Notizie dal B16F

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, [15], 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, ..., 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245
+PetaloNero+
00lunedì 16 marzo 2009 17:06
L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa al centro della plenaria della Congregazione per il Clero: intervista con mons. Piacenza

“L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa” è il titolo dell’Assemblea plenaria della Congregazione per il Clero, che si svolgerà in Vaticano da oggi a mercoledì prossimo. Roberto Piermarini ne ha parlato con mons. Mauro Piacenza, segretario del dicastero:

R. - L’identità missionaria del sacerdote è assolutamente centrale sia in ordine alla identità sacerdotale, sia al riguardo di una corretta interpretazione del ministero e della stessa missionarietà ecclesiale. La missione non è, né può essere, un elemento "accessorio" dell’identità ecclesiale e, in essa, di quella sacerdotale. Piuttosto, sia a livello teologico che a livello di esperienza dobbiamo riconoscere che la dimensione missionaria dipende e deriva, in modo essenziale, dalla missione ricevuta dal Signore e, in definitiva, dalla chiarezza circa il mandato apostolico e la conseguente configurazione a Cristo Sacerdote.


D. - Sotto quali aspetti verrà analizzato il tema dell’identità missionaria del presbitero?


R. - Si vedrà dagli apporti stessi dei Padri della Plenaria, ma certamente una linea è quella della formazione permanente che - come è ovvio - si salda indissolubilmente con la formazione iniziale. E’ sempre latente il rischio di identificare troppo la "formazione" con l’"informazione", lo studio con la trasmissione di tattiche e metodi rivelatisi utili in altri posti o momenti. Senz’altro, la formazione esige anche l’informazione ma non solo, anzi non propriamente: la principale soluzione per formare con più carica missionaria i sacerdoti non sarà aggiungere al loro piano di studi teologici discipline nuove sull’argomento, ma far crescere in loro l’amore verso Dio, la Chiesa e le anime, aiutandoli ad acquisire un atteggiamento di costante interessamento per gli altri. La formazione missionaria del presbitero - e penso all’intero percorso formativo che dura per tutta la vita - oltre agli aspetti informativi, dovrebbe includere come cardini: sviluppo della vita interiore personale e del senso soprannaturale, la formazione dottrinale - dobbiamo essere missionari della verità, di tutta la verità e soltanto della verità, e la verità non è un concetto è Gesù - e la responsabilità di fare bene il bene. Un’accurata formazione umana, capace di stabilire rapporti umani abbondanti ed attraenti.


D. – Quanto è importante nel presbitero l’esercizio dei "tria munera”, dei tre compiti che la caratterizzano che sono: santificare, insegnare e governare?


R. - La missione pastorale del sacerdote va considerata il costitutivo primario della sua identità spirituale. II Concilio Vaticano II nella “Presbiterium Ordinis” (cap. III, N.13) spiega che i sacerdoti curano la propria santificazione se predicando la Parola, la ascoltano anche in se stessi; se offrendo il Santo Sacrificio, offrono anche la propria persona e la propria vita e se, amministrando sacramentalmente la carità di Cristo, se ne lasciano impregnare; se guidando il popolo di Dio, non cercano i propri interessi ma sono disposti a dare anche la propria vita. Questo è un aspetto soggettivo della spiritualità sacerdotale assolutamente necessario, ma che deve accompagnarsi ad un altro insegnamento interessantissimo: quello che chiede al sacerdote l’oggettiva santità di versare tutta la propria esistenza nella missione: diventare santo non a lato dell’esercizio del ministero, ma nell’esercizio del ministero, in modo immanente all’esercizio del ministero. Credo necessario rilanciare fino in fondo la dottrina del Concilio Vaticano II, che fa consistere la santità e la vita spirituale del sacerdote nella stessa missione e nel modo di esercitare i “tria munera” (docendi, sanctificandi, regendi). In Cristo, Persona e Missione coincidono e, in Lui, obbedienza e verginità sono esattamente l’espressione di questo coincidere, perché descrivono ed attuano contemporaneamente la sua totale adesione al Padre e la sua totale aderenza una missione che il Padre gli ha assegnato. Obbedienza - Cristo, che è totale ascolto del Padre e Parola totalmente rivolta al Padre si fa per noi “obbediente fino alla morte”, in tutti i dettagli della sua esistenza terrena, chiamandoci alla sua sequela e chiedendoci l’“Oboedientia Fidei”. Verginità - Cristo, tutto ricolmo dell’amore del Padre e dello Spirito Santo, progressivamente rivela al mondo questo grande amore, congiungendosi ontologicamente con l’umanità intera, sponsalmente con la sua Chiesa, corporalmente, eucaristicamente con ogni battezzato.


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00lunedì 16 marzo 2009 17:06
Il Papa annuncia l'indizione a giugno di uno speciale Anno Sacerdotale: il presbitero sia un testimone "riconoscibile" di Cristo


Quello che inizierà il prossimo 19 giugno, per concludersi nella stessa data del 2010, sarà un “Anno Sacerdotale” che avrà lo scopo di sottolineare che ogni sacerdote deve tendere alla “perfezione spirituale”, perché il suo ministero sia efficace. L’annuncio è stato dato questa mattina da Benedetto XVI durante l’udienza alla plenaria della Congregazione per il Clero, che terminerà dopodomani. E’ importante, ha affermato fra l’altro il Papa, che il sacerdote sia ben formato sulla scia degli insegnamenti conciliari e sia sempre riconoscibile, nella moralità e nell’aspetto. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Santificare, insegnare, guidare. Dal momento in cui un vescovo gli impone le mani sul capo, la vita di un sacerdote deve dare testimonianza di questi tre valori. Valori che, ha affermato Benedetto XVI, “prima di essere un ufficio” sono “un dono”, grazie al quale il sacerdote partecipa a una “vita nuova”, acquisisce quello “stile” che fu di Gesù e quindi degli Apostoli. Ed è questa “partecipazione” alla vita di Cristo, che diventa anche una potestà, a rendere “necessaria, anzi indispensabile” la “tensione verso la perfezione morale”, ha indicato il Pontefice. Che ha poi annunciato:


“Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale ‘Anno Sacerdotale’, che andrà dal 19 giugno prossimo fino al 19 giugno 2010. Ricorre infatti il 150.mo anniversario della morte del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo”.


Poco prima, il Papa aveva ricordato che pure se duemila anni di “tradizione ecclesiale” hanno “svincolato l’efficacia sacramentale” di un sacerdote da quella che è la sua “concreta situazione esistenziale”, l’importanza della “formazione permanente” dei presbiteri resta una grande e delicata priorità, da condurre - ha rimarcato - “in comunione con l’ininterrotta tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità”. Ai vescovi, Benedetto XVI ha chiesto di coltivare “relazioni umane veramente paterne” con i loro primi collaboratori, “soprattutto - ha detto - sotto il profilo dottrinale”:


“E’ importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa”.


A sollecitare questa attenzione da parte del Papa è la consapevolezza dei “radicali cambiamenti sociali degli ultimi decenni”, che richiedono l’utilizzo delle “migliori energie ecclesiali” per la cura dei candidati al sacerdozio. Sacerdozio, ha insistito Benedetto XVI, che deve essere debitamente valorizzato poiché la sua missione, “nella Chiesa”, prende forma da Cristo, che ne è “il centro propulsore”:


“In tal senso è necessario vigilare affinché le 'nuove strutture' od organizzazioni pastorali non siano pensate per un tempo nel quale si dovrebbe 'fare a meno' del ministero ordinato, partendo da un’erronea interpretazione della giusta promozione dei laici, perché in tal caso si porrebbero i presupposti per l’ulteriore diluizione del sacerdozio ministeriale e le eventuali presunte 'soluzioni' verrebbero drammaticamente a coincidere con le reali cause delle problematiche contemporanee legate al ministero”.


Benedetto XVI ha anche ricordato i quattro aspetti della missione sacerdotale. Essa, ha ribadito, è “ecclesiale” perché “nessuno annuncia se stesso” ma Dio. E’ “comunionale”, perché si svolge “in un’unità e in una comunione”. Ed è, infine, “gerarchica” e “dottrinale”: aspetti, ha osservato il Papa, che sottolineano “l’importanza della disciplina ecclesiastica” e, ancora una volta, della “formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente”.



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=745&sett...
+PetaloNero+
00lunedì 16 marzo 2009 17:07
Dal 19 marzo sito web ufficiale della Santa Sede anche in lingua cinese

Il prossimo 19 marzo, in occasione della Solennità di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria e Patrono della Chiesa Universale, il sito web ufficiale della Santa Sede si arricchirà grazie all’introduzione di una nuova sezione in lingua cinese. Lo ha reso noto oggi la Sala Stampa vaticana. Si tratta dell’ottava lingua ad essere inserita nel sito www.vatican.va - dopo l’italiano, l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il portoghese e il latino. Grazie al nuovo servizio, gli internauti di tutto il mondo potranno navigare in cinese per accedere ai testi di Benedetto XVI presentati nei caratteri cinesi sia tradizionali sia semplificati. La Santa Sede era già presente in internet con la lingua cinese dal 1998 con l’Agenzia Internazionale Fides (www.fides.org) e dal 1999 con il sito della Radio Vaticana (www.radiovaticana.org).


www.radiovaticana.org
+PetaloNero+
00lunedì 16 marzo 2009 17:07
Il popolo di Dio manifesta solidarietà al Papa Benedetto XVI


Dopo lettera ai Vescovi cattolici riguardante la revoca della scomunica





di Antonio Gaspari


ROMA, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- La lettera che Benedetto XVI ha inviato ai Vescovi in merito alla decisione di revocare la scomunica dei quattro Vescovi lefebvriani sta suscitando manifestazioni di apprezzamento e solidarietà in tutti gli ambiti del mondo cattolico.

Cardinali, Vescovi, associazioni laicali, gruppi di preghiera, comunità, siti cattolici in rete stanno manifestando la propria vicinanza al Pontefice.

A conclusione del Forum Internazionale delle università che si è svolto nell' ambito del Giubileo Paolino degli Universitari, i 700 partecipanti, provenienti da realtà accademiche di tutto il mondo, hanno voluto manifestare e testimoniare la loro vicinanza e il loro affetto filiale verso il Papa.

In un documento, datato 14 marzo, i partecipanti al Forum internazionale delle Università, al termine dei lavori e prima della celebrazione eucaristica giubilare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, hanno espresso “i sentimenti di filiale e convinta adesione alla indicazione del Magistero” del Pontefice Benedetto XVI.

In merito agli interventi di Sua Santità per le Università, i docenti hanno scritto che “costituiscono un dono prezioso per rilanciare la presenza cristiana nelle Università e per promuovere nuove vie di ricerca per la costruzione di un nuovo umanesimo”.

“Tornando nelle Chiese e nelle Università – continua il documento – desideriamo impegnarci a testimoniare la fecondità storica del Vangelo consapevoli che l’attuale situazione socio-culturale sollecita i credenti ad esercitare con coraggio e creatività quella singolare esperienza che è la carità intellettuale”.

Il documento dei docenti conclude quindi: “Guidati dal Suo Magistero vogliamo potenziare la pastorale universitaria per favorire la crescita nella fede delle nuove generazioni e incoraggiare le comunità cristiane ad un rinnovo e fecondo dialogo con le culture di tutti i popoli”.

La Fraternità sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo ha inviato un commento a firma di monsignor Massimo Camisasca, in cui si sottolinea che “c’è una sottile distanza in alcuni settori della Chiesa dallo spirito che muove le decisioni del Papa”.

Secondo il Superiore Generale della Fraternità le preoccupazioni del Santo Padre sono riferite alla fede che “è nel pericolo di spegnersi, come una fiamma che non ha più nutrimento”. “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini” e così l’umanità cade in una totale mancanza di orientamento.

Per monsignor Camisasca, “il cuore dell’uomo si è raffreddato e il Papa desidera che esso possa tornare a riscaldarsi, cioè ad aprirsi a quegli orizzonti che possono illuminare il cammino e permettere di affrontare i drammi del dolore, della morte, della solitudine, ma anche che permettono di gioire della creazione e degli altri doni di Dio”.

“Il cuore del Papa è certamente ferito – conclude il Superiore generale della Fraternità – ma non vuole rassegnarsi al male. Non ha comandamenti da imporre, censure da operare, vuole riaprire i cuori degli uomini alla promessa, indicare ai cristiani il dovere di testimoniare anche attraverso la loro unità il volto di quel Dio che li ha scelti”.

Il Cardinale Antonio Canizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, nell’indirizzo di saluto al Pontefice in occasione dell’udienza ai partecipanti all’assemblea plenaria del dicastero, ha dichiarato “affetto” e “vicinanza”, ma soprattutto “fedeltà immutata” nei confronti di Benedetto XVI.

Il porporato ha poi consegnato al Papa una lettera della Congregazione in cui è scritto: “Condividiamo l’amarezza per la sofferenza arrecata a vostra santità. Confermiamo con piena coscienza la nostra fedeltà immutata verso il successore di Pietro”.

Nei giorni della tempesta mediatica in cui il Pontefice è stato al centro di continui attacchi da parte di gran parte dei media mondiali, l’episcopato spagnolo aveva inviato una lettera di sostegno al Papa, al quale Benedetto XVI ha risposto con un messaggio di ringraziamento.

