Notizie dal B16F

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+PetaloNero+
00sabato 30 maggio 2009 15:47
Domani colletta Cei per il fondo in aiuto alle famiglie in difficoltà


Una Colletta nazionale in tutte le parrocchie: la promuove per domani, domenica 31 maggio, la Conferenza episcopale italiana per dare il via alla costituzione del Prestito della Speranza, fondo straordinario di garanzia di 30 milioni di euro con cui la Chiesa italiana vuole sostenere le famiglie che, a causa della crisi, sono più in difficoltà. Istituito d’intesa con l’Associazione Bancaria Italiana, il fondo sarà operativo a partire dal prossimo primo settembre. Oltre alle offerte che verranno raccolte nelle chiese, è possibile contribuire anche con versamenti su conto corrente postale o bancario. Ma quale è il significato particolare della Colletta di domani? Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Giampietro Fasani, economo della CEI:

R. – La colletta è un modo tipicamente cristiano, ecclesiale, per condividere con i fratelli le difficoltà. Credo anche nel profondo compito educativo della colletta stessa, per chi vive in una situazione di disagio e quindi sente che tutti i fratelli gli sono accanto, ma anche per ricordare a chi non è toccato dalla crisi che la solidarietà è una dimensione tipicamente ecclesiale.


D. – Come partecipare in concreto a questa colletta e poi quali altre modalità ci saranno per contribuire al fondo?


R. – Noi speriamo che tutte le Chiese italiane siano attente a questo invito che la Chiesa ha fatto, perché nelle varie chiese sia fatta la colletta. Ma poi c’è anche la possibilità di farlo attraverso il conto corrente bancario e il conto corrente postale.


D. – L’obiettivo del fondo è sostenere le famiglie. Ma non sarà la diocesi o la parrocchia a versare alle famiglie direttamente dei soldi, che invece verranno dati in forma di prestito mensile dalle banche che hanno aderito all’iniziativa. Quindi, stiamo parlando di un prestito. Perchè non si è pensato invece ad una donazione?


R. – Il problema è stato studiato e visto sotto molte angolature. Noi crediamo che con un fondo di 30 milioni di euro la donazione ci porterà ad aiutare qualche persona. Con la tecnica del prestito, con un fondo di 30 milioni di euro riusciamo ad utilizzare 180 milioni che le banche mettono a disposizione delle famiglie colpite dalla crisi.


D. – E’ previsto che la restituzione del prestito avverrà nel momento in cui la famiglia che l’ha ottenuto potrà godere di nuovo di un reddito certo. Si presuppone perciò che la crisi attuale sia superabile in tempi abbastanza brevi. Non è un pensiero troppo ottimistico, una speranza troppo ottimistica?


R. – Speriamo che non sia ottimistica. Le proiezioni ci danno che questa crisi finanziaria è in fase di conclusione. Speriamo che la crisi economica segua la crisi finanziaria e che vada verso una risoluzione. Il problema rimane sicuramente molto aperto, perché fine della crisi vuol dire che terminano le casse integrazione, che non ce ne saranno di aggiunte. Vuol dire meno licenziamenti o anche che i cassa integrati potranno tornare a lavoro, che alcuni licenziati potranno essere riassunti? Noi speriamo che ci possa essere un’effettiva ripresa del lavoro.


D. – Mons. Fasani la Chiesa italiana che cosa vuol dire agli uomini e alle donne di oggi con l’iniziativa del fondo?


R. – La Chiesa vuol dire che è vicina, sa ascoltare, sa essere presente nei momenti belli, nei momenti duri e che è un sostegno perchè sa farsi carico dei fratelli che sono nel bisogno. Credo che questo sia il messaggio più bello di questo tentativo di vicinanza che la Chiesa offre ai propri fratelli.


Radio Vaticana
Paparatzifan
00sabato 30 maggio 2009 20:37
Dal blog di Lella...

Imminente sarebbe anche la nomina del successore del cardinale americano Francis Stafford

Vaticano, dall'africano Sarah al portoghese Monteiro De Castro giro di nomine nella Curia romana

Alla guida del Pontificio consiglio per la Giustizia e la pace il Papa ha deciso di designare monsignor Robert Sarah

Roma, 30 mag.- (Adnkronos)

Sarà un vescovo africano a sostituire il cardinale Renato Raffaele Martino alla guida del Pontificio consiglio per la Giustizia e la pace. Salvo improbabili sorprese dell'ultima ora il Papa ha infatti deciso di designare monsignor Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry e attuale Segretario della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli.
Il prelato, che sta per compiere 64 anni, è in Vaticano dal 2001. L'annuncio della nomina dovrebbe avvenire subito dopo la pubblicazione dell'enciclica sociale di Benedetto XVI (Caritas in veritate), che porterà la firma del 29 giugno e sarà presentata nei giorni successivi dal cardinale Martino. Con questo avvicendamento un vescovo del continente africano torna alla guida di un importante ufficio curiale romano, dopo le dimissioni per raggiunti limiti d'età del nigeriano Francis Arinze dalla Congregazione del Culto.
Si attende un cambio anche alla Congregazione dei vescovi: il Segretario, l'arcivescovo Francesco Monterisi, ha compiuto 75 anni due giorni fa e al termine dell'Anno Paolino, che si conclude il 29 giugno, sarà designato arciprete della Basilica di San Paolo fuori le Mura, al posto del cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo.
Come numero due della ''fabbrica dei vescovi'' guidata dal cardinale Giovanni Battista Re potrebbe arrivare l'attuale nunzio apostolico a Madrid, il portoghese Manuel Monteiro de Castro, 71 anni, anche se una decisione definitiva in proposito non e' stata ancora presa.
L'eventuale designazione di un non italiano quale Segretario della Congregazione per i vescovi farebbe pensare che il successore di Re, quando saranno accettate le sue dimissioni per raggiunti limiti d'eta', presentate lo scorso 30 gennaio, sarà un prelato del Belpaese. Imminente sarebbe anche la nomina del successore del cardinale americano Francis Stafford, Penitenziere maggiore: l'incarico è stato offerto nei giorni scorsi al settantatreenne nunzio apostolico a Parigi, l'italiano Fortunato Baldelli.
Da molto tempo si parla poi della sostituzione dell'arcivescovo Paolo Sardi, incaricato di coordinare i collaboratori del Papa per la scrittura dei discorsi. Sardi compirà 75 anni in settembre, e dovrebbe diventare il nuovo cardinale patrono del Sovrano Ordine militare di Malta.
Mentre ancora non si sa nulla di preciso sulle destinazione dell'assessore Gabriele Caccia e del sottosegretario ai rapporti con gli Stati Pietro Parolin, ormai da più di un anno in predicato di lasciare la Segreteria di Stato per diventare nunzi apostolici (per il primo si è parlato del Libano), ma la cui partenza è stata rallentata dal Sostituto della Segreteria di Stato, Fernando Filoni, la cui influenza su tutta la Curia romana si è andata sempre più accrescendo e consolidando.
La lentezza con cui si procede alle nomine lascia trasparire come a quattro mesi di distanza dal caso Williamson, non manchino i problemi e gli intoppi nel governo della Curia romana.

© Copyright Adnkronos


Paparatzifan
00sabato 30 maggio 2009 20:53
Dal blog di Lella...

POLEMICA CHIUSURA DELL’ASSEMBLEA DEI VESCOVI ITALIANI

"Potenti lobbies cercano di soffocare la voce del Papa"

L'accusa di Bagnasco: «Pressioni molto forti da parte di gruppi economici e finanziari»

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

Il Papa nel mirino dei grandi interessi.
«A livello mondiale, esistono pressioni molto forti di lobbies economiche e finanziarie contro il Papa e la Chiesa», denuncia il leader dei vescovi, Angelo Bagnasco che già lunedì aveva aperto l'Assemblea generale della Cei mettendo in guardia dal «poteri forti».
Gli stessi termini usati da Benedetto XVI nella battaglia sui Dico. Ieri, Bagnasco ha concluso la riunione annuale dell'episcopato italiano con un vibrante appello a difesa del Pontefice.
«Tutti gli analisti descrivono questo scenario. Alcune parti della dottrina cattolica creano difficoltà nei confronti del Papa e della Chiesa, che spera di continuare a farsi ascoltare da ogni soggetto».
Le occasioni di scontro tra «grandi interessi» e la predicazione di Benedetto XVI non sono mancati fin dall'inizio del pontificato.
In primo luogo, le critiche con cui il Papa nel viaggio in Africa ha stigmatizzato le pratiche contraccettive e l'uso del preservativo, ossia condotte incentivate dalle industrie farmaceutiche in sintonia con l'Oms e altri organismi internazionali fino a creare nell’opinione pubblica un viatico di massa alla promiscuità sessuale.
Inoltre, il Pontefice è entrato in rotta di collisione anche con il nuovo business planetario del cibo "hi-tech", condannando la vasta propaganda degli Ogm che secondo le multinazionali dovrebbero garantire la sicurezza alimentare.
«Invece - deplora Benedetto XVI - si tratta di una tecnica che rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici di Ogm».
Proprio dai «moderni potentati» che attaccano il Papa e la Chiesa mette in guardia il capo della Chiesa italiana.
«Ogni volta che la Chiesa propone il suo magistero e la sua concezione della persona, andando contro interessi che si pongono sul piano individuale, non può trovare d'accordo tutti», sottolinea Bagnasco rilanciando l'allarme vaticano lanciato dal ministro pontificio degli Affari sociali.
«Potenti lobbies culturali, economiche e politiche, mosse da interessi e dal pregiudizio verso tutto quello che è cristiano contrastano e tentano di soffocare l'ascolto degli interventi del Papa - ammonisce il cardinale Renato Martino -.
Un insieme di interessi strutturati in Occidente lotta per affermare l'irrilevanza del pensiero cristiano. Disturba soprattutto l'impegno del Papa per la difesa dei diritti umani, a partire da quello fondamentale alla vita».
Oggi, evidenzia Martino, «le voci del Papa e della Chiesa cattolica sono poco ascoltate o vengono deliberatamente fatte sparire, sommergendole nel frastuono e nel baccano orchestrati da potenti lobbies che promuovono la confusione dei ruoli nell'identità di genere, sbeffeggiano il matrimonio tra un uomo e una donna, calpestano la vita, fatta oggetto delle più strampalate sperimentazioni».
A finire sul banco degli imputati di queste lobbies («nuove sante inquisizioni piene di soldi e di arroganza»), è la Chiesa cattolica e i cristiani «verso i quali ogni metodo è lecito se serve a zittirne la voce». Quindi, «dall'intimidazione al disprezzo pubblico, dalla discriminazione culturale all'emarginazione».
Ma la Chiesa, «forte della forza che le viene da Dio e della sua bimillenaria esperienza - assicura Martino continuerà ad annunciare il Vangelo contro tutti i relativismi, gli oscurantismi dell'illuminismo post-moderno, il soggettivismo individualista della cultura laicista che trasforma i diritti in arbitrio».

© Copyright La Stampa, 30 maggio 2009


+PetaloNero+
00domenica 31 maggio 2009 16:40
Maria e lo Spirito Santo nel discorso del Papa ieri al termine del Rosario nei Giardini Vaticani


L’importanza della Pentecoste è stata ribadita dal Papa anche ieri sera, al termine del Santo Rosario che si è svolto nei Giardini Vaticani, in chiusura del mese mariano di maggio. Nelle sue parole, Benedetto XVI ha sottolineato lo stretto rapporto tra Maria e lo Spirito Santo, invitando tutti i fedeli a seguirne docilmente le ispirazioni. Il servizio di Isabella Piro:

(canto: “Mira il tuo popolo”)


È un cielo che mozza il fiato e rafforza la preghiera quello che si stende su Roma e i Giardini Vaticani quando inizia la recita del Santo Rosario. Un cielo così bello e profondo che rende grazie al suo Creatore. Tanti i fedeli presenti, ognuno con una fiaccola alzata in onore di Maria e con la preghiera pronta, nel cuore e sulle labbra. A passo lento, percorrono la strada in salita che va dalla Chiesa di Santo Stefano degli Abissini alla Grotta di Lourdes. Lì, ad attenderli, c’è Benedetto XVI. “La grande festa di Pentecoste – dice il Papa – ci invita a meditare sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria, un rapporto strettissimo, privilegiato, indissolubile”, perché “la fede di Maria ‘attira’ il dono dello Spirito Santo”:

"L’intera vicenda della nascita di Gesù e della sua prima infanzia è guidata in maniera quasi palpabile dallo Spirito Santo, anche se non viene sempre nominato. Il cuore di Maria, in perfetta consonanza con il Figlio divino, è tempio dello Spirito di verità, dove ogni parola e ogni avvenimento vengono custoditi nella fede, nella speranza e nella carità (cfr Lc 2,19.51)".

Nel cuore immacolato della Madre, continua il Papa, Gesù ha sempre trovato “un “focolare” acceso di preghiera e di costante attenzione alla voce dello Spirito”, segno di una “singolare sintonia tra Madre e Figlio nel cercare la volontà di Dio”. Poi, il Santo Padre si sofferma sugli ultimi istanti della vita di Gesù, quando, sul Calvario, lascia a Maria l’effusione del suo Spirito e il “grido silenzioso del suo Sangue”, versato per la salvezza del mondo:

"Maria sapeva da dove veniva quel sangue: si era formato in lei per opera dello Spirito Santo, e sapeva che quella stessa “potenza” creatrice avrebbe risuscitato Gesù, come Egli aveva promesso".

In questo modo, continua Benedetto XVI, la fede di Maria finisce per essere un punto di riferimento per i discepoli e per tutti i credenti:

"Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: “Vieni, Signore Gesù” (cfr Ap 22,17.20)".

Di qui, l’invito finale del Papa ad imitare la Madre di Gesù:

"Cari amici, alla scuola di Maria, impariamo anche noi a riconoscere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare le sue ispirazioni e a seguirle docilmente. Egli ci fa crescere secondo la pienezza di Cristo, secondo quei frutti buoni che l’apostolo Paolo elenca nella Lettera ai Galati: “Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22)".

(canto:” È l’ora che pia”)





www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=870&sett...
+PetaloNero+
00domenica 31 maggio 2009 16:41
Benedetto XVI nella solennità di Pentecoste: lo Spirito Santo scaccia la paura. Al Regina Caeli aggiunge: la Chiesa è un corpo vivo, la cui vitalità è frutto dello Spirito


La Chiesa è oggi in festa per la solennità di Pentecoste. Benedetto XVI ha presieduto stamani la Santa Messa nella Basilica Vaticana per celebrare la discesa dello Spirito Santo su Maria e sugli Apostoli nel Cenacolo. Cinquanta giorni dopo la Pasqua si realizza quanto Gesù aveva promesso ai discepoli: il battesimo nello Spirito Santo e l’effusione di una potenza dall’alto per avere la forza di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni. Con la Pentecoste si compie il progetto di Dio di dar vita ad un popolo nuovo e nasce la Chiesa. Nell’omelia il Santo Padre si è soffermato sulle immagini con cui viene rappresentato lo Spirito Santo. Al Regina Caeli ha aggiunto che lo Spirito Santo è l'anima della Chiesa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

(Musica)


Riferendosi al racconto della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, Benedetto XVI ricorda che lo Spirito Santo è rappresentato dalle immagini della tempesta e del fuoco. La tempesta è descritta come “vento impetuoso”. Questa metafora – osserva il Santo Padre - “fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere”. L’aria e lo Spirito Santo – aggiunge il Papa - sono entrambi indispensabili per la vita:


“Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale”.


