Documenti emanati dai dicasteri e da altri organismi della Curia Romana e della Santa Sede durante il pontificato di Benedetto XVI

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+PetaloNero+
00sabato 23 gennaio 2010 16:25
COMUNICATO DEL CONSIGLIO SPECIALE PER L’AFRICA DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

Parlando al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Sua Santità Benedetto XVI ha fatto riferimento alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, ricordando anche il suo viaggio apostolico in Camerun e Angola e rilevando il perdurare dell’assenza di pace e concordia in Paesi come Darfur, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Guinea e Madagascar.

I Padri Sinodali, durante la recente Assemblea per l’Africa, hanno dedicato attenzione a giustizia, pace e riconciliazione, comprese nel tema dei lavori, per le quali tutte le istanze ecclesiali in Africa devono impegnarsi, prima di tutto attraverso il sacramento della penitenza e la capacità di perdono, quali condizioni prepolitiche di pacificazione e di concorde convivenza.

Urge, inoltre, evitare di trasformare la teologia in politica, portando piuttosto la teologia direttamente nel ministero pastorale concreto, in modo da applicare le grandi prospettive della Sacra Scrittura e della Tradizione, come ha indicato il Santo Padre Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana il 21 dicembre 2009.

Per quanto concerne la salvaguardia della creazione, preoccupano l’erosione e la desertificazione di vaste aeree di terra coltivabile, risultato dello sfruttamento e dell’inquinamento atmosferico, mentre emerge il bisogno di forme di produzione agricola e industriale capaci di rispettare la creazione nel far fronte ai bisogni di tutti.

Con queste riflessioni l’Eccellentissimo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Mons. Nikola Eterović, ha introdotto i lavori della seconda riunione del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, tenutasi nei giorni 19 e 20 gennaio 2010 nella sede della medesima Segreteria.

Erano presenti tutti i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa: gli Eminentissimi Cardinali Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (Città del Vaticano); Peter Kodwo A. Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Città del Vaticano); Wilfred Fox Napier, o.f.m., Arcivescovo di Durban (Sud Africa); Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal); John Njue, Arcivescovo di Nairobi (Kenia); gli Eccellentissimi Monsignori Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (R.D.C.); John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja (Nigeria); Cornelius Fontem Esua, Arcivescovo di Bamenda (Cameroun); Norbert Wendelin Mtega, Arcivescovo di Songea (Tanzania); Simon Ntamwana, Arcivescovo di Gitega (Burundi); Odon Marie Arsène Razanakolona, Arcivescovo di Antananarivo (Madagascar); Francisco João Silota, M. Afr., Vescovo di Chimoio (Mozambico); Edmond Djitangar, Vescovo di Sarh (Ciad); Maroun Elias Lahham, Vescovo di Tunis (Tunisia).

Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Youssef Ibrahim Sarraf, Vescovo di Le Caire dei Caldei (Egitto), Membro del secondo Consiglio Speciale per l’Africa, il 31 dicembre 2009 ha improvvisamente e inaspettatamente lasciato questa terra per passare all’altra vita. In suffragio di lui, come anche del defunto Cardinale Armand Razafindratandra, Arcivescovo emerito di Antananarivo, deceduto il 9 gennaio 2010, i Membri del Consiglio e della Segreteria Generale hanno concelebrato una Santa Messa in San Pietro il giorno 20 gennaio, con la presidenza di Sua Eminenza il Cardinale Francis Arinze.

All’introduzione del Segretario Generale è seguito un giro di interventi dei partecipanti, i quali si sono riferiti agli echi alquanto positivi dell’Assemblea Speciale nei rispettivi Paesi e Chiese Particolari, come pure alla situazione sociale ed ecclesiale delle loro Regioni.

I Membri del Consiglio si sono pure soffermati sui principali problemi osservando che la Chiesa in diversi Paesi si trova nella necessità di difendere il popolo contro le ingiustizie. La mancanza di pace porta poi la Chiesa ad un forte impegno nella mediazione e nell' accoglienza di coloro che soffrono le conseguenze delle guerre interne.

La riconciliazione continua ad essere una sfida per la Chiesa in Africa, la quale deve essere riconciliata in se stessa per diventare credibile nella sua predicazione e nella sua azione sociale.

Nel dialogo interreligioso, i presenti hanno affermato che si sta cercando di stabilire vincoli di intesa e collaborazione, soprattutto con l'islam, che è la religione più diffusa nel Continente. Si auspica che i gruppi fondamentalisti siano sempre più sconfessati ed emarginati dai rappresentanti ufficiali dell’islam.

Seguendo l’ordine del giorno, il Consiglio si è impegnato nello studio delle Proposizioni del Sinodo in vista di uno schema ragionato di tutta la materia, che serva di base per un’ulteriore approfondimento e sviluppo come contributo alla composizione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale, la cui pubblicazione è stata chiesta esplicitamente al Santo Padre nella prima Proposizione.

Durante i lavori nei circoli linguistici, francese ed inglese, sono stati redatti due schemi, poi discussi in seduta plenaria e ritenuti compatibili, che potranno essere integrati in uno schema unico. A questo riguardo è stato comune desiderio di presentare un testo che tenga conto non solo delle difficoltà reali e concrete, ma anche di tante situazioni positive e promettenti del continente africano. In ogni caso il testo finale dovrà mantenere un giusto equilibrio tra una prospettiva teologico-spirituale e un adeguamento alla realtà pastorale e sociale.

Dopo aver stabilito la data della prossima riunione, nei giorni 27-28 aprile 2010, il Consiglio ha concluso i lavori con la preghiera.

+PetaloNero+
00sabato 23 gennaio 2010 16:26
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 44a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI (16 MAGGIO 2010)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 44a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (16 maggio 2010) sul tema: "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola".
Intervengono: S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Rev.mo Mons. Paul Tighe, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.


INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

Il Presidente del Pontificio Consiglio presenta in PowerPoint una sintesi del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.


INTERVENTO DI MONS. PAUL TIGHE


Il messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno – Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: I nuovi media al servizio della Parola – riprende dal punto in cui si era concluso il messaggio dello scorso anno, con una considerazione sull’evangelizzazione del "continente digitale". Il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all’esortazione paolina "Guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Con la diffusione delle nuove tecnologie, la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una "storia nuova", perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il suo impegno, per porre i media al servizio della Parola.

Nel messaggio, il Papa si sofferma sulla natura pastorale del coinvolgimento dei sacerdoti nell’universale missione di evangelizzazione e comunicazione. I sacerdoti sono invitati a valutare il grande potenziale delle nuove tecnologie per far conoscere la Buona Novella dell’amore di Dio a tutti, più ampiamente e più direttamente al maggior numero di persone e oltre ogni confine. È possibile, usando le nuove tecnologie, raggiungere nuovi pubblici; invitarli a riflettere sulle questioni fondamentali riguardo il significato e lo scopo della vita e offrire loro la grande saggezza della nostra tradizione. Questo è un messaggio di incoraggiamento per tutti i sacerdoti; non solo per coloro che sono esperti di tecnologia o specialisti del settore mediatico.

Il sacerdote è invitato a essere presente nel mondo digitale proprio in quanto sacerdote, "come uomo di Dio". "Più che la mano dell’operatore dei media, il presbitero nell’impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato." Se il sacerdote deve essere un valido comunicatore del Vangelo nell’ambiente digitale, come in ogni altro ambito, egli deve essere un uomo del Vangelo. Gli sforzi del sacerdote devono nascere dal suo ascolto profondo e dalla meditazione della Parola di Dio. Il Messaggio riflette questa intimità – i sacerdoti devono essere presenti come "nella costante fedeltà al messaggio evangelico"; il loro uso dei nuovi media dovrebbe riflettere "una solida preparazione teologica e una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore" e l’impegno dovrebbe essere intrapreso "con il Vangelo nelle mani e nel cuore".

Papa Benedetto individua alcune delle nuove risorse (foto, video, animazioni, blog, siti web) che possono essere usate dai sacerdoti per proclamare il Vangelo e insiste sul fatto che devono essere usate in modo opportuno e competente. Il suo messaggio dà per scontato il bisogno di una formazione dei sacerdoti per un abile uso delle nuove tecnologie, ma la sua prima preoccupazione è assicurare che queste siano usate per promuovere il Vangelo e offrire speranza a tutti. Come il Papa ha osservato nella Caritas in veritate: I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti, semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale. (73). Il Papa invita i sacerdoti e tutti i credenti a usare il web per creare uno spazio di dialogo in cui i cristiani, i fedeli di altre religioni e i non-credenti possano ritrovarsi nella ricerca rispettosa della verità e della saggezza. Se chi partecipa si sente libero di esprimere le sue più profonde convinzioni e il suo credo in questo dialogo, servirà per "dare un’anima all’interrotto flusso comunicativo nella "Rete".

Gli ultimi dieci o quindici anni hanno visto la diffusione di iniziative istituzionali che usano le nuove tecnologie per rivolgersi ai sacerdoti. La Congregazione per il Clero ha un sito molto ricco dedicato all’Anno del Sacerdote: www.annussacerdotalis.org e molte Conferenze Episcopali hanno sviluppato siti simili. Le campagne sul web stanno diventando un modo comune per promuovere le vocazioni. In diversi luoghi le nuove tecnologie sono usate per incoraggiare la continua formazione teologica e spirituale dei sacerdoti; essi stanno facilitando la comunicazione nelle diocesi e nelle congregazioni religiose e stanno sviluppando nuove forme di comunità che offrono sostegno e solidarietà ai sacerdoti nelle missioni isolate. Inoltre, ci sono stati molti sforzi individuali da parte di sacerdoti, spesso appoggiati da laici con una formazione tecnica e competenza nel campo dei media, per usare le nuove tecnologie al fine di dare una dimensione nuova alla loro missione pastorale. Siamo già al punto in cui c’è bisogno di maggiore coordinazione e integrazione di queste diverse iniziative per assicurare che il profilo della Chiesa digitale rifletta la sua vera natura e missione. Questo messaggio incoraggia tutti noi ad assicurare che la presenza ecclesiale e sacerdotale emergente nel mondo digitale rappresenti sempre fedelmente la Chiesa, testimoni l’amore costante di Dio per tutti e sia caratterizzata da un profondo impegno per costruire la comunione dentro la Chiesa e l’unità dell’intera famiglia umana.
+PetaloNero+
00martedì 26 gennaio 2010 00:22
Il testo integrale della prolusione pronunciata dal Presidente della CEI in apertura del Consiglio Episcopale Permanente

