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Paparatzifan
00lunedì 23 marzo 2009 21:10
Dal blog di Lella...

Sacro romano disordine. Un’istantanea della curia vaticana

Che curia si ritrova Benedetto XVI, di ritorno dalla trasferta africana in Camerun e in Angola? “L’espresso” in edicola questa settimana ha in proposito il seguente servizio, sotto il titolo: “La santa intolleranza”:

*

All’Angelus di domenica 15 marzo, antivigilia del suo primo viaggio in Africa da papa, Joseph Ratzinger escluse di voler andare laggiù ad offrire soluzioni economiche, sociali o politiche. La sua missione è tutt’altra, disse: “Non ho altro da proporre e donare se non Cristo e la sua croce, mistero di amore supremo, che rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici”.

Altrettanto radicale è stato Benedetto XVI nella lettera che pochi giorni prima aveva scritto ai vescovi di tutto il mondo: “Condurre gli uomini verso Dio: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro”.

Prendere o lasciare. Benedetto XVI non è tipo che negozia le sue decisioni. Va dritto per la strada che Dio gli ha segnato, anche a prezzo della solitudine.

Ma la solitudine che papa Ratzinger sperimenta è più dentro casa che fuori.
Fuori, la gente semplice è con lui.
La domenica mezzogiorno piazza San Pietro non è mai stata così affollata, nemmeno con Giovanni Paolo II. La popolarità che ha incontrato nei viaggi è stata finora superiore alle attese, anche su piazze difficili come gli Stati Uniti, la Francia, l’Australia.

Quando è lui di persona che parla o che scrive, incute rispetto e ammirazione in chi personalmente lo ascolta o lo legge.
Il primo volume del suo “Gesù di Nazaret” è stato un successo mondiale. Ma se si chiede ai prelati di curia se l’hanno letto, quasi tutti rispondono no.

È nei palazzi vaticani, nell’apparato dei vescovi e del clero che Benedetto XVI raccoglie più ostilità. Quando s’è trattato di medicare le ferite aperte dalle dichiarazioni antisemite e negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson, Benedetto XVI è stato capito e sostenuto più dagli “amici ebrei” che da tanti uomini di Chiesa. Questo è ciò che lui stesso ha scritto nella lettera ai vescovi con la quale ha voluto chiudere il caso.

Ma prima del caso Williamson, a far scoppiare le ostilità contro il papa c’era stata la sua decisione di revocare la scomunica a lui e agli altri tre vescovi della comunità scismatica lefebvriana. Per molti vescovi, preti e intellettuali cattolici, infatti, i lefebvriani sono dei paria. “Sono un gruppo al quale non riservare alcuna tolleranza, contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio”, ha scritto Benedetto XVI nella lettera.

Il paradosso è che questa ripulsa nei confronti dei lefebvriani alligna soprattutto tra gli uomini di Chiesa che più esaltano il dialogo e l’ecumenismo.

I quali hanno immediatamente colto nel gesto di clemenza fatto dal papa nei confronti del lefebvriani l’occasione per accusare Benedetto XVI d’essere come loro reazionario, antimoderno, anticonciliare e persino antisemita. Ma questa è proprio la logica dell’intolleranza nei confronti degli intoccabili, ha scritto ancora Ratzinger nella lettera: “Se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio, senza timore e riserbo”.

Perché finalmente si capisse il senso della revoca della scomunica ai lefebvriani, Benedetto XVI ha dovuto prendere carta e penna e scrivere di suo pugno una lettera che non ha uguali nel papato moderno, per il suo stile diretto.

Nelle settimane precedenti, infatti, la curia non lo aveva per niente aiutato, anzi, gli aveva fatto solo danno.

La dichiarazione di revoca della scomunica era stata redatta da due cardinali, ìl colombiano Darío Castrillón Hoyos e l’italiano Giovanni Battista Re, tra loro divisi su tutto: il primo che spasimava per l’abbraccio con i lefebvriani, il secondo che non ne voleva proprio sapere e accettò di firmare solo per obbligo d’ufficio, in quanto prefetto della congregazione per i vescovi. Diedero così alla stampa un decreto scombinato, incomprensibile, senza una parola che spiegasse le ragioni del papa e trascurando che nel frattempo circolavano già dappertutto le aberranti tesi negazioniste del vescovo Williamson, uno dei graziati.
La notizia che ne derivò fu in tutto il mondo la seguente: Benedetto XVI riaccoglie nella Chiesa cattolica i lefebvriani, e l’antisemita Williamson è il loro campione.

Niente di più falso. Ma il disastro era fatto, di governo e di comunicazione. Quella curia che dovrebbe agire come un sol uomo a sostegno del papa, di fatto gli si era mossa contro.

L’ultimo papa che incise sull’apparato vaticano fu Paolo VI, che potenziò il ruolo della segreteria di stato. Ma dopo di lui papa Karol Wojtyla lasciò la curia a se stessa, se ne disinteressò totalmente. Ed essa si feudalizzò. Ratzinger, da cardinale, assistette alla metamorfosi e ne ricavò questa lezione: “Una delle cose che a Roma ho capito bene è saper soprassedere”, disse in un libro-intervista del 1985. “Saper soprassedere può rivelarsi positivo, può permettere alla situazione di decantarsi, di maturarsi, dunque di chiarirsi”.

Da papa, in effetti, con la curia si è finora comportato così. Poche nomine diluite nel tempo, poche delle quali fortunate. E un segretario di stato, il cardinale Tarcisio Bertone, al quale i grandi feudatari, da Achille Silvestrini ad Angelo Sodano alla cui ombra si sono costruite molte carriere, non perdonano di non essere uno dei loro. Bertone non solo non governa la curia, non controlla nemmeno la sua segreteria di stato, zeppa di funzionari che gli remano contro, a cominciare dal numero due, il sostituto, l’arcivescovo Fernando Filoni.

È molto esile, in Vaticano, la cerchia dei fedelissimi a Benedetto XVI: oltre a Bertone e al segretario personale del papa Georg Gänswein, vi si annoverano il prefetto della congregazione del culto divino Antonio Cañizares Llovera, il prefetto della congregazione delle cause dei santi Angelo Amato, il ministro della cultura Gianfranco Ravasi, il direttore dell’”Osservatore Romano” Giovanni Maria Vian, più pochissimi altri.

Ma anche questi sono lontani dal fare squadra tra loro. E nemmeno fanno squadra con ecclesiastici di peso esterni al Vaticano. La conferenza episcopale italiana ha personalità di sicura fede ratzingeriana come i cardinali Angelo Bagnasco, Agostino Vallini, Angelo Scola, Carlo Caffarra, Camillo Ruini, gli arcivescovi Giuseppe Betori e Mariano Crociata. Ma tra Bertone e la Cei c’è ruggine, perché il primo vorrebbe esercitare un potere di guida che la seconda non è disposta a concedergli. Un esempio di divergenza tra la segreteria di stato e la Cei si è avuto col caso di Eluana Englaro, divergenza ben marcata dai due rispettivi giornali: tanto appassionato e impegnato “Avvenire” quanto taciturno e distaccato “L’Osservatore Romano”.

Nella sua lettera ai vescovi, Benedetto XVI ha citato san Paolo: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni gli altri”. Ha ammonito la curia a lavorare concorde e d’intesa con i rappresentanti dell’episcopato mondiale.

Ma pochi giorni prima la sua curia gli aveva assestato un altro brutto colpo.

Come vescovo ausiliare della diocesi di Linz, in Austria, il cardinale Re aveva indotto il papa a nominare Gerhard Wagner, senza mettere nel conto che questi, per la sua fama di conservatore, riscuoteva forti ostilità tra il clero e i vescovi austriaci. Ostilità che sono puntualmente esplose dopo la nomina, con un crescendo che ha costretto prima Wagner a rinunciare e poi il papa ad acconsentire alla sua rinuncia. Botto finale: uno dei capi della rivolta antipapale, Josef Friedl, prete di punta della diocesi di Linz, ha pubblicamente dichiarato di convivere con una compagna e di non tenere in alcun conto l’obbligo del celibato, con l’approvazione dei suoi parrocchiani e di altri preti austriaci, anch’essi anticelibatari.

Incassato questo colpo, il giorno prima di partire per l’Africa Benedetto XVI ha pensato bene di indire per tutti i preti cattolici un anno speciale di meditazione, sotto la protezione del santo Curato d’Ars e col titolo: “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”.

© Copyright Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister


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Paparatzifan
00lunedì 23 marzo 2009 21:37
Da "Messainlatino.it"...

LUNEDÌ 23 MARZO 2009

L'opposizione romana al Papa secondo l'abbé Barthe. Seconda parte

Proseguiamo la pubblicazione a puntate, come ogni feuilleton che si rispetti (solo che qui la storia è verace e ben documentata, per quanto l’argomento si presti a colpi di scena, complotti e dietrologie), dell’illuminante approfondimento dell’abbé Claude Barthe (nella foto) sull’opposizione curiale a Benedetto XVI.


Coabitazioni delicate

Intanto l’opposizione aveva alleati, specialmente in seno al dicastero principale della Curia romana, della il capo, Segretario di Stato, è allo stesso tempo Ministro degli affari esteri e Primo Ministro della Santa Sede (la Segreteria di Stato è d’altronde divisa in due sezioni : la prima sezione per gli Affari generali, e la seconda sezione per i Rapporti con gli Stati ).

Ad oggi, il cardinale Segretario di Stato, cardinal Bertone, che ha sostituito il cardinal Sodano, deve confrontarsi con la differenza di sensibilità del suo vice, Mons. Filoni, Sostituto per gli Affari generali, già nunzio in Irak. Il Segretario di Stato è assistito da un Sostituto per gli Affari Generali (Mons. Filoni, che ha sostituito Mons. Sandri), anch’egli aiutato da un assessore (Mons. Caccia), e da un Sostituto per i Rapporti con gli Stati (Mons. Mamberti, che ha sostituito Mons. Lajolo, lui stesso successore di Mons. Tauran), con l’aiuto di un Sotto-Segretario (Mons. Parolin).). Mons. Fernando Filoni è circondato da quella che viene definita ironicamente «sacra corona», una specie di Segreteria di Stato all’interno della Segreteria di stato stessa : l’aggiunto di Mons. Filoni, Mons. Caccia ; due dignitari a livello di Nunzi apostolici, Mons. Carlo Viganò e Mons. Paolo Sardi ; Mons. Polvani, del personale diplomatico della prima sezione, nipote di Mons. Viganò (il quale si divertiva a giocare agli ammiratori rétro di Che Guevara) e altri ancora; fino al mese di giugno scorso, più in basso nella scala gerarchica, ma ad un posto chiave, si trovava Mons. Duthel, capo della Sezione francofona [notorio progressista e causa di molte infelici nomine in Francia, come da noi riportato qui].

Se dunque l’opposizione al Papa – che è piuttosto una collaborazione col Papa, ma con punti di vista che differiscono dai suoi, il che è quanto di peggio possa esservi – conserva posizioni strategiche nei corridoi del potere, non fa uso, per definizione, di questo potere al suo livello più alto. Tuttavia all’interno dei massimi organi di decisione, è in grado di utilizzare quei procedimenti, da tempo provati, che ha saputo adattare alla nuova situazione.

Il più classico di questi è quello di ritardare le decisioni o le nomine scomode, per le quali vengono sollevate mille difficoltà, dove i freni più efficaci d’altronde risultano gli ostacoli reali. E’ facile citare come esempio, perché è vero, che le istruzioni riguardanti l’applicazione corretta del Motu Proprio Summorum Pontificum sollevano problemi decisionali alquanto complessi.

Un altro procedimento è l’uso del precedente, che gode di una forza inimmaginabile in materia di governo. E questo vale pure in materia di nomine. Così è per l’usanza concretamente obbligatoria di dare una sede episcopale al Segretario della C.E.I (personaggio di fatto molto importante per la Chiesa italiana: è il Papa che nomina il Presidente di questa Conferenza e che, su proposta del Presidente, nomina il Segretario della Conferenza.) al momento di lasciare le sue funzioni. Nulla comunque obbligava a dare a Mons. Giuseppe Betori un posto da cardinale, in quanto questo biblista, senza essere tra quelli che in passato vennero qualificati come «progressisti», è comunque profondamente all’opposto in quanto a sensibilità degli amici del Papa. E’ oggi arcivescovo di Firenze in procinto di ricevere la berretta cardinalizia nel prossimo concistoro. E’ sicuramente, nel terzo anno di pontificato di Benedetto XVI, la più bella vittoria del cardinal Re, dell’importanza del quale parlerò in seguito più precisamente.
Più ingegnosa è la tattica del «male minore».

Il cardinale interrogato da Olivier Le Gendre, in Confessione d’un cardinale, avrebbe preferito il cardinal Bergoglio al cardinale Ratzinger. Ha inoltre dichiarato di essere pronto a favorire, come candidato di transazione, il cardinal Antonelli, allora arcivescovo di Firenze (oggi presidente del Consiglio per la Famiglia), che fu, durante il conclave, un sostenitore dichiarato di Joseph Ratzinger, ma sicuramente preferibile per Silvestrini a Ratzinger stesso.

Il cardinal Arinze, confortato da Mons. Sorrentino sulla linea liturgica cosiddetta «integrismo alla Paolo VI» (che fa l’apologia della «buona celebrazione» del rito nato in seguito alla riforma), non aveva comunque fatto opposizione, nel dicembre 2005, alla nomina di Segretario della Congregazione per il Culto Divino di Mons. Malcolm Ranjith, nunzio a Giakarta, per rimpiazzare Mons. Domenico Sorrentino, ultimo rappresentante della linea Bugnini in quella Congregazione. Ma a marzo 2007, ha fatto nominare come Sotto-Segretario, padre Anthony Ward, certamente poco liberale (il cardinal Arinze apprezzava in lui il nemico giurato delle traduzioni inglesi in «linguaggio inclusivo», le quali riescono ad evitare, specialmente per Dio, l’uso del maschile o del femminile), ma che era del tutto ostile alla liberalizzazione del rito tridentino.


segue


Paparatzifan
00lunedì 23 marzo 2009 22:05
Dal blog di Lella...

