Occidente, Sant’Anselmo pregava e meditava sulle Scritture anche durante le ore notturne. Oltre ad essere un grande speculativo era anche un grande direttore di anime: conosceva l’arte per guadagnare i cuori, adattandosi all'età di ciascuno e puntando sull'affabilità e la dolcezza dei modi. Ha lottato strenuamente per la libertà della Chiesa in Inghilterra, sopportando per questo sofferenze e l’esilio. Muore a Canterbury nel 1109. (A cura di Sergio Centofanti)


[Radio Vaticana]
Paparatzifan
00sabato 11 aprile 2009 19:36
Dal blog di Lella...

La Passione del Signore nella basilica Vaticana e la Via Crucis al Colosseo

Le celebrazioni del Venerdì santo presiedute dal Papa

Enorme, pesante la Croce mostrata venerdì notte dal Papa sul Colle Palatino. Su di essa, abbracciate al Cristo crocifisso, le vittime dell'immane tragedia che ha sconvolto l'Abruzzo. Ai suoi piedi un popolo affranto dal dolore. Capisce, ma fa difficoltà ad accettare. Lungo il percorso migliaia di Cirenei pronti a prodigarsi nell'aiutare a sostenerne il peso. E non sono mancate novelle Veroniche. Non avevano teli, ma coperte, tende e un pasto caldo.
È stata senza dubbio la riproposizione più lunga della Via Dolorosa quella vissuta ieri, Venerdì santo, 10 aprile.
Alle 11 del mattino nella scuola della Guardia di finanza a Coppito, in provincia dell'Aquila, la prima stazione. Poco dopo le 22.40, sul Colle Palatino, a Roma, la quattordicesima e ultima.
La croce, una volta di più venerdì sera, e con una forza incredibile, si è mostrata protagonista nella storia dell'umanità. Da quelle bare allineate sul campo della città dell'uomo, ferita ma non distrutta, la croce si è innalzata tra le mani del Papa, mostrata al mondo intero come simbolo della Città di Dio, nella luce eterna della indomita speranza cristiana.
Ha assunto toni particolari la tradizionale celebrazione della Via Crucis con il Papa tra il Colosseo e il Colle Palatino. Un appuntamento che solitamente richiama centinaia di milioni di persone collegate in mondovisione. Ieri poi c'era un motivo in più per essere in qualche modo presenti. C'era da pregare per le vittime del terremoto. Con il Papa.
Ed è straordinario come la prima delle meditazioni che hanno accompagnato la pia pratica, composte più di un mese fa da monsignor Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati, India, sembrava essere stata scritta proprio all'indomani di questa immane tragedia. "Siamo venuti qui - si legge tra l'altro - a cantare insieme un inno di speranza. Vogliamo dire a noi stessi che tutto non è perduto nei momenti di difficoltà. Quando le cattive notizie si susseguono... quando la disgrazia ci colpisce da vicino... quando una calamità fa di noi le sue vittime... In tempi difficili non vediamo nessun motivo per credere e per sperare. Eppure crediamo. Eppure speriamo". La croce era nelle mani del cardinale Vicario di Roma Agostino Vallini, all'interno dell'Anfiteatro Flavio. Il Papa era inginocchiato sul Colle Palatino. La preghiera corale delle migliaia di persone che gremivano tutta l'area attorno al Colosseo - tra i presenti il sindaco di Roma e il direttore del nostro giornale - ha scandito i passi dell'itinerario della croce, passata di mano di stazione in stazione. Da quelle del cardinale Vallini a quelle di Simon Pugsley, diversamente abile, la cui sedia a rotelle era spinta da un medico e da un infermiere del Sovrano Militare Ordine di Malta, a quelle di Piero e Paola Fusco che avevano attorno Matteo, Elena e Marco i loro tre piccoli bambini; a quelle di Mauro Libianchi, anch'egli sofferente per una grave malattia; a quelle di tre religiose asiatiche Suor Lidia e le novizie Philomina Solomon e Jincy, a quelle di Maureen e Cèdric, due giovani del Burkina Faso, per essere poi sorretta nell'ultima stazione da due frati della Custodia di Terra Santa, Gianfranco Pinto Ostuni e Jihad Krayen. È stato poi il cardinale Vallini a consegnare la croce nelle mani del Papa perché la mostrasse al mondo con il suo carico di dolore ma nella luce della speranza.
Di fronte a quella stessa croce Benedetto XVI aveva poco prima sostato in silenziosa adorazione durante la celebrazione della Passione del Signore svoltasi nel pomeriggio nella basilica Vaticana. Scalzo, vestito solo con il camice bianco e la stola rossa, il Pontefice si è inginocchiato e ha baciato l'antico crocifisso ligneo - risalente al pontificato di Leone xIII - posto davanti all'altare della Confessione, spoglia di fiori e di arredi. Un gesto ripetuto poi da cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati della Curia romana, canonici della basilica, e da una rappresentanza di sacerdoti, religiosi e laici.
La venerazione della croce è stata il momento centrale del rito che il Papa ha presieduto dalla cattedra posta dinanzi alla statua di san Pietro nella navata centrale della basilica, le cui luci soffuse hanno dato il senso del clima penitenziale della celebrazione.
Ad assistere Benedetto XVI i cardinali diaconi Lajolo e Rylko, che insieme con lui si sono inginocchiati in silenziosa preghiera davanti all'altare della Confessione all'inizio della liturgia. Il racconto della passione del Signore, tratto dal vangelo di Giovanni (18, 1 - 19, 42), è stato cantato in latino da tre diaconi, con intermezzi della Cappella Sistina diretta dal maestro Liberto. Successivamente il predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa ha tenuto l'omelia.
Al termine il Pontefice ha guidato la preghiera universale: dieci intenzioni tramandate dall'antica liturgia romana e proclamate in francese, inglese, polacco, russo, tedesco, portoghese, filippino, swahili, arabo e spagnolo. Quindi un diacono ha portato all'altare il crocifisso velato da un drappo rosso, che il Papa ha scoperto mentre per tre volte è risuonato nella basilica l'Ecce lignum Crucis. Al termine Benedetto XVI ha alzato la croce presentandola all'adorazione dei fedeli. Il rito si è concluso con la comunione, amministrata ai fedeli dal Pontefice e da novanta sacerdoti.
Alla celebrazione hanno partecipato ventisette cardinali, tra i quali Sodano, decano del collegio cardinalizio, Bertone, segretario di Stato, e Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano gli arcivescovi Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, e Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, i monsignori Caccia, assessore, Parolin, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, e Nwachukwu, capo del Protocollo. Tra i numerosi presuli presenti, gli arcivescovi Viganò, nunzio apostolico, delegato per le Rappresentanze Pontificie, e Sardi, nunzio apostolico con incarichi speciali.
Accanto alla cattedra del Papa avevano preso posto gli arcivescovi del Blanco Prieto, elemosiniere di Sua Santità, e Harvey, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo De Nicolò, reggente della Prefettura, e i monsignori Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e Xuereb, della segreteria particolare.

(©L'Osservatore Romano - 12 aprile 2009)


Paparatzifan
00sabato 11 aprile 2009 19:39
Dal blog di Lella...

Il Papa: impegno e solidarietà contro prove così dolorose

Il messagggio ai funerali: lo Stato sta già amorevolmente operando
Bertone: qui c'è l'Italia intera, segnata dal valore della fraternità

Alberto Bobbio

L'Aquila
Il segretario personale di Benedetto XVI sale all'ambone, all'inizio del rito funebre. Con voce forte, appena increspata dall'accento tedesco, monsignor Georg Gaenswein, paramenti viola del lutto, lentamente per non farsi sopraffare dall'emozione, legge il messaggio di Joseph Ratzinger, il quale annuncia che la Santa Sede parteciperà all'opera della ricostruzione, farà «la sua parte unitamente alle parrocchie, agli istituti religiosi e alla aggregazioni laicali».
Scrive il Papa, esortando a «sperare senza cedere allo sconforto»: «Questo è il momento dell'impegno, in sintonia con gli organi dello Stato, che già stanno amorevolmente operando». Il Pontefice è convinto, infatti, che «solo la solidarietà può consentire di superare prove così dolorose».
Ratzinger ha concesso una dispensa particolare per poter celebrare i funerali il Venerdì Santo, giorno del lutto del Signore, giorno dei tabernacoli coperti con la stola viola.
La Messa di suffragio per le vittime del sisma d'Abruzzo è stata l'unica celebrata ieri in tutto il mondo. Il Papa ha inviato il Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, a presiedere la liturgia concelebrata con l'arcivescovo della città, monsignor Giuseppe Molinari, con il suo segretario particolare, con monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana e tutti i parroci delle zone colpite. Benedetto XVI ha regalato alla diocesi anche il calice usato per la celebrazione. La mobilitazione della Santa Sede per le vittime del terremoto è stata immediata.
Il Papa nel suo messaggio ha rivelato di aver seguito «gli sviluppi del devastante movimento tellurico dalla prima scossa, che si è avvertita anche in Vaticano». E dal Vaticano è partita nelle prime ore anche una squadra dei vigili del fuoco pontifici per collaborare alle ricerche dei sopravvissuti. Poi ha chiesto un'azione «sempre più incisiva sia dello Stato che delle istituzioni ecclesiali, come anche dei privati». Ha indicato, insomma, il metodo della ricostruzione, nel suo messaggio, in attesa di recarsi personalmente all'Aquila, probabilmente verso la fine della prossima settimana. Martedì sarà a L'Aquila il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco.
Bertone e il segretario del Papa sono arrivati ieri mattina presto nella zona colpita dal terremoto. Hanno gettato uno sguardo alla basilica di Collemaggio, dove si trova la tomba di Celestino V, e dove il terremoto ha distrutto completamente l'abside e aperto il tetto per quasi un terzo della sua lunghezza. Poi hanno visitato la tendopoli allestita nel prato davanti alla basilica. Gli inviati del Papa sono entrati anche nell'ospedale da campo della Protezione civile della Regione Marche, accompagnati da monsignor Claudio Giuliodori, arcivescovo di Macerata e presidente della Commissione per le comunicazioni sociali della Cei. L'ospedale è un presidio di prima accoglienza sanitaria, dotato anche di una sala operatoria, vista l'inagibilità dell'ospedale «San Salvatore» dell'Aquila. Poi sono arrivati nel grande piazzale della Scuola ufficiali della Guardia di Finanza «Maresciallo Massimo Giudice» a Coppito, da dove si coordina tutta l'immensa macchina dei soccorsi. Le bare erano allineate su quattro file.
Bertone si è avvicinato e le ha benedette una prima volta. È stato un rito severo, composto, dolore misurato di gente di montagna. Erano presenti tutte le massime autorità dello Stato, dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che così è tornato due volte in due giorni nei luoghi del sisma, i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, e Silvio Berlusconi, che ha partecipato alle esequie in piedi in mezzo ai parenti delle vittime, lasciando vuota la sedia che il cerimoniale aveva predisposto accanto a quella del ministro dell'Interno Roberto Maroni. C'erano anche il leader del Partito democratico, Franceschini, il capo della Polizia Manganelli, autorità militari e anche il presidente delle Federazione nazionale della stampa Franco Siddi, per stare vicino a Giustino Parissi, il capo delle redazione del quotidiano dell'Aquila che a Onna ha perso due figli e il padre.
Bertone nell'omelia ha parlato della speranza di ripartire e di ricostruire, collocandola in un contesto biblico e spirituale: «Sento nascere la speranza nel cuore perché si avverte già nell'aria che sotto le macerie c'è la voglia di ripartire, di ricostruire, di tornare a sognare». Ha citato il passo dove Isaia scrive: «Ricostruiranno le vecchie rovine, gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni», invocazione biblica per sostenere la popolazione a ridare vita «a questi luoghi con più coraggio, con la forza e la dignità d'animo che vi contraddistingue». Ha ricordato tutti coloro che stanno aiutando le vittime del sisma e un pensiero particolare lo ha dedicato a Marco Cavagna, il pompiere-papà di Treviolo, venuto da Bergamo - ha detto - e colpito da un infarto mentre cercava di salvare altre vite. Bertone ha osservato che attorno all'Abruzzo colpito «si raccoglie idealmente l'Italia intera, che ha dimostrato quanto siano saldi i valori della solidarietà e della fraternità che la segnano in profondità». Al termine ha parlato il vescovo dell'Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, vescovo senza casa, che vive in tenda come i suoi concittadini: «Ora sentiamo la carezza gelida della morte, ma non sarà così per sempre, se avremo fiducia in Dio e nel suo abbraccio d'amore». E ha preso la parola anche l'iman Nour Dachan, che ha ricordato le sei vittime di religione islamica, con un breve discorso molto applaudito: «Oggi ci troviamo a condividere il dolore di tutti».
Silvio Berlusconi è apparso molto provato alla fine del funerale. E incontrando i giornalisti nel pomeriggio prima di lasciare L'Aquila ha di nuovo ripetuto che il governo non lascerà solo nessuno: «Ho promesso davanti alle bare che il governo assumerà su di sé la responsabilità di portare aiuto a chi è stato colpito da questa tragedia». Poi ha annunciato che molte persone hanno offerto le proprie case per gli sfollati del sisma, aggiungendo che «anch'io farò quello che potrò offrendo delle mie case».

© Copyright Eco di Bergamo, 11 aprile 2009


Paparatzifan
00sabato 11 aprile 2009 19:43
Dal blog di Lella...

Dal Papa grossa donazione in contanti

Le 500 uova pasquali fatte recapitare questa mattina da Benedetto XVI ai bambini senzatetto sono state precedute, nella giornata di ieri, da una donazione in denaro che la Curia diocesana, pur non dando cifre, definisce "veramente importante e in contanti". La donazione di Papa Ratzinger è stata portata direttamente dal cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano e del segretario particolare del Pontefice.

© Copyright Repubblica online


Sisma Abruzzo/ Papa dona somma di denaro per solidarietà

Consegnata ieri da Bertone a vescovo dell'Aquila

Città del Vaticano, 11 apr. (Apcom)

Il Papa ha donato "una somma di denaro" alle popolazioni dell'Abruzzo colpite dal terremoto in segno di solidarietà: la notizia, preannunciata dalla diocesi dell'Aquila, è stata confermata dal direttore della sala stampa vaticana. Padre Federico Lombardi non ha precisato l'ammontare. L'offerta è stata consegnata ieri dal Segretario di Stato Vaticano, card. Tarcisio Bertone, al vescovo dell'Aquila, Giuseppe Molinari, a conclusione delle esequie solenni per le vittime del sisma.

© Copyright Apcom


Sisma Abruzzo/ Papa dona 500 uova a bambini dell'Aquila

Visita Pontefice 1 maggio? Vescovo: tutto da verificare

L'Aquila, 11 apr. (Apcom)

Sono arrivate questa mattina le 500 uova di Pasqua di cioccolato che Papa Benedetto XVI ha voluto regalare ai bambini dell'Aquila, in seguito al terremoto che ha colpito l'Abruzzo. Una delegazione vaticana, composta da due gendarmi e tre vigili del fuoco del Vaticano, ha fatto arrivare un centinaio di scatole con le uova, presso la chiesa di San Francesco a Pettino. Ad accoglierli è stato il vescovo dell'Aquila, monsignor Giuseppe Molinari: "Siamo veramente grati al Papa per la sua vicinanza a questo evento drammatico - ha detto il vescovo - è un gesto concreto di vicinanza e di solidarietà ai bambini e di attenzione ai più piccoli".
Sulla visita di Benedetto XVI agli sfollati e alla popolazione dell'Aquila, il vescovo ha risposto: "Stiamo vedendo quando sarà possibile; qualcuno parla del 1 maggio, ma è tutto da verificare. Intanto Benedetto XVI segue tutto da vicino".

© Copyright Apcom


Sisma Abruzzo/ Da Vaticano calici per alcuni chiese colpite

Roma, 11 apr. (Apcom)

Il Vaticano, a quanto si apprende, ha inviato calici e paramenti liturgici ad alcune comunità cattoliche dell'Abruzzo che ne sono rimaste sfornite dopo il terremoto che ha colpito, tra l'altro, diverse chiese.
E' intanto arrivato all'Aquila un carico di uova di Pasqua di cioccolata che il Papa ha voluto regalare ai bambini delle famiglie dei terremotati in segno di solidarietà. Le uova verranno distribuite da una rappresentanza dei vigili del fuoco e della gendarmeria del Vaticano, di concerto con la diocesi dell'Aquila, a due tendopoli di sfollati.