Carlo Costalli, Presidente del Movimento Cristiani Lavoratori (Mcl), ha ricordato che già il 21 gennaio “il nostro movimento apprezzò l’iniziativa del Pontefice verso i lefebvriani” come “gesto di riconciliazione tra cristiani”.

Ed “ora più che mai viene spontaneo dimostrare al Pontefice tutta la solidarietà del Mcl”.

“Dopo questa lettera – ha sottolineato Costalli – cresceranno ulteriormente il rispetto e l’apprezzamento per Benedetto XVI anche da parte di tanti laici non credenti”.

Sergio Marini, Presidente della Coldiretti, ha scritto che la lettera del Vescovo di Roma esprime “tutta la forza del Papa e della Chiesa cattolica”.

Dal canto suo, Alberto Fantuzzo, Presidente dell’Agesci, ha sottolineato: “Noi scout sosteniamo che, per educare, a volte, vale più un gesto di tanti discorsi” ed il Pontefice “con questa lettera, si è dimostrato un grande educatore”.

Monsignor Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, ha diffuso una nota in cui ha dichiarato di aderire “in modo pieno e solidale alla lettera del Santa Padre” e di ammirare “il grande coraggio della verità e della misericordia di cui questo testo è espressione insuperabile”.

Dopo aver espresso il compiacimento per “i contenuti della lettera” Andrea Olivero, Presidente delle Acli, ha rilevato che “il Papa ricorda a tutti la propria umanità, il peso enorme che deve portare chi siede sul soglio di Pietro. Ma dimostra di non essere mai solo”.

Giovanni Paolo Remonda, responsabile della Comunità papa Giovanni XXIII, ha manifestato una particolare vicinanza al Pontefice ed ha affermato: “Preghiamo per lui con intensità e profondo affetto filiale affinché tutti possano cogliere il significato profondo del suo gesto e si adoperino per riportare unità e pace nella casa del Signore”.

Il Presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (Rns), Salvatore Martinez, ha confermato che “il RnS esprime sincero e convinto amore a Benedetto XVI perché se Pietro soffre per i lacci dell’orgoglio che incatenano il Vangelo, tutta la Chiesa è in sofferenza”.

Dopo aver ribadito il conforto al Vicario di Cristo con “l’affetto di decine di migliaia di fedeli appartenenti al RnS che ferialmente intercedono per il suo ministero petrino”, Martinez ha precisato che “la lettera non solo contribuisce a portare la pace nella Chiesa, ma ripropone all’attenzione dei Pastori la forza mite e sempre crocifissa del dialogo, della riconciliazione, della comunione nella Chiesa”.

Diffusissima in Internet la rete di solidarietà per il Pontefice. Il sito FattiSentire.net (fatti.sentire@yahoo.it) raccoglie firme in sostegno del Papa. Sul sito Marànathà (http://www.maranatha.it) che si apre con l’invocazione in latino “Preghiamo per il nostro Pontefice Benedetto XVI. Il Signore ce lo conservi” si invocano preghiere, mentre “blograffaella” propone una “catena di rosari a sostegno del Santo Padre”.


Paparatzifan
00lunedì 16 marzo 2009 19:06
Dal blog di Lella...

Servono pensieri nuovi

Nella lettera del Papa ai vescovi non c'è scritto, ma la sua lettura coscienziosa chiede a quanti nella Chiesa abbiano qualche responsabilità di fare un passo indietro. Non per fermarsi nell'immobilismo, ma per ripartire con il piede giusto prima che i guasti siano irreparabili. Benedetto XVI è un vero riformista e per cogliere questa sua dimensione costitutiva servono pensieri nuovi, sgomberando il campo dai detriti tipici di una comunicazione fondata sul logorato cliché di conservatori e progressisti contrapposti. Ratzinger si muove dall'ottica della missione con la quale legge i fatti del mondo. Ne ha dato prova nelle sue encicliche, scrivendo alla Chiesa cattolica nella Cina, nei messaggi sulla pace e la comunicazione, nei viaggi e, da ultimo, alla vigilia della sua visita in Africa.
La Chiesa non va avanti e cessa di essere segno del Vangelo se ciascuno vede il suo particolare e lotta per affermarlo. Benedetto XVI va ripetendo all'infinito che l'iniziativa parte da Dio. È un'ottica diversa rispetto alle dinamiche attuali della comunicazione che punta a esaltare il divo, il leader risolutore, il marchio di fabbrica, il vincente.

Stare nella Chiesa non è una gara secondo le categorie mondane e politiche. In una parola Papa Ratzinger chiede di rovesciare il criterio dell'apparenza per divenire quello che ogni credente è chiamato a essere: un discepolo di Gesù.

È da questa prospettiva che occorre valutare la congruità del servizio che si rende alla Chiesa e alla gente. È dal grado di responsabilità e di coerenza con cui ognuno vive la propria vita e il proprio ruolo - dal più appariscente al più nascosto - che discende il buon andamento nella vita dei fedeli e nelle istituzioni cattoliche.
La lettera del Papa ai vescovi propone una lettura molto realista del dibattito nella Chiesa. Essa è anzitutto una presa di responsabilità di Benedetto XVI come successore di Pietro. Un compito che egli non vive in solitudine perché conosce la Chiesa e sente vivo il carattere collegiale della successione apostolica. E credere alla collegialità significa anche ricorrere a un governo nel quale le persone e il consenso motivato vengono al primo posto. Auspicare una Chiesa più fraterna e poi attendersi risultati quasi esclusivamente in termini di efficienza formale, è una contraddizione. La capacità di rimboccarsi le maniche nella Chiesa è più moderna e aperta della semplice abitudine a criticare comunque. Allo stesso modo non si è più fedeli al Vangelo solo perché ci si attesta con caparbietà su forme rituali o espressive del passato.
La lettera del Papa dà un segnale. Ci sono segni più eloquenti delle parole e già più volte egli ha lasciato capire di volere persone leali e responsabili. Ciò significa competenza e abitudine a parlare con franchezza e carità. Anche l'ipocrisia è dannosa nella Chiesa. La proposta di un anno per il rinnovamento della vita sacerdotale porta alla radice della crisi vocazionale e affronta la santità quale origine della fiducia accordata ai preti.

Dipingere un papa Benedetto perduto dietro le note di Mozart, arroccato nelle sue stanze, isolato dal mondo rasenta il comico. Nello stesso momento in cui gli si alzano intorno tali cortine fumose, gli si riconosce una statura intellettuale. Ma un vero intellettuale non sta fuori dal mondo; pensa e propone un mondo migliore del presente. E il Papa finora l'ha fatto magistralmente.

C'è stato un periodo in cui si è parlato liberamente di vera e falsa riforma della Chiesa. Papa Benedetto è un vero riformatore ed è stato uno di coloro che hanno sempre desiderato e richiesto una Curia romana adeguata alla riforma del concilio.
Ora chiede una cosa semplice e difficile: tutti, conservatori e progressisti, centristi ed estremisti dentro la Chiesa cattolica, cristiani di altre Chiese e confessioni sono chiamati a trovare punti di convergenza anziché di rottura, perché la missione di annunciare credibilmente il Vangelo è più urgente di ogni altra questione. Il Papa ha avviato una nuova partenza per la Chiesa del concilio, ma sa che il "balzo in avanti" - come talvolta ha definito il concilio - potrebbe arenarsi. Perciò scrivendo la lettera ai suoi fratelli vescovi si è esposto ancora una volta, noncurante di ogni altra umana considerazione.

c. d. c.

(©L'Osservatore Romano - 16 - 17 marzo 2009)


Paparatzifan
00lunedì 16 marzo 2009 19:10
Dal blog di Lella...

Vaticano

Dall’India la Via Crucis 2009 del Papa

di Lorenzo Fazzini

Benedetto XVI ha scelto un vescovo indiano per scrivere i testi sulla Passione. Un segno di vicinanza a una Chiesa perseguitata

Il dramma dei cristiani perseguitati in India «approda» a Roma. E in un contesto che richiama, in senso storico, la persecuzione per la fede cristiana.
Secondo alcune fonti vaticane Benedetto XVI avrebbe scelto un vescovo indiano per redigere i testi a commento della Via Crucis che lui stesso presidierà la sera del Venerdì santo al Colosseo di Roma.
La scelta del Papa è caduta su monsignor Thomas Menamparampil arcivescovo di Guwahati, nello Stato dell’Assam. A lanciare la notizia è stata l'agenzia SarNews (South Asia Religious News) - l'agenzia della stampa cattolica indiana - ed è stata rilanciata oggi con grande evidenza anche dal sito internet della Conferenza episcopale indiana.
La scelta di Menamparampil rappresenta un segno concreto attraverso cui il Pontefice vuole dimostrare la sua solidarietà ai cristiani che in India, negli ultimi anni, sono oggetto di particolari ostracismi e violenze da parte di frange integraliste indù. Gli episodi più gravi si sono verificati a partire da agosto scorso nello Stato dell’Orissa: 50 mila i cristiani sfollati, 130 le vittime accertate, ancora oggi 3 mila cristiani risiedono in campi profughi.
La scelta di mons. Menamparampil arriva dopo che lo scorso anno Benedetto XVI aveva incaricato il cardinale Joseph Zen, vescovo di Hong Kong, del compito di redigere i commenti della Via Crucis. Dopo la «passione» dei cristiani cinesi, sottoposti a decenni di ferreo controllo del regimo comunista, ora la Chiesa universale, insieme al suo Pastore, pregherà e ricorderà la morte di Cristo con la sensibilità dei martiri indiani di oggi.

Mons. Menamparampil, 62 anni, salesiano, guida una diocesi dove i cattolici sono 50 mila su 6 milioni di abitanti. Salesiano, ha un piccolo primato personale: è stato il primo missionario ad infrangere la barriera dell’Arunachal Pradesh, uno Stato indiano che fino al 1978 era proibito agli evangelizzatori. In 30 anni il Vangelo si è propagato in maniera molto viva tra la gente: oggi nelle due diocesi comprese in questo territorio statale (che conta 1,9 milioni) ci sono 170 mila cattolici, ovvero il 16% dell’intera popolazione dell’Arunachal Pradesh.

L'arcivescovo Menamparampil è una delle figure di spicco oggi della Chiesa asiatica. Non a caso - durante l'ultimo sinodo dei vescovi tenutosi in ottobre in Vaticano - a lui era stato affidata una delle cinque relazioni introduttive sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa in ciascuno dei cinque continenti. Clicca qui per leggere il testo integrale della sua relazione sulla Parola di Dio in Asia.

L'arcivescovo di Guwahati è anche una figura di riconciliazione. Lo Stato indiano dell'Assam è infatti da tempo teatro di scontri tra le popolazioni tribali Bodo e i musulmani locali. All'inizio di febbraio monsignor Menamparampil si è fatto promotore di un incontro tra i leader delle diverse etnie. Da questo incontro è nato un tavolo comune che si propone di aiutare a superare le tensioni etniche. Clicca qui per leggere la notizia dell'agenzia asiatica UcaNews che racconta questa storia.

© Copyright www.missionline.org/


Paparatzifan
00lunedì 16 marzo 2009 21:00
Dal blog di Lella...

Il papa si confessa. Un cardinale lo spiega

Nella lettera in cui ha difeso la revoca della scomunica ai lefebvriani, Benedetto XVI ha confermato gli obiettivi irrinunciabili del suo pontificato. Il cardinale Ruini li ha analizzati a uno a uno. Ecco quali sono e perché

di Sandro Magister

ROMA, 16 marzo 2009

L'impressionante lettera che Benedetto XVI ha scritto sei giorni fa ai vescovi di tutto il mondo è molto più che un'occasionale risposta alla "valanga di proteste" contro la sua decisione di revocare la scomunica ai lefebvriani.

È una lettera che ricorda quelle di Paolo e dei Padri apostolici.

Non a caso il papa vi ha citato la lettera ai Galati (nell'illustrazione, il suo inizio in un papiro egiziano dell'anno 200). Erano testi rivolti a comunità cristiane concrete, di cui prendevano di petto le debolezze e le lacerazioni. Ma anche andavano dritti ai fondamenti della fede, dicevano ciò per cui la Chiesa sta o cade.

Benedetto XVI ha fatto lo stesso. Nella sua lettera non ha taciuto nulla delle contestazioni che l'hanno colpito. Ma ha anche scritto ciò che per lui vale più di ogni cosa, in queste poche righe fulminanti:

"Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti".

La lettera del 10 marzo 2009 è quindi un testo capitale per capire il pontificato di Joseph Ratzinger. Segna la strada che egli sta percorrendo deciso, senza deflettere in nulla sotto i colpi della contestazione.

Proprio nei giorni in cui Benedetto XVI stava scrivendo la sua lettera, c'è stato un cardinale che ha provato, di sua iniziativa, a decifrare il senso profondo di questo pontificato, a individuarne le "priorità" e a spiegarle a una platea di ascoltatori, in una conferenza pubblica.
"La prima e maggiore priorità è Dio stesso", ha esordito, quasi con le stesse parole di Benedetto XVI nella sua lettera.
La stupefacente sintonia tra l'analisi del cardinale e la confessione che il papa ha fatto di sé, nella lettera, induce a leggere per esteso il testo della conferenza.
Il cardinale è Camillo Ruini, che fino a un anno fa è stato il vicario di Benedetto XVI nel reggere la diocesi di Roma.

Ha tenuto la conferenza il 1 marzo 2009 a Vicenza, nella scuola di cultura cattolica "Mariano Rumor".