Papa coraggio sorretto dai media

Sono sorprendenti l’accanimento e la superficialità (se non la cattiva fede) con cui mass media, politici e intellettuali commentano qualsiasi esternazione della Chiesa. Il Papa segue la coerente logica di difesa dell’uomo e della vita, sia quando condanna l’aborto, l’eutanasia o difende la sacralità della famiglia, sia quando condanna la guerra, lo sfruttamento dei lavoratori o il ruolo devastante delle multinazionali in Africa. Eppure, i politici di destra e di sinistra fanno a turno nell’esprimere apprezzamento o indignazione, a seconda degli interessi di bottega. La politica ha il diritto di promuovere l’uso del preservativo come rimedio alla diffusione dell’Aids, ma la Chiesa non può esimersi dal ricordare che la soluzione a un problema così grande non si riduce a un ritrovato «meccanico», richiede invece una riscoperta del valore della sessualità. Non si perde occasione per ricordare i presunti «ritardi» della Chiesa su temi delicati come la contraccezione, l’omosessualità. Ma nessuno sembra ricordare che la Chiesa ha anticipato tutti nella condanna del comunismo e del capitalismo selvaggio. La soluzione proposta dalla Chiesa non è mai la più banale, comoda o veloce (le «scorciatoie» sono una prerogativa della politica), ma è uno stimolo su cui vale la pena di riflettere.

MARCO RACCA, MARENE (CN)

Risponde Lucia Annunziata

Eppure, vorrei sottolineare, mai come in questo momento la Chiesa è stata così aperta a critiche, a commenti, a un dialogo traumatico e dai toni a volte eccessivi.
Lei ha ragione nel dire che spesso contro il Vaticano di papa Ratzinger si avverte un eccesso, quasi un accanimento.
Ma l’altra faccia di questo accanimento è una Chiesa che, a mia memoria, non è mai stata, a dispetto dell’apparente rigidità, così trasparente.
Papa Benedetto sta mostrando un coraggio pubblico nel mettersi in gioco che è raro vedere nei leader politici: penso alla lettera ai vescovi di pochi giorni fa, alle ammissioni di errori, al suo attento modo di rispondere argomento su argomento al mondo cattolico e non cattolico. Tirando contemporaneamente avanti sulle proprie verità.
Tante cose sono in movimento nella Chiesa romana. L’episodio della bambina brasiliana, il cui aborto è stato punito con la scomunica dei medici, è stato ripensato, con una pubblica riflessione nientemeno in prima pagina dell’«Osservatore romano». I segnali di disponibilità della Chiesa al dialogo sono tanti. Non sono, come lei dice, quelli veloci, banali, «vediamoci e diciamoci di volerci bene», ma nella sostanza e nello scontro c’è una trasparenza nuova. E se questo fosse anche un po’ il risultato dell’«invadente» attenzione dei media? Se i media, con tutti i loro errori, non stessero dando a loro volta voce a un desiderio di confronto maturato anche dentro la stessa Chiesa?

© Copyright La Stampa, 21 marzo 2009


Paparatzifan
00lunedì 23 marzo 2009 22:13
Dal blog di Lella...

Benedetto XVI non pensa affatto a quel Concilio Vaticano III che qualcuno invoca. Dedica piuttosto le sue energie all'opera sulla storicità dei vangeli, messa in dubbio oggi anche nella Chiesa stessa

CRISTIANESIMO «PRIMARIO» E «SECONDARIO»

L'impegno di papa Ratzinger: difendere la fede, innanzitutto

Chi stimava Joseph Ratzinger è stato riconfermato nell'ammirazione dalla lettera ai vescovi sulle polemiche circa la revoca della scomunica ai vescovi di Econe.
Un testo forte e al contempo «sommesso», come scrive l'Autore stesso, di un'umiltà e sincerità limpidamente evangeliche.

La missiva, a differenza di quanto ha detto qualcuno, rafforza il prestigio di Benedetto XVI, che sente se stesso non come un potente tra i potenti ma come il custode di una Verità che non è sua, che gli è stata affidata, che a ogni costo deve difendere.

Proprio per questo sorprende che sia stata poco rilevata la frase che, nella sua drammaticità, è il centro non solo della lettera ma dell'intero pontificato e che spiega anche questo insolito intervento.
Scrive, in effetti colui cui i fedeli guardano come al Vicario di Cristo: «Oggi, in vaste zone della terra, la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento». E ancora: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini».
Benedetto XVI ribadisce, qui, la consapevolezza che «la prima priorità per il successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu, conferma nella fede i tuoi fratelli"».

Da sempre, quest'uomo — che non a caso è stato per 24 anni Prefetto delle Congregazione per la Fede — ha avuto ben chiara la successione indispensabile: prima la fede, appunto; e, poi, ma soltanto «poi», l'istituzione ecclesiale.

La quale è indispensabile, nella strategia di un Dio creatore che ha voluto la collaborazione delle sue creature. Ma la Chiesa, intesa come organizzazione visibile che cammina nella storia, non è che un involucro, un guscio, una conchiglia per ospitare ciò che conta e che solo la fede può scorgere: la perla invisibile, cioè, il mistero del Cristo e i suoi sacramenti, a cominciare dall'eucaristia. Il «mondo» si occupa — e non può fare altrimenti — di Vaticano, di Santa Sede , di Sacri Palazzi, di Nomenklatura gerarchica. Ma tutto questo non è che un mezzo — sempre riformabile e spesso opaco — per l'unico, vero fine: l'annuncio che il Vangelo non è una illusione ma una verità e che su di essa è ragionevole basare la propria vita e la propria morte.
Dovrebbe essere scontato, almeno per i credenti. Eppure, in questi decenni, non sembra esserlo stato all'interno della Chiesa stessa.

Quando, nell'agosto del 1984, l'allora cardinal Ratzinger e il cronista che qui scrive si rinchiusero per qualche giorno nel seminario di Bressanone, erano consapevoli di rompere, per la prima volta dopo 442 anni, il silenzio e il segreto impenetrabili del Sant'Uffizio.

Come titolo al libro che doveva nascere da quel colloquio, fummo d'accordo sul termine «rapporto», ma fu lo stesso Cardinal Prefetto che suggerì «sulla fede», piuttosto che «sulla Chiesa». Mi ribadì infatti l'ovvia ma troppo spesso dimenticata verità: il
prius è la fede, mentre l'istituzione ecclesiale, l'insegnamento morale, l'impegno sociale non sono che derivati, effetti, conseguenze campate in aria — se non assurde — se non avessero a monte la scommessa sulla verità del vangelo. Ed è proprio questa scommessa che «è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento».

Parole drammatiche, lo ribadiamo. Meraviglia davvero che non abbiano trovato eco.

All'interno della Chiesa, la rissa postconciliare, tra contestazioni e restaurazioni, è divampata attorno alla riorganizzazione della istituzione, del «Vaticano», o alle conseguenze etiche e sociali da trarre dal Vangelo.
Confronti violenti, dunque, su cose come la funzione del papato, il ruolo di clero, laici, donne, il celibato, i poteri delle Conferenze episcopali, l'ecumenismo o su temi come impegno politico del cristiano, divorzio, aborto, ingegneria genetica, omosessualità. Problemi importanti ma, al contempo, temi derivati, da «cristianesimo secondario». Ben pochi dei litiganti si interrogavano su quello «primario»: sulla possibilità cioè dell'uomo post-moderno di credere ancora nella verità del Vangelo, senza il quale tutto questo non avrebbe significato. Mentre ci si azzuffava sulle conseguenze del credere, ci si dimenticava di riesaminare se ci fossero ancora ragioni valide per farlo.
C'è stata, e c'è, guerra tra preti sui metodi per innovare la catechesi, ma senza preoccuparsi perché dovremmo prendere ancora sul serio il catechismo, senza essere sbeffeggiati come cretini perché ancora cristiani.
Dichiarata anacronistica l'apologetica — cioè la ricerca per accordare ragione e fede, scienza e miracolo, cultura e devozione — quel che resta del popolo di Dio si è trovato disarmato davanti all'aggressione sferrata contro tutti e tre i «cerchi» del credere: l'esistenza di Dio, Gesù come Cristo annunciato dai profeti d'Israele, la Chiesa come istituzione divina. La crisi cattolica non è della «macchina»: se questa perde sempre più colpi, sin quasi a spegnersi, come in tante congregazioni religiose, è perché il carburante rischia di esaurirsi. È la caduta della fede, è la drammatica — spesso occultata — domanda «ma sarà vero? Non sarà una illusione?», che spiega l'abbandono del ministero di un terzo del clero, il rarefarsi delle vocazioni ai seminari, la scomparsa della tensione missionaria, l'allentarsi delle difese morali tra coloro che dovrebbero essere di esempio. È il credere solo al mondo presente, dubitando ormai che un aldilà esista, che ha portato all'attenzione esclusiva per l'impegno sociale e politico, relegando nel silenzio quelli che la Tradizione chiamava i Novissimi: morte, giudizio, inferno paradiso.

Benedetto XVI non pensa affatto a quel Concilio Vaticano III che qualcuno invoca, per riformare ancor più l'istituzione e per adattare la morale evangelica al politicamente corretto attuale. Preoccupazioni da clericali.

Se a un Concilio papa Ratzinger pensasse, sarebbe per riportare al centro le ragioni per credere in Gesù come Dio e Redentore. Non a caso sottrae tempo ed energie ad altri impegni per dedicarsi al completamento dell'opera sulla storicità dei vangeli, messa in dubbio oggi anche nella Chiesa stessa.
Non è l'ossessione di un professore, è l'ansia del Pastore che vuol confermare che la fede, base di tutta la piramide ecclesiale, è ancora credibile, non contrasta con la ragione.

© Copyright Corriere della sera, 23 marzo 2009


+PetaloNero+
00martedì 24 marzo 2009 01:02
Evitare la deriva nichilista difendendo la vita
Il Cardinale Bagnasco propone la “libertà di vivere”


di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- Aprendo a Roma questo lunedì i lavori del Consiglio Episcopale Permanente, il Cardinale Angelo Bagnasco ha spiegato le due culture che segnano i tempi moderni: una che libera l’uomo nella sua dimensione di persona e l’altra che l’opprime con l’egoismo e il nichilismo.


Nel mondo dell’oggi – ha precisato il porporato – “si fronteggiano sostanzialmente due culture riferibili all’uso della ragione”. Due diverse visioni antropologiche al centro delle quali “c’è una specifica risposta alla domanda sull’uomo”.

“Su un versante – ha spiegato – c’è la cultura che considera l’uomo come una realtà che si differenzia dal resto della natura in forza di qualcosa di irriducibile rispetto alla materia. Qualcosa che è qualitativamente diverso e che costituisce la radice del suo valore e il fondamento della sua dignità”.

“In questa prospettiva - ha aggiunto -, la natura umana, dentro lo scorrere della storia, è un perno fermo e insieme bussola per l’esercizio della libertà personale. Nel gioco stesso dell’uomo, la libertà trova così i riferimenti oggettivi per le scelte e i comportamenti coerenti alla sua autentica umanità”.

Nell’altro versante, invece, si esplica una cultura per la quale “il soggetto umano è un mero prodotto dell’evoluzione del cosmo, ivi inclusa la sua autocoscienza”.

“In quanto risultato di un processo evolutivo mai concluso - ha affermato il Cardinale –, l’uomo sarebbe solamente un segmento di storia, sganciato cioè da qualunque fondamento ontologico permanente e comune a tutti gli uomini, privo quindi di riferimenti etici certi e universali”.

Così, “essendo semplicemente uno sghiribizzo culturale fluttuante nella storia, l’individuo si trova sostanzialmente prigioniero di sé ma anche solo con se stesso”

Secondo il Presidente della CEI è all’interno di queste due concezioni antropologiche che si gioca la libertà umana, e le concezioni conseguenti come la vita, la pace, la giustizia, la solidarietà.

“Per i cattolici – ha sostenuto - la libertà è dono del Signore, e si realizza attraverso l’impegno di farsi carico degli altri, specialmente dei più deboli, dei meno dotati ed efficienti”.

Mentre, nella società secolarizzata “l’individuo, paradossalmente, finisce schiacciato dalla propria libertà, e ritenendo di essere pieno e assoluto padrone di se stesso arriva a disporre di sé a prescindere da ciò che egli è fin dal principio del suo esistere”.

Per l’arcivescovo di Genova “In questa direzione, si scivola inevitabilmente verso un nichilismo di senso e di valori che induce alla disgregazione dell’uomo e ad una società individualista fino all’ingiustizia ed alla violenza”.

“Anzi, verso un nichilismo gaio e trionfante, in quanto illuso di aver liberato la libertà, mentre semplicemente la inganna rispetto ad una necessaria e impegnativa educazione della stessa”.

In questo contesto il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha letto la vicenda di Eluana Englaro, la ragazza lecchese che è stata fatta morire a Udine il 9 febbraio scorso, attraverso una operazione “tesa ad affermare un ‘diritto’ di libertà inedito quanto raccapricciante, il diritto a morire” come se “la vita potesse, in alcuni frangenti − i più critici −, cessare di essere un bene relazionale”.

“E – ha sottolineato il cardinale Bagnasco - non fosse vero piuttosto che, proprio quando è più fragile, l’esistenza di ciascuno di noi diventa allora più moralmente preziosa, nel senso che è più direttamente protesa a cementare il bene comune suscitando in ciascuno e nella società ulteriori energie di altruismo e di dedizione”.

L’Arcivescovo di Genova ha messo in guardia contro il sistema di arrogarsi “il diritto all’eliminazione dei soggetti inabili” ed ha chiesto se non si stia prefigurando “un nuovo tipo di selezione alla vita”.

Il porporato ha ringraziato quella parte del popolo italiano che ha sofferto, pregato, manifestato per salvare Eluana, ed ha chiesto alla politica di “agire nell’approntare e varare, senza lungaggini o strumentali tentennamenti, un inequivoco dispositivo di legge che preservi il Paese da altre analoghe avventure, ponendo attenzione a coordinarlo con l’altro sospirato provvedimento relativo alla cure palliative, e mettendo mano insieme alle Regioni ad un sistema efficace di hospice, che le famiglie attendono non per sgravarsi di un peso ma per essere aiutate a portarlo”.

A questo proposito il Presidente della CEI ha invitato la società civile a “mobilitarsi per acquisire in prima persona una coscienza più matura della posta in gioco in termini antropologici e culturali, così da evitare nel futuro ingorghi concettuali e tentazioni di delega”.

Per questo ha “incoraggiato e sostenuto” l’iniziativa annunciata dai tre organismi di collegamento laicale − Scienza & Vita, il Forum delle Associazioni familiari e RetinOpera – per una mobilitazione delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, come degli ambienti e dei mezzi di comunicazione, in favore del manifesto “liberi di vivere”.