© Copyright Apcom


+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 01:33
Maria e l'ascesa di Cristo al Golgota tra letteratura e tradizione


ROMA, sabato, 11 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo dell'Arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, apparso su “L'Osservatore Romano”.

* * *

«Anche noi, povere donne senza più lacrime, lasciammo il Calvario con Giovanni, che da quel momento mi prese con sé. E nei giorni del pianto, per confortarmi mi raccontò molte cose di lui. Anch'io gli raccontai quelle cose che, dalla sua prima infanzia, mi erano accadute per causa di lui, e che io conservavo diligentemente nel cuore. E il contarcele e il ricontarcele era un modo di continuare a vivere con lui, a vivere di lui». Sono le parole finali di una delicata autobiografia immaginaria di Maria stesa poco prima della sua morte dallo scrittore e sacerdote pavese Cesare Angelini e pubblicata nel 1976 con il titolo La vita di Gesù narrata da sua Madre.

Anche noi abbiamo pensato — sia pure in modo non «letterario», ma esegetico — di raccogliere il filo dei ricordi che partono da quel tardo pomeriggio di un venerdì primaverile di una data imprecisata degli anni 30 dell'era cristiana, quando Maria e il discepolo amato scesero da un piccolo sperone roccioso della periferia di Gerusalemme, chiamato «Golgota», in aramaico «cranio», ribattezzato dai romani «Calvario». Di quelle ore tragiche, iniziate in un giardino della valle del Cedron, il torrente orientale di Gerusalemme, nella notte del giovedì, abbiamo un ricco resoconto offerto da tutti gli evangelisti, un resoconto che è anche meditazione e teologia, contrassegnato dalla memoria storica e dalla fede degli scrittori sacri. Ebbene, noi sfoglieremo quelle quattro narrazioni con una finalità ben precisa e circoscritta, ossia la ricerca del volto della Madre del condannato Gesù di Nazaret. Ma ecco, subito, una sorpresa.

Da secoli la pratica popolare della Via Crucis, sorta probabilmente all'epoca delle crociate tra il xii e il xiv secolo ci ha abituati a incrociare Maria lungo quella strada di Gerusalemme che porta ancor oggi il nome di Via dolorosa. Il corteo vociante avanza sotto la guida e la responsabilità del cosiddetto exactor mortis, il centurione romano incaricato dell'esecuzione della condanna per crocifissione. Il condannato è scortato da quattro soldati armati di lance, dietro e ai lati si ammassa la folla dei curiosi. Dalle case e dai negozi si affacciano i cittadini di Gerusalemme, un po' come avviene ancor oggi quando per questa stessa strada si muove la processione dei pellegrini che è diretta al Santo Sepolcro pregando e cantando. Soste per cadute del condannato o per piccoli incidenti di percorso sono scontate e alcune sono registrate dagli stessi vangeli: pensiamo, per esempio, a Simone di Cirene, un ebreo della diaspora residente a Gerusalemme, che, rientrando dalla campagna, è costretto a portare per un tratto la croce del Cristo.

La Via Crucis, però, ci ha abituati a una sosta tutta particolare: è la quarta stazione, quella in cui gli occhi di Gesù velati dalla sofferenza si incontrano con quelli, velati di lacrime, di sua madre. Tuttavia Marco, Matteo, persino Luca e Giovanni, più attenti a segnalare la presenza di Maria accanto a Gesù, tacciono. Forse si potrebbe ipotizzare che il volto di Maria si nasconda, quasi anonimamente, tra quelle donne che Luca ritaglia tra la folla dei curiosi. Erano «donne che si battevano il petto e facevano lamenti su Gesù. Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli! Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato! (...) Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Luca, 23, 27-31).

Le parole di Gesù sono piuttosto aspre: il legno secco a cui si appicca il fuoco è il simbolo del peccato che verrà incenerito dal giudizio di Dio, mentre il legno verde è segno dell'uomo giusto, Cristo stesso, che si tenta ora di eliminare col giudizio umano. Ma è difficile pensare che tra quelle donne ci sia Maria. Esse, infatti, altro non sono che le caratteristiche lamentatrici professionali «che si battevano il petto e facevano lamenti» in occasione dei riti funebri. Forse erano alcune pie donne assistenti dei condannati a morte, una specie di «confraternita della buona morte». Cristo non ha bisogno di compianto e di pie consolazioni e, pur non rifiutando quel gesto di solidarietà, lancia a loro un messaggio di penitenza invitandole piuttosto a pensare alla loro imminente tragedia. Quella tragedia che, dopo pochi decenni, nel 70, spazzerà via la città santa e ne annienterà gli abitanti sotto l'incombere delle armate romane di Vespasiano e Tito.

Certo è che alla fine ritroveremo Maria sulla cima del Golgota. È per questo, allora, che i vangeli apocrifi non hanno esitato a colmare liberamente e un po' fantasticamente quel vuoto alla narrazione evangelica canonica offrendo in tal modo la fonte per quella stazione della Via Crucis. Così, nel Vangelo di Gamaliele, giunto a noi in una versione etiopica del v-vi secolo, ma di origine più antica, Maria è ripetutamente in scena durante la passione. È lei che consola l'apostolo Giovanni scoraggiato per il tradimento di Pietro. Ed è lei che con altre donne che avevano seguito Gesù fin dalla Galilea si incammina dietro a quel lugubre corteo. Anzi, secondo questo testo popolare, scoppia anche un piccolo alterco con alcune spettatrici della scena, cioè con le madri degli innocenti trucidati da Erode al tempo della nascita di Gesù. «C'erano là delle donne: Giovanna, moglie di Cusa, Maria Maddalena e Salome. Esse abbracciarono la Vergine nostra signora e la sostennero. Un lamento interiore serpeggiava nella cerchia di tutte queste sante donne che piangevano pronunziando commoventi parole. Ma altre donne ebree, udendo il pianto, ingiuriavano Maria dicendo: È giunta per noi oggi la vendetta contro di te e contro tuo figlio. Per colpa tua il nostro grembo rimase senza figlio, due anni dopo che tu generasti il tuo!».

Il corteo della crocifissione esce finalmente dalle mura della città e sale sul Calvario. Qui finalmente il silenzio dei vangeli riguardo a Maria si rompe. A tutti è noto che l'evangelista Giovanni racconta un episodio molto essenziale, ma segnato da intense allusioni spirituali. Gesù ormai è stato innalzato da terra ed è alle soglie dell'agonia in croce. È a questo punto che Giovanni aggiunge: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù, allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo; Ecco tua madre! E da quel momento il discepolo la accolse con sé» (19, 25-27). Qual è il valore di questo atto estremo di Cristo? È solo una raccomandazione, piena di amore filiale, indirizzata al discepolo più caro perché si incarichi del sostentamento e della protezione di Maria? Oppure nei dati realistici del racconto si nascondono ulteriori significati simbolici spirituali?

Le parole di Gesù sono solo un «testamento domestico», come scriveva sant'Ambrogio, o sono la rivelazione di una nuova maternità spirituale di Maria, come ha dichiarato lo stesso vescovo di Milano e come hanno ripetuto Pio xii nell'enciclica Mystici Corporis e Giovanni Paolo ii nella Redemptoris Mater? L'affidamento di Maria a Giovanni è ricordato solo per ribadire la verginità di Maria, priva di altri figli a cui essere affidata, come volevano i primi vescovi e scrittori della Chiesa, da Atanasio a Ilario, da Girolamo ad Ambrogio? Oppure, secondo quanto scriveva un altro di questi padri della Chiesa, Efrem siro (iv secolo), come Mosè incaricò Giosuè di prendersi cura del popolo ebraico in sua vece, così Gesù incaricò Giovanni di prendersi cura di Maria, cioè della Chiesa, popolo di Dio?

Ai piedi della croce sono presenti quattro donne: di tre conosciamo i nomi, Maria madre di Gesù, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala, della quarta è riferita solo la parentela, è la sorella di Maria e quindi la zia di Gesù, il cui nome forse non era stato conservato sino al momento della tarda stesura del quarto vangelo. Gli altri evangelisti, però, introducono anche altre donne: Maria, madre di Giacomo, la madre dei figli di Zebedeo, Salome, Giovanna. Spesso si permetteva ai parenti, agli amici e ai nemici di una persona crocifissa di seguire le ultime ore di quell'atroce agonia. Sappiamo, per esempio, che un infame re ebreo della dinastia degli Asmonei, Alessandro Janneo, discendente dei grandi Maccabei, che regnò dal 102 al 76 prima dell'era cristiana, aveva fatto crocifiggere i capi farisei di una rivolta contro il suo regime. Egli aveva voluto che attorno alle croci fossero raccolte le famiglie dei singoli condannati perché assistessero al supplizio e i crocifissi vedessero il pianto disperato delle loro mogli e dei bambini, mentre il re, sotto un lussuoso padiglione, banchettava con le sue concubine.

L'obiettivo di Giovanni si fissa, però, solo su due visi. Il primo, naturalmente, è quello di Maria, il secondo è quello del «discepolo che Gesù amava». Si è discusso a lungo sull'identità di questo discepolo che è citato soltanto sei volte nel quarto vangelo e solo a partire dalla passione (vedi Giovanni 13, 23-26). Alcuni hanno pensato persino a Lazzaro a cui Gesù «voleva molto bene», anzi, era «colui che egli amava» (Giovanni, 11, 3-5). Altri sono ricorsi a Giovanni Marco, il cristiano discepolo di Paolo e di Pietro, che aveva una casa a Gerusalemme (Atti, 12, 12) e che la tradizione identifica con l'evangelista Marco. Più semplice è il riferimento tradizionale all'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Tuttavia l'espressione usata dall'evangelista sembra avere una risonanza ulteriore: in Giovanni di Zebedeo si vuole quasi certamente rappresentare anche il ritratto del perfetto discepolo, il titolo acquista anche un valore simbolico. Il teologo Max Thurian nel suo libro Maria, Madre del Signore e figura della Chiesa definiva questa figura come «la personificazione del discepolo perfetto, del vero fedele del Cristo, del credente che ha ricevuto lo Spirito». Il quarto evangelista, allora, in questa scena ai piedi della croce vuole ricamare un'immagine ulteriore che supera i semplici connotati storici.

Decisiva in questa linea è la doppia dichiarazione di Gesù. Non si tratta di una formula d'adozione, come è stato ipotizzato da qualche studioso, perché non ne ricalca lo schema giuridico: «Tu sei mio figlio...» (Salmi, 2, 7). È, invece, una formula di rivelazione, simile a quella celebre del Battista: «Ecco l'agnello di Dio!». Non siamo, quindi, di fronte a un semplice atto sociale che sfocia in un incarico del tipo: «Io ti lascio mia madre perché te ne prenda cura». Siamo, invece, davanti a una duplice parola solenne che svela il mistero e il significato ultimo di una persona. La prima «rivelazione» è indirizzata a Maria interpellata con un inatteso vocativo: «Donna!». Questo termine, usato normalmente nel mondo ebraico e greco e anche da Gesù nei confronti delle donne — la cananea della zona di Tiro e Sidone a cui guarisce la figlia, la samaritana, la donna curva guarita in giorno di sabato, l'adultera, Maria di Magdala — è piuttosto strano se usato nei confronti della propria madre. Eppure Gesù si era già rivolto a sua madre con questo appellativo agli inizi della sua missione, proprio come ora lo fa alla fine. A Cana, durante il pranzo nuziale, riferendosi idealmente al momento che si sta adesso compiendo — quello che Giovanni chiama «l'ora» per eccellenza —, aveva detto a Maria: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Giovanni, 2, 4).

Il titolo solenne «Donna» vuole alludere, secondo il gioco dei rimandi simbolici caro al quarto vangelo, alla «donna» che sta alla radice della storia umana e a quel celebre passo della Genesi: «Io porrò inimicizia tra il serpente e la donna, tra il suo seme e quello della donna (...) L'uomo chiamò la donna Eva perché essa fu la madre di tutti i viventi» (3, 15.20). La prima donna era stata l'inizio e la madre dell'umanità intera; ora Maria diventa l'inizio e la madre di tutti i credenti nel Figlio suo. Maria appare ora nella sua funzione materna, quella di essere la madre di tutti i fedeli, segno della Chiesa che genera nuovi figli a Dio e li protegge dal drago del male, come si dirà anche in un famoso passo dell'Apocalisse: «Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bimbo appena nato. Essa partorì un figlio maschio» (12, 4-5).

La «donna» Maria, nuova Eva, sta quindi vivendo l'«ora» del suo Figlio come sua «ora»: come il Cristo, soffrendo e morendo, genera la salvezza, così Maria, soffrendo e perdendo tutto, diventa madre della Chiesa. Infatti, la seconda dichiarazione di Gesù presenta al discepolo amato, simbolo dei credenti, la sua madre spirituale: «Ecco tua madre!». È curioso notare che nella trentina di parole che compongono l'originale greco del brano per ben cinque volte si ripete il vocabolo mèter, «madre». Già sant'Ambrogio vedeva in Maria ai piedi della croce il mistero della Chiesa e nel discepolo amato il cristiano figlio della Chiesa. A questo punto Maria e il discepolo lasciano il Calvario; il cadavere di Gesù sta per essere deposto nel sepolcro nuovo di un uomo benestante di Arimatea, Giuseppe. Ma Giovanni ci lascia un'ultima, piccola indicazione: il discepolo accoglie con sé Maria.

Questa annotazione è stata spesso interpretata come una semplice notizia di cronaca: il termine greco usato per descrivere questo avere «con sé» Maria è ìdia e può significare anche «casa, proprietà, patria». E possibile certamente intendere, come fa qualche versione della Bibbia, che il discepolo amato «prese nella sua casa» Maria. È nata da qui la tradizione popolare secondo cui Maria avrebbe seguito Giovanni in Asia Minore (Turchia) e sarebbe morta a Efeso. Ancor oggi a otto chilometri dalle celebri rovine di Efeso su un monte in un paesaggio verdeggiante, si leva una chiesetta collegata idealmente alla residenza efesina di Maria e Giovanni. Tuttavia, se noi continuiamo a seguire il filo dei rimandi a cui il quarto vangelo ci ha abituati, ci accorgiamo che quella parola greca è carica di altri significati. Nel prologo del vangelo, per esempio, il termine greco ìdia/ìdioi indica «i suoi», la sua gente, cioè il popolo a cui Gesù apparteneva: «Venne tra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto» (1, 11). E alle soglie della morte di Gesù, Giovanni scriverà questa bellissima frase: «Sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi (ìdioi) che erano nel mondo, Gesù li amò sino alla fine» (13, 1). La frase che chiude la scena del Calvario è, allora, carica di una risonanza ulteriore: Maria e il discepolo non solo avranno la stessa residenza ma saranno in comunione di fede e di amore proprio come il cristiano che accoglie e vive in comunione profonda con la Chiesa, sua madre.

Questa scena del Calvario che abbiamo ora rammentato è ormai nella mente, nel cuore e nella fantasia di tutti, anche perché a partire dal vii secolo la raffigurazione della crocifissione è entrata trionfalmente nell'arte cristiana — prima si preferiva rappresentare solo il Cristo risorto, glorioso coi segni della passione. Anche la scena successiva della deposizione dalla croce ha avuto infinite presentazioni artistiche: chi non conosce la Pietà di Michelangelo della basilica di San Pietro e chi non si commuove di fronte all'altra, meno nota, ma altrettanto straordinaria, Pietà di Michelangelo, quella cosiddetta «Rondanini» del Castello Sforzesco di Milano, in cui il Cristo morto sembra quasi ritornare nel grembo di Maria? Ma è col Settecento che inizia ad avere grande successo la figura della Mater dolorosa, sulla scia della festa della Madonna Addolorata, che si celebra il 15 settembre. Maria è raffigurata col cuore trafitto da sette spade, simbolo del dolore supremo, per evocare quella misteriosa profezia che le aveva indirizzato il vecchio Simeone durante la presentazione di Gesù bambino al Tempio: «Anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Luca, 2, 35). È come se simbolicamente la lancia che aveva trafitto il costato del Figlio morto trapassasse ora anche la Madre.