Quello che segue è il testo integrale della prolusione pronunciata dal Cardinale Angelo Bagnasco (nella foto), Presidente della CEI, in apertura del Consiglio Episcopale Permanente: “Venerati e Cari Confratelli,

ci ritroviamo all’inizio del nuovo anno 2010 per continuare nell’amicizia e nella comunione fraterna quell’opera di discernimento e di indirizzo che lo statuto della nostra Conferenza Episcopale affida al Consiglio Permanente. Lo facciamo nello spirito a cui ci ha introdotto l’adorazione eucaristica appena vissuta, e con la volontà di restare «in onda con il Signore» (cfr Benedetto XVI, Discorso ai ragazzi dell’Acr, 19 dicembre 2009), per sintonizzarci con le Sue priorità e le Sue preferenze. In particolare, siamo in comunione con tutte le Chiese cristiane che oggi, festa della Conversione di San Paolo apostolo, concludono la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che quest’anno aveva una speciale connotazione, celebrandosi il centenario della Conferenza di Edimburgo (Scozia, 13-24 giugno 1910) che non poco avrebbe contribuito a diffondere l’ansia per l’unità quale aspirazione indispensabile a rendere credibile nel mondo d’oggi l’annuncio evangelico. Il Concilio Vaticano II ha assunto questa consapevolezza, e l’ha rilanciata con parole impegnative, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù «non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis Redintegratio, 1). La preghiera intensa e perseverante che mira ad ottenere la piena comunione tra i seguaci di Cristo «manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica» e crea le condizioni per quel «processo di purificazione» attraverso il quale «il Signore ci rende capaci di essere uniti» (Benedetto XVI, Catechesi del Mercoledì, 20 gennaio 2010). Com’è noto, nella vigilia dell’Ottavario per l’unità, è felicemente ripresa quale evento condiviso la celebrazione della Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei, che è stata resa storica dalla visita che Benedetto XVI ha compiuto in quello stesso giorno alla Sinagoga di Roma. Il rilievo che tale provvida iniziativa ha avuto in ambito non solo nazionale testimonia che il dialogo è davvero la via irreversibile per superare incomprensioni e pregiudizi. Il gesto che quasi venticinque anni fa compì per la prima volta Giovanni Paolo II è stato confermato e rafforzato da Benedetto XVI; il muro abbattuto da Papa Wojtyla è diventato per il suo Successore un ponte di «vicinanza» e di «fraternità» già praticato; l’emozione incomparabile del primo incontro si è trasformata in robuste argomentazioni a ritrovare nella Sacra Bibbia il «fondamento più solido e perenne», ricordando che il legame di «solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico» non è un fattore estrinseco ma si colloca «a livello della loro stessa identità spirituale», e indicando nel Decalogo il «faro» e «il grande codice etico per tutta l’umanità» (Discorso nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010). Va da sé che noi Pastori ci riconosciamo nell’atto spontaneo di commosso omaggio che il Santo Padre ha tributato ai superstiti del dramma singolare e sconvolgente della Shoah, e idealmente ci siamo a lui associati, desiderando per la nostra parte e nell’azione educativa delle nostre Chiese contribuire a cementare un irrinunciabile clima di rispetto e di amicizia che, vincendo ogni traccia di odio, sconfigga i focolai talora riaffioranti di antisemitismo come pure di xenofobia. Nella giornata di ieri, domenica 24 gennaio, in tutte le nostre parrocchie si è svolta una raccolta straordinaria di aiuti per la popolazione di Haiti durissimamente colpita dal tragico terremoto del 12 gennaio. Una prima cifra, com’è noto, è stata immediatamente erogata dalla Presidenza della Cei, ma molto di più si deve ora fare attraverso la Caritas che è già sul posto. Siamo certi che i cattolici italiani vorranno come sempre corrispondere al dovere della generosità verso un popolo la cui tragedia lascia senza fiato. Non abbiamo la pretesa di saper placare i quesiti più profondi ed inquietanti che sono suggeriti da questo genere di prove nella vita dei popoli, ma sappiamo che nella pronta solidarietà e nella genuina condivisione vi è già la traccia di ogni possibile risposta. I missionari che da tempo operano nell’isola caraibica, i volontari stabili e quelli che si sono aggiunti in queste settimane sono i testimoni di una vicinanza che non verrà meno, dovendosi trovare le strade più rispettose ed efficaci per arrecare sollievo alle popolazioni colpite, in particolare ai bambini rimasti orfani e alle persone variamente segnate dalla tragedia.

1. Sarà anche a Voi capitato, nelle settimane scorse, di pensare che il tempo del Natale, con la sua grammatica di segni e di simboli, esprime anche nel contrasto delle situazioni l’intima identità del Dio cristiano, del «Dio che in Gesù Cristo ha rivelato in modo compiuto e definitivo la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia» (Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 3 gennaio 2009). Egli ci viene incontro perché noi, prima inabili, possiamo audacemente andare incontro a Lui, e sperimentarlo per quello che Egli è, ossia l’Emmanuele, «il Dio-con-noi, dal quale non ci separa alcuna barriera e alcuna lontananza. In quel Bambino, Dio è diventato così prossimo a ciascuno di noi, così vicino, che possiamo dargli del tu e intrattenere con lui un rapporto confidenziale di profondo affetto». E infatti «viene senza armi, senza forza, perché non intende conquistare, per così dire, dall’esterno, ma intende piuttosto essere accolto dall’uomo nella libertà». Tant’è che in Gesù «Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincere con l’amore e condurci alla nostra vera identità. Non dobbiamo dimenticare che il titolo più grande di Gesù Cristo è proprio quello di “Figlio”, Figlio di Dio» (Benedetto XVI, Catechesi del Mercoledì, 23 dicembre 2009). Qui sta la verità del Natale, e la forza che la sua suggestione esercita anche sull’uomo post-moderno che come non mai ha bisogno di punti di forza su cui far leva per raggiungere l’immagine autentica di Dio, oltre le edulcorazioni e le manomissioni. Egli è il Vicino: ecco la notizia che non ci lascia indifferenti, che scalda il cuore e ci cambia la vita perché risponde alle nostre attese più intime. Questo spiega l’attrattiva che il presepe conserva anche nella società multimediale e multiculturale. Vi è infatti la cifra di Dio, la via della semplicità e del nascondimento che è «lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio, […] diffondendosi a cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce» (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, 25 dicembre 2009). C’è qui la parabola della Chiesa, ed è spiegata l’attrattiva che le nostre parrocchie − Chiesa tra la gente − esercitano puntualmente ad ogni Natale. Esiste infatti un’affinità straordinaria tra il Natale di Gesù e il natale della Chiesa quale ordinariamente si verifica nella vita delle comunità cristiane, diffuse sul territorio e capaci di accendere altrettante luci che fungano da richiamo, da scuotimento. Di anno in anno, ad aiutarci nella meditazione dell’ineffabile mistero del Natale ci soccorre il nostro Papa attraverso le sue omelie e «catechesi». Anche per questo rinnoviamo a Lui il nostro grato affetto e la nostra pronta comunione. Non temiamo di dirci ammirati di questa sua arte, e non ci stanchiamo di indicarla a noi stessi e ai nostri sacerdoti come una scuola di predicazione alta e straordinaria. Che poi quest’anno, proprio nella celebrazione natalizia per eccellenza, gli sia capitato di essere spinto a terra per subito rialzarsi e tranquillamente incedere verso l’altare, è una circostanza che ha finito per conferire uno stigma ancora più forte alla predicazione papale: «Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita» (Omelia nella Solennità del Natale, 24 dicembre 2009).

2. Operando nel vivo della pastorale, ci succede non di rado di registrare esiti come quello che ultimamente ha fatto seguito all’evento su «Dio oggi» promosso dal nostro Comitato per il Progetto Culturale. Il numero straordinario delle presenze specialmente giovanili, l’interesse evidente registrato tra i convenuti e la loro concentrazione sul dibattito non potevano non colpire. Simili episodi sono, tra l’altro, riscontro che neppure l’uomo di oggi riesce ad accantonare con leggerezza o supponenza la questione di Dio: dobbiamo «preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2009). Interessante l’impostazione che il Papa dà alla questione: occorre fare in modo che i nostri contemporanei “accettino” per se stessi tale questione, la riconoscano come un fatto importante della loro esistenza, ne diano conto senza complessi. Ciascuno è chiamato a respingere le intimidazioni del secolarismo, le spinte cioè all’interpretazione più privatistica del fatto religioso, quasi si trattasse di una debolezza dell’intelligenza e un cedimento all’irrazionalità. C’è tutta una cultura pubblica che, convalidata dall’apparato pubblicitario e in un gioco di rimandi ossessivi, punta all’estraneazione, alla sottovalutazione, quando non all’irrisione del fenomeno religioso: l’individuo che crede dovrebbe vergognarsene, o almeno dissimulare la propria fede. Ne è segno la nota e inaccettabile vicenda della sentenza di Strasburgo circa l’esposizione del Crocifisso. È la penombra di cui il Papa parlava nel messaggio indirizzato al sottoscritto per il citato evento: «Penombra che rende precaria e timorosa per l’uomo del nostro tempo l’apertura verso Dio, sebbene Egli non cessi mai di bussare alla nostra porta» (Messaggio al Convegno “Dio oggi: con lui o senza di lui cambia tutto”, 7 dicembre 2009). E nella notte di Natale Benedetto XVI osservava: «La nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze, sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui» (Omelia cit.). Nonostante ciò, in ognuno è all’opera, in modo aperto o nascosto, il desiderio che Dio si riveli. È il tema inesauribile della ricerca di Dio, su cui per secoli ha indagato la cultura occidentale. Ma guai a snobbarlo questo argomento, che ogni generazione sente pulsare come fosse inedito. Per questo – ha annotato il Papa – «anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti» (Discorso cit.). Non stupisce allora che abbia avuto una certa eco nei media la proposta che, a seguire, lo stesso Benedetto XVI avanzava: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa» (ib). Che è incitamento a trovare modalità nuove di attenzione verso le persone che non credono: occorre infatti che non si sentano inibite, ma rispettosamente considerate: «Conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; sono scontente con i loro dèi, riti, miti; desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio Ignoto”» (ib). Dobbiamo dar fondo alla creatività pastorale, rivisitando i moduli ordinari di essa e ripensandoli in ordine alla nuova evangelizzazione: nessuno deve sentirsi come spaventato dalla nostra concreta attenzione, ma neppure deve sentirsi ignorato. Si ambientano qui le iniziative come quelle del Progetto Culturale o la Lettera ai cercatori di Dio: all’apparenza potrebbero sembrare cose scarsamente pertinenti all’attività pastorale ordinaria, e invece creano clima, lasciano affiorare stimoli che vengono ripresi e magari sviluppati, in ogni caso possono dare preziosi contributi per orientare il movimento della cultura in una direzione più aperta alle piene dimensioni dell’intelligenza e della libertà dell’uomo. Ed essere foriere di importanti sviluppi anche per la stessa filosofia, chiamata a recuperare la propria rilevanza civile, fuori dalle secche della retorica per restare fedele invece alla propria connotazione teoretica, quale forma della ricerca del vero. A ben pensare, su questo versante della ricerca di Dio si colloca un po’ tutta la pastorale giovanile – pensiamo al movimento delle Giornate della gioventù, nel loro venticinquesimo di avvio e nel decennale della grande Gmg di Roma – ma anche la pastorale universitaria, e l’attività animata da circoli culturali come dai gruppi di Scienza&vita, orientata dunque verso «gli areopaghi di oggi» che sono i centri e i temi nevralgici della società odierna (cfr Benedetto XVI, Messaggio per la Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, 13 novembre 2009). Su questo versante tuttavia si attesta anche quel settore, negli ultimi decenni diventato quanto mai dinamico, della pastorale del turismo religioso e dei pellegrinaggi, dove spesso si agganciano interlocutori non consueti, che vengono interpellati in merito ad «orizzonti che fanno riflettere sulla ristrettezza della propria esistenza e sull’immensità che l’essere umano ha dentro di sé» (Benedetto XVI, Messaggio per il Giubileo Campostelano, 19 dicembre 2009).

