Notizie dal B16F

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+PetaloNero+
00sabato 18 aprile 2009 16:05
Religiosi e religiose dei quattro Ordini francescani in udienza dal Papa a 800 anni dall'approvazione della prima Regola da parte di Innocenzo III


Tremila religiosi dei quattro Ordini che compongono la Famiglia francescana sono stati ricevuti questa mattina in udienza da Benedetto XVI a Castel Gandolfo. L’occasione: la conclusione del cosiddetto “Capitolo delle stuoie”, celebrato ad Assisi, durante il quale tutti i Francescani e le Francescane hanno riflettuto sul carisma del loro fondatore a 800 anni dalla prima approvazione della Regola. Siate i “testimoni della bellezza di Dio”, è stato uno degli inviti del Papa ai religiosi. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“…Poi, compiuto il Capitolo detto delle Stuoie presso Santa Maria della Porziuncola, al quale intervennero cinquemila fratelli, Santo Francesco confortandoli tutti in bene (…) con la benedizione di Dio e la sua li mandò alle loro province tutti consolati di letizia spirituale”. E’ la scena descritta in uno dei Fioretti del Poverello d’Assisi: a migliaia, già 800 anni fa, i frati accampati sotto delle stuoie - perché era impossibile dare un tetto a tutti - radunati in ascolto delle parole di Francesco.


Hanno voluto rivivere quell’esperienza i frati del terzo millennio, sotto un tendone allestito all’esterno della Chiesa della Porziuncola dal 15 aprile a oggi, per poi concludere il loro ritiro in Vaticano dal “Signor Papa”. Benedetto XVI ha usato questa tipica espressione di San Francesco accogliendo con gioia e parole di grande stima circa tremila religiosi e religiose dei quattro Ordini francescani. “Sono passati ottocento anni, e quella dozzina di Frati è diventata una moltitudine, disseminata in ogni parte del mondo”, ha ricordato il Papa riferendosi al viaggio che Francesco e i suoi primi compagni fecero a Roma, ottenendo da Innocenzo III l’approvazione orale della prima Regola. Un fatto, ha osservato il Pontefice, che dimostra come carsima e istituzione siano "sempre complementari per l'edificazione della Chiesa":


“Francesco avrebbe potuto anche non venire dal Papa. Molti gruppi e movimenti religiosi si andavano formando in quell’epoca, e alcuni di essi si contrapponevano alla Chiesa come istituzione, o per lo meno non cercavano la sua approvazione. (…) Invece egli pensò subito a mettere il cammino suo e dei suoi compagni nelle mani del Vescovo di Roma, il Successore di Pietro. Questo fatto rivela il suo autentico spirito ecclesiale. Il piccolo ‘noi’ che aveva iniziato con i suoi primi frati lo concepì fin dall’inizio all’interno del grande ‘noi’ della Chiesa una e universale”.


“Dal piccolo ruscello sgorgato ai piedi del Monte Subasio, si è formato un grande fiume, che ha dato un contributo notevole alla diffusione universale del Vangelo”, ha riconosciuto Benedetto XVI, che si è soffermato sull’estrema aderenza tra la vita e lo stile di Cristo e quello che il Santo di Assisi incarnò durante la sua vita:


“E qui veniamo al punto che sicuramente sta al centro di questo nostro incontro. Lo riassumerei così: il Vangelo come regola di vita. ‘La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo’: così scrive Francesco all’inizio della Regola bollata. Egli comprese se stesso interamente alla luce del Vangelo. Questo è il suo fascino. Questa la sua perenne attualità”.


Ma l’attualità di un carisma ha bisogno di essere sempre riscoperta. Il Papa ha invitato “ogni fratello” e “ogni sorella” francescani a custodire, sull’esempio del Serafico Padre, “un animo contemplativo, semplice e lieto”. E come Francesco seppe celebrarla nel suo Cantico, anche voi, ha detto il Pontefice ai Francescani - che al termine dell'udienza hanno rinnovato le loro promesse - “siate testimoni della ‘bellezza’ di Dio”:


“Come Francesco e Chiara d’Assisi, anche voi impegnatevi a seguire sempre questa stessa logica: perdere la propria vita a causa di Gesù e del Vangelo, per salvarla e renderla feconda di frutti abbondanti”.


Infine una esortazione, con la quale Benedetto XVI ha legato uno degli episodi dell’antica conversione di San Francesco a uno degli avvenimenti più recenti che hanno segnato la cronaca e la coscienza collettiva degli italiani:


“Nei giorni scorsi, il terremoto che ha colpito l’Abruzzo ha danneggiato gravemente molte chiese, e voi di Assisi sapete bene che cosa questo significhi. Ma c’è un’altra 'rovina' che è ben più grave: quella delle persone e delle comunità! Come Francesco, cominciate sempre da voi stessi. Siamo noi per primi la casa che Dio vuole restaurare”.





www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=795&sett...
+PetaloNero+
00sabato 18 aprile 2009 16:06
Mons. Zimowski nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Succede al cardinale Lozano Barragán

Benedetto XVI ha accolto la rinunzia presentata per raggiunti limiti d'età dal cardinale Javier Lozano Barragán all'incarico di presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico mons. Zygmunt Zimowski, finora vescovo di Radom, elevandolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo. Mons. Zygmunt Zimowski è nato a Kupienin (diocesi di Tarnów, Polonia) il 7 aprile 1949. È stato ordinato sacerdote il 27 maggio 1973 e incardinato a Tarnów. Ha conseguito la Licenza in Teologia Dogmatica presso l'Università Cattolica di Lublino e il Dottorato in Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica dell'Università Leopold-Franzens di Innsbruck. Il primo febbraio 1983 ha iniziato il servizio presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. È stato nominato cappellano di Sua Santità il 14 aprile 1988 e prelato d'onore il 10 luglio 1999. È stato postulatore dei processi di Beatificazione e Canonizzazione di Karolina Kózka, del rev. Roman Sitko e di suor Maria Julittae Ritz. Ha insegnato ecclesiologia presso l'Università Cattolica di Lublino e presso l'Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia. È autore di 120 pubblicazioni, 40 lettere pastorali e di alcuni libri, nonché di parecchi articoli. Ha partecipato alla preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica specialmente nell'edizione polacca. Ha collaborato con la Sezione Polacca della Radio Vaticana. Nominato dal Papa Giovanni Paolo II vescovo di Radom il 28 marzo 2002, è stato ordinato nella cattedrale di Radom il 25 maggio 2002 dall'allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger. Nella Conferenza Episcopale Polacca ha svolto i seguenti incarichi: presidente della Commissione Episcopale della Dottrina della Fede, membro del Consiglio Permanente, delegato per la Pastorale degli emigranti polacchi, membro della Commissione ecumenica e del Gruppo per i Contatti con il Consiglio ecumenico della Polonia, membro del Gruppo dei vescovi per la sollecitudine pastorale per Radio Maria e membro della Società Polacca di Mariologia. Oltre alla lingua polacca, conosce l'italiano, il tedesco, l'inglese, il francese e il russo.



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00sabato 18 aprile 2009 16:06
Il Papa tra i terremotati in Abruzzo il 28 aprile. Mons. Molinari: evento di grande speranza. Il sindaco dell'Aquila: è la visita di un padre

Benedetto XVI si recherà in Abruzzo il 28 aprile prossimo per incontrare le popolazioni vittime del terremoto, secondo il proposito da lui da tempo manifestato. Lo ha annunciato oggi il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il Papa raggiungerà la tendopoli di Onna verso le 9.30 del mattino: subito dopo si sposterà all’Aquila, per sostare presso la Casa dello Studente e la Basilica di Collemaggio. Infine, presso la Caserma della Guardia di Finanza avrà luogo un incontro con rappresentanze della popolazione e delle persone impegnate nelle operazioni di soccorso. La partenza è prevista intorno alle 12.30. Durante gli spostamenti in elicottero il Papa sorvolerà alcune delle località più colpite dal sisma. Ulteriori particolari del programma – ha detto padre Lombardi - verranno resi noti in seguito. Ma diamo la linea al nostro inviato Salvatore Sabatino:

“La visita del Papa è un dono di Dio ed un evento di grande speranza”: così l’arcivescovo dell’Aquila, mons. Giuseppe Molinari, fattosi portavoce di un’intera comunità, che sta esprimendo la propria emozione dinanzi a quest’evento, percepito come un momento di gioia e di vero cambiamento. Il Papa visiterà i luoghi-simbolo di questa tragedia: Onna è completamente distrutta, la Basilica di Collemaggio, la casa dello studente, per poi concludere la sua visita a Coppito, nella caserma della Guardia di Finanza, vero cuore pulsante della grande macchina organizzativa messa a punto per gestire quest’emergenza. Ma la quotidianità, purtroppo, è fatta ancora di grandi difficoltà; all’ingresso dell’Aquila due colonne mobili dei vigili del fuoco, che raccolgono le adesioni dei tanti che vogliono recuperare i propri oggetti dalle case gravemente danneggiate dal sisma del 6 aprile scorso. All’interno della città, il divieto assoluto d’ingresso, a causa dei possibili crolli che potrebbero avvenire per lo sciame sismico che non si è ancora interrotto: questa mattina, l’ultima, forte scossa pari a 3.8 sulla scala Richter. L’Aquila è una città spettrale: strade vuote, vetrine dei negozi devastate dalla prima grande scossa, l’immagine reale del tempo che si è fermato alle 3.32 del 6 aprile. Eppure, girando per la città, si percepisce la voglia di ritornare ad una vita normale: i primi supermercati aperti, segno di prima rinascita. E intanto proseguono i rilievi dei tecnici: mille e cinquecento, giunti da tutta Italia, per stabilire l’agibilità delle abitazioni, mentre nelle oltre cento tendopoli sparse per tutto il capoluogo abruzzese, i volontari proseguono nella loro opera di sostegno. In una di queste, a Pianola, a quattro chilometri dall’Aquila, è giunto questa mattina anche il premier, Silvio Berlusconi, per portare il proprio sostegno alle popolazioni colpite dal sisma. Intanto giungono i primi aiuti concreti: 500 milioni di euro sono stati stanziati, ieri, dalla Commissione Europea, mentre nel decreto Bertolaso è stata evidenziata la mappatura dei comuni colpiti: 49, oltre quello dell’Aquila; 37 nella sua provincia, 5 in quella di Teramo e 7 in quella di Pescara. Ma c’è già chi protesta, come il comune di Sulmona, che pur avendo avuto danni ingenti non appare tra le 49 della lista.


La popolazione dell’Aquila e delle circostanti aree segnate dal sisma del 6 aprile si prepara ad accogliere Benedetto XVI, pur nelle condizioni di estrema precarietà che la situazione post-terremoto impone agli sfollati e ai soccorritori. E’ quanto conferma il sindaco del capoluogo abruzzese, Massimo Cialente, al microfono di Roberta Rizzo:

R. - Non riusciremo a fare grandi cose, però ritengo che presentandoci così come siamo adesso, il Papa capirà comunque; il Papa viene per partecipare al nostro dolore, non sarà una festa, sarà la visita di un padre.


D. – La cittadinanza aspetta l’arrivo del Papa?


R. – Sì. Io credo che sarà una di quelle iniezioni di speranza, delle quali abbiamo, in questo momento, un disperato bisogno, perché abbiamo voglia di ricostruire; c’è molto orgoglio, però c’è anche dolore e timore per quello che ci aspetta, quindi sarà una grande iniezione di speranza.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00sabato 18 aprile 2009 16:18
Terremoto, Benedetto XVI all'Aquila e ad Onna il 28 aprile

Roma, 18 apr (Velino) - Papa Benedetto XVI visiterà L'Aquila il prossimo 28 aprile. Ad annunciare la data è stata la sala stampa vaticana. “Il Santo Padre - ha affermato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi - si recherà in Abruzzo per incontrare le popolazioni vittime del terremoto, secondo il proposito da lui da tempo manifestato”. Il Papa aveva detto di volersi recare in Abruzzo all'udienza generale dell'8 aprile, due giorni dopo il sisma per il quale lo stesso 6 aprile aveva espresso il suo cordoglio e la sua vicinanza alle popolazioni colpite. Il pontefice raggiungerà la tendopoli di Onna alle 9.30 del mattino, poi si sposterà all'Aquila, dove sosterà presso la Casa dello Studente e la Basilica di Collemaggio. Infine, presso la Caserma della Guardia di Finanza incontrerà “rappresentanze della popolazione” e ''delle persone impegnate nelle operazioni di soccorso''. Durante gli spostamenti, che avverranno in elicottero, il Pontefice sorvolerà alcune delle località più colpite dal sisma. La partenza per Roma e' prevista intorno alle 12.30, mentre altri particolari del programma - conclude la nota - ''verranno resi noti in seguito”.

Nei giorni scorsi si era parlato anche del 6 maggio, primo anniversario (mensile) del terremoto, ma la partenza ravvicinata per la Terra Santa (8 maggio) avrebbe sconsigliato questa soluzione. Per la conferma definitiva si attendeva il via libera del commissario per l’emergenza, Guido Bertolaso; da parte sua Benedetto XVI ha dato la piena disponibilità a recarsi sui luoghi del terremoto “appena possibile”. L’attesa – avevano spiegato all’Aquila - non è dovuta tanto agli impegni del Papa, quanto a garantire che la visita possa compiersi nelle migliori condizioni di agibilità e sicurezza. Dalla Curia dell’Aquila si è appreso anche che proprio nelle settimane precedenti il terremoto era stata avanzata l’idea di invitare Benedetto XVI per una visita pastorale nel 2010, in concomitanza con la chiusura (ad agosto dell’anno prossimo) dell’Anno Celestiniano, a 800 anni dalla nascita di Celestino V.

In attesa che il Papa giunga all’Aquila, non è certo mancato il sostegno della Chiesa e del Vaticano. Numerosissimi sono stati i messaggi di solidarietà dei vescovi italiani, una solidarietà che si è fatta ancora più tangibile con la donazione di cinque milioni di euro da parte della Cei e la colletta nazionale indetta per domenica prossima, che si aggiunge alle collette organizzate dalle svariate associazioni cattoliche. Dal Vaticano è arrivata subito una squadra dei Vigili del fuoco, i Musei vaticani si sono offerti per ospitare le opere d’arte recuperate, ma sono giunti anche doni per la Pasqua (uova, colombe, riso). In segno di vicinanza, il Papa ha fatto giungere gli olii sacri benedetti il giorno del Giovedì Santo, e ha donato il calice usato per la messa funebre di venerdì 10 aprile. Lo stesso cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di stato vaticano, ha lasciato in dono la casula con cui ha celebrato.

Benedetto XVI ha fatto giungere anche una offerta di denaro in contanti, consegnata all’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, dal cardinale Bertone il giorno dei funerali. Soprattutto - spiega al VELINO il portavoce della diocesi, Claudio Tracanna - ha colpito molto il gesto di vicinanza del Papa, che ha inviato il suo segretario personale, monsignor Georg Gaenswein “rompendo ogni protocollo: è stata una cosa totalmente nuova”, insieme “al messaggio personale del Papa che è stato letto dal suo segretario e non dal Segretario di Stato”. Salendo sull’elicottero per il rientro in Vaticano, è stato proprio monsignor Gaenswein a lasciare l’ultimo dono. Accorgendosi che l’arcivescovo non aveva l’orologio al polso - anche quello perduto nel terremoto - gli ha donato il suo.
Paparatzifan
00sabato 18 aprile 2009 17:53
Dal blog di Lella...

Il Papa e il mistero della luna

Inizia il quinto anno di pontificato di Benedetto XVI, eletto con una rapidità quasi senza precedenti dal conclave più numeroso mai riunitosi.
E tuttavia il nuovo Papa non celebrò la sua elezione con toni trionfali, e nell'omelia della messa inaugurale del suo servizio come vescovo di Roma pronunciò una frase sorprendente: "Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi".
Un'immagine forte, il cui significato si è compreso soprattutto in questi ultimi tormentati mesi.
Conoscitore della tradizione, il Pontefice sa che le vicende della Chiesa in questo mondo sono come le fasi alterne della luna, che continuamente cresce e decresce, e il cui splendore dipende dalla luce del sole, cioè da Cristo. Così, il mistero della luna descritto dagli antichi autori cristiani è quello della Chiesa, spesso perseguitata, di frequente oscurata dalla sporcizia a causa dei peccati di molti suoi figli - come Joseph Ratzinger denunciò poco prima della sua elezione - ma che sempre torna a crescere, illuminata dal suo Signore.
Portare e mostrare il lume di Cristo nelle oscurità del mondo - come ancora una volta il vescovo di Roma ha fatto nel buio iniziale della veglia pasquale, con un gesto ripetuto in ogni angolo della terra - è il compito essenziale del Papa.
Cosciente che in molti Paesi, anche di lunga tradizione cristiana, questa luce rischia di spegnersi, come ha scritto nell'ultima lettera ai vescovi.
Confermando, con accenti di doloroso stupore di fronte allo stravolgimento dei fatti, le priorità misconosciute del suo pontificato.
Innanzi tutto, la testimonianza e l'annuncio che Dio non è lontano da ogni persona umana e che è davvero, come ripetono incessantemente le liturgie orientali, amico degli uomini. Per questo Benedetto XVI chiede di non escludere il trascendente dall'orizzonte della storia, per questo chiede con la stessa fiducia dei suoi predecessori di non chiudersi almeno alla possibilità, ragionevole, di Dio. Che non è un dio qualunque o, peggio, un idolo - in società materialiste dove l'idolatria è simile a quella dell'antichità - ma il Dio che si è rivelato a Mosè, cioè la Parola che si è fatta carne in Gesù.
Per parlare di Dio, Benedetto XVI lo celebra nella liturgia e lo spiega come pochi vescovi di Roma hanno saputo fare, sollecito della pace nella Chiesa che vuole ristabilire, come ha fatto - con un'offerta di misericordia e riconciliazione che è in perfetta continuità con il Vaticano II - nei confronti dei vescovi lefebvriani.
Per questo il Papa vuole avanzare nel cammino ecumenico, per questo ha confermato la volontà di amicizia e di ricerca religiosa comune con il popolo ebraico, per questo accelera il confronto con le altre grandi religioni, con l'attenzione rivolta soprattutto alle radici culturali; in modo che questo confronto porti frutti reali su temi concreti, dal rispetto della libertà religiosa a quello della dignità della persona umana, come ora avviene con i musulmani.
Colpisce allora che questo limpido procedere venga ignorato e si continui a raffigurare, soprattutto in alcuni Paesi europei, Benedetto XVI e i cattolici in chiave negativa e ostile.
Come è avvenuto con l'oscuramento del viaggio in Africa e con il silenzio mediatico di fronte alle omelie pasquali.
Ma il Papa non ha paura dei lupi.
E non è solo perché viene sostenuto dalle preghiere della Chiesa. Che, come la luna, trae sempre la sua luce dal sole.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 19 aprile 2009)