Ed è davanti a questa figura di donna e madre «addolorata», segno e sintesi di tutte le donne e le madri addolorate, che si scioglieranno i canti più noti della pietà cristiana e mariana. Tra queste voci, la più celebre è certamente lo Stabat Mater, il bellissimo lamento attribuito a Jacopone da Todi (xiii secolo) ed entrato anche nella liturgia. Lo si potrebbe ascoltare con tutte le sue appassionate sfumature umane e spirituali in una delle numerosissime rese musicali: da quella del Palestrina (1525-1594), che ne stese due rispettivamente a 8 e a 12 voci, a quella di Alessandro Scarlatti (1660-1725) che scrisse anche due oratori dedicati ai Dolori di Maria sempre Vergine (1703) e alla Vergine addolorata (1717); dallo Stabat Mater che Pergolesi (1710-1736) compose per una confraternita napoletana nel convento cappuccino di Pozzuoli, ove si era ritirato per curarsi la tisi e ove morirà giovanissimo, «un divino poema di dolore», come lo definirà Bellini, a quello sontuoso e laborioso di Rossini che lo iniziò, lo interruppe e lo completò solo anni dopo, nel 1841; da quello mirabile di Verdi (1897) fino a quello, molto suggestivo, del musicista ceco Antonín Dvorák che lo compose a Praga nel 1877, lo propose nel 1880 per dirigerlo di persona con un vero trionfo nel 1884 a Londra.

Ma prima di concludere il nostro viaggio con Maria lungo la Via dolorosa sorge spontanea una domanda: Maria incontra suo Figlio risorto? Negli scritti canonici il Cristo risorto appare a Maria di Magdala, alle donne che accorrono al sepolcro la mattina di Pasqua, agli apostoli, ai due discepoli di Emmaus. Ma su Maria non c'è una sola parola dopo la grande scena del Calvario. La tradizione popolare si è, invece, affidata ancora una volta al terreno piuttosto insicuro degli apocrifi, col citato Vangelo di Gamaliele. Secondo questo testo Maria, prostrata dalla prova, rimane in casa, ed è Giovanni che le riferisce della sepoltura del Cristo. Maria, però, non si rassegna a restare lontana dalla tomba di suo figlio e dice tra le lacrime a Giovanni: «Anche se la tomba di mio figlio fosse l'arca di Noè, io non ne riceverei nessun conforto se non la vedo e vi possa versare sopra le mie lacrime. Giovanni le rispose: Come possiamo andarci? Davanti alla tomba stanno quattro soldati dell'esercito del governatore! (...) La Vergine, però, non si lasciò trattenere e la domenica, di buon mattino, si recò al sepolcro. Giunta di corsa, si guardò intorno e fissò lo sguardo sulla pietra: era stata rotolata via dal sepolcro. Allora esclamò: questo miracolo è avvenuto a favore di mio figlio! Si sporse in avanti, ma non vide all'interno del sepolcro il corpo del figlio. Quando il sole spuntò, mentre il cuore di Maria era abbattuto e triste, si sentì penetrare nella tomba dall'esterno un profumo aromatico: sembrava quello dell'albero della vita. La Vergine si voltò e in piedi, presso un cespuglio di incenso, vide Dio vestito con uno splendido abito di porpora celeste».

Maria, però, non riconosce in questa figura gloriosa suo figlio e allora inizia un dialogo con l'essere misterioso simile a quello che il vangelo di Giovanni (20, 11-18) riferisce tra Maria Maddalena e il Cristo, scambiato per il custode del cimitero. Alla fine, però, ecco lo scioglimento dell'enigma: «Non smarrirti, Maria, osserva bene il mio volto e convinciti che io sono tuo figlio! Io sono il Gesù che consola la tua tristezza, io sono il Gesù per la cui morte hai pianto, io sono il Gesù per il cui amore hai versato lacrime. Ma ora sono vivo e ti consolo con la mia risurrezione prima di tutti gli altri. Nessuno ha portato via il mio cadavere, ma sono risorto per volere del Padre, o madre mia! Udite queste parole, il cuore della Vergine si colmò di consolazione, cessò di piangere e di essere smarrita ed esclamò: Sei dunque risorto, mio Signore e mio figlio! Felice risurrezione! E si inginocchiò a baciarlo». Ma non è questa l'unica testimonianza tradizionale dell'incontro del Cristo risorto con sua madre. Ne vogliamo citare un'altra, molto fastosa e solenne, tratta dalla pietà popolare della comunità cristiana d'Egitto, i Copti. Si tratta appunto di un frammento copto del v-vii secolo, traduzione di testi più antichi.

«Il Salvatore apparve sul grande carro del Padre di tutto il mondo e, nella lingua della sua divinità, gridò: Maricha, marima, Thiath! — che significa: “Mariam, madre del Figlio di Dio!”. Mariam ne capiva il senso, perciò si volse e rispose: Rabboní, Kathiath, Thamioth! — che significa: “Figlio di Dio onnipotente, mio Signore e mio figlio!”. Il Salvatore le disse: Salve a te che hai portato la vita a tutto il mondo! Salve, madre mia, mia santa arca, mia città, mia dimora, mio abito di gloria del quale mi sono vestito venendo nel mondo! Salve, mia brocca piena d'acqua santa! (...) Tutto il paradiso gioisce per merito tuo. Ti assicuro, Maria, mia madre: colui che ti ama, ama la vita. Poi il Salvatore aggiunse: Va' dai miei fratelli e di' loro che sono risorto dai morti e che andrò al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (...) Maria disse a suo figlio: Gesù, mio Signore e mio figlio unico, prima di andare nei cieli da tuo Padre, benedicimi perché io sono tua madre, anche se vuoi che io non ti tocchi! E Gesù, vita di tutti noi, le rispose: Tu sarai assisa con me nel mio regno. Il Figlio di Dio si innalzò, allora, sul suo carro di Cherubini mentre miriadi di angeli cantavano: Alleluia! Il Salvatore stese la mano destra e benedisse la Vergine». A noi che preferiamo stare solo sulla solida base della tradizione neotestamentaria basterà suggellare il nostro itinerario nelle ore della Passione in compagnia di Maria ricorrendo alla nota del capitolo di apertura degli Atti degli Apostoli, quando tutta la comunità cristiana attende il dono dello Spirito, unita attorno a Maria: «Erano tutti assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e coi fratelli di lui» (1, 14).




[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 11 aprile 2009]
+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 01:33
PASQUA: GLI AUGURI DI BERLUSCONI A BENEDETTO XVI

Roma, 11 apr. (Adnkronos) - ''Beatissimo Padre in questo momento di grande dolore per l'Italia desidero ringraziare la Santita' Vostra per l'intensa e paterna partecipazione. Con animo grato ci affidiamo alle Sue preghiere in occasione della Santa Pasqua''. E' il messaggio augurale per la Santa Pasqua inviato dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Benedetto XVI.
+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 01:34
PAPA: RISURREZIONE E' EVENTO SCONVOLGENTE IN PARTE INCOMPRESO

(AGI) - CdV, 11 apr. - Il messaggio della Risurrezione "spesso rimane, in qualche misura incompreso, una cosa del passato". Lo sottolinea il Papa nell'omelia della veglia pasquale da lui presideuta questa sera nella Basilica di San Pietro. "La nascita del Bambino divino - osserva - ci e' in qualche modo immediatamente comprensibile. Possiamo amare il Bambino, possiamo immaginare la notte di Betlemme, la gioia di Maria, la gioia di san Giuseppe e dei pastori e il giubilo degli angeli.
Ma risurrezione non entra nell'ambito delle nostre esperienze, e cosi' la Chiesa cerca di condurci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento misterioso nel linguaggio dei simboli nei quali possiamo in qualche modo contemplare questo evento sconvolgente: la luce, l'acqua e il canto nuovo, l'alleluia". Per il Papa teologo, "la risurrezione di Gesu' e' un'eruzione di luce, il Risorto stesso e' Luce, la Luce del mondo. Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo". Poi c'e' l'acqua: "con Cristo - ricorda Joseph Ratzinger - quasi discendiamo nel mare della morte, per risalire come creature nuove". Mentre "l'altro modo in cui incontriamo l'acqua e' come sorgente fresca, che dona la vita, o anche come il grande fiume da cui proviene la vita". "Senza acqua - spiega il Pontefice - non c'e' vita. Colpisce quale importanza abbiano nella Sacra Scrittura i pozzi. Essi sono luoghi dove scaturisce la vita.
Presso il pozzo di Giacobbe, Cristo annuncia alla Samaritana il pozzo nuovo, l'acqua della vita vera". Il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale e' l'alleluia: quando un uomo sperimenta una grande gioia, non puo' tenerla per se'. Deve esprimerla, trasmetterla. Ma che cosa succede quando l'uomo viene toccato dalla luce della risurrezione e in questo modo viene a contatto con la Vita stessa, con la Verita' e con l'Amore? Di cio' egli non puo' semplicemente parlare soltanto. Il parlare non basta piu'. Egli deve cantare".

+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 16:30
La Pasqua tra i cristiani nell'Iraq ferito dal saguinoso conflitto


In Iraq la minoranza cristiana festeggia la Pasqua tra le violenze e gli attentati che continuano ad insanguinare il Paese. E’ una lunga Via Crucis: la mancanza di sicurezza e la povertà spingono molti ad un esodo forzato. Ascoltiamo mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intervistato da Claudia Di Lorenzi:

R. - Soffriamo ogni giorno, e ogni giorno ci basta! Le sofferenze che abbiamo in questi ultimi anni a causa della nostra fede, le presentiamo al Signore come riparazione per le nostre mancanze verso di Lui. E per questo io chiedo anche a tutti i miei confratelli cristiani nel mondo di pregare per noi e di chiedere al Signore di dare la pace a tutto il mondo, e specialmente ai Paesi orientali.
D. – Il mistero della Croce che a Pasqua trova compimento nella resurrezione di Cristo può aiutare i cristiani iracheni a cogliere il volto di Dio dietro le proprie sofferenze?

R. - E’ la croce del Signore che ci dà la forza per sopportare tutto ciò che accade a noi e a tutto il mondo. Noi dobbiamo essere riconoscenti per tutte le grazie che ci ha dato e continua a darci.

D. - Il messaggio di pace della Pasqua invita le Chiese cristiane a superare le divisioni nel percorso verso l’unità…
R. - La Pasqua ci invita ad amarci l’un l’altro, ad essere uniti: siamo figli della Chiesa, siamo figli di Dio, figli di una sola famiglia: della famiglia del Signore. Ci invita ad essere sempre uniti, nella preghiera, nelle nostre suppliche affinché il Padre sia sempre con noi.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 16:31
Pellegrini di tutto il mondo alla Messa pasquale nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme


Le campane hanno suonato, oggi, a Gerusalemme. Un tripudio di gioia questa mattina nella Basilica del Santo Sepolcro dove attorno all’Anastasis, come la chiamano i greci, o “Chiesa della resurrezione”, come la chiamano i cristiani locali, un’assemblea di fedeli e pellegrini provenienti da ogni angolo della terra, ha partecipato alla solenne Messa pontificale di Pasqua. Il servizio è di Sara Fornari:

Presieduta dal Patriarca latino, mons. Fouad Twal, e celebrata sull’altare posto davanti all’Edicola che custodisce la tomba, la celebrazione ha fatto riecheggiare nella Basilica il canto della resurrezione. L’“Exsultet” e il Vangelo del Risorto erano già stati proclamati ieri durante la Veglia pasquale che nel Santo Sepolcro viene celebrata per motivi di ‘status quo’ - il regolamento dei turni delle comunità in Basilica - già il sabato mattina. E se è vero che nella Basilica cuore di Gerusalemme è sempre Pasqua, l’annuncio della resurrezione e l’Alleluja sono esplosi solo stamane nella loro pienezza, risuonando nei cuori di tanta gente.

Culmine della liturgia pasquale nella Basilica del Risorto è la processione con l’Evangelario, che a conclusione della Messa è stato portato solennemente intorno al Sepolcro vuoto, proclamando in quattro punti diversi della Basilica il Vangelo della Resurrezione, quasi ad indicare la notizia che da qui dev’essere annunciata fino ai confini della terra. I cattolici ortodossi hanno poi riempito il sagrato del Santo Sepolcro, in questo giorno dove nella Città santa diverse celebrazioni si intersecano. Già stamattina presto, prima della Messa pontificale, la Basilica aveva accolto il Patriarca greco-ortodosso e quello armeno che celebrano oggi con le loro comunità la Domenica delle Palme. E durante la solenne celebrazione eucaristica dei latini al Santo Sepolcro, altri canti si sono sovrapposti al tripudio pasquale della comunità cattolica di Gerusalemme.

Nell’omelia, il Patriarca ha ricordato lo smarrimento della Maddalena davanti alla morte, un’immagine delle folle di giovani e meno giovani che, oggi come ieri, cercano il Signore e non lo trovano né nella politica, né nell’economia, né nella giustizia internazionale, né nelle Costituzioni dei Paesi che si dicono cristiani moderni. Ma l’inaudito annuncio della Resurrezione – ha continuato il Patriarca – raggiunge noi che nella vita quotidiana siamo tutti, in un modo o nell’altro, toccati dalla sconfitta e che ci confrontiamo quotidianamente con piccole morti. Noi cristiani – ha proseguito mons. Twal – osiamo parlare di Pasqua, di gioia e di vittoria sulla morte anche quando continuiamo a contare centinaia di migliaia di vittime di guerre, malattie e catastrofi naturali in tutto il mondo. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre quotidianamente immagini di violenza e di guerra ci circondano. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte mentre la Terra Santa è stata appena insanguinata a Gaza.

“Lasciamo che il Signore guardi le nostre ferite”: questa l’esortazione finale di mons. Twal, che ha incoraggiato anche a proclamare l’Alleluja innanzitutto in famiglia, ma poi anche davanti agli uomini, senza vergognarsi di mostrare la nostra fede in Gesù risorto a tutti, con la testimonianza, la gioia e l’amore fraterno.
La Pasqua è festa di Risurrezione, ma in Terra Santa s’intreccia col dolore e l’ingiustizia. E’ la testimonianza di padre Severino Lubecki, missionario francescano, direttore della “Casa Nova” di Betlemme per i pellegrini, al microfono di Claudia Di Lorenzi:

R. - Il patriarca precedente, Michel Sabbah, parlava della sofferenza presente in Terra Santa, sia nel popolo palestinese sia tra gli israeliani. La sofferenza è generata da questo conflitto che non riesce a trovare una soluzione, né gente coraggiosa per riconciliarsi. L’ultimo grande conflitto, quello di Gaza, è il segno più evidente che ancora siamo lontani dalla pace, dalla gioia della Resurrezione in Terra Santa. C’è tanta violenza, tanta persecuzione. Ci sono ancora questi due popoli, quello israeliano e quello palestinese, che non riescono a vivere in pace, l’uno accanto all’altro.

D. - Una Croce che irradia forte intorno a sé la Luce del Risorto. Quale speranza sollecita per gli abitanti della Terra Santa?

R. - Non possiamo lasciarci travolgere dalle tenebre, dallo scoraggiamento. Noi speriamo che anche per tutti i luoghi santi arriverà la vera Pasqua di riconciliazione, di un popolo composto da diverse nazionalità, diverse religioni, ma che riesce a camminare insieme e a vivere in pace, gli uni accanto agli altri.

D. - Una speranza che trova alimento in esperienze di dialogo anzitutto fra i singoli, a testimoniare che – scriveva Michel Sabbah, - la “terra promessa”, dove si realizza l’incontro fra Dio e l’uomo, è anzitutto l’uomo stesso, che si lascia abitare da Dio e si apre alla carità e all’accoglienza…

R. - Ci sono tanti piccoli segni di speranza, ci sono molti momenti in cui questi due popoli, soprattutto la gente più semplice, riesce a superare le barriere, le differenze; riesce a vivere insieme. Ci sono tantissime iniziative sia dalla parte israeliana che da quella palestinese, che mirano ad avvicinare questi due popoli. Si cerca di coinvolgere i giovani, di collaborare a livello culturale. Tutto questo ci fa sperare che un giorno ci sarà la pace, che è sempre dono di Dio, anche qui.

D. - Il pellegrinaggio è metafora dell’incontro con Dio: cosa significa per i pellegrini raggiungere i luoghi dove Cristo è vissuto, morto e risorto?