Al parallelismo tra aria e Spirito Santo il Papa accosta poi un’altra similitudine: “Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria - e per questo l'impegno ecologico rappresenta oggi una priorità - altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo Spirito”. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste – aggiunge Benedetto XVI - fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, “l’aria salubre dello spirito che è l’amore”.


“Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà”.


Il Pontefice si sofferma poi sul fuoco, l’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli:


“Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del ‘dono di Dio’ ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce”.


Dio vuole continuare a donare questo “fuoco” ad ogni generazione umana ed essendo Spirito “soffia dove vuole”. La via che Dio ha scelto per “gettare il fuoco sulla terra” – spiega il Papa - è “Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto”. Ma l’uomo oggi “sembra affermare se stesso come dio”. Vuole trasformare il mondo “escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo”:


“L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre”.

Questo allontanamento non si traduce solo in una deriva spirituale ma anche in un pericolo per l’intera umanità:

“Nelle mani di un uomo così, il ‘fuoco’ e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia. A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite”.


Ricevere il dono dello Spirito significa comprendere il significato del vivere in comunità alla luce della Scrittura. Nel racconto che descrive la Pentecoste si sottolinea che i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Questo luogo – spiega il Santo Padre – è il Cenacolo dove “Gesù aveva fatto coi i suoi apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto”.

“Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: ‘Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera’ (At 1,14). Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera”.


Questo presupposto – aggiunge il Papa – vale anche per la Chiesa di oggi:

“Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola. Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno ‘affannata’ per le attività e più dedita alla preghiera”.


Lo Spirito Santo vince la paura. I discepoli – ricorda Benedetto XVI - si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e “vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte”. A Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini “uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto”. Non avevano alcun timore – sottolinea il Santo Padre - perché si sentivano nelle mani del più forte:


“Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona”.


Non si può aver timore – afferma il Papa - se ci si affida a questo amore infinito:


“Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini. Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore”.

Al Regina Caeli Benedetto XVI sottolinea poi come lo Spirito Santo, “disceso sulla Chiesa nascente”, l'ha resa missionaria, inviandola ad annunciare a tutti i popoli la vittoria dell'amore divino sul peccato. Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Senza di Lui - si chiede il Papa - a che cosa si ridurrebbe la Chiesa?


“Sarebbe certamente un grande movimento storico, una complessa e solida istituzione sociale, forse una sorta di agenzia umanitaria. Ed in verità è così che la ritengono quanti la considerano al di fuori di un’ottica di fede. In realtà, però, nella sua vera natura e anche nella sua più autentica presenza storica, la Chiesa è incessantemente plasmata e guidata dallo Spirito del suo Signore. E’ un corpo vivo, la cui vitalità è appunto frutto dell’invisibile Spirito divino”.

Ricordando che quest'anno la solennità di Pentecoste cade nell'ultimo giorno del mese di maggio, in cui abitualmente si celebra la festa mariana della Visitazione, il Pontefice fa notare che la giovane Maria è “icona stupenda della Chiesa nella perenne giovinezza dello Spirito, della Chiesa missionaria del Verbo incarnato”. Dopo il Regina Caeli, il pensiero del Santo Padre è andato infine ai giovani dell'Abruzzo che in questi giorni si stanno raccogliendo numerosi intorno alla Croce delle Giornate Mondiali della Gioventù, portata in pellegrinaggio nella loro regione da un gruppo di volontari.


"In comunione con i giovani di quella terra duramente colpita dal terremoto, chiediamo a Cristo morto e risorto di effondere su di loro il suo Spirito di consolazione e di speranza".


(Musica)



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=871&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=872&sett...
Paparatzifan
00domenica 31 maggio 2009 18:15
Dal blog di Lella...

ACCADUTO IERI A ROMA E LASCERÀ IL SEGNO

Piccolo, scandaloso dialogo tra un bambino e il Papa

MARINA CORRADI

Dialogo fra il Papa e un bambino.
«Ma tu, avevi mai pensato di diventare Papa?»
E lui, Benedetto: «Non me lo sarei mai immaginato. Ancora ho difficoltà a capire come il Signore abbia pensato a me, destinato proprio me a questo ministero, ma lo accetto dalle sue mani, anche se è una cosa che va molto oltre le mie forze. Ma il Signore mi aiuta».
Accade spesso, e chi ha figli lo sa, che siano i bambini a fare le domande più autentiche: quelle che mettono a nudo, e costringono a guardarsi dentro. Ma tu, avevi mai immaginato di diventare Papa? No, ha sorriso Benedetto XVI, riandando col pensiero a sé, bambino nella Germania della guerra: « Ero un ragazzo abbastanza ingenuo, in un piccolo paese» .
Ma il giovane interlocutore ha spinto il Papa ancora oltre nella sincerità.
Quell’ « ancora ho difficoltà a capire perché il Signore abbia scelto proprio me » sa di un interrogarsi interiore lungamente frequentato, dal giorno dell’elezione al soglio di Pietro; forse già dalle ore in cui sapeva che i voti del Conclave convergevano sulla sua persona.
«Perché proprio me? Questo compito va oltre le mie forze» .
Il segreto lavorio della coscienza del Papa, rivelato dalla domanda di un ragazzino. E ci sarà forse chi se ne stupisce, e chi se ne smarrisce: il Papa, che avverte il suo compito superiore alle sue forze? Che si domanda perché è toccato proprio a lui? Certo, è difficile immaginare che si pongano questa stessa domanda i capi delle nazioni, e i presidenti delle multinazionali che governano il mondo.
Non hanno di queste inquietudini, solitamente, gli uomini che praticano il potere. E se proprio qualcuno glielo chiedesse, se fossero sinceri direbbero: sono qui perché sono il migliore, il più intelligente, il più abile, il più scaltro. Sono qui per il mio merito e per la decisione con cui ho costruito il mio personale progetto. E invece l’uomo che siede sul soglio pontificio ragiona in tutta un’altra prospettiva. Quella di chi è stato scelto per un compito, che non immaginava e a lui stesso pareva troppo gravoso.
Quella di chi, tuttavia, aderisce ad un disegno non suo: certo che Dio lo aiuta. La differenza di sguardo contenuta in quella breve risposta, è radicale.
È lo scarto fra la vita intesa come un proprio autocentrato progetto, o invece come un disegno di Dio, cui liberamente aderire. Nel ' mondo' è così obbligatoria e diffusa la prima prospettiva – la tensione a seguire se stessi, le proprie inclinazioni, e il denaro, la gloria, il potere – che la risposta del Papa a qualcuno potrà sembrare quasi incomprensibile.
Invece quest’uomo ci dice semplicemente che, lì dove è seduto, non ci si è portato da sé, né ha lavorato in tal senso. Ci è stato chiamato, messo, da un disegno altrui e sconosciuto, cui pure ha consentito, per servire la Chiesa.
Perché i cristiani sanno che c’è un disegno per ciascuno: umile, apparentemente comune, o straordinario, ma in nessun caso irrilevante. La risposta dell’uomo a questo disegno si chiama vocazione: ciascuno ha la propria, ognuno è chiamato a un compito, in cui realizzerà la propria vita. Non solo per sé, ma per gli altri. Ogni vita è servizio per gli altri. Ora, oggi questa idea dell’umano destino può apparire sorprendente e scandalosa, nel tempo in cui libertà è solo culto e soddisfazione di inclinazioni, gusti, o di mode. Per il cristiano invece il destino è in un ' sì'; in fin dei conti, in una obbedienza. Ma questa parola da molti anni non piace: vecchia, impronunciabile, proibita. Che assurdità: il nostro destino, ce lo fabbrichiamo solo da noi. E Dio, se anche c’è, è un Dio che con la nostra vita, quella di ogni mattina, non c’entra.
«Ancora ho difficoltà a capire come il Signore abbia potuto pensare a me… » . Piccolo, scandaloso dialogo, a Roma, tra un bambino e un cristiano.

© Copyright Avvenire, 31 maggio 2009


[SM=j7798]
Paparatzifan
00domenica 31 maggio 2009 18:48
Dal blog di Lella...

PAPA: NON HO CAPITO PERCHE' DIO HA SCELTO PROPRIO ME

di Elisa Pinna

CITTA' DEL VATICANO

Non capita tutti i giorni che un papa confessi in pubblico, sul palco dell'Aula Nervi e di fronte a migliaia di ragazzini, di chiedersi ancora perché Dio abbia scelto proprio lui nel ruolo di successore di Pietro.
Benedetto XVI lo ha fatto oggi, rispondendo con sincerità alle domande di alcuni suoi piccoli fedeli che hanno avuto l'opportunità di intervistarlo, durante l'incontro organizzato dall'associazione cattolica dell' 'Opera dell'infanzia missionarià.
"Ancora ho difficoltà di capire come il Signore poteva pensare a me, destinare me proprio a questo ministero, ma lo ho accettato dalle sue mani, anche se era una cosa sorprendente e che andava molto oltre le mie forze.
Il Signore mi aiuta", ha spiegato Ratzinger ad un bambino che, microfono in mano, gli aveva chiesto se da piccolo avesse mai immaginato di diventare pontefice. "Non, non lo avrei mai pensato", ha risposto, dichiarandosi ancora stupito per quel che gli è accaduto. Parole che possono sorprendere un pubblico che vede in Benedetto XVI il volto del teologo rigoroso e intransigente in materia di fede.
Ma non chi conosce la sua storia personale, la sua timidezza, la sua modestia.
Già dal 1991, Ratzinger aveva chiesto di poter lasciare il suo posto di Prefetto della Congregazione per la Dottrina delle Fede (che occupava dal 1981) e di tornare a dedicarsi ai suoi studi, nella prospettiva di una tranquilla vecchiaia.
Papa Wojtyla aveva però sempre rifiutato le dimissioni del suo più prezioso collaboratore; Dio - come ha ricordato oggi lo stesso pontefice in carica - ha poi deciso altrimenti. L'incontro con i ragazzini, ha dato lo spunto a Benedetto XVI per un più ampio amarcord sulla sua infanzia. Come un nonno ai nipotini, Ratzinger si è raccontato: era un bambino "ingenuo", non un "santo", a cui capitava anche di bisticciare con gli amici, per poi subito riappacificarsi. "I litigi capitano nella vita - ha ammesso il papa. "L'importante - ha raccomandato ai suoi giovani interlocutori - è l'arte del perdono e della riconciliazione, che non lascia amarezze nell'anima". Ratzinger ha trascorso gli anni della scuola elementare a Traunstein, un paesino di 400 persone a ridosso del confine austriaco, dove la sua famiglia si era trasferita dalla natia Marktl Amm Inn. Era un villaggio "dimenticato" della provincia tedesca, ha rievocato il papa, lontano dai grandi agglomerati cittadini.
"Eravamo un po' ingenui - ha detto Benedetto XVI -. La nostra famiglia era arrivata da un altro paese e noi, agli inizi, eravamo un po' stranieri per loro, parlavamo anche un altro dialetto". "Tuttavia - ha proseguito - si era creata una bella comunione tra noi; mi hanno insegnato il loro dialetto, abbiamo collaborato, anche litigato e poi ci siamo riconciliati e dimenticato quanto accaduto".
All'età di 8-9 anni Joseph diventò chierichetto. "Le ragazze - ha ammesso - leggevano meglio di noi e a loro era affidato la lettura delle sacre scritture". "Non eravamo santi - ha aggiunto sorridendo - ma eravamo una bella comunità, dove non c'erano distinzioni tra ricchi e poveri". Joseph e i suoi amici di Traunstein guardavano al papa di allora, Pio XI, con senso di amore e soggezione.
"Era ad un'altezza per noi irraggiungibile", ha osservato l'uomo divenuto 265/esimo successore di Pietro, nel conclave dell'aprile 2005.

© Copyright Ansa


Paparatzifan
00domenica 31 maggio 2009 18:51
Dal blog di Lella...

Il Papa «Non so perché Dio mi ha scelto»

La confessione La risposta di Benedetto XVI alla domanda di un bambino: «Da piccolo ero ingenuo e facevo il chierichetto»

Rodolfo Lorenzoni

«Non so perché Dio abbia scelto me: io non avrei mai pensato di diventare Papa».
Con la più stupefacente delle affermazioni, sincera e ingenua come i bambini ai quali si sta rivolgendo, Benedetto XVI sorprende il mondo mostrando il suo volto più profondamente umano.
L'occasione è l'incontro con migliaia di fanciulli dell'Opera per l'infanzia missionaria: il contatto con tanta gioiosa gioventù spinge il Papa teologo a rievocare, con semplice freschezza e parlando a braccio, gli albori della sua vita, ossia i primi passi sulla terra del futuro successore di Pietro.
E quando uno dei bimbi gli chiede se avesse mai pensato di diventare Pontefice, Ratzinger sorride con dolcezza e si lascia andare alla confidenza, confessando candidamente: «Ancora ho difficoltà nel capire come il Signore poteva pensare a me, come potesse destinare proprio me a questo ministero, per questo "mestiere", ma lo accetto dalle sue mani, anche se era una cosa sorprendente e che andava molto oltre le mie forze. Ma il Signore mi aiuta».
Una rivelazione certo straordinaria, una frase insolita sulla bocca di un Vicario di Cristo, ma che può apparire stonata solo a chi non conosce questo Papa.
Da sempre desideroso di tornare ai suoi amatissimi studi, Ratzinger da cardinale aveva già più volte chiesto al suo venerato predecessore Giovanni Paolo II di poter lasciare Roma e le gravose responsabilità nella curia. Ma, come riconosce oggi lo stesso Benedetto, lo Spirito Santo era già all'opera e lo aveva predestinato al supremo compito di questi anni. Manifestare oggi con candore la sua «ignoranza» per Benedetto è, insieme, il riconoscimento del volere di Dio e l'assunzione sulle sue spalle del sommo dovere che ne è derivato: un atto di fede e l'accettazione, da parte del grande teologo, di un Dio talvolta indecifrabile.
Nel racconto del Papa, infatti, tutto comincia segretamente da lontano: «Sono stato un ragazzo ingenuo in una piccola provincia dimenticata – ricorda Benedetto ai piccoli riuniti in Sala Nervi – noi giovani vedevamo il Papa come nostro Padre, ma anche come una realtà molto lontana e superiore a noi. Chi avrebbe mai pensato che un giorno sarei diventato io Papa?».
All'epoca sul soglio di Pietro, col nome di Pio XI, sedeva Achille Ratti, e il piccolo Joseph era già immerso nella religione. «Facevo sempre il chierichetto – racconta Benedetto con il suo tipico sorriso, parlando degli anni di Traustein, il piccolo paese nei pressi del confine con l'Austria in cui la sua famiglia si era trasferita -. Alle ragazze era affidato il compito di leggere le Sacre Scritture, perché sapevano leggere meglio di noi: non eravamo dei santi, comunque eravamo una bella comunità, dove nei rapporti non c'erano distinzioni tra ricchi e poveri».
Ma la purezza dell'animo, quella era presente già allora: «Eravamo un po' ingenui. La nostra famiglia era arrivata da un altro paese, tuttavia tra noi si era creata una bella comunione. A volte capitava di litigare, ma poi il desiderio era di fare subito pace». L'arte del perdono e della riconciliazione che un giorno quel ragazzo, diventato Benedetto XVI, avrebbe insegnato al mondo.
Sempre ieri il Vaticano ha annunciato il prossimo viaggio di Benedetto XVI nella Repubblica Ceca dal 26 al 28 settembre prossimi. L'annuncio della Santa Sede è arrivato al termine dell'incontro tra Benedetto XVI e il presidente della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus.