Paparatzifan
00sabato 18 aprile 2009 18:07
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Sacre reazioni: il Vaticano bacchetta il Belgio e sceglie un nuovo “ministro” della Salute (al posto di Barragàn il polacco Zimowski)

Paolo Rodari

apr 18, 2009 il Riformista Leave a comment

Sono due le notizie importanti che vengono in queste ore dalla Santa Sede.
Due notizie che, per una coincidenza non voluta, hanno a che fare entrambe con il tema della salute. E cioè riguardano le parole del Papa dedicate all’uso dei profilattici in chiave anti-aids e, insieme, quel ministero che, nella Santa Sede, si occupa della pastorale della salute e, dunque, anche del problema aids e delle soluzioni che la Chiesa indica per affrontarlo.
La prima notizia arriva dalla segreteria di Stato: dopo le critiche piovute da svariate cancellerie d’Europa contro le parole negative che Benedetto XVI ha pronunciato prima di partire per l’Africa a proposito dell’utilizzo dei profilattici per prevenire l’aids, la diplomazia della Santa Sede ha deciso di reagire. E al Belgio che, a differenza degli altri paesi, è stato l’unico ad aver espresso attraverso una risoluzione parlamentare un atto concreto di risposta al Pontefice, la seconda sezione della segreteria di Stato ha voluto inviare ieri una nota pubblica nella quale si dice che contro il Papa vi sono state «intimidazioni».
E ancora: le sue parole sono state «troncate e isolate dal contesto» e usate «da alcuni gruppi con un chiaro intento intimidatorio».
La segreteria di Stato è uscita con una nota ufficiale solo dopo un incontro avvenuto nei giorni scorsi tra il responsabile della “sezione esteri”, il francese monsignor Dominique Mamberti, e l’ambasciatore del Belgio. All’ordine del giorno, ovviamente, c’era la risoluzione di critica al Papa votata dalla Camera dei rappresentanti del paese.
Il Vaticano, dopo settimane tese quanto a relazioni diplomatiche a motivo delle critiche seguite alla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani (tra questi il negazionista quanto alla Shoah Richard Williamson) era entrato in una nuovo periodo difficile proprio a causa di altre critiche piovute sulla questione dei condom. Ma ancora non aveva reagito ufficialmente. Nella nota diramata ieri, invece, si «prende atto con rammarico» della risoluzione belga, un passo definito «inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e - appunto - il Regno del Belgio». In sostanza, per la Santa Sede le «considerazioni di ordine morale sviluppate dal Papa» non sono state capite dall’Europa, a differenza invece di quanto hanno fatto «gli africani e i veri amici dell’Africa» nonchè «alcuni membri della comunità scientifica».
Cosa c’era da capire?
Una cosa: il Papa voleva semplicemente dire che la soluzione per combattere l’aids non è da ricercare nei preservativi, quanto nell’umanizzazione della sessualità e in una autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti, due indicazione che la Chiesa ha sempre preso sul serio: senza tale dimensione morale ed educativa la battaglia contro l’aids non può essere vinta.
Ieri, anche l’Osservatore Romano non ha mancato di dire che «sono state poche le voci che hanno cercato di andare oltre il facile pregiudizio nella polemica sollevata dai mezzi di comunicazione, soprattutto occidentali, per le parole di Benedetto XVI circa la lotta all’aids nel continente africano».
La seconda importante notizia viene anch’essa da dentro le mura vaticane e riguarda il “ministro” incaricato in Vaticano di curare la pastorale della Salute.
Secondo quanto apprende il Riformista, infatti, nelle prossime ore Benedetto XVI manderà in pensione il 76enne cardinale messicano Javier Lozano Barragàn. Questi, in passato, si era espresso più volte in difesa della posizione del Papa sui condom.
E il fatto che lasci proprio poche ore dopo la dura presa di posizione della Santa Sede su un tema connesso al suo ministero è soltanto una coincidenza. Ma è una coincidenza da annotare.
Al posto del cardinale messicano arriva un vescovo polacco: è il 60enne monsignor Zygmunt Zimowski che nel 2002 Giovanni Paolo II nominò vescovo di Radom, (Polonia). Benedetto XVI conosce bene Zimowski e di lui si fida. Dal 1983 al 2002, infatti, il presule ha lavorato con Ratzinger alla congregazione per la Dottrina della fede. Sacerdote dal 1973, ha conseguito il dottorato in Austria, alla Facoltà Teologica di Innsbruck. Vescovo dotato di ottime conoscenze nel campo della morale, ha nel proprio bagaglio un’innata riservatezza la quale, senz’altro, gli gioverà in una gestione che, quanto a rapporto coi media, in molti oltre il Tevere auspicano sia nel segno della morigeratezza.
Non si sa se e quando Benedetto XVI indirà un nuovo concistoro. Ciò che è certo è che, quando avverrà, toccherà anche a Zimowski accedere alla berretta cardinalizia. In qualità di presidente del pontificio consiglio per la pastorale della Salute, infatti, gli spetta praticamente di diritto.
Con Zimowski sono tre i porporati polacchi all’interno di posti di prestigio della curia romana. Segno che finita l’era di Karol Wojtyla, l’onda dei polacchi a Roma è tutt’altro dall’essersi esaurita. Gli altri due sono il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della congregazione per l’Educazione cattolica, e il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del pontificio consiglio per i Laici. Tre nomi di peso, dunque, che per il momento bloccano le porte di Roma a un altro polacco tempo addietro indicato come candidato d’un posto in Vaticano: l’attuale nunzio apostolico a Varsavia, l’arcivescovo Jozef Kowalczyk.

© Copyright Il Riformista, 18 aprile 2009


Paparatzifan
00sabato 18 aprile 2009 18:09
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BELGIO: PRESIDENTE DEL SENATO, “NON È NOSTRA COMPETENZA GIUDICARE UN CAPO SPIRITUALE”

Il presidente del Senato belga, Armand De Decker, si dice dispiaciuto per il voto espresso dai deputati giovedì scorso a proposito di una risoluzione parlamentare di condanna alle parole del Papa sul preservativo.
In una dichiarazione al quotidiano belga “La Libre” rilanciata dalla agenzia di stampa cattolica Catho.be, il presidente De Decker, il cui partito (Mr) ha sostenuto la risoluzione, ha definito “assolutamente spiacevole” il voto dei deputati.
Ed ha aggiunto: “In questo frangente si è trattato il Papa come capo di Stato e non come capo spirituale”. Il presidente ha ribadito la sua posizione a favore dell’uso del preservativo per la lotta all’Aids. “Bisogna incoraggiare – ha detto – l’uso del preservativo in Africa e lottare contro l’Aids. Ma non bisogna ingigantire la questione, trasformandola in affare di bassa politica. In quanto personaggio politico importante di questo Paese, mi oppongo a questo tipo di comportamento ed esprimo il mio dispiacere per questo metodo”. E ritornando oggi sulla stessa questione, interpellato ancora dal quotidiano “La Libre”, il presidente ha ribadito il suo concetto dicendo che “è importante mantenere la separazione della Chiesa e dello Stato. Trovo che sia particolarmente pericoloso che il potere temporale si metta a giudicare lo spirituale”. “Direi – conclude - che non è nostra competenza giudicare un capo spirituale”.

© Copyright Sir


Paparatzifan
00sabato 18 aprile 2009 19:37
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Domenica 19 aprile 2009

Benedetto XVI , quattro anni di pontificato

di padre Giovanni Scalese

querculanus.blogspot.com/2009/04/benedetto-xvi-quattro-anni...

Ieri era il compleanno del Papa; domenica prossima sarà l'anniversario della sua elezione. Occasioni buone per redigere bilanci di questo pontificato. Io non sono nessuno per fare bilanci; mi limiterò a esprimere qualche pensiero in libertà, secondo il mio solito, anche su questo argomento.
Innanzi tutto, alcune premesse. Prima premessa: sono romano. Noi romani vogliamo bene al Papa. Non a questo o a quel Papa, ma al Papa, chiunque egli sia. Quando, dopo secoli, con Giovanni Paolo II, abbiamo avuto un Papa straniero, non abbiamo fatto nessuna fatica ad accettarlo, semplicemente perché... era il Papa. Vogliamo bene al Papa, ma siamo anche un po' scanzonati: non dimentichiamo che Roma è la patria di Pasquino e del Belli.
Seconda premessa. Appartengo a un Ordine religioso che, pur rimanendo sempre fedele alla Chiesa, ha vissuto un rapporto spesso conflittuale con la Sede Apostolica. Alle origini i Barnabiti dovettero subire una visita apostolica, che li obbligò a rinunciare a molte novità che li caratterizzavano. Un momento di forte tensione fu quello vissuto nell'Ottocento a causa della questione rosminiana. Nel Novecento Pio X fu addirittura tentato di procedere alla soppressione dell'Ordine, perché sospetto di simpatie moderniste. Ma, nonostante ciò, i Barnabiti sono sempre stati figli obbedienti della Chiesa e i Papi hanno sempre saputo che potevano fidarsi di loro.
Terza premessa. La formazione che ho ricevuto, dai Domenicani e dai Gesuiti, è di assoluta fedeltà alla Chiesa, ma scevra da qualsiasi piaggeria. L'unica preoccupazione dei Domenicani era il culto per la verità. Dei Gesuiti ricorderò sempre l'atteggiamento di totale sottomissione al Pontefice nel momento del "commissariamento" della Compagnia da parte di Giovanni Paolo II.
Quarta premessa. Personalmente, sono rimasto alla bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII: credo con convinzione che "subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ ... omnino esse de necessitate salutis". Ma, allo stesso tempo, sono altrettanto convinto che sottomissione al Papa non sia sinonimo di cortigianeria, ancor meno di "papolatria". Potete immaginare con quale spirito guardassi a certe manifestazioni "popolari" (non so se spontanee o indotte) durante il precedente pontificato.
Fatte queste premesse, veniamo a Benedetto XVI. Innanzi tutto, diciamo che nutrivo una grande ammirazione per lui prima che diventasse Papa. Mi sembrava che fosse una garanzia per la Chiesa la sua presenza a fianco di Giovanni Paolo II. Per quanto questo Papa abbia fatto molto per la Chiesa durante il suo pontificato, alcuni suoi atteggiamenti mi lasciavano un tantino perplesso (si pensi ai vari "mea culpa" e alle Giornate di Assisi). Ebbene, il fatto che ci fosse sempre il Card. Ratzinger a mettere i puntini sugli "i", mi dava sicurezza. Per questo mi aspettavo (e ho desiderato ardentemente) la sua elezione a Sommo Pontefice e, una volta avvenuta, l'ho accolta con gioia. Non dimenticherò mai quel momento: ero a Manila; ero andato a dormire; a un certo punto, durante la notte, mi sveglio e dico: Sta' a vedere che hanno fatto il Papa; accendo la televisione e vedo Ratzinger che stava rivolgendo il suo primo saluto e dando la sua prima benedizione. Pochi giorni dopo ero a Roma e potei partecipare alla sua prima udienza generale, quella nella quale spiegava perché aveva scelto il nome Benedetto.
Penso che questo Papa sia stato veramente voluto dallo Spirito Santo. Egli sta facendo quello che solo lui poteva fare. È stato fatto notare che con Giovanni Paolo II è finita la generazione dei Vescovi che avevano partecipato al Concilio; ora è la volta dei periti conciliari. Si noti che tali periti svolsero un ruolo non secondario durante il Concilio. Molti dei problemi provocati dal Vaticano II vanno ricondotti al lavoro di quei giovani teologi, che pensavano col Concilio di rifondare la Chiesa. Non so, perché non ho approfondito la questione, quale sia stato il contributo specifico dei vari Ratzinger, Küng, Rahner, Congar o De Lubac; so solo che molti Vescovi, specialmente quelli provenineti dall'Europa del Nord, dipendevano dalle loro teorie. Per questo dico che solo uno di loro oggi poteva porre rimedio ai danni che loro stessi avevano provocato. Sono ben consapevole che non si può mettere sullo stesso piano un Ratzinger e un Küng; ma in ogni modo fu Ratzinger a preparare il famoso discorso del Card. Frings contro il Sant'Uffizio (il caso ha voluto che lui stesso finisse su quella poltrona e sperimentasse come rivolte a sé critiche simili a quelle che lui aveva rivolto al Card. Ottaviani).
Rispetto alle sue posizioni come Cardinale, Benedetto XVI in qualche caso ha dovuto fare retromarcia. Per esempio, lui che era così critico riguardo al dialogo interreligioso, ora passa per uno dei suoi maggiori sostenitori. Ciò non mi meraviglia, dal momento che, quando si assume un nuovo incarico, si vedono le cose con uno sguardo diverso. Ciò che conta è il modo in cui poi si fanno le cose. E mi sembra che, specialmente nei confronti dell'Islam, i termini del dialogo siano stati impostati correttamente (su un piano razionale piuttosto che teologico).
Soprattutto nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione si parlava tanto di una riforma della Curia Romana, ma questa sembra ancora "di là da venire". Ciò dimostra quanto tutte le Curie siano realtà assai difficili da gestire. Si pensava che, eleggendo un uomo di Curia, sarebbe stato più facile procedere a una sua riforma. Invece ci siamo accorti che un uomo che viene da quell'ambiente è troppo condizionato da esso per poter muoversi liberamente. Non sempre la conoscenza approfondita di una realtà permette di intervenire su di essa; talvolta è meglio essere degli estranei per agire, forse con un po' di incoscienza, ma con maggiore libertà. Un fatto è certo: molte opposizioni derivano a Benedetto XVI da quegli stessi che gli erano nemici quando era Prefetto della Dottrina della Fede.
Uno dei punti a cui Benedetto XVI sembra dare maggiore attenzione è la liturgia. Questo perché è convinto che molti dei mali della Chiesa dipendono dal modo in cui viene intesa e celebrata la liturgia. Papa Ratzinger è pienamente consapevole che con la riforma liturgica si è andati troppo avanti. Per questo parla di una "riforma della riforma". Ho già detto più volte che questo programma mi trova pienamente d'accordo. Il problema è che ora l'immagine che si ha di lui è quella di uno che vuole semplicmente restaurare la liturgia tridentina. Il motu proprio Summorum Pontificum, in sé pienamente legittimo e comprensibile, ha trasmesso questa idea, dalla quale io stesso — lo confesso — non sono stato del tutto immune: "OK, ragazzi, finora abbiamo scherzato; la riforma liturgica è stato un diversivo; ora torniamo alle cose serie", sconfessando in tal modo il Vaticano II. Personalmente sono d'accordo che la riforma, così come è stata attuata (leggi: Mons. Bugnini), forse non corrispondeva alle prescrizioni del Concilio; ma che ci fosse bisogno di una riforma liturgica, penso che non ci piova. Si tratta, come continuo a ripetere, di "tornare" al Vaticano II (a quello vero). E questo è possibile solo attraverso una "riforma della riforma", che valga per tutti, non solo per alcuni.
Quanto al tentativo di ricucire lo scisma lefebvriano (non so se sia corretto usare questa espressione, ma la uso tanto per intenderci), anche qui sono pienamente in linea con Benedetto XVI. Anche in questo caso è stata giustamente sottolineata una questione personale: lo "scisma" si è consumato durante il suo mandato come Prefetto del Sant'Uffizio; evidentemente non vuole lasciare questa vita prima di aver risanato tale frattura. Un intento encomiabile. Certamente c'è anche il desiderio di recuperare alla causa della Chiesa delle forze fresche, pronte per l'evangelizzazione. Anche in questo caso, una preoccupazione più che legittima da parte di un Papa. Lo aveva già fatto Giovanni Paolo II con i vari movimenti ecclesiali. L'esperienza di quel Pontefice però dovrebbe ammaestrarci a non confidare troppo in queste realtà, trascurando il resto della Chiesa, considerata pressoché irrecuperabile. Capisco che la tentazione c'è, ma non si può dare per persa la struttura ordinaria della Chiesa (diocesi e parrocchie), perché è lì che si gioca la partita. Queste altre realtà (preziose, ma umanamente fallibili come il resto della Chiesa) possono aiutare, ma non possono essere sopravvalutate o addirittura esclusivizzate.
Ma l'aspetto più bello di questo pontificato è la capacità comunicativa che ha Benedetto XVI. Nonostante che abbia tutto il sistema mediatico contro, riesce a stabilire un contatto diretto con la gente (quella vera, non quella dipinta dai mezzi di comunicazione). E, una volta stabilito il contatto, riesce anche a trasmettere contenuti non sempre così ovvi e banali. I suoi discorsi sono profondi e talvolta difficili, ma la gente riesce a comprenderli.
Ho soltanto un rilievo da fare; riguarda la formazione di Papa Ratzinger. Benedetto XVI è un grande teologo; eppure si nota, o almeno io noto, qualche carenza nella sua formazione. Essa è avvenuta sulla Bibbia (studiata con metodo critico), sui Santi Padri e sui filosofi e teologi moderni; gli manca completamente la scolastica (specialmente san Tommaso). Non è colpa sua, naturalmente: dipende dall'ambiente da cui proviene. Anche Papa Wojtyla aveva avuto una formazione diversa, ma per lo meno aveva svolto parte dei suoi studi all'Angelicum; in questo caso invece tutta la formazione è avvenuta in Germania. Quello che però a me potrebbe apparire un limite forse costituisce un vantaggio: Benedetto XVI rappresenta il meglio della cultura moderna e dimostra che tale cultura può, senza rinnegare sé stessa, andare incontro a Cristo. Estremamente significativo in proposito risulta il suo libro Gesù di Nazaret: attraverso il metodo storico-critico, che tanta preoccupazione aveva dato alla Chiesa cattolica, viene provata la storicità di Cristo. Papa Ratzinger dimostra che, dopo tanto vagare, la cultura moderna approda lì da dove era partita.

da www.oriensforum.com/index.php?topic=1180.0


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+PetaloNero+
00domenica 19 aprile 2009 16:32
Oggi colletta straordinaria in tutte le Chiese d'Italia a favore dei terremotati


La Conferenza episcopale italiana ha promosso per oggi una giornata di mobilitazione a favore dei terremotati. Le consuete offerte raccolte durante le Messe saranno devolute integralmente alle popolazioni colpite dal sisma. Una “colletta straordinaria” che verrà immediatamente trasmessa alla Caritas. Don Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, spiega il significato di quest’impegno, nell’intervista di Roberta Rizzo.

R. – Credo che la solidarietà sia scattata istintiva e penso che la gente abbia desiderio di poter dare una mano. La colletta di domenica fa seguito peraltro a quel che la Conferenza episcopale ha già determinato, con due stanziamenti, prima di tre milioni e poi di due milioni di euro, in occasione della visita del cardinale Bagnasco. La colletta di domenica 19 aprile, che verrà fatta in tutte le chiese e, dunque, in tutte le 26 mila parrocchie italiane, ha come scopo quello di venire incontro alle emergenze della prima ora. In particolare, la finalità per cui verranno destinati questi soldi è sostanzialmente la creazione di scuole e, dunque, di punti di incontro per l’infanzia, e anche centri di comunità dove svolgere, non solo le celebrazioni liturgiche, ma anche momenti conviviali.