R. - Per capire cosa provano basta vedere il loro sguardo, prima di tutto pieno di commozione, perché con i loro occhi possono vedere, con le loro mani possono toccare quei luoghi che ancora oggi ci ricordano la presenza di Cristo sulla terra, e anche una grandissima gioia. I luoghi santi, Betlemme, Nazareth, Gerusalemme, Cana di Galilea, sono ancora oggi luoghi desiderati più degli altri. Soprattutto in questi ultimi anni vengono molti pellegrini dai Paesi dell’est europeo, e sappiamo quanto sacrificio economico richiede il pellegrinaggio in Terra Santa per loro, e quando arrivano c’è la grandissima gioia di essere tra quei privilegiati che hanno realizzato il sogno di venire in Terra Santa.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 16:31
Tra le macerie del terremoto in Abruzzo irrompe la speranza della Pasqua

Tra le macerie dell’Abruzzo irrompe la speranza della Pasqua. Altari di fortuna e piccole cappelle per le Messe sono stati allestiti in tutte le tendopoli della provincia de L’Aquila. Intanto, a sei giorni dal sisma, il bilancio sale a 294 vittime, ma in città non si scava più da ieri. Il servizio di Marco Guerra:

È una Pasqua di attesa e di speranza per gli oltre ventimila sfollati ospitati nelle tendopoli dell’Aquila e provincia. Il sentimento di rinascita per la festa della resurrezione di Gesù Cristo fa breccia nei circa 60 campi allestiti dalla Protezione civile, dove sono stati predisposti piccoli Altari di fortuna per le Messe pasquali, con il coordinamento della Curia arcivescovile de L'Aquila. Per celebrare l’Eucarestia sono giunte circa diecimila ostie e 32 bottiglie di vino, donate dalla libreria San Paolo e da Teleradiopace Chiavari, l'emittente televisiva diocesana. Il Comune di Roma ha invece donato una tensostruttura adibita a Cappella davanti alla tendopoli di Piazza D’Armi, dove stamani ha officiato la Messa il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata. Per la prima volta da secoli, l'arcivescovo dell’Aquila non ha celebrato nel Duomo ma nel cortile della Scuola ispettori della Guardia di Finanza. Durante la cerimonia - alla ha presenziato anche il premier Berlusconi - mons. Giuseppe Molinari ha ringraziato i soccorritori. ''Crediamo di poter passare dalla morte alla vita, anche perchè accanto a noi ci sono uomini e donne che hanno portato l'amore'', ha detto il presule nell’omelia. Intanto tra le rovine del capoluogo abruzzese non si scava più, ma il bilancio delle vittime sale comunque 294 morti per il decesso di uno dei feriti gravi ricoverato all’ospedale di Teramo. Sul fronte giudiziario si segnalano i primi passi dell’inchiesta sui crolli. Per ora non si registra nessun indagato ma dalle prime verifiche dei periti risultano gravi anomalie nelle strutture della casa dello studente e dell’ospedale. Novità anche sugli aiuti: quest’anno i contribuenti italiani potranno destinare il cinque per mille della dichiarazione dei redditi all’emergenza del dopo terremoto.

Don Andrea La Regina, dell’Ufficio Solidarietà sociale di Caritas italiana, descrive al microfono di Massimiliano Menichetti, quale significato assuma in un simile dramma la solennità della Pasqua e, in particolare, quale valore rivesta l’onda di solidarietà mostrata in questi giorni ai terremotati:

R. – Significa aver camminato insieme con queste popolazioni la via della Croce, il Calvario insieme con Cristo e con la sofferenza di queste popolazioni, che hanno avuto perdite umane gravissime, che sono state minate nell’interiorità. La solidarietà mostrata dall’Italia e anche dall’estero e la vicinanza, la prossimità, significa annunciare che Gesù è risorto e che quindi coloro che sono morti partecipano a questa risurrezione. Ma anche coloro che sono scampati hanno la responsabilità, l’impegno - insieme con tutta la comunità - di affidarsi al Cristo morto e risorto e, nella risurrezione, sperare in un riscatto, in una capacità di ricostruire non solo l’habitat naturale umano, ma soprattutto rinascere come comunità: forti, dignitose, capaci di affrontare anche questo grande dramma.

D. - La Pasqua è un giorno di festa. Quali dimensioni può prendere la festa in un luogo così segnato dal dolore?

R. - Come possiamo cantare - diceva il salmo - eventi di gioia, di pace, nella dispersione, nel dramma dell’oggi? E’ ancora possibile, perché l’uomo può sperare in Cristo, perché l’uomo può essere segno di speranza, dono l’uno per l’altro.

D. - In questo giorno di Pasqua, come ha visto la popolazione di questa città così segnata?

R. - Dopo l’ansia, la disperazione, il dover continuamente convivere con lo sciame sismico che mina nell’interiorità le persone, le famiglie, oggi c’è la possibilità di superare tutto questo perché la nostra realtà di fede ci impegna ad essere attenti al fratello che è prossimo a noi.

D. - Don Andrea, lei è in mezzo alla gente. Il Papa ha detto che verrà presto qui. Il significato forte di questo viaggio, secondo lei, qual è?

R. - Quello di una Chiesa che in tutte le sue dimensioni - e quindi anche nella capacità di essere prossima - vuole farsi vicina a tutti, perché spesso il dire le parole non basta: bisogna che ci sia una concretezza di presenza che rincuori queste persone, che temono soprattutto l’oblio che potrebbe insorgere quando non ci saranno più i riflettori accesi. (Montaggio a cura di Maria Brigini)



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 16:32
Nella Veglia pasquale, il Papa sottolinea il disorientamento dell’uomo contemporaneo e la salvezza offerta dall’amore di Dio


Cristo Risorto è la Luce del mondo: così il Papa, ieri sera, durante la Veglia Pasquale celebrata nella Basilica Vaticana. Nella sua omelia, Benedetto XVI si è soffermato sui tre simboli propri della Notte Santa, ovvero la luce, l’acqua ed il canto. Centrale, poi, il riferimento al disorientamento dell’uomo contemporaneo ed alla storia della Chiesa, salvata sempre – ha detto – dall’amore del Signore. Durante la Veglia, il Papa ha amministrato i sacramenti del Battesimo e della Cresima a cinque adulti: tre italiani, una cinese ed una statunitense. Il servizio di Isabella Piro:

(canto: Exsultet)


“Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto”: la melodia gregoriana dell’Exsultet ha pervaso di gioia, ieri sera, la Basilica Vaticana. Tantissimi i fedeli presenti, ognuno con la propria candela, a punteggiare le navate di San Pietro di luce, quella luce che squarcia l’oscurità della morte ed annuncia al mondo che Cristo è risorto. Ma cos’è la risurrezione? Per l’uomo di oggi, ha detto il Papa nella sua omelia, essa sembra “in qualche misura incompresa, una cosa del passato”. Ecco, allora, che la simbologia viene in nostro aiuto e ci indica il significato della Pasqua attraverso tre simboli: la luce, l’acqua ed il canto.


La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno.


“La Parola di Dio – ha aggiunto Benedetto XVI – è la vera Luce di cui l’uomo ha bisogno”, perché “Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita”, ci “indica la strada”. Ed è in Lui che “verità e amore vanno insieme”:


Il cero pasquale arde e con ciò si consuma: croce e risurrezione sono inseparabili. Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce la luce, viene la vera luminosità nel mondo.


Poi, il Santo Padre si è soffermato sul passo evangelico di Marco in cui Gesù sentì compassione per la gente che “in mezzo alle correnti contrastanti” di quel tempo non sapeva dove rivolgersi e “aspettava da Lui un orientamento”. Una situazione che si verifica anche oggi:


Quanta compassione Egli deve sentire anche del nostro tempo – a causa di tutti i grandi discorsi dietro i quali si nasconde in realtà un grande disorientamento. Dove dobbiamo andare? Quali sono i valori, secondo cui possiamo regolarci? I valori secondo cui possiamo educare i giovani, senza dare loro delle norme che forse non resisteranno o esigere delle cose che forse non devono essere loro imposte? Egli è la Luce.


Per questo, ha ribadito il Papa, “in mezzo ad una generazione tortuosa e stravolta, i cristiani dovrebbero risplendere come astri nel mondo”. Quindi, Benedetto XVI è passato a spiegare la simbologia dell’acqua. Nella Sacra Scrittura, ha detto, essa si presenta con due significati opposti: il mare, “antagonista della vita sulla terra”, e la “sorgente fresca che dona la vita”. “Senz’acqua non c’è vita”, ha ribadito il Papa, e Gesù è “quell’acqua che dona la vita che non s’esaurisce mai”:


Nel Battesimo il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche sorgenti dalle quali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili che ci lasciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare ai grandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta e così via, persone attraverso le quali veramente fiumi di acqua viva sono entrati nella storia. Grazie a Dio, le troviamo continuamente anche nel nostro quotidiano: persone che sono una sorgente. Certo, conosciamo anche il contrario: persone dalle quali promana un’atmosfera come da uno stagno con acqua stantia o addirittura avvelenata.


La preghiera da innalzare al Signore, allora, ha continuato il Papa, è quella di “poter essere sempre sorgenti di acqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore”. Infine, il Santo Padre si è soffermato sul simbolo del canto, il canto nuovo dell’Alleluia. L’Apocalisse, ha detto, rappresenta la Chiesa come in equilibrio su un mare di cristallo misto a fuoco, dal quale però viene intonato “il canto di lode dei giusti”:


Mentre, tutto sommato, dovrebbe affondare, la Chiesa canta il canto di ringraziamento dei salvati. Essa sta sulle acque di morte della storia e tuttavia è già risorta. Cantando essa si aggrappa alla mano del Signore, che la tiene al di sopra delle acque. Ed essa sa che con ciò è sollevata fuori dalla forza di gravità della morte e del male – una forza dalla quale altrimenti non ci sarebbe via di scampo – sollevata e attirata dentro la nuova forza di gravità di Dio, della verità e dell’amore.

La forza gravitazionale dell’amore e della vita di Cristo Risorto, ha ribadito il Papa, vincono l’odio e la morte. Ed è per questo, ha concluso, che la Chiesa di tutti i tempi dà sempre l’impressione di affondare e “sempre è già salvata”, sorretta dalla “mano salvifica del Signore”.

(canto: Regina Coeli)





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+PetaloNero+
00domenica 12 aprile 2009 16:32
La risurrezione del Signore non è una favola, ma un evento unico e irripetibile, è la speranza che illumina le zone buie del mondo: così Benedetto XVI il giorno di Pasqua, nel messaggio "Urbi et Orbi"


“La risurrezione del Signore è la nostra speranza”, che “illumina le zone buie del mondo in cui viviamo”: così Benedetto XVI il giorno di Pasqua, nel messaggio Urbi et Orbi, pronunciato dalla loggia centrale della Basilica vaticana, dopo aver celebrato la Santa Messa sul sagrato di San Pietro, davanti una folla di oltre centomila fedeli, che fin dalla prime ore del mattino si erano radunati nella piazza addobbata per l’occasione da splendide composizioni floreali, offerte dall’Olanda. Non disperiamo dunque davanti alla morte, ha detto il Papa rivolto ai fratelli e alle sorelle di Roma e del mondo intero, ricordando che Cristo ha estirpato la radice del male ma ha bisogno in ogni tempo di uomini e donne capaci di usare le sue stesse armi. Il servizio di Roberta Gisotti:

“Che cosa c’è dopo la morte?” “Una delle domande che più angustiano l’esistenza dell’uomo è proprio questa”, ha esordito il Papa nel suo Messaggio Urbi et Orbi. Un’“enigma” che trova risposta proprio nella Pasqua, dove “la morte non ha l’ultima parola, perché a trionfare alla fine è la Vita. Una certezza che non si fonda su semplici ragionamenti umani, bensì su uno storico dato di fede”:


"Gesù Cristo, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. Gesù è risorto perché anche noi, credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna".


“La Pasqua non segna semplicemente un momento della storia – ha spiegato il Santo Padre – ma l’avvio di una nuova condizione”. “La resurrezione pertanto non è una teoria, ma una realtà storica rivelata dall’Uomo Gesù Cristo" "Non è un mito né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile”, che giunge ad illuminare – ha osservato Benedetto XVI – “le zone buie del mondo in cui viviamo”.


“Mi riferisco particolarmente al materialismo e al nichilismo, a quella visione del mondo che non sa trascendere ciò che è sperimentalmente constatabile, e ripiega sconsolata in un sentimento del nulla che sarebbe il definitivo approdo dell’esistenza umana".
Dunque “se Cristo non fosse risorto, il ‘vuoto’ sarebbe destinato ad avere il sopravvento”.


“Una novità che cambia l’esistenza”, come è accaduto – ha ricordato il Papa in questo Anno Paolino - all’apostolo delle Genti, il cui insegnamento ed esempio debbono incoraggiarci a fidarci di Cristo, perché “il senso del nulla che tende ad intossicare l’umanità è stato sopraffato dalla luce e dalla speranza” della risurrezione”.


Ma “se è vero che la morte non ha più potere sull’uomo e sul mondo, tuttavia rimangono ancora troppo segni del suo vecchio dominio”.


“Se mediante la Pasqua, Cristo ha estirpato la radice del male, ha però bisogno di uomini e donne che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi: le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore".
Questo è stato il messaggio – ha ricordato Benedetto XVI – portato a tutto il continente africano nel recente viaggio apostolico in Camerun ed Angola.


"L’Africa, infatti, soffre in modo smisurato per i crudeli e interminabili conflitti – spesso dimenticati – che lacerano e insanguinano diverse sue Nazioni e per il numero crescente di suoi figli e figlie che finiscono preda della fame, della povertà, della malattia".


E lo stesso messaggio il Papa ripeterà fra qualche settimana “con forza in Terrasanta”, dove “la difficile ma indispensabile riconciliazione, - ha osservato - che è premessa per un futuro di sicurezza comune e di pacifica convivenza, non potrà diventare realtà che grazie agli sforzi rinnovati, perseveranti e sinceri, per la composizione del conflitto israelo-palestinese”.


Dalla Terrasanta, lo sguardo del Papa si allargherà ai Paesi limitrofi, al Medio Oriente, e al mondo intero.


“In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di povertà antiche e nuove, di cambiamenti climatici preoccupanti, di violenze e miseria che costringono molti a lasciare la propria terra in cerca di una meno incerta sopravvivenza, di terrorismo sempre minaccioso, di paure crescenti di fronte all’incertezza del domani, è urgente riscoprire prospettive capaci di ridare speranza. Nessuno si tiri indietro in questa pacifica battaglia iniziata dalla Pasqua di Cristo”.


Il pensiero del Santo Padre è andato poi ai cristiani che “soffrono persecuzioni a causa della loro fede e del loro impegno per la giustizia e la pace”, invocando per tutti “la speranza capace di suscitare il coraggio del bene e anche soprattutto quando costa”.


Nella Messa pasquale, aperta con l’antico Rito del Resurrexit, Benedetto XVI riferendosi all’antica tradizione pasquale ebraica, portata a compimento e trasformata da Cristo “nella ‘sua’ Pasqua”, ha raccomandato che tutti noi “possiamo e dobbiamo essere ‘pasta nuova’ ‘azzimi’, liberati da ogni residuo del vecchio fermento del peccato:niente più malizia e perversità nel nostro cuore”.


Negli auguri finali in ben 63 lingue, il primo indirizzo in italiano è andato a quanti “soffrono a causa del terremoto” che ha colpito l’Abruzzo.


"Il Cristo risuscitato guidi tutti su sentieri di giustizia, di solidarietà e di pace e ispiri a ciascuno la saggezza e il coraggio necessari per proseguire uniti nella costruzione di un futuro aperto alla speranza".
A chiudere gli auguri in latino, prima della Benedizione Urbi et Orbi.



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00domenica 12 aprile 2009 16:33
Il Papa: Cristo è risorto per eliminare il veleno del peccato
Scritto da Angela Ambrogetti

La celebrazione del giorno di Pasqua si apre in Piazza san Pietro con la venerazione dell’ icona acheropita del Salvatore , rito istituito nell’ anno del Giubileo del 2000 , e che da due anni vedena nuova icona che segue il prototipo medioevale. Due sportelli coprono l’immagine centrale di Cristo e, a fianco un testo paolino della resurrezione scandito in otto riquadri. Un rito recuperato dai primi secoli della Chiesa , come la sequenza di Pasqua che si canta prima del vangelo e le cui ultime parole dicono : “Cristo è davvero risorto”. Nella breve riflessione dell’ omelia Benedetto XVI riletto le parole dell’ apostolo Paolo “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”.

Un testo, ha ricordato, che risale ad appena una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, eppure – come è tipico di certe espressioni paoline – contiene già, in una sintesi impressionante, la piena consapevolezza della novità cristiana. Il passaggio dal vecchio al nuovo secondo la tradizione ebraica che diventa il cuore del cristianesimo.