Il Cardinale Bagnasco ha rivolto un ringraziamento speciale alle Suore Misericordine della clinica Beato Talamone di Lecco per la “loro splendida, ineffabile testimonianza di carità”.

“Una testimonianza - ha concluso il porporato – che commuove la Chiesa e misteriosamente la edifica nel cuore del mondo. Ma edifica anche l’umanità intera nella sua autentica e intrinseca vocazione a non abbandonare nessuno, ma a farsi prossimo e solidale con tutti e con ciascuno nell’ora della maggiore debolezza”.








I Vescovi Italiani con il Papa “sempre e incondizionamente”
Il Cardinale Angelo Bagnasco respinge le critiche al Pontefice


ROMA, lunedì, 23 marzo 2009 (ZENIT.org).- A nome e per conto dei Vescovi italiani, il Cardinale Angelo Bagnasco ha aperto a Roma i lavori del Consiglio Episcopale Permanente sottolineando che “la migliore tradizione del nostro cattolicesimo” è quella di “stare con il Papa, sempre e incondizionatamente”.

Nel corso della prolusione svolta il 23 marzo, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha precisato che “si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa”.

“Non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre – ha aggiunto -. Merita molto di più invece concentrarci sulla Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica, che come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso”.

Il Presidente della CEI non ha però nascosto “la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia”.

Per questo l’Arcivescovo di Genova ha espresso “ferma e concreta convinzione” per un “appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa”.

Circa le critiche sollevate contro il Pontefice in merito alle sue dichiarazioni sull’uso dei profilattici per limitare la diffusione dell’AIDS, il porporato ha invece posto l’accento sul grande successo del viaggio in Africa del Pontefice, che “fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere”.

“Non a caso – ha fatto notare il Cardinale Bagnasco –, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sopranazionali”.

Secondo il Presidente della CEI, nella circostanza, media, governi e istituzioni internazionali non si sono “limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica”.

Dopo aver ribadito che “la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento” è stata ribadita da professionisti, politici e volontari che “operano nel campo della salute e dell’istruzione”, l’Arcivescovo di Genova ha sottolineato la necessità per l’Africa di “un’opera di educazione ad ampio raggio”, che si concretizza in particolare “nella promozione effettiva della donna” alimentando le esperienze di cura e di assistenza e “finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti”.

Il Presidente della CEI ha chiesto ai governi di “mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista” ricordando che i Vescovi ed i cattolici tutti non accetteranno che “il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso”.

“Per tutti – ha concluso – egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare”.

+PetaloNero+
00martedì 24 marzo 2009 16:20
Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri
Il motto della Giornata: “In catene per Cristo, liberi di amare”



ROMA, martedì, 24 marzo 2009 (ZENIT.org).- Questo martedì la Chiesa in Italia si raccoglie intorno a quanti hanno reso testimonianza al Vangelo con l’offerta suprema della vita, facendo particolare memoria degli operatori pastorali che nel corso del 2008 sono morti per la violenza altrui o in servizio del prossimo.

L’iniziativa, nata nel 1993 ed estesa ormai a diversi altri Paesi, è promossa dal Movimento Giovanile Missionario delle Pontificie Opere Missionarie e cade nell’anniversario dell’uccisione dell’Arcivescovo di San Salvador, mons. Oscar Arnulfo Romero, avvenuta il 24 marzo 1980 durante la celebrazione dell’Eucaristia.

Nel Bimillenario Paolino, il motto scelto per questa Giornata - “In catene per Cristo, liberi di amare” - evoca le sofferenze della prigionia e gli altri disagi e patimenti sopportati dall’Apostolo delle Genti nello svolgimento della sua missione: un’esperienza, quella del sacrificio dei “testimoni”, che ha fecondato non solo la Chiesa delle origini, ma che ha connotato ogni epoca della sua storia.
Tra le indicazioni per la celebrazione della Giornata, il Movimento Giovanile Missionario ricorda che “la preghiera e il digiuno, nella tradizione cristiana, sono opere di amore e di comunione con Dio e con la Chiesa; viverle in occasione della giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri significa pregare Dio affinché sostenga le missionarie, i missionari e le comunità cristiane che vivono ancora oggi discriminazione e persecuzioni”.

L’elenco dei caduti per la fede e la carità nell’anno appena trascorso include mons. Paulos Faraj Rahho, Arcivescovo Caldeo di Mosul (Iraq), rapito all’uscita della chiesa dove aveva guidato la via Crucis, 16 sacerdoti, 1 religioso e 2 laici; rispetto ai Continenti e Paesi di origine, 9 provenivano dall’Asia (5 India, 1 Iraq, 1 Sri Lanka, 1 Kazakhstan, 1 Filippine), 6 dall’America (2 Messico, 1 Colombia, 1 Venezuela, 1 Brasile, 1 Ecuador), 3 dall’Africa (Kenya, Nigeria, R.D. Congo), 2 dall’Europa (Inghilterra, Francia).

Riguardo ai luoghi del sacrificio, il gruppo più numeroso di missionari ha perso la vita in Asia (4 India, 1 Filippine, 1 Iraq, 1 Sri Lanka, 1 Nepal), seguita dall’America con 5 vittime (2 Messico, 1 Venezuela, 1 Colombia, 1 Brasile), dall’Africa con 5 (2 Kenya, 1 Guinea Bissau, 1 Nigeria, 1 Repubblica Democratica del Congo) e dall’Europa con 2 (Russia). Tra i sacerdoti, 9 appartenevano al clero diocesano e 7 a ordini e congregazioni (2 Gesuiti, 1 Oblato di Maria Immacolata, 1 Salesiano, 1 Carmelitano, 1 Missionario di Mill Hill, 1 Saveriano delle Missioni Estere di Yarumal, Colombia).

In questo gruppo di martiri, vanno ricordati in modo particolare don Bernard Digal, dell’Arcidiocesi indiana di Cuttack-Bhubaneshwar, il primo sacerdote cattolico rimasto ucciso nella campagna di violenza anticristiana in Orissa e il sacerdote carmelitano, padre Thomas Pandippallyil, barbaramente assassinato in Andhra Pradesh mentre si recava a celebrare la Messa.

Come ogni anno, comunità parrocchiali e di vita consacrata, seminari e noviziati fanno memoria dei missionari uccisi con una veglia di preghiera, l’adorazione eucaristica e la via Crucis. Nei sussidi predisposti per le celebrazioni, oltre alla figura dell’apostolo Paolo e al significato delle sue tribolazioni viene messo in luce un altro aspetto fondamentale dell’esperienza del martire, quello della “ferialità” della fede, la fedeltà al Vangelo quotidianamente vissuta da chi è autenticamente “incatenato a Cristo” nella difesa dei più poveri, nella condivisione, nell’annuncio, nel perdono ai persecutori.

Alternate a brani della Scrittura, i testi riportano testimonianze dei martiri del Giappone, beatificati a Nagasaki nel novembre 2008, del Cardinale viertnamita François-Xavier Van Thuân, di catechisti uccisi in America Latina, della missionaria italiana Annalena Tonelli, uccisa in Somalia.

A sostegno dell’opera dei missionari nel mondo, alla preghiera va unita l’offerta della propria sofferenza e la testimonianza della solidarietà, con visite ad ospedali, carceri e case di riposo.

Quest’anno – spiega l'agenzia “Fides” – il progetto di solidarietà che si intende realizzare con le offerte raccolte dalla Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri riguarda un centro per ragazze diversamente abili, alcune anche abbandonate dalla propria famiglia, gestito dalle Suore Brignoline in India, nello stato del Kerala.



[Per maggiori informazioni: www.mgm.operemissionarie.it]
Paparatzifan
00martedì 24 marzo 2009 21:51
Dal blog di Lella...

Il governo di Parigi replica alla dura presa di posizione della Cei

"Non è la sola soluzione contro l'Aids ma è utile al bene collettivo"

Preservativi, la Francia insiste
"Confermiamo le critiche al Papa"


ROMA - "Non volevamo fare alcuna polemica. Abbiamo detto soltanto, e lo ripetiamo, che la frase del Papa sul preservativo può avere conseguenze drammatiche sulla politica mondiale in favore della salute". Il portavoce del Quai d'Orsay, Eric Chevallier, replica così a una domanda durante il consueto incontro con la stampa.
Riaffermando la critica di Parigi fatta dopo le affermazioni del Santo Padre durante il suo viaggio in Africa. Dicendo di voler evitare le polemiche con la Santa Sede ma senza arretrare di un millimetro sulle critiche. Nonostante la dura presa di posizione del presidente della Cei, Angelo Bagnasco che aveva parlato di "irrisione e volgarità", difendendo Benedetto XVI.
"Non abbiamo mai detto - spiega il portavoce del ministero degli Esteri francese chiamato in causa proprio dalla dura reprimenda di Bagnasco - che il preservativo è l'unica soluzione del problema. Ce ne sono altre, l'assistenza medica, quella sociale, i test per individuare la presenza del virus, il sostegno psicologico. Ma il preservativo fa parte di questi elementi di risposta. Tutti i discorsi che vanno in direzione diversa, fatti in più da una persona che ha enorme influenza, vanno contro l'interesse della salute pubblica".

Repubblica


Paparatzifan
00mercoledì 25 marzo 2009 11:06
Dal blog di Lella...

Spinelli bocciata in latino. Prosperi attacca la Chiesa, sbaglia e non chiede scusa

Maccheronico

Ogni domenica Barbara Spinelli tiene la sua omelia sulla prima pagina della Stampa, che il 15 marzo si apriva con il titolo altisonante del suo editoriale: “Habeas vultus”. Voleva essere l’evocazione colta dell’“Habeas corpus” medievale. Solo che - ha fatto notare Gianni Gennari su Avvenire (17/3) - avrebbe dovuto essere “vultum”. L’errore non è del titolista, ma risale alla Spinelli stessa che lo scrive nell’articolo, insieme all’“Habeas facies” (che sarebbe “faciem”).

Nell’omelia del 22 marzo, la dotta Spinelli c’informa che «Papa Roncalli annunciò il Concilio il 25 gennaio ‘58». Data in cui Roncalli era ancora patriarca di Venezia e il papa vivente si chiamava Pio XII. Infine, la stessa erudita editorialista sentenzia che il problema dell’Africa è «il controllo delle nascite» per sconfiggere «il flagello della sovrappopolazione». In realtà l’Africa è uno dei continenti meno popolati. Infatti ha il 20,2 per cento delle terre emerse del pianeta, ma è abitata solo dal 14,5 per cento della popolazione mondiale: una densità di popolazione di circa 30 abitanti per chilometro quadrato, mentre in Asia è di 84 e in Europa (fino al fiume Ural) è di 69. In Italia la densità di popolazione è di 199,3 per chilometro quadrato, in Gran Bretagna di 239 e in Olanda di 380.
Per esempio, uno dei paesi africani più vasti, il Sudan, misura 2,5 milioni di chilometri quadrati, ovvero è cinque volte la Francia, ma ha 33 milioni di abitanti, mentre la Francia ne ha 60. Storicamente proprio l’aumento della popolazione è stato un motore dello sviluppo. Contrariamente a quanto fa credere il luogocomunismo.

Fatti e parole

Riassumiamo. Il caso è quello della bambina brasiliana di 9 anni, violentata, rimasta incinta e fatta abortire. Il 18 marzo sulla prima pagina di Repubblica esce un infuocato editoriale dello storico Adriano Prosperi che bombarda a tappeto la Chiesa. L’intellettuale denuncia la «durezza atroce, disumana della condanna ecclesiastica che ha colpito con la scomunica la bambina brasiliana», aggiunge che «il corpo della donna resta per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile, un condotto di nascite obbligatorie» e conclude che, per questa Chiesa scomunicante, «l’anima di una bambina brasiliana è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista».
L’indomani su Libero faccio notare che mai quella bambina è stata scomunicata come Prosperi avrebbe facilmente appreso se solo avesse sfogliato qualsiasi giornale, compresa la Repubblica. In base a una bufala, Prosperi ha messo al rogo la Chiesa, facendola passare per un’organizzazione disumana che infierisce con la scomunica su una bambina già vittima di violenza. Il 20 marzo, stavolta a pagina 34, nascoste fra le lettere, poche righe di Prosperi il quale fa sapere ai lettori di Repubblica che - come dice Socci - «la scomunica ecclesiastica, di cui avevo scritto nel commento su Repubblica di mercoledì, non aveva colpito la bimba brasiliana che è stata fatta abortire». E conclude: «È così. Lo ringrazio per la correzione”.

Caro professore, non deve ringraziare me per la «correzione», ma chiedersi se si può declassare tutto questo a marginale «correzione».
Lei ha costruito una requisitoria pesantissima su un fatto non vero, senza neanche fare la minima verifica. Cosa induce uno storico di rango a comportarsi così contro la Chiesa? Gli intellettuali di sinistra come lei non devono mai chiedere scusa?

Infine mi permetta una domanda: immagino che lei, che proclama con tale fervore la dignità di quella bambina, si sia fatto in quattro per i bambini poveri del Brasile com’è questa fanciulla. Potremmo conoscere le sue opere? Ovviamente sono pronto a elencare anche ciò che fa per loro la Chiesa, che lei accusa di disumanità. E l’elenco è lunghissimo. Ma sarà interessante il confronto, così da giudicare ciascuno in base ai fatti.

© Copyright Libero, 24 marzo 2009


+PetaloNero+
00mercoledì 25 marzo 2009 16:04
Domenica in San Pietro manifestazione di solidarietà al Papa da parte degli studenti africani


L’appuntamento è fissato in Piazza San Pietro per domenica prossima alle 11,30. A convocare l’iniziativa sono stati gli studenti africani a Roma che, riuniti in comitato, hanno indetto una manifestazione di solidarietà con Benedetto XVI. “No alle strumentalizzazioni del messaggio del Papa per l'Africa – si legge in un comunicato - no alle speculazioni, no a chi vuole fare dell'Africa uno dei principali mercati di sbocco dei preservativi, sì alle cure efficaci per l'Aids in Africa e sì all'educazione”. Gli studenti intendendo ringraziare il Santo Padre “per la lucida e accurata diagnosi sociale, culturale, spirituale, ambientale ed economica che ci ha indicato affinchè siamo noi stessi gli artefici e i protagonisti del nostro futuro”. Inoltre rivolgendosi alla comunità internazionale i ragazzi indicano le priorità assolute per l’Africa: il cibo, l'acqua, l'energia, le cure mediche, un reddito stabile alle famiglie ma anche “un sistema commerciale che faciliti anche l'esportazione di prodotti africani e non solo l'esportazione delle materie prime, la valorizzazione sul posto delle proprie ricchezze e non il saccheggio delle risorse”. (B.C.)