D. – Per quel che riguarda i fondi futuri che la Cei destinerà...


R. – Oltre a queste iniziative, che coprono appunto la fascia iniziale dell’emergenza, occorrerà poi con il tempo e anche con una diversa valutazione dell’impatto che il terremoto ha prodotto, considerare la possibilità di accompagnare non solo la fase dell’emergenza, ma anche quella successiva. Da questo punto di vista la Conferenza episcopale italiana ritiene anche importante accompagnare umanamente e pastoralmente le popolazioni e, perciò, accanto a questi aiuti materiali, sarà data anche importanza all’aiuto di persone, che sul posto possono condividere questo momento, che certamente non sarà breve, e che ha bisogno di essere in qualche modo condiviso.


D. – Il cardinale Bagnasco è rimasto favorevolmente colpito dalla prova di solidarietà di questi giorni. Cosa pensa del futuro dei terremotati in questo momento?


R. – L’impressione che il presidente della Cei ha ricavato è quella di una popolazione solida, dignitosa, dotata di una grande fierezza sul piano semplicemente umano, ma anche di una popolazione impastata di fede, che mostra quasi con una sorta di disinvolta naturalezza una percezione della fede, che sicuramente in questi casi così drammatici costituisce una marcia in più, una risorsa ulteriore. L’auspicio del cardinale Bagnasco è stato che in questo terremoto, cui ha fatto seguito già da adesso un terremoto d’amore e di solidarietà, questa iniziale reazione possa essere ancora di più consolidata nei tempi che verranno.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00domenica 19 aprile 2009 16:32
Il grande affetto e la vicinanza spirituale di tanti e l’appello per la Conferenza di Durban: nelle parole di Benedetto XVI al Regina Coeli nell’Ottava di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia


In questa Domenica che chiude l’Ottava di Pasqua e in cui si celebra la Divina Misericordia, Benedetto XVI ringrazia per le manifestazioni di vicinanza spirituale e di affetto ricevute in particolare in questi giorni ribadendo “non mi sento mai solo”. Poi la riflessione sulla Conferenza ONU che da domani a Ginevra tratterà della Dichiarazione di Durban su razzismo e discriminazione. E il pensiero alle Chiese Orientali che celebrano oggi la Pasqua. L’occasione, la recita della preghiera mariana Regina Coeli nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, al termine della quale Benedetto XVI ha incontrato il cardinale Lozano Barragan, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Nel pomeriggio, alle 18:30 il Papa lascerà in elicottero le Ville Pontificie di Castel Gandolfo per fare rientro in Vaticano. Sulle parole del Papa, il servizio di Fausta Speranza.

“Ringrazio il Signore per la coralità di tanto affetto”, dice Benedetto XVI. “Ho sperimentato una solidarietà spirituale, nutrita essenzialmente di preghiera, che si manifesta in mille modi”: così aggiunge esprimendo un cordialissimo grazie a tutti coloro – e sottolinea tanti - hanno fatto pervenire un segno di affetto e di vicinanza spirituale in questi giorni, per le festività pasquali, per il compleanno, il 16 aprile, e per il quarto anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro, che ricorre proprio oggi. E alle sue parole si leva dal cortile del Palazzo di Castel Gandolfo, un coro di applausi e di manifestazioni festose. “Come ho avuto modo di affermare di recente – ribadisce Benedetto XVI – non mi sento mai solo”:


“A partire dai miei collaboratori della Curia Romana, fino alle parrocchie geograficamente più lontane, noi cattolici formiamo e dobbiamo sentirci una sola famiglia, animata dagli stessi sentimenti della prima comunità cristiana, di cui il testo degli Atti degli Apostoli che si legge in questa domenica afferma: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).”

Il Papa ricorda che le prime comunità cristiane si sono fondate su Cristo Risorto che ha donato ai suoi “una nuova unità, più forte di prima, invincibile, - ricorda il Papa- perché fondata non sulle risorse umane, ma sulla divina misericordia, che li fece sentire tutti amati e perdonati da Lui.” E’ dunque l’amore misericordioso di Dio – ricorda - ad unire saldamente, oggi come ieri, la Chiesa e a fare dell’umanità una sola famiglia.” E dunque Benedetto XVI ricorda che con questa convinzione Giovanni Paolo II ha voluto intitolare la seconda domenica di Pasqua alla Divina Misericordia, accogliendo il messaggio spirituale trasmesso dal Signore a Santa Faustina Kowalska e sintetizzato nell’invocazione: “Gesù confido in te”.


“Come per la prima comunità, è Maria ad accompagnarci nella vita di ogni giorno. Noi la invochiamo “Regina del Cielo”, sapendo che la sua regalità è come quella del suo Figlio: tutta amore, e amore misericordioso. Vi domando di affidare a Lei nuovamente il mio servizio alla Chiesa, mentre con fiducia Le diciamo: Mater misericordiae, ora pro nobis.”

Dopo la preghiera mariana, il pensiero del Papa va alla Conferenza di esame della Dichiarazione di Durban del 2001 contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la relativa intolleranza. “Si tratta di un’iniziativa importante - spiega Benedetto XVI - perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni.” La Dichiarazione di Durban – spiega il Papa - riconosce che “tutti i popoli e le persone formano una famiglia umana, ricca in diversità, e promuove tolleranza, luralismo e rispetto per una società più inclusiva. A partire da queste affermazioni si richiede un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Benedetto XVI aggiunge che “occorre, soprattutto, una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”. E a questo proposito il Papa ricorda l’insegnamento di fondo della Chiesa:


“La Chiesa ribadisce che solo il riconoscimento della dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, può costituire un sicuro riferimento per tale impegno. Da questa origine comune, infatti, scaturisce un comune destino dell’umanità, che dovrebbe suscitare in ognuno e in tutti un forte senso di solidarietà e di responsabilità”.

Dunque, l’incoraggiamento del Papa:


“Formulo i miei sinceri voti affinché i Delegati presenti alla Conferenza di Ginevra lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, segnando così un passo fondamentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per ogni persona e popolo.”


Nei saluti in varie lingue, il Papa incoraggia tutti a riconoscere la luce della gioia pasquale, facendosi aiutare da Maria. In tedesco ringrazia in particolare quanti lo hanno sostenuto e lo sostengono in Germania ricordando che 4 anni fa divenendo Papa chiese sostegno spirituale e preghiere. Inoltre in polacco, un pensiero particolare ai connazionali del Servo di Dio Giovanni Paolo II, ricordando che “è stato proprio lui a ricordare a noi tutti il messaggio di Cristo Misericordioso, rivelato a Santa Faustina”.


Poi il saluto ai pellegrini di lingua italiana e, in particolare, ai partecipanti, stamane, alla Messa presieduta dal Cardinale Vicario Agostino Vallini nella chiesa di Santo Spirito in Sassia.


“Cari amici, voi portate la celebre immagine di Gesù Misericordioso: portatela sempre dentro di voi, e siate dovunque suoi testimoni! Buona domenica a tutti!”




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=797&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=796&sett...
Paparatzifan
00domenica 19 aprile 2009 19:48
Dal blog di Lella...

Benedetto XVI

Quattro anni dopo

Erano le 17,50 del 19 aprile 2005, l’ora in cui il cardinale protodiacono, affacciato alla loggia centrale della Basilica Vaticana, annunciava il gaudium magnum: il cardinale Joseph Ratzinger era stato eletto Vescovo di Roma e aveva assunto il nome di Benedetto.

Il 19 aprile 2009 inizia, così, il quinto anno di pontificato! Il quinto anniversario della elezione.

Dal primo giorno, il Papa ha dimostrato non solo di essere un maestro della verità, ma anche un padre della carità e dell’amore.
Si potrebbe siglare con queste parole il ministero di Pastore della Chiesa Universale di colui che si è presentato come “umile operaio della vigna del Signore”
Davvero Benedetto XVI si è rivelato in questi quattro anni trascorsi un grande Padre della Chiesa.

In ogni suo gesto, in ogni suo atto durante non ha soltanto illuminato il mondo con la sua dottrina, con le sue parole, con le sue omelie, ma soprattutto con il suo amore: tutto quello che il Papa ha insegnato e tutto quello che ha fatto è stato orientato al senso dell’amore di Dio che si è manifestato in Cristo Gesù.

Ecco: quella del Cristocentrismo è la cifra del pontificato benedettino. Il Papa ricorda alla Chiesa di “lasciarsi raggiungere da Cristo”: un Cristo che ama l’uomo, che ama la vita, che costruisce la famiglia cristiana, che rivela al mondo il senso della vera gioia, il senso di Dio.
Nell'omelia di inizio del Pontificato, Benedetto XVI affermava di non aver un proprio programma, se non quello che ci viene dal Signore Gesù Cristo: era questo un chiaro richiamo a ciò che è essenziale nel cristianesimo.
Per questo – dice il Papa – al mondo manca Dio e per questo vive nell’angoscia, nel nichilismo, nel non-senso.
Di fonte a un generale indebolimento della fede, che papa Benedetto vede percepibile in tutto il mondo, dentro e fuori la Chiesa. la sua risposta è quella di accompagnare l’uomo di oggi al Dio di Gesù Cristo.

E’ tutto qui questo Papa e lo si riconosce sempre di più in questa sua essenzialità!

In questo quadro non è difficile individuare in questo annuncio la priorità del Pontificato. Oggi Dio è troppo facilmente messo al margine della nostra vita, protesa al "fare" e al godere-consumare; Dio che è espressamente negato da una "metafisica" evoluzionistica che riduce tutto alla natura, o più frequentemente è dichiarato non conoscibile in base al principio veluti si Deus non daretur; quel Dio, infine, di cui è stata proclamata la "morte", con l'affermarsi del nichilismo e con la conseguente caduta di tutte le certezze.
Per Papa Benedetto il primo impegno pastorale è dunque riaprire la strada a Dio che ha un nome, Gesù Cristo. Gesù Cristo infatti è la via a Dio Padre, è la sostanza del cristianesimo, è il nostro unico Salvatore. Perciò è terribilmente pericoloso il distacco tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, distacco che è frutto di un'assolutizzazione unilaterale del metodo storico-critico e più precisamente di un impiego di questo metodo sulla base del presupposto che Dio non agisca nella storia.

La seconda priorità del Pontificato è la preghiera.

Non soltanto quella personale ma anche e soprattutto la preghiera liturgica della Chiesa. Benedetto l’aveva anticipato in tempi non sospetti: "La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l'attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico". Oggi è il centro del suo Pontificato.
E la gente l’ha capito: la gente accorre. Dove c’è il Papa là c’è il suo popolo. I suoi viaggi riscuotono un successo e un’attenzione del pubblico superiore alle attese più rosee convinto di fronte a una Persona che dice delle cose forti e importanti.

La popolarità di questo Papa non è nel gesto, ma esattamente in quello che dice e in quello che fa: egli va a toccare quei temi che l’ascoltatore comune percepisce come quelli essenziali, come quelli che toccano la vita di ciascuno nel senso profondo della parola, di quelli che toccano il destino dell’uomo e del mondo.

Sono stati coronati da successo dei viaggi internazionali negli Stati Uniti, Australia, Francia; è riuscito splendidamente il Sinodo sulla «parola di Dio»; e la stessa polemica scoppiata sulla pubblicazione della revoca da parte di Benedetto XVI della scomunica ai quattro vescovi anti-conciliari ordinati dallo scismatico Marcel Lefebvre nel giugno 1988 ha visto ai miei occhi un Papa grande, misericordioso, vero padre.
La lettera che ha dovuto scrivere ai Vescovi del mondo è stata un capolavoro patristico: un gesto audace, una lettera senza precedenti, in cui spiega il significato del suo gesto e ribadisce la “linea” del suo pontificato: riportare gli uomini a Dio, lavorare per l’unità della Chiesa.
Benedetto XVI non ha taciuto che egli non ha sofferto tanto per le difficoltà, il remare contro, le incomprensioni le critiche e contestazioni a pioggia arrivate da alcuni leader politici e di governo, quanto piuttosto dall’atteggiamento ostile di taluni episcopati europei e dalla la stessa Curia romana.
Anche il viaggio in Africa è stato fonte di incomprensione da parte del business degli anticoncezionali. In verità la soluzione proposta dal Santo Padre è da ricercare in due direzioni: da una parte nell’umanizzazione della sessualità e, dall’altra, in una autentica amicizia e disponibilità nei confronti delle persone sofferenti, sottolineando anche l’impegno della Chiesa in ambedue gli ambiti.
Le parole chiare di Benedetto XVI e strumentalizzate dai media occidentali sull’uso del preservativo hanno posto il Papa nella posizione di essere attaccato con foga, bollato come “irresponsabile”, mentre taluni governi europei si sono mobilitati contro di lui.
Con un passo, inconsueto nelle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il Regno del Belgio, l’Ambasciatore presso la Santa Sede ha fatto parte della Risoluzione con cui la Camera dei Rappresentanti del Belgio ha chiesto al proprio governo di condannare le dichiarazioni inaccettabili del Papa in occasione del suo viaggio in Africa e di protestare ufficialmente presso la Santa Sede.
La Segretaria di Stato ha deplorato che una Assemblea Parlamentare abbia creduto opportuno di criticare il Santo Padre sulla base di un estratto d’intervista troncato e isolato dal contesto, che è stato usato da alcuni gruppi con un chiaro intento intimidatorio, quasi a dissuadere il Papa dall’esprimersi in merito ad alcuni temi, la cui rilevanza morale è ovvia, e di insegnare la dottrina della Chiesa.
Ma papa Benedetto non è retrocesso di un solo passo. Anzi giunto in Terra d’Africa ha ri-esposto più compiutamente il suo pensiero.
Ed è stato confortante costatare che le considerazioni di ordine morale sviluppate dal Santo Padre sono state capite e apprezzate, in particolare dagli africani e dai veri amici dell’Africa, nonché da alcuni membri della comunità scientifica.
Tra 20 giorni il Papa si recherà in Terra Santa, dove non andrà solo come pellegrino, ma anche come portatore di «un messaggio di riconciliazione, di perdono e di pace per tutti i popoli che vivono in quelle terre».
In questo quinto anno di Pontificato papa Benedetto dovrebbe dare alla Chiesa una nuova enciclica sociale e, forse, il secondo volume del Gesù di Nazaret.
A giugno si chiuderà l’Anno Paolino e si aprirà l’anno sacerdotale.
Si continuerà a parlare di Africa con il Sinodo speciale di ottobre, mentre a settembre il Papa è atteso in Repubblica Ceca e nel 2010 dovrebbe tornare in Germania.
Diverse anche le tappe italiane in programma: Cassino, San Giovanni Rotondo, Viterbo e Bagnoregio, Brescia .
Premesso che è impossibile riassumere i 4 anni di pontificato di Benedetto XVI in poche pagine, stante la loro intensità e la pregnanza, credo che vi sia una sintesi che può illuminare il quadriennio trascorso e gettare nuova luce sugli anni futuri.
Papa Benedetto invita la Chiesa e gli uomini e le donne di questo terzo millennio, anche quegli uomini di buona volontà che non riescono a credere, a vivere veluti si Deus daretur, come se Dio esistesse. E al tempo stesso invita tutti gli uomini a tenere lo sguardo fisso verso Dio e in base a questo sguardo comportarsi nella vita. Soltanto così Dio potrà tornare nel mondo.

www.umanesimocristiano.splinder.com/


+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 01:45
La Chiesa festeggia la Domenica della Divina Misericordia


Oggi la Chiesa celebra la domenica della Divina Misericordia, voluta nel 2000 da Giovanni Paolo II, in coincidenza con la canonizzazione dell’ “Apostola” della Divina Misericordia, Santa Faustina Kowalska. Come ha ricordato stamane il Papa al Regina Coeli, per l’occasione, alle ore 9.30, il cardinale Vicario Agostino Vallini ha presieduto una Celebrazione Eucaristica nella chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, dedicata a questo culto. Ma quando si parla di “Divina Misericordia”, cosa si intende esattamente? Isabella Piro lo ha chiesto a don Antonio Quaranta, assistente spirituale di “Dives in Misericordia”, associazione nata per diffondere il messaggio dell’omonima Enciclica di Giovanni Paolo II e il carisma di Santa Faustina Kowalska:

R. – Io direi che le nostre miserie toccano il cuore di Dio, sino al punto in cui Dio è quasi in balia delle nostre miserie, nel senso che Lui non può distogliere il suo sguardo, non può allontanare il suo sguardo, il suo cuore, le sue attenzioni, le sue premure dalle nostre miserie; Dio è amore, ci ama così tanto che è lì pronto a sorreggerci, ad accoglierci, a sostenerci continuamente, ad accompagnarci nel nostro cammino.


D. – La festa della Divina Misericordia è indubbiamente legata a Santa Faustina Kowalska. Quale insegnamento ci ha lasciato questa santa?


R. – Noi dobbiamo guardare il diario per capire che Santa Faustina ci ha lasciato una testimonianza che si raccoglie con una frase semplicissima: “il Vangelo vissuto”. Cioè, se noi andiamo a scorrere quelle pagine, troviamo questo amore meraviglioso tra la creatura ed il suo Creatore in questa testimonianza, questa vita spesa, vissuta in una semplicità ordinaria affascinante, che unisce la contemplazione con l’azione della quotidianità. E’ cioè un’espressione viva della Parola assimilata, vissuta, spesa giorno dopo giorno, laddove non c’è palcoscenico ma dove, nel segreto, Dio vede.


D. – Perché oggi è importante parlare della misericordia di Dio?


R. – Perché Dio – questa è la scoperta meravigliosa – c’è. Dio ci ama e l’uomo ha bisogno di scoprire – o di riscoprire, perché è necessario anche ammettere che un po’ ce ne siamo dimenticati – che Dio ci ama; l’uomo ha bisogno di sentirsi toccato da questo amore, avere fiducia in questo amore, lasciarsi andare a quest’amore.


D. – La figura di Giovanni Paolo II – particolarmente legato alla solennità della Divina Misericordia – può essere un esempio in questo?

R. – Giovanni Paolo II ha speso un intero pontificato per poter radicare nella Chiesa la Misericordia e per poter essere, per il mondo intero, punto di riferimento della Misericordia. Guardare a Giovanni Paolo II significa anche ricordare quei pressanti inviti alla nuova evangelizzazione, al saper essere generosi nella risposta di questo amore. E’ una delle frasi che Giovanni Paolo II ci ha lasciato: “Non abbiate paura”, e nel frattempo ritornano subito in mente le parole del Vangelo: “Non abbiate timore, io ho vinto il mondo”.


D. – Lei è assistente spirituale dell’associazione “Dives in Misericordia”; c’è un episodio, in particolare, che ci vuole raccontare, legato alla sua esperienza?