3. Mi ha colpito, per restare ancora sull’importante discorso che il Santo Padre ha tenuto alla Curia romana alla vigilia di Natale, il significativo capitolo dedicato alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace, che gli era stato suggerito dal tema del recente Sinodo sull’Africa e dagli argomenti in esso vivacemente trattati. Ma lo spettro della riflessione effettuata non era in modo vincolante circoscritto a quel continente, verso il quale peraltro sono ancora intatte tutte le responsabilità proprie del Nord del Mondo. Di qui l’esame del concetto di riconciliazione quale compito della Chiesa di oggi, e come interpellanza diretta agli uomini del nostro tempo che hanno bisogno di apprendere nuovamente lo stile del riconciliarsi e i gesti che lo pongono in essere. A cominciare dal sacramento della Riconciliazione: «Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace» (ib). Parole che suonano indubbiamente incalzanti per i popoli dell’Africa e le loro relazioni interne, spesso difficili e segnate da conflitti, ma anche per ogni altro popolo, dunque anche per noi e per la verità del nostro apporto di credenti alla costruzione dell’edificio comune che coincide anzitutto con il nostro Paese. L’appello al disarmo degli animi, che ci eravamo permessi di lanciare in occasione dell’assemblea di Assisi, ha − grazie a Dio − avuto una certa eco, ed è stato da varie parti ripreso come esigenza per un confronto politico più maturo. Eppure la situazione interna ha continuato a surriscaldarsi fino all’episodio violento ed esecrabile che ha riguardato il Presidente del Consiglio. Maestri nuovi del sospetto e del risentimento sembrano talora riaffiorare all’orizzonte lanciando parole violente che, ripetute, possono resuscitare mostri del passato. Ebbene, dobbiamo continuare a dare un contributo speciale come credenti su questo versante della riconciliazione degli animi, quale condizione irrinunciabile per un disarmo duraturo tra schieramenti e gruppi, in vista di una coesione effettiva tra i componenti dell’intera comunità nazionale. Dobbiamo farlo guardando niente meno che all’esempio di Gesù che «si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione» (ib). Questa è la vera gratuità, spiegava il Papa: «La disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione» (ib). O la rinuncia a far prevalere analisi finalizzate a giustificare unicamente il proprio progetto ritenuto pregiudizialmente il migliore. Solamente se c’è un’azione che scava così in profondità, c’è anche la speranza di costruire non sul dato meramente episodico o psicologico, ma sulle motivazioni profonde, che non possono mancare quando c’è di mezzo il bene di una Nazione. «Riconciliazione è un concetto pre-politico – chiariva Benedetto XVI – e una realtà pre-politica, che proprio per questo è della massima importanza per il compito della politica stessa. Se non si crea nei cuori la forza della riconciliazione, manca all’impegno politico per la pace il presupposto interiore» (ib). Qui c’è, ed è stata più volte segnalata, una responsabilità precipua dei mezzi di comunicazione, da cui provengono a volte deviazioni e intossicazioni (cfr Benedetto XVI, Discorso all’Atto di Omaggio all’Immacolata in Piazza di Spagna, 8 dicembre 2009). Non serve a nessuno che il confronto pubblico sia sistematicamente ridotto a rissa, a tentativo di dominio dell’uno sull’altro. Allo stesso modo è insopportabile concentrarsi unicamente sulla denigrazione reciproca, arrivando talora a denigrare il Paese intero pur di far dispetto alla controparte. Anche i media, che devono corrispondere ai compiti di informazione e di controllo che sono loro propri in una società evoluta, non devono cadere nel sistematico disfattismo o nell’autolesionismo di maniera. Il giornalismo del risentimento che si basa, più che sulle notizie, sui conflitti veri o immaginati, finisce per nuocere anche alla causa per cui si sente mobilitato. Il Paese ha bisogno di uscire dalle proprie pigrizie mentali, dai pregiudizi ammantati di superiorità, per essere meglio consapevole delle risorse e delle qualità di cui dispone, per dare una giusta considerazione ai successi conseguiti ad esempio sul fronte della lotta alla criminalità, o dell’eccellenza tecnologica, o della ricerca medico-scientifica, o della bio-alimentazione, o dell’industria creativa. Occorre essere fieri del proprio buon nome, della propria fatica, dell’impegno speso senza vanità e che, quando c’è, non può essere annullato da nessuno. A partire da simili presupposti, è possibile allora per la politica – intesa come l’opera civile più grande per gli altri − proporsi l’obiettivo urgente, ma colpevolmente sempre rinviato, delle riforme che invece sono attese per dare compiutezza a quella transizione istituzionale, politica e strutturale che, se ritardata, assorbe le risorse e corrode gli entusiasmi. Il Presidente della Repubblica molto opportunamente non si stanca di richiamare le classi politica, amministrativa e giudiziaria, e le diverse componenti dirigenziali, a mettere da parte calcoli individuali, e talora anche meschini, per riuscire negli obiettivi generali. La stessa questione Meridionale, come viene per lo più evocata, deve acquistare una capacità di interrogazione nuova rispetto all’intero Paese. Le parole come solidarietà, sussidiarietà e reciprocità, quali sono prospettate nel documento sul Mezzogiorno che andremo ad approvare definitivamente in questi giorni, indicano i criteri necessariamente esigenti per una riforma urgente del nostro sentirci Nazione, a centocinquant’anni esatti dal compimento dell’unità d’Italia. Ne abbiamo parlato ampiamente nella nostra Assemblea ad Assisi: offriamo alla Chiesa e al Paese il nostro contributo che nasce dalla collegiale riflessione e dall’esperienza diretta sul territorio come Pastori che amano questa splendida e nobile Terra. L’indifferenza verso le istituzioni è una mancanza che si fa pesante e prelude ad una segmentazione del Paese non più consona alle sfide che deve affrontare. Non è un caso che nel clima natalizio il Papa abbia parlato di «amore vicendevole e di reciproca comprensione, affinché all’interno delle famiglie e dell’intera Nazione si viva quel clima di intesa e di comunione che tanto giova al bene comune» (Saluto all’Angelus, 26 dicembre 2009). Parole che possono suonare generiche solo a chi non voglia capire.

4. Molto si è discusso, nell’ultimo periodo, di clima e di ambiente, di crisi ecologica e cambiamenti atmosferici. L’occasione principale è stata offerta dalla Conferenza di Copenaghen, dove si erano dati appuntamento i governi del mondo per mettere in comune le diagnosi e soprattutto assumere insieme degli impegni destinati a modificare i comportamenti nazionali e a ridurre sensibilmente le emissioni di CO2. Un appuntamento che si annunciava cruciale e alla prova dei fatti lo è risultato assai di meno, per il modesto approdo a cui è pervenuto, senza significative decisioni vincolanti, e rinviando sostanzialmente le scelte dirimenti ad occasioni successive. Da più parti è stato fatto notare che la motivazione che soggiace al mancato accordo è da ricercarsi nel fatto che i grandi Paesi, indispensabili per pervenire a degli esiti soddisfacenti, sono nel contempo anche parte considerevole del problema. In buona sostanza, quello del clima è lo schermo sul quale si proiettano le differenze economiche che intercorrono tra le diverse regioni della terra e soprattutto le diverse cronologie del rispettivo sviluppo. Di qui la resistenza dei Paesi di recente industrializzazione che faticano ad assumere vincoli che possano compromettere il loro attuale slancio a vantaggio magari dei Paesi che di un’industrializzazione senza vincoli hanno nel frattempo già beneficiato. E sullo sfondo c’è l’insoddisfazione del più elevato numero di Paesi, quelli in via di sviluppo, che pur non inquinando come gli altri, sono spesso i primi a dover fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico. Ad offrire una sorta di chiave di lettura ordinata dei problemi sul tappeto è stato il Messaggio per la 43a Giornata della Pace che era in calendario per il 1° gennaio 2010, e non a caso il Pontefice aveva voluto sul tema: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. Cruciale è l’affermazione papale secondo cui «la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni» (ib). Come dire: non ci si può illudere di affrontare efficacemente fenomeni quali la desertificazione, l’esaurimento di risorse naturali, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali, l’inquinamento atmosferico se non vi è la disponibilità ad operare «una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo» (Messaggio cit., n. 5). Dunque, a ben riflettere, il tema ecologico è un altro modo per assumere i traguardi indicati nella recente enciclica Caritas in veritate, a cominciare dall’urgenza di una duplice solidarietà, quella inter-generazionale per cui i costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali non possono essere a carico di chi verrà dopo di noi, e quella intra-generazionale secondo la quale occorre disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili consentendo fin d’ora la partecipazione anche dei Paesi più poveri (cfr Messaggio cit. n. 8 e Caritas in veritate, nn. 49 e 50). Si ha conferma inoltre di almeno due acquisizioni classiche della dottrina sociale cattolica, ossia la consapevolezza del reciproco condizionamento tra le scelte da condurre sui macro scenari e quelle relative agli stili di vita delle persone, delle famiglie e delle comunità locali; e la consapevolezza circa il nesso tra l’inquinamento atmosferico e quello «meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso», cioè l’inquinamento dello spirito «che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia» (Benedetto XVI, Discorso all’atto di Omaggio cit.). Di qui il principio che «quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio» (Caritas in veritate, n. 51; cfr anche Discorso al Corpo Diplomatico, 11 gennaio 2010).

E, certo, nei delicati equilibri dell’ecologia umana entra la bioetica dove sono almeno due sul piano istituzionale i fronti in movimento. Anzitutto quello della pillola RU 486 che, dopo il via libera dell’AIFA, rischia di introdurre una prassi di banalizzazione ulteriore nella tutela della vita umana. Per questo auspichiamo che i pubblici poteri, ciascuno al proprio livello – Parlamento, Ministero della salute e Regioni – operino alacremente per circoscrivere quanto è più possibile tale rischio. Quanto poi al tema del fine vita, non possiamo non avanzare riserve sulla discutibile “iniziativa dei registri” che si vanno qua e là aprendo, e che, oltre a rappresentare una fuga irresponsabile in avanti, tendono a precostituire degli esiti al ribasso circa la legge in allestimento, sulla quale invece le forze politiche sono chiamate a dar prova della massima saggezza.