© Copyright Il Tempo, 31 maggio 2009


+PetaloNero+
00domenica 31 maggio 2009 23:34
La Croce dei giovani visita le vittime del terremoto d'Abruzzo
Ambasciatrice della consolazione di Dio



CITTA' DEL VATICANO, domenica, 31 maggio 009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha inviato la Croce della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) come segno di consolazione per le popolazioni e soprattutto per i giovani dell'Abruzzo, dove il 6 aprile scorso il terremoto ha provocato quasi 300 vittime.

La Croce, portata da dodici volontari del Centro Giovanile San Lorenzo della Santa Sede, come ha spiegato lo stesso Pontefice questa domenica a mezzogiorno nella recita della preghiera mariana del Regina Caeli insieme alle migliaia di pellegrini riunite in Piazza San Pietro in Vaticano, sta unendo molti ragazzi e ragazze.

"In comunione con i giovani di quella terra duramente colpita dal terremoto, chiediamo a Cristo morto e risorto di effondere su di loro il suo Spirito di consolazione e di speranza", ha affermato.

La Croce è giunta questo sabato alla Casa dello Studente de L'Aquila, dove sono morti otto ragazzi, ed è stata accolta dai giovani della città. Dopo un momento di preghiera, è stata portata nella tendopoli n. 1, dove ha trascorso la serata, iniziata con la Veglia di Pentecoste.

Questa domenica è stata portata nella Scuola della Guardia di Finanza, dove il Vescovo de L'Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, ha celebrato una Messa durante la quale ha impartito il sacramento della Cresima. Nel resto della giornata la Croce ha percorso le tendopoli delle località vicine. Secondo il programma, è previsto che torni a Roma il 2 giugno.

"Perché portare la Croce a L'Aquila?", si è chiesto l'organizzatore dell'iniziativa, p. Eric Jacquinet, responsabile della Sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici.

"Il pellegrinaggio continuo della Croce delle GMG è davvero una sorgente di grazia immensa", ha risposto, ricordando che questo simbolo del cristianesimo percorre il mondo da quando Giovanni Paolo II la consegnò il 22 aprile 1984 ai giovani dopo l'Anno della Redenzione.

"Molte sono le persone sofferenti che ai suoi piedi hanno trovato consolazione e pace. Molti sono coloro che, attraverso di essa, hanno toccato il mistero di Dio rivelato in Cristo. Molti sono stati toccati dalla misericordia di Cristo per i peccatori e hanno trovato la forza di chiedere il battesimo o il sacramento della riconciliazione. Molte sono le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che sono nate ai piedi di questa Croce", ha aggiunto il sacerdote francese.

La Croce percorrerà la Spagna prima della celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù 2011 a Madrid.
+PetaloNero+
00domenica 31 maggio 2009 23:34
Il Pontefice chiede un aiuto "più concreto" per i Paesi poveri
Nelle intenzioni di preghiera per il mese di giugno



CITTA' DEL VATICANO, domenica, 31 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI chiede le preghiere dei credenti perché i Paesi poveri siano aiutati in modo più concreto, soprattutto per permettere loro di liberarsi dal debito estero.

Lo si legge nelle intenzioni di preghiera per il mese di giugno contenute nella lettera pontificia che il Papa ha affidato all'Apostolato della Preghiera per quest'anno.



L'intenzione generale di preghiera per il mese di giugno è: "Perché l'attenzione internazionale verso i Paesi più poveri susciti un più concreto aiuto, in particolare per sollevarli dallo schiacciante onere del debito estero".
Ogni mese si prega anche per un'intenzione missionaria. Quella di giugno recita: "Perché le Chiese particolari operanti nelle regioni segnate dalla violenza siano sostenute dall'amore e dalla vicinanza concreta di tutti i cattolici del mondo".

L'"Apostolato della Preghiera" (www.adp.it) è un'iniziativa seguita da circa 50 milioni di persone nei cinque continenti.

+PetaloNero+
00lunedì 1 giugno 2009 17:38
Per il mese di giugno, il Papa chiede ai fedeli di pregare affinché i Paesi più poveri siano liberati dal peso del debito estero. Il commento di Sergio Marelli


“Perché l’attenzione internazionale verso i Paesi più poveri susciti un più concreto aiuto, in particolare per sollevarli dallo schiacciante onere del debito estero”: è l’intenzione generale di preghiera di Benedetto XVI per il mese di giugno. Il Papa torna quindi a chiedere un supplemento di solidarietà verso chi è nel bisogno, specie in un periodo di crisi economica. Sul richiamo del Pontefice, Alessandro Gisotti ha intervistato Sergio Marelli, direttore generale della Focsiv:

R. - Penso che sia una costante dei messaggi dei Pontefici, che all’avvicinarsi dei grandi appuntamenti internazionali - in questo caso il vertice del G8 all’Aquila, che si terrà il prossimo 6-8 luglio - richiamano questa necessità di preoccuparsi anche dei Paesi poveri. Mi sembra che quest’anno, in questa congiuntura economica finanziaria così grave, tale richiamo sia oltremodo opportuno. Pensare di trovare delle soluzioni a questa crisi, che si è abbattuta anche su noi, in Italia, senza pensare a delle soluzioni globali che coinvolgano anche i Paesi poveri sia, fondamentalmente, come pensare a una “non soluzione”.

D. - Nel recente discorso ad otto ambasciatori ricevuti in Vaticano per le lettere credenziali, il Papa ha messo l’accento su due punti: solidarietà verso i più bisognosi e sobrietà nello stile di vita. E’ lungo queste due direttrici che si può davvero invertire la rotta?

R. - E’ un messaggio che noi accogliamo con grande favore perché Focsiv con i suoi volontari, in qualche modo, ha sempre cercato di incarnare esattamente questa idea, cioè che insieme alle grandi scelte che bisogna fare - la cancellazione del debito, stanziare risorse adeguate per aiutare i Paesi poveri, mettere in atto dei meccanismi e riformare le strutture perché ci sia più giustizia a livello planetario - occorra anche un atteggiamento personale. Molti cittadini che incontriamo nel nostro lavoro ci dicono: “Ma noi che cosa possiamo fare?” Il nostro messaggio è sempre quello che Benedetto XVI ha ricordato: ci vogliono le grandi scelte ma occorrono anche delle scelte di vita quotidiane, piccole, costanti, che vengono fatte a livello individuale… quello che il Papa definisce giustamente “uno stile di vita più sobrio”, perché questo livello di consumi non ci consentirà di lasciare alle generazioni prossime un futuro che sia sostenibile.

D. - Nella Messa di Pentecoste il Papa ha sottolineato che, accanto a un inquinamento ecologico, c’è anche un “inquinamento del cuore e dello spirito”. Non è possibile un’economia senza etica, ci ricorda il Papa…

R. - L’etica viene prima di tutto. I fondamenti dei valori devono essere quelli che orientano e che guidano le scelte in tutti i campi della vita politica e sociale. Un’economia e una finanza che non siano ispirate e orientate al bene comune e, quindi, a dei valori etici, portano a dei risultati e a delle situazioni che purtroppo oggi stiamo constatando anche noi nei nostri Paesi ma che, soprattutto, stanno vivendo i Paesi poveri e le popolazioni povere del Sud del mondo. La massimizzazione del profitto, anche a costo di violare, di calpestare i diritti umani, è una di quelle storture che portano a un sistema malato. Porta a quelle che Giovanni Paolo II chiamava le “strutture di peccato”. Penso che riporre l’etica, oggi, nei fondamenti delle scelte personali e delle scelte collettive sia il grande imperativo e la grande urgenza cui giustamente la Chiesa ci richiama.



Radio Vaticana
+PetaloNero+
00lunedì 1 giugno 2009 17:39
Il dialogo tra i cristiani e il contributo della Chiesa alla società al centro dell'udienza del Papa al presidente ucraino Yushenko


Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza il presidente dell’Ucraina, Viktor Yushenko, con la consorte e il seguito. Nel corso dei cordiali colloqui – si legge nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - ci si è soffermati sulla situazione internazionale. A livello bilaterale sono stati ricordati i buoni rapporti esistenti tra l’Ucraina e la Santa Sede e “alcune prospettive di approfondimento della collaborazione in ambito culturale e sociale”. Esprimendo la volontà di trovare soluzioni eque alle questioni ancora aperte tra lo Stato e la Chiesa, sottolinea la nota, non si è mancato inoltre di rilevare il contributo offerto “anche dalla Chiesa cattolica alla società ucraina per l’educazione ai valori cristiani e alla loro diffusione”. E’ stata infine ribadita "l’importanza del dialogo tra i cristiani per promuovere l’unità nel rispetto di tutti".

Successivamente, il presidente Yushenko, accompagnato dal ministro degli Affari Esteri ad interim, Volodymyr Khandogiy, ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.




L'unità tra cattolici e ortodossi nell'udienza al Presidente ucraino
Visita in Vaticano di Viktor Yushchenko



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI e il Presidente dell'Ucraina, Viktor Yushchenko, hanno sottolineato questo lunedì l'importanza dell'unità tra i cristiani per una Nazione in cui negli ultimi anni ci sono state tensioni tra cattolici e ortodossi.

Il Pontefice e il Capo di Stato hanno avuto un colloquio privato di circa 25 minuti nella biblioteca del Santo Padre.

Yushchenko, accompagnato dal Ministro degli Esteri ucraino, Volodimir Khandogiy, ha poi incontrato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, e l'Arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Secondo quanto rende noto un comunicato emesso dalla Santa Sede, nel colloquio “sono stati evocati con compiacimento i buoni rapporti esistenti tra l’Ucraina e la Santa Sede, nonché alcune prospettive di approfondimento della collaborazione in ambito culturale e sociale”.

“Esprimendo la volontà di trovare soluzioni eque alle questioni ancora aperte tra lo Stato e la Chiesa, non si è mancato di rilevare il contributo offerto anche dalla Chiesa cattolica alla società ucraina per l’educazione ai valori cristiani e la loro diffusione”.

Parlando di soluzioni “eque” alle questioni, il comunicato si riferiva alla situazione della Chiesa cattolica di rito orientale, il cui patrimonio è stato espropriato nel 1946 dopo che era stata abolita da Stalin e consegnato alla Chiesa ortodossa, maggioritaria nel Paese.

Dopo la caduta del comunismo, nel 1990, le autorità ucraine hanno restituito la legalità alle comunità cattoliche e hanno approvato una legge per la restituzione dei beni confiscati.

I cattolici di rito orientale hanno recuperato parte dei loro beni, ma ci sono esponenti ortodossi che ritengono che alcune di queste proprietà appartengano a loro da molto tempo e continuano a opporsi alla loro restituzione.

Per questo motivo, indica il comunicato vaticano, negli incontri si è sottolineata “l’importanza del dialogo tra i cristiani per promuovere l’unità, nel rispetto di tutti e in ordine ad una pacifica convivenza”.

Yushchenko ha regalato al Papa un busto in marmo che rappresenta il volto del Pontefice. Benedetto XVI ha ricambiato con la medaglia in oro del suo pontificato e una riproduzione di un'antica vista della Città del Vaticano.

Dei 45 milioni di abitanti dell'Ucraina, il 10% è cattolico, di rito latino o orientale.



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=873&sett...
+PetaloNero+
00lunedì 1 giugno 2009 17:39
Il Papa nomina mons. Di Tora e mons. Marciante vescovi ausiliari di Roma


Il Papa ha nominato oggi vescovi ausiliari della diocesi di Roma, per il settore pastorale Nord, mons. Guerino Di Tora e, per il settore pastorale Est, mons. Giuseppe Marciante. Benedetto XVI ha inoltre accolto la rinuncia di mons. Enzo Dieci all'ufficio di ausiliare di Roma, per raggiunti limiti di età. Il servizio di Benedetta Capelli:

Sessantatre anni, romano, mons. Guerino Di Tora vanta una lunga esperienza nella Caritas diocesana di Roma, che guida fin dal 1997. Dopo aver compiuto gli studi filosofici e teologici al Pontificio Seminario Romano, è stato ordinato sacerdote il 14 marzo 1971. E proprio del Pontificio Seminario Romano diventa assistente fino al 1974; l’anno successivo è vicario parrocchiale della chiesa di san Policarpo a Cinecittà, qui rimane fino al 1998. Lascia la periferia est di Roma e diventa, nello stesso anno, parroco della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere. Nel 1997 inizia la sua esperienza nella Caritas diocesana di Roma. La nomina del Papa è, per mons. Guerino Di Tora, la valorizzazione del lavoro silenzioso e impegnativo della stessa Caritas:

"Un riconoscimento per tutte le attività che sono cominciate con don Luigi Di Liegro, con i suoi sacrifici, come la sua totale e piena dedizione, che abbiamo sempre cercato di continuare".

Mons. Giuseppe Marciante, 58 anni nativo di Catania, è stato ordinato sacerdote il 5 ottobre 1980. Dal 1987 è parroco di “San Giuseppe”, nella diocesi di Albano, e poi due anni dopo è nella parrocchia di “San Romano Martire” nei pressi della via Tiburtina. Mons. Marciante ha più volte sottolineato la necessità di difendere la vita e quindi i bambini, i poveri e gli ammalati. “Amare, nel linguaggio di Gesù – ha ricordato nel corso di una celebrazione – significa scegliere di essere vulnerabili”.


Radio Vaticana
+PetaloNero+
00lunedì 1 giugno 2009 17:40
Pubblicato il calendario delle celebrazioni liturgiche presiedute dal Papa da giugno a settembre


La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato oggi il calendario delle celebrazioni liturgiche presiedute dal Papa fino al mese di settembre. Tanti i momenti importanti, tra cui due visite pastorali in Italia e un viaggio apostolico internazionale e, ancora, l’inizio dell’Anno Sacerdotale. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Giovedì 11 giugno, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, Benedetto XVI celebrerà la Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, alle ore 19, e successivamente guiderà la processione a Santa Maria Maggiore. Venerdì 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il Papa celebrerà - nella Basilica Vaticana - i Secondi Vespri per l’Inizio dell’Anno Sacerdotale. Domenica 21 sarà, dunque, in visita pastorale a San Giovanni Rotondo. Domenica 28, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Papa celebrerà i Primi Vespri per la chiusura dell’Anno Paolino. Il giorno dopo, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, celebrerà la Messa nella Basilica Vaticana e imporrà il Pallio ai nuovi metropoliti. Nel mese di agosto, il giorno 15, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, alle ore 8, celebrerà la Messa nella Chiesa Parrocchiale di San Tommaso da Villanova di Castel Gandolfo. A settembre, il Papa sarà in visita pastorale a Viterbo e Bagnoregio, domenica 6. Infine, da sabato 26 a lunedì 28 sarà a Praga, nella Repubblica Ceca, per il suo 13.mo viaggio apostolico internazionale.


Radio Vaticana
Paparatzifan
00lunedì 1 giugno 2009 22:22
Dal blog di Lella...

Movimenti musicali. Il coro di Colonia scalza quello della Cappella Sistina

La Pentecoste è caduta quest’anno il 31 maggio, che è anche la festa della visita di Maria ad Elisabetta e quindi, secondo i Vangeli, il giorno di nascita del “Magnificat”, pietra miliare della musica cristiana.
Benedetto XVI – grande cultore del canto liturgico – non s’è lasciato sfuggire la ricorrenza.
Nell’omelia ha ringraziato il coro per aver accompagnato “molto opportunamente” il rito con “una sublime sinfonia per la gloria di Dio” quale è la Harmoniemesse, l’ultima delle messe composte da Franz Joseph Haydn, della cui morte ricorre nel 2009 il duecentesimo anniversario.