“La Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, prevedeva ogni anno il rito dell’immolazione dell’agnello, un agnello per famiglia, secondo la prescrizione mosaica. Nella sua passione e morte, Gesù si rivela come l’Agnello di Dio “immolato” sulla croce per togliere i peccati del mondo. È stato ucciso proprio nell’ora in cui era consuetudine immolare gli agnelli nel Tempio di Gerusalemme. Il senso di questo suo sacrificio lo aveva anticipato egli stesso durante l’Ultima Cena, sostituendosi – sotto i segni del pane e del vino – ai cibi rituali del pasto nella Pasqua ebraica. Così possiamo dire veramente che Gesù ha portato a compimento la tradizione dell’antica Pasqua e l’ha trasformata nella sua Pasqua.” Ecco allora anche il significato cristiano degli azzimi. Per la tradizione ebraica “bisognava eliminare dalla casa ogni più piccolo avanzo di pane lievitato. Ciò costituiva, da una parte, un ricordo di quanto accaduto agli antenati al momento della fuga dall’Egitto: uscendo in fretta dal paese, avevano portato con sé soltanto focacce non lievitate. Al tempo stesso, però, “gli azzimi” erano simbolo di purificazione: eliminare ciò che è vecchio per fare spazio al nuovo. Ora, spiega san Paolo, anche questa antica tradizione acquista un senso nuovo, a partire dal nuovo “esodo” appunto, che è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita eterna.

E poiché Cristo, come vero Agnello, ha sacrificato se stesso per noi, anche noi, suoi discepoli – grazie a Lui e per mezzo di Lui – possiamo e dobbiamo essere “pasta nuova”, “azzimi”, liberati da ogni residuo del vecchio fermento del peccato: niente più malizia e perversità nel nostro cuore.” L’ esortazione del papa è nelle parole di Paolo : “apriamo l’animo a Cristo morto e risuscitato perchè ci rinnovi, perché elimini dal nostro cuore il veleno del peccato e della morte e vi infonda la linfa vitale dello Spirito Santo: la vita divina ed eterna. Nella sequenza pasquale, quasi rispondendo alle parole dell’Apostolo, abbiamo cantato: “Scimus Christum surrexisse a mortuis vere ” - sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti”. Sì! È proprio questo il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; è questo il grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dunque è vivo, chi mai potrà separarci da lui? Chi mai potrà privarci del suo amore che ha vinto l’odio e ha sconfitto la morte?”.

Al termine della messa in una piazza San Pietro resa ancora più spettacolare dai fiori dei vivaisti olandesi che da 24 anni donano gli addobbi per questa solennità, il papa è salito sulla loggia delle benedizione per il messaggio Urbi et Orbi. Nelle sue parole, l'annuncio al mondo della Pasqua che ''illumina le zone buie del mondo in cui viviamo''. Una risposta al nichilismo e al materialismo di questo tempo. La risurrezione, spiega il papa, ''non è un mito né un sogno, non è una visione né un`utopia, non è una favola, ma un evento unico ed irripetibile''. Nei saluti finali in 63 lingue, la preghiera per i terremotati dell'Abruzzo. ''Il Cristo risuscitato - ha detto il pontefice - guidi tutti su sentieri di giustizia, di solidarietà e di pace e ispiri a ciascuno la saggezza e il coraggio necessari per proseguire uniti nella costruzione di un futuro aperto alla speranza''. Ad ascoltare il Papa, nella piazza San Pietro e nelle aree circostanti, una folla di fedeli da tutto il mondo.

[Korazym]


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+PetaloNero+
00lunedì 13 aprile 2009 01:31
Omelia del Patriarca latino di Gerusalemme nella Domenica di Pasqua
Nella basilica del Santo Sepolcro



GERUSALEMME, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa Domenica di Pasqua dal Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, nella Basilica del Santo Sepolcro.

* * *

"Hanno portato via il Signore dal suo sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!" Maria Maddalena è smarrita per aver perso il suo Signore.

Lei non è sola: folle e folle di giovani e meno giovani, oggi come ieri, cercano il Signore e non lo trovano, né nella politica né nell'economia, né nella giustizia internazionale, né nelle costituzioni dei paesi che si dicono cristiani e moderni. E come Maria Maddalena, noi diciamo: - Hanno portato via il Signore, e non sappiamo dove l'hanno messo!

Ma anche Dio cerca sempre di raggiungerci per trovare il suo posto nella nostra vita e salvarci da noi stessi. Per incontrarci e farci condividere la sua natura divina arriva fino ad incarnarsi. E' entrato nella storia umana, nella storia della nostra Chiesa, entra nella nostra vita personale. E ogni volta che vi entra è Pasqua.

Ancor prima di accoglierlo festosamente in questi giorni nelle nostre celebrazioni e di proclamare la sua risurrezione, l'abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita, nella famiglia, sul lavoro, in tutte le piccole battaglie che dobbiamo sostenere, e nei modesti sacrifici che ci siamo imposti durante questa quaresima.

La Galilea - dove Gesù ha dato appuntamento ai suoi apostoli dopo la sua risurrezione - rappresenta tutti i luoghi dove vive la gente: i poveri, i malati, gli esclusi, le vittime della violenza, i peccatori come noi e i potenti di questo mondo che hanno eliminato il Signore dalla società e non gli vogliono più far posto.

Ma Dio è ostinato nel suo amore: egli continua a venire, senza stancarsi, offrendo gratuitamente la sua misericordia, il suo perdono e il suo amore. Bisogna credergli, viverlo, celebrarlo e rendere le nostre vite gioiose nell'amore! Questo è ciò che chiamiamo Pasqua. La sua resurrezione è promessa e garanzia della nostra stessa resurrezione.

Noi cristiani siamo coraggiosi. Osiamo parlare di Pasqua, di gioia e di vittoria sulla morte, quando continuiamo a contare centinaia di migliaia di vittime di guerre, malattie e catastrofi naturali in tutto il mondo. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre quotidianamente immagini di violenza e di guerra ci circondano. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre la Terra Santa è appena stata insanguinata a Gaza.

Tuttavia noi crediamo e speriamo, perché Cristo, che ci ha promesso la vittoria e la pace, sa cosa vuol dire soffrire. Non ha fatto finta di soffrire: il dolore egli lo ha vissuto realmente nel suo cuore e nel suo corpo. È stato abbandonato, rifiutato dai suoi. Ha condiviso la nostra umanità fino alla fine, fino all'angoscia, fino alla solitudine, fino alla morte , ma da tutto ciò ne è uscito vincitore.

Nella vita quotidiana siamo tutti, in un modo o nell'altro, toccati dalla sconfitta: la sofferenza fisica o morale, i momenti di solitudine, di dubbio, di abbandono, di malattia o vecchiaia. Quotidianamente ci confrontiamo con piccole morti, per non parlare di quello che ci attende alla fine della nostra vita.

A questo punto veniamo raggiunti dall'inaudito annuncio della Resurrezione. È in tutto questo, e nonostante tutto questo, che abbiamo il coraggio di cantare il nostro Alleluia: l'abbiamo trovato, Egli è risorto e noi un giorno resusciteremo con Lui!

Nonostante ciò, Dio, che è più forte della morte, rinnova la vita ogni volta che scegliamo di servire e di amare; Dio fa opera di risurrezione nella nostra vita, quando preferiamo il perdono all'odio, ogni volta che lasciamo che l'amore e la pace crescano tra gli uomini.

È vita e resurrezione quando nascono figli di Dio mediante il battesimo, la notte del Sabato Santo. È vita e risurrezione ogni volta che ci sentiamo membra viventi di questa Chiesa: non membra morte o dormienti, ma membra vive, consapevoli, fedeli e responsabili, con gioia e ottimismo.Nel Vangelo di oggi abbiamo letto come i due apostoli sono andati al sepolcro. Pietro, il più vecchio entra per primo e non vede nulla. Giovanni, arrivato prima di lui, entra a sua volta nella tomba, e: "Vide e credette" per semplici segni, come il sudario e le bende al loro posto, ma ripiegate e vuote del corpo che avevano avvolto.

È l'amore che vive e si alimenta con piccoli gesti e piccoli segni. È l'amore che spesso si manifesta attraverso piccoli segnali, e non necessariamente con grande miracoli.

Per scoprire Dio nei piccoli gesti , nelle circostanze della vita e nelle persone, dobbiamo amare e lasciarci amare . Non c'è un altro modo. E inoltre sappiamo che non c'è amore senza ferite. Il Signore non può entrare nel cuore umano, senza ferirlo.

Così, anche se ci spaventa un po', lasciamo che il Signore guardi le nostre ferite, come egli stesso ci ha mostrato le sue, "le sue piaghe per mezzo delle quali siamo stati guariti" (Is 53, 5).

In questo giorno di Pasqua, noi proclamiamo il nostro Alleluia. Noi lo cantiamo prima in famiglia e tra di noi. Ma non dobbiamo vergognarci di mostrare la nostra fede in Gesù risorto a tutti, con la testimonianza, la gioia e l'amore fraterno. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, davanti a Dio e gli uomini!

Buona festa, buona strada e felice Pasqua a tutti!

+ Patriarca Fouad Twal




Pasqua di Risurrezione a Gerusalemme
Il Patriarca latino invita a non vergognarsi della propria fede



GERUSALEMME, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- Con un'esortazione ai cristiani di Terra Santa a non vergognarsi della propria fede, il Patriarca latino di Gerusalemme ha riflettuto questa Domenica di Pasqua sull'impatto sempre attuale della Risurrezione di Cristo.

Sua Beatitudine Fouad Twal ha celebrato la Messa della Domenica di Risurrezione nella Basilica del Santo Sepolcro, sull'altare posto davanti all'Edicola che custodisce la tomba vuota di Gesù.

L'annuncio della risurrezione di Gesù era già stato proclamato sabato, durante la Veglia pasquale che nel Santo Sepolcro viene celebrata per motivi di "status quo" - il regolamento dei turni delle comunità in Basilica - già il sabato mattina.

La domenica mattina, la Basilica aveva accolto il Patriarca greco-ortodosso e quello armeno, che celebrano con le loro comunità la Domenica delle Palme. I cristiani orientali celebreranno la Pasqua domenica prossima.

"In questo giorno di Pasqua, noi proclamiamo il nostro Alleluia. Noi lo cantiamo prima in famiglia e tra di noi. Ma non dobbiamo vergognarci di mostrare la nostra fede in Gesù risorto a tutti, con la testimonianza, la gioia e l'amore fraterno. Dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, davanti a Dio e gli uomini!", ha detto il Patriarca durante l'omelia.

"Noi cristiani siamo coraggiosi - ha sottolineato nella sua prima Pasqua da Patriarca -. Osiamo parlare di Pasqua, di gioia e di vittoria sulla morte, quando continuiamo a contare centinaia di migliaia di vittime di guerre, malattie e catastrofi naturali in tutto il mondo".

"Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre quotidianamente immagini di violenza e di guerra ci circondano. Abbiamo il coraggio di credere nella vittoria sul male e sulla morte, mentre la Terra Santa è appena stata insanguinata a Gaza", ha confessato.
+PetaloNero+
00lunedì 13 aprile 2009 01:32
Settimana Santa a Roma, un'esperienza spirituale in comunione con la Chiesa
Migliaia di fedeli giunti nella Città Eterna per vivere le celebrazioni pasquali

di Carmen Elena Villa


ROMA, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- Alcuni sono arrivati a Roma per essere vicini al Papa durante le celebrazioni della Settimana Santa o per vivere questo tempo liturgico in comunione con la Chiesa universale, altri hanno approfittato di una vacanza per trovarsi in città in questo periodo pasquale. Sono alcune delle ragioni che portano ogni anno migliaia di pellegrini a vivere a Roma la Settimana Santa. In Piazza San Pietro, in questa Domenica di Risurrezione, erano circa 200.000.

Pullman pieni di pellegrini che visitavano le principali chiese e i luoghi storici di Roma, gruppi di fedeli che si riunivano a San Pietro per chiedere i biglietti d'ingresso (gratuiti) per le celebrazioni del Santo Triduo Pasquale, migliaia di fedeli che pregavano nei vari santuari della Città Eterna... E' questo l'ambiente che si è respirato in questi giorni.

E' iniziata la primavera e la temperatura è aumentata. Non ci sono state neanche le piogge tipiche del periodo, il che ha permesso ai pellegrini di visitare i luoghi santi e di assistere ad alcune cerimonie all'aperto.

Una fede viva e giovane

In questi giorni Roma si è distinta soprattutto per una consistente presenza di giovani pellegrini. Tra loro, i 4.200 studenti giunti da 200 università del mondo per il Congresso Internazionale UNIV 2009, svoltosi il 7 e l'8 aprile, un evento nato su impulso del fondatore della prelatura dell'Opus Dei San Josemaría Escrivá de Balaguer.

E' il caso del giovane messicano José Ramón Medrán, arrivato con un gruppo di compagni per partecipare all'evento e alle attività della Settimana Santa. "Abbiamo avuto l'opportunità di iniziare questo pellegrinaggio in Terra Santa per poi arrivare a Roma - ha confessato -. Accompagnare il Santo Padre durante tutta la settimana è stato un momento molto intenso e ci ha aiutati a prepararci per vivere la morte di nostro Signore e la sua risurrezione".

Medrán ha osservato che la cerimonia che l'ha più colpito è stata l'adorazione della Croce il Venerdì Santo a San Pietro: "E' stato molto bello vedere come il Santo Padre si inchinava e aveva un sentimento di mortificazione vedendo e sentendo come Cristo è stato crocifisso", ha detto a ZENIT poco prima di entrare nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

Altri giovani, come Daniel Preciado, anche lui messicano, hanno approfittato del loro soggiorno a Roma per motivi di studio per vivere la Settimana Santa. "Sono felice di vedere tanta gente riunita intorno al Vicario di Cristo e intorno a Cristo stesso. Gesù, che è presente qui, ci invita a seguirlo fino alla fine", ha riconosciuto.

"Apprezzo molto il fatto che il Santo Padre decifri la fede per applicarla in modo molto chiaro alla vita personale", ha detto il ragazzo, che studia all'Ateneo Regina Apostolorum e vive a Roma da novembre.

La catechista Stefania Mazzitelli è arrivata con 74 ragazzi e ragazze dai 13 ai 15 anni della parrocchia di San Sebastiano di Brescia, che riceveranno la Cresima il 19 maggio.

"Molti dei ragazzi non erano mai stati a una Messa con il Papa - ha detto a ZENIT -. E' stato bello trovare tanta gente con lingue diverse. Venire qui è il migliore regalo per questi giovani cresimandi".

Candelaria Kozameh, 20 anni, è arrivata dall'Argentina per far visita ad alcuni parenti che risiedono a Roma. Ha deciso di trascorrere il Venerdì Santo nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, dove secondo la tradizione si trovano i resti del legno della croce del Signore, i chiodi con cui è stato crocifisso e le spine della corona.

"E' incredibile. Mentre in tutte le chiese del mondo i cattolici adorano una replica della croce, qui stavamo adorando la vera croce su cui il Signore è stato inchiodato. E' stato molto emozionante", ha confessato dopo aver salito in ginocchio la Scala Santa, che per la tradizione fu salita da Gesù prima di essere crocifisso e nel 335 venne portata a Roma da Sant'Elena, madre di Costantino.

Due giovani seminaristi sono arrivati da Saragozza (Spagna) accompagnati dal loro formatore, padre José María Navarro, che mentre usciva dalla chiesa di Santa Prassede ha spiegato: "Ho avuto la fortuna di concelebrare con il Papa. Siamo emozionati e contenti di vedere questa città dove constatiamo la fede dei nostri primi apostoli cristiani".

Il pomeriggio del Sabato Santo, un gruppo dell'Associazione Internazionale Araldi del Vangelo si trovava alla porta della Basilica di Santa Maria Maggiore per provare la Solenne Veglia Pasquale. Tra loro c'era Gonzalo Raimundo, che ha detto a ZENIT: "Ci stiamo preparando per celebrare la Pasqua. Senza la risurrezione cos'è la nostra vita? La risurrezione è la speranza, ciò che ci esorta a camminare per andare avanti. Abbiamo accompagnato Gesù sulla croce, lo abbiamo visto morire, nel sepolcro. Nella risurrezione noi risuscitiamo con Lui per poter entrare nel Regno dei Cieli".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

+PetaloNero+
00lunedì 13 aprile 2009 01:32
Crescono i Battesimi nella notte di Pasqua
In Italia e in Francia Diocesi e parrocchie ne hanno celebrati migliaia



di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- E' un'antica tradizione quella di battezzare e cresimare nuovi fedeli alla Chiesa Cattolica durante la Veglia pasquale, ma quest'anno il numero delle persone che si sono fatte cattoliche ha toccato punte inaspettate e insolite.

Si tratta di un segnale importante a fronte di coloro che vorrebbero diffondere una cultura che vuole cancellare Cristo e bruciare i certificati di Battesimo.