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00mercoledì 25 marzo 2009 16:05
Un avvenimento umile e nascosto, ma decisivo per l’umanità: l’insegnamento di Benedetto XVI sul Mistero dell'Annunciazione


Ricorre oggi la Solennità dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, “stupendo mistero della fede” al quale Benedetto XVI ha dedicato numerose riflessioni fin dai primi passi del suo Pontificato. Un avvenimento “umile e nascosto”, lo ha definito il Papa, “ma al tempo stesso decisivo per la storia dell’umanità”. In quel sì della Vergine all’annuncio dell’Angelo, sottolinea il Pontefice, incomincia la nuova era della storia sancita poi nella Pasqua come “nuova ed eterna Alleanza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

La gioia di un Annuncio che cambia l’umanità per sempre: nella sua prima visita ad una parrocchia romana, il 18 dicembre 2005, Benedetto XVI si sofferma con i fedeli sul Mistero dell’Annunciazione e spiega il significato autentico del saluto che l’Angelo rivolge alla Vergine, Kaire Maria:


“Significa di per sé ‘gioisci’, ‘rallegrati’. Solo con questo dialogo dell’Angelo con Maria comincia realmente il Nuovo Testamento. Così possiamo dire che la prima parola del Nuovo Testamento è ‘gioisci’, ‘rallegrati’, è ‘gioia’”.


L’Angelo, ricorda il Papa, invita Maria a “non temere” e Lei si affida completamente al Signore:

“Maria dice sì alla volontà grande, apparentemente troppo grande, per un uomo. Questo sì che appare talvolta così difficile. Vogliamo preferire la nostra volontà”.

Maria diventa così un esempio per tutti noi. Ci mostra la gioia che deriva dal fare la volontà del Padre:


“Appare inizialmente come un peso quasi insopportabile, un giogo non da portare, ma in realtà non è un peso la volontà di Dio. La volontà di Dio ci dona ali per volare in alto”.

Il 31 maggio dell’anno scorso, a conclusione del Mese mariano, il Papa torna sul Mistero avvenuto nell’umile casa di Nazareth:


“Immaginiamo lo stato d’animo della Vergine dopo l’Annunciazione, quando l’Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l’ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo”.


Il sì di Maria, è la riflessione del Papa all’Angelus del 25 marzo 2007, è “il riflesso perfetto di quello di Cristo stesso quando entrò nel mondo”:


“L’obbedienza del Figlio si rispecchia nell’obbedienza della Madre e così, per l’incontro di questi due 'sì', Dio ha potuto assumere un volto di uomo. Ecco perché l’Annunciazione è anche una festa cristologica, perché celebra un mistero centrale di Cristo: la sua Incarnazione”.


"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola", risponde Maria all’Angelo. E il frutto di quella risposta, sottolinea Benedetto XVI, è presente nella vita della Chiesa:


“La risposta di Maria all’Angelo si prolunga nella Chiesa, chiamata a rendere presente Cristo nella storia, offrendo la propria disponibilità perché Dio possa continuare a visitare l’umanità con la sua misericordia”.


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00mercoledì 25 marzo 2009 16:06
Il Papa crea una nuova Diocesi nelle Filippine


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha creato una nuova Diocesi nelle Filippine e ha nominato il suo primo Vescovo, secondo quanto hanno reso noto questo mercoledì la Sala Stampa della Santa Sede e la Conferenza Episcopale del Paese asiatico.

La nuova Diocesi, di Libmanan, proviene dalla Prelatura omonima, situata nella provincia di Camarines Sur, che era stata creata da Giovanni Paolo II attraverso una Lettera apostolica il 9 dicembre 1989 ed eretta canonicamente il 19 marzo 1990.

Un mese fa, la Conferenza Episcopale Filippina ha chiesto formalmente al Vaticano che la Prelatura fosse elevata al rango di Diocesi.

Libmanan, suffraganea dell'Arcidiocesi di Caceres, comprende un'area di 1.800 chilometri quadrati e una popolazione di mezzo milione di fedeli. Attualmente ha 27 parrocchie e 51 sacerdoti.

Con questo atto, il Paese più cattolico dell'Asia conta 16 Arcidiocesi, 52 Diocesi, 7 vicariati apostolici, 5 prelature territoriali e un ordinario militare, e su più di 100 Vescovi.

Il primo Vescovo di Libmanan è l'ex Vescovo-prelato, monsignor José Rojas. Ha 52 anni ed è originario di Cebu. E' stato nominato Vescovo ausiliare di Caceres nel settembre 2005, dopo esserne stato vicario generale e rettore del seminario.

Paparatzifan
00mercoledì 25 marzo 2009 19:46
Re:

+PetaloNero+, 25/03/2009 16.04:

Domenica in San Pietro manifestazione di solidarietà al Papa da parte degli studenti africani


L’appuntamento è fissato in Piazza San Pietro per domenica prossima alle 11,30. A convocare l’iniziativa sono stati gli studenti africani a Roma che, riuniti in comitato, hanno indetto una manifestazione di solidarietà con Benedetto XVI. “No alle strumentalizzazioni del messaggio del Papa per l'Africa – si legge in un comunicato - no alle speculazioni, no a chi vuole fare dell'Africa uno dei principali mercati di sbocco dei preservativi, sì alle cure efficaci per l'Aids in Africa e sì all'educazione”. Gli studenti intendendo ringraziare il Santo Padre “per la lucida e accurata diagnosi sociale, culturale, spirituale, ambientale ed economica che ci ha indicato affinchè siamo noi stessi gli artefici e i protagonisti del nostro futuro”. Inoltre rivolgendosi alla comunità internazionale i ragazzi indicano le priorità assolute per l’Africa: il cibo, l'acqua, l'energia, le cure mediche, un reddito stabile alle famiglie ma anche “un sistema commerciale che faciliti anche l'esportazione di prodotti africani e non solo l'esportazione delle materie prime, la valorizzazione sul posto delle proprie ricchezze e non il saccheggio delle risorse”. (B.C.)


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+PetaloNero+
00giovedì 26 marzo 2009 01:34
Benedetto XVI riceverà venerdì prossimo il Presidente di Cipro
Nel contesto dei negoziati per la riunificazione dell'isola


di Inma Álvarez

ROMA, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI riceverà venerdì prossimo il Presidente della Repubblica di Cipro, Demetris Christofias, secondo quanto ha comunicato ufficialmente questo mercoledì l'ambasciata del Paese presso la Santa Sede.

La visita al Papa, spiega l'ambasciata, "vuole mantenere e rafforzare le buone relazioni tra Cipro e la Santa Sede".

Il Presidente cipriota si recherà in Vaticano accompagnato dalla moglie Elsie e dal Ministro degli Esteri, Markos Kyprianou. Com'è abituale, dopo aver salutato il Papa, Christofias incontrerà il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone. In seguito è prevista una conferenza stampa in cui spiegherà i motivi della visita.

Quest'ultima, spiega l'ambasciata cipriota, si inscrive nei negoziati che si stanno svolgendo dall'inizio del 2008 per trovare una soluzione alla divisione del Paese, e in cui ha avuto un ruolo importante la Comunità di Sant'Egidio, movimento cattolico nato a Roma dopo il Concilio Vaticano II che ha come missione la promozione della pace nel mondo.

Il Presidente e il suo seguito prevedono di cenare venerdì proprio con Andrea Riccardi, fondatore della Comunità.

"E' grazie a Christofias che i negoziati hanno subito un'accelerazione, in vista della riunificazione dell'isola in uno Stato federale sotto un Governo unico e rispettoso di ciascuna delle comunità", osserva l'ambasciata.

Colonia britannica fino al 1960, Cipro si è divisa dopo l'indipendenza tra la popolazione di origine greca e quella di origine turca. Dopo una serie di scontri tra le due comunità, nel 1974 la Turchia ha invaso il nord del Paese, costituendo in seguito la Repubblica Turca del Nord di Cipro, che non è riconosciuta dalla comunità internazionale.

Il Paese, formato dal 78% di greco-ortodossi e dal 18% di musulmani, è entrato nell'Unione Europea nel 2004.

La Chiesa cattolica ha un importante ruolo moderatore nei negoziati per la riunificazione dell'isola. L'Arcivescovo di Cipro Chrisostomos ha annunciato nel dicembre scorso il suo desiderio di recarsi a Roma per chiedere a Papa Benedetto XVI aiuto nella soluzione del problema cipriota.
+PetaloNero+
00giovedì 26 marzo 2009 01:34
Monsignor Luigi Bonazzi, Nunzio Apostolico in Lettonia

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato Nunzio Apostolico in Lettonia monsignor Luigi Bonazzi, secondo quanto ha reso noto questo mercoledì la Sala Stampa della Santa Sede.

Pochi giorni fa (cfr. ZENIT, 15 marzo 2009), monsignor Bonazzi, Arcivescovo titolare di Atella, era stato nominato Nunzio in Lituania ed Estonia.

Monsignor Bonazzi ha 60 anni ed è nato a Gazzaniga, in provincia di Bergamo. E' stato ordinato sacerdote nel 1973 e ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 26 agosto 1999, dopo essere stato nominato Nunzio Apostolico ad Haiti.
+PetaloNero+
00giovedì 26 marzo 2009 16:35
Presentato a Roma un libro sul meticciato: l'intervento del cardinale Scola


L’incontro fra popoli di culture e religioni diverse è uno dei tratti caratteristici della nostra epoca. Una mescolanza di fedi, valori e tradizioni che rivela in sé grandi potenzialità e insieme forti contraddizioni. Paolo Gomarasca, ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ne parla nel suo ultimo libro “Meticciato: convivenza o confusione?”. Promosso in collaborazione con la Fondazione Internazionale Oasi, per le edizioni Marcianum Press, il volume è stato presentato ieri all’Ambasciata d’Italia presso la santa Sede. C’era per noi Claudia Di Lorenzi:

“Quando il senso religioso raggiunge una sua maturità, genera nel credente la percezione che la fede in Dio, Creatore dell'universo e Padre di tutti, non può non promuovere tra gli uomini relazioni di universale fraternità”. Benedetto XVI spiegava così - per il 20.mo anniversario dell'Incontro di preghiera per la pace di Assisi, nel 2006 – il fondamento del vivere in comunione fra persone di fedi e culture diverse, ciò che rende possibile il prodigio dell’unità nella molteplicità delle tradizioni e delle religioni. Che invero rappresenta solo il riflesso sfumato di quella unità che lo stesso Gesù chiese al Padre per gli uomini. Un’aspirazione – osserva Paolo Gomarasca – a cui l’odierna società, caratterizzata dalla mescolanza di popoli, non può sottrarsi, e che invita a ripensare la natura dei rapporti secondo categorie nuove:

“C’è un modo pericoloso, che è quello che divide il mondo in due: da una parte le culture buone e dall’altra parte le culture cattive. Allora, la categoria di Meticciato spacca completamente questa pericolosa semplificazione, perché introduce l’idea che una cultura, se autentica e vitale, ha bisogno di incontrare un’altra cultura. Se riusciamo a pensare in questo modo, il confine tra 'noi e loro' diventa un confine poroso. Naturalmente dobbiamo essere molto attenti a orientare i risultati di questo scambio vitale tra le culture, nella direzione del riconoscimento reciproco. E qui la sfida è totalmente aperta”.

La coesione fra persone di culture e religioni diverse trova dunque fondamento nella fede in Dio e nel sentirsi parte di un’unica famiglia universale. Il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia:

“Tutti gli uomini sono figli di un Padre, tutti gli uomini convengono in un’esperienza elementare comune, di qualunque razza, etnia, di qualunque religione, di qualunque cultura siano. All’interno di questi presupposti, la fede cristiana a mio avviso ha la grandissima carta della testimonianza, perchè Gesù è Colui che ha dato se stesso in toto, e la vita, per la salvezza nostra e di tutti gli uomini”.

La fratellanza universale, unita al mutuo riconoscimento e alla condivisione dei valori ultimi, rappresenta la chiave di volta per vincere una delle sfide più urgenti del nostro tempo, quella della coesione sociale fra cristiani e musulmani. Ascoltiamo Khaled Fouad Allam, sociologo musulmano:

“I valori sono quelli dell’essere umano: il valore della sacralità della vita, i valori della solidarietà. Credo, però, che ci sia la necessità di riformulare filosoficamente i vettori importanti di un dialogo, che non sia soltanto un dialogo punto e basta, ma che sia un dialogo con il quale si possa vivere nella convivenza pacifica. Far scendere questo dialogo nella complessità sociale, questo può diventare un sistema di aggregazione sociale”.

“Se nel corso dei secoli - ha detto Benedetto XVI ai rappresentanti del mondo islamico in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù - non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani” il Concilio Vaticano II “esorta tutti a dimenticare il passato”, ad esercitare la mutua comprensione e a promuovere la giustizia sociale, la pace e la libertà”. Si tratta dunque – spiega Fouad Allam – di trasformare la storia in memoria collettiva su cui fondare un patto educativo nuovo:

“Oggi, uscendo da questo palazzo, posso incontrare cinesi, indiani, srilankesi, africani, arabi e latinoamericani. Come trasformare questo in un significato per la mia vita? Che non sia soltanto un itinerario che passa e che si dimentica? Tutto questo passa attraverso questo patto educativo: la scuola, ma non solo la scuola, le istituzioni, anche l’amicizia. Credo che abbiamo una responsabilità, non individuale, ma collettiva, una responsabilità etica”.

Una sfida educativa – spiega il cardinale Scola – che mira a formare uomini di pace secondo una nuova pedagogia:

“Il Santo Padre ha detto proprio di recente, parlando della pace: “E’ illusorio pensare che si possa edificare la giustizia, se non si formano uomini giusti. E ancora qui, noi cristiani, ritorniamo al grande annuncio pasquale: Cristo è la nostra Pasqua”.

Il meticciato – è in definitiva il messaggio dell’opera - non si risolve dunque nel “vivi e lascia vivere”, nel tollerare la diversità, ma nel riconoscere in Dio quel principio comune che rende affini i diversi e che costituisce il fondamento e il fine ultimo del progetto unitario fra i popoli.


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00giovedì 26 marzo 2009 16:35
Il cardinale Tauran: precisare la nozione di reciprocità per salvaguardare i diritti dei cattolici nei Paesi musulmani


“Libertà religiosa e reciprocità”: è il tema di grande attualità proposto oggi e domani in un Convegno internazionale promosso dalla Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce, a Roma. Ad aprire stamane i lavori è stato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, che ha indagato nel Magistero recente della Chiesa, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, passando per i documenti conciliari. Il servizio di Roberta Gisotti.