Le priorità del pontificato di Benedetto XVI

di Camillo Ruini

Nell'omelia di inizio del pontificato, Benedetto XVI affermava di non avere un proprio programma, se non quello che ci viene dal Signore Gesù Cristo. Era questo un chiaro richiamo a ciò che è essenziale nel cristianesimo. Il nuovo pontificato si poneva inoltre nella continuità sostanziale con quello di Giovanni Paolo II, di cui Joseph Ratzinger era stato, per i contenuti decisivi, il primo collaboratore.
In questo quadro non è difficile individuare alcune priorità del pontificato di Benedetto XVI.

La prima e maggiore priorità è Dio stesso, quel Dio che troppo facilmente viene messo al margine della nostra vita, protesa al "fare", soprattutto mediante la "tecno-scienza", e al godere-consumare. Quel Dio, anzi, che è espressamente negato da una "metafisica" evoluzionistica che riduce tutto alla natura, cioè alla materia-energia, al caso (le mutazioni casuali) e alla necessità (la selezione naturale), o più frequentemente è dichiarato non conoscibile in base al principio che "latet omne verum", ogni verità è nascosta, in conseguenza della restrizione degli orizzonti della nostra ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile, secondo la linea oggi prevalente. Quel Dio, infine, di cui è stata proclamata la "morte", con l'affermarsi del nichilismo e con la conseguente caduta di tutte le certezze.

Il primo impegno del pontificato è dunque riaprire la strada a Dio: non però facendosi dettare l'agenda da coloro che in Dio non credono e contano soltanto su se stessi. Al contrario, l'iniziativa appartiene a Dio e questa iniziativa ha un nome, Gesù Cristo: Dio si rivela in qualche modo a noi nella natura e nella coscienza, ma in maniera diretta e personale si è rivelato ad Abramo, a Mosè, ai profeti dell'Antico Testamento, e in maniera inaudita si è rivelato nel Figlio, nell'incarnazione, croce e risurrezione di Cristo. Vi sono dunque due vie, quella della nostra ricerca di Dio e quella di Dio che viene alla ricerca di noi, ma soltanto quest'ultima ci permette di conoscere il volto di Dio, il suo mistero intimo, il suo atteggiamento verso di noi.

Giungiamo così alla seconda priorità del pontificato: la preghiera. Non soltanto quella personale ma anche e soprattutto quella "nel" e "del" popolo di Dio e corpo di Cristo, ossia la preghiera liturgica della Chiesa.

Nella prefazione al primo volume delle sue "Opera omnia", uscito da poco in lingua tedesca, Benedetto XVI scrive: "La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l'attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico". Possiamo aggiungere che oggi è il centro del suo pontificato.

Arriviamo così a un punto controverso, specialmente dopo il motu proprio che consente l'uso della liturgia preconciliare e ancor più dopo la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.

Già in precedenza però Joseph Ratzinger aveva chiarito questo punto molto bene. Egli è stato uno dei grandi sostenitori del movimento liturgico che ha preparato il Concilio e uno dei protagonisti del Vaticano II, e tale è sempre rimasto.

Fin dall'attuazione della riforma liturgica nei primi anni del dopo-Concilio, egli aveva contestato però la proibizione dell'uso del messale di San Pio V, vedendovi una causa di sofferenza non necessaria per tante persone amanti di quella liturgia, oltre che una rottura rispetto alla prassi precedente della Chiesa che, in occasione delle riforme della liturgia succedutesi nella storia, non aveva proibito l'uso delle liturgie fino allora in uso. Da pontefice ha pertanto ritenuto di dover rimediare a questo inconveniente consentendo più facilmente l'uso del rito romano nella sua forma preconciliare.

Lo spingeva a questo anche il suo dovere fondamentale di promotore dell'unità della Chiesa. Si muoveva inoltre nella linea già iniziata da Giovanni Paolo II. In questo spirito la remissione della scomunica è stata concessa per facilitare il ritorno dei lefebvriani, ma non certamente per rinunciare alla condizione decisiva di questo ritorno, che è la piena accettazione del Concilio Vaticano II, compresa la validità della messa celebrata secondo il messale di Paolo VI.

In positivo Benedetto XVI ha precisato l'interpretazione del Vaticano II nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005, prendendo le distanze da una "ermeneutica della rottura", che ha due forme: una prevalente, in base alla quale il Concilio costituirebbe una novità radicale e sarebbe importante "lo spirito del Concilio" ben più della lettera dei suoi testi; l'altra, contrapposta, per la quale conterebbe soltanto la tradizione precedente al Concilio, rispetto a cui il Concilio avrebbe rappresentato una rottura densa di conseguenze funeste, come sostengono appunto i lefebvriani.

Benedetto XVI propone invece l'"ermeneutica della riforma", ossia della novità nella continuità, sostenuta già da Paolo VI e Giovanni Paolo II: il Concilio costituisce cioè una grande novità ma nella continuità dell'unica tradizione cattolica. Soltanto questo tipo di ermeneutica è teologicamente sostenibile e pastoralmente fruttuoso.

Abbiamo messo a fuoco così un'ulteriore priorità del pontificato: promuovere l'attuazione del Concilio, sulla base di questa ermeneutica.

Nella medesima prospettiva, possiamo parlare di una "priorità cristologica" o "cristocentrica" del pontificato. Essa si esprime in particolare nel libro "Gesù di Nazaret", impegno non consueto per un papa, al quale Benedetto XVI dedica "tutti i momenti liberi". Gesù Cristo infatti è la via a Dio Padre, è la sostanza del cristianesimo, è il nostro unico Salvatore.

Perciò è terribilmente pericoloso il distacco tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, distacco che è frutto di un'assolutizzazione unilaterale del metodo storico-critico e più precisamente di un impiego di questo metodo sulla base del presupposto che Dio non agisca nella storia. Un tale presupposto, già da solo, rappresenta infatti la negazione dei Vangeli e del cristianesimo. Anche in questo caso si tratta di allargare gli spazi della razionalità, dando credito a una ragione aperta, e non chiusa, alla presenza di Dio nella storia. Questo libro ci mette in contatto con Gesù e così ci introduce nella sostanza, nella profondità e novità del cristianesimo: leggerlo è un impegno che costa un po' di fatica ma che ripaga abbondantemente.

***

A questo punto possiamo ritornare alla prima priorità, Dio, per prendere in considerazione l'impegno anche razionale e culturale di Benedetto XVI al fine di allargare a Dio la ragione contemporanea e di fare spazio a Dio nei comportamenti e nella vita personale e sociale, pubblica e privata: sono particolarmente importanti qui il discorso di Ratisbona, quello più recente di Parigi e anche quello di Verona del 2006.

Quanto alla ragione contemporanea, Benedetto XVI sviluppa una "critica dall'interno" della razionalità scientifico-tecnologica, che oggi esercita una leadership culturale. La critica non riguarda questa razionalità in se stessa, che ha anzi grande valore e grandi meriti, dato che ci fa conoscere la natura e noi stessi come mai era stato possibile prima e ci permette di migliorare enormemente le condizioni pratiche della nostra vita. Riguarda invece la sua assolutizzazione, come se questa razionalità costituisse l'unica conoscenza valida della realtà.

Tale assolutizzazione non proviene dalla scienza come tale, né dai grandi uomini di scienza, che ben conoscono i limiti della scienza stessa, bensì da una "vulgata" oggi molto diffusa e influente, che però non è la scienza ma una sua interpretazione filosofica, piuttosto vecchia e superficiale. La scienza infatti deve i suoi successi alla sua rigorosa limitazione metodologica a ciò che è sperimentabile e calcolabile. Se però questa limitazione viene universalizzata, applicandola non solo alla ricerca scientifica ma alla ragione e alla conoscenza umana come tali, essa diventa insostenibile e disumana, dato che ci impedirebbe di interrogarci razionalmente sulle domande decisive della nostra vita, che riguardano il senso e lo scopo per cui esistiamo, l'orientamento da dare alla nostra esistenza, e ci costringerebbe ad affidare la risposta a queste domande soltanto ai nostri sentimenti o a scelte arbitrarie, distaccate dalla ragione. È questo, forse il problema più profondo e anche il dramma della nostra attuale civiltà.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI fa un passo in più, mostrando che la riflessione sulla struttura stessa della conoscenza scientifica apre la strada verso Dio.

Una caratteristica fondamentale di tale conoscenza è infatti la sinergia tra matematica ed esperienza, tra le ipotesi formulate matematicamente e la loro verifica sperimentale: si ottengono così i risultati giganteschi e sempre crescenti che la scienza mette a nostra disposizione. La matematica è però un frutto puro e "astratto" della nostra razionalità, che si spinge al di là di tutto ciò che noi possiamo immaginare e rappresentare sensibilmente: così avviene in particolare nella fisica quantistica – dove una medesima formulazione matematica corrisponde all'immagine di un'onda e al tempo stesso di un corpuscolo – e nella teoria della relatività, che implica l'immagine della "curvatura" dello spazio. La corrispondenza tra matematica e strutture reali dell'universo, senza la quale le nostre previsioni scientifiche non si avvererebbero e le tecnologie non funzionerebbero, implica dunque che l'universo stesso sia strutturato in maniera razionale, così che esista una corrispondenza profonda tra la ragione che è in noi e la ragione "oggettivata" nella natura, ossia intrinseca alla natura stessa. Dobbiamo chiederci però come questa corrispondenza sia possibile: emerge così l'ipotesi di un'Intelligenza creatrice, che sia l'origine comune della natura e della nostra razionalità. L'analisi, non scientifica ma filosofica, delle condizioni che rendono possibile la scienza ci riporta dunque verso il "Logos", il Verbo di cui parla san Giovanni all'inizio del suo Vangelo.

Benedetto XVI non è però un razionalista, conosce bene gli ostacoli che oscurano la nostra ragione, la "strana penombra" in cui viviamo. Perciò, anche a livello filosofico, non propone il ragionamento che abbiamo visto come una dimostrazione apodittica, ma come "l'ipotesi migliore", che richiede da parte nostra "di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell'ascolto umile": il contrario dunque di quell'atteggiamento oggi diffuso che viene chiamato "scientismo".

Allo stesso modo non può essere presentata come "scientifica" la riduzione dell'uomo a un prodotto della natura, in ultima analisi omogeneo agli altri, negando quella differenza qualitativa che caratterizza la nostra intelligenza e la nostra libertà. Una simile riduzione costituisce in realtà il capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna, che consisteva nella rivendicazione del soggetto umano, della sua ragione e della sua libertà.

Perciò, come Benedetto XVI ha detto a Verona, la fede cristiana proprio oggi si pone come il "grande sì" all'uomo, alla sua ragione e alla sua libertà, in un contesto socio-culturale nel quale la libertà individuale viene enfatizzata sul piano sociale facendone il criterio supremo di ogni scelta etica e giuridica, in particolare nell'"etica pubblica", salvo però negare la libertà stessa come realtà a noi intrinseca, cioè come nostra capacità personale di scegliere e di decidere, al di là dei condizionamenti ed automatismi biologici, psicologici, ambientali, esistenziali.

Proprio il ristabilimento di un genuino concetto di libertà è un'altra priorità del pontificato, l'ultima di cui parlerò.

Essa riguarda la vita personale e sociale, le strutture pubbliche come i comportamenti personali. Benedetto XVI contesta cioè quell'etica e quella concezione del ruolo dello Stato e della sua laicità che egli stesso ha definito "dittatura del relativismo", per la quale non esisterebbe più qualcosa che sia bene o male in se stesso, oggettivamente, ma tutto dovrebbe subordinarsi alle nostre scelte personali, che diventano automaticamente "diritti di libertà". Vengono escluse così, almeno a livello pubblico, non solo le norme etiche del cristianesimo e di ogni altra tradizione religiosa, ma anche le indicazioni etiche che si fondano sulla natura dell'uomo, cioè sulla realtà profonda del nostro essere. È questa una cesura radicale, un autentico taglio, rispetto alla storia dell'umanità: una cesura che isola l'Occidente secolarizzato dal resto del mondo.

In realtà la libertà personale è intrinsecamente relativa alle altre persone e alla realtà, è libertà non solo "da" ma "con" e "per", è libertà condivisa che si realizza soltanto unitamente alla responsabilità. In concreto, Benedetto XVI è talvolta accusato di insistere unilateralmente sui temi antropologici e bioetici, come la famiglia e la vita umana, ma in realtà egli insiste analogamente sui temi sociali ed ecologici (certamente senza indulgere ad "inquinamenti ideologici"). Proprio ai temi sociali sarà dedicata la sua terza enciclica ormai imminente. La radice comune di questa duplice insistenza è il "sì" di Dio all'uomo in Gesù Cristo, e in concreto è l'etica cristiana dell'amore del prossimo, a cominciare dai più deboli.

Concludo tornando all'inizio.
Parlando a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger invitava tutti, anche quegli uomini di buona volontà che non riescono a credere, a vivere "veluti si Deus daretur", come se Dio esistesse. Ma al tempo stesso affermava la necessità di uomini che tengano lo sguardo fisso verso Dio e in base a questo sguardo si comportino nella vita. Soltanto così infatti Dio potrà tornare nel mondo. È questo il senso e lo scopo dell'attuale pontificato.

© Copyright www.chiesa


Paparatzifan
00lunedì 16 marzo 2009 21:03
Dal blog di Lella...