Qual è stato però il coro che il papa ha ringraziato? Quello della Cappella Sistina?

No. Il coro della Cappella Sistina era presente, come sempre nelle messe del papa in Vaticano. Ma era come relegato in un angolo, per pochi e sbiaditi canti di contorno.
Il coro e l’orchestra che hanno validamente eseguito la Harmoniemesse di Haydn e che il papa ha ringraziato sono stati invece il coro del Duomo e la Kammerorchester di Colonia.
Secondo gli intenditori, questo è il segnale che papa Joseph Ratzinger farà presto quella sostituzione del direttore della Cappella Sistina che molti da tempo invocano come passo obbligato per ridare vita all’accompagnamento musicale delle messe papali.
Da quando nel 1997 fu proditoriamente cacciato il maestro che la dirigeva, Domenico Bartolucci, il coro della Sistina è infatti precipitato a un livello miserevole.
Monsignor Bartolucci, a 92 anni, ancora compone e dirige, ma solo in concerto. È ritenuto il più grande interprete al mondo di Palestrina e della musica liturgica della Scuola Romana.
Domenica 21 giugno alle ore 21, nella Pontificia Università Gregoriana e nel quadro della Festa Europea della Musica, Bartolucci dirigerà proprio alcuni dei capolavori di Palestrina da lui più amati, tra i quali il Credo della Messa di Papa Marcello e il monumentale Stabat Mater a 8 voci. Un appuntamento da non mancare.

© Copyright Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister


Paparatzifan
00lunedì 1 giugno 2009 22:24
Dal blog di Lella...

I due segretari del Papa festeggiano 25 anni di sacerdozio

I monsignori Georg Gänswein e Alfred Xuereb

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).

Due dei più stretti collaboratori di Benedetto XVI hanno festeggiato in questi giorni 25 anni di sacerdozio.
Si tratta, come informa “L'Osservatore Romano”, di monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Papa, e di monsignor Alfred Xuereb, noto come secondo segretario del Pontefice.
Monsignor Gänswein è stato ordinato sacerdote a Friburgo in Brisgovia (Germania) il 31 maggio 1984.
Per celebrare l'anniversario, monsignor Gänswein ha scelto la frase della Lettera di San Paolo ai Filippesi (4, 13) “Omnia possum in eo, qui me confortat” (Tutto posso in Lui, che mi conforta).
Monsignor Gänswein, nato il 30 luglio 1956 a Riedern am Wald, Waldshut (Baden-Württemberg, Germania), ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico presso l'Università Ludwig Maximilian di Monaco.
Dopo aver lavorato nella Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel 1996 è passato a collaborare con il Cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. In quel periodo, è stato anche docente di Diritto Canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma.
E' segretario del Cardinale Ratzinger dal 2003, quando ha sostituito l'attuale Vescovo Josef Clemens, ora segretario del Pontificio Consiglio per i Laici.

Monsignor Alfred Xuereb ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale a Gozo (Malta) il 26 maggio 1984.
Per sintetizzare i suoi 25 anni di ministero ha scelto una frase tratta dagli insegnamenti di Benedetto XVI: “Non cerco di essere compreso dal mondo, mai di essere di Cristo nella verità”.
Monsignor Xuereb lavora nella segreteria del Papa dal settembre 2007.

© Copyright Zenit


Paparatzifan
00lunedì 1 giugno 2009 22:26
Dal blog di Lella...

L'unità tra cattolici e ortodossi nell'udienza al Presidente ucraino

Visita in Vaticano di Viktor Yushchenko

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).

Benedetto XVI e il Presidente dell'Ucraina, Viktor Yushchenko, hanno sottolineato questo lunedì l'importanza dell'unità tra i cristiani per una Nazione in cui negli ultimi anni ci sono state tensioni tra cattolici e ortodossi.
Il Pontefice e il Capo di Stato hanno avuto un colloquio privato di circa 25 minuti nella biblioteca del Santo Padre.
Yushchenko, accompagnato dal Ministro degli Esteri ucraino, Volodimir Khandogiy, ha poi incontrato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, e l'Arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
Secondo quanto rende noto un comunicato emesso dalla Santa Sede, nel colloquio “sono stati evocati con compiacimento i buoni rapporti esistenti tra l’Ucraina e la Santa Sede, nonché alcune prospettive di approfondimento della collaborazione in ambito culturale e sociale”.
“Esprimendo la volontà di trovare soluzioni eque alle questioni ancora aperte tra lo Stato e la Chiesa, non si è mancato di rilevare il contributo offerto anche dalla Chiesa cattolica alla società ucraina per l’educazione ai valori cristiani e la loro diffusione”.
Parlando di soluzioni “eque” alle questioni, il comunicato si riferiva alla situazione della Chiesa cattolica di rito orientale, il cui patrimonio è stato espropriato nel 1946 dopo che era stata abolita da Stalin e consegnato alla Chiesa ortodossa, maggioritaria nel Paese.
Dopo la caduta del comunismo, nel 1990, le autorità ucraine hanno restituito la legalità alle comunità cattoliche e hanno approvato una legge per la restituzione dei beni confiscati.
I cattolici di rito orientale hanno recuperato parte dei loro beni, ma ci sono esponenti ortodossi che ritengono che alcune di queste proprietà appartengano a loro da molto tempo e continuano a opporsi alla loro restituzione.
Per questo motivo, indica il comunicato vaticano, negli incontri si è sottolineata “l’importanza del dialogo tra i cristiani per promuovere l’unità, nel rispetto di tutti e in ordine ad una pacifica convivenza”.
Yushchenko ha regalato al Papa un busto in marmo che rappresenta il volto del Pontefice. Benedetto XVI ha ricambiato con la medaglia in oro del suo pontificato e una riproduzione di un'antica vista della Città del Vaticano.
Dei 45 milioni di abitanti dell'Ucraina, il 10% è cattolico, di rito latino o orientale.


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00martedì 2 giugno 2009 00:50
Card. Hummes: un anno per mostrare ai sacerdoti l'amore della Chiesa
Intervista al prefetto della Congregazione per il Clero

di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).- L'Anno Sacerdotale che Benedetto XVI ha convocato dal 19 giugno in occasione del 150° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato di Ars, cerca di mostrare ai sacerdoti l'amore che la Chiesa prova per loro.

Lo spiega in questa intervista concessa a ZENIT il Cardinale Cláudio Hummes, O.F.M., prefetto della Congregazione per il Clero, ex Arcivescovo di San Paolo (Brasile).

Qual è l'obiettivo principale dell'Anno Sacerdotale?

Card. Cláudio Hummes: Innanzitutto la circostanza. Sarà un anno giubilare per i 150 anni della morte di San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato di Ars. Questa è l'occasione, ma il motivo fondamentale è che il Papa vuole dare ai sacerdoti un'importanza speciale e dire quanto il Pontefice li ami e li voglia aiutare a vivere con gioia e fervore la loro vocazione e missione.

Vuole soprattutto questo, in un momento in cui c'è una grande espansione di una nuova cultura. Oggi domina la cultura postmoderna, relativista, urbana, pluralista, secolarizzata, laicista, in cui i sacerdoti devono vivere la loro vocazione e la loro missione.

La sfida è capire come essere sacerdote in questo nuovo momento, non per condannare il mondo ma per salvarlo, come Gesù ha detto di non essere venuto per condannare il mondo ma appunto per salvarlo.

Il sacerdote deve fare questo di cuore, con molta apertura, senza demonizzare la società. Deve essere inserito in essa, ma con quella gioia missionaria di voler portare la gente a Gesù Cristo.

Bisogna dare un'opportunità perché tutti preghino con i sacerdoti per i sacerdoti, convocare i sacerdoti a pregare, farlo il meglio possibile nella società attuale ed eventualmente prendere delle iniziative affinché i sacerdoti abbiano migliori condizioni per vivere la loro vocazione e la missione.

E' un anno positivo e propositivo. Non si tratta prima di tutto di correggere i sacerdoti. Ci sono dei problemi che devono essere corretti e la Chiesa non può chiudere gli occhi, ma sappiamo che la stragrande maggioranza dei sacerdoti ha grande dignità e aderisce al suo ministero e alla sua vocazione. Danno la vita per questa vocazione che hanno accettato liberamente.

Purtroppo ci sono i problemi che abbiamo sentito tanto negli ultimi anni, relativi alla pedofilia e ad altri delitti gravi sessuali, ma forse arrivano a riguardare il 4% del clero. La Chiesa vuole dire al restante 96% che siamo orgogliosi di loro e che sono uomini di Dio, che vogliamo aiutarli e riconoscere tutto quello che fanno come testimonianza di vita.

È anche un momento opportuno per intensificare e approfondire la questione di come essere sacerdote in questo mondo che cambia e che Dio ci ha posto avanti per salvare.

Perché il Papa ha presentato San Giovanni Maria Vianney come modello per i sacerdoti?

Card. Cláudio Hummes: Perché lui da moltissimo tempo è il patrono dei parroci. Fa parte del mondo del presbitero. Vogliamo presentare questo sacerdote, ma anche stimolare varie Nazioni, Conferenze Episcopali e Chiese locali a scegliere qualche sacerdote esemplare della loro area e a presentarlo ai sacerdoti e al mondo. Chiediamo di presentare uomini e sacerdoti che siano veramente modelli ispiratori, che possano dare e rinnovare la convinzione del grande valore e dell'importanza del ministero sacerdotale.

Per lei come sacerdote, qual è l'aspetto più bello di questa vocazione?

Card. Cláudio Hummes: Questa domanda mi riporta alla mente San Francesco d'Assisi, che una volta ha detto: “Se incontrassi per strada un sacerdote e un angelo, saluterei prima il sacerdote e poi l'angelo. Perché? Perché è il sacerdote che ci dà Cristo nell'Eucaristia”. Questa è la cosa più fondamentale e meravigliosa: il sacerdote ha il dono e la grazia di Dio di essere ministro di questo grande mistero dell'Eucaristia. Il sacerdozio è stato istituito da Gesù Cristo nel momento dell'Ultima Cena, quando ha detto: “Fate questo in memoria di me”. Agli apostoli è stato dato il comandamento e anche il potere di fare questo, di fare lo stesso che Gesù ha fatto nell'Ultima Cena. E questi apostoli hanno a loro volta trasmesso questo ministero e questo potere divino agli uomini che sono i Vescovi e i sacerdoti.

Questa è la cosa più importante e centrale. L'Eucaristia è il centro della Chiesa. Papa Giovanni Paolo II ha detto che la Chiesa vive dell'Eucaristia. Il sacerdote è il ministro di questo grande sacramento e memoriale della morte di Gesù.

C'è poi il sacramento della riconciliazione. Gesù è venuto per riconciliare il mondo con Dio e gli esseri umani fra loro. Ha dato lo Spirito Santo agli apostoli soffiando su di loro.

Ha dato agli apostoli in nome di Dio e suo quello che Lui aveva acquistato con il suo sangue e la sua vita sulla croce, trasformando la violenza in un atto d'amore per il perdono dei peccati. E dice agli apostoli che saranno i ministri in questo perdono. Questo è fondamentale per tutti. Ognuno vuole essere perdonato dei suoi peccati, stare in pace con Dio e con gli altri. Il mistero della riconciliazione è molto importante nella vita del sacerdote.

Ci sono poi tante altre azioni come l'evangelizzazione, l'annunzio della persona di Gesù Cristo morto e risorto, del suo Regno. Il mondo ha diritto di sapere e conoscere Gesù Cristo e tutto quello che significa il suo Regno. Questo è un ministero specifico anche del sacerdote, che lo condivide con il Vescovo e con i laici che annunciano la Parola e devono portare la gente a un incontro forte e personale con Gesù Cristo.

Quali crede che siano le difficoltà maggiori e le nuove sfide che affrontano oggi i giovani che pensano alla vocazione?

Card. Cláudio Hummes: Voglio ripetere che non dobbiamo demonizzare la cultura attuale, che si diffonde sempre più e diventa una cultura dominante in tutto il mondo nonostante la presenza di altre culture.

Questa nuova cultura non vuole essere più né religiosa né cristiana. Vuole essere laica e rifiuta e vuole rifiutare qualsiasi ingerenza religiosa. Gli adolescenti e i giovani si trovano in questa nuova situazione, diversa da quella che abbiamo vissuto noi, che siamo nati in una cultura molto religiosa e che si riconosceva come cristiana e cattolica. Attualmente non è più così.

Credo che per gli adolescenti e i giovani sia realmente più difficile avere il coraggio di accettare un invito di Dio che nasce dentro di loro. Rispondere è oggi più complicato perché la società non valorizza più il sacerdozio. Un lavoro di fede e di evangelizzazione sarà però una possibilità perché Dio dà sempre tutte le grazie quando chiama per questo.

La parrocchia deve offrire ai giovani e agli adolescenti l'opportunità di parlare di quello che sentono nel cuore, di questa chiamata, perché se non hanno la possibilità di parlare con qualcuno di cui si fidano non parleranno con nessuno e a poco a poco questa voce sparirà. E' qui che entra in gioco la pastorale vocazionale, di cui oggi abbiamo veramente bisogno.

Una parrocchia ben organizzata è capace di andare dai giovani e dagli adolescenti dando loro l'opportunità di parlare della chiamata che sentono in loro. Anche le preghiere per le vocazioni sono oggi ancor più importanti che in passato.

Forse il numero dei candidati al sacerdozio diminuisce anche perché le famiglie sono più ridotte. Hanno pochi figli o nessuno, il che rende tutto più difficile. Il numero dei sacerdoti in vari Paesi è diminuito molto. Seguiamo questa situazione con grandissima preoccupazione.

Come dev'essere secondo lei la formazione di un seminarista negli ambiti spirituale, intellettuale, pastorale e liturgico? Quali aspetti non possono mancare?

Card. Cláudio Hummes: La Chiesa parla di quattro dimensioni su cui bisogna lavorare con i candidati: in primo luogo la dimensione umana, affettiva – tutta la questione della persona, della natura, della dignità e della maturazione affettiva normale. Questo è importante perché è una base. C'è poi la dimensione spirituale. Oggi ci troviamo davanti a una cultura che non è più cristiana né religiosa, ed è tanto più necessario di sviluppare la spiritualità nei candidati.

Poi c'è la dimensione intellettuale. Bisogna fare scuola di filosofia e di teologia affinché i candidati siano capaci di parlare e di annunziare oggi Gesù Cristo e il suo messaggio, di modo che emerga tutta la ricchezza del dialogo fra fede e ragione umana. Dio è il logos di tutte le cose è Gesù Cristo è la spiegazione di tutto.

Poi, ovviamente, c'è la dimensione dell'apostolato, cioè bisogna preparare i candidati ad essere pastori nei mondi di oggi. In questo ambito pastorale oggi è molto importante la missionarietà, cioè i sacerdoti devono avere non soltanto una preparazione, ma anche uno stimolo forte a non limitarsi a ricevere e offrire il servizio a chi viene da loro, ma ad andare essi stessi dalle persone, soprattutto da quei battezzati che si sono allontanati perché non sono stati sufficientemente evangelizzati e che hanno il diritto di essere evangelizzati perché noi abbiamo promesso di portare Gesù Cristo, di educare nella fede.