5. Ma per chi è chiamato a vivere nel nostro Paese, l’impegno per l’ambiente ha una declinazione speciale e quanto mai incalzante sul versante anche della messa in sicurezza del territorio che la Provvidenza di Dio ci ha affidato. E’ di questi giorni il dramma doloroso in Sicilia, dove una casa si è letteralmente sbriciolata mietendo due piccole vittime. E sono di quest’ultimo periodo le esondazioni che hanno colpito la Liguria meridionale e la Toscana, in particolare nelle province di Lucca e di Pisa. Ma appena qualche mese prima c’era stata la frana che come un fiume di fango e detriti ha colpito il Messinese, e in precedenza il terremoto che ha segnato pesantemente l’Abruzzo. Guardando più indietro, si ha quasi esitazione a mettere in fila i disastri ambientali succedutisi ad esempio nell’ultimo lustro, tanto è alta la possibilità che se ne trascuri qualcuno. Gli esperti parlano di una sorta di emergenza permanente che riguarda il nostro Paese dovuta, oltre che a fenomeni violenti che non dipendono dall’uomo, a dissesti e incurie, ma anche ad errori veri e propri, o al non rispetto dei vincoli o a sottovalutazioni dei pericoli, a certa urbanizzazione irrazionale e incontrollata e alla mira del maggior profitto a scapito della sicurezza. C’è una preoccupazione che responsabilmente compete a tutta la popolazione, e coincide con un fondamentale senso civico, proprio perché tutti devono avere a cuore la sicurezza propria, della propria famiglia, della propria comunità, per cui è contraddittorio fare azzardi e consumare abusi per lamentare poi la distrazione o le dimenticanze dei pubblici poteri. Va da sé che i cittadini debbano essere soccorsi, e quelli colpiti aiutati a recuperare al più presto una condizione normale di vita; e qui non possiamo non riservare una parola convinta di ammirazione e di gratitudine per l’azione complessivamente condotta dalla Protezione Civile, una vera eccellenza del nostro Paese; ma bisogna essere consapevoli che a tutt’oggi ci sono anche allarmi inascoltati e segnalazioni non raccolte, quasi che la prevenzione, soprattutto quella mirata, non fosse l’unica via da battere se si vuole evitare ad una popolazione come la nostra una successione macabra di tragedie. In sede parlamentare, com’è noto, si è arrivati dopo una congrua indagine conoscitiva, a chiedere l’approntamento e la realizzazione di un programma straordinario a favore del territorio, in cui risorse e competenze disponibili ai vari livelli convergano per garantire la partenza di un’opera capillare che poi non si dovrà più fermare. Sia consentito alla Chiesa, per ciò che essa è in questo territorio, e per quanto solitamente assicura alle popolazioni che di volta in volta si trovano bersagliate, di ricordare a tutti l’impegno morale più volte assunto in questa direzione, anche in forma solenne, dinanzi alle vittime delle tragedie che si susseguono.

6. Il tema qui accennato, quello di una cittadinanza consapevole e matura, ci induce a riprendere il filo del discorso sull’emergenza educativa, che non può essere proprio ora trascurato. È all’ordine del giorno di questo Consiglio Permanente l’esame della bozza degli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, e dunque mi guarderò dal sovrapporre altre considerazioni a quelle che in passato già ci scambiammo e che ora costituiscono la trama del testo che andremo a valutare. Mi limito ad annotare che l’espressione «emergenza educativa» richiama in maniera efficace un tratto innegabile della condizione odierna, che è preoccupante non tanto per una diserzione riscontrabile in questo ambito dell’esperienza umana, quasi che siano di colpo sparite le figure classiche e gli ambienti di riferimento educativo. Si deve piuttosto dire che oggi nelle zone più avanzate del pianeta, in particolare in Europa, è venuta meno quella che gli studiosi chiamano la “cura tra le generazioni”. Essa si è in un certo senso allentata tra un passaggio di testimone e l’altro, come se in una catena si aprisse un anello e la tensione venisse meno, col rischio di interrompersi. C’è qui indubbiamente un fattore di clima culturale, determinato sostanzialmente dal relativismo che schiaccia sul dato immediato e tutto tende a livellare, sottraendo le unità di misura, e scompaginando ogni possibile raffronto con il meglio. Ma è soprattutto la potatura dei modelli e la rarefazione dei fondamenti a sottrarre all’educazione la possibilità di porsi come processo voluto, immaginato e perseguito. “A cosa educare?”: incerta è la risposta a questa domanda fondamentale; e mancando la consapevolezza del fatto che si ha qualcosa di positivo da trasmettere, l’azione educante si scopre come disinnervata se non paralizzata. Se poi si pretende di prescindere da Dio quasi a volerlo confinare nel perimetro del privato individuale, si comprende come venga meno il fondamento ultimo dei contenuti sui quali l’educazione poggia, dalla libertà all’amore, alla ricerca del vero, eccetera. Nell’arco di appena qualche giorno il Papa ha fatto ricorso all’espressione «emergenza educativa» in almeno un paio di occasioni, parlando cioè per il 70° anniversario della Lumsa (cfr Discorso ai Docenti e agli Studenti della libera Università Maria Assunta, 12 novembre 2009) - ossia per illustrare l’attualità del mandato che a suo tempo fu conferito ad uno degli istituti accademici più significativi della capitale - e appena qualche giorno prima, commemorando a Brescia la figura grandiosa del Papa Paolo VI che fu nell’intero arco della sua vita il propugnatore di un’idea forte ed unitaria di formazione della persona (cfr Discorso per l’Inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Paolo VI, Brescia, 8 novembre 2009). Anzi, proprio grazie al ritratto che Benedetto XVI ha fatto di questo suo Predecessore meriterà che la figura di Papa Montini e la sua idea di educazione − aperta al nuovo e ad un tempo radicata nella tradizione più classica − siano adeguatamente rivisitate nel corso dei prossimi anni. Credo in ogni caso che sarebbe importante che ci prefiggiamo dei veri e propri obiettivi, verificabili e di sufficiente concretezza. Sarebbe un vero peccato se il decennio che ci sta dinanzi venisse giocato su un piano di declamazione programmatica, restando inevasa la pregnante pertinenza del tema rispetto ai soggetti protagonisti dell’impresa educativa; vale a dire, in primo luogo, i giovani; quindi i genitori e l’ambiente famigliare; poi gli educatori in senso complessivo, dunque gli insegnanti ma anche i catechisti; il mondo delle associazioni e dei gruppi; infine i media. Almeno cinque tipologie di soggetti che incontestabilmente entrano in varia misura nei processi educativi: essi dovrebbero anche risultare distintamente inclusi nello sviluppo tematico del decennio, alla luce del Convegno ecclesiale di Verona e come emerge anche dal Rapporto-proposta, “La sfida educativa”, che il nostro Comitato per il Progetto Culturale ci ha messo per tempo a disposizione e che in questa stagione viene presentato nelle varie regioni. Se si avrà cura infatti di articolare, e quasi sfaccettare il tema, su ciascuno di questi protagonisti e sulla correlazione dei loro apporti, daremo forse vita ad un approccio al tema, rigoroso e non astratto.

7. Ricostruendo la figura di Gian Battista Montini, Benedetto XVI ha tra l’altro detto che i giovani che lo avvicinavamo, quando egli operava tra gli universitari, percepivano «il fuoco interiore che dava anima alle sue parole, in contrasto con un fisico che appariva fragile» (Discorso cit.). Non apparirà un arbitrio allora collocare qui il riferimento all’Anno Sacerdotale, in pieno svolgimento in tutta la Chiesa cattolica. La testimonianza di intensità cristiana che Paolo VI lasciava trasparire da tutta la sua persona, dal suo sguardo come dai suoi gesti, induce a ricordare che si può sapere tante cose su Dio, ma non «vedere» il mistero stesso, lasciandosi così sfuggire l’essenziale, e continuando a tenere chiusi gli occhi del cuore (cfr Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1° dicembre 2009). E si può anche predicare in modo ricorrente sul Dio dell’amore, ma dimostrare che la propria vita non si fonda su questa esperienza. È un rischio – perché tacerlo? – che possiamo correre anche noi sacerdoti: avere una conoscenza pur vasta della fede, ma in una certa misura rimanervi fuori, non averne cioè toccata la vita. In altre parole, essere presi dall’intorpidimento dei sentimenti, da una certa muta abitudinarietà. Ed è il rischio dal quale ha inteso metterci in guardia il Santo Padre indicendo appunto questo Anno di grazia, che non è solo per i presbiteri, tant’è che tutti i fedeli sono invitati a parteciparvi con la loro personale conversione e con la preghiera per i sacerdoti stessi, ma che certamente è e deve essere un Anno di grazia dei sacerdoti, anzi di ciascun sacerdote – diocesano o religioso − convocato in coscienza davanti a Dio per riscoprire la bellezza del proprio sacerdozio. Allora sarà importante, in questo tempo, tornare ad interrogarsi sui fondamentali della nostra esperienza sacerdotale, e domandarsi se la nostra vita è strutturata sulla preghiera, e in modo particolare sulla santa Messa e la Liturgia delle Ore, sulla regolare e frequente confessione sacramentale; se siamo pervasi dalla Parola di Dio, ed essa è − più del cibo e delle cose di questo mondo − il nutrimento delle nostre esistenze, impronta del nostro agire e forma del nostro pensare; se aderiamo senza riserve al nuovo stile di vita proprio del consacrato a Dio; se sappiamo immedesimarci a Cristo, cercando di aderire affettivamente a Lui con i nostri pensieri, la nostra volontà, i sentimenti; se sappiamo trascorrere del tempo e del tempo privilegiato in adorazione dell’Eucaristia; se siamo fedeli agli esercizi spirituali; se accettiamo un’amorosa sottomissione alla volontà di Dio che è adesione anche alle esigenze del ministero, quale che sia, nell’obbedienza pronta e generosa alla Chiesa; se ci dedichiamo agli altri e alla loro salvezza senza rifiutare di partecipare personalmente al caro prezzo della redenzione; se diamo al nostro ministero una radicale forma comunitaria, se è cioè vissuto nella comunione dei presbiteri con il Vescovo; se la passione per gli altri include lo sguardo che avrebbe Gesù al nostro posto e nella promozione del loro disegno di vita, della loro personale vocazione; se per ciò in cui crediamo siamo disposti ad affrontare anche incomprensioni e, quando ci sono, prove e sofferenze. In fondo c’è, per i nostri altri, una prova che noi siamo come il Signore ci vuole: è la gioia di essere preti, gioia mite ma intrattenibile, che dagli occhi traspare e solitamente colpisce chi ci incontra, ed è contagiosa tra i confratelli.