R. – Un’esperienza continua che noi facciamo è che le persone che si lasciano toccare dalla misericordia, piano piano, riprendono un cammino di fede e si lanciano con una generosità veramente sorprendente. Non poche volte sono proprio i più lontani che, repentinamente, cambiano la loro vita, quasi come si attendessero qualcosa per riparare e poi, una volta che ne hanno fatto esperienza, riprendono il cammino.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 01:46
Nel quarto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI, ripercorriamo significative tappe del Pontificato fino ad oggi


Oggi, dunque, ricorre il quarto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI. In questi quattro anni il Papa ha compiuto 11 viaggi internazionali e 12 italiani, ha creato in due Concistori 38 nuovi cardinali in rappresentanza di tutti i continenti, ha scritto due Encicliche, un’Esortazione apostolica sull’Eucaristia, il libro “Gesù di Nazaret” e centinaia di testi tra discorsi, lettere, messaggi e omelie. Tra gli eventi storici la visita ad Auschwitz, alla Moschea Blu in Turchia, il discorso all’Onu. Ma al di là di questi dati e numeri, il Pontificato di Benedetto XVI si segnala per un impegno costante e silenzioso: l’annuncio quotidiano di una Parola che salva. Il servizio di Sergio Centofanti.

Il Pontificato di Benedetto XVI si può riassumere nelle parole pronunciate all’Angelus del 15 marzo scorso poco prima del suo viaggio in Africa: “Parto – aveva detto il Papa - con la consapevolezza di non avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non Cristo e la Buona Novella della sua Croce, mistero di amore supremo, di amore divino che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici”. Parole che riecheggiano l’Angelus del 18 febbraio 2007:

“L’amore del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei ‘piccoli’, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita”.

Quella di Benedetto XVI è una catechesi quotidiana, semplice ma profonda, chiara e puntuale, che scorre in modo lineare sui binari della verità e dell’amore e da cui traspare il carattere distintivo della sua personalità: una delicatezza d’animo e una lucidità di pensiero che fa di lui un “pastore mite e fermo” in uno stile sobrio e sereno. E’ un Papa che raggiunge il cuore dei problemi e costringe a pensare. Sfida la modernità ad ampliare la ragione, a usare laicamente il dubbio in un mondo che “dicono” sempre più dominato da un pensiero unico. Lo abbiamo visto recentemente: ha osato mettere in crisi il dogma moderno del preservativo. Al di là delle ormai costanti deformazioni mediatiche che fanno dire al Pontefice quello che non dice – e questo costringe alla necessaria fatica di andare alle fonti - il suo pensiero ha spiazzato molti. Eppure i dati stanno dalla sua parte: in Africa, dove si è puntato soprattutto sul preservativo l’Aids è aumentato. E’ diminuito dove si è puntato sulla fedeltà matrimoniale e l’astinenza. Dove sono i milioni di morti che sarebbero causati in Africa da quella che viene definita “inaccettabile” predicazione della Chiesa? Il Papa ha spiegato le vere cause già durante il primo anno del suo Pontificato: il bieco “commercio delle armi”, le guerre alimentate dagli “interessi delle grandi potenze”, “lo sfruttamento dei tesori di questa terra”, “gli abusi coloniali che continuano”, mentre la Chiesa ha il 30 per cento dei centri di cura per l’Aids e con i suoi missionari e i suoi volontari lavora ogni giorno al fianco dei più poveri. L’Africa – ha detto - “ha bisogno – dopo le distruzioni che vi abbiamo portato dall’Europa – del nostro fraterno aiuto”. Il Papa invita soprattutto i giovani a pensare fuori dal coro, a interrogarsi davvero su Dio, a cercare il suo volto:

“Cari giovani amici – quanto è importante oggi proprio questo: non lasciarsi semplicemente portare qua e là nella vita; non accontentarsi di ciò che tutti pensano e dicono e fanno. Scrutare Dio e cercare Dio. Non lasciare che la domanda su Dio si dissolva nelle nostre anime. Il desiderio di ciò che è più grande. Il desiderio di conoscere Lui – il suo Volto…” (Messa per la Domenica delle Palme del primo aprile 2007).

Con particolare intensità Benedetto XVI svolge il suo ministero per l’unità della Chiesa. Nella recente Lettera ai vescovi di tutto il mondo riguardo alla remissione della scomunica dei vescovi consacrati da mons. Lefebvre (resa nota il 12 marzo scorso) si dice “rattristato del fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato” di doverlo “colpire con un’ostilità pronta all’attacco”. Ricorda a quelli che “si segnalano come grandi difensori del Concilio” che “chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”. E in una Chiesa dove talvolta anche oggi purtroppo – sottolinea - ci si morde e ci si divora per “una libertà mal interpretata” invita a “imparare la priorità suprema: l’amore”. Poi nella Messa Crismale di questo Giovedì Santo, cita le parole di Nietzsche che disprezza “l’umiltà e l’obbedienza come virtù servili”, e chiama i sacerdoti ad un esame di coscienza: se si mira alla propria autorealizzazione, alla propria volontà, o se si vuole seguire Cristo; se si vive davvero di Parola di Dio o se piuttosto non ci si lascia guidare dalle parole del mondo che s’impongono come “opinioni predominanti”. Ritorna alla mente la preghiera elevata dal Benedetto XVI durante la Messa di inizio Pontificato, il 24 aprile 2005:

“Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri”.

(Applausi)


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 17:58
Mary Ann Glendon: grande rispetto all'Onu per la voce del Papa e della Santa Sede


La Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha promosso in questi giorni un Simposio per commemorare il primo anniversario del discorso che Benedetto XVI tenne all’Assemblea Generale dell’ONU il 18 aprile dell’anno scorso, durante il suo viaggio negli Stati Uniti. L’incontro al Palazzo di Vetro ha visto la partecipazione di membri della diplomazia, del mondo accademico ed ecclesiale. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, ha tenuto il discorso principale. Tracey McLure l’ha intervistata:

R. – What was impressive to me...
Quello che per me è stato impressionante è che la voce della Santa Sede all’Onu sia così rispettata e il segno di questo rispetto è stato che non solo hanno riempito la sala quando il Papa è venuto, un anno fa, e gli hanno tributato una standing ovation alla fine, ma sono ritornati un anno dopo a riunirsi in un Seminario per riflettere e porsi domande su quello che ha detto. Quello che colpisce è una sorta di paradosso, perché se da una parte questa è un’organizzazione che come istituzione raramente agisce seguendo le raccomandazioni diplomatiche pronunciate dalla Santa Sede, dall’altra i singoli diplomatici sono interessati non solo ad ascoltare il Papa, ma desiderano anche ascoltare quello che la Santa Sede come osservatore permanente ha da dire sulle grandi questioni del nostro tempo. Io ho cercato di capire perché sono così interessati, quando così raramente sembrano prestare attenzione nel momento in cui effettivamente sono chiamati a votare. Penso che stia accadendo qualcosa. E’ chiaro che la voce della Santa Sede sia una delle più rispettate, persino forse la voce più rispettata alle Nazioni Unite. C’è un qualcosa che muove questi diplomatici come individui ad ascoltare gli argomenti discussi ad un livello superiore rispetto a quello della politica del potere.

D. – Cosa è questo ‘qualcosa’?

R. – Well, I think the something is...
Penso che questo “qualcosa” sia molto chiaro: è ciò che si trova al cuore del discorso del Papa e al centro della diplomazia della Santa Sede all’Onu. E’ questo porre l’essere umano al centro dell’interesse e questa formulazione è oltremodo importante. Il Papa parla di un’idea della persona che non sia né individualista, né totalmente comunitaria nel senso che l’individuo si perde nella massa. I diplomatici desiderano sentirsi ricordare quale sia la loro missione. Il Papa un anno fa ha detto ai diplomatici che la diplomazia è l’arte della speranza. Penso che i diplomatici vogliano sentire a quali alti ideali sono chiamati come rappresentanti delle Nazioni Unite.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 17:59
Tutti i cristiani devono preparare la GMG, afferma il Cardinale Rouco
Sottolinea l'aumento delle vocazioni sacerdotali come sfida per l'Anno Sacerdotale



MADRID, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il Cardinale Antonio María Rouco, Arcivescovo di Madrid, ha indicato questo lunedì nella capitale spagnola che tutti i cristiani devono preparare fin d'ora la Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) che si celebrerà nell'agosto 2011 a Madrid.

Nel discorso inaugurale dell'Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), ha segnalato che l'evento "richiede anche una preparazione 'remota' - oltre a quella vicina e organizzativa -, nella quale devono essere coinvolti i sacerdoti, gli educatori e i catechisti, i responsabili dell'apostolato secolare e, in definitiva, tutta la comunità cristiana negli anni precedenti all'incontro".

Il presidente della CEE ha sottolineato la necessità di seguire la GMG con una "preparazione accurata, in piena sintonia con il Pontificio Consiglio per i Laici".

Concretamente, ha invitato a porre i due anni e mezzo che separano dall'incontro mondiale dei giovani con il Papa "sotto il segno di quella Croce che ha già iniziato a peregrinare simbolicamente a Madrid. Lo farà in modo reale il prossimo 14 settembre e, dal 26 aprile 2010, percorrerà le altre Diocesi della Spagna portata dai giovani cattolici".

Il Cardinale si riferiva alla Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù, che un nutrito gruppo di giovani spagnoli ha ricevuto dai giovani australiani la scorsa Domenica delle Palme in Piazza San Pietro in Vaticano davanti al Papa e ai suoi Vescovi.

La grande croce di legno che presiede le GMG è stata venerata solennemente il Venerdì Santo nella celebrazione della Passione del Signore nella Cattedrale dell'Almudena di Madrid, e in seguito ha percorso in processione il centro della capitale spagnola, portata dai giovani e accompagnata da migliaia di madrileni.

Il Cardinale Rouco ha affermato che le GMG "sono un'occasione privilegiata per l'incontro dei giovani con Cristo", perché in esse alcuni approfondiscono la propria dedizione al Signore e decidono la propria vocazione e altri si vedono spinti alla conversione "sorpresi dalla fede viva e contagiosa dei loro coetanei".

Allo stesso modo, ha sottolineato il "ruolo decisivo" dei sacerdoti, degli educatori e dei supervisori nel "cammino di preparazione, celebrazione e studio pastorale successivo alla Giornata Mondiale della Gioventù".

In questo senso, ha considerato "provvidenziale" la recente iniziativa del Papa di convocare un Anno Sacerdotale, dal prossimo 19 giugno al 19 giugno 2010, in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci.

Il Cardinale ha sottolineato l'aumento delle vocazioni sacerdotali come una sfida per l'Anno Sacerdotale.

"Dall'aumento delle vocazioni sacerdotali e dal conseguenze ringiovanimento dei nostri presbiteri dipende in modo decisivo la possibilità umana, spirituale e apostolica dell'evangelizzazione della nostra società e delle sue giovani generazioni", ha affermato.

Ai Vescovi che partecipano alla Plenaria, il porporato ha anche ricordato la necessità di affrontare "la situazione umana e spirituale dei nostri sacerdoti" nell'Anno Sacerdotale.

Citando Benedetto XVI, ha segnalato che il sacerdote deve vivere una "tensione alla perfezione morale" da cui dipenderà in grande misura l'efficacia del suo ministero.

La missione del presbitero, ha rimarcato, ha quattro dimensioni: ecclesiale, di comunione, gerarchica e dottrinale.

Il Cardinale Rouco ha infine sottolineato alcune necessità per i sacerdoti, come il fatto che si formino in modo permanente e che valorizzino l'esistenza di uomini ordinati sacerdoti, e l'importanza che siano "presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede che per le virtù personali, e anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità".





Cardinale Rouco: in Spagna "esiste una crisi di coscienza morale"
Dedica all'aborto e alla crisi economica il discorso di apertura della Plenaria



MADRID, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- L'accettazione sociale dell'aborto e la crisi economica attuale sono una dimostrazione della più profonda crisi della coscienza morale che esiste nelle società attuali, anche in quella spagnola. Lo ha fatto notare il Cardinale Antonio María Rouco, Arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), durante l'apertura della Plenaria dei Vescovi questo lunedì a Madrid.

Nella XCIII Assemblea Plenaria, i presuli spagnoli affrontano vari temi, tra cui la prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011, l'attuale anno di preghiera per la vita convocato in tutta la Spagna e la prossima celebrazione dell'Anno Sacerdotale.

Il Cardinale si è riferito in particolare alla questione dell'aborto, avvertendo che "uno dei campi della vita sociale in cui c'è bisogno di evangelizzare di nuovo è quello della coscienza relativa al dono inestimabile della vita di ogni essere umano".

L'aspetto preoccupante di questo tema, ha osservato, è che "ampi settori sociali hanno iniziato a considerare pubblicamente il fatto che eliminare i nascituri non sarebbe qualcosa di per sé riprovevole", e "questa mentalità ha trovato eco nelle legislazioni".

In tal senso, ha ricordato che i Vescovi hanno sempre "annunciato il Vangelo della Vita" e ha negato che questo rappresenti un "fare politica": "Si tratta piuttosto di cercare con mezzi legittimi il riconoscimento effettivo di quei valori etici fondamentali che trascendono, precedono e sostengono l'azione politica stessa".

"Se, per un tragico offuscamento della coscienza collettiva, lo scetticismo arrivasse a mettere in dubbio perfino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico vacillerebbe nelle sue fondamenta, riducendosi a un mero meccanismo di regolamentazione empirica di interessi diversi e contrapposti", ha aggiunto citando Giovanni Paolo II.

"Quando la crisi della coscienza morale nella società interessa un bene così decisivo come la vita umana e il diritto ad essa, non c'è da stupirsi che la crisi morale possa estendersi e di fatto si estenda ad altri aspetti dell'esistenza delle persone e delle società".

Per questo, ha ricordato anche la necessità di difendere il diritto dei genitori di educare i propri figli e ha aggiunto che "si violano i diritti dei genitori e delle scuole quando si impone legalmente a tutti una determinata visione antropologica e morale, vale a dire una formazione statale delle coscienze", riferendosi alla polemica materia di "Educazione alla Cittadinanza".

Crisi economica

Il porporato ha dedicato una parte del suo discorso anche all'attuale crisi economica, che considera un'ulteriore espressione di quella "crisi della coscienza morale" che "colpisce non solo i settori dei diritti fondamentali come il diritto alla vita e quello all'istruzione, ma anche il diritto al lavoro".

Di fronte a questo, il Cardinale Rouco ha affermato che i cattolici devono dare una doppia risposta: da un lato con un aumento degli aiuti economici, in secondo luogo con "il discernimento delle cause etiche, sia individuali che sociali, che hanno provocato la situazione di crisi".

E' necessario, ha affermato, "un aggiornamento della Dottrina Sociale della Chiesa per aiutare a superare il deplorevole stato di cose attuali". In questo senso, ha rivelato di riporre grande speranza nella prossima Enciclica di Benedetto XVI, "che dovrebbe riguardare la Dottrina Sociale".

"In ogni caso, si può sostenere anche che senza un profondo cambiamento di mentalità e di atteggiamenti, alla luce di una coscienza morale rettamente formata, vale a dire di una vera conversione personale e sociale, difficilmente si supererà questa grave crisi, le cui dimensioni e i cui orizzonti si mostrano così incerti e imprevedibili".

Per il Cardinale "sarà molto difficile superare questa crisi, che ha radici così profonde morali e umane, senza il rispetto degli imperativi spirituali e morali della sobrietà e dell'austerità di vita; dell'accettazione del sacrificio personale, condiviso da tutti, a favore del bene comune; della concezione e della realizzazione del lavoro come un diritto, ma anche come un dovere generoso e creativamente praticato".

Allo stesso modo, è necessaria "una regolamentazione normativa giuridica e amministrativamente efficace della vita economica e finanziaria che protegga meglio le istituzioni statali, quelle finanziarie e le imprese con condotte gravemente egoiste e immorali, spesso stimolate da standard generalizzati di vita caratterizzati dall'ansia dell'arricchimento facile e rapido".

Il Cardinale Rouco ha poi ricordato che i suoi Vescovi, nella Plenaria precedente (nel novembre scorso), hanno deciso di aumentare i fondi destinati alle Caritas diocesane. Ad ogni modo, ha avvertito, "nei mesi trascorsi da allora la situazione è andata peggiorando".

Per questo, ha invitato tutte le Diocesi ad aumentare il proprio sostegno alle Caritas, soprattutto con la prossima colletta in occasione del Corpus Domini.
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 18:00
L’amicizia tra Santa Sede e Israele: speranza di pace e giustizia
Intervista a mons. Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme



GERUSALEMME, lunedì, 20 aprile 2008 (ZENIT.org).- Un mese prima della visita di Papa Benedetto XVI in Terra Santa, il Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, offre alla Custodia Francescana di Terra Santa nuove chiavi di lettura di questo pellegrinaggio.

Beatitudine, il pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI sopraggiunge in un momento difficile per il paese. E sono stati gli stessi cristiani palestinesi ad esprimere, più di tutti, il loro scetticismo, o meglio, la loro incomprensione per questa scelta. Che cosa potete dir loro?

È vero che la comunità cristiana locale, palestinese, ha espresso e ci ha manifestato il suo disappunto, i suoi interrogativi e i suoi timori. Ed essendo venuti a conoscenza, prima di loro, del progetto di Sua Santità, ci siamo anche noi interrogati sull’opportunità di questo viaggio. Il fatto che il Santo Padre venga in un momento difficile, in una regione difficile, a incontrare un popolo estremamente sensibile, ci ha fatto riflettere. Ci siamo consultati con gli organizzatori, con lo stesso Santo Padre, e, qui a Gerusalemme, con i nostri fratelli vescovi dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, i quali presentavano le stesse inquietudini della comunità cristiana locale. Ma, in seguito al nostro scambio, avendo constatato che il programma del pellegrinaggio era ben bilanciato, nei suoi momenti dedicati alla Giordania, alla Palestina e a Israele, abbiamo finito per riconoscere che questo viaggio non poteva che essere un bene, una benedizione per tutti.

Le ansie – o direi anche le angosce – che avete menzionato sono, per certi versi, legittime, ma vorrei sottolineare il fatto che sono state, e in molti casi lo sono ancora, vissute in prima persona dagli arabi cristiani che vivono nei Territori e a Gerusalemme. La realtà dei cristiani israeliani e, a fortiori, quella dei cristiani giordani, è totalmente diversa: loro vedono la visita del Papa sotto tutt’altra luce. In una diocesi che vive realtà a tal punto diverse, noi dobbiamo sforzarci di avere una visione più ampia di questa visita, e considerarla in tutte le sue dimensioni: quella politica, quella sociale, quella umana e quella religiosa. Ma è innegabile che questi tre punti permangano: il Santo Padre verrà in un momento difficile – soprattutto dopo la guerra di Gaza -, in una regione difficile, per render visita a una popolazione molto sensibile.

Ebrei, cristiani e musulmani: sono tutti “sensibili”?