In Francia 3000 adulti e 100 adolescenti sono stati battezzati nel corso della Veglia pasquale, in Italia un altissimo numero di parrocchie e Diocesi ha visto bambini, bambine e adulti italiani e provenienti da altri continenti convertirsi alla religione cattolica.

In termini numerici, sono più gli italiani che scoprono la religione cattolica e si battezzano, ma cresce anche la presenza di cinesi, africani, cubani, latinoamericani, albanesi...

In tutti i casi si è trattato di persone che hanno iniziato un cammino di conversione al cattolicesimo da almeno un paio d'anni.

A Parma sono stati undici i neocatecumeni che hanno ricevuto il Battesimo, la Cresima e la Prima Comunione. Diverse le donne che provengono dalla religione musulmana.

A Palermo undici catecumeni hanno preso i sacramenti durante la Veglia di Pasqua: cinque immigrati e per il resto siciliani figli di genitori battezzati ma non praticanti. A Termini Imerese ha ricevuto i sacramenti una ragazza che non era stata battezzata perché i genitori sono Testimoni di Geova.

A Rimini trenta tra ragazzi e adulti hanno preso i sacramenti per la prima volta. Tra questi, tre coppie di sposi e un ragazzo di 17 anni, con i cinesi come gruppo più numeroso. Multiforme la composizione geografica: albanesi, bosniaci, brasiliani, cubani, kosovari, nigeriani, slovacchi, ungheresi e dominicani.

Una giovane donna originaria della Bosnia-Erzegovina, cresciuta atea e con genitori musulmani non praticanti, ha conosciuto il Signore grazie alla frequentazione della comunità Papa Giovanni XXIII.

Due ragazze, una italiana e una albanese, sono invece arrivate ai sacramenti dopo aver conosciuto coetanei di Comunione e Liberazione.

Tra i battezzati a Verona anche una donna cinese con il proprio figlio. La signora, sposata con un italiano, ha raccontato che nella sua città natale il Governo ha imposto un'educazione atea per cui si insegnava che è sbagliato credere in Dio.

A Roma è difficile calcolare quante siano state le parrocchie in cui durante la Messa pasquale sono stati battezzati, cresimati e hanno ricevuto la Comunione nuovi catecumeni.

Particolarmente attiva la comunità albanese, che solo quest'anno ha visto 19 catecumeni battezzati.

Insomma, a fronte di un'Europa che sembra voler cancellare i segni e le radici cristiane, c'è anche una popolazione europea che scopre e si converte al cattolicesimo. Di certo, un segno dei tempi.
+PetaloNero+
00lunedì 13 aprile 2009 16:07
Benedetto XVI al Regina Coeli: la salvezza di Dio si compirà nonostante le oscurità della storia, la risurrezione ponte fra il mondo e la vita eterna


“Risorgendo da morte, Gesù ha inaugurato il giorno eterno”, un giorno che guarda alla meta finale della salvezza, quando gli uomini saranno pienamente uniti a Cristo “nonostante le oscurità della storia”. E’ il pensiero spirituale del primo Regina Coeli dopo la Pasqua espresso questa mattina da Benedetto XVI nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Il Papa, che ha concluso la preghiera mariana salutando i fedeli in cinque lingue, ha invitato i cristiani a vivere il cammino di fede sostenuti dalla forza spirituale dell’Eucaristia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Più di ogni difficoltà degli uomini, vale la promessa di Cristo: un giorno l’intera umanità sarà di Dio. E’ questo il sentimento pasquale che in queste ore muove il cuore dei cristiani. La Pasqua, ha affermato Benedetto XVI, fa del Crocifisso sul Golgota la pietra angolare del “nuovo edificio spirituale”, la Chiesa, che cammina verso quel “perfetto compimento di tutte le cose”, come San Paolo definisce la realizzazione della salvezza divina dell’uomo:


“Gioisce pertanto giustamente la comunità cristiana, noi tutti, perché la risurrezione del Signore ci assicura che il piano divino della salvezza, nonostante tutte le oscurità della storia, si compirà. Ecco perché la sua Pasqua è veramente la speranza per noi”.


La strada per raggiungere questa meta della fede ha però bisogno, ha osservato il Papa, di “santità di vita”. Dobbiamo camminare “senza sosta verso la Pasqua eterna, sorretti - ha proseguito - dalla consapevolezza”:


“Che le difficoltà, le lotte, le prove, le sofferenze dell’umana esistenza, compresa la morte, ormai non potranno più separarci da Lui e dal suo amore. La sua risurrezione ha gettato un ponte fra il mondo e la vita eterna, sul quale ogni uomo e ogni donna può passare per giungere alla vera meta del nostro pellegrinaggio terreno”.

E qui Benedetto XVI ha indicato ai fedeli la vicinanza all’Eucaristia come via per fare esperienza della risurrezione, che vuol dire anche aiuto interiore per non cedere quando l’esistenza incrocia momenti di difficoltà o dolore:


“E’ in ogni celebrazione eucaristica che la Chiesa, ed ogni suo membro, sperimentano la sua presenza viva e beneficiano di tutta la ricchezza del suo amore. Nel Sacramento dell’Eucaristia, il Signore risuscitato ci purifica dalle nostre colpe; ci nutre spiritualmente e ci infonde vigore per sostenere le dure prove dell’esistenza e per lottare contro il peccato ed il male”.

Il saluto del Papa ai fedeli raccolti nel cortile del Palazzo apostolico è stato più volte intervallato da acclamazioni di entusiasmo, alle quali Benedetto XVI ha risposto con questo augurio finale:


“A tutti, nuovamente buona Pasqua, tutta la gioia della Pasqua! Grazie a voi tutti!” (applausi)



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=793&sett...
+PetaloNero+
00lunedì 13 aprile 2009 16:09
Da Petrus

Terremoto in Abruzzo, le spoglie di Celestino V salvate dalla teca blindata



CITTA’ DEL VATICANO - Le spoglie di Celestino V salve grazie alla speciale teca blindata realizzata 21 anni fa dalla ex Societa' italiana Vetro (oggi Pilkington) di San Salvo (Ch). La reliquia del “Papa del gran rifiuto” si salvo' miracolosamente da terremoto del 1703, a seguito del crollo del soffitto dell'edificio costruito nel 1287. Una settimana fa, invece, i resti del Pontefice sono stati sepolti dalle pietre cadute dalla cupola, ma sono rimasti intatti perche' protetti dallo speciale 'sarcofago' nel quale si trova il transetto, costruito dal laboratorio prototipi della ex Siv. Venerdi' scorso la teca e' stata estratta dalla macerie per essere depositata nel Torrione della Basilica. In attesa della ricostruzione della Chiesa, il Molise si e' fatto avanti per ospitare le spoglie di Celestino V. "Per il Molise - ha detto il Presidente della Regione, Michele Iorio -, che ha dato i natali a questo grande Santo e illustre Pontefice, sarebbe un grosso privilegio poter ospitare i suoi resti mortali per il periodo necessario a ristrutturare la Basilica aquilana". Iorio ha anche dato la disponibilita' ad 'adottare' la Basilica di Collemaggio concorrendo direttamente ai lavori di restauro.
Paparatzifan
00lunedì 13 aprile 2009 19:12
Dal blog di Lella...

PASQUA: PAPA, 200 MILA FEDELI IN PIAZZA S. PIETRO E DINTORNI

(AGI) - CdV, 12 apr.

Salvatore Izzo

Una grandissima folla - che sfiora le 200 mila persone - si e' radunata oggi per la messa di Pasqua e la benedizione Urbi et Orbi in piazza San Pietro.
Sagrato e piazza sono gremiti, piena e' anche la limitrofa piazza Pio XII e si e' riempita gradualmente, nel corso della mattinata, anche l'intera via della Conciliazione.
Affacciandosi dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro per leggere il messaggio di Pasqua e gli auguri in 63 lingue e poi impartire la benedizione Urbi et Orbi, il Pontefice ha indossato per la prima volta quest'anno la mozzetta bianca di damasco, bordata di ermellino, che sostituisce nel tempo di Pasqua quella rossa.
L'ultimo Papa a indossarla prima di Ratzinger era stato Pio XII. Raggiungendo la postazione, rialzata da un gradino per consentire alla folla di vederlo meglio, Benedetto XVI ha avuto un attimo di incertezza, forse e' inciampato nella veste. Sorretto dal cerimoniere, mons. Guido Marini, si e' prontamente ripreso e ha poi letto con voce chiara e forte il lungo e articolato testo del messaggio e gli auguri nelle lingue.
Prima della benedizione Urbi et Orbi, il cardinale diacono Agostino Cacciavillan ha annunicato che unendosi alla preghiera del Papa oggi si sarebbe ottenuta l'indulgenza plenaria.

© Copyright (AGI)


+PetaloNero+
00martedì 14 aprile 2009 16:04
Il cardinale Bagnasco in Abruzzo: dalla Cei altri due milioni di euro per i terremotati


Nelle zone terremotate dell’Abruzzo è in visita da questa mattina il presidente dei vescovi italiani, il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, che ha annunciato un nuovo stanziamento di due milioni di euro per l’emergenza sisma, dopo i tre già devoluti dalla Cei. Il porporato ha visitato i malati nell’ospedale da campo e nel pomeriggio celebrerà la Messa nella tendopoli di Piazza d’Armi all’Aquila. Alessandro De Carolis lo ha raggiunto telefonicamente nel capoluogo abruzzese, durante i suoi spostamenti:

R. - Intendo rappresentare in questo momento tutti i vescovi che sono in Italia, miei confratelli, ed ho espresso alla popolazione che ho visitato in parte ed al suo pastore, mons. Molinari, la vicinanza, la solidarietà di tutte le comunità cristiane che sono in Italia, assicurando la nostra preghiera per i defunti e per coloro che sono superstiti ma che sono stati toccati o negli affetti o comunque nelle cose, frutto del loro lavoro, del loro sacrificio. Una solidarietà che nasce dalla fede e che si esprime in tanti modi, attraverso alcune risorse che abbiamo già stanziato – tre milioni subito e adesso altri due – e inoltre anche attraverso l’opera concreta di tanti nostri volontari che, organizzati dalla Caritas nazionale, qui già stanno operando e verranno ad operare.

D. – I sopravvissuti, come lei ha ricordato, hanno sperimentato fin dalla prima ora dopo il terremoto la solidarietà concreta della Chiesa. Che cosa ha visto lei, sul campo?

R. – Ho trovato persone ammirevoli per la forza d’animo che hanno, per la grande voglia di reagire per ricostruire il futuro anche in nome di coloro che hanno perso la vita ma che sicuramente dal cielo continuano a pregare, a sostenere i superstiti per ricostruire questa splendida città, queste comunità cristiane e civili. Per questo ho espresso anche alla gente la gratitudine mia personale e di tutti noi per l’esempio che ci danno di fiducia, di forza d’animo ed anche per l’esempio di fede, di fede concreta, semplice, profonda che questa gente da all’Italia.

D. – Quindi questo sarà anche il messaggio di speranza che lei darà oggi pomeriggio alla Messa che presiederà in Piazza d’Armi?

R. – Sì: riprenderò alcune di queste cose aggiungendo naturalmente la gratitudine e l’ammirazione per tutte le istituzioni, per le associazioni di volontari, a cominciare naturalmente dalla Protezione civile: hanno messo in moto una macchina gigantesca di soccorsi e sta andando rapidamente a regime. Ecco, meritano queste istituzioni di volontari tutta la nostra ammirazione, la nostra gratitudine.

Mentre proseguono le ricognizioni agli edifici da parte degli ingegneri civili, e il presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi chiede la costruzione di ripari adeguati prima “dell’inverno”, per gli sfollati quella di ieri è stata una delle giornate più dure dal 6 aprile, con pioggia, vento, freddo e nuove scosse, anche di forte intensità, che hanno creato non pochi disagi nelle tendopoli. Testimone della situazione è stato Lorenzo Colantonio, vicecaporedattore del quotidiano “Il Centro”, che ha fatto la spola nelle aree disastrate. Fabio Colagrande lo ha intervistato:

R. - Sto girando tutti i paesi più colpiti. Parlo soprattutto con i sindaci. Ieri, entrando a Poggio Picenze, il sindaco mi ha detto che ci sono 800 persone in 130 tende senza corrente elettrica e vi dico che passare la notte al buio e a due gradi di temperatura, tra il fango - perché ieri ha piovuto a dirotto - è veramente brutto. Questa mattina sono stato all’Aquila e ho visto di nuovo questa città fantasma. Mi accingo a raggiungere altri centri qui vicino, che sono Villa Sant’Angelo e San Demetrio. Sempre a Poggio Picenze, il sindaco riaprirà la scuola elementare, dove confluiranno 180 bambini: è un segno di rinascita ed è un modo per l’Abruzzo di rialzare la testa.

D. – Riaprono la scuola, Lorenzo, in una tenda...

R. – E’ una grande tenda - 25 metri di lunghezza per quasi 15 di larghezza - pneumatica. E’ molto accogliente. Ieri ci sono stato insieme a dei ragazzi di Valmontone, ragazzi clown, e insieme abbiamo fatto una grande festa con circa una trentina di bambini. Vederli ridere e dimenticare per un attimo l’orrore del terremoto è stata una flebo di fiducia. Cosa invece un po’ più brutta è quando ieri notte, a mezzanotte e mezzo, ha telefonato Giovanna De Angelis, vicesindaco di Campotosto, un posto stupendo, dove c’è un lago stupendo, che ieri sera è stato per l’ennesima volta epicentro di quella scossa fortissima di 4.8, avvertita ovunque, anche a Roma. Hanno trascorso l’intera nottata nella bufera di vento e di neve, che ha spazzato via la tenda principale. Lei mi ha chiamato chiedendo aiuto, ho girato l’informazione sul nostro sito e dopo circa mezzora è arrivata una squadra di vigili del fuoco e hanno riparato questa tenda. Poi, ieri sera, l’ho richiamata dopo quella scossa e lei ha saputo dirmi solo due parole: pregate per noi!

D. – Il tuo giudizio da osservatore, da giornalista, sulla presenza delle istituzioni in Abruzzo nel dopo terremoto, qual è?

R. – E’ un giudizio positivo. E’ un giudizio positivo, perchè c’è una sinergia che coinvolge tutta l’Italia. Ieri parlavo con dei vigili del fuoco di Pinzolo, venuti a Paganica, e ti devo dire che mi sono commosso, perché i ragazzi di Paganica e i ragazzi di Pinzolo si abbracciavano. E’ una sinergia incredibile.

Il cardinale Bagnasco ha ringraziato questa mattina all’Aquila, fra gli altri, le molte organizzazioni cattoliche che hanno fatto convergere nelle zone terremotate molti dei loro volontari. Fra loro, lavorano senza sosta sin dai primi giorni dell’emergenza anche gli Scout. Giancarlo La Vella ha raccolto le voci di due di loro, Paolo e Marco, che spiegano il loro impegno nei campi di raccolta allestiti tra Paganica e Tempèra:

R. - Cercare di fornire quel minimo supporto per far pesare meno la tragedia alla gente che è ospitata qui al campo.

D. - Quali sono le emergenze più gravi, cui avete dovuto far fronte?

R. - Sicuramente assistere qui gli anziani, soprattutto molto avanti in età: ce ne sono un paio, se non di più, che hanno oltre 90 anni, con dei problemi fisici abbastanza gravi. Il fatto di passare da una casa in muratura ad una tenda sicuramente ha creato dei disagi. Comunque, siamo sempre pronti ad alleviare questo loro peso.

D. - Cosa ti ha colpito in particolare?

R. – Mi ha colpito la loro voglia di riprendere a testa bassa e ricostruire. Queste persone mi hanno stupito per la loro dignità. Sono persone veramente speciali. Nei momenti più duri, hanno capito che costruire un campo in questa emergenza era difficile. Hanno sempre portato pazienza, anche quando era difficile capire certe scelte. Loro mi hanno insegnato veramente questa dignità, che hanno dentro gli occhi.

Quello della forza d’animo degli abruzzesi colpiti dal sisma è un tema sul quale si sofferma uno dei sacerdoti delle zone colpite, don Dante Di Nardo, parroco della Chiesa di San Francesco a Pettino, al microfono di Luca Collodi:

R. – Stiamo vivendo questi giorni con una grande voglia di ricominciare ed un darsi da fare perché dobbiamo stare vicini alla nostra gente, aiutarli in tutte le necessità, dalle necessità materiali alle necessità spirituali.