Appare opportuno che la Chiesa approfondisca il concetto di “reciprocità” in ambito “interreligioso” e indichi “norme chiare” di “applicabilità”, cosi pure “i limiti invalicabili” da tutelare “nei Paesi di tradizione musulmana”, e “le strade da percorrere” laddove i cattolici soffrono ingiustamente. Queste le conclusioni del cardinale Jean–Louis Tauran, dopo avere indagato nel suo intervento sul tema della reciprocità auspicando che si possa superare una certa “frammentarietà”, “nota distintiva” negli interventi di epoca conciliare e anche dopo.


Già accennava Giovanni XXIII nella ‘Pacem in Terris’ alla “reciprocità di diritti e di doveri tra persone diverse”. Mentre Paolo VI, collegava nell’‘Ecclesiam Suam’, la reciprocità al dialogo interreligioso. Si parlerà poi nel Concilio di “reciproco rispetto della dignità spirituale” e nella ‘Gaudium et Spes’ del compito della Chiesa di rispondere agli interrogativi degli uomini “sulle loro relazioni reciproche”. Ancora Giovanni Paolo II tratterà nella ‘Mulieris dignitatem’ della reciprocità dei rapporti uomo donna e nella ‘Redemptoris missio’ del dialogo interreligioso in termini di “arrichimento reciproco”, e in altri discorsi pubblici affermava la reciprocità in tutti i campi nelle relazioni con l’islam, comprese le libertà fondamentali, specie quella religiosa. Così come Benedetto XVI, in continuità con i predecessori sta insistendo sulla “necessità di una vera reciprocità”, nei rapporti tra Chiesa ed Islam, “strettamente legata all’esigenza di un più grande rispetto tra le parti”.


Ha infine ricordato il cardinale Tauran, di avere lui stesso ripetuto ‘ad nauseam’ riferendosi ad un preciso contesto – l’assenza di luoghi di culto cristiani in Arabia Saudita - “che come i musulmani hanno diritto di poter pregare in moschee nei Paesi a maggioranza cristiana” “nello stesso modo i cristiani hanno il diritto di avere i propri luoghi di culto nei Paesi a maggioranza musulmana. E questo in nome del principio della reciprocità”, di cui ha parlato Benedetto XVI segnando “senz’altro un progresso”, ma a tutt’oggi manca – ha lamentato il capo del dicastero vaticano per il dialogo interreligioso - “una illustrazione approfondita di tale principio”.


Partecipa alla conferenza internazionale anche il direttore di AsiaNews padre Bernardo Cervellera. Sergio Centofanti gli ha chiesto un commento sull’intervento del cardinale Tauran:

R. – L’intervento molto preciso del cardinale Tauran fa vedere che c’è una reciprocità di rapporto, di amicizia, di accoglienza mutua in tutti gli aspetti della vita; dall’altra parte, è anche un tentativo di confermare la reciprocità anche dal punto di vista giuridico, direi, perché il problema è che ci sono da una parte i rapporti tra le religioni, dall’altra parte anche i rapporti tra gli Stati. E, in qualche modo, gli Stati dovrebbero garantire questa libertà di religione.


D. – A tutt’oggi, qual è la situazione dei cristiani nei Paesi musulmani?


R. – La situazione è abbastanza diversificata; comunque, resta il fatto che nella maggior parte dei casi – e nel caso migliore – i cristiani sono come delle “comunità protette”, nel senso che hanno la possibilità di una libertà di culto, ma la loro espressione è molto controllata: missione ed evangelizzazione quasi impossibili, se non all’interno del territorio delle parrocchie o all’interno delle Chiese, e proposte di tipo pubblico ed espressività di tipo pubblico non esistono. Poi, ci sono i luoghi più difficili: naturalmente l’Arabia Saudita, che non permette la costruzione di nessun luogo di culto ed anche, di per sé, proibisce dei gesti di culto differenti dall’islam, anche in privato. E’ vero che adesso qualche cosa sta cambiando: la polizia religiosa non va più nelle case a prendere i cattolici o i protestanti e a metterli in prigione perché hanno semplicemente un’icona oppure perché pregano tra di loro; però non c’è ancora una struttura legale per difendere questo diritto. Poi, in questi ultimi tempi – siccome c’è una grande crescita del fondamentalismo – i cattolici e i cristiani sono spesso presi di mira come obiettivo del fondamentalismo e della distruzione; noi ricordiamo le Chiese distrutte in Iraq, le Chiese distrutte in Indonesia, gli attacchi contro i cristiani in Pakistan e in altri Paesi islamici.


www.radiovaticana.org
Paparatzifan
00giovedì 26 marzo 2009 17:38
Dal blog di Lella...

Contro Roma: quei “piccoli Vaticani” che criticano il Vaticano

mar 25, 2009 il Riformista

Di Paolo Rodari

La difesa del Papa mossa l’altro ieri dal cardinale Angelo Bagnasco è piaciuta parecchio ai fedelissimi di Benedetto XVI. Anche se, dice al Riformista un porporato vicino al Pontefice, Ratzinger è ben capace di tenere diritto il timone della Chiesa.
E ne è capace nonostante le critiche esterne e, soprattutto, interne. Lo dimostrerà di qui a luglio, pubblicando l’enciclica sociale che pare abbia la data del 19 marzo, festa di San Giuseppe, e smuovendo un po’ gli organismi di governo della sua curia.

Cambieranno gli oltre 75enni cardinali Renato Raffaele Martino, Javier Lozano Barragan, Walter Kasper, l’ottantenne presidente dell’Ufficio del lavoro Francesco Marchisano, l’84enne Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e il 77enne James Francis Stafford. Anche i quasi 75enni Franc Rodé e Claudio Hummes lasceranno, mentre rimarrà al proprio posto il segretario di Stato Tarciso Bertone. Quanto al capo dei vescovi, il 75enne Giovanni Battista Re, pare continui il suo lavoro per tutto il 2009. Padre Federico Lombardi, capace direttore della sala stampa, ma ingolfato dai troppi incarichi, dopo il viaggio in Terra Santa dovrebbe lasciare.

Mentre per le seconde file della segretaria di Stato si attende un non facile discernimento da parte dello stesso Pontefice. Anche qui, però, vi sono date o svolte di carriera che dovranno trovare soluzione.

Ratzinger, dunque, sa come gestire i dissidi, quelli esterni e quelli interni alla Chiesa. Perché di questo si tratta: oltre agli attacchi sul caso Williamson, e quelli delle cancellerie di mezza Europa a seguito delle parole dedicate ai «preservativi» (ancora ieri Parigi ha confermato tutte le critiche esposte una settimana fa), ci sono le intemperanze interne, quelle dei vescovi dei vari Paesi europei, particolarmente violente non soltanto sulla questione lefebvriana ma anche su alcune nomine mal digerite da quei presuli che, nei vari Paesi del mondo, hanno particolare potere all’interno delle proprie conferenze episcopali.
Molti di questi vescovi accusano Ratzinger di non sapersi spiegare.

Ma dimenticano chi è Joseph Ratzinger: un Papa colto, anzi coltissimo, e pio. In pochi sanno capire la contemporaneità come lui. Il suo dire è razionale, tipico della logica e della metafisica. Offre sempre delle risposte razionali ai problemi e, per questo, non può che prescindere dalle reazioni emotive che nel mondo queste suscitano.

Il mondo, spesso impregnato di irrazionalità soprattutto quando si definisce “razionalista”, fatica a comprenderlo perché ha una reazione emotiva, e spesso, all’emotività non sa andare oltre, così come si ferma su casi particolari e non va all’universale.

Anche nella Chiesa c’è chi non comprende questo tratto dell’attuale Pontefice.

Accanto a tanti vescovi a lui fedeli ve ne sono alcuni in una posizione avversa, e questi, seppure in minoranza, sovente hannol’amplificatore dei potentati che perseguono i propri disegni. Non si tratta di vere e proprie faide. Quanto di una malattia che dal Vaticano II in poi ha assunto la sostanza della cronicità, un’infezione non proveniente dal Concilio ma dal “paraconcilio”: una malattia di lunga data.

Dai lavori conciliari in poi si è diffusa un’anti-romanità difficilmente arginabile. Il bersaglio, dunque, non è anzitutto Ratzinger. Ma Roma e la sua primazialità. Il nemico è una concezione del governo della Chiesa che in Roma, al posto di una guida sicura, ha visto semplicemente un coordinamento di fondo in grado soltanto di garantire una generalizzata unità. È stata una scorretta esegesi del Concilio a volere che crescessero senza misura le dimensioni delle diverse conferenze episcopali: quelle stesse conferenze che Ratzinger, in un’intervista del 1985, aveva negato avessero una base teologica.
Ufficio dopo ufficio, struttura dopo struttura, nel mondo si sono creati dei piccoli Vaticani regionali che si sono sempre più allontanati dalla costituzione gerarchica della Chiesa, ovvero da quella concezione del governo che prevede che ogni vescovo abbia una responsabilità personale sui propri fedeli in un quadro di «comunione organica». Le conferenze hanno valorizzato sé stesse, il proprio potere interno e non, appunto, quella «comunione organica» tanto cara ai testi del Concilio.
Le conferenze, molto spesso, in nome di una fantomatica democraticità di governo peraltro mai verificata, hanno finito per opporsi a Roma andando a valorizzare quelle personalità che, al proprio interno, più avevano carisma sui media e nell’opinione pubblica.

Quei vescovi che hanno avuto più presa sui giornali, sulle tv, che hanno voluto impostare il proprio incarico più sulle pubbliche conferenze in giro per il mondo che sulla cura della anime presenti nella propria diocesi, quei vescovi “itineranti” più che residenziali, hanno preso sempre più autorità all’interno dell’episcopato del proprio Paese divenendo, senza mai dirlo esplicitamente, una sorta di contropotere forte al Papa e al governo stesso di Roma.
Si tratta di enormi sovrastrutture che, talvolta, opprimono i singoli successori degli apostoli che, invece, proprio nel Papa, trovano la garanzia della loro libertà.

Un contro-potere difficile da gestire, come i recenti casi delle intemperanze verificatesi contro il Papa da parte delle conferenze episcopali tedesche e austriache hanno ben dimostrato.

Il cardinale Karl Lehmann ha pubblicamente attaccato Benedetto XVI per la revoca della scomunica ai lefebvriani mentre la nomina di Gerhard Wagner quale vescovo ausiliare di Linz è stata apertamente respinta con disprezzo da tutta la conferenza episcopale austriaca, e ora si capisce, come testimoniano vari siti web, che coloro che hanno rimescolato le carte per ottenere la revoca della nomina erano dei sacerdoti che vivono attualmente in stato di concubinato. Tutto è emerso anche dalle pagine dei quotidiani austriaci: ma se si intervistassero oggi i responsabili dei singoli vertici delle conferenze episcopali, questi direbbero d’essere in perfetta comunione con il Papa.
I fautori dell’ermeneutica della rottura del Vaticano II sono un’onda ancora oggi ben organizzata. Ratzinger lo sa e per questo il primodiscorso d’importanza capitale del suo pontificato, quello del 22 dicembre 2005, fu diretto a loro: l’ermeneutica della rottura è sbagliata, spiegò Benedetto XVI. Ma è una battaglia atavica: già Giovanni XXIII, suo malgrado, venne descritto dai fautori dell’ermeneutica della rottura come il Pontefice della fine della Chiesa monarchica. Ci provarono anche con Paolo VI, salvo poi ricredersi a motivo dell’uscita dell’“Humanae Vitae”, l’enciclica che per i suoi contenuti per nulla accondiscendenti verso le istanze della mondanità, segnò l’inizio della seconda fase del pontificato montiniano, quella della sofferenza per le ingiurie e le calunnie subite. Anche Wojtyla, forse più di Ratzinger, venne contestato apertamente per le posizioni prese su sesso, amore, aborto, matrimonio. Dalla “Redemptor Hominis” in poi, divenne il Pontefice di una visione troppo polacca della Chiesa, troppo poco “cattolica”. Ma le contestazioni non lo hanno mai piegato.
Né piegheranno Ratzinger il quale, senz’altro, non si farà vincere dall’emotività. E alle personalità francesi che su Le Monde hanno pubblicato una lettera aperta chiedendogli di tornare sulle sue dichiarazioni a proposito dei preservativi e dell’Aids, non risponderà certo con una ritrattazione.

© Copyright Il Riformista, 25 marzo 2009



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Paparatzifan
00giovedì 26 marzo 2009 17:39
Dal blog di Lella...

Su internet si è forgiata una opinione pubblica cattolica

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa200903/090324hoyeauseneze.pdf

Paparatzifan
00giovedì 26 marzo 2009 18:51
Dal blog di Lella...

SERVIZIO CIVILE: SABATO, I VOLONTARI NAZIONALI IN UDIENZA SPECIALE DAL PAPA

Saranno 7.000 i volontari in servizio civile, provenienti da tutta Italia, che sabato 28 marzo verranno ricevuti da Benedetto XVI in udienza speciale alla Sala Nervi in Vaticano.
Alla cerimonia parteciperanno anche i responsabili degli Enti e gli operatori che seguono i giovani nei progetti di servizio civile: “Dal 2001, anno della sua istituzione, il Servizio civile ha fornito un apporto fondamentale alla società attraverso innumerevoli progetti di assistenza alle fasce più deboli della popolazione - si legge nella nota dell’Ufficio nazionale per il servizio civile (Unsc) - di valorizzazione delle risorse naturali e artistiche del Paese, di protezione civile e di educazione alla pace a livello nazionale e internazionale, in Italia e all’estero”. Le esperienze di 200.000 volontari che in questi anni hanno scelto di svolgere il Servizio civile, prosegue l’Unsc, “sono la testimonianza dell’esistenza in Italia di una riserva immensa di giovani disposti a dedicare le loro energie, il loro tempo e le loro fatiche a creare e rinsaldare i legami tra società civile e Istituzioni nell’ambito di una moderna concezione della difesa civile della Patria”.

© Copyright Sir


Paparatzifan
00giovedì 26 marzo 2009 19:01
Da "Messainlatino.it"...

GIOVEDÌ 26 MARZO 2009

Una nuova tempesta mediatica contro il Papa

Di ritorno dall’Africa, appena atterrato a Roma in un pomeriggio soleggiato, il Papa avrebbe esclamato con i giornalisti: “Che bel tempo, oggi!”.