GERMANIA: SANTA SEDE, ZOLLITSCH (DBK), “NON CI SONO PUNTI CHE CI DIVIDONO"

Bilancio positivo per una visita di tre giorni a Roma di mons. Zollitsch, Presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk). Lo riferisce oggi l'agenzia di stampa cattolica tedesca Kna, riportando le dichiarazioni rilasciate da Zollitsch al termine di colloqui con il Papa, con il segretario di Stato Tarcisio Bertone e con i vertici della Curia vaticana. "Non ci sono punti che ci dividono", ha affermato Mons. Zollitsch, puntualizzando di non essere "stato accolto con alcun rimprovero" da alcuno.
Il Presidente della Dbk ha raccontato di aver presentato al Papa i timori di "molti buoni cattolici" che, sulle vicende legate ai lefebvriani temevano "il pericolo di una relativizzazione del Concilio" Vaticano II.
Il vescovo ha valutato positivamente la decisione di Benedetto XVI di incaricare la Congregazione per la dottrina della fede di condurre le trattative con i lefebvriani.
"In questo modo - ha commentato Zollitsch - si vedrà chi della Fraternità S. Pio X è disponibile a proseguire il cammino con la Chiesa cattolica e il Papa, o chi si separerà definitivamente da noi".
Ma oltre ai lefebvriani, anche altri temi sono stati discussi in Vaticano con Zollitsch: tra questi, le questioni di politica dell'istruzione, la situazione sociale in Germania e il futuro dell'Università cattolica di Eichstätt.

© Copyright Sir



+PetaloNero+
00martedì 17 marzo 2009 01:47
Da Petrus

Affidate ad un Vescovo indiano le meditazioni per la Via Crucis di quest’anno



CITTA’ DEL VATICANO - Le meditazioni della Via Crucis di quest'anno avranno al centro il dramma dei cristiani in India e a scriverle sara' proprio un vescovo del Sub-Continent, Monsignor Thomas Menamparampil, Arcivescovo di Guwahati, nello Stato dell'Assam. Lo riferisce l'agenzia SarNews (South Asia Religious News) - l'agenzia della stampa cattolica indiana - e la notizia e' presentata con grande evidenza anche dal sito della Conferenza episcopale indiana. In Italia ne scrive il mensile missionario ‘Mondo e Missione’. La scelta di un vescovo indiano per le meditazioni della celebrazione che ricorda la Passione di Gesu' nella notte del Venerdi' Santo, testimonia l'attenzione della Santa Sede alla situazione dei cristiani in India, che malgrado l'attenuarsi delle violenze dell'agosto scorso conta ancora 50mila cristiani sfollati, di cui 3mila accampati in campi profughi. A Monsignor Menamparampil, una delle figure di spicco della Chiesa asiatica, era stata affidata una delle cinque relazioni introduttive sullo stato della Parola di Dio nel mondo durante l'ultimo Sinodo dei vescovi, l'ottobre scorso in Vaticano. All'inizio di febbraio, l'Arcivescovo ha promosso un incontro tra i leader delle diverse etnie, per cercare di placare il clima di tensioni etniche e religiose del suo Stato, l'Assam.

+PetaloNero+
00martedì 17 marzo 2009 01:48
Da Petrus

L'Osservatore Romano all'attacco dei denigratori di turno: “Comico descrivere il Papa isolato dal mondo mentre ascolta Mozart”

CITTA’ DEL VATICANO - ''Dipingere un Papa Benedetto perduto dietro le note di Mozart, arroccato nelle sue stanze, isolato dal mondo, rasenta il comico. Nello stesso momento in cui gli si alzano intorno tali cortine fumose, gli si riconosce una statura intellettuale. Ma un vero intellettuale non sta fuori dal mondo; pensa e propone un mondo migliore del presente. E il Papa finora l'ha fatto magistralmente''. E' questo il secco giudizio espresso in un editoriale dell'Osservatore Romano, siglato dal vicedirettore Carlo Di Cicco e dedicato alla lettera che il Paontefice ha inviato ai vescovi di tutto il mondo. ''C'e' stato un periodo - prosegue l'articolo - in cui si e' parlato liberamente di vera e falsa riforma della Chiesa. Papa Benedetto e' un vero riformatore ed e' stato uno di coloro che hanno sempre desiderato e richiesto una Curia romana adeguata alla riforma del Concilio''. Tuttavia, adesso ''chiede una cosa semplice e difficile: tutti, conservatori e progressisti, centristi ed estremisti dentro la Chiesa cattolica, cristiani di altre Chiese e confessioni sono chiamati a trovare punti di convergenza anziche' di rottura, perche' la missione di annunciare credibilmente il Vangelo e' piu' urgente di ogni altra questione''. ''Il Papa - scrive ancora il quotidiano della Santa Sede - ha avviato una nuova partenza per la Chiesa del Concilio, ma sa che il 'balzo in avanti', come talvolta ha definito il Concilio, potrebbe arenarsi. Percio' scrivendo la lettera ai suoi fratelli vescovi si e' esposto ancora una volta, noncurante di ogni altra umana considerazione''.
+PetaloNero+
00martedì 17 marzo 2009 01:48
Il Papa avverte sulla tentazione di sminuire il sacerdozio ministeriale


Senza sacerdoti non c'è Eucaristia e quindi Chiesa, afferma





CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ribadito questo lunedì l'importanza del sacerdozio ministeriale nella Chiesa contro le tentazioni di un'interpretazione erronea delle giuste rivendicazioni dei laici, e ha chiesto una maggiore attenzione alla formazione del clero.

Lo ha affermato durante l'udienza concessa ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, atto durante il quale ha anche annunciato la sua intenzione di convocare un Anno giubilare sacerdotale per il prossimo 19 giugno, in occasione del 150° anniversario della morte del santo Curato d'Ars.

Il Papa ha messo in guardia in primo luogo contro la confusione tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, affermando che si distinguono “ontologicamente, e non solo per grado”, visto che il secondo “nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo”.

Questa adesione “porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma”, vale a dire la partecipazione “a quel 'nuovo stile di vita' che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli”.

Benedetto XVI ha esortato i Vescovi a vigilare perché le “nuove strutture” o organizzazioni pastorali “non siano pensate per un tempo nel quale si dovrebbe 'fare a meno' del ministero ordinato, partendo da un’erronea interpretazione della giusta promozione dei laici”, perché ciò significherebbe “l’ulteriore diluizione del sacerdozio ministeriale”.

Allo stesso modo, li ha spinti a coltivare relazioni “veramente paterne” con i sacerdoti e a preoccuparsi “della loro formazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale e spirituale”.

Visibilità

Il Pontefice ha insistito sull'importanza del ministero, senza il quale “non ci sarebbe né l’Eucaristia, né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa”, e ha ricordato che la missione del sacerdote “ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità”.

“In tal senso, è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa”, ha spiegato.

Allo stesso modo, ha parlato dell'urgenza che i presbiteri siano “presenti, identificabili e riconoscibili” dai fedeli, “sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa”.

La missione del sacerdote è allo stesso tempo “ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale”, aspetti che non devono separarsi, ha spiegato il Papa.

“La missione è 'ecclesiale' perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote”, ha osservato.

“La missione è 'comunionale', perché si svolge in un’unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d’altra parte, derivano essenzialmente da quell’intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore”.

“Infine le dimensioni 'gerarchica' e 'dottrinale' suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si collega con 'discepolo') ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente”, ha aggiunto.

Il Papa ha concluso esortando i presenti a scoprire la centralità di Gesù Cristo, che dà senso e giusta valorizzazione al sacerdozio ministeriale.

“Come Chiesa e come sacerdoti annunciamo Gesù di Nazaret Signore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincide con le attese più profonde del cuore umano”, ha affermato.
+PetaloNero+
00martedì 17 marzo 2009 01:49
Colletta “Pro Terra Sancta” per arrestare l'emigrazione dei cristiani


Lettera del prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali





CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 16 marzo 2009 (ZENIT.org).- Uno degli obiettivi principali della Colletta “Pro Terra Sancta”, che nella maggior parte delle Diocesi ha luogo il Venerdì Santo, è quello di migliorare le condizioni della comunità cristiana locale per scoraggiare la sua emigrazione.

Lo ricorda il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in una lettera inviata a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica, com'è ormai tradizione in Quaresima, per sensibilizzare sulla necessità di aiutare i fedeli che abitano nei luoghi in cui Cristo ha vissuto e predicato.

Nel testo, il porporato esorta ad aiutare i “fratelli cristiani di Terra Santa, i quali, insieme agli abitanti di vaste regioni del Medio Oriente, aspirano da lungo tempo alla pace e alla tranquillità ancora tanto minacciate”.

La Chiesa universale, confessa, “segue con forte preoccupazione la situazione resa instabile da diversi gravi problemi”, il primo dei quali è “l’assenza della pace”.

“La gioia natalizia è stata, infatti, ferita dalla violenta ripresa delle ostilità nella striscia di Gaza”, ha ricordato, sottolineando come “tra le innumerevoli vittime” ci siano “molti bambini del tutto innocenti”.

“Proprio a Natale è stata offuscata la speranza recata dal Bambino di Betlemme, dopo l’incoraggiante sostegno spirituale e materiale ricevuto dalla popolazione cristiana dai pellegrini che nell’anno 2008 hanno addirittura superato quelli del Giubileo dell’anno 2000”, ha denunciato.

“La ferita aperta dalla violenza acuisce il problema dell’emigrazione, che inesorabilmente priva la minoranza cristiana delle migliori risorse per il futuro”, constata il porporato. “La Terra che fu culla del Cristianesimo rischia di rimanere senza cristiani”.

In questo contesto, è necessario confermare nella fede le comunità cristiane, cosa che sta molto a cuore a Benedetto XVI, che conforta “costantemente i cristiani e tutti gli abitanti di Terra Santa con parole e gesti di straordinaria premura uniti al suo desiderio di recarsi pellegrino sulle orme storiche di Gesù”.

La Congregazione per le Chiese Orientali, afferma il Cardinale Sandri, si fa interprete dell'“amorevole sollecitudine” del Papa, “rinnovando l’esortazione a tutti i cattolici affinché contribuiscano anche materialmente al sostegno di cui necessitano i Luoghi Santi”.

“Le Chiese di rito latino e dei diversi riti orientali, che beneficiano di tale indispensabile aiuto, esprimono la loro riconoscenza nella costante preghiera per le Chiese particolari del mondo intero”, dichiara.

Il porporato aggiunge al testo un documento curato dalla Custodia di Terra Santa e una nota di questa Congregazione, che attestano le opere realizzate grazie alla Colletta dell’anno 2008.

Nella nota del dicastero, si ricorda che come ogni anno “la Congregazione per le Chiese Orientali riceve le offerte direttamente dalle Nunziature Apostoliche e, secondo la percentuale che le spetta, concede i sussidi ordinari e straordinari alle Circoscrizioni Ecclesiastiche, agli Ordini Religiosi e ad altre persone giuridiche ecclesiastiche dei Luoghi Santi”.

Nel 2008, osserva, una speciale attenzione è stata riservata alle istituzioni scolastiche, mantenendo anche il programma del dicastero che fornisce borse di studio a sacerdoti e seminaristi provenienti dai Luoghi Santi che studiano nelle Università Pontificie.

Il documento della Custodia ricorda che lo scorso anno particolare attenzione è stata prestata alla realizzazione di opere di restauro in vari luoghi, tra cui Gerusalemme, Betania, Betlemme, Giaffa, Magdala, Nazareth, Nablus.

Allo stesso modo, sono state compiute opere a favore dei giovani, come 300 borse di studio universitarie o la continuazione di un progetto di formazione e inserimento nel mondo del lavoro di disoccupati e neolaureati e il sostegno alle imprese artigiane.

Sono stati portati avanti anche progetti di assistenza medica e di sostegno alle famiglie, ad esempio con la costruzione di appartamenti per le giovani coppie.

Hanno beneficiato dei proventi della Colletta 2008 anche le parrocchie, le scuole e altre opere culturali. A proposito di queste ultime, ogni anno la Custodia di Terra Santa sostiene economicamente la Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, provvedendo al sostentamento completo dell’attività della Facoltà e offrendo a circa 30 studenti provenienti da diverse Diocesi e istituti religiosi borse di studio che garantiscono per tutta la durata degli studi vitto ed alloggio.

La Custodia ricorda inoltre l'esistenza del Franciscan Media Center, una nuova forma di apostolato per trasmettere attraverso network televisivi il messaggio dei Luoghi Santi e la vita delle comunità cristiane locali, e dell'Istituto Magnificat, scuola di musica capace di formare musicisti coinvolgendo studenti provenienti da diverse culture, religione e classe sociale.
Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 11:42
Dal blog di Lella...