Questo tantissime volte non è stato fatto, o è stato fatto molto poco. Il sacerdote deve andare in missione e preparare la sua comunità affinché vada ad annunziare Gesù Cristo alla gente, almeno a quelli che sono nel territorio della parrocchia, ma anche al di là di essa.

Oggi questa dimensione missionaria è molto importante. È il discepolo che diventa missionario con la sua adesione entusiasta, gioiosa, capace di investire incondizionatamente tutta la vita in Gesù Cristo. Dobbiamo essere come i discepoli: ferventi, missionari, gioiosi, sono questi la chiave e il segreto.

Quali sono le attività speciali che si svolgeranno in questo anno sia per i ragazzi che per i sacerdoti?

Card. Cláudio Hummes: Vi saranno iniziative nell'ambito della Chiesa universale, ma l'Anno Sacerdotale deve essere celebrato anche a livello locale, nelle Diocesi, nelle parrocchie, perché i sacerdoti sono i ministri del popolo e devono quindi coinvolgere le comunità.

Le Diocesi devono intraprendere iniziative sia di approfondimento che di celebrazione per portare ai sacerdoti il messaggio che la Chiesa li ama, li rispetta, li ammira, è orgogliosa di loro.

Il Papa aprirà l'Anno Sacerdotale il 19 giugno, nella festa del Sacro Cuore di Gesù, perché è il giorno mondiale per la santificazione dei sacerdoti. Ci saranno i Vespri nella Basilica vaticana e saranno presenti le reliquie del Curato di Ars. Il suo cuore sarà nella Basilica, segno dell'importanza che il Papa vuole dare ai sacerdoti. Speriamo che moltissimi presbiteri siano presenti.

La chiusura avverrà un anno dopo. Si deve ancora definire la data del grande incontro del Papa con i sacerdoti, al quale saranno invitate tutte le Diocesi. Ci saranno anche numerose altre iniziative. Stiamo pensando a un convegno teologico internazionale nei giorni precedenti la chiusura, e ci saranno degli esercizi spirituali. Speriamo anche di poter coinvolgere le università cattoliche perché approfondiscano il senso del sacerdozio, la teologia del sacerdozio e tutti i temi importanti per i sacerdoti.

Come può un sacerdote rimanere fedele alla sua vocazione in questo secolo così antireligioso?

Card. Cláudio Hummes: Prima di tutto la Chiesa attraverso i suoi seminari e i formatori deve fare una selezione molto rigorosa dei candidati. Serve poi una buona formazione nella dimensione umana, intellettuale, spirituale, pastorale, missionaria. E' fondamentale ricordare che il sacerdote è il discepolo di Gesù Cristo ed essere sicuri che abbia avuto un incontro personale e comunitario forte con Gesù, in cui abbia veramente aderito a Lui. Ogni Eucaristia può essere un momento molto forte di questo incontro, ma lo stesso vale per la lettura della Parola di Dio.

Come diceva Giovanni Paolo II, ci sono tante opportunità per testimoniare l' incontro con Gesù Cristo. E' fondamentale essere un missionario capace di rinnovare lo slancio sacerdotale e di sentirsi gioioso e convinto della sua missione e del fatto che questa ha un senso fondamentale per la Chiesa e per il mondo.

Dico sempre che il sacerdote non è importante solo per l'aspetto religioso all'interno della Chiesa. Svolge anche un enorme lavoro nella società perché promuove i grandi valori umani: la solidarietà, la carità, l'attenzione ai diritti umani. Credo che dobbiamo aiutare a vivere questa vocazione con gioia, con molta lucidità e anche con il cuore, perché i sacerdoti siano felici, visto che si può essere felici nel sacrificio e nella stanchezza.

L'essere felici non è in contraddizione con la sofferenza: Gesù sulla croce non era infelice. Soffriva tremendamente, ma era felice perché sapeva che lo faceva per amore e che tutto aveva un senso fondamentale per la salvezza del mondo. Era un gesto di fedeltà al Padre.

Quali altri santi crede che possano essere un modello per i sacerdoti di oggi?

Card. Cláudio Hummes: Ovviamente il grande ideale è sempre Gesù Cristo, il buon pastore. Per gli apostoli soprattutto San Paolo. Stiamo celebrando l'Anno Paolino. Paolo era una figura realmente impressionante e che può essere sempre una grande inspirazione per i sacerdoti, soprattutto in una società che non è più cristiana. Ha oltrepassato le frontiere di Israele per essere l'apostolo delle genti, l'apostolo dei pagani. In un mondo che si sta allontanando da qualsiasi manifestazione religiosa, il suo esempio è fondamentale.

[Revisione e adattamento di Roberta Sciamplicotti]
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 00:51
Viaggi, vacanze e la visita di Obama, si profila l'agenda del Papa
Gli impegni del Pontefice per i prossimi quattro mesi



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI si prepara a vivere nei prossimi mesi una fitta agenda tra viaggi, vacanze, la pubblicazione di un'Enciclica e forse la visita del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Alcuni di questi eventi sono già ufficiali e sono stati annunciati dalla Santa Sede questo lunedì, altri sono ancora in fase di preparazione, per cui non possono essere considerati certi.

Secondo quanto rivela il calendario degli atti e dei viaggi del Santo Padre per questi quattro mesi, pubblicato dalla Sala Stampa vaticana, l'11 giugno prossimo, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Papa presiederà la Messa alle 19.00 nella Basilica di San Giovanni in Laterano. In seguito parteciperà alla processione verso la Basilica di Santa Maria Maggiore, che culminerà con la benedizione eucaristica.

Il 19 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, alle 18.00 nella Basilica di San Pietro in Vaticano, il Papa presiederà i Vespri in occasione dell'inizio dell'Anno Sacerdotale per il 150° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato di Ars.

Il 21 giugno il Papa visiterà San Giovanni Rotondo, nei luoghi in cui visse padre Pio da Pietrelcina.

Domenica 28 giugno alle 18.00 nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, durante i primi Vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI chiuderà l'Anno Paolino.

Il 29 giugno, solennità dei santi patroni della Diocesi di Roma, il Papa presiederà la Messa alle 9.30 nella Basilica di San Pietro e imporrà il Pallio ai nuovi Arcivescovi metropoliti del mondo.

Secondo quanto ha annunciato nelle settimane scorse il Cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in quel giorno potrebbe essere presentata l'Enciclica di Benedetto XVI dedicata alla giustizia sociale, dopo le due precedenti sull'amore e sulla speranza.

Vacanze e possibile visita di Obama

Il calendario delle celebrazioni papali per il mese di luglio non prevede alcun appuntamento speciale. In quel mese, il Pontefice trascorrerà un breve periodo di vacanze in Valle d'Aosta, a Les Combes (Introd).

Secondo quanto hanno confermato fonti diplomatiche della Santa Sede e degli Stati Uniti, a luglio, in occasione della visita in Italia del Presidente Barack Obama per partecipare al vertice dei Paesi più industrializzati (L'Aquila, 8-10 luglio), il Capo di Stato americano potrebbe compiere la sua prima visita al Papa. Per il momento non ci sono conferme ufficiali.

Al suo ritorno dalla Valle d'Aosta, il Papa trascorrerà il resto dell'estate nella residenza pontificia di Castel Gandolfo, dove svolgerà le attività ordinarie e incontrerà i pellegrini.

Sabato 15 agosto, solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, presiederà la Messa alle 8.00 nella chiesa parrocchiale di San Tommaso da Villanova di Castel Gandolfo.

Domenica 6 settembre Benedetto XVI realizzerà una visita pastorale a Viterbo-Bagnoregio.

Dal 26 al 28 settembre, compirà un viaggio apostolico nella Repubblica Ceca, il 13° del suo pontificato.
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 16:02
KAROL E WANDA: LE LETTERE FRENANO LA BEATIFICAZIONE...
Giacomo Galeazzi per "La Stampa"

Karol Wojtyla la chiamava «Dusia», «sorellina», e la loro corrispondenza durata 55 anni è così fitta da «riempire una valigia». Una montagna di carte, in parte consegnate alle autorità ecclesiastiche per la beatificazione di Giovanni Paolo II, in parte pubblicate in Polonia in un contrastato libro (che verrà tradotto in italiano a febbraio), ma in massima parte custodite nell'appartamento di Wanda Poltawska affacciato sul Mercato di Cracovia, la più grande piazza medievale d'Europa.
Lettere personalissime, arrivate con inflessibile regolarità: per posta o attraverso amici comuni di passaggio a Roma, che ora rischiano di rallentare la macchina burocratica della beatificazione per la prassi vaticana di acquisire tutte le prove documentali prima di proclamare nella Chiesa un nuovo «esempio di santità».
«Noi lavoriamo per la storia e tutta la documentazione su un candidato alla santità ci riguarda», afferma il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi. Materiale «sensibilissimo» per la Santa Sede, di cui solo Wanda conosce la totalità dei contenuti.
Prima di elevare Wojtyla agli onori degli altari, la Santa Sede vuole la certezza che nessuna prova contrastante possa emergere ad avvenuta proclamazione inficiando un accertamento che Benedetto XVI vuole «rigoroso e rispettoso delle regole» dopo aver già derogato ai canonici cinque anni dalla morte per avviare il processo.
Per comprendere l'avvolgente e per taluni imbarazzante tono di confidenza dello sterminato epistolario, spiega il padre mariano Adam Boniecki (dal 1964 stretto collaboratore di Karol Wojtyla a Cracovia e a Roma), occorre conoscere il suo «libero e per nulla clericale cammino di formazione, il seminario frequentato in clandestinità, la compagnia teatrale in piena occupazione nazista, il lavoro di operaio».
Sempre, «in mezzo a laici, ragazzi e ragazze, come l'attrice ebrea che lo chiamava "Lolek" e alla quale si era molto legato, con la costante attitudine a conciliare spiritualità e vita pratica, senza una quotidianità in seminario che ne comprimesse l'affettività e la maturazione sentimentale».
Nella sua casa vicino alla chiesa dei domenicani, il cardinale Marian Jaworski, amico di entrambi dal 1951, conferma «il sostegno che si sono sempre dati reciprocamente» ed evidenzia come «Karol Wojtyla si sia sempre rapportato spontaneamente e alla stessa maniera con laici e consacrati, sia da semplice sacerdote sia da vescovo e poi Papa».
Come in vita creava imbarazzi e malumori in Curia quella strettissima amica del Papa che, racconta Boniecki, talvolta stupiva per l'anticonformismo e l'informale familiarità con il Pontefice, come quando le capitava di partecipare in pantofole alle messe mattutine nella cappella privata dell'appartamento papale alla terza loggia del Palazzo Apostolico, si lasciava scorgere dalle finestre del Gemelli durante la convalescenza post-attentato e trascorreva le vacanze estive a Castel Gandolfo, adesso in morte del «servo di Dio» Karol Wojtyla la sterminata mole di lettere dai toni affettuosi tra un Papa e una laica costituisce motivo di obiezione, difficoltà, rallentamento all'iter svolto dagli otto periti teologi chiamati ad esaminare in Curia la «positio», cioè le testimonianze e gli atti processuali.
Lo stesso cardinale Stanislaw Dziwisz, l'ombra di Karol per quattro decenni, era preoccupato dal grado di esposizione pubblica dell'antico sodalizio tra il futuro beato e Wanda Poltawska. Karol Wojtyla, che divenne Papa restando uomo, sconvolge ancora gli schemi ecclesiastici.



RAGIONAVAMO INSIEME SULL'AMORE"...
Giacomo Galeazzi per "La Stampa"

Per Wanda Poltawska sarà sempre il «geniale» studente di teologia conosciuto dopo la guerra all'Università Jagellonica e ritrovato assistente dei futuri medici nella parrocchia di San Floriano. L'amica del cuore di Giovanni Paolo II, psichiatra infantile premiata in tutto il mondo per i suoi studi (a partire da quelli sui bimbi polacchi scampati ai campi di concentramento che giocavano a fucilare gli ebrei), conosce le «resistenze» e le incomprensioni suscitate dallo sterminato epistolario custodito in casa sua e accetta di raccontare un «sodalizio spirituale» durato oltre mezzo secolo «per rendere un servizio alla verità e perché la storia di un santo appartiene alla gente».
Negli occhi intensi e nella postura salda c'è ancora il riflesso della ragazza con i capelli raccolti fotografata in una giornata di sole accanto al biondo Karol in talare nera e occhiali scuri. Era orfano e il fratello medico era morto per la scarlattina contratta dai pazienti che cercava di salvare.
«E' appena rientrata mia figlia dagli Stati Uniti e ho la casa piena di gente», quasi si giustifica con schietta cortesia mentre esce dal portone di via Bracka per raggiungere il Tribeca Coffee messo al riparo dal tendone del Festival cinematografico in corso a Cracovia. Non ama parlare con i giornalisti e ha cercato di tenersi sempre «il più lontano possibile» dai mass media. «Qui di fronte ho conosciuto Karol Wojtyla in un confessionale», accenna passando davanti alla chiesetta di San Wojciech. Una vita accanto a Karol, così intimo da siglare le lettere «fr», ossia «fratello».

LE CARTE DA BRUCIARE
Al segretario Stanislao Dziwisz, oggi popolarissimo cardinale di Cracovia (che avrebbe preferito una maggiore discrezione sull'epistolario privato) ha chiesto nel testamento di bruciare tutte le carte accumulate in quasi tre decenni di pontificato. A Wanda il suo antico direttore spirituale ha lasciato la memoria cartacea di un legame indissolubile.
In fluente italiano, davanti ad una cioccolata calda sotto un cielo carico di pioggia, Wanda Poltawska, 88 anni di lucida forza interiore, dipana il filo dei ricordi in un vibrante ritratto intimo della granitica amicizia con Karol da quando, partigiana cattolica arrestata dalla Gestapo e reduce dal campo di concentramento di Ravensbrück (dove fu sottoposta a macabri esperimenti medici) fugge dalla sua Lublino per studiare psichiatria in una facoltà che ha come cappellano un sacerdote filosofo di un anno più grande.
«Ci siamo conosciuti nel 1950, ero tormentata, devastata. Noi cavie eravamo chiamati "coniglietti". Nel lager ho capito che l'uomo non è automaticamente immagine di Dio, anzi deve lavorare per essere tale. Volevo studiare la mente per capire come l'umanità può creare un simile orrore, lui divenne il mio confessore e mi aiutò ad uscire dall'atroce dolore del lager, grazie a lui smisi di sentirmi colpevole di essere ancora vita di fronte alle madri che avevano perso i figli - racconta -.
Gli incubi del lager mi impedivano di dormire. Lui mi insegnò a rispondere alle domande che mi tormentavano dentro. Abbiamo condiviso interessi, momenti importanti, spiritualità e quell'amore per la natura che vivevamo nei campeggi di montagna della Polonia meridionale fino alle villeggiature nella gabbia dorata di Castel Gandolfo dopo l'elezione al soglio di Pietro. A Cracovia abbiamo lavorato insieme per salvare bambini dal regime comunista che favoriva l'aborto».