Questa frase imprudente ha sollevato nel mondo emozione e perplessità e sta alimentando una polemica crescente. Riportiamo alcune delle reazioni più significative.

L’arcivescovo di Salisburgo: “Ribadiamo la piena fedeltà della Chiesa austriaca al Pontefice e ci stringiamo a lui. Ma è spontaneo chiedersi se per caso egli non voglia far regredire la Chiesa ad una setta animista di adoratori del sole. Dopo tale frase, il numero di persone che chiedono la cancellazione dai registri fiscali per il sostegno alla Chiesa cattolica è considerevolmente aumentato”

Alain Juppé, ex primo ministro francese e ora sindaco di Bordeaux: “Nell’istante in cui il papa pronunziava queste parole, a Bordeaux pioveva a catinelle. Questa contro-verità, prossima al negazionismo, mostra che il papa vive in uno stato di totale autismo. Questo distrugge, se ve n’era ancora bisogno, il dogma dell’infallibilità pontificale".

Il Rabbino-Capo di Roma: “Come si può ancora pretendere che faccia bello dopo la Shoah? Solo il giorno in cui si deciderà a farmi visita alla Sinagoga di Roma allora, forse, potremo insieme verificare come sarà il tempo”

Margherita Hack, astronoma e astrofisica: “Affermando senza mezzi termini e senza prove obbiettive indiscutibili “che bel tempo oggi”, il papa dimostra il disprezzo ben noto della Chiesa per la Scienza, che combatte il dogmatismo da sempre. Che cosa c’è di più soggettivo e di più relativo di questa nozione di “bello”? Su quali prove sperimentali indiscutibili si appoggia? I meteorologi e gli specialisti della materia non sono giunti a mettersi d’accordo sul punto nell’ultimo Colloquio Internazionale a Caracas. E ora Benedetto XVI, ex cathedra, pretende decidere lui con tale arroganza. Si vedranno presto accendere roghi per tutti quelli che non concordano interamente con la nozione papalina di bello e cattivo tempo?”

L’Associazione delle Vittime del Riscaldamento Globale: “Come non vedere in questa dichiarazione provocatoria un insulto per tutte le vittime passate, presenti e future dei capricci del clima, delle inondazioni, degli tsunami, della siccità? Questa acquiescenza al “tempo che fa” mostra chiaramente la complicità della Chiesa con questi fenomeni distruttori, nei quali pretende vedere disegni “provvidenziali” di un Dio vendicatore e punitivo. E, quel che è peggio, simile attitudine non fa che incoraggiare coloro che causano il riscaldamento del pianeta, poiché potranno ora far valere l’avallo del Vaticano.”

Il Consiglio Mondialista: “Il papa finge di dimenticare che mentre splende il sole a Roma, una parte del pianeta è sprofondata nell’oscurità notturna. Ecco un segno intollerabile di disprezzo per vastissime porzioni del mondo e un chiaro segno, se ve n’era ancora bisogno, dell’eurocentrismo neocoloniale di questo papa tedesco”.

Il Direttivo americano delle Associazioni femministe: “Perché il papa ha voluto dire “che bel tempo” usando termini che, nell’originale in italiano della frase, sono al maschile? Avrebbe potuto benissimo utilizzare parole femminili come “che bella giornata”, o meglio ancora “che tempo attraente”, usando così un aggettivo “inclusivo” perché non declinabile differentemente al maschile al femminile. E’ evidente che questo papa, che già ha fatto condannare la formula del battesimo e delle benedizioni non maschilista (“In the name of the Creator, the Redeemer and the Sanctifier”), mostra ad ogni occasione il suo attaccamento ai principi più retrogradi. E’ sconsolante che nel 2009 si sia ancora a tali punti di arretratezza”

La Lega dei Diritti dell’Uomo: “Questo tipo di dichiarazioni non può che ferire profondamente tutte le persone che hanno della realtà uno sguardo diverso da quello del papa. Pensiamo in particolare alle persone immobilizzate in ospedale, o imprigionate, il cui orizzonte di limita a quattro mura; e così pure alle vittime di malattie rare i cui sensi non permettono di percepire lo stato della situazione atmosferica. C’è qui, è evidente, una volontà di discriminazione tra il “bello”, secondo il canone ellenizzante che si vorrebbe imporre a tutti (a scapito delle minoranze, degli afroamericani e di ogni concetto di 'inculturazione'), e coloro che, per scelta o per impossibilità, percepiscono le cose in modo differente. Noi proporremo a titolo dimostrativo querele giudiziarie per discriminazione contro questo papa”.

Alberto Melloni, della Scuola di Bologna: “Si vede bene la profonda differenza tra questo papa introverso e chiuso in sé e nel suo mondo sorpassato, che si limita ad un’osservazione climatica senza trarne le dovute conseguenze, ed invece la paterna apertura al mondo di Papa Giovanni XXIII che, dopo aver osservato la luna in cielo, invitava tutti a portare ai loro bambini la carezza del Papa. A quando un Giovanni XXIV che riprenda in mano la spinta dello Spirito conciliare, che gli ultimi papi hanno tentato di soffocare?”

Beppe Severgnini, giornalista: “Il Papa è il Papa. Punto. Ma non si può non pensare con un po’ di nostalgia che Giovanni Paolo II le stesse parole le avrebbe dette magari in romanesco (“ggiornata bbona!”) e agitando lo zucchetto bianco ai fedeli che lo riaccoglievano a casa”.


L’Osservatore Romano ha pubblicato una versione leggermente differente delle parole esatte del Papa (egli avrebbe detto, secondo l’Osservatore: “qualcuno potrebbe dire che faccia bel tempo”). Ma le registrazioni audio e video dei giornalisti hanno smentito la versione edulcorata. Molti hanno anche attaccato l’ingenuità di P. Lombardi che, pur essendo al fianco del Papa, non è intervenuto per impedire quell’affermazione o subito chiarirne meglio il senso.

Membri influenti della Curia hanno tentato di attenuare la gravità della frase del Papa, facendo rilevare la sua stanchezza dopo il viaggio africano, vista la avanzatissima età del Pontefice, nonché dichiarando che la frase incriminata è stata mal compresa e voleva avere un significato teologico-metafisico e non climatico, come grossolanamente è stata interpretata.

Ma la polemica non accenna a placarsi.


Il testo che precede è ispirato ad una mail che circola su internet, che abbiamo tradotto e adattato per il lettore italiano, mettendovi del nostro. Siamo certi che i nostri arguti commentatori sapranno aggiungere altre potenziali reazioni indignate di molte altre personalità mediatiche.



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Paparatzifan
00giovedì 26 marzo 2009 19:17
Dal blog di Lella...

PAPA/ Pansa: onore a un uomo che parla con franchezza, e dà fastidio ai falsi laici

INT. Giampaolo Pansa

Un Papa solitario, un Papa anti-moderno, un Papa che non è più seguito nemmeno dai cattolici: più i giorni passano e più i giornali cercano di dipingere e confermare la figura di un Benedetto XVI lontano dal mondo e dalla Chiesa. D’altronde si sa: quando si decide che una persona non è bene accetta nel giro della grande opinione pubblica, per lui non c’è più speranza.

Giampaolo Pansa questo lo sa. Lui che non è certo tacciabile di clericalismo, e che nemmeno condivide molte delle cose che il Papa dice, consoce però alla perfezione questo clima da pubblica accusa nei confronti di chi non si allinea al pensiero generale, alla vulgata dominante intorno a certi argomenti. E non esita a ravvisare, nei confronti di Ratzinger, questo stesso atteggiamento.

Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?

Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa.
Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.

E sul Papa in particolare che atteggiamento c’è secondo lei?

Per quanto riguarda il Papa naturalmente siamo tutti un po’ influenzati dalle ultime polemiche su quanto egli ha detto in Africa, a proposito della diffusione dell’Aids e dell’utilità o meno dell’uso del preservativo. Io, che pure non ho nessuna esperienza in tema di medicina e di Aids, penso che comunque l’uso del preservativo sia utile. Certo non è la soluzione del problema, e prova ne è il fatto che l’Aids non sia stato sconfitto: non ci sarebbe nulla di più facile che diffondere preservativi in quantità enormi in tutto il mondo, e se bastasse quello l’Aids non ci sarebbe più. Invece questo male c’è ancora, non solo in paesi poveri come quelli africani, ma anche in quelli evoluti come quelli occidentali. Quindi di certo il preservativo non basta.

E Ratzinger, in realtà, non ha detto una cosa molto diversa da questa. Ma allora le chiedo: perché tante reazioni così scomposte nei suoi confronti?

Perché è una persona franca, che parla con chiarezza.
Ogni Papa, come anche ogni capo di Stato (anche se qui stiamo parlando di un personaggio che ha molto più peso in quanto capo della Chiesa cattolica, che va oltre le nazioni e in più coinvolge la vita delle persone e le tocca nel profondo, negli atteggiamenti e nei comportamenti) il Papa, dicevo, ha una propria personalità, diversa da quella di tutti gli altri Papi.
A me, confesso, la franchezza di Ratzinger piace, seppure spesso io non condivida le sue conclusioni. È meglio avere un pontefice che parla chiaro che uno troppo cauto nel manifestare il proprio pensiero.
Proprio per questo motivo, non mi stupisco che poi susciti delle reazioni. E mi sembra anche giusto che succeda; in fondo basta aspettare che passi il momento della polemica più aspra. Anche i cattolici devono evitare di scandalizzarsi, dicendo che il Papa è stato offeso: eviterei di parlare della cosa in questo modo.

Quindi è positivo che nascano polemiche…

Diciamo che il fatto di parlare con chiarezza, e quindi di suscitare polemiche per quello che dice, è una cosa che fa sicuramente onore a Benedetto XVI. Io personalmente sono abituato a suscitare polemiche, con i miei libri. Ma è meglio suscitare polemiche che indifferenza. E questo per chi pensa che il Papa sia una personalità utile al mondo (usiamo pure questi termini pure un po’ banali) dovrebbe essere un fatto positivo.

In realtà l’aggettivo “utile” è molto pertinente: significa che vale la pena per tutti ascoltare quello che dice, anche per i laici?

Certo, e guai se non fosse così. Un vero laico non può che guardare con attenzione quello che dice Benedetto XVI; poi può condividere o non condividere. Ma il laico che si infastidisce perché il Papa esprime la sua posizione, diventa un personaggio ridicolo. Anzi, semplicemente non è più un laico.

Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?

Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento.
Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia. Io ho scritto due libri su questo: nel ’77 “Comprati e venduti”, e poi nell’86 “Carte false”: ebbene, da allora ad oggi la situazione è enormemente peggiorata. Poi, più i giornali sono grandi e più si sentono obbligati ad essere i portatori di una bandiera politica. Il caso più evidente è quello di Repubblica.

Che non a caso è il giornale che ha condotto e conduce più di ogni altro la polemica sul Papa…

Ha spiegato bene la cosa, in un editoriale sul Riformista, Andrea Romano, il quale ha parlato della «pedagogia autoritaria» che questo giornale cerca di operare. In fondo è l’unico vero giornale di partito che è rimasto in Italia. Ma forse non si rendono conto che, continuando ad esporre questo “pensiero unico”, poi alla fine i lettori si stancano. Non a caso, come ho visto di recente nelle statistiche per altro pubblicata dall’Unità, Repubblica è il giornale che perde di più, anno dopo anno. I lettori, in fondo, si stancano di vedere la vignetta di Elle Kappa che nei giorni pari è contro Berlusconi, e nei giorni dispari contro il Papa.

Alzano il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?

C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.

(Rossano Salini)

© Copyright Il Sussidiario, 26 marzo 2009


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+PetaloNero+
00venerdì 27 marzo 2009 01:35
Il Papa con i giovani per ricordare la morte di Giovanni Paolo II
Il 2 aprile, al tramonto


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 6 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI vivrà quest'anno il quarto anniversario della morte di Giovanni Paolo II insieme a migliaia di giovani, secondo quanto si apprende dal calendario delle celebrazioni presiedute dal Santo Padre pubblicato questo giovedì.

Lo farà presiedendo il 2 aprile, alle 18.00 nella Basilica vaticana, una Santa Messa alla quale sono invitati soprattutto i giovani di Roma.

Sarà allo stesso tempo il tradizionale incontro che il Papa ha tutti gli anni con i giovani della sua Diocesi in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù, che quest'anno verrà vissuta a livello locale nelle Diocesi tre giorni dopo, la Domenica delle Palme.

Benedetto XVI rivivrà la notte di quattro anni fa, in cui i fedeli – tra cui moltissimi giovani – riempivano Piazza San Pietro e hanno accompagnato la morte di Karol Wojtyła con la preghiera.

Si tratta di una delle celebrazioni che spiccano nel calendario del Papa dal mese di febbraio ad aprile, caratterizzato anche dal suo primo viaggio in Africa.

Il 21 febbraio il calendario prevede che alle 11.00, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico vaticano, si celebri un Concistoro per alcune cause di canonizzazione.

Il 25 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, il Papa parteciperà nella Basilica di Sant’Anselmo, alle 16.30, alla processione penitenziale. Alle 17.00, nella Basilica di Santa Sabina, presiederà la Santa Messa, con la benedizione e l'imposizione delle Ceneri

Il 1° marzo, prima Domenica di Quaresima, nella cappella "Redemptoris Mater" del Vaticano il Pontefice inizierà insieme alla Curia Romana alle 18.00 gli Esercizi spirituali, che si concluderanno alle 9.00 del 7 marzo.

Dal 17 al 23 marzo, Benedetto XVI si recherà in Camerun e Angola.

Il 29 marzo, V Domenica di Quaresima, il Vescovo di Roma compirà una visita pastorale alla parrocchia romana del Santo Volto di Gesù, nel quartiere della Magliana.

Tre giorni dopo la celebrazione dell'anniversario della morte di Giovanni Paolo II, il 5 aprile, Domenica delle Palme, alle 9.30 in Piazza San Pietro il Papa benedirà le palme e presiederà la processione e la Santa Messa.

Com'è traduzione, il 9 aprile, Giovedì Santo, alle 9.30 nella Basilica vaticana concelebrerà la Santa Messa del Crisma con i sacerdoti e i Vescovi presenti a Roma.

Alle 17.30, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale del Papa, darà inizio al triduo pasquale celebrando la Santa Messa della Cena del Signore.

Il 10 aprile, Venerdì Santo, alle 17.00 nella Basilica vaticana parteciperà alla celebrazione della Passione del Signore. Alle 21.15 dirigerà al Colosseo la Via Crucis.