8. La situazione economica che non poco ci ha preoccupato nella stagione precedente, appare oggi – se guardiamo allo scenario macroeconomico − incamminata verso una fase di prudente ma indubitabile recupero. L’Italia, che già mentre la crisi imperversava ci è parsa almeno in parte al riparo dagli scossoni più violenti, oggi sembra aver colto con una certa prontezza la via della ripresa. E questo grazie ad una serie di salvaguardie del nostro sistema economico e finanziario complessivo, che sono state rafforzate, ma anche grazie all’intraprendenza delle nostre imprese che hanno saputo fronteggiare l’inasprimento delle condizioni del mercato attraverso il riposizionamento strategico del proprio impianto produttivo. Per buona parte del nostro sistema, la crisi si è rivelata un forte acceleratore a spostarsi sulle fasce alte del mercato, là dove l’estro della persona che progetta e i saperi condensati in azienda contano più del possesso dei mezzi di produzione. D’altra parte, per un Paese sguarnito di materie prime come il nostro, non c’era strada alternativa a quella dell’inserimento sempre più deciso nelle filiere di qualità del prodotto e della sua compatibilità con l’ambiente. La stessa limitata – rispetto ad altri contesti – e sempre dolorosa contrazione dei posti di lavoro riflette la preoccupazione della gran parte delle medie e piccole imprese, di cui è ricco il nostro panorama, di non privarsi del patrimonio diffuso di competenze, e dunque di trattenere pur con sacrificio il proprio personale in azienda così da consentirsi il balzo più scattante appena il clima avrebbe dato segni di miglioramento. Certo, parliamo di una relativa attenuazione delle aree di sofferenza, che tuttavia ci sono state e ci sono, e oggi sprigionano più di ieri i loro effetti sul versante soprattutto occupazionale. Per una quota parte di aziende più piccole o più isolate, o poste più a monte nella catena del valore aggiunto, si è trattato infatti di un periodo difficilissimo, quando non fatale, che sta inevitabilmente pesando su alcune categorie di persone, il più spesso quelle che già in precedenza non godevano di una piena garanzia di stabilità. Così ad antiche sofferenze, altre se ne vanno ad aggiungere, e si ha la percezione di una crisi che ancora morde su segmenti deboli della popolazione, specialmente quelli giovanili. Molte famiglie sono giunte a fine anno con la consapevolezza di un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e dunque con un aumento delle disuguaglianze. Ne dobbiamo trarre la persuasione che la strada da noi intrapresa di una più consapevole e dinamica solidarietà a livello di parrocchie e di diocesi, per andare incontro alle situazioni di disagio in maniera più circostanziata, è quella su cui merita ancora insistere per cercare di attenuare i contraccolpi di una economia che non riesce purtroppo a garantire tutti. Nel contempo non possiamo non sollecitare il sistema bancario ad una politica del credito che, senza farsi avventata, sappia tuttavia essere scrupolosamente più attenta alle esigenze delle aziende in affanno. E ancora, non ci resta che sollecitare la classe politica a intensificare tutti i meccanismi che possono attenuare l’angoscia di chi, in seguito a licenziamento, ha perso la propria fonte di sostentamento o è in cassa integrazione. Tutti dobbiamo sentirci ingaggiati a fare in modo che il volano dell’economia acceleri prima possibile, e nello stesso tempo ci pare doveroso incoraggiare il ricentramento della politica, anche quella fiscale, sul perno delle famiglie, in particolare quelle con figli, perché da elemento di risulta, che attenua i contraccolpi negativi, diventino soggetto propulsivo di sviluppo (cfr anche Benedetto XVI, Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma, 14 gennaio 2010). Certa cattiva letteratura purtroppo ha lasciato il segno, e con molta fatica in taluni ambienti si riesce a ragionare della famiglia per ciò che realisticamente essa è, ossia la più grande risorsa sociale e culturale del nostro Paese. Non applicarsi ad essa, non darle forza e vigore, non riconoscerle la soggettività di cui è capace è come pretendere di volare continuando tuttavia ad appesantirsi le ali. Bisogna invertire questa tendenza e farlo con la nostra tenacia migliore.

9. Gli episodi di contestazione sociale che, attorno al fenomeno degli immigrati, hanno recentemente avuto luogo in Calabria, e specialmente a Rosarno e nella Piana di Gioia Tauro, potrebbero in una certa misura essere anch’essi ricondotti alla difficile crisi economica che l’Italia come gli altri Paesi si è trovata ad affrontare. Ovvio infatti che rallentando alcuni comparti in cui trovava sbocco occupazionale un numero elevato di immigrati sia regolari che irregolari, molti di costoro rifluiscano là dove c’erano degli insediamenti di loro connazionali con la prospettiva di spartire con i primi il poco di lavoro rimasto. Ma questo non basta a spiegare le giornate di violenza che si sono vissute, in un’allerta generale. Per darsi conto dell’accaduto occorre considerare anche altri fenomeni che lì sono entrati in combustione, come la condizione del tutto critica in cui abitualmente vivono una parte degli immigrati presenti nel nostro Paese: quelle capanne di cartone o plastica senz’acqua e senza elettricità, dunque senza il minimo requisito igienico-sanitario, incapsulate all’interno di manufatti abbandonati e diroccati, esposte alle intemperie e invase dal fango, indicano uno standard non accettabile: così non si può, così non è umano. È realistico pensare che in contesti come questi non possano attecchire seri tentativi di integrazione, mentre prendono vita pezzi di società parallela e auto-referenziale rispetto ai quali diventa difficile scongiurare tensioni e micro-conflitti, che finiscono per condizionare pesantemente la percezione del fenomeno da parte dei cittadini. Poi, certo, pesano anche fenomeni come la strategia avvolgente della malavita locale, che prima assolda, poi provoca e infine si presta a raccapriccianti interventi che lo Stato sta tentando di reprimere venendo per questo intimidito attraverso attentati che occorre sapere respingere con inesorabile nettezza. Vogliamo, a questo riguardo, esprimere la più convinta solidarietà ai Confratelli che di recente hanno subito minacce insensate che non riusciranno tuttavia a distoglierci dalla nostra missione. E ancora fenomeni come l’insicurezza che tra i cittadini ad un certo punto scatta e che, in una sorta di turbinio irrazionale, porta a gesti che come un tratto di spugna cancellano quanto si era provato ad assicurare fino ad un attimo prima, grazie all’opera delle comunità cristiane, delle istituzioni, o per il moto di spontanea generosità di singole persone e famiglie. Lasciamo ai responsabili di quelle comunità la disamina più accorta sull’evento che non può tuttavia ipotecare con un colpo solo l’immagine di un intero territorio, che proprio ora deve invece trovare la forza per uscire dall’emergenza. Ritengo che l’opinione pubblica nazionale abbia con l’occasione potuto avviare una riflessione che nessuna ruspa può facilmente rimuovere. Voci sagge si sono alzate per dire cose importanti, da non scordare. Io vorrei riprendere le parole essenziali che il Pontefice ha usato per centrare «il cuore del problema»: «Bisogna ripartire dal significato della persona. Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita» (Saluto all’Angelus, 10 gennaio 2010). Niente può farci dimenticare questa verità: l’immigrato è uno di noi; noi italiani siamo stati a nostra volta immigrati, e prima di noi lo è stato Gesù. Bisogna partire da qui, e mai staccarsi da questa consapevolezza che va incardinata nei pensieri personali e collettivi degli adulti, come dei giovani e dei bambini. Diceva in altra circostanza Benedetto XVI che la «via privilegiata che conduce alla pace» comincia dallo «sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione» (Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, 1° gennaio 2010). Dio è il garante della profondità e della «risonanza» in noi del volto dell’uomo, di ogni uomo. Questo naturalmente vale in ogni angolo della terra, e vale anche per la violenza patita dai cristiani in alcuni Paesi, tanto più se si manifesta nei giorni più cari alla tradizione evangelica.

10. Mi avvio alla conclusione, confidando un sogno, di quelli che si fanno ad occhi aperti, e che dicono una direzione verso cui preme andare. Mentre incoraggiamo i cattolici impegnati in politica ad essere sempre coerenti con la fede che include ed eleva ogni istanza e valore veramente umani, vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico. So che per riuscire in una simile impresa ci vuole la Grazia abbondante di Dio, ma anche chi accetti di lasciarsi da essa investire e lavorare. Ci vuole una comunità cristiana in cui i fedeli laici imparino a vivere con intensità il mistero di Dio nella vita, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità, della coscienza. Cresce l’urgenza di uomini e donne capaci, con l’aiuto dello Spirito, di incarnare questi ideali e di tradurli nella storia non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera, che dispiega meglio il progetto di Dio sull’umanità, e perciò capaci di suscitare nel tempo l’ammirazione degli altri, anche di chi è mosso da logiche diverse. Se questo è un sogno, cari Confratelli, so che ad esso ci si può avvicinare anzitutto attraverso le circostanze ordinarie dell’esistenza, le tappe apparentemente anche più consuete, ma che racchiudono in se stesse la cadenza del progetto che avanza. Ecco, vorremmo che i valori che costituiscono il fondamento della civiltà − la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta… − formassero anche il presupposto razionale di ogni ulteriore impresa, e perciò fossero da costoro ritenuti irrinunciabili sia nella fase della programmazione sia in quella della verifica. Non a caso la vicenda sociale è oggi, a giudizio della Chiesa, radicalmente antropologica (cfr Caritas in Veritate, n. 15).

Grazie, cari Confratelli, del Vostro amabile ascolto e per i contributi che ora e nei prossimi giorni vorrete dare. Ci sostiene il pensiero e la comunione delle nostre Chiese. Ci guidi Maria, l’amata Madre del buon Consiglio, ci aiutino i Santi Patroni delle nostre Diocesi, in particolare i Santi Francesco e Caterina”.
+PetaloNero+
00martedì 26 gennaio 2010 16:25
COMUNICATO DELL’UFFICIO FILATELICO E NUMISMATICO DEL GOVERNATORATO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano intende promuovere, tramite l’Ufficio Filatelico e Numismatico, una speciale iniziativa a favore della popolazione di Haiti, recentemente colpita dallo spaventoso terremoto.

L’iniziativa consiste nella sovrastampa speciale di un francobollo vaticano di prossima emissione, dedicato al 1500° Anniversario del Santuario della Madonna delle Grazie, meglio noto come Santuario della Mentorella.

La tiratura è di 150.000 foglietti pari a 900.000 francobolli del valore di affrancatura di 0,65 centesimi di euro cadauno più un valore in sovrastampa di 0,20 centesimi di euro per francobollo (1,20 euro per foglietto).

In ogni caso il valore di affrancatura del francobollo rimane quello originario (0,65) pur costando all’acquirente 0,85 unitariamente.

Tutto il ricavato della sovrastampa dei francobolli venduti sarà destinato alla popolazione di Haiti.

Qualora la vendita fosse pressoché completa si può ipotizzare un ricavato di circa 150.000 euro.
+PetaloNero+
00martedì 26 gennaio 2010 16:26
COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI


Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha constatato con rammarico che è stato pubblicato, da un mezzo di comunicazione, un testo che è all’esame della "Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme".

Il documento pubblicato è un testo previo, che consiste in un elenco di temi da studiare e da approfondire, finora discusso solo in minima parte dalla suddetta Commissione.

Nell’ultima riunione della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, tenutasi a Paphos nell’ottobre scorso, si era stabilito esplicitamente che il testo non sarebbe stato pubblicato finché non fosse stato esaminato nella sua totalità dalla Commissione.

Ad oggi non esiste nessun documento concordato e pertanto il testo pubblicato non ha nessuna autorità, né ufficialità.
+PetaloNero+
00martedì 26 gennaio 2010 16:26
NOTA INFORMATIVA SULLE PONTIFICIE ACCADEMIE COORDINATE DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA

Pubblichiamo la seguente nota informativa in occasione dell’Udienza Speciale del Santo Padre alle Pontificie Accademie (28 gennaio) e della Seduta pubblica delle Pontificie Accademie (27 gennaio):

Il Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie è stato creato da Papa Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa al Cardinal Segretario di Stato in data 6 novembre 1995, e ne fanno parte per ora i Presidenti delle seguenti Accademie: Accademia di S. Tommaso d'Aquino, Accademia di Teologia, Accademia dell’Immacolata, Accademia Mariana Internazionale, Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, Accademia Romana di Archeologia, Accademia «Cultorum Martyrum». Sotto la presidenza del Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, questo Consiglio si riunisce più volte all’anno per un rapporto generale di attività delle singole Accademie e per coordinare, in una prospettiva comune, le loro attività, fatta salva l'autonomia dei rispettivi programmi di ricerca, in maniera da promuovere la ricerca interdisciplinare e dare maggiore risonanza alla loro opera. Esso favorisce la regolare informazione sul lavoro intrapreso da ogni Accademia, in una prospettiva aperta alla libera cooperazione scientifica da discutere in riunioni collegiali.

Il Consiglio di Coordinamento promuove speciali incontri culturali e, una volta all'anno, organizza una Seduta Pubblica congiunta delle Accademie Pontificie su un tema di attualità e di particolare importanza, in cui viene anche assegnato il Premio delle Pontificie Accademie, attribuito dal Santo Padre a giovani studiosi o a Istituzioni meritevoli.