Sì, ciascuno ha la propria sensibilità, il proprio punto di vista, e in questo momento tutti si preparano ad accaparrarsi la parte migliore della torta che questa visita rappresenta…

Qual è la motivazione profonda della venuta del Santo Padre in questo momento? Si potrebbe dire che abbia scelto il momento peggiore?

No, no. Dopo la sua elezione pontificale, Papa Benedetto XVI ha sempre manifestato il desiderio di venire in Terra Santa, come pellegrino. La nostra assemblea dei vescovi l’ha invitato, io l’ho personalmente invitato, ed egli ha anche ricevuto l’invito di diverse autorità giordane, israeliane e palestinesi. Inoltre, sono mesi che si sta preparando questo viaggio: nel frattempo è scoppiata la guerra a Gaza, e il termometro del conflitto è di nuovo schizzato. Che fare allora? Aspettare un momento migliore? Ma questa regione non è mai in pace! Attendere che la questione palestinese sia risolta? Ho paura che anche i prossimi due o tre pontefici passeranno, senza che essa sia completamente risolta.

È la solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto… Alcuni dicono: “La situazione è difficile, quindi meglio che non venga”; altri, invece: “La situazione è difficile, quindi speriamo che venga”. Ed è questa la nostra posizione. In questi tempi difficili, io mi auguro che il Santo Padre venga ad aiutarci a superare, a guardare più lontano.

Il Papa renderà visita a tutte le Chiese, a tutte le popolazioni che abitano la Terra Santa, per incoraggiarci a rimanere fedeli alla nostra missione, alla nostra fede e al nostro senso di appartenenza a questa Terra. E non dimentichiamo che viene in pellegrinaggio. Immaginate le conseguenze negative per l’industria dei pellegrinaggi, che per noi è vitale, se il Papa stesso avesse paura di venire come pellegrino! Cosa avremmo detto a tutti quei turisti e pellegrini che avrebbero annullato la loro visita? Come avremmo potuto incoraggiarli ancora a venire?

Un ultimo punto: vi ricordo che il Santo Padre ha 82 anni e che ha manifestato il desiderio di venire come pellegrino in Terra Santa. Un pellegrinaggio sovrapposto a un viaggio apostolico è qualcosa di molto faticoso: oggi il Santo Padre ha la forza per affrontarlo.

Ma i pellegrini e i turisti non devono fare discorsi davanti alle autorità civili…

È vero, ma i cristiani del mondo intero che seguiranno il pellegrinaggio del Pontefice non fanno tutta quest’analisi politica. La maggior parte di loro si limiterà a dire: “Se non ha paura il Papa, perché dovremmo averne noi?”

Al Papa pellegrino, i cristiani locali dicono “Ahlan wa sahlan!”, “Benvenuto!”. Le loro inquietudini risiedono semplicemente nella domanda: “Che cosa dirà?”, o meglio “Che cosa gli si farà dire?”

In effetti, Beatitudine, la stampa israeliana e internazionale interpreta questo viaggio soprattutto come una volontà di riappacificare i rapporti tra la Chiesa e il mondo ebraico, in particolar modo dopo l’affare Williamson. Ciò che inquieta i palestinesi è il profitto che ne può trarre Israele, come Stato…

Lo capisco, e so ciascuna delle parti cercherà di approfittare al massimo di questa visita, tanto in Giordania quanto in Israele, in Palestina, e anche nella Chiesa locale. Ragione in più perché ognuno di noi sia il più possibile preparato.

Israele farà il possibile per presentare il proprio Paese sotto la luce migliore. Lo capisco, è un loro diritto.

Non sta a noi denunciare o criticare ciò che fanno gli altri. A noi sta il compito di fare in modo che la visita sia il più pastorale possibile, e di fare in modo che i nostri cristiani abbiano la possibilità di vedere il Santo Padre, di pregare con lui e di ascoltare il suo messaggio di pace e di giustizia per tutti. Se consideriamo tutti i messaggi che la Santa Sede ha pubblicato in riferimento alla Terra Santa, all’Iraq e al Medio Oriente, ci troviamo di fronte a un capitale immenso di discorsi di sostegno, di interventi ricchi di umanità, di spirito cristiano e di giustizia. Non ho dubbi che, durante la sua visita in Terra Santa, il Santo Padre proseguirà in questa direzione. A noi, Chiesa locale, rimane da vegliare sull’equilibrio del programma: i siti da visitare, le persone da incontrare, i discorsi da pronunciare. Sta a noi “dare una mano al Santo Padre”. Lui è continuamente tenuto informato circa la nostra situazione, nei suoi aspetti positivi così come in quelli negativi. Conosce le nostre paure, le nostre ansie, ma anche le nostre speranze, e la nostra gioia di riceverlo, in stretta collaborazione con tutte le Autorità civili.

Il Nunzio apostolico ha detto che questo viaggio non sarà politico, ma che se ne potrebbe dare una lettura politica…

In questo paese, è impensabile lasciar da parte la dimensione politica. Il Nunzio ha ragione quando insiste nel dire che si tratta prima di tutto di un pellegrinaggio. Ma non lo nascondiamo: c’è anche una dimensione politica evidentissima. Ogni giorno, ogni gesto, ogni incontro e ogni visita, tutto avrà una connotazione politica. Qui si respira politica, il nostro ossigeno è la politica. Quel che è grave, è che tutti fanno della politica, senza lasciare questo compito a chi di dovere: ai politici e al parlamento; ciascuno aggiunge il suo granellino di sale, e questo non aiuta. Non si può negare, dunque, che anche questo pellegrinaggio abbia una portata politica rilevante.

Possiamo allora attenderci dei passi in avanti, a livello politico? E/o dei passi in avanti nelle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele?

La Santa Sede ha sempre fatto il primo passo, ha sempre preso l’iniziativa del dialogo e dell’incontro. E ora, in questo periodo, malgrado gli interrogativi e le paure, il Santo Padre ha il coraggio di fare il primo passo, nella speranza di poter migliorare i rapporti tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele. Nella speranza inoltre, che Israele, in quest’occasione favorevole, faccia almeno un gesto di cortesia per far avanzare il processo di pace.

Quanto a questo famoso accordo, sempre in discussione, per regolare le relazioni tra la Santa Sede e Israele, ci saranno dei progressi, a dar credito agli esperti.

Tutti i comunicati, da 5 anni a questa parte, annunciano dei progressi, ma nulla si conclude…

È vero, ma in questo campo, così come nel campo del processo di pace, le cose avanzano anche se questi sviluppi non vengono sbandierati sulla pubblica piazza. Se fosse necessario, alcuni non esiterebbero a “guastare la cucina” diplomatica, e ci complicherebbero la vita. Per me, in questo periodo ricco di incontri e di dialogo, la parola chiave è “fiducia”. Ma è anche vero che bisognerebbe fare dei gesti coraggiosi, che pongano davvero le basi per un rapporto di fiducia. È innegabile che la fiducia reciproca manchi.

Come già fece Giovanni Paolo II, che definì gli ebrei “i nostri fratelli maggiori nella fede”, Papa Benedetto XVI metterà certamente in risalto il legame naturale dei cristiani con l’ebraismo. Ma, dal momento che qui tutto viene politicizzato, questo rischia di essere interpretato come un appoggio a Israele in quanto Stato. Non si rischia così di mettere i cristiani in difficoltà, qui come in tutto il Medio Oriente?

È difficile trovare il giusto equilibrio, e mantenerlo; detto ciò, più il Vaticano sarà amico d’Israele, più potrà sfruttare questa amicizia per far avanzare la pace e la giustizia. Se le tensioni tra la Chiesa cattolica universale e Israele permangono, ci rimettiamo tutti quanti, cristiani e arabi. Al contrario, se Israele guardasse con fiducia alla Santa Sede, si potrebbe, sulla base di questo rapporto amicale, parlare di verità, di giustizia e di pace. Infatti, soltanto con il linguaggio dell’amicizia si possono pronunciare parole che, per bocca di un nemico, si rifiuterebbero di ascoltare.

Essere amici, e parlare come tali, non può che giovare ad ognuna delle parti: all’amico, a Israele, e a tutti. Spero sinceramente che l’amicizia tra la Santa Sede e Israele sia reciproca.

Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che la Santa Sede intrattiene già delle relazioni diplomatiche con quasi tutti i paesi arabi, e che tali relazioni sono buone. La lettura dei discorsi degli ambasciatori arabi presso la Santa Sede mostra che essi hanno bisogno della Chiesa: non solo del Vaticano, ma della Chiesa in ogni parte del mondo in cui essa si trova. È necessario avere questa visione globale per comprendere la situazione della Santa Sede, questo piccolo Stato sostenuto da tutto il mondo cattolico, e non limitarsi a vedere le cose solo da un unico punto di vista, che può deformare la visione intera.

Più la Santa Sede è in rapporto di amicizia con Israele, più potrà intervenire in favore di tutti gli abitanti della Terra Santa: ebrei, musulmani e cristiani. È il nostro più grande desiderio.





[Intervista raccolta da Marie-Armelle Beaulieu]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 18:00
Il nunzio in Israele: la Shoah non può essere messa in discussione


“La Shoah è qualcosa che non può essere messa in discussione in alcuna maniera. Essa è per tutti un ricordo ed uno stimolo a creare quelle condizioni necessarie ad evitare queste aberrazioni”. Così il nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco, alla vigilia della Giornata del ricordo dei martiri e degli eroi dell’Olocausto, che si celebra domani nello Stato ebraico , sul tema “I bambini nell’Olocausto”. Secondo quanto riferisce il Sir, anche il rappresentante vaticano parteciperà alle manifestazioni che si svolgeranno contemporaneamente in diversi Paesi del mondo. Il programma della giornata, diffuso dallo Yad Vashem, prevede, a Gerusalemme, alle ore 10, il suono delle sirene cui seguirà una solenne cerimonia alla presenza del presidente Shimon Peres e del premier Benjamin Netanyahu. Durante la cerimonia sei sopravvissuti accenderanno sei torce, mentre andranno in onda dei brevi video relativi alla loro testimonianza di vita. Per conoscere il programma completo si può visitare il sito www.yadvashem.org. (M.G.)


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 18:01
Conferenza di Ginevra. Mons. Tomasi: Santa Sede presente per lottare contro razzismo e discriminazione


In un clima di divisioni e assenze clamorose, si è aperta stamane a Ginevra la seconda Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia, 8 anni dopo la prima svoltasi a Durban in Sud Africa. Oltre 150 i Paesi partecipanti, 30 i ministri degli Esteri e 4 i capi di Stato presenti, oltre ad una delegazione della Santa Sede. Ad aprire i lavori è stato il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon. Il servizio di Roberta Gisotti.


“Sono profondamente deluso” – ha esordito Ban Ki-moon – “rimpiango profondamente che alcuni abbiano scelto di farsi da parte”. E poi ha aggiunto “possiamo superare le divergenze”, quindi l’appello “a tutti i Paesi a considerare questo processo come un inizio e non una fine.''


Le lunghe trattative e i compromessi raggiunti sulla bozza di dichiarazione finale per eliminare le accuse di razzismo contro lo Stato di Israele e i toni ritenuti antisemiti non hanno impedito l’assenza oggi a Ginevra di Stati Uniti ed Israele, che ricordiamo avevano già abbandonato la Conferenza di Durban. Ma la crepa nella casa ONU dopo 8 anni si è allargata ad Australia, Nuova Zelanda, Canada e in Europa a Germania, Olanda, Polonia ed Italia, che dopo consultazioni febbrili per raggiungere una posizione comune nell’Unione Europea hanno deciso di boicottare i lavori di Ginevra.


A scaldare ulteriormente gli animi l’incontro ieri tra il presidente elvetico Merz e il presidente iraniano Ahmadinejad, verso cui si appuntano le critiche più aspre. Per questo l’ambasciatore israeliano ha abbandonato stamane Ginevra in segno di protesta, mentre il premier Netanyahu, ha sottolineato come nel giorno in cui Israele celebra la memoria della Shoah, la Conferenza contro il razzismo “accoglie un razzista e negazionista”. Grande attesa dunque per l’intervento di Ahmadinejad previsto nel pomeriggio, su cui pesa il monito della Francia, che lascerà l’aula alle prime dichiarazioni razziste o antisemite del capo di Stato iraniano, che questa mattina ha incontrato, a margine della Conferenza, Ban Ki-moon, forse nel tentativo del segretario generale dell’ONU di arginare uno scontro ancora più duro con i Paesi che hanno disertato Ginevra.


Tornando all’intervento in aula di Ban Ki-moon, questi ha denunciato che il razzismo non è scomparso “e può essere istituzionalizzato, come l’Olocausto ma può anche esprimersi in modo meno ufficiale, sotto forma di odio verso alcune classi o persone particolari”, citando “l’antisemitismo” e “la nuova islamofobia”. “Le vittime del razzismo “ci guardano ma cosa vedono?" - si è chiesto il segretario generale dell’ONU: ''parliamo di tolleranza e mutuo rispetto, ma puntiamo l'indice gli uni contro gli altri e ci rivolgiamo gli uni agli altri le stesse accuse'' del passato, ha deprecato Ban Ki-moon, denunciando poi il traffico di esseri umani e le nuove politiche xenofobe in aumento. Per il capo dell'Onu, ''la discriminazione non sparisce da sola. Deve essere affrontata. Altrimenti può diventare causa di disordini e violenze sociali”. Ultimo monito: “dobbiamo essere particolarmente vigilanti in questo periodo di difficoltà economica''.


Il Papa ieri al Regina Caeli, a Castel Gandolfo, ha ribadito la richiesta di “un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Occorre, soprattutto – ha detto - una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”. Quindi ha sottolineato che “solo il riconoscimento della dignità dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, può costituire un sicuro riferimento per tale impegno”. Sulle polemiche alla conferenza Onu e il boicottaggio di alcuni Paesi ascoltiamo l’osservatore permanente della Santa Sede all'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra mons. Silvano Maria Tomasi, al microfono di Sergio Centofanti:

D. – Dal punto di vista della Santa Sede, noi guardiamo anzitutto alla sostanza di questa conferenza e, cioè, che in questo momento ci sono delle forme nuove di razzismo, che si manifestano in discriminazioni verso gruppi emigrati, verso comunità indigene, verso gruppi che sono economicamente emarginati. E, quindi, si vede la necessità di rinnovare, come propongono le Nazioni Unite, uno sforzo comune della Comunità internazionale per combattere il razzismo in tutte le sue manifestazioni. Il primo punto di partenza è che si tratta di una questione etica, cioè che non si può violare la dignità di nessuna persona, tutte le persone sono figli di Dio, di uguale valore. Davanti a questa necessità, la presenza nei negoziati e nella conferenza stessa, ci pare una necessità al giorno d’oggi, appunto per facilitare questo cammino della comunità internazionale nel trovare nuove forme per combattere le discriminazioni. Certo, l'assenza di alcuni Paesi crea un po’ di disagio, nel senso che non si capisce bene, dopo che l’ultimo documento del negoziato - che sarà il testo su cui questa conferenza si baserà per approvare le sue conclusioni - ha eliminato i punti che erano stati sollevati come punti di disaccordo. E, in particolare, vorrei citare la questione dell’antisemitismo: in questo documento viene riaffermato che bisogna combattere ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia. Si fa una menzione esplicita dell’Olocausto, che non si deve dimenticare, si fa poi una riformulazione del diritto alla libertà di espressione in maniera molto chiara, cioè dicendo che l’esercizio al diritto della libertà di espressione deve essere sostenuto e mantenuto. Quindi, non si capisce bene la ragione di queste assenze. Certo, il primo paragrafo del nuovo documento, dell’ultimo documento, riafferma la dichiarazione e il programma di azione della prima conferenza di Durban del 2001. E’, però, la prassi normale delle Nazioni Unite di fare conferenze di esame per vedere come sono stati applicati i programmi e le decisioni prese nella prima Conferenza. Perciò, non si poteva fare a meno di fare riferimento a questo documento, che era stato del resto approvato da tutti i Paesi che avevano partecipato a Durban, eccetto i due che erano assenti, gli Stati Uniti e Israele. Quindi, direi che in questo momento la conferenza è cominciata con una certa serenità. Ha parlato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha deplorato l’assenza di alcuni Paesi, citando il presidente americano Roosvelt che diceva che è meglio essere nell’arena a combattere che essere assenti. Davanti a questo svolgimento io ho fiducia che si continui su questo cammino e che non ci siano delle occasioni di disturbo.


D. – C’è stato anche chi ha criticato la Santa Sede per la sua partecipazione…


R . – La Santa Sede non è legata a nessuna posizione politica di carattere immediato, va direttamente al cuore del problema, che è un problema umano di grande importanza: che la dignità di ogni persona deve essere valorizzata e rispettata e che non si può accettare che ci siano delle categorie di persone che vengano considerate inferiori o di minor valore per ragioni di razza o di appartenenza etnica o di confessione religiosa. E' importante che tutte le persone indistintamente siano protette e rispettate. Questo è il motivo di fondo che spinge la Santa Sede ad esser presente come ha detto il Santo Padre nel Regina Coeli di ieri. Quindi, noi ci muoviamo su questa direttiva che ci è stata indicata dal Santo Padre e camminiamo per migliorare la situazione, dialogando, invece che utilizzare metodi più aggressivi, che non creerebbero un dialogo sereno.


D. - Per la Santa Sede occorre lottare contro ogni forma di discriminazione, contro l’antisemitismo e l’islamofobia, ma è crescente e meno considerata anche la discriminazione contro i cristiani sia dove sono un minoranza sia in Occidente….


R. – Io ho avuto occasione di parlare all’ultima sessione del Consiglio dei diritti umani, non molto tempo fa, esplicitamente di questa necessità di guardare con più attenzione ai cristiani i cui diritti umani non vengono rispettati. Di fatto, fra tutte le confessioni e le religioni, i cristiani sono il numero più grande di persone che soffrono la violazione dei loro diritti. Si parla addirittura di 200 milioni di cristiani di tutte le confessioni che si trovano in situazioni precarie o in situazioni di discriminazione. Questo problema lentamente sta emergendo e entrando anche nella coscienza internazionale, ma penso che ci sia ancora un cammino piuttosto lungo da fare.