L'11 aprile, Sabato Santo, alle 21.00 nella Basilica vaticana il Papa darà iniziò alla Veglia Pasquale nella Notte Santa.

La Domenica di Pasqua, alle 10.30, in Piazza San Pietro, celebrerà la Santa Messa. Alle 12.00 impartirà dalla Loggia centrale della Basilica la benedizione Urbi et Orbi, seguita in diretta da canali televisivi di tutto il mondo.
+PetaloNero+
00venerdì 27 marzo 2009 16:17
Mons. Tomasi: la comunità cristiana è la più discriminata nel mondo


Con una stretta maggioranza, 23 voti a favore, 11 contrari e 13 astensioni, il Consiglio dell'Onu per i diritti umani ha approvato ieri a Ginevra una controversa risoluzione sulla diffamazione delle religioni. Presentata dal Pakistan a nome dei Paesi dell'Organizzazione della Conferenza islamica il testo esprime ''profonda preoccupazione'' per la frequente diffamazione delle religioni. Il documento tuttavia nomina solo l’Islam. Contraria alla risoluzione la Santa Sede che ritiene la libertà di espressione strettamente connessa alla libertà religiosa, come spiega, al microfono di Sergio Centofanti, mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente vaticano presso l’Ufficio Onu di Ginevra:

R. – Se si comincia ad aprire la porta ad un concetto di diffamazione che si applica alle idee, poi, in qualche modo, lo Stato entra a decidere quando si è diffamata una religione o no, e questo, alla fine, tocca la libertà religiosa. Per esempio, il riconoscimento giuridico del concetto astratto di diffamazione della religione può essere utilizzato per giustificare le leggi contro la blasfemia, che sappiamo bene come in alcuni Stati siano utilizzate per attaccare minoranze religiose, in maniera anche violenta. La sfida è quella di arrivare a trovare un equilibrio sano, che combini la propria libertà con il rispetto dei sentimenti degli altri, e la strada per arrivare a questo obiettivo è quella di accettare i principi fondamentali di libertà, che sono iscritti nei trattati internazionali.


D. – Lei, nel suo intervento in Commissione, ha denunciato l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo, in particolare contro le minoranze cristiane…


R. – Se guardiamo la situazione mondiale, vediamo che, di fatto, i cristiani – come varie fonti stanno documentando – sono il gruppo religioso più discriminato; si parla addirittura di più di 200 milioni di cristiani, di una confessione o dell’altra, che si trovano in situazioni di difficoltà, perché ci sono delle strutture legali o delle culture pubbliche che portano, in qualche modo, ad una certa discriminazione nei loro riguardi. Questo è un dato di cui non si parla moltissimo, che però è reale soprattutto se pensiamo agli scoppi di violenza che sono capitati negli ultimi mesi in vari contesti politici e sociali.


D. – Lei ha sottolineato inoltre che i cristiani sono sottoposti a discriminazione anche in alcuni Paesi dove sono maggioritari, e dove si stanno perseguendo nuove politiche laiciste che mirano a ridurre il ruolo della religione nella vita pubblica…


R. – Ci sono delle situazioni particolari, che portano ad una certa emarginazione di coloro che veramente credono e vivono la loro fede cristiana. Ci sono delle situazioni – anche dichiarazioni pubbliche parlamentari – che attaccano questo o quell’aspetto della credenza cristiana, e questo tende a relegare i cristiani ai margini della società e a togliere il contributo dei loro valori alla società.


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00venerdì 27 marzo 2009 16:18
Il cardinale Ruini: relativismo e nichilismo stanno cambiando il concetto di uomo sempre più ridotto ad oggetto


“L’emergenza educativa, persona, intelligenza, libertà, amore” è il titolo del IX Forum del progetto culturale della Cei che si è aperto stamani a Roma. L’incontro, in programma fino a domani, è stato inaugurato dalla prolusione del cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato per il progetto culturale. Il servizio di Isabella Piro:

L’emergenza educativa c’è ed indica una crisi grave ed acuta, bisognosa di una risposta non rinviabile. Puntuale e preciso, nella sua prolusione il cardinale Ruini scatta una fotografia nitida dell’intera società di oggi. Nelle sue parole, che citano spesso Benedetto XVI, non c’è “l’indulgenza ad un globale ed unilaterale pessimismo”, bensì constatazioni di fatto. La prima riguarda la “stretta parentela” tra relativismo e nichilismo che si concretizza nella “mutazione del concetto di uomo”. Una mutazione, continua il cardinale Ruini, che deriva da “un’interpretazione dell’evoluzione cosmica e biologica”, secondo la quale l’uomo “non sarebbe altro che un risultato dell’evoluzione stessa”. Poi, da quella visione che “tende a ridurre la nostra intelligenza e la nostra libertà a funzioni dell’organo cerebrale” ed infine dalla tendenza delle “scienze empiriche a considerare l’uomo come un oggetto”, e come tale “conoscibile” attraverso l’indagine sperimentale.


Certo, sottolinea il porporato, si tratta di “un approccio legittimo, anzi indispensabile per il progresso della conoscenza e della cura di noi stessi, ad esempio per la cura delle malattie fisiche e mentali”. Ma se si considera quella scientifica come “l’unica forma valida di conoscenza del nostro essere”, allora “si finisce con il negare che l’uomo sia anzitutto e irriducibilmente soggetto”.


Al di là delle critiche, allora, l’invito del porporato è a guardare i risultati operativi delle tecnoscienze e gli sviluppi delle biotecnologie con la consapevolezza che essi “non possono e non devono essere arrestati, poiché “rappresentano un’importante espressione delle potenzialità intrinseche all’intelligenza dell’uomo”. Tuttavia, mette in guardia il cardinale Ruini, ciò “non significa che tutto quel che è tecnicamente possibile deve essere attuato”, basti pensare “all’uso delle armi nucleari”. Significa però che questo processo deve essere “orientato, resistendo all’idea ingannevole e anti-umana di uno sviluppo deterministico e neutrale della tecno-scienza”.


In questo scenario, allora, cosa possono fare i cristiani? Innanzitutto, afferma il porporato, devono trovare risposte chiare nelle fonti della fede, nella Scrittura, che ha in Dio e nell’uomo i centri di gravità. E poi, non devono avere timori di “attardarsi su posizioni superate mantenendo l’uomo al centro”, poiché non si tratta di immobilismo, ma di tener fermo il suo carattere di fine. Tutto il nostro agire, infatti, anche quello tecnologico, mira all’autentico bene, alla tutela, alla promozione e allo sviluppo integrale dell’essere umano.


Di conseguenza, sul piano educativo, bisognerà legare la formazione alle istanze costitutive dell’uomo, come il bisogno d’amore, di conoscenza, il desiderio di libertà ed il suo rapporto con la responsabilità, il senso della sofferenza e della speranza. Solo in questo modo, ribadisce il cardinale Ruini, l’educazione assume spessore e fascino.


In conclusione, allora, il cristianesimo ha un ruolo fondamentale in rapporto al bene umano, un ruolo derivante dalla verità di fede che dona alla dignità intrinseca di ogni uomo il suo riconoscimento più alto. Perché finché la fede cristiana è viva e riesce a generare cultura, conclude il cardinale Ruini, non possono affermarsi né il nichilismo né il relativismo.



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00venerdì 27 marzo 2009 16:19
Le meditazioni sulla Via Crucis faranno risuonare la voce della Chiesa indiana: le testimonianze di mons. Menamparampil e mons. Machado


Fra due settimane, con il Venerdì Santo, la Chiesa vivrà uno dei momenti centrali dell’Anno liturgico. Le meditazioni a commento della Via Crucis, presieduta da Benedetto XVI il 10 aprile al Colosseo, sono state affidate, quest’anno, all’arcivescovo indiano di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil. Un segno tangibile di fraternità verso i fedeli indiani, provati - specie nello Stato dell’Orissa - da violenze e persecuzioni. Al microfono di Antonella Palermo, mons. Menamparampil spiega quale sarà il senso delle sue meditazioni:

R. – Credo che dobbiamo meditare sul tema del maligno nel mondo, questo tema è molto importante per noi. Il dolore, i diversi tipi di sofferenza sono un simbolo della presenza della Croce di Gesù Cristo nella nostra vita. Dobbiamo accettarli perché la sofferenza ha una forza di redenzione. Andiamo sempre alla Croce per un’ispirazione, ma anche quando subiamo persecuzioni e difficoltà dobbiamo dire “Gesù è con noi” e dobbiamo andare avanti con Lui e con la sua Croce.


Con la scelta di mons. Menamparampil, il Papa ha dunque voluto ribadire la sua vicinanza ad una Chiesa che soffre come quella indiana. Un’attenzione che viene sottolineata da mons. Felix Machado, arcivescovo della diocesi indiana di Nashik, intervistato da Antonella Palermo:

R. – La Chiesa dell’India risuonerà nella Chiesa universale, perché le meditazioni sulla Via Crucis porteranno adesso anche la voce della Chiesa in India.


D. - Qual è la situazione dei cristiani in Orissa oggi?


R. – La maggioranza è tornata nelle proprie case e la situazione è migliorata, ma sono preoccupato per gli ultimi che restano ancora nei campi per rifugiati. Secondo me la Chiesa si sta molto attivando. Per esempio, ieri nella mia diocesi, che è una povera diocesi, una parrocchia ha fatto una colletta e mi hanno detto: “Noi vogliamo aiutare ancora questi nostri poveri fratelli e sorelle”. Questo segno di solidarietà fra le Chiese in India mi fa molto piacere. Tutti i cristiani in India sono vicini nella solidarietà e stanno appoggiando la Chiesa che ha sofferto in Orissa.

D. – Oggi in India quali sono gli strumenti per superare le difficoltà del dialogo interreligioso?

R. – I fedeli cattolici seguono l’insegnamento della Chiesa riguardo al dialogo interreligioso, perché la Chiesa ha dato linee guida molto chiare in India. La Chiesa è molto impegnata nel dialogo interreligioso, per esempio nella mia diocesi, sperimento ottimi rapporti tra diverse comunità delle diverse religioni. Noi siamo insieme, quando c’è qualche difficoltà. Per esempio, quando sono arrivato in Orissa, ho organizzato un incontro con i credenti delle altre religioni e sono venuti in gran numero. Inoltre è importante insegnare alla gente a vivere in pace.


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00venerdì 27 marzo 2009 16:19
Il Papa incontra il presidente di Cipro: al centro dei colloqui le condizioni delle chiese cristiane nel nord dell’isola, i negoziati per la pace e l’Africa


La pace, l’Africa e le condizioni delle chiese cristiane nella parte nord di Cipro sono stati i temi forti dell’udienza di Benedetto XVI al presidente della Repubblica cipriota, Demetris Christofias. Dopo il cordiale colloquio con il Papa, il presidente Christofias ha successivamente incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e l’arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati Dominique Mamberti. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Nei colloqui in Vaticano, informa una nota della Sala Stampa della Santa Sede, il Papa e Christofias “hanno affrontato alcuni temi riguardanti la situazione” di Cipro e il suo futuro. Il presidente “non ha mancato di informare in merito alla condizione di numerose chiese ed edifici cristiani nel nord dell’isola”. Entrambi “hanno condiviso l’auspicio che i negoziati in corso tra le Parti possano portare alla soluzione dell’annosa questione cipriota”. Sono state, inoltre, “scambiate idee sulla situazione internazionale, tra l’altro per quanto riguarda il Continente africano”. Infine, si legge nel comunicato, è stata “sottolineata l’importanza di buone relazioni tra cattolici e ortodossi e tra cristiani e musulmani, chiamati tutti a collaborare in favore del bene della società e della convivenza pacifica dei popoli”.


Nel corso della sua visita a Roma il presidente della Repubblica di Cipro si recherà oggi pomeriggio in vista alla Comunità di Sant’Egidio. Christofias incontrerà un gruppo di immigrati del Movimento Genti di Pace della Comunità di Sant’Egidio e conferirà al prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, l’onorificenza della Gran Croce dell’Ordine del Merito della Repubblica di Cipro. Durante la visita il presidente Christofias firmerà un accordo tra la Repubblica di Cipro e la Comunità di Sant’Egidio che prevede un sostegno economico al programma DREAM – per la cura dell’Aids in Africa - in Malawi e Guinea Conakry per l’anno 2010.



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00venerdì 27 marzo 2009 16:20
Terza predica di Quaresima di padre Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana: "lasciarsi guidare dallo Spirito Santo"

Padre Raniero Cantalamessa ha tenuto stamani la sua terza predica di Quaresima per la Curia Romana alla presenza del Papa, nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano. Il predicatore della Casa Pontificia ha svolto la sua meditazione sull’invito di San Paolo a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Padre Cantalamessa ha affrontato il tema dello Spirito Santo come guida interiore sottolineando come - nella storia della Chiesa - San Paolo introduca un’importante novità:

“Per lui lo Spirito Santo non è solo ‘il maestro interiore’; è un principio di vita nuova (‘quelli che sono guidati da lui diventano figli di Dio’!); non si limita a indicare il da farsi, ma dà anche la capacità di fare ciò che comanda”.

“La guida dello Spirito – ha affermato il religioso cappuccino - si esercita non solo nelle grandi decisioni, ma anche nelle cose piccole”:

“Paolo e Timoteo vogliono predicare il vangelo nella provincia dell’Asia, ma ‘lo Spirito Santo lo vieta loro’ … Si capisce in seguito il perché di questa guida così incalzante: lo Spirito Santo spingeva in questo modo la Chiesa nascente ad uscire dall’Asia ed affacciarsi su un nuovo continente, l’Europa (cf. At 16,9)”.

Lo Spirito Santo parla attraverso la coscienza ad ogni uomo, credente e non credente, chiamandolo con le “buone ispirazioni”, o le “illuminazioni interiori”:

“Sono spinte a seguire il bene e a fuggire il male, attrazioni e propensioni del cuore che non si spiegano naturalmente, perché spesso vanno in direzione opposta a quella che vorrebbe la natura. È proprio basandosi su questa componente etica della persona che taluni eminenti scienziati e biologi odierni sono giunti a superare la teoria che vede l’essere umano come risultato casuale della selezione delle specie. Se la legge che governa l’evoluzione è solo la lotta per la sopravvivenza del più forte, come si spiegano certi atti di puro altruismo e perfino di sacrificio di sé per la causa della verità e della giustizia?”.