È attualmente costituito da:

S.E. Rev.ma Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Presidente.

Rev.mo Mons. Lluís Clavell, Presidente della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino.

Rev.mo Don Manlio Sodi, S.D.B., Presidente della Pontificia Accademia di Teologia.

S.Em. Rev.ma il Sig. Card. Andrzej Maria Deskur, Presidente della Pontificia Accademia dell’Immacolata.

Rev. P. Vincenzo Battaglia, O.F.M., Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale.

Prof. Vitaliano Tiberia, Presidente della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon.

Prof.ssa Letizia Pani Ermini, Presidente della Pontificia Accademia Romana di Archeologia.

Prof. Fabrizio Bisconti, Magister della Pontificia Accademia «Cultorum Martyrum».

Le Accademie hanno le loro sedi ufficiali a Roma, nel Palazzo San Pio X, Via della Conciliazione, 5.

PONTIFICIA ACCADEMIA DI SAN TOMMASO D'AQUINO
La Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino, fondata, il 15 ottobre 1879, da Leone XIII, che ne approvò le Leggi con Breve del 9 maggio 1895, è stata confermata da San Pio X con Lettera Apostolica del 23 gennaio 1904 e ampliata da Benedetto XV, il 31 dicembre 1914. È stata riformata da Giovanni Paolo II, il 28 gennaio 1999, con la Lettera Apostolica «Inter Munera Academiarum», sulla scia dell'Enciclica «Fides et Ratio». Essa adempie alla sua missione specifica che consiste nella ricerca, nella difesa e nella diffusione della dottrina del Dottore Angelico, e, tenuto debito conto delle condizioni culturali odierne, «nel formulare con più diligenza quella parte della dottrina tomistica che tratta dell'umanità, dato che le sue affermazioni sulla dignità della persona umana e sull'uso della sua ragione pienamente consono alla fede, fanno di San Tommaso un maestro per il nostro tempo» («Inter Munera Academiarum», n. 4). Giovanni Paolo II invita a fare riferimento all'Enciclica «Aeterni Patris» in cui Leone XIII, riproponendo la dottrina del Concilio Vaticano I, affermava l’urgente necessità di mostrare «come il pensare filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza teologica» («Fides et Ratio», n. 57). Il Papa raccoglie i frutti dell'immenso movimento che, dal XIX secolo alle soglie del III millennio, ha portato i filosofi ad approfondire la ricerca metafisica sulle domande ultime dell'uomo e sul mistero della stessa persona umana. Quindi, tenuto conto dell'importanza delle scienze umane, del loro contributo alla conoscenza dell'uomo, dei nuovi quesiti sorti dalla ricerca scientifica, orientata verso una conoscenza più profonda del mistero dell'uomo, il Pontefice invita gli Accademici a seguire le indicazioni in merito del Concilio Vaticano II, nonché gli orientamenti che Egli stesso propone incessantemente alla Chiesa.

Organizza ogni anno un Sessione Plenaria in cui viene dibattuto un tema di particolare rilevanza. Gli Atti della Sessione e gli studi compiuti dagli Accademici vengono pubblicati sulla Rivista dell’Accademia, Doctor Communis.

Rev.mo Mons. Lluís Clavell, Presidente.

S.E.R. Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Vescovo tit. di Vescovìo, Prelato Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA DI TEOLOGIA
La Pontificia Accademia di Teologia fu fondata a Roma e ricevette i suoi primi Statuti da Clemente XI, nel 1718. Creata come sede delle scienze sacre al fine di formare dei teologi ben preparati, l'Accademia ha la missione di promuovere il dialogo fra la fede e la ragione nonché l'approfondimento della dottrina cristiana seguendo le indicazioni del Santo Padre (cfr. Inter Munera Academiarum, n. 5), che ha identificato i compiti attuali per la teologia nei nn. 92-99 dell'Enciclica Fides et Ratio, per presentare il messaggio cristiano in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Nell'approfondire la verità rivelata, gli Accademici devono tener presente il loro compito che «consiste nel presentare l'intelligenza della Rivelazione ed il contenuto della fede» (ibid., n. 93) che si esprimono nel tempo e nelle culture, ma le superano. La perenne validità delle stesse formule dogmatiche, elaborate in tempi vari e in culture determinate, richiede «l'applicazione di un'ermeneutica aperta all'istanza metafisica» (ibid., n. 95) per mettere in luce la verità espressa nell'ambito di questi condizionamenti necessari. Quindi, uno dei principali compiti degli Accademici consiste nella comprensione della verità rivelata e nella sua presentazione agli uomini di oggi, affinché recepiscano il messaggio di Cristo e lo incarnino nella propria vita e nelle loro culture, come sorgente inesauribile di rinnovamento, sia nel campo della fede, sia nel campo della morale. Per questo, si chiede all'Accademia di curare lo studio di un'antropologia filosofica e di una metafisica del bene, in un proficuo dialogo fra la teologia e le differenti correnti filosofiche «in vista della comunicazione della fede e di una sua più profonda comprensione» (ibid., n. 98-99).

L’Accademia promuove, ogni due anni, un Forum Internazionale, quest’anno giunto alla V edizione, e pubblica la Rivista PATH, come pure opere selezionate nella collana Itineraria.

Rev. Prof. Don Manlio Sodi, S.D.B., Presidente.

Rev. Prof. Francois-Marie Léthel, O.C.D., Prelato-Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA DELL'IMMACOLATA
Fu fondata a Roma nel 1835, come circolo giovanile di studio e di pietà in onore di M. V. Immacolata, tra alcuni studenti del Seminario Romano e dell'Università Gregoriana. Accolse ben presto insigni eruditi e, con nuovi statuti, fu approvata come Accademia di scienze, lettere e arti dalla Sacra Congregazione degli Studi il 7 luglio 1847, con il titolo dell'Immacolata Concezione di M. V., e sede nel Convento romano «Ss. Apostoli» dei Frati Minori Conventuali. Fu dichiarata Pontificia l'8 dicembre 1864 da Pio IX, che fece iscrivere il suo nome nell'Albo Accademico nel quale entrarono molti studiosi di varie nazionalità. Dal 1938, con l'approvazione di Pio XI, all'attività accademica si è aggiunta l'iniziativa del solenne annuale Omaggio floreale dell'8 dicembre al monumento all'Immacolata di Piazza di Spagna in Roma. L'8 dicembre 1988, Giovanni Paolo II approvava il nuovo Statuto dell'Accademia, confermandone la revisione e l'aggiornamento nel 1995.

Svolge, tramite l’Associazione "Completamente tuoi", un servizio pastorale di accompagnamento e di guida presso i principali santuari mariani: Lourdes, Fatima. Częstochowa, Loreto.

Sua Em. Rev.ma il Cardinale Andrzej Maria Deskur, Presidente.

Sua Em. Rev.ma il Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Vaticana, 1º Vice-Presidente.

S.E.R. Mons. Stranisław Nowak, Arcivescovo di Częstochowa, 2º Vice-Presidente.

Rev. P. Józef Kijas Zdzsław, O.F.M. Conv., Segretario e Archivista.

Mons. Giacomo Martinelli, Delegato per la Consulta Giovanile.

PONTIFICIA ACCADEMIA MARIANA INTERNAZIONALE
Fondata nel 1946 da P. Carlo Balić, O.F.M., con lo scopo di promuovere gli studi scientifici, speculativi e storico-critici sulla Beata Vergine Maria, divenne un centro internazionale per il coordinamento degli studi mariani promossi dalle diverse Società Mariologiche sparse in tutto il mondo, soprattutto attraverso l'organizzazione periodica dei Congressi Mariologico-Mariani Internazionali e l'edizione dei rispettivi Atti e di altre collane mariologiche. Per questa sua opera, l'8 dicembre 1959, Giovanni XXIII, con il Motu Proprio Maiora in dies, insignì l'Accademia del titolo di «Pontificia», dando così un riconoscimento ufficiale alle sue attività, quale ente internazionale e centrale per il coordinamento del lavoro mariologico dei vari studiosi e degli Istituti o Associazioni Mariane presenti nelle varie nazioni. Tra i suoi fini principali, oltre alla fondazione di nuove Società o Istituti mariani nelle varie nazioni, vi è anche l'impegno di favorire e promuovere il dialogo ecumenico, soprattutto in occasione dei Congressi Mariologico-Mariani Internazionali.

Gli Statuti approvati nel 1964 da Paolo VI, sono stati revisionati nel 1995 e approvati definitivamente da Giovanni Paolo II il 9 gennaio 1997. Nel 1972 è stata aggregata al Pontificio Ateneo Antonianum, nel quale gestisce la Cattedra di studi mariologici «Beato Giovanni Duns Scoto», istituita nel 1999, e la «Biblioteca P. Carlo Balić» inserita nella Biblioteca del medesimo Ateneo.

Rev. P. Prof. Vincenzo Battaglia, O.F.M., Presidente

Rev. P. Prof. Stefano Cecchin, O.F.M., Segretario

PONTIFICIA INSIGNE ACCADEMIA DI BELLE ARTI E LETTERE DEI VIRTUOSI AL PANTHEON
La Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon nacque sotto la denominazione di Congregazione di San Giuseppe di Terra Santa, per iniziativa del monaco cistercense Desiderio d'Adiutorio, e fu riconosciuta da Papa Paolo III il 15 ottobre 1542. Fin dalla fondazione, i Virtuosi al Pantheon hanno annoverato i più importanti artisti che hanno lasciato a Roma tracce imperiture del loro ingegno. Dal XVII secolo furono periodicamente allestite mostre sotto il pronao del Pantheon, che ebbero amplissima risonanza. Nel 1837 fu pubblicato un nuovo Statuto, e così, con fondi del pubblico erario, venne istituita una rendita annua per bandire concorsi fra artisti. Il titolo di Pontificia fu concesso da Pio IX nel 1861 e quello di Accademia da Pio XI nel 1928.

Secondo il nuovo Statuto approvato nel 1995, la Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon ha lo scopo di favorire lo studio, l'esercizio ed il perfezionamento delle Lettere e Belle Arti, con particolare riguardo alla letteratura d'ispirazione cristiana e all'arte sacra in tutte le sue espressioni, e di promuovere l'elevazione spirituale degli artisti, in collegamento con il Pontificio Consiglio della Cultura.

Gli Accademici Virtuosi Ordinari sono in numero di cinquanta e si dividono in cinque Classi: Architetti, Pittori e Cineasti, Scultori, Studiosi o Cultori di discipline attinenti alle Arti e Musicisti, Poeti e Scrittori.

Dott. Prof. Vitaliano Tiberia, Presidente

Dott. Prof. Vittorio Di Giacomo, Segretario

PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA
Fondata nel 1810 col titolo di Accademia Romana di Archeologia, si richiama, come precedenti, alla Accademia delle Romane Antichità, istituita nel 1740 da Benedetto XIV, e alla Accademia Romana creata da Pomponio Leto nel sec. XV. Per concessione di Pio VIII ebbe il titolo di Pontificia nel 1829.

L'Accademia ha il fine di promuovere lo studio dell'archeologia e della storia dell'arte antica e medievale. Cura in maniera particolare l'illustrazione dei monumenti archeologici ed artistici di spettanza della Santa Sede. Svolge la sua azione, per il progresso del sapere e lo sviluppo della cultura, attraverso comunicazioni scientifiche, conferenze, pubblicazioni, concorsi e ogni altra forma di indagine e di studio.