[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 20 aprile 2009 18:02
La gratitudine del Papa per il sostegno avuto nei quattro anni di Pontificato: le reazioni del cardinale Lajolo, di don Andrea Toniolo e Salvatore Martinez


Mitezza d’animo unita a saldezza dottrinale. Mentre il Pontificato di Benedetto XVI inizia il suo quinto anno, è questo il “ritratto” del Papa che emerge con più insistenza nei commenti all’interno della Chiesa. In questi giorni di anniversari il Pontefice ha ringraziato più volte - con una riconoscenza intrisa di affetto - tutti coloro che lo hanno sostenuto e lo sostengono anzitutto con la preghiera. Una gratitudine che ha certamente tra i primi destinatari i collaboratori di Benedetto XVI. Alessandro De Carolis ha sentito uno di loro, il cardinale Giovanni Lajolo, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato:

R. - Questo grazie fiorisce sulle sue labbra e lo si nota, per esempio, in tutte le occasioni in cui lui incontra la gente: fiorisce sulle sue labbra perché ce l’ha nel cuore. In realtà, siamo noi tutti che dobbiamo grande gratitudine al Papa per il suo meraviglioso magistero e per la guida della Chiesa, molto sicura. Ma il Papa sa anche quanto è prezioso l’affetto dei fedeli e di tutta la Chiesa, che lo sostiene nel suo ufficio così unico. E’ un ufficio unico quello del Papa, ma questo non vuol dire affatto che il Papa sia solitario, sia isolato, come qualcuno dice. Chi dice che il Papa è isolato probabilmente vive in un altro mondo. Il Papa è circondato dal popolo, dai sacerdoti, dai vescovi e anche da tanti non cristiani, non cattolici, non credenti, che lo sostengono e quindi ringrazia. Questo è un corrispondere di affetti che c’è fra il Papa e gli altri. E’ questo "grazie" che così sovente fiorisce proprio dal cuore del Papa sulle sue labbra: così dolce, così sorridente, così amabile. Perché il Papa è uomo di alta dottrina: nessuno lo potrà negare questo, che si accetti o non si accetti quello che lui insegna. Tutti, però, devono ammettere che è un uomo di una squisita amabilità: un’amabilità sincera, non nascosta e fatta per maniera. E' ciò che lui sente. Rimango sempre meravigliato della sua disponibilità ad andare incontro agli altri, nel colloquiare, nel sentirsi non come uno che è sopra - e lo è - ma come uno che sente sempre questo affetto familiare che c’è nella Chiesa.


D. - Nel suo cuore, cosa conserva del magistero e del Pontificato finora compiuto come momenti importanti?


R. - Più che come momenti - e certo si può vedere le sue meravigliose encicliche, la Deus caritas est, la Spe salvi, che sono grandi momenti - più ancora di quello, mi piacciono le sue omelie che sono veramente di sapore sapienziale, nelle quali lui "rumina" insieme con noi la Parola di Dio e ce la fa comprendere in ciò che essa ha di valido per la nostra vita di tutti i giorni e anche per quel grande movimento che è la vita della Chiesa.


Sentimenti analoghi hanno suscitato le parole di Benedetto XVI anche nel presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, Salvatore Martinez, al microfono di Alessandro De Carolis:

R. - Abbiamo profonda gratitudine al Signore per la capacità di questo Pontefice di coniugare la mitezza del cuore - che si esprime poi in questa capacità di resistere alle prove, alle difficoltà, alle incomprensioni, anche interne, che ha subito e di cui ci ha voluto dare notizia - con quella nobiltà e dolcezza di tratto umano che la gente, anno dopo anno, ha imparato a scoprire in lui e che, in fondo, è espressione della forza, dell’intelligenza e della passione umana che animano il Pontefice.


D. - Dalla sua elezione ad oggi, Benedetto XVI ha sfidato e sfida continuamente il "pensiero unico", imposto da una certa cultura, basato sul “come se Dio non esistesse”. Come vede e vive lei questa sfida?


R. - Direi che il Pontefice abbia riscritto questa espressione, provando a spingere gli uomini a vedere in che modo Dio, invece, esiste nella storia. Benedetto XVI ripropone non solo l’attualità del Vangelo ma la sua attuabilità in ogni ambito dello scibile umano, con un linguaggio fresco e spirituale. Credo che oggi più che mai il Pontificato di Benedetto XVI, che è in profonda continuità con il pensiero di Giovanni Paolo II, ci dica che la via di Dio è l’uomo: di un uomo ragionevole, di un uomo che non può mancare di un principio interiore, soprannaturale. Solo così possiamo rimuovere i conflitti che derivano dalle contraddizioni che ci sono nella natura umana. L’umanità ha bisogno di un ordine spirituale. Le crisi del nostro tempo sono in fondo lo smarrimento e la confusione degli uomini dinanzi alla nozione di bene e di male. Il Pontefice ogni giorno ci educa a richiamare le parole con il loro nome, a dire “bene” al bene e “male” al male.


D. - C’è un’altra sfida, quella dell’unità della Chiesa, che lei poco fa ha ricordato, alla quale in più occasioni il Papa si è richiamato di recente. Qual è la risposta sua e del Rinnovamento nello Spirito Santo a questa sollecitazione?


R. - E’ la cultura delle Pentecoste, la cultura del “noi”. La cultura della Pentecoste è l’antidoto alla cultura del relativismo che ha un veleno mortale: l’esaltazione narcisistica dell’Io. Questo messaggio oggi è chiaro agli islamici, agli ebrei, e, in fondo, è chiaro anche a coloro che si dicono atei ma con una laicità che non sconfessa il dialogo, la reciprocità. C’è da imparare, dall’umiltà del Pontefice e dalla forza dei suoi ragionamenti quanto questa umanità debba riscoprire il valore dello Spirito Santo, il pronome dello Spirito Santo che è il “noi”.

Le omelie e le encicliche, dunque, ma anche i viaggi pastorali e le centinaia di udienze tenute in questi anni, rappresentano i documenti attraverso i quali il Papa ha espresso il suo ministero. Don Andrea Toniolo, preside della Facoltà Teologica del Triveneto, si sofferma sui tratti essenziali del Pontificato, nell’intervista di Federico Piana:

R. - All’elezione cominciò dicendo: “Sono un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Quindi, questi quattro anni di Pontificato ci hanno mostrato un atteggiamento molto umile, semplice, di questo Pontefice che, tuttavia, ha lavorato su alcuni settori, su alcuni solchi molto importanti. Mi pare di poter dire che forse il primo grande carisma, dono e compito che ha assunto questo Pontefice è quello del “munus docendi”, cioè il dono è il compito dell’insegnamento. Soprattutto, questa capacità di insegnamento e di comunicazione della fede, si esprime attraverso la sua predicazione domenicale, le catechesi, che sono comunicazioni straordinarie, semplici, ma profonde della fede, e attraverso i suoi testi, di cui ricordo in particolare le due encicliche, che sono due documenti, due lettere – la parola enciclica vuol dire “circolare” – due lettere circolari rivolte a tutti i cristiani su due temi: il tema del Dio amore, della carità, e il tema della speranza.


D. - Molti all’inizio hanno detto: è un Papa teologo che non ha la capacità di comunicare. Invece abbiamo visto in questi quattro anni che è vero il contrario…


R. - Penso che basti ascoltare anche il breve pensiero che richiama il Vangelo della domenica, dove in pochissimi minuti riesce a condensare il significato del Vangelo, attualizzandolo. Direi che la capacità di comunicazione è tipica di questo Pontefice: tradurre in maniera semplice e accessibile a tutti il messaggio della fede cristiana. Ed è un dono. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


[Radio Vaticana]
Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 20:45
Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 20:55
Dal blog di Lella...

«Ho sperimentato la solidarietà che mi circonda e sostiene»

Il Papa inizia il suo quinto anno

«Non mi sento mai solo»

L'elezione il 19 aprile del 2005. Ai fedeli disse: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi»

Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO

Nella messa di inizio del suo pontificato, il 24 aprile 2005, ai fedeli di piazza San Pietro disse una cosa che stupì tanti: «Prega te per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi».
Ora che Benedetto XVI s’affaccia dal la finestra del palazzo di Castel Gandolfo, nel giorno in cui si compie il quarto anno dalla sua elezione pontefice, quell’imma gine giovannea appare più che mai attuale.
Ma il Papa sorride ai fedeli che lo festeggiano, «ringrazio il Signore per la cora lità di tanto affetto», e si mo stra sereno e determinato: «Co me ho avuto modo di afferma re di recente, non mi sento mai solo».
Un mese fa, in volo per l’Afri ca, la domanda dei giornalisti l’aveva messo di buon umore: «Per la verità devo un po’ ride re su questo mito della mia soli tudine ». Si era appena placata la tempesta intorno ai lefebvria ni e non poteva immaginare che una frase pronunciata di lì a poco su preservativi e Aids avrebbe scatenato altre polemi che.
Ma ora Benedetto XVI spiega che a Pasqua «ho sperimentato la comunione che mi circonda e mi sostiene: una solidarietà spirituale che si manifesta in mille modi. A partire dai miei collaboratori della Curia Roma na, fino alle parrocchie geografi camente più lontane, noi catto lici formiamo e dobbiamo sen tirci una sola famiglia».
Dopo le folle delle celebrazio ni pasquali, il 16 aprile Benedet to XVI ha festeggiato sobria mente i suoi 82 anni con il fra tello Georg a Castel Gandolfo.
Sono arrivati auguri da tutto il mondo (compreso il presidente iraniano Mahmoud Ahmadi nejad) e da tutti le religioni. Nel l’ultimo anno è andato in quat tro continenti. A maggio, in Ter ra Santa, toccherà il quinto. In tanto, il 28 aprile, sarà in Abruz zo. Gli impegni incalzano.
E ieri Radio vaticana riassumeva il suo pontificato con le parole pronunciate prima di andare in Africa: «Parto con la consapevo lezza di non avere altro da pro porre e donare se non Cristo».

© Copyright Corriere della sera, 20 aprile 2009


Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:01
Dal blog di Lella...

Il quinto anno di pontificato

LA PAZIENTE RICERCA DI PAPA RATZINGER

«Rivoluzione tranquilla» con uno stile contrassegnato dalla prudenza

Dalla sostituzione del maestro di cerimonie alla reintroduzione del latino con una riforma «soft»

di VITTORIO MESSORI

Dopo avere varcato l'82˚genetliaco, Joseph Ratzinger inizia il quinto anno di pontificato.
Smentendo ancora una volta coloro che non lo conoscevano, il peso della tiara non lo ha sfiancato e non gli sono mancate le energie per viaggi impegnativi come quello africano. Merito anche della prospettiva che trae dalla fede.
Non dimentico l'espressione sorpresa quando gli chiesi se erano serene le sue notti da Cardinal Prefetto della Dottrina della fede.
Allora infuriava la contestazione clericale e sul suo tavolo giungeva no dossier inquietanti da ogni par te del mondo. È con sorpresa, dun que, che mi rispose: «Fatto l'esame di coscienza e recitate le mie pre ghiere, perché non dovrei dormire tranquillo? Se mi agitassi, non prenderei sul serio il Vangelo che ci ricorda, senza complimenti, che ciascuno di noi non è che un 'ser vo inutile'. Dobbiamo fare sino in fondo il nostro dovere, ma consa pevoli che la Chiesa non è nostra , la Chiesa è di quel Cristo che vuole usarci come strumenti ma che ne resta pur sempre il signore e la gui da. A noi sarà chiesto conto dell'im pegno, non dei risultati».
È con questo stesso spirito che ha accettato il peso del pontificato: per obbedienza, per amore della Chiesa, così come, ancor giovane professore, aveva sofferto ma non si era lagnato quando Paolo VI lo aveva strappato alla sua amata uni versità per metterlo alla guida del la grande diocesi di Monaco di Ba viera. Passando, nell'aprile del 2005, alla nuova scrivania - poche centinaia di metri, in linea d'aria, da quella occupata per 24 anni non ha cambiato il suo stile, con trassegnato dalla costanza e dalla pazienza, su uno sfondo molto te desco di serietà, di precisione, di senso del dovere.
Il programma lo aveva già chiaramente manifestato sin dal 1985 con il suo Rapporto sulla fede: una «riforma della rifor ma », con il ritorno al Vaticano II «vero», non a quello immaginario dei sedicenti, vociferanti progressi sti.
Fedeltà piena alla lettera dei do cumenti del Concilio, non a un pre sunto, imprecisato «spirito del Concilio»: dunque, continuità, non rottura, nella storia della Chie sa, per la quale non c'è un prima e un dopo.
Un obiettivo chiaro, perseguito innanzitutto come principale consi gliere teologico di Giovanni Paolo II che però, talvolta, non fu del tut to in sintonia con lui.
La leale ami cizia tra i due, divenuta presto af fetto, non impedì la perplessità del Cardinale per alcune iniziative co me le parate sincretiste di Assisi , le richieste di scuse per le colpe dei morti, la moltiplicazione dei viaggi a spese del governo quotidiano del la Chiesa, l'eccesso di beatificazio ni e canonizzazioni, la spettacola rizzazione di momenti religiosi, magari con rockstar sul palco papa le e la scelta di paramenti liturgici secondo le indicazioni dei registi televisivi.
Pianto, con dolore sincero, l'ami co venerato, presone il posto, pur senza averlo auspicato, divenuto dunque Benedetto XVI, Joseph Rat zinger ha continuato il suo lavoro paziente. Un aggettivo che non usiamo a caso.
In effetti, la pazien za lo contrassegna da sempre: per rispetto delle persone; per reali smo da cristiano che sa quale lun ga tenacia sia necessaria per modi ficare le cose; per consapevolezza che la Chiesa ha per sé tutta la sto ria e i suoi ritmi non sono quelli del «mondo».
Così, sono stati spiazzati coloro che temevano o, al contrario, auspicavano una sorta di blitz in quella liturgia la cui «ri forma della riforma» era, stando al Ratzinger cardinale, tra le cose più necessarie e magari urgenti. La sua «rivoluzione tranquilla» è comin ciata non con qualche decreto per la Chiesa universale ma con la so stituzione del Maestro delle Ceri monie pontificie, scegliendo un li­turgista a lui congeniale: così, pri ma che con gli ordini, il ritorno a riti nella linea della Tradizione sa rebbe cominciata con l'esempio che scende dall'alto. Se celebra co sì il Papa, non dovranno, prima o poi, adeguarsi anche il vescovo e il parroco?
Pazienza, e prudenza, an che per la lingua liturgica, non sconvolgendo i messali ma facen do convivere il latino accanto ai volgari, testimoniando anche così che il Vaticano II non è stato in rot tura con la Tradizione e che san Pio V non fu meno cattolico di Pao lo VI.
Altrettanta pazienza nei confron ti della Nomenklatura ecclesiale: es sa pure non è stata sconvolta, ma all'osservatore attento non sfuggo no sostituzioni e nomine che rive lano una strategia prudente e al contempo incisiva.
Poco, comun que, si capirebbe di questo pontifi cato se non si mettesse in conto che, per Joseph Ratzinger, proble ma dei problemi non è la «macchi na » ecclesiale ma il carburante; non è il Palazzo, sono le fondamen ta.
È, cioè, quella fede che sa minac ciata alla radice, quella fede che molti credono incapace di reggere all'assalto della ragione, quella fe­de assediata da ogni lato dal dub bio. La crisi, più che della istituzio ne, è della verità del Vangelo che la sorregge e le dà senso.
Come mi disse una volta: «Siamo ormai a un punto in cui io stesso mi sorpren do di chi continua a credere, non di chi non crede».
Constatazione drammatica, che fa da sfondo a un pontificato il cui centro, non a ca so, è la ricerca ( paziente...) di un nuovo rapporto tra la ragione mo derna e la fede antica.

© Copyright Corriere della sera, 20 aprile 2009


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Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:08
Dal blog di Lella...

PAPA/ 1. Magister: quattro anni al servizio dell’incontro tra Dio e l’uomo

INT. Sandro Magister

lunedì 20 aprile 2009

Quattro anni di pontificato sono difficilmente riassumibili in poche parole. Soprattutto un pontificato denso di eventi, di contenuti e, purtroppo, anche di polemiche, come quello di Benedetto XVI. Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso, ci aiuta a dare uno sguardo complessivo e profondo su questo quattro anni di guida della Chiesa da parte di Josef Ratzinger.

Magister, a più riprese, nei suoi articoli, lei ha fatto notare la distanza che c’è tra il Papa reale e quello di cui parlano i giornali. In cosa consiste questa differenza?

Si parla spesso di un Papa a capo di una Chiesa del “no”, che pronuncia divieti su quelle che oggi sono considerate le frontiere dell’autodeterminazione del singolo individuo. Da qui tutte le polemiche anti-papali, ultima delle quali quella sulle frasi pronunciate in merito alla lotta contro l’Aids. Tali polemiche offuscano quasi del tutto quella è la particolare e assoluta originalità di questo Papa, l’essenza del ruolo che egli intende svolgere.
Le accuse contro di lui, anche dentro la Chiesa, si assommano in questa critica: un Papa che pronuncia troppi no sulla morale, ma che è troppo silenzioso sull’annuncio evangelico. E questo è proprio il rovesciamento dell’essenza di questo pontificato.

Qual è allora in sintesi l’aspetto essenziale di questo pontificato?

È un pontificato straordinariamente concentrato proprio sull’annuncio del Vangelo, sulla trasmissione della Parola di Dio, e su quella che lui stesso ha definito essere la priorità della sua missione di Papa: di fronte all’indebolirsi della fede, che è ovunque in pericolo, è necessario portare Dio all’uomo e accompagnare l’uomo a Dio. E non un Dio qualsiasi – sempre parole sue – ma il Dio che parla sul Sinai e che poi si incarna in Gesù morto e risorto.
Le parole che ora ho citato sono tratte da uno dei suoi testi più fuori le regole, cioè la lettera da lui scritta lo scorso 10 marzo ai vescovi di tutto il mondo a seguito delle ben note vicende sulla revoca della scomunica ai vescovi lefbvriani. Formalmente, una lettera scritta per chiarire i malintesi; in realtà, l’occasione per dire con estrema chiarezza gli intendimenti del suo svolgere la missione di Pietro.

Lei ha anche parlato del Papa come di un grande «liturgo e omileta».

Sì, è un grande annunciatore della Parola di Dio che si fa atto, che si fa contemporanea all’uomo d’oggi, celebrata nel rito che porta in mezzo a noi, sacramentalmente, la persona di Gesù, vero Dio e vero uomo. Questa è l’essenza della sua azione.

Se dovessimo ripercorre questi quattro anni di pontificato, quali sono secondo lei i capisaldi dal punto di vista teologico del messaggio di Benedetto XVI?

I punti di riferimento per un osservatore esterno che volesse accostare la figura di questo Papa sono facilmente individuabili. È un Papa che ha scritto molto; e soprattutto le cose che ha scritto di suo pugno sono quelle che meglio chiariscono la sua personalità, la sua sensibilità, i suoi progetti. In ordine cronologico, innanzitutto il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, in cui delineò la corretta lettura e attuazione del Concilio Vaticano II.
In secondo luogo la lezione di Ratisbona, che – faccio subito notare – non fu un incidente, come universalmente si è scritto.

In che senso non fu u incidente, viste le reazioni che scatenò?