EUTANASIA: KOPP (PORTAVOCE DBK), "NESSUN CONTRASTO CON LA POSIZIONE DEL VATICANO"

La Chiesa cattolica tedesca è in linea con il Vaticano sul tema dell'eutanasia. Lo ha affermato oggi Matthias Kopp, portavoce della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), in una nota inviata al Sir in relazione a un articolo della rivista italiana MicroMega sull'argomento. La rivista ha recentemente pubblicato la traduzione di alcune parti del documento 'Christliche Patientenverfügung', documento sulle disposizioni del paziente relativamente alle cure e al fine vita, realizzato dalla Dbk e dal Consiglio delle Chiese evangeliche nel 1999 e rivisto nel 2003, titolando "La Chiesa cattolica si spacca sulla bioetica. La Conferenza Episcopale tedesca approva l'eutanasia passiva e l'eutanasia indiretta". Kopp, nell'osservare che il documento della Dbk riportato da MicroMega "non è tradotto integralmente", ha dichiarato: "I concetti di 'eutanasia passiva' ed 'eutanasia indiretta' vengono spiegati in modo esauriente" nel testo e "non contrastano in alcun modo con le affermazioni del Catechismo della Chiesa cattolica (cfr. paragrafi 2278 e 2279)", poiché "La differenziazione che abbiamo adottato nelle Disposizioni, è quella illustrata dal Vaticano nel Catechismo".
Va peraltro ricordato che più recentemente, la Dbk si era espressa un'altra volta sul tema, con una dichiarazione del 29 marzo 2007, in cui si puntualizzava: "La Dbk si oppone con decisione ai progetti che intendono consentire l'interruzione dei trattamenti necessari per la vita di pazienti in coma vigile e di persone con demenza grave. Tali persone non sono persone in punto di morte, bensì malati gravi che richiedono la nostra particolare dedizione e assistenza. Una simile regolamentazione supererebbe i limiti tra eutanasia passiva ammessa, ed eutanasia attiva, non ammessa. Può essere eticamente corretto non sfruttare tutte le possibilità di trattamento per una persona in punto di morte, consentendole di morire. Per contro, non è mai ammesso praticare l'eutanasia attiva".

© Copyright Sir


Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 12:28
+PetaloNero+
00mercoledì 18 marzo 2009 16:50
Eletto il nuovo Nunzio Apostolico in Congo e Gabon


Monsignor Jan Romeo Pawlowski





CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato Nunzio Apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon monsignor Jan Romeo Pawlowski, finora Consigliere di Nunziatura presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Sejny, con dignità di Arcivescovo, secondo quanto rende noto questo mercoledì la Sala Stampa della Santa Sede.

Sostituisce monsignor Andrés Carrascosa Coso, nominato a gennaio dal Papa Nunzio Apostolico a Panama.

Monsignor Pawlowski è nato a Biskupiec (Polonia) il 23 novembre 1960 ed è stato ordinato sacerdote il 1° giugno 1985. Si è incardinato a Bydgoszcz.

Laureato in Diritto Canonico, è entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1991, prestando successivamente la propria opera nelle Rappresentanze Pontificie nella Repubblica Centroafricana e nella Repubblica del Congo (Brazzaville), in Thailandia, Brasile, Francia e nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

Conosce l’italiano, il francese, il russo, l’inglese, il tedesco e il portoghese.
+PetaloNero+
00mercoledì 18 marzo 2009 16:51
Contro la droga, rispondere alla domanda sul senso della vita


La delegazione vaticana alla sessione dell'apposita Commissione ONU





di Roberta Sciamplicotti

VIENNA, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Per lottare efficacemente contro la droga, è necessario innanzitutto mettere al centro di ogni strategia e preoccupazione la dignità del tossicodipendente e affrontare la questione del senso della vita.

Lo ha affermato monsignor José Luis Redrado Marchite, Segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, intervenendo il 12 marzo alla 52ma sessione della Commissione ONU contro le Droghe, in svolgimento a Vienna (Austria) dall'11 al 20 marzo.

Il presule ha guidato una delegazione composta anche da monsignor Michael Banach, osservatore della Santa Sede presso l’ufficio ONU a Vienna, monsignor Jean-Marie Musivi Mpendawatu, officiale del suddetto dicastero, e monsignor Mirosław Wachowski, segretario della Missione.

Durante il Segmento di Alto Livello, monsignor Redrado Marchite ha confessato che la delegazione vaticana auspica che, “com'è accaduto in passato, si riaffermino una politica e una strategia d'azione che pongano al centro dei nostri rispettivi programmi la salute, la dignità e la vita del tossicodipendente e impieghino tutti i mezzi e tutte le risorse disponibili per combattere la forza di questo grave fenomeno”.

Della droga, ha lamentato, “si parla meno”, ma essa “continua a provocare devastazioni, disastri e vittime, soprattutto tra i giovani, in proporzioni spaventose e inaccettabili”.

“Pensare di vivere in una società libera dalla droga richiede da parte degli Stati la forte volontà politica di estirpare definitivamente questo fenomeno che alcuni ritengono una realtà che fa già parte del nostro vivere quotidiano e per il quale si potrebbero solo limitare i danni”, ha osservato.

Ricordando l'“attività capillare” delle organizzazioni e delle istituzioni della Chiesa cattolica che lavorano nel settore, il presule ha commentato che questa esperienza dimostra che “aver sostituito la droga con la droga ha aggravato ancor di più la situazione nel corso degli anni, rendendo cronica la dipendenza e senza rispondere alla questione del senso della vita che a nostro avviso rappresenta il centro del problema”.

La Chiesa, ha dichiarato, “non smette di fornire il suo apporto nell'ambito della prevenzione, in particolare attraverso l'azione incisiva della sua pastorale sanitaria, educativa, sociale e familiare, così come in quello del recupero e della riabilitazione dei tossicodipendenti”.

A questo proposito, “stimola e sostiene tutti gli sforzi della comunità internazionale e degli uomini di buona volontà nella lotta contro il fenomeno della droga negli ambiti della repressione e del crimine, della cooperazione internazionale e di una politica che ponga al centro della sua strategia di recupero il rispetto della vita e della dignità della persona del tossicodipendente, il coinvolgimento della famiglia come cellula educativa primaria e l'apporto positivo e multiforme delle forze, delle istituzioni e della associazioni impegnate nella società per accompagnare i tossicodipendenti e che si ispirano ai nobili principi e valori dell'amore e della solidarietà”.

Monsignor Redrado Marchite ha ricordato che all'inizio del 2006 la Santa Sede ha guidato uno studio in 121 Nazioni appartenenti a 5 aree continentali (Africa, America, Asia, Europa e Oceania) su programmi e attività concrete in strutture sanitarie cattoliche che lottano contro l'abuso di droghe.

Dalla ricerca è emerso che il 33,3% dei centri sanitari cattolici ha un programma sulla prevenzione dell'abuso di sostanze psicotrope, il cui obiettivo, sottolinea il presule, è “individuare e accompagnare i tossicodipendenti; educare sulla prevenzione dell'abuso di sostanze stupefacenti; formare e aggiornare il personale socio-sanitario sulle cure, l'accoglienza e l'accompagnamento del tossicodipendente e della sua famiglia; sensibilizzare la comunità sul problema dell'abuso di droga e combattere la discriminazione”.

Lo studio ha sottolineato successi in Spagna, Francia, Irlanda e Portogallo, grazie soprattutto a “un'intensa attività di prevenzione e di assistenza mediante campagne di sensibilizzazione, seminari, corsi e congressi specifici sul tema, la disintossicazione fisica e la riabilitazione del giovane nell'ambito familiare e sociale, garantendo a tutti l'intervento medico, così come l'aiuto psicologico, e la promozione tra gli adolescenti di uno stile e un comportamento di vita che sia una garanzia favorevole per la loro salute".

In questo contesto, il presule esorta la Commissione ONU contro le Droghe a tener conto nelle sue delibere delle indicazioni della Santa Sede, “visto che sono considerazioni non solo pertinenti, ma anche di buonsenso”, “e soprattutto conformi alla dignità dell'essere umano”.
+PetaloNero+
00mercoledì 18 marzo 2009 16:51
Anticipazioni sull'Instrumentum laboris per il Sinodo africano


Parla mons. Nikola Eterovic, Segretario generale del Sinodo dei Vescovi





CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Annuncio di Cristo, dialogo con l'Islam e speranza, il tutto finalizzato all'evangelizzazione e alla promozione umana. Sono questi alcuni dei temi al centro dell'Instrumentum laboris, che Benedetto XVI consegnerà personalmente ai rappresentanti delle 36 Conferenze episcopali dell'Africa durante la messa del 19 marzo a Yaoundé (Camerun).

E' quanto ha rivelato l'Arcivescovo Nikola Eterovic, Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, in una intervista concessa a “L'Osservatore Romano” alla vigilia del viaggio del Papa in Africa.

Il documento di lavoro per il Sinodo africano di ottobre, approvato dal Consiglio speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi nella riunione del 23 e 24 gennaio scorso, “mette in luce tante speranze, ma non tace le sfide, non nasconde problemi scottanti, gravi”, ha affermato l'Arcivescovo Eterovic.

Per questo come tema per la seconda Assemblea speciale continentale del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, si è scelto “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace".

Il documento, ha continuato il presule, “ha una dimensione ecclesiale piena e, di conseguenza, va a toccare le questioni centrali per la vita delle persone” a partire dalle tre problematiche messe in luce dal tema del Sinodo.

L'Arcivescovo Eterovic ha quindi sottolineato come “straordinariamente importante” il gesto del Papa di consegnare personalmente l'Instrumentum laboris, ed ha indicato come “significativo” il suo voler presiedere sempre il 19 marzo, la riunione del Consiglio sinodale speciale per l'Africa.

“In quella occasione – ha detto – gli presenteremo un quadro particolareggiato della realtà africana”.

“Il cuore di tutto è l'annuncio di Cristo – ha affermato, parlando del documento –. Si nota, in particolare, l'influsso positivo dell'ultimo Sinodo sulla parola di Dio per i tanti riferimenti biblici, a partire proprio dai concetti di giustizia, pace e riconciliazione”.

“Il dialogo è indicato come irrinunciabile – ha proseguito – : particolare attenzione viene posta ai rapporti con l'islam rilevando che in alcune regioni ci sono aspetti positivi, ma in altre non mancano problemi”.

“Si affrontano inoltre questioni come le malattie o la schiavitù – ha aggiunto –. Il testo suggerisce anche un esame di coscienza su quanto è stato fatto dopo il primo Sinodo africano del 1994 e su quanto ancora resta da fare: propone una verifica e costituisce anche un incoraggiamento”.

Il testo mette inoltre in luce “la speranza”, perché “la Chiesa nel continente è sempre in prima linea quando si tratta di riconciliazione, pace, giustizia, educazione, sanità”.

L'Arcivescovo Eterovic ha rilevato poi che a una “crescita quantitativa” della Chiesa africana deve necessariamente corrispondere anche una crescita “qualitativa”.

Secondo i dati raccolti nel recente Annuario Statistico della Chiesa Cattolica, tra il 2000 e il 2006 i sacerdoti in Africa sono aumentati del 23,24%, mentre i cattolici sono aumentati da 130 milioni a 158,3 milioni.

“Dai Lineamenta è emerso chiaramente che i cattolici africani non sono chiusi in se stessi. L'impressione più netta è quella di una grande vitalità – ha commentato –. La Chiesa, insomma, vuol contribuire a una crescita della società applicando la dottrina sociale alle diverse situazioni”.

Il presule ha inoltre rilevato che, rispetto al primo Sinodo per l'Africa del 1994, si è avuto nel continente un enorme ricambio: il 60% dei Vescovi è stato nominato dopo il primo Sinodo, mentre un altro 25% ha cambiato sede.

“Ma è tutta la Chiesa africana a essere particolarmente dinamica – ha osservato –. La Chiesa universale, in uno scambio di doni, si aspetta dai cattolici africani proprio il dinamismo e la gioia della fede, la testimonianza di amore per la vita e la famiglia”.

“L'Africa nel suo dna ha il senso dell'alleanza con Dio, il senso del mistero, mentre l'occidente tende a rinnegare la fede o a relegarla a fatto privato. Sono convinto che il sinodo susciterà nuovo fervore per l'evangelizzazione e la promozione umana. Non solo in Africa”, ha poi concluso.
Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:59
Dal blog di Lella...

«Io solo? Mi viene da ridere»
Sfatato il mito del Papa isolato


YAOUNDE’

Il Papa solo? A Benedetto XVI viene letteralmente «da ridere». Per forza di cose certe decisioni non le potrà di certo condividere, del resto è il peso che porta sulle spalle, ma nei fatti, non soffre affatto di solitudine.
Il «mito», come lo chiama lui, del pontefice isolato, tutto dedito agli studi di teologia, poco incline alle serate tra amici, secondo l’immagine trasmessa in questi anni, dovrebbe essere corretta. «Ogni giorno ricevo visite di tabella, i collaboratori a me più stretti, i capi dicastero li vedo regolarmente, ogni giorno ricevo vescovi.
Ultimamente abbiamo avuto due riunioni plenarie oltre che colloqui amichevoli con una rete di amicizie». Lo sono venuti pure a trovare degli «amici di messa» dalla Germania per uno dei soliti scambi quasi di famiglia, a parlare dei vecchi tempi. Non si ritrova, dunque, nel clichè dell’accademico tutto libri e manoscritti, timido ed introverso. Dopo le polemiche sulla revoca della scomunica ai lefebvriani e le critiche che gli sono piovute da mezzo mondo, è più che mai deciso a smontare un’immagine a suo dire falsata, costruita in questi anni dai mass media. Eppure nel suo appartamento non c’è più il via vai dei tempi di Papa Wojtyla e in molti (anche in curia) continuano a ripetere che vive un po’ isolato, circondato solo dal suo segretario personale don Georg e dalle cinque Memores Domini che si occupano della sua persona e dell’andamento della casa. Lui smentisce. «Sono realmente circondato da amici e da una stretta collaborazione con vescovi e collaboratori e con laici e sono grato per questo».
F.Gia.