In particolare indice una adunanza pubblica mensile, da novembre a giugno, che si tiene l’ultimo giovedì del mese, per la comunicazione di scoperte e studi recenti in campo archeologico. Pubblica i Rendiconti e le Memorie.

Prof.ssa Letizia Pani Ermini, Presidente.

Prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai, Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA «CULTORUM MARTYRUM»
Fondata sotto il titolo di Collegium Cultorum Martyrum, il 2 febbraio 1879, da M. Armellini, A. Hytreck, O. Marucchi ed E. Stevenson, insigni studiosi di antichità sacra, la Pontificia Accademia ha lo scopo di promuovere il culto dei Santi Martiri e di incrementare ed approfondire l'esatta storia dei Testimoni della Fede e dei monumenti ad essi collegati, fin dai primi secoli del cristianesimo. A tal fine, indice celebrazioni negli antichi cimiteri cristiani e in altri luoghi sacri, con funzioni religiose e conferenze archeologiche. L'Accademia tiene almeno due Assemblee Generali ogni anno, presso l'Istituto di Archeologia Cristiana e nella sua sede storica al Collegio Teutonico in Vaticano.

La Pontificia Accademia «Cultorum Martyrum» patrocina anche, durante la Quaresima, lo svolgimento della liturgia stazionale, ripristinato da Mons. Carlo Respighi, Magister dal 1931 al 1947.

Lo Statuto revisionato è stato approvato nel 1995; una nuova bozza di statuto è in attesa di approvazione. L'Accademia si compone di Sodales e di Associati d'ambo i sessi. La carica di Magister è di nomina pontificia, e come le altre cariche direttive, viene ancora designata in latino, così come stabilito dai Fondatori. Il Magister, d'intesa con il Consiglio Direttivo, può affiliare all'Accademia altri centri presso Santuari di Martiri.

Prof. Fabrizio Bisconti, Magister

Mons. Pasquale Iacobone, Sacerdos

Dott. Pier Luigi Imbrighi, Ab Epistulis
+PetaloNero+
00venerdì 29 gennaio 2010 15:17
MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI PER LA 57a GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA (31 GENNAIO 2010)

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, in occasione della 57a Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra che si celebra domenica, 31 gennaio 2010:


MESSAGGIO DI S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKI

Ai Presidenti delle Conferenze Episcopali,
Ai Vescovi Incaricati della Pastorale della Salute,

La "Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra", istituita nella prima metà degli Anni ’50 grazie all’impegno dello scrittore francese Raoul Follereau, non è solamente una giornata di riflessione sulle vittime di questa devastante malattia ma è innanzitutto una giornata di solidarietà con i fratelli e le sorelle che ne sono affetti.

La lebbra, conosciuta anche come Morbo di Hansen, in realtà continua a infettare annualmente centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2009 sono stati registrati oltre 210mila nuovi casi. Certamente sono innumerevoli, inoltre, le persone che sono state infettate ma non censite o comunque tuttora prive dell’accesso alle cure.

Sempre da un punto di vista statistico, i Paesi che risultano più colpiti sono in Asia, nell’America Meridionale e in Africa. L’India presenta il maggior numero di persone affette seguita dal Brasile. Si registrano anche numerosi casi in Angola, Bangladesh, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia, Madagascar, Mozambico, Nepal e Tanzania.

Una malattia ‘antica’, il Morbo di Hansen, ma non per questo meno devastante fisicamente e spesso anche moralmente. In tutte le epoche e tutte le civiltà, la sorte del malato di lebbra è stata quella di essere emarginato, privato di una qualsiasi forma di vita sociale, condannato a vedere il proprio corpo disfarsi sino al sopraggiungere della morte.

Purtroppo ancora oggi, chi ne soffre o, sebbene guarito, ne porti le mutilazioni inconfondibili, è troppo spesso condannato alla solitudine e alla paura, a rimanere come invisibile agli occhi degli altri, della società, dell’opinione pubblica. Nei Paesi economicamente più avanzati sembra che questa malattia sia stata dimenticata, così come lo sono le persone che ne sono affette.

Quando la si ricorda, quando si pronuncia la parola lebbra, si suscitano sentimenti vari: incredulità da parte di chi si domanda come questa patologia possa esistere ancora, paura e ripugnanza od una non meno grave ostentazione d’indifferenza ma anche la pietà e l’amore che scaturiscono dall’atteggiamento attento e misericordioso di Gesù verso questi malati (Mc 1, 40-42).

L’impegno di Follereau, dei molteplici fra istituzioni, organismi a matrice ecclesiale e/o non governativi che lottano contro la lebbra, l’eccezionale lavoro di San Damiano di Veuster e di tanti altri Santi e uomini di buona volontà, hanno aiutato a superare gli atteggiamenti negativi verso i malati di lebbra, promuovendone la dignità e i diritti e al contempo un più universale amore per il prossimo.

Oggi esistono efficaci cure contro la lebbra ma, ciononostante, il Morbo di Hansen continua a propagarsi. Tra i fattori che ne favoriscono il perpetuarsi vi sono certamente l’indigenza individuale e collettiva, che troppo spesso comporta la mancanza di igiene, la presenza di malattie debilitanti, l’alimentazione insufficiente se non fame cronica e la mancanza di accesso tempestivo alle cure mediche. Sul piano sociale persistono al contempo le paure che, di norma generate dall’ignoranza, aggiungono un pesante stigma al già terribile fardello che la lebbra comporta anche a guarigione avvenuta.

Mi appello pertanto alla comunità internazionale e alle autorità di ogni singolo Stato, invitandole a sviluppare e rafforzare le necessarie strategie di lotta alla lebbra, rendendole più efficaci e capillari soprattutto dove il numero dei nuovi casi è ancora elevato. Tutto ciò senza trascurare le campagne di educazione e di sensibilizzazione in grado di aiutare, le persone affette ed i loro familiari, ad uscire dall’esclusione e ad ottenere le cure necessarie.

Al contempo ringrazio di cuore le Chiese locali e le varie realtà religiose, missionarie e non, per quanto già fatto da tanti di loro, consacrati e consacrate, laici e laiche; per quanto di bene ha fatto anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità per il suo lodevole impegno a sradicare questa ed altre malattie ‘dimenticate’,1 le associazioni e le organizzazioni non governative anti-lebbra,2 nonché i numerosi volontari e tutte le persone di buona volontà che con il loro impegno, contraddistinto dall’amore verso i nostri fratelli e sorelle affetti da questa malattia, si dedicano alla loro cura in modo integrale restituendo loro la dignità, la gioia e la fierezza di essere trattati da essere umani, così che possano salvaguardare oppure, secondo i casi, riprendere il loro giusto posto nella società.

Maria Salus Infirmorum sostenga i malati nella difficile lotta contro le sofferenze e i disagi provocati dalla malattia e possa squarciare il velo del silenzio con un sempre crescente numero di atti di vera solidarietà a favore delle persone colpite dalla lebbra.

X Zygmunt Zimowski

Presidente del Pontificio Consiglio
per gli Operatori Sanitari

____________________

1 Cfr. World Health Organization, SEA-GLP-2009.3 e SEA-GLP-2009.4 (Enhanced Global Strategy for Further Reducing the Disease Burden due to Leprosy – Plan Period: 2011-2015).

2 AFRF in Francia, AIFO in Italia, ALES in Svizzera, ALM negli Stati Uniti d’America, CIOMOL in Svizzera, DAHW in Germania, DFB in Belgio, FL in Lussemburgo, LEPRA in Inghilterra, NLR in Olanda, SF in Spagna, Sasakawa Foundation in Giappone, SLC in Canada e TLMI in Inghilterra.
+PetaloNero+
00giovedì 4 febbraio 2010 16:07
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2010


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede ha luogo la Conferenza Stampa per la presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010, sul tema: "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22).
Intervengono: l’Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; il Prof. Dr. Hans-Gert Pöttering, Presidente emerito del Parlamento europeo e Presidente della Fondazione Konrad Adenauer; il Rev.mo Mons. Giampietro Dal Toso, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum.
Pubblichiamo di seguito gli interventi del Prof. Dr. Hans-Gert Pöttering e del Card. Paul Josef Cordes:


INTERVENTO DEL PROF. HANS-GERT PÖTTERING


Testo in lingua inglese

It is good that through the message of the Holy Father the Church illuminates for us the spiritual context of the Lenten Season. For us Christians, the reasons for and the mission of the Lenten Season are encompassed in this impressive theological interpretation: to work in union with our Creator on our responsibility in the world. I as a Politician can in no way even attempt to be as profound as the Holy Father when He talks about the religious vision of justice. In all modesty I would, however, like to comply with the request made of me to reflect with you on several political implications of the Christian lesson of justice.

The topic is as old as philosophising about politics itself is. And it is more relevant than ever before in our contemporary world of globalisation and the encounter between cultures and religions. In political philosophy, one likes to start with a retrospective on the two central figures of the Antiquity, Plato and Aristotle. Already in their works, we find aspects of the understanding of justice that the Holy Father has called the internal and the external understanding of human justice. Plato regarded justice as an unchangeable, transcendent idea of which the soul of the singular human being is a part of. Aristotle underlined that justice is not only an inner virtue but always also has to be seen with regard to others. The political reflections that we name today "corrective justice" and "distributive justice" correspond to this idea of intersubjectivity. The father of our church Thomas Aquinas also has a considerable share in this interpretation of the idea of justice. The Holy Father has indicated that a secularly radicalised form of the idea of distributive justice that is decoupled from faith in God becomes ideological. As a politician, I would like to add: We have experienced in collapsed socialism where this thinking can lead to.

Hence, it is of importance also for a political consideration of justice to keep the balance between the idea of justice that slumbers in the soul of every human being and the material reality that can always only be thought of in relation to others, towards our fellow men and towards the system we live in.

We have experienced again and again in the past two centuries in Europe and in other parts of the world to what extent this balance can get mixed up. Freedom and equality have continuously been placed in opposition to each other since the French Revolution inscribed these two postulates on its flag. However, in the course of the struggle towards freedom and equality, the third idea written on the flags of the French Revolution has been neglected: fraternity. Politically, we speak of "solidarity". Theologically, we have always spoken of charity. In these words - charity, solidarity, fraternity - lie the key to a true understanding of the responsibility of Christians in the world - an understanding, that is appropriate to our time of globalization. Solidarity or charity implies the responsibility to defend and protect the universal dignity of any human being anywhere in the world under any circumstances.

If we want to preserve freedom and if we want to increase justice, then we have to place the value of fraternity or solidarity at the centre of our political thinking. In the European Union, we have achieved a unique political wonder in the spirit of solidarity, that hardly anybody would have considered possible at the end of the Second World War. With the reunification of Europe after the end of the Cold War, we have proven ourselves with the principle of solidarity evident between the states and the peoples of the old and the new European Union. Lately, the joint measures taken to combat the financial crisis have shown that a common way of thinking and a joint policy are possible in the European Union.