Se si guardano i risultati sul versante dei rapporti tra Islam e cristianesimo, non c’è il minimo dubbio che i passi che sono stati compiuti da Benedetto XVI su questo versante sono senza precedenti.
Sono la prima messa in opera di un dialogo operoso, che è naturalmente incipiente, ma che d’altronde è partito da zero. Ed è partito non nonostante la lezione di Ratisbona, ma proprio grazie a quella lezione. Lì Benedetto XVI, come spesso fa, ha avuto l’audacia e il coraggio di dire le cose forti, vere, di chiamare le cose con il loro nome.
Ha individuato il punto nevralgico, il punto che rendeva difficile l’incontro tra Islam e cristianesimo. Una questione che è sintetizzabile nei tre termini: fede, ragione, violenza. Dove manca un incontro fruttuoso tra fede e ragione, la violenza ha libero campo. Quindi l’antidoto alla violenza è mantenere vivo il rapporto tra fede e ragione; cosa che il cristianesimo ha fatto faticosamente, come lui ha detto, e che l’Islam è ancora lontano dal fare. Il dialogo vero nasce da qui, e da nessun’altra parte.

Oltre a Ratisbona, quali sono gli altri testi cui prima si riferiva?

Oltre a quanto detto, ci sono naturalmente il libro “Gesù di Nazaret” e le encicliche. Per quanto riguarda l’opera su Gesù, il Papa sta ora scrivendo il secondo volume – e pare sia abbastanza avanti – dedicato alla passione e alla resurrezione. Il primo volume ha avuto un successo editoriale molto elevato, nonostante sia un testo molto impegnativo; e ha consentito tra l’altro di stabilire un rapporto diretto tra l’autore e il lettore.
Benedetto XVI dimostra in questo grandi capacità di comunicatore.
Poi l’enciclica sulla speranza, forse ancor più rappresentativa della prima, la Deus caritas est; anche perché la prima è divisa in due parti, di cui la seconda prodotta dagli uffici vaticani, seppure poi rivista dal Pontefice. Quella sulla speranza, invece, è totalmente sua dalla prima riga all’ultima, e non è nemmeno scritta nello stile consueto delle encicliche. Un testo straordinario per capire questo Papa. Poi ovviamente ci sono molti altri discorsi, come ad esempio il discorso di Verona; e da ultimo, come detto, la lettera a tutti i vescovi sul caso dei lefebvriani.

Qual è invece il contenuto di questo pontificato dal punto di vista pastorale, in riferimento soprattutto ai viaggi e al contatto diretto tra Benedetto XVI e il popolo cristiano?

Naturalmente da questo punto di vista la sua agenda non è paragonabile a quella di Giovanni Paolo II; quando egli era ancora in buona salute, i suoi viaggi erano continui, lunghi e imponenti anche come organizzazione. Quelli di Benedetto XVI sono più limitati nel numero, e più concentrati nel tempo e nell’agenda stessa del viaggio. Comunque in queste occasioni egli dimostra la capacità di entrare fortemente in contato diretto con le persone che lo incontrano. Sono stati viaggi che hanno riscontrato un successo molto maggiore di quello preventivato. Grandi masse festanti, e soprattutto attente alle sue parole. Pensiamo al viaggio in Francia: durante l’omelia nella Messa sulla grande spianata, davanti a 250 mila persone, c’erano un silenzio e un’attenzione impressionanti. Questo non è un fatto consueto; non avveniva così nemmeno con Giovanni Paolo II. Così accade anche ogni domenica in Piazza San Pietro, nonostante egli non sia un Papa che dice cose facili, ma sempre molto dense, impegnative e forti; ed è proprio per questo motivo che secondo me viene ascoltato con estrema attenzione. Anche tra chi non è cattolico, o ha un rapporto un po’ distaccato con la Chiesa, c’è in ogni caso un grandissimo rispetto e ammirazione per il suo messaggio.

Ora si appresta all’importante viaggio in Terra Santa: cosa ci si aspetta da questo appuntamento così importante?

Difficile azzardare previsioni. Quello che si può intuire è che questo viaggio, che il Papa ha fortemente voluto, non è stato innanzitutto pensato in termini per così dire “illusori” da un punto di vista di una pacificazione politica in questa terra martoriata. Benedetto XVI ha in mente di compiere un pellegrinaggio religioso, nel senso pieno della parola. Vuole andare in Terra Santa, sulle orme di Gesù; e secondo me le parole che dirà saranno fortemente centrate sulla Parola di Dio che lì ha preso sostanza e carne. Questo rispecchia la sua visione, per cui è solo da qui, dall’incontro con Dio, che può nascere una possibilità di cambiamento del cuore dell’uomo, e quindi anche di pace.

© Copyright Il Sussidiario, 20 aprile 2009


Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:12
Dal blog di Lella...

Il metodo di Benedetto XVI

Mons. Massimo Camisasca

lunedì 20 aprile 2009

Quattro anni fa come oggi, il cardinale Josef Ratzinger veniva eletto papa e assumeva il nome di Benedetto XVI.
Quattro anni sono veramente troppo pochi per permettere un giudizio, sia pur sommario sull’alba di un pontificato. Il pensiero corre subito ai ventisette anni di regno di Giovanni Paolo II. Eppure non dobbiamo dimenticare che Josef Ratzinger ha già ottantadue anni, che egli è consapevole di questo, e che ha voluto imprimere perciò al suo pontificato un percorso ben preciso, sapendo di dover fare solo cose essenziali e molto incisive.
Egli non crede probabilmente che sia efficace spostare gli uomini da un incarico a un altro. Lo ha fatto, all’inizio del suo pontificato, ma poi si è come fermato.
Preferisce il cambiamento interiore delle persone, come ha chiaramente richiesto nella sua sorprendente lettera all’episcopato cattolico.
È convinto che Dio può tutto, anche cambiare il cuore degli ecclesiastici e aprirli a una considerazione più vera del bene della Chiesa e della loro stessa vita.
Quali sono le linee di questa concentrazione? Innanzitutto la sua attenzione principale si rivolge all’evento della liturgia. Uno degli ultimi libri pubblicati prima della sua ascesa al pontificato, Introduzione allo spirito della liturgia, se rivisitato oggi, può essere un’utile chiave di lettura di tutto il pontificato nel suo svolgimento compiuto fino ad ora.
Non voglio qui riferirmi al motu proprio che riguarda la riabilitazione della messa di san Pio V, ma a qualcosa di ben più profondo, la concezione stessa che Ratzinger ha dell’evento liturgico come momento in cui si manifesta l’assoluta priorità dell’iniziativa di Dio nella vita dell’uomo, la sua grazia, la sua misericordia, e nello stesso tempo la sua capacità di intervenire nella storia, di dare forma all’esistenza, di ricompaginare, visibilmente e invisibilmente, i cammini del cosmo verso la loro ricapitolazione.
Chi vuole capire qualcosa di questo pontificato deve leggere e rileggere con attenzione le omelie di Benedetto XVI, soprattutto quelle pronunciate in occasione dei tempi liturgici forti, l’Avvento e il Natale, la Quaresima e la Pasqua, la Pentecoste. Lo ha notato più volte Sandro Magister nei suoi interventi.
In quei testi, Josef Ratzinger appare chiaramente come un nuovo Leone Magno, un nuovo Ambrogio, un nuovo Agostino, colui che sa trarre dall’itinerario liturgico una pedagogia esistenziale, rivelatrice di tutto il cammino dell’uomo verso Dio, e di Dio verso l’uomo.
Non manca, naturalmente, in queste sue omelie la profondità della storia della Chiesa, delle preghiere liturgiche antiche, soprattutto latine, a cui Ratzinger attinge a piene mani per mostrare la continuità di una tradizione e la sua efficacia. Ma anche i gesti liturgici, i tempi, gli spazi. Tutto è per lui rivelatore di una pedagogia del mondo rinnovato.
È come se Benedetto XVI avesse rinunciato a far dipendere il discernimento su cosa fare o non fare da una efficacia immediata. Sa che la crisi della Chiesa e nella Chiesa è profonda. Vuole seminare dunque in profondità.
Alla luce di queste considerazioni, si comprendono altre due iniziative che io collocherei allo stesso livello dell’attenzione per la liturgia. Sto parlando dell’anno paolino e dell’annunciato anno dedicato al sacerdozio.
Attraverso l’anno paolino ancora in corso, Benedetto XVI ha voluto riandare alle radici della Chiesa e nello stesso tempo favorire un’esposizione assolutamente concentrata su Cristo della fede e della dottrina cristiana. Per Paolo esiste solo Cristo, e Cristo crocifisso e risorto. Egli non si è mai soffermato nelle sue lettere sull’infanzia di Gesù (ha tutto concentrato in tre parole: nato da donna), non ha parlato della vita a Nazareth, e neppure dei tre anni della comunità apostolica. Per Paolo, il Gesù che lo interessa è quello della passione, morte, e resurrezione, quello che è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, il Figlio di Dio fatto carne. L’anno paolino ha permesso ai pastori sensibili e attenti di riproporre in modo vitale il cuore dell’esperienza cristiana. Allo stesso modo, e con la stessa radicalità, Benedetto XVI sa che il punto più grave della crisi della Chiesa ancor oggi è la vita sacerdotale. Scarseggiano i maestri, gli educatori, sono incerti gli insegnamenti impartiti in molte scuole di teologia, permane una crisi affettiva di molti sacerdoti, accentuata dalla solitudine e dal ripiegamento. Ma soprattutto in molti paesi, si assiste a una riduzione progressiva del popolo di Dio, la cui educazione e crescita è la finalità primaria della vita del sacerdote. Non è dunque un caso che papa Ratzinger abbia voluto questo anno sacerdotale, collegandolo al 150° anniversario della morte del santo Curato D’ars.
Un’ultima annotazione: il cuore del papa guarda ad est, alla Russia, alla Cina.
Nel suo libro su Benedetto XVI, scritto all’indomani della nomina del papa, e che rimane comunque l’unico libro interessante su questo pontificato (Benedetto XVI. La scelta di Dio, Rubbettino editore), George Weigel, prevedendo proprio quest’attenzione di Josef Ratzinger ha scritto: “L’Asia è il continente che ha visto il più grande fallimento della missione cristiana in due millenni”. E aggiunge: “La Cina potrebbe essere il più grande campo di missione cristiana del ventunesimo secolo”.
Ma anche l’India, in cui assistiamo oggi a una persecuzione così atroce dell’esigua minoranza cattolica, è un punto di riferimento importante. La sua profonda cultura induista e buddista interroga la sapienza cristiana e la fede nell’unica salvezza che viene da Cristo.

© Copyright Il Sussidiario, 20 aprile 2009


Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:19
Dal blog di Lella...

PAPA/ Un uomo scomodo capace di parlare dal megafono dei suoi nemici

John Waters

lunedì 20 aprile 2009

Benedetto XVI, a quattro anni dalla sua elezione, continua a confondere i suoi nemici e a incantare i suoi ammiratori con un pontificato che si rileva brillante oltre ogni aspettativa.
Come sembrano vicini quei giorni di primavera del 2005 quando il suo predecessore ci rattristò con la sua dipartita e, nello stesso momento, ci sollevò l’animo con la dignità della sua morte, ricordandoci che solo nella fede l’umanità può vedere oltre la frontiera ineluttabile. E poi il momento della successione, l’emergere della risoluta figura del Cardinale Joseph Ratzinger che riceveva il testimone di San Pietro in un periodo di dubbio e di crescente paura mai visti prima.
Benedetto era, secondo l’analisi dei media, un “tappabuchi”, un passo indietro, un “reazionario”, un “destrorso”, un oscurantista. Ciò che però poi è divenuto evidente, era già implicito nei suoi magistrali scritti nel corso di vari decenni: un sommo intelletto innestato in una personalità vivace, un uomo che nella sua vita ha visto l’umanità sbandare tra un grande bene e un ancor più grande male e che cerca di riconciliare ciò che ha visto con la verità che ha ereditato.
Uno dei molti paradossi di essere Papa nel mondo moderno è che si deve parlare attraverso un megafono controllato dai propri nemici.
Giovanni Paolo II era un attore che comunicava disarmando con il suo carisma e il suo fascino chi teneva il megafono; la strategia di Benedetto è una decisa sovversione dei codici culturali di coloro che si oppongono praticamente a tutto quanto la Chiesa cattolica e il suo capo ora rappresentano.
Fin dall’inizio Papa Benedetto ha messo sotto esame la cultura dell’epoca e con le sue prime encicliche ha affrontato i due temi più urgenti del nostro tempo: il processo di fuoriuscita dal linguaggio pubblico, rispettivamente, dell’amore e della speranza. “In un mondo dove il nome di Dio è talvolta associato con la vendetta o perfino con il dovere dell’odio e della violenza… io voglio parlare nella mia prima enciclica dell’amore che Dio profonde su di noi e che a nostra volta dobbiamo condividere con gli altri”, ha scritto in Deus Caritas Est. Dio è amore, non odio.
Questo sottile e brillante Papa ha dovuto lottare per farsi sentire in un clima mediatico caratterizzato dal sabotaggio e dalla distrazione.
I media hanno tentato ripetutamente di distorcere o ridurre le sue dichiarazioni, così da farle rientrare nei pregiudizi che hanno segnato la sua elezione.
Ma Benedetto, dagli episodi di Regensburg o de La Sapienza, così come dai più recenti tentativi di mistificare le sue affermazioni sulla sessualità umana e la controversia sui preservativi e la lotta all’Aids, è emerso come un uomo pieno di coraggio e di garbo, il suo messaggio è rimasto integro e la sua posizione si è rafforzata al di là dei notiziari e degli studi dei media internazionali.
La rilevanza di Benedetto è che egli dà rigore intellettuale al cuore della cristianità nella pubblica piazza, spiegando e chiarendo le connessioni e le sconnessioni fondamentali tra cristianità e cultura moderna.
Giovanni Paolo II era una figura carismatica e un brillante filosofo, ma il suo personaggio pubblico tendeva ad emanare un messaggio dualistico: indulgente e amabile da un lato, ma rigidamente e, perfino, semplicisticamente tradizionalista dall’altro. Naturalmente, questo era dovuto in buona parte al trattamento riservato alla sua persona e al suo messaggio dai media, che lasciavano largamente da parte la sua vasta produzione di scritti filosofici.
Benedetto è un esperto nel riportare i legalismi cattolici al loro significato essenziale e nel raggiungere, nonostante i rumori di disturbo dei media, le generazioni istruite dei giovani che, come egli ha correttamente individuato, sono ora affamati di qualcosa che trasformi il lassismo inoculato da una cultura che vende sensazione e libertà, ma niente che possa avvicinarsi al tipo di soddisfazione che desiderano ardentemente.
Papa Benedetto è un uomo che non può essere inserito in alcun schema. Egli ha reputazione di teologo tradizionalista, ma culturalmente appare un modernista, talvolta sembra capire la spinta post-modernista anche meglio di molti suoi seguaci. Ogni tanto anche lui sbaglia, come nella sua critica al fenomeno di Harry Potter, parrebbe su suggerimento di una singola persona con una fissa a tal proposito, e che comunque è stata probabilmente fatta senza una lettura attenta dei libri in oggetto.
Simili occasionali interventi servono a rinforzare da parte dei media la caricatura di un Papa senza rapporti con la società moderna, quando sono semplicemente punti deboli inevitabili in un uomo nella sua nona decade.
In realtà è il più moderno e radicale dei papi.
Quando parla, lo fa come capo della Chiesa Cattolica Romana, ma la sua preoccupazione sembra essere per l’anima della società.
Ha di fronte un’epoca alle prese con una crisi di identità e cerca di mostrargli la via d’uscita. Il suo progetto è la restituzione alla cultura occidentale di un concetto integrale di ragione, la ri-separazione del metafisico dal fisico. Il “golpe” degli anni sessanta, che tentò di imporre il razionalismo scientifico come la luce culturale che avrebbe guidato quest’epoca, non è riuscito a convincere neppure i suoi sostenitori che, allarmati dalla svogliatezza e dal disinteresse dei loro figli e dall’incombere dell’oscurità che essi stessi avevano evocato, ora chiamano a gran voce per essere riassicurati neo-atei come Richard Dawkins e Christopher Hitchens.
Già il concetto che “Dio è morto” è diventato una notizia di ieri, dato che le società moderne cercano di muovere oltre forme di riduzione della ragione verso qualcosa che incorpori di più l’esperienza umana e non la sola testa. Nel momento in cui le ideologie del progetto di “libertà” degli anni sessanta si frantumano sugli scogli della realtà e i fautori di queste ideologie cominciano a capire che, dopo tutto, non hanno risposte ai dilemmi fondamentali dell’umanità, nel momento in cui ci stiamo trascinando verso quello che il mio amico Magdi Cristiano Allam ha chiamato “il suicidio della nostra civiltà”, speriamo e preghiamo perché Benedetto rimanga con noi per tutto il prossimo, cruciale decennio, comunicando sommessamente la sua antica verità attraverso il megafono dei suoi nemici.

© Copyright Il Sussidiario, 20 aprile 2009


Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:23
Dal blog di Lella...

COMINCIA IL QUINTO ANNO DI PONTIFICATO

NELLA PALUDE DEL RELATIVISMO LA PAROLA NETTA DI QUESTO PAPA

DAVIDE RONDONI

Se non fosse un poco irriverente si potrebbe dire, para frasando: un anno trascorso pericolosamente.
Ma la barca di Pietro, si sa, naviga da sempre in mezzo a tempe ste e a pirati. Non sono mancati neppure gli ammutina menti di parte di marinai, ed è una barca su cui ogni tipo d’uomo, con pregi e difetti, viene invitato a salire.
Nessu no, nel Vangelo, ha promesso ai discepoli una vita tran quilla. Né è stato chiesto ad alcuno un 'certificato' di san tità per poter salire sulla barca. Dire quindi che per la Chie sa e per il suo pastore questo è stato un anno vissuto in tensamente tra grazie e prove è come dire: tutto bene, la navigazione procede.
Per questo il primo sentimento con giunto al primo atto della ragione di fronte a questo Papa, pervenuto alla conclusione del suo quarto anno di ponti ficato, è di gratitudine.
Con il nome fortemente significa tivo di Benedetto, siamo grati di trovarci dinanzi a que st’uomo e proprio in questo incrocio dei tempi. Siamo a un incrocio della strada della storia in cui il mite e ragio nevole invito a considerare la presenza del mistero di Dio nella vita umana è il più avventuroso dei richiami.
Siamo a un incrocio della storia dove con 'relativismo' si indica il nome filosofico e culturale del grande disorienta mento circa il valore dell’esistenza. È dunque il nome del la grande palude e della terra di rovine in cui il nostro, co me l’antico Benedetto, si è messo a lavorare per la vigna del Signore, come disse all’esordio. La presenza della Chie sa nel mondo attuale, ha scritto una grande narratrice a mericana, è l’unica cosa che rende meno duro il mondo in cui viviamo.
Il richiamo a considerare Dio come la Ve rità misteriosa dell’esistenza, come Mistero buono che a ma la vita, è l’annuncio che sfida ogni avanzamento della palude, nella vita personale come nella pubblica.
È così oggi, come fu per Benedetto che coi suoi monaci reso meno dura la vita dell’Europa tra le macerie del l’Impero.
Gli eventi, i grandi segni che stanno costellan do la vasta mole del suo lavoro in senso dottrinario e di cura pastorale, e persino le polemiche che stanno deli neando la figura di Benedetto XVI in termini avventuro si dipendono precisamente, unicamente, e oso dire, prov videnzialmente, da questo richiamo che il Papa sta fa cendo, in modo instancabile e illustrandolo in molti mo di e campi della vita. Il mistero di Dio c’entra con l’esistenza e la ama. Si può di re, in ogni circostanza della vita: Padre nostro. Non è vero che la vita di ciascuno è una casualità che si perde nella nebbia dei giorni e delle opinioni: c’è un Dio che ama la vita e vuole che sia lieta. Un Dio che desidera fino al sacri ficio del Figlio che la nostra vita abbia la speranza per af fermarsi anche in mezzo alle prove.
Non ha pretese que sto Papa. Non segue le opinioni che gli convengono. A dif ferenza di ogni altro leader mondiale, non deve inseguire nessun consenso.
È il servo dei servi che porta un annun cio, con la sua parola e la sua testimonianza.
Di questo gli uomini di fede, ma anche quelli che vogliono comprendere cosa sia veramente la fede, gli sono grati.