«IRRADIAVA LUCE»
Nel lager, assieme ad altre settanta giovani polacche, su ordine diretto di Himmler, venne usata come cavia per gli esperimenti del dottor Karl Gebhardt, poi processato e impiccato a Norimberga. La descrizione del primo incontro ricorda quella di un colpo di fulmine.
«Dal primo istante che l'ho visto sapevo che sarebbe diventato santo - spiega -. La sua santità era evidente, irradiava luce interiore, era impossibile da nascondere. Ho una valigia piena di sue lettere, non posso dire quante ne ho date alla causa di beatificazione, io non ne ho distrutta nessuna, ho selezionato alcune e le ho pubblicate in Polonia anche se c'era chi non era d'accordo. Ho riportato pure le sottolineature di suo pugno con cui metteva in evidenza le cose più importanti. Già cinquant'anni fa mia madre era sicura che sarebbe diventato Papa».
La questione di quanto dell'immenso epistolario resta fuori dal processo di canonizzazione è «sensibile», si schermisce. «Non si può dire quanto ho dato al postulatore Slawomir Oder, ho giurato di non parlare di questo, non posso dire quanta parte del carteggio ho consegnato», afferma la donna per la cui guarigione da un tumore nel 1962 il vescovo Wojtyla implorò il «venerabile Padre Pio affinché Dio mostri misericordia a lei».
Wanda inspiegabilmente guarì e la lettera di Wojtyla finì tra le carte che hanno reso santo Padre Pio. Quando nel '78 partì da Cracovia per il conclave con Dusia si dissero che «se eletto il suo nome sarebbe stato Giovanni Paolo II». Poi appena uscito Papa dalla Cappella Sistina si affretta scriverle una sterminata, accorata lettera di quattro pagine.
La loro ininterrotta corrispondenza non ha precedenti nella storia dei pontificati. Lei, il marito Andrzej, anch'egli medico, i figli, diventati la famiglia di Karol.
«Ha perso molto presto i genitori e il fratello Edmondo, aveva solo lontani parenti ma ripeteva che trovarsi senza amici era un peccato. La sua giovialità conquistava, era di una generosità d'animo travolgente. E' entrato in casa mia da giovane prete, baciava la mano a mia madre, anche io ero molto giovane. La sua vocazione come forma di amore. Santo per carattere, geniale come intelletto - prosegua Wanda Poltawska -.
La sua filosofia mi ha aiutato nella vita privata e nel lavoro di scavo psicologico nella la personalità umana. La sua missione era santificare l'amore. Abbiamo scritto insieme, ragionato insieme su come salvare l'amore umano tra uomo e donna. Lui è già santo prima che avvenga la proclamazione».
Appena si sente domandare cosa le manchi più dell'amico di una vita, quale abitudine quotidiana, quale consuetudine radicata nel loro rapporto, un bagliore attraversa il suo sguardo. Prima lo abbassa come commossa, poi rialza fiera gli occhi puntandoli di fronte a sé.
«E' una domanda troppo personale, è la mia vita privata, chiederlo è poco delicato come un elefante in una cristalleria - dice di un fiato -. Quando gli hanno sparato a piazza San Pietro sono partita dopo poche ore e gli sono stata accanto finché non è tornato in forze. Gli leggevo romanzi e libri di storia polacca. Dell'ultimo anno di vita, più di metà l'ho trascorso a Roma». E anche il 2 aprile 2005, nella sua stanza in cui è morto Vaticano, Karol aveva accanto la sua «carissima Dusia».


Giovanni Paolo IILettera di Wanda a Karol del 31 ottobre 1962

Posso dirti che i miei sospetti si sono verificati. Sono meravigliata non tanto dalla diagnosi del tumore, ma dalla mia tranquillità. La fonte del dolore è una dura, rotonda cisti ulcerosa di 13 centimetri. Uscita dall'ambulatorio medico, sono andata nel parco di Planty e ho passeggiato un'ora. Le ultime foglie d'oro. All'improvviso tutto ha un altro significato e nel contempo tutto ha perso ogni significato. Cosa devo fare adesso? Come vivere questi due o forse tre anni? Mi sono resa conto che le gemelline hanno solo 5 anni. Ho deciso di smettere subito di lavorare e di passare il resto della vita con loro affinché si ricordino qualcosa della loro madre. La realtà è dura. Ho negli occhi le montagne e le nostre gite.
Tutto questo è passato ma qual è il futuro? Il mio corpo acquista adesso un altro significato. Non piango, cresce in me una certa apatia. Non ho voglia di niente. Tu mi hai detto che Dio dà sempre all'essere umano la forza di cui ha bisogno. Mi sforzo di volere per me solo quello che lui vuole, ma mi manca la fiducia. Devo pregare per la fiducia perché mi manca. Il dottore è mio amico, ha acconsentito di operarmi, mi ha baciato due volte la mano e ha bestemmiato: «Il mondo è di merda».


Lettera di Karol a Wanda del 10 novembre 1962

Carissima Dusia! Ieri ho ricevuto la tua lettera con i risultati delle analisi. Ti scrivo solo una parte di ciò di cui mi sono reso conto. In questo momento cerco prima di tutto di capacitarmi bene dell'intera situazione. Si tratta di decidere come agire in questa situazione. E qua, cara Dusia, ti vorrei incitare a lottare per la tua salute. Tu hai passato un'esperienza terribile nel lager di Ravensbrück, hai avuto gravi problemi, ma hai appena 40 anni, quattro bambini piccoli e tuo marito Andrzej.
La rassegnazione è contraria alla volontà di Dio e ti chiedo di trattare tutta questa situazione come ti dico. Sono molto grato a don Marian (ndr, l'attuale cardinale Jaworski, amico di entrambi) per l'aiuto che ti dà in questi momenti difficili. È molto bravo. Ma non puoi lasciare all'oscuro del problema tuo marito. Sarebbe impossibile e anche ingiusto. Ieri ero molto giù. Oggi dopo aver avuto rassicurazioni mediche sulla possibilità di guarigione, mi sento rincuorato. Aspetto telefonate. Fr



Lettera di Karol a Wanda del 30 giugno 1978

Oggi, verso le 21, vorrei venire a casa per parlare delle prossime vacanze. Ho portato la tua ultima lettera agli esercizi spirituali. Penso che durante il nostro soggiorno presso il fiume Wislok troveremo del tempo per rivedere i vecchi quaderni e rileggere insieme qualche pagina del libro «Il segno del perdono». Fr(atello).
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 16:04
Dai primi martiri ai cinque continenti: parte da Roma l'urna con le reliquie di don Bosco


Le Catacombe di San Callisto a Roma costituiscono la prima tappa del lungo pellegrinaggio che l’urna contenente le reliquie di Don Bosco compirà attraverso i cinque continenti, in preparazione del bicentenario della nascita del Santo piemontese, vissuto tra il 1815 e il 1888. Il servizio di Roberta Gisotti.

E’ arrivata domenica scorsa nelle catacombe romane, affidate da 80 anni alla custodia dei Salesiani, l’urna di don Bosco, che nel 1858 visitò questi luoghi memoria delle persecuzioni cristiane. Il reliquiario resterà esposto alla venerazione dei fedeli fino a venerdì prossimo. Un evento marcato da celebrazioni liturgiche, incontri spirituali e culturali. Di “Don Bosco ieri ed oggi” si è parlato in una Tavola rotonda alla quale ha preso parte don Enrico Dal Covolo, consigliere della Pontificia Accademia Teologica e postulatore generale della Famiglia salesiana, che quest’anno compie 150 anni, e oggi è presente in 129 Paesi dove operano circa 15.750 Salesiani. A don Enrico chiediamo da dove ripartirebbe oggi don Bosco per avvicinare i giovani, specie quelli lontani dalla Chiesa:
R. - Diciamo che il metodo è quello che ci è stato tracciato dal nostro fondatore e che dobbiamo appunto riscoprire in questa occasione: è il sistema preventivo di don Bosco basato su ragione, religione e amorevolezza. Certo, si tratta di adattarlo alle attuali sfide culturali che sono inedite rispetto ai tempi di don Bosco. In questo ci sembra che sia particolarmente importante proporre ai giovani la santità come meta alta della vita cristiana ordinaria. Bisogna stimolare i giovani verso scelte che li coinvolgano fino in fondo e che possano contrastare efficacemente lo spirito corrente oggi nel mondo, un inquinamento morale che ci attanaglia.

D. - Lei ha citato l’amorevolezza che don Bosco raccomandava nell’avvicinare i giovani. Forse è proprio questa virtù che sta venendo meno da parte degli adulti?

R. - Sì, è proprio ciò che ci preoccupa maggiormente, perché in realtà nel pensiero educativo di Don Bosco l’amorevolezza era proprio il perno, la sintesi, ciò verso cui andare attraverso ragione e religione. E questo nel momento presente della cultura, almeno la cultura della vecchia Europa, che oggi viviamo, rende sempre più difficile una testimonianza di amorevolezza reale e profonda. L’esperienza dell’amorevolezza è certamente il punto più delicato e d’altra parte è decisiva: senza, non potremmo raggiungere quegli scopi che don Bosco si proponeva e quindi è una grandissima sfida da riproporre, che passa attraverso la testimonianza personale anzitutto dell’educatore, che deve essere un uomo che si fa vedere come tutto donato per gli altri, tutto donato per i giovani, che non risparmia niente di sé stesso.


Radio Vaticana
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 16:04
Temi e attese dell'Anno sacerdotale spiegati dal segretario della Congregazione per il Clero, mons. Mauro Piacenza


I sacerdoti "sono importanti non solo per ciò che fanno, ma anche per ciò che sono" e il popolo dei fedeli vuole vederli, nel loro lavoro apostolico, "felici, santi e gioiosi". L'affermazione è del cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, ed è contenuta nella lettera che il porporato ha inviato giorni fa agli oltre 400 mila presbiteri che tra poco più di due settimane celebreranno l'inizio dell'Anno sacerdotale, indetto dal Papa. Al microfono di Roberto Piermarini, il segretario del dicastero pontificio, l'arcivescovo Mauro Piacenza, affronta nel dettaglio temi e aspettative di questo anno che, sottolinea, non "sarà riservato solo ai sacerdoti", ma riguarderà "tutta la Chiesa":

R. - Il Santo Padre ha particolarmente a cuore, come è naturale, d’altro canto, la vita, la spiritualità, la santificazione e la missione dei sacerdoti. La stessa assemblea plenaria della Congregazione per il Clero, nell’udienza durante la quale è stato annunciato l’Anno sacerdotale, aveva un titolo abbastanza sintomatico: “L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera. Allora, è urgente e certamente necessario, in questo tempo, richiamare con fedeltà sia presso i sacerdoti, sia presso il popolo di Dio, la bellezza, l’importanza, l’indispensabilità del ministero sacerdotale nella Chiesa per la salvezza delle anime. Quindi, ecco perché ha voluto indire: un anno dedicato ad approfondire, a riscoprire che cosa sia il sacerdozio cattolico, ampliando gli spazi di preghiera anche per e con i sacerdoti, non può che far bene a tutta la missione della Chiesa, che è legata alla identità e all’attività del clero. Missione della Chiesa che, proprio nel ministero ordinato, vede espressa una delle sue note essenziali, che proclamiamo sempre nel Credo della Messa domenicale: l’apostolicità. Curare la santità dei chierici, la specificità e l’integralità del loro ministero, significa in fondo curare l’intera opera di evangelizzazione. E’ ora di rendersi conto – e tutti dovremmo renderci conto di ciò. Tra l’altro, ci saranno buoni laici e buoni vescovi soltanto se ci saranno dei buoni sacerdoti. Ecco la fondalità e il fatto per cui tutti sono in qualche modo coinvolti.


D. – Possiamo considerare questo Anno sacerdotale come la prosecuzione dell’Anno paolino?


R. – Certamente sì! La Chiesa vive solo nella continuità, sempre e in qualsiasi ambito. L’Anno paolino, la cui chiusura è prevista il 29 giugno prossimo, passerà allora idealmente il testimone all’Anno sacerdotale, che sarà inaugurato dal Santo Padre nei solenni Vespri del 19 giugno, in un provvidenziale cammino all’insegna della continuità e del necessario approfondimento di una delle urgenze del nostro tempo: la missione, la nuova evangelizzazione. Nel 150. mo anniversario della nascita al cielo di San Giovanni Maria Vianney, il noto Curato d’Ars, la Chiesa allora si stringe attorno ai suoi sacerdoti per riscoprirne la feconda presenza e per ridirne l’essenziale e ontologicamente distinto compito all’interno della missione universale che, giustamente, coinvolge tutti i battezzati. La forza della missione nasce unicamente da un cuore rinnovato dall’incontro con Cristo risorto, proprio come è accaduto all’apostolo Paolo. Un incontro nel quale il Signore Gesù non sia solo conosciuto entusiasticamente o recepito soltanto sul piano intellettuale, ma sia realmente esperito come l’imprevedibile e straordinariamente affascinante risposta del Padre a tutte le attese del cuore ferito dell’Uomo che scorge nella straordinaria presenza umano-divina del Redentore l’unica adeguata corrispondenza al proprio umano e misteriosamente infinito bisogno di salvezza. Il cuore di San Paolo, ferito dalla bellezza di Cristo, il cuore dei santi pastori deve battere sempre in ogni cuore che sia autenticamente sacerdotale.


D. - Mons. Piacenza, quale immagine di sacerdote per l’uomo di oggi propone il Papa nella celebrazione di questo Anno?


R. - L’immagine di sempre – e non potrebbe essere che così! Cioè, quella che la Chiesa e la genuina dottrina sempre hanno proposto e che trova una sua splendida sintesi nella figura evangelica del Buon Pastore: ecco, questa è la figura. Certo, il nostro tempo, con notevoli differenze tra Occidente secolarizzato e relativista e altre parti del mondo nelle quali il senso del sacro è ancora piuttosto forte, vive alcune tentazioni che inevitabilmente intaccano anche il ministero sacerdotale e che, anche con l’aiuto di questo Anno, sarà necessario iniziare a correggere. Penso, ad esempio, alla tentazione dell’attivismo, che investe non pochi sacerdoti i quali, pur generosissimi, tuttavia non di rado mettono a rischio la propria stessa vocazione e l’efficacia dell’apostolato se non rimangono stabilmente in quel rapporto vitale con Cristo che si nutre di silenzio, di preghiera, le lectio divina, soprattutto della devota celebrazione quotidiana della Santa Messa e degli spazi per l’adorazione eucaristica. Il Santo Padre stesso ha ricordato ai sacerdoti che nessuno – e sto citando l’allocuzione del 16 marzo – nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro e attraverso la propria umanità, ogni sacerdote dev’essere ben consapevole di portare un altro, cioè di portare Dio stesso, al mondo. Dio è l’unica ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote, quindi è dalla pienezza di quello che c’è dentro, di quello che si raccoglie durante l’orazione, che poi si può debordare in un’attività che non sia più attivismo, ma sia attività davvero costruttiva e coinvolgente.


D. – In questo mondo sempre più secolarizzato ed individualista, il sacerdote come può farsi segno di contraddizione?


R. – Direi: essendo testimone dell’Assoluto, in mezzo a tutto quello che passa. La vera contraddizione, oggi, non è più ricercare originalità superficiali come, forse, è un po’ accaduto ingenuamente nei decenni passati, suscitando nei fatti un breve e corto interesse. Quindi, direi bando agli atteggiamenti demagogici e ai ridicoli scimmiottamenti dello spirito del mondo. I sacerdoti saranno segni di contraddizione unicamente nella misura in cui diventeranno santi e santi sacerdoti. Guardiamo a San Giovanni Maria Vianney, a un don Bosco, a un padre Massimiliano Kolbe, a un padre Pio da Pietrelcina e così via. Fortunatamente, i numeri sono elevatissimi, tutti sacerdoti, tutti diversissimi per personalità umana, per storia personale … eppure, tutti straordinariamente uniti dall’amore e dalla testimonianza a Cristo Signore e dall’essere stati, per ciò stesso, segni di contraddizione in modo davvero profetico. Quindi, non è possibile esserlo, invece, se si tace di Cristo, se di orizzontalizza troppo il ministero, se si pensa che la salvezza sia solo quella immanente … Insomma, bisogna indicare il cielo e con le parole, e con la vita.