© Copyright Il Messaggero, 18 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 19:10
Dal blog di Lella...

LEFEBVRIANI/ Magister: il messaggio di Benedetto XVI, di cui nessuno parla

INT. Sandro Magister giovedì 19 marzo 2009

Le continue polemiche intorno a tutto ciò che il Papa dice, in qualunque circostanza pubblica, incominciano ad assumere un peso francamente preoccupante: anche le dichiarazioni intorno al problema dell’Aids (che altro non hanno fatto che confermare la posizione della Chiesa, a tutti nota) si rimettono dunque nel solco della situazione di aperta ostilità nei confronti del Pontefice già manifestatasi nelle scorse settimane intorno al problema della revoca della scomunica ai lefebvriani. Una situazione molto difficile, che ha però trovato il suo straordinario epilogo nella lettera del Papa ai vescovi.

Quel documento, secondo il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister, rappresenta un unicum su cui è bene riflettere a lungo, per valutare la grande capacità dimostrata da Benedetto XVI di riportare al «centro» il tema della missione dei cristiani nel mondo.

Magister, il primo aspetto che ha colpito tutti è la straordinarietà di questa lettera: un documento veramente fuori dell’ordinario, che il direttore dell’Osservatore Romano non ha esitato ad accostare alle lettere di San Paolo.

Il documento ha in effetti una portata che è assolutamente fuori dall’usuale: tra i fatti del ’900 io non ricordo un atto paragonabile a questo.
Una lettera rivolta a tutti i vescovi, nella quale si prendono di petto problemi reali, che vengono descritti per quello che sono e che senza mezzi termini vengono additati e chiamati per nome.
Problemi che si sono sì verificati nell’ultimo tempo nella Chiesa, ma rispetto ai quali il Papa risale all’origine ultima. Oltre a questo, ci sono poi indicazioni di altissimo livello che fanno appunto paragonare lo stile di questa lettera alle lettere paoline o a quelle dei padri apostolici: anche quelle, infatti, si rivolgevano alle chiese, affrontavano esplicitamente problemi concreti, e contemporaneamente ricentravano il discorso sulle ragioni più alte dell’azione del cristiano nel mondo. Grande dottrina, grande teologia, e allo stesso tempo grande sensibilità alle questioni reali che la Chiesa sta affrontando.

Quali sono le radici dei conflitti su cui il Papa fa chiarezza?

L’avversione che il Papa denuncia nei confronti delle comunità lefebvriane – un’avversione che egli non esita a paragonare a quella che si ha nei confronti del lebbroso, dell’intoccabile, del paria – in realtà ha delle ragioni che risalgono a un problema aperto dal Concilio Vaticano II: il rapporto tra il Concilio e la tradizione della Chiesa. È su questo crinale che si sono provocate della spaccature dentro la Chiesa stessa.

Una di queste spaccature è quella operata dai lefebvriani; ma è una spaccatura anche l’altro tipo di lettura estremistica, in base alla quale il Concilio viene visto come una rottura, come un nuovo cominciamento della Chiesa a prescindere dalla tradizione precedente.

Il Papa mostra come la sua mano tesa alla comunità lefebvriana è esattamente finalizzata a portare la Chiesa intera a riflettere su questa continuità tra il Concilio e la grande Tradizione, ricomponendo queste fratture.

E in che modo, concretamente, il gesto del Papa favorisce questa ricomposizione?

Il Papa innanzitutto risveglia l’attenzione sulle vere ragioni che hanno portato a questa separazione, che sono dottrinali. E poi aggiunge: come possiamo noi nella Chiesa stare fermi di fronte a situazioni di questo genere, quando nel mondo intero c’è il pericolo supremo, vale a dire la scomparsa di Dio? Noi dobbiamo portare gli uomini a Dio: come possiamo, se non siamo noi per primi testimoni di amore tra noi? Questo è il grande balzo verso l’alto che il Papa compie, a partire da un disordine che sembrava confinato dentro i limiti delle cronache vaticanistiche.

Nella lettera non mancano però anche le ammissioni degli errori commessi. Alla luce di queste ammissioni, che insegnamento lascia tutta questa vicenda?

Naturalmente questo è un altro dei punti espliciti della lettera, in cui il Papa non minimizza in nulla quelle che sono state le clamorose disfunzioni. Tali errori, dice il Pontefice, sono stati di due tipi: di comunicazione e di governo. Dal punto di vista della comunicazione, il Papa fa capire benissimo che c’è stato l’errore clamoroso, addirittura tecnico, di non aver fatto ricorso agli strumenti ormai usuali per rintracciare con estrema facilità il profilo delle persone coinvolte nella vicenda. Inoltre, non si è riusciti a far capire le ragioni della revoca della scomunica. La notizia ovunque diffusa è infatti stata questa: il Papa riaccoglie nella Chiesa i lefebvriani, e questo accade nel momento in cui Williamson fa le affermazioni che ben conosciamo. Questa notizia è assolutamente falsa: il Papa non ha riaccolto nella Chiesa nessuno, perché i lefebvriani restano separati esattamente come resta separato il mondo ortodosso del patriarcato d’Oriente anche dopo la revoca della scomunica tra Atenagora e Paolo VI. Anche quella scomunica è stata revocata, ma è stata revocata, come questa, per poter affrontare senza esclusioni reciproche il dialogo per risolvere il problema della separazione, che resta, ed è – in entrambi i casi – dottrinale. È dovuto passare quasi un mese perché il Papa potesse spiegare questa cosa.

Per quanto riguarda invece gli errori di “governo”?

Anche sul livello decisionale il Papa è intervenuto in modo molto esplicito, riconducendo l’ufficio Ecclesia Dei sotto l’ambito della Congregazione per la dottrina della fede. Il problema principale è che le decisioni sono state rese operative in modo slegato, e ciascuno s’è mosso per proprio conto. E la risposta del Papa è stata quella di ricordare che queste cose devono essere decise collegialmente, e in tali circostanze la Curia deve mettersi in gioco tutta intera.
Benedetto XVI ha così richiamato alla memoria quello che deve essere il modo normale di operare da parte della Curia romana, che purtroppo da molto tempo non opera più così.
Un problema che affonda le proprie radici al tempo del pontificato di Giovanni Paolo II, il quale non si occupò di questo problema, e durante il quale si crearono dei veri e propri “feudi”. Benedetto XVI, a sua volta, ha rinunciato ad operare una riforma della Curia che, se fosse stata intrapresa, avrebbe assorbito gran parte delle sue azioni.

Sui media non si è parlato solo di problemi di governo, ma anche di una presunta solitudine del Papa; ipotesi che lo stesso Benedetto XVI ha respinto, con garbo e forza allo stesso tempo, durante il volo che lo portava in Africa.

Il Papa ha in un certo senso girato in ironia una situazione, che però per certi aspetti resta seria.

Il termine solitudine del Papa è in effetti ambiguo: questo Papa non è affatto solo, se ci si riferisce al suo rapporto con la grande massa dei fedeli, che lo amano, e dei cittadini del mondo, che lo vedono come una grande autorità morale.

La solitudine riguarda il livello del rapporto con un apparato istituzionale che dovrebbe – per sua stessa ragione fondante! – sostenere il Papa e aiutarlo, e che in realtà invece non lo aiuta, e anzi a volte lo danneggia.
Un apparato fatto di persone che hanno rapporti formali con il Papa, ma che in realtà non lavorano coerentemente con lui, sostenendone l’azione. E lo si è visto in queste settimane. La Curia non funziona per quello che dovrebbe essere, cioè uno strumento agile al servizio del Papa: è un apparato fatto di tanti “feudi”, come dicevamo, in cui anche il Segretario di Stato non è assolutamente in grado di rimettere ordine.

Alla luce di questa difficile situazione, in che modo viene vissuto il viaggio in Africa?

Certamente è una boccata d’aria, sia per il Papa, sia per gli osservatori che vedono il Papa agire in un contesto che è quello tipico della sua missione di pastore universale. Purtroppo, ci sono anche qui di nuovo le contingenze che possono sminuire questa immagine: nel viaggio di andata c’è stato il dialogo con i giornalisti, e l’immancabile domanda sull’Aids, e questo è stato ovviamente il tema di tutte le corrispondenze del giorno successivo. Ecco dunque che c’è di nuovo un’enfatizzazione su un argomento non centrale, su cui per altro non si è detto niente di nuovo, e niente che dovrebbe fare notizia.
L’immagine del Papa è spesso quella che viene costruita, e questo viene fatto il più delle volte con schemi molto pregiudiziali, che fanno velo a quello che dovrebbe essere il vero scopo dell’informazione: far emergere genuinamente l’immagine reale del Papa, e del suo rapporto con i fedeli e il mondo intero.

© Copyright Il Sussidiario, 18 marzo 2009


[SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841]

+PetaloNero+
00giovedì 19 marzo 2009 19:55
Da Petrus

Addio al grande fotografo Gianni Giansanti



CITTA’ DEL VATICANO - Gianni Giansanti (nell'immagine), il grande fotografo che ha seguito Giovanni Paolo II in tutti i suoi viaggi nel mondo ed ha realizzato il libro fotografico ‘Benedetto XVI - L’alba di un nuovo papato’, e' deceduto a 50 anni di eta' in un ospedale romano, dove era ricoverato da pochi giorni per una grave malattia. sIl fotografo vaticanista e’ stato autore di indimenticabili reportage e straordinarie copertine di settimanali italiani anche su altri temi di attualita'. Ed e' stato un coraggioso fotoreporter di guerra, in particolare durante i conflitti dei Balcani. Sue anche le foto del drammatico ritrovamento del cadavere dello statista democristiano Aldo Moro negli anni '70. Le esequie nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.
Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:03
Re:

+PetaloNero+, 19/03/2009 19.55:

Da Petrus

Addio al grande fotografo Gianni Giansanti

CITTA’ DEL VATICANO - Gianni Giansanti (nell'immagine), il grande fotografo che ha seguito Giovanni Paolo II in tutti i suoi viaggi nel mondo ed ha realizzato il libro fotografico ‘Benedetto XVI - L’alba di un nuovo papato’, e' deceduto a 50 anni di eta' in un ospedale romano, dove era ricoverato da pochi giorni per una grave malattia. sIl fotografo vaticanista e’ stato autore di indimenticabili reportage e straordinarie copertine di settimanali italiani anche su altri temi di attualita'. Ed e' stato un coraggioso fotoreporter di guerra, in particolare durante i conflitti dei Balcani. Sue anche le foto del drammatico ritrovamento del cadavere dello statista democristiano Aldo Moro negli anni '70. Le esequie nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.



Riposi in pace. Grazie per le splendide immagini di B16 che ha saputo regalarci! [SM=g7841]

Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:04
Dal blog di Lella...

La aggressione a BXVI

Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:34
Dal blog di Lella...

L'Europa contro il Vaticano

Dietro l'attacco sui preservativi c'è solo il tentativo di screditare il Papa

di Giovanni Boggero

Il governo tedesco non molla. Dopo le severe critiche al Papa sul caso Williamson, l’esecutivo di grande coalizione torna ad attaccare il Vaticano. Questa volta in una forma più sobria, ma ad un tempo molto più diretta e pungente.
In un comunicato congiunto, senza direttamente citare il Pontefice, il Ministro della Salute Ulla Schmidt (Spd) e il Ministro per lo sviluppo e la cooperazione sociale Heidemarie Wieczorek-Zeul (Spd) sostengono che “ai più poveri deve essere dato accesso ai mezzi di pianificazione familiare. L’impiego dei condom rientra nel novero di questo concetto. Tutto il resto sarebbe irresponsabile”. Affermazione fatta propria anche dalla leader dei Verdi Claudia Roth e dal presidente dei liberali Guido Westerwelle.
Ma la ridda di dichiarazioni scatenata dalla frase proferita da Benedetto XVI nel suo viaggio in Camerun non si è fermata qui. Il responsabile sanità del partito socialdemocratico Wolfgang Wodarg ha accusato il Papa di “cinismo e di disprezzo per l’uomo”.
Ancora meno diplomatica la sua collega austriaca dell’Spö Bayr: “Il Papa annienta la vita”.

A guardar bene, pare quasi che in questa compatta alzata di scudi dei governanti di mezza Europa sia sotteso un disegno preciso. Un disegno volto a screditare il Papa, alterando volontariamente il contenuto delle sue parole e delle sue azioni.