© Copyright Avvenire, 19 aprile 2009


Paparatzifan
00lunedì 20 aprile 2009 21:29
Dal blog di Lella...

Solo una tempesta di verità può salvare l’Europa dal conformismo

di Giuliano Ferrara

Tratto da Il Foglio del 20 aprile 2009

Il Belgio mi è sempre stato antipatico. Come entità, dico. Come errore geografico.
Come ambiguità linguistica e culturale. Come nazione idonea a soluzioni mediocri. Eppure ho una bisnonna o trisnonna fiamminga. E Bruxelles è a suo modo una città accogliente.
Ma che miseria in questo gesto di ridicola tracotanza del Parlamento belga, una condanna praticamente unanime del Papa per un suo delitto di opinione, per aver detto che il preservativo non è la soluzione virtuosa e, anzi, in Africa potrebbe creare dei problemi nella lotta contro l’Aids.
Il pastore della chiesa cristiana universale non ha il diritto di pensare e di esprimersi liberamente, visto che non gli si oppongono legittimamente altre opinioni libere, ma un atto formale di censura parlamentare, un gesto di intimidazione politica.
Così l’organo deliberativo massimo del paese che ha nella sua storia l’Union Minière e la più sordida e violenta esperienza di colonialismo e di rapina pretende di stabilire, in polemica con la chiesa missionaria e con la cristianità di un Albert Schweitzer, che in Africa il problema non è auspicare l’educazione autoctona degli africani a una sessualità adulta e significativa, fondata sull’amore e sul piacere, su una controllata vita affettiva e familiare, piuttosto che sulla promiscuità e sul più selvaggio commercio sessuale-genitale; no, gli africani devono essere imbottiti di preservativi, e vedrete che risultati. Lo dice la mozione parlamentare di Bruxelles, che accusa il Papa di indifferenza verso la vita umana.
Eccola, la caricatura dello stato etico. Eccola, la trasformazione formale della laicità negativa, ostruttiva, in dogma parascientifico: il legislatore vi invita a pensarla così, e non secondo la cultura e le parole del Papa. Eppure John Miklethwait e Adrian Wooldridge, due giornalisti tra i più intelligenti e informati del mondo, ci dicono che Dio è di ritorno, God is Back, come reca il titolo del loro ultimo gran libro, e questo ritorno avviene anche in Europa, anche nel continente in cui le logiche concordatarie hanno impedito alla cultura religiosa di farsi un suo spazio di mercato e di vivere sull’emulazione e la competizione fra chiese libere e separate dallo stato, sul modello americano.
Speriamo sia vero. Contro il conformismo, solo un Dio ci può salvare. Contro le pretese ideologiche di caste politiche uscite dal nulla, e che nel nulla rientreranno, solo un nuovo spirito religioso ci può tutelare. L’Europa avrebbe bisogno di una tempesta di verità, qulcosa che vada anche molto oltre il normale magistero di una grande chiesa, qualcosa di fortemente rivelatore, qualcosa che la scuota, che le tolga il torpido lasciatole dalla grande prova di sé che la sua cultura moderna ha dato nel Novecento: il comunismo e la Shoah.

© Copyright Il Foglio, 20 aprile 2009


+PetaloNero+
00martedì 21 aprile 2009 01:52
Portavoce vaticano: a Ginevra, “occasione importante” contro il razzismo
Per padre Lombardi la bozza della dichiarazione finale “è in sé accettabile”

di Mirko Testa


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- La Conferenza apertasi stamani a Ginevra “è una occasione importante per portare avanti la lotta contro il razzismo e l’intolleranza”. E' quanto ha dichiarato questo lunedì alla Radio Vaticana, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.

Più di 150 Paesi – 30 i ministri degli Esteri e 4 i capi di Stato presenti, oltre ad una delegazione della Santa Sede – saranno riuniti nella città svizzera fino al 24 aprile per la seconda Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia, a 8 anni di distanza dall'incontro svoltosi a Durban, in Sud Africa.

Questa domenica, lo stesso Benedetto XVI, parlando da Castel Gandolfo, aveva espresso parole di apprezzamento per questa “iniziativa importante perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni”.

Ed aveva ribadito la richiesta di “un’azione ferma e concreta, a livello nazionale e internazionale, per prevenire ed eliminare ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Occorre, soprattutto – aveva detto – una vasta opera di educazione, che esalti la dignità della persona e ne tuteli i diritti fondamentali”.

Nel parlare ai microfoni dell'emittente pontificia, padre Lombardi ha chiarito che “con queste intenzioni la Santa Sede vi partecipa, e intende sostenere lo sforzo delle istituzioni internazionali per fare dei passi avanti in questa direzione”.

Riguardo la nuova bozza di dichiarazione finale, da cui sono state eliminate all'ultimo momento i controversi riferimenti a Israele e alla diffamazione delle religioni, il portavoce vaticano ha detto che “è in sé accettabile, essendone stati tolti gli elementi principali che avevano suscitato obiezioni”.

Tuttavia, ciò non ha impedito l’assenza oggi a Ginevra di Stati Uniti, Israele, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Germania, Olanda, Polonia, Italia che hanno deciso di boicottare l'incontro nel timore di una replica delle manifestazioni antisemite e antisraeliane che avevano contrassegnato la precedente riunione del 2001.

Ad acuire ulteriormente le tensioni è stato poi l'intervento di questo lunedì, a Ginevra, del Presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, che ha attaccato Israele per la questione palestinese, definendolo un “governo razzista”, e si è scagliato poi contro la politica estera degli Stati Uniti in particolare in Iraq e Afghanistan.

"Dopo la Seconda Guerra Mondiale – ha detto il Presidente Ahmadinejad, riferendosi ai paesi alleati – hanno fatto ricorso all'aggressione militare per privare della propria dimora un'intera nazione col pretesto della sofferenza ebraica".

"Hanno inviato emigranti dall'Europa, dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo al fine di stabilire un governo totalmente razzista nella Palestina occupata", ha poi aggiunto.

"Infatti, come risarcimento per le terribili conseguenze del razzismo in Europa, hanno contributo a portare al potere il più crudele e repressivo regime razzista in Palestina", ha aggiunto parlando della colpa di alcuni paesi occidentali, Stati Uniti in testa, nel “difendere questi razzisti perpetratori di genocidio”.

A circa due ore dal discorso di Mahmud Ahmadinejad, che ha suscitato l'immediata protesta di numerosi delegati che hanno abbandonato l'aula, in una nota il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, ha detto: "Deploro l'uso di questa piattaforma per accusare, dividere e persino istigare. Questo è il contrario di ciò che si prefigge questa conferenza".

“Naturalmente interventi come quello del Presidente iraniano – ha commentato padre Lombardi – non vanno nella giusta direzione, poiché anche se non ha negato l’Olocausto o il diritto all’esistenza di Israele, ha avuto espressioni estremiste e inaccettabili”.

“Per questo – ha aggiunto – è importante continuare ad affermare con chiarezza il rispetto della dignità della persona umana contro ogni razzismo e intolleranza”.

Sulle polemiche alla conferenza Onu e il boicottaggio di alcuni Paesi, ha espresso la propria opinione anche l’Osservatore permanente della Santa Sede all'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi, che guida la delegazione vaticana presente al summit.

“Dal punto di vista della Santa Sede – ha detto alla Radio Vaticana –, noi guardiamo anzitutto alla sostanza di questa conferenza e, cioè, che in questo momento ci sono delle forme nuove di razzismo, che si manifestano in discriminazioni verso gruppi emigrati, verso comunità indigene, verso gruppi che sono economicamente emarginati”.

“Il primo punto di partenza è che si tratta di una questione etica, cioè che non si può violare la dignità di nessuna persona, tutte le persone sono figli di Dio, di uguale valore”, ha detto.

“Davanti a questa necessità – ha proseguito il presule – , la presenza nei negoziati e nella conferenza stessa, ci pare una necessità al giorno d’oggi, appunto per facilitare questo cammino della comunità internazionale nel trovare nuove forme per combattere le discriminazioni”.

Riguardo all'ultimo documento del negoziato, l'Arcivescovo Tomasi ha sottolineato che in esso “viene riaffermato che bisogna combattere ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia”.

“Si fa una menzione esplicita dell’Olocausto, che non si deve dimenticare, si fa poi una riformulazione del diritto alla libertà di espressione in maniera molto chiara, cioè dicendo che l’esercizio al diritto della libertà di espressione deve essere sostenuto e mantenuto. Quindi, non si capisce bene la ragione di queste assenze”.

“Certo – ha ammesso –, il primo paragrafo del nuovo documento, dell’ultimo documento, riafferma la dichiarazione e il programma di azione della prima conferenza di Durban del 2001. E’, però, la prassi normale delle Nazioni Unite di fare conferenze di esame per vedere come sono stati applicati i programmi e le decisioni prese nella prima Conferenza”.

“Perciò, non si poteva fare a meno di fare riferimento a questo documento, che era stato del resto approvato da tutti i Paesi che avevano partecipato a Durban, eccetto i due che erano assenti, gli Stati Uniti e Israele”, ha quindi commentato.

“La Santa Sede – ha poi sottolineato l'Arcivescovo Tomasi – non è legata a nessuna posizione politica di carattere immediato, va direttamente al cuore del problema, che è un problema umano di grande importanza: che la dignità di ogni persona deve essere valorizzata e rispettata e che non si può accettare che ci siano delle categorie di persone che vengano considerate inferiori o di minor valore per ragioni di razza o di appartenenza etnica o di confessione religiosa”.

Riguardo, invece, alle discriminazioni di cui sono spesso oggetto i cristiani, e che non occupano le prime pagine dei giornali, l'Arcivescovo ha detto che “questo problema lentamente sta emergendo e entrando anche nella coscienza internazionale, ma penso che ci sia ancora un cammino piuttosto lungo da fare”.
+PetaloNero+
00martedì 21 aprile 2009 01:52
25° anniversario della consegna della Croce ai giovani
L’evento verrà ricordato nell’Udienza generale da Benedetto XVI



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 20 aprile 2008 (ZENIT.org).- In occasione dell’Anno Santo straordinario della Redenzione (1983-1984) Giovanni Paolo II volle mettere una Croce di legno, semplicissima, accanto all’altare della Basilica di San Pietro.

Alla chiusura dell’Anno Santo, esattamente venticinque anni fa, il Papa affidò quella stessa Croce ai giovani del mondo con queste parole: “Portatela nel mondo come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”.

L’invito fu preso alla lettera dai giovani del Centro internazionale giovanile San Lorenzo, cui Giovanni Paolo II aveva consegnato la Croce in rappresentanza della gioventù mondiale: quello stesso anno, infatti, fu portata a Monaco di Baviera e a Praga.

Da allora, per 25 anni, la Croce non ha mai smesso di viaggiare per il mondo, visitando principalmente i Paesi in cui si sono tenute le Giornate Mondiali della Gioventù, ma portando un segno di speranza anche in altri luoghi, come il continente africano, dove è stata accolta con grande devozione da migliaia di giovani.

Dal 2003, secondo la volontà di Papa Giovanni Paolo II, la Croce è accompagnata nei suoi pellegrinaggi da una copia dell’icona mariana “Salus Popoli Romani”, segno della materna protezione di Maria.

Mercoledì prossimo, 22 aprile, ricorrerà il 25° anniversario della consegna della Croce ai giovani e dell’inizio del suo straordinario pellegrinaggio attraverso i continenti. L’evento verrà ricordato nell’Udienza generale da Benedetto XVI, che affiderà nuovamente la Croce a un gruppo di giovani del Centro San Lorenzo.

Sarà presente alla cerimonia anche il Cardinale Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, dicastero vaticano incaricato dell’organizzazione delle Giornate Mondiali della Gioventù.

Al termine dell’Udienza generale, la Croce e l’icona di Maria verranno portate in processione, con musica e canti, al Centro San Lorenzo, sostando in Piazza San Pietro per un momento di evangelizzazione e per dar modo ai presenti di venerarle.

Nel pomeriggio, insieme ai giovani, esse torneranno in pellegrinaggio nel centro storico di Roma, fino a Piazza Navona, per annunciare a tutti ancora una volta che “solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”.

La celebrazione dell’anniversario si chiuderà al Centro San Lorenzo alle 17 con un’ora di adorazione, seguita dalla Santa Messa celebrata alle 18 da padre Eric Jacquinet, Responsabile della Sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici.

In seguito la Croce, ormai nota come “Croce delle GMG”, partirà per un breve pellegrinaggio in Polonia per poi trasferirsi in Spagna, dove si recherà in tutte le diocesi del Paese in preparazione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Madrid nell’agosto 2011.
+PetaloNero+
00martedì 21 aprile 2009 16:11
Reazione della Santa Sede alle parole del capo di Stato dell'Iran alla Conferenza di Ginevra: no a "posizioni politiche estremiste e offensive"


Le contestazioni al presidente iraniano, Ahmadinejad - reo di avere profittato di una tribuna dell’ONU per lanciare, ancora una volta, invettive antisemite contro Israele - hanno segnato l’avvio ieri a Ginevra della seconda Conferenza delle Nazioni Unite contro il razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia. E, dopo la bufera che ha visto 23 delegazioni europee abbandonare l’aula durante l’intervento di Ahmadinejad, oggi il clima sembra rasserenato dall’intenzione di portare avanti le istanze della Conferenza. Il servizio di Roberta Gisotti:


Pioggia di critiche sull’intervento, ieri pomeriggio, di Ahmadinejad “vile, vergognoso e odioso” denunciano gli Stati Uniti, infarcito di “follia” e “violenza”, rimarca il presidente israeliano Peres, “un appello intollerabile all’odio razziale”, protesta la Francia, invocando “estrema fermezza” dall’Unione Europea, che in una nota stampa, respinge le accuse di razzismo del leader iraniano contro Israele, ma conferma che le delegazioni presenti a Ginevra - 23 su 27 - vi resteranno, eccetto la Repubblica ceca, presidente di turno dell’UE, che ha deciso di abbandonare la Conferenza in segno di protesta, unendosi a Germania, Italia, Olanda e Polonia e - fuori dai confini dell’Unione - a Stati Uniti, Israele, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Grande il rammarico del segretario generale dell’ONU, Ban ki-moon, che ieri mattina - senza buon esito - aveva incontrato il presidente iraniano, mentre l’Alto Commissario per i diritti umani, Navi Pillay, crede che la “miglior replica” sia quella “di rispondere e correggere, non di ritirarsi e boicottare” la Conferenza. Le parole di Ahmadinejad sono oggi su tutti gli organi stampa del mondo. Nel mirino del presidente iraniano tutti i Paesi occidentali che avrebbero usato l’Olocausto, “il pretesto della sofferenza degli ebrei”, per insediare dopo il ’45 nel cuore del Medio Oriente un “governo razzista”.


“Il sionismo mondiale - ha detto Ahmadinejad - personifica il razzismo”. E accuse poi rivolge agli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU complici da 60 anni di questo progetto. Trenta minuti d’invettive, applaudite a più riprese da alcuni e contestate dalle grida “razzista, razzista” di alcuni manifestanti, mentre i diplomatici europei hanno prontamente abbandonato l’aula. Rientrato stamane a Teheran, Ahmadinejad è stato accolto come un eroe, mentre una folla di studenti militanti fondamentalisti gridava “Morte all’America”. “Parteciperò a tutte le Conferenze internazionali nonostante il volere dell’Occidente”, che non tollera chi gli si oppone, ha dichiarato il leader iraniano. Ed oggi il giornale governativo “Iran” titola: “Il grido di giustizia nel cuore dell’Europa fa infuriare i razzisti occidentali”. Si è verificato dunque a Ginevra quanto paventato alla vigilia, ma il clima tra i partecipanti, nonostante tutto, resta costruttivo. L’Unione Europea chiede - archiviato, si spera, il capitolo Ahmadinejad - “che la Conferenza si svolga in uno spirito di reciproco rispetto e di dignità”, nella speranza - aggiungiamo noi - che le cronache future fino alla giornata conclusiva dei lavori, venerdì 24, possano testimoniare che questo auspicio è stato raccolto.

L'auspicio dell’Unione Europea è condiviso sostanzialmente dalla Santa Sede, presente a Durban con una sua delegazione, guidata dall’osservatore permanente all’Onu di Ginevra, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi. E giunge oggi dalla Sala Stampa Vaticana una nuova precisazione, della quale ci riferisce Alessandro De Carolis:

Già nella serata di ieri, dopo l’intervento del presidente iraniano, Ahmadinejad alla conferenza di Durban II di Ginevra, la Sala Stampa della Santa Sede aveva effettuato alcuni commenti, attraverso il suo direttore, padre Federico Lombardi. Questa mattina, in aggiunta alle precedenti affermazioni, la Sala Stampa ha diffuso una ulteriore nota nella quale si rimanda anzitutto alle parole di Benedetto XVI, il quale - si ricorda - al Regina Coeli di domenica scorsa aveva formulato “sinceri voti” affinché “i Delegati presenti alla Conferenza di Ginevra lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, di discriminazione e intolleranza, segnando così un passo fondamentale verso l’affermazione del valore universale della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, in un orizzonte di rispetto e di giustizia per ogni persona e popolo”.


Di conseguenza, prosegue la nota odierna della Sala Stampa Vaticana, “la Santa Sede deplora l’utilizzazione di questo forum dell’ONU per assumere posizioni politiche, estremiste e offensive, contro qualsiasi Stato. Ciò - si afferma - non contribuisce al dialogo e provoca una conflittualità inaccettabile. Si tratta, invece, di valorizzare tale importante occasione per dialogare insieme, secondo la linea di azione che la Santa Sede ha sempre adottato, in vista di una lotta efficace contro il razzismo e l’intolleranza che ancor oggi colpiscono bambini, donne, afro-discendenti, migranti, popolazioni indigene, ecc. in ogni parte del mondo. La Santa Sede - conclude la nota - mentre rinnova l’appello del Papa, assicura che con tale spirito la sua Delegazione è presente e lavora alla Conferenza”.


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