D. – Le esigenze quali sono, a otto giorni dal sisma?

R. – Le esigenze adesso sono quelle di sistemare un po’ meglio gli anziani, per esempio, che sono stati in tenda ma per tanti giorni non si possono lasciare in tenda; e allora stiamo vedendo un po’ sia sulla costa, sia per quanto riguarda le case di riposo per sistemare le persone anziane, i bambini … E soprattutto, adesso, la cosa più importante è essere presenti nei campi e cominciare ad elaborare la storia che ci è accaduta, perché fino adesso il gran da fare, il gran correre non ci ha permesso neanche di pensare. Invece, adesso bisogna sedersi ed elaborare con ogni persona l’accaduto e cercare di partire e spronare. La vita deve continuare: speriamo di ricominciare il più presto possibile. Quindi abbiamo fatto in modo che ogni campo, sia quelli già strutturati dalla Protezione civile, sia quelli che spontaneamente si sono formati, abbia la presenza del proprio parroco, di un parroco della zona, che possa stare in mezzo alle persone. Grazie ai nostri sacerdoti, questa presenza è stata massiccia.

D. – Don Di Nardo, tra l’altro queste celebrazioni pasquali hanno avuto una grande presenza di terremotati: le Messe erano piene …

R. – Non è mancato nessuno, si sono avvicinati tutti, perché in questi momenti in modo particolare si sente ancora di più la voglia di stare vicino a qualcuno che possa dire una parola che non vada verso lo scoraggiamento, il pianto, ma vada verso la speranza. E penso che il Vangelo su questo abbia tante cose da dire.(Montaggio a cura di Maria Brigini)



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00martedì 14 aprile 2009 16:05
La Chiesa celebra l'Ottava di Pasqua ripetendo con il Papa il grido di gioia: "Cristo è veramente risorto!"


La Chiesa celebra fino a domenica prossima, Domenica della Divina Misericordia, l’Ottava di Pasqua. In questi giorni continuerà a risuonare con forza il grido di gioia: “Cristo è risorto!”. Un grido che il Papa, a nome di tutta la Chiesa, ha ripetuto nei giorni dedicati alla passione, morte e risurrezione di Gesù. Riascoltiamo alcune parole di Benedetto XVI in questo servizio di Sergio Centofanti.

(canto)

Nella Messa Crismale il Papa ha spiegato il significato della consacrazione: è un passaggio di proprietà, un appartenere a Dio per essere di tutti. Nietzsche esaltava la libertà assoluta dell’uomo deridendo l’umiltà e l’obbedienza. Amare invece significa perdere se stessi per ritrovarsi in Cristo:


“L’unirsi a Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra strada e la nostra volontà; che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ci abbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi di noi. ‘Vivo, tuttavia non vivo più io, ma Cristo vive in me’”.


Nella Messa in Coena Domini Gesù mostra cosa vuol dire amare fino alla fine:


“Egli distribuisce se stesso, il vero 'pane per la vita del mondo' (cfr Gv 6, 51). Il nutrimento di cui l’uomo nel più profondo ha bisogno è la comunione con Dio stesso. Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunione con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della trasformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, un mondo di Dio”.


Con la Via Crucis si rivive "la vicenda tragica di un Uomo unico nella storia di tutti i tempi che ha cambiato il mondo non uccidendo gli altri ma lasciandosi uccidere appeso ad una croce", perdonando i suoi carnefici. "E’ per amore nostro che Cristo muore in croce!"


“Cosa sarebbe l’uomo senza Cristo? Osserva sant’Agostino: 'Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se Lui non fosse arrivato' ( Discorso 185,1). Perché allora non accoglierLo nella nostra vita?”


Gesù risorge: e a partire da questo evento "la luce di Dio - ha sottolineato Benedetto XVI nella Veglia Pasquale - entra nelle notti della storia" e si diffonde nel mondo. La Chiesa è salvata dall’amore ma tuttavia continua a stare sulle acque della morte e dell’odio e "dovrebbe affondare":


“Non è forse questa veramente la situazione della Chiesa di tutti i tempi? Sempre c’è l’impressione che essa debba affondare, e sempre è già salvata. San Paolo ha illustrato questa situazione con le parole: ‘Siamo … come moribondi, e invece viviamo’, (2 Cor 6, 9). La mano salvifica del Signore ci sorregge, e così possiamo cantare già ora il canto dei salvati, il canto nuovo dei risorti: alleluia!”


La risurrezione - ha detto il Papa nella Domenica di Pasqua - non è un mito, né un sogno, né una teoria, ma un evento storico che ha cambiato la storia del mondo, la storia di ognuno di noi. Sì, Cristo è veramente risorto:


“Sì! È proprio questo il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; è questo il grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dunque è vivo, chi mai potrà separarci da lui? Chi mai potrà privarci del suo amore che ha vinto l’odio e ha sconfitto la morte? … È Lui la nostra speranza, è Lui la pace vera del mondo”.


(canto)


[Radio Vaticana]
Paparatzifan
00martedì 14 aprile 2009 17:22
Dal blog di Lella...

Il manifesto di papa Ratzinger: "Così prenda inizio la trasformazione del mondo"

La rivoluzione cristiana nasce nella liturgia, dice Benedetto XVI. E il suo "canone", la sua regola costitutiva, è la grande preghiera eucaristica. L'ha spiegato nell'omelia del Giovedì Santo. E prima ancora in una catechesi, altrettanto sorprendente

di Sandro Magister

ROMA, 14 aprile 2009

Nella scorsa settimana santa Benedetto XVI ha accompagnato ogni celebrazione con una omelia, di quelle genuinamente sue, dalla prima parola all'ultima. Le omelie sono ormai un segno distintivo di questo pontificato. Forse ancora il meno noto e il meno capito. Ma sicuramente il più rivelatore.

Papa Joseph Ratzinger non è soltanto teologo, è ancor prima liturgo e omileta. In www.chiesa questo suo carattere inconfondibile è stato messo in evidenza più volte. Lo scorso anno, ad esempio, mettendo in rete in blocco, subito dopo Pasqua, le sei omelie della precedente settimana santa. E in autunno curando la raccolta in un libro – edito da Scheiwiller del Gruppo 24 Ore – delle omelie di Benedetto XVI dell'intero anno liturgico appena trascorso.

Dopo la settimana santa di quest'anno, invece, il lettore non troverà riportate qui sotto tutte le omelie pronunciate dal papa nell'occasione. Queste le leggerà agevolmente nel sito del Vaticano, cliccando sul link segnalato a fine pagina.

Delle omelie papali dello scorso triduo sacro ne è riprodotta qui di seguito una sola, quella della sera del Giovedì Santo.

E subito dopo il lettore troverà un altro testo di Benedetto XVI di qualche mese precedente: la catechesi da lui tenuta all'udienza generale di mercoledì 7 gennaio 2009.

I due testi sono tra loro strettamente legati. Sia nell'uno che nell'altro papa Ratzinger spiega le parole e il senso profondo del Canone Romano, la preghiera centrale e costitutiva della messa, la più antica tra quelle in uso in tutto il mondo con l'attuale messale della Chiesa di Roma.

Nella messa "in cena Domini" del Giovedì Santo il Canone Romano ha alcune varianti proprie del giorno. E fin dalle prime parole della sua omelia Benedetto XVI ne mette in luce la particolarità.
Ma è al senso complessivo di questa preghiera liturgica capitale che papa Ratzinger dedica l'intero seguito dell'omelia.
E fa lo stesso in un passaggio della catechesi del 7 gennaio, che per il resto è dedicata a illustrare il culto cristiano nel suo insieme.
Quel culto che il Canone Romano, sulla traccia di san Paolo, definisce "rationabile".
La traduzione corrente di "rationabile", nelle lingue moderne, è "spirituale". Ma Benedetto XVI mette in guardia dal pensare che il culto cristiano sia qualcosa di metaforico, di moralistico, di puramente interiore. No, spiega, il vero culto cristiano afferra gli uomini e il mondo nella loro interezza, è anche corporeità e materialità, è "liturgia cosmica" nella quale "i popoli uniti in Cristo, il mondo, diventino gloria di Dio".
È rarissimo, nella moderna produzione teologica e liturgica, incontrare una spiegazione del significato del culto cristiano così penetrante come in questi due testi della predicazione di papa Ratzinger.

© Copyright www.chiesa


Paparatzifan
00martedì 14 aprile 2009 21:25
Dal blog di Lella...

Il Pontefice prega per i terremotati e prepara il viaggio all’Aquila

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO

Il giorno di Pasquetta, Papa Ratzinger, l’ha trascorso nella quiete di Castelgandolfo dove resterà per qualche giorno, concedendosi una piccola sosta dopo le fatiche della Settimana Santa, e dove festeggerà - il 16 aprile - il suo 82esimo compleanno.
La pausa che gli servirà per riprendersi dalle lunghe e faticose cerimonie non gli ha impedito di tenersi informato e seguire da vicino il dramma abruzzese. Le notizie gli arrivano in tempo reale. Il vescovo dell’Aquila, monsignor Molinari, si tiene in contatto coi più stretti collaborati del pontefice: resta in piedi l’ipotesi del viaggio fra i terremotati e per adesso è stata fatta la data del 1° maggio, ma tutto dipende dalle attività della Protezione civile.
Ieri mattina, ai pellegrini stipati nel cortile del palazzo di Castelgandolfo, ha proposto una riflessione pensando a coloro che stanno soffrendo. Prendendo spunto dalla Resurrezione di Cristo, infondeva ai cristiani la forza di guardare avanti, facendo leva sulla speranza, una delle tre virtù teologali alle quali ha dedicato la sua seconda enciclica, la Spe Salvi.
Chi in quest’ora è sottoposto a dure prove, come lo è la gente terremotata, non deve dimenticare che Dio non lascia solo nessuno.
«E noi, risorti con Cristo - ha affermato - mediante il Battesimo, dobbiamo seguirlo fedelmente in santità di vita, camminando senza sosta verso la Pasqua eterna, sorretti dalla consapevolezza che le difficoltà, le lotte, le prove, le sofferenze dell’umana esistenza, compresa la morte, ormai non potranno più separarci da Lui e dal suo amore».
La Resurrezione, che «non è una teoria ma un realtà storica», ha spiegato il giorno di Pasqua da piazza san Pietro nel messaggio urbi et orbi davanti a centomila fedeli, costituisce l’evento che ha gettato «un ponte fra il mondo e la vita eterna». Poi è arrivato il saluto in lingua italiana rivolto a tutti gli «uomini e donne d'Italia», ma soprattutto a coloro che vivono nelle tendopoli e nelle zone del sisma.
«Il Cristo resuscitato guidi tutti su sentieri di giustizia, di solidarietà e di pace, e ispiri a ciascuno la saggezza e il coraggio necessari per proseguire uniti nella costruzione di un futuro aperto alla speranza».

© Copyright Il Messaggero, 14 aprile 2009


Paparatzifan
00martedì 14 aprile 2009 21:37
Dal blog di Lella...

Cardinali in pensione? Un'impresa

PRIMO PIANO

Di Andrea Bevilacqua

Spesso sono gli stessi prelati a non dimettersi e a richiedere un prolungamento della carriera

Quanto è difficile per la Santa Sede ringiovanire i ranghi

Se n'era parlato spesso nei mesi scorsi: Benedetto XVI avrebbe in animo di allungare l'età nella quale i vescovi devono presentare le dimissioni.
In sostanza, dai 75 anni attuali, si passerà a 78 anni. E la cosa, in effetti, seppure non sancita ufficialmente, è oramai una realtà possibile. Una realtà che dice, tuttavia, anche un'altra cosa: mandare in pensione vescovi e cardinali è sempre più difficile. Spesso, infatti, il prolungamento di «carriera» è chiesto direttamente dai prelati al Papa il quale altro non può fare che essere magnanimo e acconsentire.
«Colpevole», in qualche modo, è il cardinale arcivescovo di Torino Severino Poletto. Fu lui, un anno fa, ad avanzare richiesta al Pontefice di poter rimanere in sella all'arcidiocesi ancora per un paio d'anni. Il Papa acconsentì alla cosa e il «donec aliter provideatur», ovvero la dizione «finché non si provveda altrimenti» che sancisce il prolungamento dell'incarico, fu inviata al porporato. Insieme gli fu detto: il prolungamento durerà due anni.
Le eccezioni, si sa, rischiano di fare scuola.
E così, quest'anno, è toccato al cardinale Dionigi Tettamanzi. Questi, compiuti lo scorso marzo i 75 anni, è riuscito nell'impresa di farsi riconfermare per altri due anni.
La notizia l'ha data alla diocesi l'altro ieri il vicario generale di Milano, monsignor Carlo Redaelli, al termine della messa crismale nel Duomo di Milano.
Una notizia che ha provocato gli applausi dei presenti e che gli uomini di Tettamanzi non hanno mancato di sottolineare inserendo nella home page del sito web diocesano il video con il momento nel quale Redaelli fa l'annuncio.
Non sono pochi i vescovi e cardinali «attaccati» alla poltrona. Questi sono sparsi un po' ovunque.
Ve ne sono anche nella curia romana, ovvero nei posti di comando della Chiesa, come nelle diocesi italiane. Tanto che spesso, quando s'avvicina l'età pensionabile, mettono in cantiere lavori e scadenze per le quali si rende indispensabile la propria presenza. E così, l'attesa pensione, tarda ad arrivare. In Vaticano non sono pochi i cardinali e vescovi che quest'anno compiono 75 anni. Ma per molti di loro la pensione è un miraggio ancora lontano. C'è il prefetto della congregazione dei Vescovi, il cardinale Giovanni Battista Re, che 75 anni li ha compiuti lo scorso gennaio. Il 23 settembre compie 75 anni il prefetto della congregazione dei Religiosi, il cardinale Franc Rodé e, l'8 agosto, li compie il prefetto del Clero, il cardinale Claudio Hummes. Ma 75 anni li hanno già compiuti anche altri importanti esponenti della curia. Innanzitutto lo statunitense James Francis Stafford, penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica. Il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del pontificio consiglio per la Pastorale della Salute. Il cardinal Renato Raffaele Martino, presidente di Iustitia et Pax. E, infine, il cardinale Walter Kasper, presidente della promozione dell'Unità dei Cristiani: ha compiuto 76 anni.

© Copyright Italia Oggi, 11 aprile 2009


Paparatzifan
00martedì 14 aprile 2009 21:51
Da "Messainlatino.it"...

LUNEDÌ 13 APRILE 2009

L'opposizione romana al Papa secondo l'abbé Barthe. Quinta parte

Se cerchiamo di interpretare ora in termini " politici " – tanto comodi quanto inadeguati – l’elezione di Benedetto XVI al soglio pontificio, si ricorderà che quanti si trovano nei posti di comando dottrinali da dopo il Concilio formano una " destra " (i padri de Lubac, von Balthasar) - rappresentata dall’emblematica rivista Communio – e una " sinistra " (i padri Congar, Rahner, Kueng), rappresentati dalla rivista Concilium. L’appellativo di "centro destra" e "centro sinistra" sarebbero in effetti più appropriati. L’una e l’altra tendenza fanno riferimento comunque al Vaticano II, ma con interpretazioni differenti (cfr. il discorso-programma indirizzato alla Curia romana da Benedetto XVI il 22 dicembre 2005, che distingueva l’interpretazione "di rottura", quella di Concilium, e l’interpretazione " di continuità ", quella di Communio, che promuove come autentica). I vari conclavi, successivi al 1963, si sono giocati contro le "derive" trascinate dalla formidabile trasformazione iniziata fin dall’apertura del Concilio nel 1962, di modo che tutti i papi eletti provenivano da quella tendenza che chiamo, per farmi comprendere, tendenza Communio. Ma, allo stesso tempo, la tendenza Concilium, molto potente, ha di fatto esercitato un totale "potere culturale" nella Chiesa sotto Paolo VI, che in seguito ha dovuto condividere con la tendenza Communio sotto Giovanni Paolo II, specialmente dopo il 1985 (pubblicazione di Rapporto sulla fede, del cardinale Ratzinger con Vittorio Messori).

Molto opportunamente, il cardinale nelle risposte a Olivier Le Gendre precisa: "E’ sbagliato parlare di situazioni come quelle che si verificano nei Parlamenti di una Repubblica o in seno a partiti tra correnti rivali. Siamo tra cardinali in un mondo dalle frontiere mobili". Questo non impedisce che si possa parlare di tendenze chiaramente definite. Dopo il 2005, possiamo, come in precedenza, individuare due tendenze: una liberale, la tendenza Concilium (dei cardinali Etchegaray, Danneels, Silvestrini); e la tendenza Communio. Ma in più di questo, diventa evidente come quest’ultima sia essa stessa suddivisa in un’ala restauratrice (quella del Papa) e un’ala più conciliare. Potremmo definirla, come si usa fare a volte, una "terza via": e comprende prelati che sono in parole povere a metà strada fra l’interpretazione "progressista" del Concilio e la sua rimessa in discussione parziale (riguardo la liturgia per esempio), nella linea di Benedetto XVI.