Così è avvenuto già ai tempi di Ratisbona e poi più recentemente sull’onda delle dichiarazioni antisemite del vescovo Williamson. E ciò non si è verificato solo ai piani alti dei palazzi del potere, ma anche all’interno della Chiesa cattolica. Lo stesso monsignor Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, ha voluto mettere i puntini sulle "i", esplicitando oggi la sua visione del problema: “Dobbiamo liberarci dal tabu del preservativo- ha detto- la Chiesa non sta nell’angolo buio di quelli contrari al profilattico”. E ha aggiunto di apprezzare il metodo ABC (astinenza, fedeltà, condom) consigliato oggi in Uganda tanto dallo Stato quanto dalla Chiesa. D’altra parte questo non era affatto il messaggio del Papa, il quale si era limitato ad invitare a non considerare il preservativo come l’unica via alla risoluzione del problema.
Come ha ricordato lo stesso padre Gemmingen di Radio-Vaticana: "I missionari in Africa sanno già come bisogna muoversi. Il Papa non ha affatto bandito il preservativo, ma l'ha circoscritto a situazioni di emergenza".
In realtà, anche all’interno della Conferenza episcopale tedesca il malumore nei confronti di Benedetto XVI è alto. Tutti i porporati più in vista, dall’ex presidente dei vescovi Karl Lehmann a quello attuale Robert Zollitsch (molto tenero sul celibato) sono apertamente collocati sul fronte liberal e mal sopportano la guida spirituale di Benedetto XVI (che secondo alcuni media tedeschi starebbe ora meditando un terzo viaggio nella terra natale).
Dal punto di vista politico, invece, la questione è più complessa. Mai un governo tedesco si era intromesso così negli affari vaticani in così poco tempo. E ciò può senz’altro essere interpretato in chiave elettorale. Tra pochi mesi in Germania si voterà e i socialdemocratici ci tengono a prendere bene le distanze da una “versione” del cattolicesimo che il loro elettorato difficilmente digerisce. D’altro canto, anche nell’SPD, vi sono alcuni cattolici, come la leader dell’ala massimalista Andrea Nahles, la quale, in una intervista che uscirà nei prossimi giorni sulla stampa italiana, ha chiarito molto candidamente di non aver gradito i modi con cui la signora Merkel ha apostrofato il Papa.
Insomma, la campagna elettorale si gioca anche sulle frasi pronunciate in Vaticano. E l’Spd non deve dimostrarsi da meno della signora Merkel.

© Copyright L'Occidentale, 19 marzo 2009


Voglio credere che il vescovo ed il prete tedeschi stanno scherzando...
[SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564] [SM=g7564]

Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 12:43
Dal blog di Lella...

Le idee del Papa

Ratzinger erede ideale di Wojtyla

La riflessione

Giovanni Reale

Da qualche tempo vengono sollevate critiche contro Benedetto XVI, in quanto si sarebbe arroccato su posizioni retrograde. Sarebbe rimasto il teologo profondo, ma astratto, ben diverso da Giovanni Paolo II.

Ma chi dà questi giudizi non ha capito la grandezza dell'uomo.

Io conosco Ratzinger come teologo da tempo e condivido molte sue idee, che ho maturato - tra l'altro - studiando nella Germania dei suoi tempi avendo rapporti con le persone con i luoghi in cui egli ha insegnato.

La prima cosa che in lui diventato pontefice mi ha stupito è stato il modo in cui si è mirabilmente trasformato da teologo a pastore.

Ha fatto qualcosa di analogo a ciò che ha fatto Giovanni Paolo II. Quando ho pubblicato tutte le sue opere di poesia e di filosofia, mi ha pregato di non mettere sulla copertina il suo nome di pontefice, ma quello di Karol Wojtyla, in quanto erano state da lui scritte come credente, ma uomo del secolo. E il suo compito di pontefice era non quello di diffondere le proprie idee, ma quelle del Vangelo, come ha fatto Pietro. La stessa linea sta seguendo Benedetto XVI.
Del resto, chi ha letto il bel libro «Gesù di Nazaret», avrà notato come il contenuto corrisponda a quello che preannunciano i due nomi dell'autore nel modo in cui sono stampati in copertina: Joseph Ratzinger in piccolo e Benedetto XVI in grande. Parla l'agguerrito studioso dei testi e il teologo, ma nettamente al di sopra si pone l'uomo di fede; e il suo messaggio di fondo viene espresso nella conclusione del libro proprio con le parole di Pietro. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Ed è solo su questa base che si può ricostruire l'unità di tutti i Cristiani, che costituisce l'ideale programma del suo pontificato.

Ma vengo a un punto-chiave che fa comprendere lo spirito rivoluzionario di Ratzinger.

L'enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio del 1998 è assai innovativa. In particolare mi hanno colpito due idee. La prima suona: «La Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre». La seconda è la seguente: la fede ha un valore «metaculturale», in quanto non può essere incatenata all'interno di nessuna cultura; inoltre può stimolare varie culture, senza incatenarle.
In un incontro che ho avuto con Giovanni Paolo II, l'ho molto elogiato per queste due idee, che chiudono con il passato. Il Pontefice si è fatto molto serio e mi ha detto: quelle idee sono grandi, ma non le ho create io; ho degli eccellenti collaboratori cui sono debitore. Non ho faticato a capire che Giovanni Paolo II alludeva proprio a Ratzinger, che nel 1997 scriveva: «La filosofia e teologia neoscolastica, pur avendo al proprio attivo tante benemerenze, oggi sembra in qualche modo giunta alla fine», in quanto non è più «uno strumento adatto a far sì che la fede dialoghi con il proprio tempo». Il Tomismo, per quanto grande, non poteva più essere considerato la filosofia ufficiale della Chiesa, come da tempo si pensava. L'incontro del Cristianesimo con la cultura ellenica è stato un grande evento, che ha dato i suoi frutti, ma non va considerato affatto come definitivo, né come elemento condizionante per l'incontro della fede con altre culture.
Credo che queste siano idee rivoluzionarie a trecentossessanta gradi.
Penso che Ratzinger sia, sotto molti aspetti, l'ideale successore di Wojtyla. Dimostrerò questo soffermandomi su un punto particolare. Non solo come pontefice, ma fin dalla giovinezza Wojtyla aveva compreso come l'asse portante della vita dell'uomo sia l'amore, e in una poesia giovanile scriveva: «L'amore mi ha spiegato ogni cosa,/l'amore ha risolto tutto per me - perciò ammiro questo Amore/dovunque Esso si trovi». E in una lettera del 2002, dopo aver letto la mia interpretazione di tutte le sue opere letterarie (che ho pubblicato per la Bompiani), mi scriveva: «Illustre professore, Le sono riconoscente per avere sottolineato come proprio l'amore sia la sintesi - nell'essere e nell'esprimersi - di ciò che l'uomo cerca sulle vie della creazione artistica e su quelle della riflessione razionale. Del resto "Dio è amore" osserva l'apostolo Giovanni (I Gv 4, 8,16 ) e la persona umana, creata a sua immagine, è chiamata a crescere e a realizzarsi nell'amore».
Ritengo che la sua ultima enciclica avrebbe dovuto essere sul tema dell'amore. E Benedetto XVI ha dedicato la sua prima enciclica proprio all'amore. Ha scritto in modo incisivo: «"Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". Queste parole della Prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino». Ha inoltre più volte ribadito, anche prima di essere pontefice, che l'essenza del cristianesimo consiste in «una storia di amore fra Dio e gli uomini» , con tutto ciò che ne consegue. E sempre nell'enciclica scrive: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» . La tesi di fondo dell'enciclica è di grande verità: l'amore cristiano (l'agape ), non esclude l'eros (come molti pensano) ma lo include, lo rafforza e lo consacra.
Infine, ritengo opportuno richiamare ciò che scriveva nel Catechismo su una questione oggi in primo piano. Certe cure particolarmente gravose e senza esiti vantaggiosi possono essere «omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto di morire con dignità». È esattamente questa la tesi con cui Jacques Ellul concludeva il suo rivoluzionario libro «Il sistema tecnico»: «Allungare artificialmente la vita» significa «derubare l'uomo del momento più importante della propria vita, la morte».
Questo, però, rende le ultime prese di posizione del Vaticano incomprensibili.
Spero che Benedetto XVI su questo argomento non sia vittima dei suoi collaboratori e mantenga le idee espresse nel Catechismo , ossia difenda «il diritto del malato di morire con dignità», che per l'uomo è irrinunciabile. Solo chi capisce il senso della morte comprende il senso sacro della vita. Cristo stesso (che proprio con la morte ha ridato nuova vita all'uomo) ha pianto non solo per la morte che lo attendeva, ma anche per quella di Lazzaro, e proprio nel momento in cui stava per compiere il miracolo della sua risurrezione. Il che dimostra la profondità abissale del senso della morte, che non può e non deve essere vanificato da certi artifici della tecnica.

© Copyright Corriere della sera, 20 marzo 200
9

+PetaloNero+
00venerdì 20 marzo 2009 16:10
“I Venerdì di Propaganda”, iniziativa della Libreria Editrice Vaticana


Al via le interviste con gli autori: ospite Alessandra Borghese





di Mirko Testa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 20 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il 13 marzo scorso la Libreria Editrice Vaticana ha inaugurato, a Roma, presso il nuovo punto vendita di via di Propaganda Fide n.4, una serie di incontri culturali per far conoscere la propria produzione, presentare autori e approfondire tematiche particolari.

"I Venerdì di Propaganda" - è questo il nome dato all'iniziativa - sono curati dalla dott.ssa Neria De Giovanni, scrittrice ed esperta in letteratura femminile, nonché presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari e direttrice ad Alghero del periodico “Salpare”.

La programmazione termina a giugno di quest'anno per poi riprendere a settembre e prevede un paio di incontri al mese.

L'appuntamento di venerdì 20 marzo, alle ore 17.30, è dedicato ad un incontro con Alessandra Borghese, giornalista e scrittrice, autrice di “Lourdes. I miei giorni al servizio di Maria”, recentemente pubblicato negli Oscar Bestsellers Mondadori, con una appendice inedita.

“Gli incontri mirano a dare un'offerta culturale, nel centro della moda e della vita mondana di Roma”, ha spiegato a ZENIT la De Giovanni, che per la Libreria Editrice Vaticana ha recentemente pubblicato “Maria nella letteratura d’Italia” (2009), una antologia di 94 autori dagli albori del “volgare” al 2000 arricchita con illustrazioni di opere d’arte della Pinacoteca Vaticana.

“L'impostazione di base – ha spiegato – è legata alla nostra cultura cattolica ma con una apertura al dialogo, per sfatare il mito di una cultura cattolica vista sempre un po' come 'pretesca'”

“In fondo, il sale della terra è proprio questo: non qualcosa di chiuso in cantina ma un fermento nel mondo”, ha commentato.

“Si tratta, in sostanza, di un serie di incontri per creare una sorta di appuntamento importante, piacevole, che non durerà più di un'ora: tempo sufficiente per conoscere e conoscersi ma non per annoiarsi”.

“Ci saranno autori collegati alla Chiesa e non – ha detto – , dibattiti su tematiche di ampio respiro e presentazioni di libri anche specialistici su letteratura e arte”.

Il primo incontro, incentrato sul tema "Donne, Bibbia e Santità", ha visto la partecipazione di Maria Rosaria Del Genio, esperta in Storia della Mistica, e di Silvia Giacomoni, giornalista e scrittrice.

“E dicono che siamo poche è il titolo di un mio libro sulle scrittrici dell'ultimo Novecento, ma poche non siamo”, ha spiegato la De Giovanni accennando a quanto emerso durante la prima tavola rotonda.

“E sebbene la manualistica non abbia mai dato spazio e credito e voce alla donne nelle varie attività o la critica accademica sia lenta a capirlo – ha sottolineato –, nell'ultimo del Novecento e nei primi decenni del nuovo secolo la scrittura delle donne non solo è importante dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo”.

Secondo Neria De Giovanni, “insieme alla scrittura maschile quella femminile deve entrare nel canone estetico per evitare di rimanere un'eccezione lasciata ai margini dei percorsi d'informazione”.

Infatti, ha spiegato, “è veramente una ferita nella conoscenza delle persone non dire che esistono alcuni esempi di scrittura o di santità o di eroismo o di vita quotidiana al femminile o femminile”.

[Per maggiori informazioni: www.vatican.va/roman_curia/institutions_connected/lev/index...

+PetaloNero+
00venerdì 20 marzo 2009 16:10
Seconda predica di Quaresima in Vaticano: padre Cantalamessa parla dello Spirito Santo, legge nuova del cristiano


Padre Raniero Cantalamessa ha tenuto oggi nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano la seconda Predica di Quaresima davanti alla Curia Romana. Il predicatore della Casa Pontificia ha parlato dello Spirito Santo, legge nuova del cristiano. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Padre Cantalamessa ha sottolineato che lo Spirito Santo scende sulla Chiesa (50 giorni dopo la morte e risurrezione di Gesù) proprio nel giorno della Pentecoste ebraica - in cui Israele ricorda il dono della Legge sul Monte Sinai (50 giorni dopo l’uscita dall’Egitto) - per indicare che Egli è la legge nuova: legge scritta non più su tavole di pietra ma sui cuori, legge interiore. Senza lo Spirito anche i precetti evangelici per quanto elevati sarebbero rimasti inefficaci:

“Se fosse bastato proclamare la nuova volontà di Dio attraverso il Vangelo, non occorreva che Gesù morisse, risorgesse, mandasse lo Spirito Santo! Ma gli apostoli stessi sono il segno che non bastava aver sentito perfino dalle labbra di Gesù le beatitudini: di fatto, non sono in grado – al momento giusto – di osservare nulla, tanto meno di porgere l’altra guancia … Se Gesù si fosse limitato a promulgare il comandamento nuovo dicendo: ‘Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri’, esso sarebbe rimasto come era prima: legge vecchia. E’ quando, a Pentecoste, infonde – mediante lo Spirito – quell’amore nei cuori, che diventa legge nuova … E’ in questo senso che la legge nuova è legge, cioè fa fare le cose, spontaneamente, potremmo dire: da innamorati. Perché questa è la legge degli innamorati!”.