Padre Cantalamessa parla poi di due testimonianze dello Spirito: quella interiore e quella esteriore, cioè quella degli apostoli. E’ necessario – ha affermato - che queste due dimensioni siano unite “perché possa sbocciare la fede”. Infatti “quando si trascura la testimonianza interiore, si cade facilmente nel giuridismo e nell’autoritarismo; quando si trascura quella esteriore, apostolica, si cade nel soggettivismo e nel fanatismo”:

“Quando si riduce tutto al solo ascolto personale, privato, dello Spirito, si apre la strada a un processo inarrestabile di divisioni e suddivisioni, perché ognuno crede di essere nel giusto e la stessa divisione e moltiplicazione delle denominazioni e delle sette, spesso in contrasto tra loro su punti essenziali, dimostra che non può essere in tutti lo stesso Spirito di verità a parlare, perché altrimenti egli sarebbe in contraddizione con se stesso. Questo, si sa, è il pericolo a cui è maggiormente esposto il mondo protestante, avendo eretto la ‘testimonianza interna’ dello Spirito Santo a unico criterio di verità, contro ogni testimonianza esterna, ecclesiale, che non sia quella della sola Parola scritta”.

Col razionalismo poi – ha aggiunto padre Cantalamessa - lo Spirito “perde la lettera maiuscola e viene a coincidere con il semplice spirito umano”. Ma occorre riconoscere – ha proseguito – “che esiste anche il rischio opposto: quello di assolutizzare la testimonianza esterna e pubblica dello Spirito, ignorando quella individuale che si esercita attraverso la coscienza illuminata dalla grazia, riducendo “la guida del Paraclito al solo magistero ufficiale della Chiesa, impoverendo così l’azione variegata dello Spirito Santo":

“Facilmente prevale, in questo caso, l’elemento umano, organizzativo e istituzionale; si favorisce la passività del corpo e si apre la porta alla emarginazione del laicato e alla eccessiva clericalizzazione della Chiesa. Anche in questo caso, come sempre, dobbiamo ritrovare l’intero, la sintesi, che è il criterio veramente ‘cattolico’. L’ideale è una sana armonia tra l’ascolto di ciò che lo Spirito dice a me, singolarmente, con ciò che dice alla Chiesa nel suo insieme e attraverso la Chiesa ai singoli”.

Padre Cantalamessa – infine – invita con San Paolo a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo avendo “l’orecchio proteso alla voce del suggeritore nascosto”, docili e abbandonati alla volontà di Dio. E nella fatica del discernimento indica un consiglio di San Bernardo a un Papa:

"Il consiglio era questo: tu non puoi stare a sentire tutto, fare il discernimento di tutte le cose che succedono intorno a te. Allora tu fai una cosa, stai davanti a Dio e presenta le questioni a Dio. Cosa vuol dire presentare le questioni a Dio? Dare la possibilità a Dio di intervenire su una certa cosa ... perché Lui lo vuole, lo fa. Se poi magari non si sente una voce precisa: 'fai questo, fai quest’altro', non importa: tu hai dato a Dio la possibilità di intervenire. Ne abbiamo l’esempio più luminoso proprio nella vita di Gesù. Se leggiamo il Vangelo attentamente vediamo che Gesù non faceva niente se non mosso dallo Spirito Santo. Così noi dobbiamo stare con un orecchio spirituale sempre attento a questo suggeritore che ci parla dal di dentro e se lo sappiamo ascoltare ci dirà sempre qual è la cosa che piace a Dio in quel momento".


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Paparatzifan
00venerdì 27 marzo 2009 22:37
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L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»

di Gianteo Bordero

venerdì 13 marzo 2009

Non c'è neanche la possibilità dell'errore di traduzione, perché Benedetto XVI ha scritto di suo pugno la lettera ai vescovi in due versioni: italiano e tedesco.
E quindi la parola usata è proprio quella: «Odio». Papa Ratzinger sente che si è diffuso, tra i membri stessi della Chiesa, questo forte sentimento di rabbiosa avversione e di profondo risentimento proprio nei suoi confronti, nei confronti del vicario di Cristo e successore dell'apostolo Pietro.
Venisse da fuori, da coloro che sono extra ecclesiam, quest'odio non desterebbe scandalo e il pontefice non si sentirebbe tenuto a rispondere con una inconsueta lettera ufficiale. No. L'odio - dice Benedetto - viene da dentro, dalle membra del corpo, che si ribellano alla volontà del capo e covano dentro di sé cupi disegni di rivalsa e di vendetta.
Tornano alla mente le parole dell'allora cardinal Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!».
Oggi è lo stesso Ratzinger ad annunciare che la sporcizia ha mutato forma ed è degradata in odio. Per essere chiaro e non prestarsi ad equivoci interpretativi, il Papa ricorre a un'immagine usata da San Paolo nella lettera ai Galati: quella del «mordersi e divorarsi» a vicenda come belve feroci.
Benedetto afferma che sono state proprio le presenti circostanze a fargli comprendere meglio questo passaggio del testo paolino, da lui finora ritenuto una delle «esagerazioni retoriche» dell'apostolo delle genti. Scrive il Papa: «Purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».
E il risultato di questo mordersi e divorarsi - ammonisce San Paolo e ricorda Benedetto XVI - è la distruzione. Ergo: l'odio delle membra contro il capo può portare alla consunzione del corpo. E l'odio di vescovi, preti e teologi contro il Papa può portare alla disgregazione della Chiesa. Alla fine è questo ciò che è in ballo in questi mesi e in questi giorni, e forse potremmo dire in questi anni di pontificato ratzingeriano, in ciò paragonabile al drammatico papato di Paolo VI, anch'egli fortemente contestato (e, guarda caso, accusato come Benedetto XVI di «conservatorismo») da ampia parte degli episcopati e dalla casta teologica dominante dopo il Concilio Vaticano II.
E allora torniamo per un attimo proprio a Papa Montini e a quelle parole del novembre 1972 spesso citate, ma che oggi, alla luce della lettera di Papa Ratzinger ai vescovi e alla denuncia in essa contenuta di un odio nei confronti del pontefice radicato e diffuso nella Chiesa stessa, assumono ancor di più un profilo di profetica verità: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio... Nella Chiesa regna questo stato d'incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Queste parole non furono pronunciate da qualche lefebvriano smanioso di gettare fango sul Vaticano II, ma da colui che del Concilio fu uno dei maggiori e più convinti sostenitori (anche qui, come l'allora teologo Ratzinger): per questo sono ancor più autorevoli. E la prova della consapevolezza interiore con cui furono dette è nel dolore, nella sofferenza, nel dramma che consumarono la persona di Papa Montini negli ultimi anni della sua permanenza sul soglio di Pietro, quando egli dovette assistere alla ribellione di vescovi e teologi agli atti papali, allo svuotamento dei seminari, all'indebolirsi della presenza cattolica nella società.
Il riferimento a Satana fatto da Paolo VI è ancora più significativo oggi, nel momento in cui Benedetto XVI subisce una diffusa e pesante contestazione da parte di molti episcopati ed esponenti dell'intellighenzia cattolica, avente ad oggetto ancora una volta, in sostanza, il Concilio Vaticano II, e vede dietro tale contestazione il seme e il movente dell'odio. E l'odio, nei Vangeli, è il sentimento proprio del Maligno. E' la caratteristica del Demonio, la cui opera nella storia punta a dividere il corpo di Cristo, e quindi a distruggerlo per frantumazione. Più nella Chiesa ci si «morde e divora», più il «fumo di Satana» ha campo libero per entrare nel tempio.
Per questo la denuncia dell'odio fatta da Papa Ratzinger nella sua lettera ai vescovi, più che lo sfogo personale del pontefice romano, deve essere considerata come un richiamo del vicario di Cristo a non lasciare che le tenebre, la tempesta e il buio spengano la luce della Verità. Quella Verità affidata a colui al quale duemila anni fa venne detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».

© Copyright Ragionpolica, 13 marzo 2009


Paparatzifan
00venerdì 27 marzo 2009 22:41
Dal blog di Lella...

India: i Vescovi chiedono ai media più rispetto per il Papa

“Uno dei più grandi intellettuali dei tempi moderni”

NUOVA DELHI, venerdì, 27 marzo 2009 (ZENIT.org).

I Vescovi cattolici dell'India – di tutti i riti – hanno chiesto ai media cattolici del mondo di rispettare il Papa, secondo quanto ha reso noto questo giovedì Eglises d'Asie (EDA), l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi (MEP).
I presuli affermato che Benedetto XVI “è uno dei più grandi intellettuali dei tempi moderni” e sottolineano la sua lucidità nell'affrontare le questioni morali e sociali.

Durante il viaggio del Pontefice in Africa, i media indiani hanno ampiamente imitato i loro colleghi stranieri, sostenendo che il Papa “è completamente fuori dal mondo reale” a proposito delle sue dichiarazioni sul preservativo, che secondo lui non è l'unica risposta all'Aids.

Una delle fonti citate è stata la celebra rivista americana Foreign Policy, che ha incluso il Papa nella lista delle “tredici personalità peggiori del pianeta”; la rivista cita anche i media britannici, affermando che una persona in Vaticano avrebbe definito il pontificato di Benedetto XVI “catastrofico”.

Questo mercoledì, il portavoce della Conferenza dei Vescovi Cattolici dell'India (CBCI), Babu Joseph, ha affermato che ciò è “inqualificabile”.
La CBCI ha pubblicato il 24 marzo un comunicato in cui considera “gravemente irresponsabili e infamanti” queste affermazioni sul leader della Chiesa cattolica, “amato e rispettato in tutto il mondo”.
Nel testo, firmato dal segretario generale della Conferenza Episcopale, monsignor Stanislaus Fernandes, Arcivescovo di Gandhinagar, i Vescovi ricordano che la comunità internazionale aveva ascoltato con rispetto le sue dichiarazioni sulla recessione economica o sul terrorismo.
I presuli chiedono ai cattolici di tutto il mondo di rispettare gli insegnamenti del Papa. “Egli invita il mondo intero ad andare avanti, con lo Spirito di Dio, per costruire una società fondata sui valori morali e il rispetto per la vita”.
“Questo è il ruolo morale del Papa, dirigere e guidare la coscienza, quella dell'umanità in generale e dei cattolici in particolare”.

Papa Benedetto XVI “è uno dei più grandi intellettuali dei tempi moderni ed è perfettamente informato delle tendenze attuali che mostrano il degrado morale dell'umanità”, afferma la dichiarazione.

Il testo episcopale conclude chiedendo ai cattolici e ai non cattolici di evitare di rilasciare “dichiarazioni azzardate” contro il Papa, che “ha sempre lavorato per la pace, la riconciliazione, la fraternità, l'unità e l'attenzione ai più poveri e abbandonati”.

© Copyright Zenit


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Paparatzifan
00venerdì 27 marzo 2009 23:01
Dal blog di Lella...

Ferrara: Vogliono abbattere Papa Ratzinger

Giuliano Ferrara

Per capire di dove arrivi l’assedio ostile a Benedetto XVI, lasciato solo o aggredito per aver detto cose molto ragionevoli sull’Islam a Ratisbona o sul preservativo in viaggio per l’Africa, basta un po’ di storia.
Giovanni XXIII fu percepito dal mondo, a cavallo tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60, come una rottura e una crescita spirituale, e lo era. La Chiesa dei papi Pii, fino a Pio XII morto nel 1958, aveva pur fatto grandi cose e moderne, dalla Radio vaticana inaugurata da Pio XI all’enciclica scritta da Agostino Bea (sotto il successore) con cui fu accettato il metodo storico critico nella lettura della Bibbia; ma per l’essenziale la Chiesa si era consapevolmente e comprensibilmente intrappolata nella crisi modernista di fine Ottocento e degli inizi del secolo Ventesimo, quel che emergeva alla luce era il suo conflitto con il mondo dell’esperienza, della storia, del dinamismo sociale e culturale scagliato contro i dogmi e certe idee perenni custodite nel patrimonio di fede (la tradizione).
Giovanni, Papa buono, fu dunque accettato con tratti di mito e di lirismo leggendario, e la sua scelta di convocare un concilio di aggiornamento e di chiusura di certi vecchi conti tra Chiesa e umanità, con la luna sentimentale che rispondeva al Papa e lo induceva a mandare una carezza ai bambini, con l’apertura alle ansie e all’agenda del tempo moderno, fu salutata come un atto profetico che incuteva rispetto a tutti.
Ma da Paolo VI in avanti tutti i papi sono stati combattuti con veemenza, con acrimoniosità, con una tendenza al rassemblement conformistico sotto le bandiere di un’ideologia secolarista sempre vigile contro i progetti di restaurazione.
Con differenze di contesto storico decisive. Giovanni Battista Montini ebbe qualche momento di tregua perché era un papa conciliare, era l’erede di Giovanni, era il Papa dell’apertura a sinistra, un seguace teologico dell’umanesimo di Jacques Maritain, innovatore del pensiero cristiano del Novecento. Ma poi, a concilio chiuso e nella grande ventata di anarchia che percorse il «popolo di Dio», Paolo VI si azzardò a scomunicare la pillola e la contraccezione, si mise contro lo spirito di banalizzazione libertina del sesso e dell’eros che si era aperto un varco nella secolarizzazione, e furono anni tormentati di isolamento e di durezze, fino alla morte nel 1978.
Il successore Giovanni Paolo II, eletto dopo il breve regno di Albino Luciani, fu accolto come «meritava» e dunque male, malissimo: da polacco, da anticomunista, da conservatore teologico e filosofico quale era. Però tre anni dopo l’elezione un turco armato dai comunisti bulgari e sovietici tentò di ammazzarlo scatenando emozione universale, il Papa fu identificato con la grande rivoluzione di libertà degli anni Ottanta, contro il comunismo da Danzica a Mosca, al Muro di Berlino, e quella sua forza profetica, insieme con la salute del corpo, la capacità apostolica in ogni itinerario del mondo, la lontananza assoluta dai giochi di curia, fino all’abbandono a se stessi dei vecchi apparati, tutto questo diede a Giovanni Paolo II un lasciapassare speciale, una forza d’urto cui nulla poteva resistere. La malattia, il calvario simbolico che dovette affrontare, sacralizzarono la sua grande popolarità e la trasversalità del suo magistero.
Contro Joseph Ratzinger, naturale prolungamento e anima teologica di Giovanni Paolo II, gioca un fondale della storia assai diverso e, quasi per contrappasso e ritorsione verso un quarto di secolo in cui il mondo ha subito il Papa, la grande voglia di far subire al Papa la dittatura ideale del mondo postmoderno e del suo relativismo etico.

© Copyright Panorama, 27 marzo 2009


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