D. – Come sarà vissuto questo Anno sacerdotale?


R. – L’Anno sacerdotale non sarà un anno riservato solo ai sacerdoti, ma tutta la Chiesa in ogni sua componente si deve sentire chiamata a riscoprire, alla luce della tensione missionaria che le è propria, la grandezza del dono che il Signore ha voluto lasciarle con il ministero sacerdotale. Anche tutti i laici si devono rendere conto che, con il dono del sacerdozio, è lasciata loro la freschezza della presenza di Cristo: non un ricordo di Cristo, ma la sua presenza attuale. Pensiamo all’assoluzione sacramentale, pensiamo alla celebrazione della Santa Messa, alla predicazione e così via. Ecco: in questa direzione va anche il titolo, felicemente scelto dal Santo Padre per questo Anno: “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”, ad indicare il primato assoluto della grazia, come ricorda la Prima Lettera di San Giovanni: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19) e, nel contempo, l’indispensabile, cordiale adesione della libertà amante memori che il nome dell’amore nel tempo è “fedeltà”. Quindi, si tratta di un evento non spettacolare, certamente; ma che si vorrebbe fosse vissuto soprattutto come rinnovamento interiore nella riscoperta gioiosa e personale della propria identità, della fraternità nel proprio presbiterio e allora nella propria diocesi, del rapporto sacramentale con il proprio vescovo, della sponsalità con i fedeli, con la propria comunità.


D. – Quali frutti potrà offrire alla Chiesa l’Anno sacerdotale?


R. – Subito mi viene da dire, con il punto esclamativo, “quelli che Dio vorrà!”. Certamente, l’Anno sacerdotale rappresenta un’importante occasione per guardare ancora e sempre, con stupore grato, all’opera del Signore che, “nella notte in cui fu tradito” (1Cor 11,23) ha voluto istituire il sacerdozio ministeriale legandolo imprescindibilmente all’Eucaristia, culmine e fonte di vita per tutta la Chiesa. Sarà allora un Anno nel quale riscoprire la bellezza e l’importanza del sacerdozio e dei singoli ordinati, sensibilizzando a ciò tutto il Popolo di Dio, i consacrati e le consacrate, le famiglie cristiane, i sofferenti e soprattutto i giovani, così sensibili ai grandi ideali vissuti con autentico slancio e costante fedeltà. Ricordava il Santo Padre, nel discorso di indizione: “Urgente appare anche il recupero – sono le sue parole – di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa”. Quindi, l’Anno sacerdotale vorrebbe sostenere ed implorare dallo Spirito anche questi frutti di presenza visibile.


D. – Perché, eccellenza, in questo Anno verrà pubblicato un vademecum per confessori e direttori spirituali?


R. – E’ fuori dubbio – e da più parti lo si segnala – che il sacramento della riconciliazione stia, da alcuni decenni, attraversando un tempo di profonda crisi, almeno a livello di numeri. Paiono sempre meno le persone che avvertono la differenza chiara tra il bene e il male, tra la verità e la bugia, tra il peccato e la virtù e che, conseguentemente, desiderano accostarsi alla riconciliazione. Se non si ha il senso del peccato è difficile ricorrere, ovviamente, alla riconciliazione: allora, la si confonderebbe con il lettino di uno psicologo e di uno psichiatra. D’altro canto, sia a causa della diminuzione del numero dei sacerdoti in un certo numero di Nazioni, sia anche per un malinteso fraintendimento della stessa azione pastorale, non è sempre molto facile trovare un sacerdote disposto ad ascoltare anche per ore le confessioni dei fedeli. Allora il vademecum per i confessori dovrebbe aiutare a riscoprire la bellezza della celebrazione di questo sacramento grondante dell’amore misericordioso del Signore, sia per il sacerdote, sia per il penitente ed eventualmente evidenziare come esso sia in stretta connessione con l’identità stessa del sacerdote che riceve da Cristo il mandato esplicito: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (cfr. Gv 20, 19.23). Quindi, un dare – con il vademecum – più entusiasmo verso questo sacramento e più motivazione verso questo sacramento.


D. – Mons. Piacenza, infine, vorrei chiederle questo: si tratta di un Anno sacerdotale e non vocazionale. Ecco: però, questo Anno quanto potrà essere di aiuto per le vocazioni al sacerdozio e per i seminaristi, in particolare?


R. – Credo che in fondo, la pastorale delle vocazioni sia una pastorale globale, perché più entusiasmo c’è nelle parrocchie, più entusiasmo c’è nei gruppi, ovviamente, più facilmente un ragazzo sente la chiamata del Signore e l’attrattiva. Così, più vede preti motivati e più – evidentemente – questo contagia in senso positivo. E proprio il sacramento della riconciliazione, per rifarmi anche a quello che dicevo prima, e la direzione spirituale – quindi, il seguire personalmente il progetto che Dio ha sulle singole persone – sono gli ambiti più efficaci dell’educazione delle coscienze all’ascolto della voce di Dio che sempre chiama i suoi figli. I seminaristi, oggi, nel mondo, stanno numericamente aumentando. Certo, bisogna vedere dove, per cui noi abbiamo un po’ sotto gli occhi molto l’Europa e allora ci pare … però, crescono. Se è vero che una certa contrazione c’è stata per il passato, oggi siamo in ripresa sia numerica e sia, direi, di qualità, se pensiamo alla grande passione per Cristo e per la Chiesa. Le stesse Giornate della Gioventù segnano sempre, in quel momento, una ripresa. Del resto, i tempi in cui viviamo impongono quella radicalità che è sempre affascinante per i giovani e per chi rimane giovane dentro. Quindi è importante, questo Anno, perché non si vuole abbassare il tono perché è più facile, ma alzare il tono perché è più difficile. E in questo senso, c’è più attrattiva. D’altro canto, bisogna essere fedeli e Gesù Cristo è sempre attraente, perché sta sul Monte. Come il Santo Padre ha indicato – e cito parole del Santo Padre – “la consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi decenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazione dei candidati al ministero. La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tale senso è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Vaticano II interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Dobbiamo rilanciare cattolicamente tre fari luminosi e formare i fedeli sotto queste tre splendide luci: il Santissimo Sacramento dell’altare, la Vergine Immacolata, il Papa e la Chiesa”. Ecco: questi poli sono sempre delle calamite. Naturalmente, devono essere proposti con tutta l’attrattiva che hanno. L’Anno sacerdotale è una grande avventura nella quale, come Congregazione per il Clero, volentieri ci tuffiamo, insieme a tutta la Chiesa, certi di quanto dice Pietro al Signore: “Sulla Tua Parola getterò le reti!” (cfr. Lc 5, 1-11).


Radio Vaticana
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 16:05
Benedetto XVI prega per le vittime dell'Airbus francese precipitato nell'Atlantico e per i loro familiari. Proseguono le ricerche, forse avvistati alcuni rottami


Il cordoglio di Benedetto XVI ha raggiunto oggi i familiari delle vittime dell’incidente aereo che ieri ha coinvolto un aereo dell’Air France, decollato da Rio de Janeiro verso Parigi e precipitato nell’Atlantico con 228 persone a bordo. Il Papa ha invocato in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, la “misericordia divina” per le vittime della tragedia ed espresso “vicinanza spirituale” e “profonda partecipazione” a tutti coloro che, scrive, sono stati “duramente provati” dal dramma.

Nel primo pomeriggio, l’aeronautica militare brasiliana, impegnata nelle ricerche, ha confermato l’avvistamento di alcuni rottami e di macchie di carburante, presumibilmente appartenenti all’Airbus, a circa 650 km dall'isola di Fernando de Noronha. (A cura di Alessandro De Carolis)


Radio Vaticana
+PetaloNero+
00martedì 2 giugno 2009 16:06
Il Papa nomina l’arcivescovo Baldelli nuovo penitenziere maggiore. Succede al cardinale Stafford

Benedetto XVI ha accolto la rinunzia, presentata per limiti d'età, dal cardinale James Francis Stafford all'incarico di penitenziere maggiore, ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico l’arcivescovo Fortunato Baldelli, finora nunzio apostolico in Francia. Il cardinale Stafford, 76 anni, aveva ricevuto l'incarico di penitenziere maggiore da Giovanni Paolo II nel 2003. Lo stesso Papa Wojtyla lo aveva creato cardinale nel 1998.



Radio Vaticana
Paparatzifan
00martedì 2 giugno 2009 21:02
Dal blog di Lella...

Le aperture di Ratzinger, Papa «per forza»

di Luigi Accattoli

[02 giugno 2009]

Caro direttore, propongo ai tuoi lettori di memorizzare un motto detto da Benedetto XVI sabato, colloquiando con una folla di bambini: «Non avrei mai pensato di diventare Papa».
Quelle parole aiutano a cogliere il disinteresse e la libertà di spirito con cui egli porta avanti la sua missione, come di chi risponde a una chiamata che ancora lo sorprende.
Ci sono tre o quattro fatti, precedenti l'elezione, che danno corpo alla confessione fatta sabato e attestano come egli davvero non pensasse al Pontificato, non solo da piccolo ma neanche negli ultimi tempi.
Qui li metto in ordine.
Sabato - dunque - durante una conversazione a braccio con settemila appartenenti all'Opera per l'Infanzia missionaria, una bambina gli chiede: «Quando eri ragazzo hai mai pensato di diventare Papa?». Questa la risposta: «A dire la verità, non avrei mai pensato di diventare Papa perché, come ho già detto, sono stato un ragazzo abbastanza ingenuo in un piccolo paese molto lontano dai centri, nella provincia dimenticata.
Naturalmente abbiamo conosciuto, venerato e amato il Papa -era Pio XI - ma per noi era a un'altezza irraggiungibile, un altro mondo quasi (...). E devo dire che ancora oggi ho difficoltà a capire come il Signore abbia potuto pensare a me, destinare me a questo ministero. Ma lo accetto dalle sue mani, anche se è una cosa sorprendente e mi sembra molto oltre le mie forze. Ma il Signore mi aiuta».
Ma davvero il "cardinale decano" che tutti i media davano tra i "papabili", nell'aprile del 2005, restò sorpreso dall'elezione, avvenuta al quarto scrutinio e a sole 24 ore dall'inizio del Conclave?
Io sono convinto della sorpresa e provo ad argomentarla partendo dal maglione nero sotto l'abito bianco con cui si presentò alla folla un'ora dopo l'elezione.
L'emozione sul volto e le braccia in nero sono stati i due primi messaggi al mondo, quando si affacciò al balcone della Sala delle Benedizioni.
Quel maglione stava a dire che il "decano" non aveva con sé in Conclave neanche una camicia, non pensando di essere eletto.
Uno dei cerimonieri gli disse: «Santità le do la mia camicia».
Ma il neoeletto rispose: «Vado così».
Come «umile lavoratore nella vigna del Signore», quale appunto si presentò.
Che egli non vedesse l'ora di tornare in Baviera per godersi in pace un'ultima stagione con il fratello don Georg nella casa tra i prati che si erano acquistati - dividendo la spesa - alla periferia di Regensburg, è cosa nota.
Ci sono decine di occasioni pubbliche in cui espresse quel "sogno": quando compì 15 anni di "servizio" curiale e poi venti, e al settantesimo e poi al settantacinquesimo compleanno.
Ma Papa Wojtyla non lo lasciava andare ed egli ubbidiva.
Meno noto è che in un volumetto intitolato Immagini di speranza pubblicato in Germania nel 1997 - cioè al compimento dei settanta e tradotto in italiano dalla San Paolo nel 1999 - egli avesse scritto, dando per imminente il ritorno in patria, queste parole rivelatrici: «Durante gli anni da me trascorsi a Roma...».
Sempre del 1997 è il volume autobiografico La mia vita (anch'esso pubblicato in italiano dalla San Paolo), che si chiude con la rievocazione della leggenda dell'orso di Corbiniano, che era nel suo stemma cardinalizio e che è ancora in quello papale.
Il monaco bavarese in cammino per Roma si imbatte in un orso che gli uccide la cavalcatura, forse una mula; e il santo ordina all'orso di prendere il posto della bestia uccisa. Così concludeva il cardinale: «Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all'orso. Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della città eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale il detto di Sant'Agostino: sono divenuto una bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te».
Il Papa teologo tornò sulla leggenda dell'orso il 9 settembre 2006 parlando alla folla di Monaco di Baviera: «L'orso di san Corbiniano, a Roma, fu lasciato libero. Nel mio caso, il "Padrone" ha deciso diversamente».
Trovo qualcosa di biblico, del Signore che porta qualcuno dove non vorrebbe, nella chiamata al pontificato che "sorprende" Ratzinger a 78 anni.
In questo sobbarcarsi un peso non cercato vedo l'aspetto più avvincente della missione di papa Benedetto: qualcosa come il segno di una disponibilità totale che si fa totale apertura. Oltre le attese, oltre le vedute coltivate.

© Copyright Liberal, 2 giugno 2009


+PetaloNero+
00mercoledì 3 giugno 2009 15:48
TETTAMANZI – L’ARCIVESCOVO DI MILANO ALLO STADIO MEAZZA PER UN BAGNO DI FOLLA CON 50MILA RAGAZZI –
Mario Baudino per "La Stampa"

Cinquantamila allo stadio, il cardinale al centro. E' la più imponente manifestazione dell'Arcidiocesi di Milano, dedicata ogni anno ai ragazzi di prima media, cresimati o cresimandi. Arrivano dal vasto territorio della Lombardia profonda, da Varese, Lecco, Monza e parte della provincia di Como.

Arrivano anche da Milano: questa volta un po' meno del previsto, visto che il ponte ha colpito implacabile. I milanesi superstiti indossano una pettorina rossa, gli altri ce l'hanno gialla, azzurra, verde, e si sono disposti sugli spalti in base al colore che ne contrassegna la provenienza.

Sul campo novecento volontari hanno preparato una complessa coreografia, gli altoparlanti sparano musica a tutto volume, nell'attesa lo speaker dice anche qualcosa ma, come spesso accade negli stadi, si capisce poco o nulla. Fuori aspetta una flotta da un migliaio di autobus, prenotati con un anno d'anticipo perché non ce ne sono abbastanza, in regione, e i ritardatari devono rivolgersi a noleggiatori veneti.

E' una manifestazione di forza oltre che naturalmente di fede. La più grande diocesi del mondo in termini di abitanti (cinque milioni e mezzo) si specchia nei suoi fedeli, e il cardinal Dionigi Tettamanzi lo ribadisce nel suo messaggio, che è il momento centrale della cerimonia: «Guardandovi - dice rivolto agli spalti -, vedo tutta la Chiesa di Milano». E lo stadio viene giù dagli applausi.

Poco prima, mano a mano che si disponevano le coreografie e i ragazzi correvano innalzando pannelli colorati, c'erano anche le grida di entusiasmo, quando ogni settore del pubblico riconosceva i suoi colori. Ora che il cardinale ha preso la parola, l'entusiasmo si fa più composto. C'è aria di gita, di festa e ovviamente di devozione. Sugli autobus hanno cantato e magari fatto merenda, i cresimati e cresimandi hanno 11 o 12 anni e sono in quella fase enigmatica di quando non si è più bambini e forse non si è ancora adolescenti.