Ma se la nuova legge dello Spirito è legge di libertà – nota padre Cantalamessa – l’osservanza dei comandamenti è il banco di prova dell’amore. Infatti la legge custodisce l’amore contro ogni debolezza. Chi ama intensamente – ha spiegato - percepisce il pericolo che domani potrebbe stancarsi e non amare più. Per questo fa opera di prevenzione legandosi all’amore con la legge. Qui il religioso cappuccino ricorda il mito di Ulisse: “Ci leghiamo per lo stesso motivo per cui Ulisse si legò all’albero della nave”:

“Ulisse voleva a tutti i costi rivedere la sua patria e la sua sposa che amava. Sapeva che doveva passare attraverso il luogo delle Sirene e temendo di fare naufragio come tanti altri prima di lui, si fece legare all’albero della nave dopo aver fatto turare le orecchie ai suoi compagni. Giunto al luogo delle Sirene fu ammaliato, voleva raggiungerle e gridava per essere sciolto, ma i marinai non udivano e così oltrepassò il pericolo e poté raggiungere la meta”.


www.radiovaticana.org
Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 18:41
Dal blog di Lella...

PATRIARCATO MOSCA: PADRE TCHAPLINE, “SOLIDALI CON BENEDETTO XVI”

Il Patriarcato di Mosca esprime la sua solidarietà a Papa Benedetto XVI riguardo alle posizione espresse nei giorni scorsi sui metodi per combattere la diffusione dell’Aids.
Il sito ufficiale della Diocesi di Chersonèse (Chiesa ortodossa russa di Francia, Patriarcato di Mosca) pubblica oggi un commento di padre Vsevolod Tchapline, vice presidente delle Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca che conferma che anche per la Chiesa ortodossa “è sbagliato considerare il preservativo come strumento per sradicare la diffusione dell’Aids”. Secondo padre Tchapline “non sono mezzi esterni di contraccezione che possono diminuire la propagazione dell’Aids, ma una educazione giusta e uno stile di vita regolare”.
Ed aggiunge: "la diffusione dell’Aids può essere fermata solo attraverso una educazione etica alla popolazione interessata e non attraverso il ricorso ai preservativi”. E sullo stesso sito, si rilancia anche quanto a questo proposito viene affermato sui “Fondamenti della dottrina sociale” della Chiesa ortodossa russa. E si commenta: “può sembrare troppo idealista e difficile alla nostra epoca, ma anche la Chiesa ortodossa ritiene che l’amore casto è il mezzo più sicuro per mettere l’uomo al sicuro da ogni malattia sessualmente trasmissibile”.

© Copyright Sir


[SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841]

Paparatzifan
00sabato 21 marzo 2009 21:24
Da "Cantuale Antonianum"...

VENERDÌ 20 MARZO 2009

La crisi della Santa Sede nella comunicazione con i media

Damian Thompson del quotidiano inglese Telegraph (ma con lui molti altri giornalisti ed esperti della comunicazione) stanno ormai facendo qualche considerazione professionale dietro gli ultimi grossi problemi di comunicazione da parte della Santa Sede.
Nel suo ultimo post sulla questione il buon Thompson, dopo aver messo in rilievo che i più malevoli nemici di papa Benedetto sono proprio i cattolici che dovrebbero essergli fedeli alleati e invece imperversano sui media "laici", scrive una condanna senza appello:


Tutto questo rende ancora più urgente che l'ufficio stampa del Vaticano sia completamente ristrutturato. Nel permettere che fosse posta a bordo dell'aereo papale una domanda sui preservativi, padre Lombardi ha fatto "un casino spettacolare". Dovrebbe andarsene. Il Papa ha bisogno di un portavoce verso i media molto più sottile e geniale - se non altro per proteggerlo dai Cattolici stessi.

Il problema c'è ed è evidente: le domande in una conferenza stampa papale sono approvate, non possono essere a ruota libera (vedi post di Rodari). Ma chi ha vigilato su ciò che sarebbe stato chiesto al Papa non aveva idea del problemino? E di chi è la responsabilità per quelle risposte ritoccate nei testi diffusi dalla Sala Stampa vaticana? Questi sono solo gli ultimi dei grossi incidenti mediatici che tutti ben conosciamo (Williamson, le scomuniche, le fughe di notizie, il vescovo ausiliare di Linz...). Purtroppo la risposta, in tutti i casi, è padre Federico Lombardi.
E' possibile continuare con questo macello?
Padre Lombardi, perchè non fa lui un passo indietro prima che glielo chiedano altri? Si occupi della Radio Vaticana, lo fa benissimo, e insista perchè si torni al modello "Navarro Valls" per il portavoce del Papa. Anche l'entourage del Papa e tutti i collaboratori della Curia, avendo un portavoce a tempo pieno ed esclusivo, con professionalità adeguata, non ne avranno che benefici.



[SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841]

Paparatzifan
00domenica 22 marzo 2009 19:20
Dal blog di Lella...

Guerra al Papa in nome del preservativo

di Gianteo Bordero

sabato 21 marzo 2009

Ormai è chiaro che quello di Benedetto XVI sarà tramandato ai posteri come un pontificato contestato. Tanto intra ecclesiam quanto extra ecclesiam. Sia dentro la Chiesa che al di fuori di essa. Dopo le polemiche nate in seguito alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, che si sono intrecciate con lo scalpore destato dalle posizioni negazioniste di monsignor Williamson, a far scoccare la scintilla per una nuova vampata di critiche a Papa Ratzinger sono state in questi giorni le dichiarazioni rilasciate dal pontefice in un colloquio con i giornalisti durante il volo che ha lo portato in Africa per la sua visita apostolica in Camerun e Angola che si protrarrà fino al prossimo lunedì.
Interrogato da un giornalista di France 2 in merito alla questione della diffusione dell'Aids nel continente africano e ai metodi per arginarla, Benedetto ha risposto, senza giri di parole, affermando che: «Non si può risolvere il flagello con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema». Apriti cielo! Nel giro di poche ore le dichiarazioni del Papa sono state prese di mira dalla grande stampa internazionale e dalle cancellerie di mezza Europa, dalla Francia alla Germania, dall'Olanda e dal Belgio alla Spagna (il governo Zapatero ha subito annunciato l'invio in Africa di un milione di profilattici da distribuire alla popolazione), fino ad arrivare alla stessa Unione Europea. Ministri degli Esteri o della Sanità del Vecchio Continente hanno usato toni forti contro Ratzinger, accusato, a seconda dei casi, di «irresponsabilità», di recare «minacce alla salute pubblica», di «scarsa attenzione ai poveri», di non comprendere «la reale situazione dell'Africa». Anche le Nazioni Unite, solitamente silenti di fronte alle vere minacce alla dignità e ai diritti dell'uomo, stavolta non hanno fatto mancare la loro voce: l'Agenzia Onu per la lotta all'Aids ha precisato che l'uso del condom è una risposta importante nella strategia di prevenzione.
In Italia non poteva mancare, tra le altre, la reazione critica del «cattolico adulto» Dario Franceschini, sempre pronto a prendere le distanze dalle posizioni ufficiali espresse dal Papa e dalla gerarchia e a sposare le cause del laicismo ideologico (come dimenticare, ai tempi del governo Prodi, la sua crociata contro i vescovi all'indomani del documento della Cei contro i Dico?). Il segretario del Partito Democratico, riecheggiando in ciò il suo predecessore Walter Veltroni - autore di un (in)dimenticato libro sull'Africa dall'inquietante titolo Forse Dio è malato, nel quale sollecitava la distribuzione di profilattici come rimedio all'Aids - ha dichiarato che l'uso del preservativo è «indispensabile e da diffondere per combattere l'Aids, la disperazione e la morte in Africa e nei paesi più poveri del mondo».
Tutti contro il Papa, dunque, salvo alcune eccezioni, come quella rappresentata dal presidente del Consiglio italiano, che ha riconosciuto a Benedetto XVI la «coerenza con il suo ruolo» e la fedeltà «alla sua missione». E ha aggiunto: «Rispettiamo la Chiesa e ne difendiamo la libertà anche quando si trova a proclamare principi e concetti difficili e impopolari». Resta da chiedersi il perché di tanto astio nei confronti del pontefice. Certamente egli, con le sue parole, è andato ancora una volta controcorrente rispetto ad uno dei punti fermi della mentalità politicamente corretta, un punto accettato come dogma dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale: più condom uguale meno Aids. Da questo punto di vista, la posizione ratzingeriana (che peraltro ribadisce quanto già detto e ridetto da Giovanni Paolo II), per quanto minoritaria, sembra però corroborata dai dati forniti dalle istituzioni internazionali, prima fra tutte la stessa Agenzia dell'Onu per la lotta all'Aids, che ha ammesso di recente l'alta percentuale di «fallibilità» del preservativo. Inoltre, quello che emerge da diversi studi è che, da quando in Africa si sono intensificate le campagne per la diffusione, la distribuzione e l'uso del profilattico, i numeri dei contagi non hanno registrato cali significativi (si veda, ad esempio, il caso del Sud Africa). Di contro, in quei paesi (come l'Uganda) dove maggiore è stato l'impulso dato all'educazione alla fedeltà, all'astinenza e alla responsabilità coniugale, si è assistito ad una diminuzione delle infezioni. Perciò ne ha ben donde il Papa ad affermare, come ha fatto nel suo colloquio con i giornalisti, che «la soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l'uno con l'altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi».
Non si tratta dunque di negare il flagello rappresentato dall'Aids, né di nascondere sotto il tappeto il dramma vissuto da intere popolazioni - spesso nel silenzio e nell'indifferenza globale - ma di andare alla radice del problema senza pregiudizi e senza ipocrisie. Ed è qui che si innesta il secondo motivo, dopo quello più marcatamente statistico e scientifico, alla base delle contestazioni internazionali contro Benedetto XVI. Egli, rispondendo all'inviato di France 2, ha detto che prima di tutto, per affrontare a testa alta la questione dell'Aids, occorre «l'anima».

E' proprio questo richiamo alla dimensione spirituale ad infastidire la buona coscienza della mentalità dominante (anche in Europa), secondo la quale, una volta inviati in Africa qualche cargo di preservativi e una buona dose di aiuti in denaro, si può tranquillamente ritenere di aver contribuito a debellare la terribile malattia.

Invece Papa Ratzinger richiama a un di più che non tocca i tesori statali, ma che inerisce al patrimonio spirituale e morale che il cristianesimo ha creato ovunque esso si è impiantato: l'educazione al vero e al bene, che sola può incidere in profondità nei costumi di un popolo, sino al punto di indirizzarli in una direzione radicalmente diversa.

Non si tratta di una propaganda unilaterale, ma di uno sforzo che coinvolge a un tempo chi educa e chi è educato, che richiede l'amorevole dedizione del primo e la leale disponibilità del secondo. Un'educazione che parte da un atto di fiducia in chi si ha di fronte, che non guarda all'altro dall'alto in basso ma si fa compagna di strada.
E' questo ciò che Benedetto intende quando parla dell'impegno della Chiesa cattolica sul fronte della lotta all'Aids, quando elogia i movimenti e le associazioni presenti in Africa, anche se certamente egli è cosciente delle criticità e delle differenti posizioni che esistono all'interno stesso della Chiesa in merito alla questione dell'utilizzo del condom. Ma il Papa non abbassa di un millimetro l'asticella dei termini del problema, che rimane, in ultima analisi, un fatto - come dice lui - di «umanizzazione», di «rinnovamento dell'uomo interiore» che porta con sé anche un modo diverso di vivere la sessualità, una rivoluzione del normale modo di intendere i rapporti che solo può vivificare e riedificare dall'interno una civiltà ferita e martoriata.

© Copyright Ragionpolitica, 21 marzo 2009


+PetaloNero+
00lunedì 23 marzo 2009 01:23
Un italiano eletto nuovo Vicariato Apostolico di Awasa (Etiopia)

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato Vicario Apostolico di Awasa (Etiopia) il rev.do padre Giovanni Migliorati, M.C.C.I., Rettore del Seminario Maggiore e Segretario Generale del Vicariato Apostolico di Awasa (Etiopia), assegnandogli la sede titolare vescovile di Ambia.

Il Santo Padre ha aveva precedentemente accettato la rinuncia al governo pastorale di questo Vicariato Apostolico presentata da mons. Lorenzo Ceresoli, M.C.C.I., al raggiungimento dei 75 anni d'età (can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico).

Giovanni Migliorati è nato a Pavone Mella, in provincia di Brescia, il 24 agosto 1942. Compiuti gli studi primari e secondari nel proprio paese, nel 1965 è entrato nel Noviziato dei Missionari Comboniani di Sunningdale (Brighton), in Inghilterra.

Ha proseguito gli studi filosofici a Crema e a Venegono Superiore (Varese). Dopo aver emesso i voti perpetui il 9 settembre 1968, è diventato sacerdote il 12 aprile 1969.

Dopo l’ordinazione, tra il 1969 e il 1971 si è dedicato allo tudio della lingua amharica ad Addis Abeba; tra il 1971 e il 1973 è stato Vicario parrocchiale a Fullasa e ad Arramo; tra il 1974 e il 1979 è stato Direttore del Centro catechistico di Dongora (Vicariato Apostolico di Awasa); tra il 1979 e il 1984, Maestro dei novizi; tra il 1984 e il 1986, Promotore vocazionale; tra il 1986 e il 1994, Vicario Generale e Superiore locale; e infine tra il 1994 e il 200, formatore della prima Comunità Comboniana Polacca a Varsavia.

Dal 2001 è Rettore del Seminario maggiore di Awasa e Segretario generale del Vicariato.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 06:43.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com