I "neoconservatori"

Ma se questi hanno ritenuto non esserci altra scelta possibile che quella di portare Benedetto XVI al soglio pontificio, molti di loro si trovarono profondamente irritati dalla marcia indietro che egli sembra imporre alle variazioni conciliari, essenzialmente, ma molto simbolicamente, in ambito cultuale. Li si definisce neoconservatori (ma questa qualifica non a niente a che vedere, se non una moda di vocabolario, con gli ispiratori di George Bush), quando si vuol parlare di coloro che si trovano più vicini al Papa senza, peraltro, essere in totale accordo con lo stesso. Questi neoconservatori, che non si possono definire liberali, sono tentati (e cedono sovente alla tentazione) di fare alleanze almeno obiettive con i liberali per frenare, regolare, correggere il corso della nuova politica romana, specialmente nel contesto cruciale delle nomine. Sono questi uomini chiave (o uominini catenaccio per l’opera di Benedetto XVI…), fortemente installati all’interno stesso della Segreteria di Stato e alla testa di importanti dicasteri, che andremo ad evocare in un prossimo dossier.

segue


+PetaloNero+
00mercoledì 15 aprile 2009 16:20
Padre Lombardi: riportare gli uomini a Dio e Dio agli uomini attraverso l'amore di Cristo, centro del ministero di Benedetto XVI


Domenica 19 aprile, dunque, a tre giorni dal suo 82.mo compleanno, Benedetto XVI celebrerà anche il quarto anniversario della sua elezione. Per un bilancio di questo ultimo anno di Pontificato ascoltiamo il nostro direttore padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Possiamo ricordare che un anno fa il Papa era negli Stati Uniti e, quindi, quest’anno è stato un anno con quattro viaggi, fuori d’Italia, in quattro continenti diversi. Questo mi sembra una cosa da notare. Il Papa è stato negli Stati Uniti, alle Nazioni Unite, è stato in Australia per la Giornata Mondiale della Gioventù; è stato in Francia, ed è stato, infine, in Africa poche settimane fa. Ha percorso quattro continenti in un anno e tutti questi viaggi sono stati notevoli per l’accoglienza, per l’efficacia con cui il suo messaggio è stato accolto anche da audience pubblici completamente diversi dal punto di vista culturale, dal punto di vista della loro situazione. Quindi, direi che il Papa ha vissuto la dimensione universale del suo ministero in un modo estremamente efficace nel corso di questo anno. Un altro evento che mi sembra molto significativo è quello del Sinodo, il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio, un evento della Chiesa universale che si è svolto con grande serenità, con grande partecipazione e soddisfazione di tutti coloro che vi hanno partecipato e che si sono fatti poi messaggeri anche di questo aspetto radicale della vita della Chiesa che è l’ascolto e l’annuncio della Parola di Dio. Poi, certamente, c’è l’aspetto che si nota di meno, perché non è collegato a un grande evento ma proprio alla natura del ministero del Papa, che è il suo magistero “ordinario” attraverso le omelie e le catechesi. Questo è un servizio fondamentale per il popolo di Dio, molto spirituale e teologico, che forma il popolo di Dio in profondità ed è - io ritengo - uno dei carismi più straordinari di Papa Benedetto XVI perché si tratta di discorsi, di omelie, di catechesi, di grandissima ricchezza e che possono rimanere a lungo come patrimonio del popolo cristiano, per formarlo culturalmente, teologicamente e spiritualmente. Pensiamo alle omelie degli ultimi giorni, quelle che abbiamo ascoltato in occasione del Triduo Sacro, per esempio, che sono veramente state sublimi. Non dobbiamo dimenticarle, anche se fanno poco notizia sui giornali, però nella vita cristiana e nella vita della Chiesa sono dei punti di riferimento e dei modelli di meditazione, di approfondimento della Parola di Dio, dell’evento cristiano, assolutamente importantissimi.


D. – Padre Lombardi, in questo ultimo anno ci sono stati momenti delicati e difficili per il Papa. Come li ha vissuti il Pontefice?


R. - Credo che l’aspetto più evidente sia quello recente delle discussioni in occasione della remissione della scomunica ai quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre e il contestuale caso Williamson, cioè le discussioni a proposito delle dichiarazioni negazioniste nei confronti dell’Olocausto del vescovo Williamson, uno dei quattro a cui era stata rimessa la scomunica. Il Papa come l’ha vissuto? Lo vediamo dalla Lettera che egli ha scritto ai vescovi di tutto il mondo, che è un documento straordinario, un documento molto personale, intenso, in cui vediamo come egli affronta una situazione di tensione all’interno della Chiesa e anche nei confronti della cultura circostante. L’ha affrontata sostanzialmente rimettendo in chiaro le priorità del suo Pontificato, riportare gli uomini a Dio e Dio agli uomini, e mettendo in rilievo i criteri evangelici con cui egli ha preso questa iniziativa della remissione della scomunica, come un gesto di misericordia, ispirandosi alle parole del Vangelo: “Riconciliati con il tuo fratello”. Direi che abbiamo avuto una testimonianza molto forte di uomo di fede, di un pastore che guida la Chiesa con criteri di pura fede e di grande carità e responsabilità spirituale nei confronti del popolo di Dio e dell’umanità di oggi.


D. – In questi giorni il Papa ha incessantemente invitato i fedeli a pregare per i terremotati dell’Abruzzo. Con quale spirito il Papa si appresta a incontrarli?


R. – Il Papa è una persona di grande sensibilità, non è solo l’uomo di cultura superiore e di teologia e spiritualità profonda, è anche un uomo di grande umanità, di attenzione all’altro, di gentilezza, di sensibilità profonda, di sentimenti umani profondi. Mi pare che questi si siano anche riflettuti nel modo in cui, continuamente, da quando è successo il terremoto, egli ha fatto riferimento a questa tragedia, a questo evento drammatico, in varie occasioni, nei suoi discorsi, nelle sue udienze, e manifestando la sua vicinanza che è anche rappresentata da questo desiderio di andare, quando questo sia effettivamente opportuno e possibile sotto tutti i punti di vista anche di carattere logistico, organizzativo. Ma la vicinanza del suo cuore, del suo spirito continua ed è molto sincera, umana e spirituale allo stesso tempo. Un uomo di fede vive queste vicende nel dolore, nella partecipazione ma anche nella speranza e credo che si è sentito così in sintonia con il modo in cui anche la Chiesa in Abruzzo ha dimostrato di vivere con il suo popolo queste giornate, che, tra l’altro, sono venute a coincidere proprio col mistero della morte e della Risurrezione di Gesù e che, quindi, hanno vissuto con una grande concretezza umana e spirituale e continuano adesso a proiettarsi in uno spirito di ripresa, animato dalla speranza e dalla fiducia nell’accompagnamento di Dio e della Chiesa.


D. – Quali sono le aspettative del Papa per il prossimo viaggio in Terra Santa?


R. – Lo ha detto lui stesso con molta chiarezza in occasione del Messaggio pasquale, della Benedizione Urbi et Orbi. Il Papa ha detto che “con la Pasqua, Cristo ha estirpato la radice del male ma ha bisogno di uomini e donne che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi, le armi della giustizia, della verità, della misericordia, del perdono e dell’amore”. Questo Messaggio pasquale è quello che il Papa dice di aver portato in Africa per tanti popoli sofferenti e desiderosi di riscatto e di futuro ed è lo stesso messaggio che egli vuole portare in Terra Santa. Ha fatto riferimento esplicitamente al tema della riconciliazione, ha detto: “La difficile ma indispensabile riconciliazione, che è premessa per un futuro di sicurezza comune, di pacifica convivenza, non potrà diventare realtà che grazie agli sforzi rinnovati, perseveranti e sinceri per la composizione del conflitto israelo-palestinese”. Il Papa si prepara ad andare, certamente, con lo spirito del pellegrino, del credente, che desidera naturalmente andare sui luoghi principali che hanno visto gli eventi della storia della salvezza, dell’Antico e Nuovo Testamento, però anche con questo messaggio di riconciliazione, di perdono e di pace per tutti i popoli che vivono in quelle terre. Quindi, pellegrinaggio di fede, pellegrinaggio di pace.


D. – Padre Lombardi, un’ultima domanda a livello personale. Cosa augura al Papa per il suo compleanno?


R. – Io gli auguro che possa continuare a lungo a svolgere questo suo ministero, che è un ministero profondo di aiuto agli uomini e alle donne di oggi per incontrare Dio. Si vede che questo è veramente il centro della sua preoccupazione: riportare gli uomini a Dio e Dio agli uomini, attraverso un grande amore personale per Cristo. Io spero veramente che, per quanto possibile, egli riesca, sia all’interno della Chiesa con il suo magistero così qualificato - forse anche con il completamento del suo libro su Gesù, che io desidero veramente poter leggere anche nella sua seconda parte! - ma anche per l’umanità di oggi, a fare capire che nonostante gli atteggiamenti critici che bisogna avere verso tanti aspetti negativi della cultura o della mentalità di oggi, in fondo, il messaggio principale che si porta è un messaggio di amore, un messaggio per il bene dell’uomo, della persona umana, e che è proprio la sua riconciliazione con Dio e con tutti gli altri uomini che vivono su questa terra.


[Radio Vaticana]





+PetaloNero+
00mercoledì 15 aprile 2009 16:20
Benedetto XVI: la Risurrezione, innegabile evento storico che apre a una speranza più forte di ogni male. Gli auguri della piazza per il suo compleanno


La Risurrezione di Gesù non è un “mito” che “vecchie teorie” cercano di negare, ma un “fatto storico” che ha rivoluzionato la vita di intere generazioni. Benedetto XVI ha dedicato la prima udienza generale dopo la Pasqua a quello che ha definito “il cuore del messaggio evangelico” e che vede la Chiesa “in festa” fino alla Pentecoste. Il Papa, proveniente da Castel Gandolfo, ha tenuto la catechesi del mercoledì in Piazza San Pietro, di fronte a circa 40 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Con la Risurrezione di Cristo, la Parola di Dio si è fatta storia degli uomini, anzi di più, si è fatta “carne”. E i cinquanta giorni che dalla Pasqua portano alla Pentecoste non sono altro che l’unico “Alleluja” che la Chiesa canta da oltre duemila anni, annunciando in ogni epoca questa “novità sconvolgente”. Benedetto XVI ha insistito molto sul “mistero della Pasqua” che, ha detto, “abbraccia l’intero arco della nostra esistenza” e che porta con sé l’imperativo di essere proclamato:


“È pertanto fondamentale per la nostra fede e per la nostra testimonianza cristiana proclamare la risurrezione di Gesù di Nazaret come evento reale, storico, attestato da molti e autorevoli testimoni. Lo affermiamo con forza perché, anche in questi nostri tempi, non manca chi cerca di negarne la storicità riducendo il racconto evangelico a un mito, ad una 'visione' degli Apostoli, riprendendo e presentando vecchie e già consumate teorie come nuove e scientifiche”.


Il Papa - che per presiedere l’udienza generale era giunto in elicottero dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo - ha spiegato anche la “natura” del mistero pasquale. La Risurrezione, ha affermato, certamente:


“Non è stata per Gesù un semplice ritorno alla vita precedente. In questo caso, infatti, sarebbe stata una cosa del passato: duemila anni fa uno è risorto, è ritornato alla sua vita precedente, come per esempio Lazzaro. La risurrezione si pone in un’altra dimensione: é il passaggio ad una dimensione di vita profondamente nuova, che interessa anche noi, che coinvolge tutta la famiglia umana, la storia e l’universo”.


“E’ un annuncio - ha proseguito, parlando in una Piazza San Pietro inondata di sole - che intere generazioni di uomini e donne lungo i secoli hanno accolto con fede e hanno testimoniato, non raramente a prezzo del loro sangue, con il martirio”. E rifacendosi al celebre passo di San Paolo della Lettera ai Corinzi, Benedetto XVI ha ripetuto come ogni aspetto spirituale e storico della Risurrezione sia il frutto di una “fedele” trasmissione di ciò che avvenne dal giorno in cui il sepolcro fu trovato vuoto. La Risurrezione, scrive Paolo, avvenne “secondo le Scritture”, e questo, ancora una volta...


“... ci fa comprendere che la morte del Figlio di Dio appartiene al tessuto della storia della salvezza, ed anzi ci fa capire che tale storia riceve da essa la sua logica ed il suo vero significato (…) la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo 'carne', 'storia' umana".


Benedetto XVI ha concluso la catechesi invitando i cristiani a lasciarsi illuminare dalla luce di Cristo risorto e ad esserne gli annunciatori nel Terzo millennio come gli Apostoli nella prima ora della Chiesa:


“Non possiamo tenere solo per noi l’annuncio di questa Verità che cambia la vita di tutti. E con umile fiducia preghiamo: 'Gesù, che risorgendo dai morti hai anticipato la nostra risurrezione, noi crediamo in Te!'”.


Al termine delle catechesi in sintesi, pronunciate in otto lingue, Benedetto XVI ha rivolto i saluti conclusivi, fra gli altri, al gruppo di diaconi della Compagnia di Gesù, e a quello dei rettori e degli educatori dei Pontifici Seminari Regionali d’Italia. Bello poi il fuori programma quando lo speaker di lingua francese - ricordando l’82.mo compleanno che il Papa festeggerà domani e il quarto anniversario della sua elezione pontificia - ha scatenato l’applauso affettuoso della piazza:


“Ils vous souhaitent sainte fête de Pâques…
Le augurano buona Pasqua, buon compleanno per domani e i migliori auguri in occasione del quarto anniversario della sua elezione al Soglio di Pietro”.


E sono in tanti che questo mercoledì, all’udienza generale, hanno voluto esprimere gli auguri a Benedetto XVI per il suo 82.mo compleanno. Alessandro Gisotti ha raccolto alcune voci in Piazza San Pietro:

R. – (in coro) Joyeaux anniversaire …


R. – Anzitutto, un ringraziamento cordiale al Santo Padre per l’Anno sacerdotale che ha indetto e che noi già ci stiamo preparando a vivere; l’Anno sacerdotale che ci prepara già, noi seminaristi, a pensare al sacerdozio in maniera bella come lui ce la presenta spesso: un sacerdote contento, gioioso e soprattutto un sacerdote che sa portare Cristo, sa comunicare Dio agli altri. Il migliore augurio è di continuare su questa strada e di lunga vita al Papa per il suo ministero, per il suo apostolato in mezzo a noi.


R. – Desidero porgere un affettuoso augurio per il suo compleanno: che ci accompagni ancora in questa sua grande opera. Devo dire, è una persona molto solare, aperta e sa trasmettere anche ai giovani molta serenità.


R. – Tanti auguri al Papa dalla diocesi di Fidenza che è in pellegrinaggio qui a Roma. Tanta gioia e felicità da tutti i ragazzi di Monticelli e della nostra diocesi.


R. – (in coro) Herzlichen Glückwunsch zum Geburtstag, Papst Benedikt!


D. – Che augurio si sente di fare?


R. – Sta dando molto alla Chiesa; una riflessione all’interno, ma non chiusa in se stessa. Il Papa mette a fuoco tutta la tradizione dei Padri e soprattutto promuove un dialogo con il mondo che ha perso un po’ il senso di Dio. L’augurio è di riportare il mondo al senso di Dio.


R. – Sicuramente che il resto dei suoi anni siano molto belli come quelli trascorsi, soprattutto che il suo Pontificato sia lungo e che continui ad essere com’è attualmente!


D. – Quale augurio si sente di fare a Benedetto XVI?


R. – Innanzitutto, di buona salute e di continuità nel suo ministero di servizio alla Chiesa, in particolar modo sotto il profilo della comunione, della unità di tutti i credenti: è una cifra che egli ha dato al suo Pontificato. Che possa vederne anche i frutti!


R. – Anzitutto, un augurio al Papa per il suo 82.mo compleanno da parte di Busto Arsizio. Il Papa è per tutti noi giovani un esempio da seguire, perché anche le due Gmg sono servite a tutti, nel mondo. Vorrei ringraziare il Papa per tutto quello che fa per noi e rivolgergli un augurio sincero.


R. – (in coro) Tanti auguri, Benedetto!



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