Conoscono le canzoni e le preghiere, hanno seguito i loro corsi, vengono dagli oratori. E hanno voglia di spintonarsi e divertirsi. Ma che cosa è, esattamente, la cresima? Nadia, al centro del suo gruppo varesotto, ride e risponde con un'altra domanda: «Perché non provi a chiederlo al Don?».

Il Don sarebbe il prete, nel linguaggio dell'oratorio e anche nella drammatizzazione dell'evento, un vero copione teatrale, con dialoghi fra adolescenti che si interrogano sui temi religiosi della giornata e all'occorrenza dicono: «Wow, ci sono dei semi». Chiedere per chiedere, tanto vale rivolgersi al cardinale, che con la sua figura minuta in mezzo ai vescovi e vicari episcopali ha il passo energico e lo sguardo entusiasta delle grandi giornate.

La folla dei ragazzi è abbastanza variegata: spuntano le faccine dei figli degli immigrati; non così tante come ci si sarebbe aspettato, ma eccole là, appena distinguibili. Qualcuna anche nel gruppo di disabili che il cardinale saluta per primi, quando arriva a San Siro.

C'è un messaggio per loro? «Il messaggio è per tutti - ci risponde -. Ma tra i luoghi dove si realizza l'integrazione ci sono evidentemente la scuola e l'oratorio. Incontri di questo genere hanno un significato positivo nel cammino di integrazione in una società come la nostra, sempre più multiculturale». Poi ci addita monsignor Claudio, elegantissimo vescovo nero, biancovestito. «Guardi, è con noi anche il vescovo del Madagascar, che è venuto a cresimare in un piccolo paese della Brianza». Il discorso, al centro del tappeto verde del Meazza, verte sulla parabola del buon seminatore, e si conclude con un invito ai ragazzi.

«In questo momento - dice il cardinale - vorrei entrare dentro il tesoro e il segreto della vostra libertà... Vorrei scuoterla questa vostra libertà e dirvi con tanto amore: vivetela non per il male ma per il bene, non per la mediocrità ma per gli ideali alti della vita, non in modo stolto ma sapiente. Non sciupate la vostra libertà». L'ultima coreografia disegna un colomba, i volontari ansimano un poco. Hanno corso moltissimo, nulla da invidiare ai calciatori. Sono stati molto incitati. E' andato tutto bene. Che cosa chiedere di più a uno stadio?
+PetaloNero+
00mercoledì 3 giugno 2009 15:49
A Bogotà, in Colombia, mons. Celli partecipa all'icontro sulle comunicazioni sociali promosso dal suo dicastero e dal Celam. Intervista col presule


La crescita della comunione ecclesiale in rapporto allo sviluppo delle tecnologie mediatiche. Di questo argomento si discute, fra l’altro, al Convegno che si apre oggi a Bogotà, in Colombia, e che vede la partecipazione di vescovi, sacerdoti e laici esperti nel campo delle comunicazioni. All’incontro - promosso oltre che dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, anche dal Celam e dalla Rete informatica della Chiesa in America Latina (Riial) - partecipa anche il titolare del competente dicastero vaticano, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, al quale padre David Gutierrez, della nostra redazione ispanoamericana, ha chiesto quale significato rivesta per la Chiesa la continua attenzione riposta sui media vecchi e nuovi:

R. - Significa che si cerca di utilizzare le nuove tecnologie nel campo della comunicazione per favorire, per promuovere, una più intensa e profonda comunione ecclesiale in America Latina. Questo incontro è importante perché la Riial (Red Informática de la Iglesia en América Latina-Rete informatica della Chiesa in America Latina) in questi anni ha svolto un grande ruolo: ha favorito una certa crescita di comunione ecclesiale, proprio facendo ricorso alle tecnologie. Questa prima fase, però, obbliga tutti noi a sederci un momento e a ripensare qual sia la nostra funzione. Dopo aver ottenuto determinati risultati, credo che le stesse nuove tecnologie obblighino tutti noi a domandarci nuovamente chi siamo e qual è lo scopo del nostro agire. Sarà un momento per fare il punto di ciò che abbiamo realizzato sinora: vedere esattamente come le nuove tecnologie ci pongono nuovi interrogativi. Oggi, il Papa parla di cultura digitale e la grande sfida per noi Chiesa è vedere come siamo presenti nella cultura digitale e come possiamo esercitare un servizio di evangelizzazione nella cultura digitale. Io ritengo che la cosa importante di questo incontro sarà vedere come si muove questa tecnologia, ma alla luce del documento di Aparecida. Ad Aparecida è emerso con grande forza che ogni discepolo di Gesù deve diventare missionario nel suo ambiente, per l’annuncio della Parola. Allora, se le nuove tecnologie devono favorire questa comunione ecclesiale, dobbiamo anche vedere come le nuove tecnologie sono poste al servizio di una nuova evangelizzazione in Latino America. Quindi, questo sarà un momento di ascolto, di riflessione, per poi poter delineare una certa progettualità e vedere come i vari progetti che potremo mettere in essere, in queste sinergie tra Paese e Paese, quindi tra situazioni e situazioni, possano favorire questo annuncio, questa proclamazione della Parola. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Radio Vaticana
+PetaloNero+
00mercoledì 3 giugno 2009 15:49
Un concerto alla presenza di Giorgio Napolitano e del cardinale Bertone per celebrare i 140 anni del Bambin Gesù. Intervista col prof. Profiti


L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù festeggia il traguardo dei 140 anni di attività. Un concerto, questa sera alle 19.30 in Piazza del Campidoglio - alla presenza tra gli altri del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano - offrirà la cornice celebrativa per una benemerita istituzione sanitaria, che ha fatto dell’eccellenza professionale in campo pediatrico la sua cifra più caratteristica. Nel corso della serata, la Lupa capitolina, simbolo della città, verrà consegnata al presidente dell’Ospedale, il prof. Giuseppe Profiti, che tratteggia la storia del Bambin Gesù al microfono di Alessio Orlandi:

R. - L’ospedale nasce con un gesto di alcuni bambini che hanno rotto dalla famiglia Salviati, che diedero - simbolicamente - ai genitori la prima somma necessaria per una donazione, per la nascita dell’ospedale. Ospedale che viene consegnato nelle mani del Papa, un ospedale che cresce nei secoli e diventa l’ospedale di Roma, diventa l’ospedale dei bambini di tutta l’Italia. Diventa l’ospedale dove nasce la prima cardiochirurgia pediatrica, dove avviene il primo trapianto di cuore pediatrico di questo Paese, ed è l’ospedale che festeggia i suoi 140 anni, vedendo oggi i suoi medici operare in 43 Paesi in giro per il mondo, ed ospitando al suo interno, ad oggi, circa cento medici che provengono da questi Paesi.

D. - Cosa significa essere medico, infermiere, operare al Bambin Gesù e richiamarsi ai valori cristiani?

R. - Noi lo consideriamo un valore aggiunto, un valore importante, che aggiunge qualcosa alla prestazione della scienza, la arricchisce, e purtroppo, laddove la scienza non arriva, è quello che riusciamo e che amiamo offrire.

D. - C’è un momento particolare, in questi 140 anni di attività, particolarmente importante?

R. - Quello che segnerei, fondamentalmente, è il momento in cui l’ospedale viene affidato nelle mani della Santa Sede, e quindi nelle mani del Papa, al cuore del Papa. Credo che sia questo il motore di tutto, anche dei momenti più significativi di crescita dell’ospedale. Uno per tutti: la nascita del centro cardiologico e cardochirurgico, che oggi è uno dei più grandi d’Europa ed il primo in Italia.

D. - Quanti utenti servite ogni anno, da dove vengono, quali sono le patologie più frequenti che curate?

R. - L’ospedale ogni anno ha un milione di visite ambulatoriali. Nelle sue quattro sedi presta 40 mila ricoveri e circa 60 mila accessi al pronto soccorso. Sulle elevate, altissime specializzazioni, individuerei sicuramente il modello del Centro unico dei trapianti pediatrici, ovvero un modello puramente nazionale, che garantisce quindi tutti i trapianti di organi di tessuto all’interno di un percorso che si sviluppa con tutte le altre specialità pediatriche.

D. - Progetti e prospettive future per l’ospedale Bambin Gesù?

R. - Ricercare la grandezza in termini di qualità e quantità di prestazioni da garantire ai bisogni pediatrici locali, nazionali ed internazionali, tenendo sempre più stretto e quindi sviluppandolo il connubio tra ricerca ed assistenza.




Radio Vaticana
+PetaloNero+
00mercoledì 3 giugno 2009 15:50
All'udienza generale, il Papa parla di Rabano Mauro, antico monaco che unì il servizio della carità allo studio e alla contemplazione


Un personaggio dell’Occidente latino veramente straordinario: così il Papa, all’udienza generale nell’assolata ma fresca Piazza San Pietro, ha presentato stamani la figura di Rabano Mauro. Il monaco, nato a Magonza nel 780, entrato giovanissimo in monastero e divenuto abate del famoso Monastero di Fulda e poi arcivescovo di Magonza, fu consigliere saggio di principi all'interno della società carolingia. Del valore dei suoi insegnamenti oggi, ci riferisce nel servizio Fausta Speranza:

Un uomo di Chiesa di grande cultura che secondo la tradizione è l’autore di uno dei più belli e conosciuti inni della Chiesa latina, il "Veni Creator Spiritus", che si è messo a servizio di tanti senza per questo smettere di proseguire i suoi studi. Lo ricorda il Papa sottolineando:
“Dimostrando con l’esempio della sua vita che si può essere simultaneamente a disposizione degli altri, senza privarsi per questo di un congruo tempo per la riflessione, lo studio e la meditazione”.
Rabano Mauro fu esegeta, filosofo, poeta. Benedetto XVI ricorda che poesia e forma pittorica spesso si sono fuse per esprimere verità di fede, basti pensare ai codici miniati della Bibbia. Oggi lo chiameremmo metodo multimediale - dice - per poi spiegarne un valore profondo:

“Esso dimostra in ogni caso in Rabano Mauro una consapevolezza straordinaria della necessità di coinvolgere, nella esperienza della fede, non soltanto la mente e il cuore, ma anche i sensi mediante quegli altri aspetti del gusto estetico e della sensibilità umana che portano l’uomo a fruire della verità con tutto se stesso, 'spirito, anima e corpo'. Questo è importante: la fede non è solo pensiero, ma tocca tutto il nostro essere. Poichè Dio si è fatto uomo in carne e ossa, è entrato nel mondo sensibile, noi in tutte le dimensioni del nostro essere dobbiamo cercare e incontrare Dio. Così la realtà di Dio, mediante la fede, penetra nel nostro essere e lo trasforma.”
Il Papa sottolinea la grande cultura del monaco dell’Alto Medio Evo, ma al contempo ci tiene a sottolineare che “se ne serviva con libertà e attento discernimento”. Al proposito riporta sue parole ad un corepiscopo:
“Al termine dell’'Epistola prima' diretta a un 'corepiscopo' della diocesi di Magonza, per esempio, dopo aver risposto alle richieste di chiarimento sul comportamento da seguire nell’esercizio della responsabilità pastorale, prosegue: 'Ti abbiamo scritto tutto questo così come lo abbiamo dedotto dalle Sacre Scritture e dai canoni dei Padri. Tu però, santissimo uomo, prendi le tue decisioni come sembra meglio a te, caso per caso, cercando di temperare la tua valutazione in modo tale da garantire in tutto la discrezione, perché essa è la madre di tutte le virtù'. Si vede così la continuità della fede cristiana, che ha i suoi inizi nella Parola di Dio; essa però è sempre viva, si sviluppa e si esprime in nuovi modi, sempre in coerenza con tutta la costruzione, con tutto l'edificio della fede".
Altro insegnamento fondamentale e sempre attuale è quello della contemplazione: chi è negligente nella contemplazione - scrive il monaco - si priva da se stesso della visione della luce di Dio. Il Papa, commentando a braccio, aggiunge:
“Penso che Rabano Mauro rivolga queste parole anche a noi oggi: nei tempi del lavoro, con i suoi ritmi frenetici, e nei tempi delle vacanze dobbiamo riservare momenti a Dio. Aprire a Lui la nostra vita rivolgendoGli un pensiero, una riflessione, una breve preghiera, e soprattutto non dobbiamo dimenticare la domenica come il giorno del Signore, il giorno della liturgia, per percepire nella bellezza delle nostre chiese, della musica sacra e della Parola di Dio la bellezza stessa di Dio, lasciandolo entrare nel nostro essere. Solo così la nostra vita diventa grande, diventa vera vita.”

Nei saluti in varie lingue, il Papa è tornato sugli insegnamenti fondamentali di questo uomo di Chiesa: “Studio, profonda contemplazione e costante preghiera”. In particolare, in francese Benedetto XVI ha rivolto un pensiero al movimento Fede e Vita, in inglese ai pellegrini da Inghilterra, Irlanda, Filippine e Stati Uniti, in spagnolo al movimento Familias en Alianza, in polacco ai membri del movimento Luce-Vita, con il ricordo del 30.mo anniversario del primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in patria, che cade in questi giorn. Infine, in italiano, il del Papa è andato ai fedeli della diocesi di Cremona, guidati dal loro vescovo mons. Dante Lanfranconi, ai partecipanti al Capitolo generale dei sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù-Dehoniani, ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Poi l’annuncio della celebrazione, la prossima domenica, della solennità della Santissima Trinità.




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=874&sett...
+PetaloNero+
00mercoledì 3 giugno 2009 15:50
L'accoglienza degli immigrati fa parte della vocazione della Chiesa
Spiega il Segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti



TECÚN-UMÁN, mercoledì, 3 giugno 2009 (ZENIT.org).- L'accoglienza degli immigrati fa parte della vocazione missionaria della Chiesa, ha spiegato l'Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, all'incontro delle Conferenze Episcopali di Stati Uniti, Messico, America Centrale e Caribe.

Nel vertice episcopale continentale, in svolgimento a Tecún-Umán (Guatemala) dal 2 al 4 giugno, il presule ha illustrato la pastorale dell'accoglienza promossa dalla Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II.

La Chiesa, ha spiegato, è missionaria per natura “per comunicare il proprio tesoro e arricchirsi di nuovi doni e valori”.

Gli immigrati, ha osservato, permettono di “far scoprire che la missione non si realizza solo nei cosiddetti territori missionari, tradizionalmente in Africa o in Asia, dato che oggi gli abitanti dei vari continenti si spostano, e con essi la missione”.

Il presule ha offerto la chiave dell'opera missionaria con gli immigrati in due parole: “dialogo e “annuncio”, basandosi su altri principi, come “la libertà dell’atto di fede, il dovere della ricerca della verità, il non relativismo in religione”.

Il fenomeno migratorio, “mettendo in contatto fra loro persone di diversa nazionalità, etnia e religione, contribuisce a rendere visibile l’autentica fisionomia della Chiesa e valorizza la valenza ecumenica e dialogico-missionaria delle migrazioni”, ha affermato.

Attraverso di esse, infatti, “si realizzerà tra le genti il disegno di comunione salvifica di Dio. Nell’accoglienza ecclesiale, comunque, è offerta ai migranti cattolici l’opportunità privilegiata, sia pur spesso dolorosa, di giungere a un maggior senso di appartenenza alla Chiesa universale oltre ogni particolarità”.

La base di questa pastorale è stata definita dal rappresentante vaticano come “cultura dell’accoglienza”.
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