Nevertheless, the power of solidarity has rather faded inside Europe since reunification. Regarding our relations with the other peoples of the earth, especially with the poorest among them, the idea of solidarity is at best in the fledging stages. Whereas Europe and the world have already invested unimaginable sums for the fight against the financial crisis, the implementation of charity leaves much to be desired, especially in the fight against hunger in the world. The determination with which Europe and the world have reacted to the financial crisis shows that international cooperation can overcome huge challenges. A similar firmness is equally necessary in the fight against worldwide poverty. Europe and the international community have a moral obligation to take further responsibility. 2010 as the "European year for combating poverty and social exclusion" offers the ideal framework for a stronger and effective dedication of the European Union to do more for the poorest of the planet.

It is exactly here that politics has to adopt the Lenten Message of the Holy Father: we need again a European spirit of solidarity. And, more than ever, we need a European spirit of solidarity with all peoples and cultures of this one world. Those are the two most important social-ethical tasks that the European Union faces. This is not only about the provision of material means, although this is so important. In the first place, however, this is about a spiritual renewal that the European Union has to bring about: This is about approaching the tasks that we face in the spirit of solidarity and that we seize the possibilities that we possess in a comparatively rich and privileged Europe so that justice becomes a reality for as many people as possible. Where justice is experienced, the value of freedom is equally strengthened.

"Development is the new name for peace", that is how Pope Paul VI. formulated it in 1967 in his Enzyklika „Populorum progressio". Today, I believe, we have to go a step further and say "solidarity is the new name for peace". In formulating this we bring freedom and equality again into a proper balance with solidarity. This is how the struggle for justice finds its deepest ethical root, the root of fraternity and, formulated in a Christian way, of charity. In this sense, I understand the purpose of the Holy Father and his interpretation of the 2010 Lenten Message in the spirit of justice.

Solidarity is not abstract, it has to be concrete. Today, we realise that rich countries are getting always richer and poor countries are getting always poorer. Two billion people live with less than 1.5 US-Dollars per day. It is not to be expected - as much as this would be desirable - that the rich countries will rapidly increase their development aid. Therefore, we also have to try new ways. The project "UNITAID" that is closely affiliated to the World Health Organisation of the United Nations aims at fighting HIV, Malaria, Tuberculosis and other illnesses in 93 of the poorest countries. A big part of the funding is raised by a small extra fee on airline tickets. Thanks to an extra charge of one or two US-Dollars per ticket, it was possible to collect a total amount of 1.5 billion US-Dollars in the participating 15 countries during the last three years and three months.

I would like to propose to extend this initiative to all countries and all airlines. Airline passengers can afford to pay this minor increase of the ticket price. With additional billions we could help ease the misery in the world.

On the other hand, I am deeply convinced that the task of global solidarity is not only a material concern. Justice and peace, redistribution and recognition will only exist between the peoples and states of this world if we act in solidarity and in brotherhood also in our dialogue on faith and the basis of our culture. In doing so, we will also talk about the understanding of justice that is inherent to the different cultures and religions. The Hebrew letter of Sedaqah, of which the Holy Father has spoken in his Lenten Message, also includes - if I understood correctly - the idea of fidelity towards one's community. This old Jewish idea can help us to rethink our sense of mutual obligations and about the right balance of rights and obligations. In Islam, the notion of justice is naturally derived from the Koran. Secular Europe will also experience, in the course of the interreligious and intercultural dialogue, that the notion of justice in other cultures is self-evidently influenced by religion. To a certain extent, this has also been the case with the Christian influence on the notion of justice and - by the way - also on the notion of freedom and solidarity. In many cases, we have forgotten the connection between religious justification and political ideas. It will do us good to rediscover the treasures of this tradition - also through intercultural and interreligious dialogue. This has nothing to do with fundamentalism, but a lot to do with the timeless pertinence of our own roots. Where the update of our cultural and religious roots succeeds, we will be able to make good policy with Christian responsibility - also in a mainly secular European Union.

Mutual respect in the intercultural dialogue does not mean to close one's eyes before insurmountable contrasts. However, we will only be able to stop fanaticism in the world of the 21st century if we deprive fanaticists, who want to change the world through violence, of the spiritual grounds on which they can manipulate many people of good will. We therefore need a sincere dialogue of solidarity between Christians and Muslims, between Christians and Jews. We need it between the privileged living in prosperity and material freedom and those living on the margins of the social and cultural existence that are excluded from economic growth and technological opportunities. We have to forge the idea of solidarity into a political project that invites us to have dialogue across the many barriers which separate our world today. Only solidarity can lead the way towards more freedom and justice for more and more people throughout the world.

Policy that acts out of the Christian understanding of the human being should never decrease ambition. The Holy Father has pointed us towards two essential conclusions of the Christian understanding of justice: To give up self-sufficiency and to accept our mission with humbleness. This is the compass for any policy that is committed to Christian responsibility - not only in the Lenten Season 2010 but far beyond in this 21st century with the huge tasks of shaping globalisation which lie ahead.





Testo in lingua tedesca

Es ist gut, dass uns die Kirche durch die Botschaft des Heiligen Vaters den geistlichen Zusammenhang ausleuchtet, in dem die Fastenzeit steht. Für uns Christen finden sich in dieser eindrucksvollen theologischen Auslegung Grund und Auftrag der Fastenzeit, auf dass wir im Bund mit unserem Schöpfer an unserer Verantwortung in der Welt arbeiten. So tiefgründig, wie der Heilige Vater in seiner Fastenbotschaft auf die religiöse Sichtweise der Gerechtigkeit eingegangen ist, kann ich als Politiker keineswegs sein. In aller Bescheidenheit möchte ich gleichwohl der an mich herangetragenen Bitte nachkommen, um mit Ihnen über einige politische Folgerungen aus der christlichen Lehre von der Gerechtigkeit nachzudenken.

Das Thema ist so alt wie das Philosophieren über die Politik selbst. Und es ist so aktuell wie nie in unserer heutigen Welt der Globalisierung und der Begegnung der Kulturen und Religionen. In der politischen Philosophie beginnt man gerne mit dem Rückblick auf die beiden großen Gestalten der Antike, auf Platon und Aristoteles. Schon in ihren Arbeiten finden wir bereits jene Aspekte des Gerechtigkeitsverständnisses, das der Heilige Vater als das innere und als das äußere Verständnis der menschlichen Gerechtigkeit bezeichnet hat. Platon sah Gerechtigkeit an als eine unveränderliche, überweltliche Idee, an der die Seele des einzelnen Menschen Anteil hat. Aristoteles betonte, dass Gerechtigkeit nicht nur eine innere Tugend sei, sondern immer auch in Bezug auf Andere gesehen werden müsse. Diesem Gedanken der Intersubjektivität entsprechen jene politischen Überlegungen, die wir heute mit Begriffen wie „ausgleichende Gerechtigkeit" und „verteilende Gerechtigkeit" bezeichnen. Auch unser großer Kirchenvater, Thomas von Aquin, hat erheblichen Anteil an dieser Deutung der Gerechtigkeitsidee. Der Heilige Vater hat darauf hingewiesen, dass eine vom Glauben an Gott entkoppelte und ins innerweltliche radikalisierte Form des Gedankens der Verteilungsgerechtigkeit ideologisch wird. Als Politiker möchte ich hinzufügen: Wir haben im gescheiterten Sozialismus erlebt, wohin dieses Denken führen kann.

Es kommt also auch in der politischen Betrachtung der Gerechtigkeit darauf an, die Balance zu wahren zwischen der Idee der Gerechtigkeit, die in der Seele jedes Menschen schlummert und der materiellen Wirklichkeit, die immer nur in Relation zum Anderen, zum Mitmenschen und zu der Ordnung, in der wir leben, gedacht werden kann.

Wie sehr diese Balance auseinander geraten kann, haben wir in den vergangenen zwei Jahrhunderten in Europa und in anderen Teilen der Welt immer wieder erfahren. Freiheit und Gleichheit wurden immerfort in einen Gegensatz zueinander gebracht, seitdem die Französische Revolution diese beiden Postulate auf ihre Fahne geschrieben hatte. Vernachlässigt wurde bei allem Streit um Freiheit und Gleichheit aber immer wieder die dritte Idee, die auf der Fahne der Französischen Revolution stand: die Brüderlichkeit. Politisch sprechen wir heute von "Solidarität". Theologisch sprachen wir schon immer von Nächstenliebe. In diesen Worten – Nächstenliebe, Solidarität, Brüderlichkeit – liegt der Schlüssel zu einem wahrhaftigen und unserer Zeit der Globalisierung angemessenen Verständnis für die Verantwortung der Christen in der Welt. Solidarität oder Nächstenliebe beinhaltet die Verantwortung, die universelle Würde jedes Menschen überall in der Welt und unter allen Umständen zu verteidigen und zu schützen.

Wenn wir Freiheit bewahren wollen und wenn wir Gerechtigkeit mehren wollen, so müssen wir den Wert der Brüderlichkeit, der Solidarität in die Mitte unseres politischen Denkens führen. In der Europäischen Union haben wir im Geist der Solidarität ein einzigartiges politisches Wunder vollbracht, das am Ende des Zweiten Weltkrieges kaum jemand für möglich gehalten hätte. Mit der Wiedervereinigung Europas nach dem Ende des Kalten Krieges haben wir uns in dem Prinzip der Solidarität zwischen den Staaten und den Völkern der alten und der neuen Europäische Union bewährt. Zuletzt haben die gemeinsamen Maßnahmen zur Bekämpfung der Finanzkrise gezeigt, dass Gemeinschaftsdenken und gemeinsame Politik in der Europäischen Union möglich sind.

Dennoch hat die Kraft der Solidarität im Innern Europas seit der Wiedervereinigung eher wieder nachgelassen. In unserem Verhältnis zu den anderen Völkern der Erde, vor allem zu den Ärmsten unter ihnen, steckt die Idee der Solidarität bestenfalls in den Kinderschuhen. Während Europa und die Welt schon heute unvorstellbare Summen für die Bekämpfung der Finanzkrise investiert haben, lässt die Umsetzung der Nächstenliebe in anderen Bereichen, etwa beim Kampf gegen den Hunger in der Welt, noch zu wünschen übrig. Die Tatkraft, mit der in Europa und in der Welt auf die Finanzkrise reagiert wurde, zeigt, dass internationale Zusammenarbeit große Herausforderungen bewältigen kann. Eine ähnliche Entschlossenheit wäre auch beim Kampf gegen die weltweite Armut notwendig. Europa und die internationale Staatengemeinschaft sind moralisch verpflichtet, hierbei weitere Verantwortung zu übernehmen. 2010 als "europäisches Jahr zur Bekämpfung von Armut und sozialer Ausgrenzung" bietet einen idealen Rahmen für ein verstärktes und wirkungsvolles Engagement der Europäischen Union für die Ärmsten dieser Erde.

Hier muss die Politik ansetzen, um die Fastenbotschaft des Heiligen Vaters anzunehmen: Wir brauchen wieder einen europäischen Geist der Solidarität. Und wir benötigen mehr denn je einen europäischen Geist der Solidarität mit allen Völkern und Kulturen dieser einen Welt. Dieses sind die beiden wichtigsten sozialethischen Aufgaben, vor denen die Europäische Union steht. Dabei geht es nicht nur um die Zurverfügungstellung materieller Mittel, obwohl diese so wichtig sind. An erster Stelle geht es um eine geistige Erneuerung, die die europäische Politik leiten muss: Es geht darum, dass wir im Sinne des Solidaritätsgedankens an die Aufgaben herangehen, die vor uns liegen. Und es geht darum, dass wir im Sinne des Solidaritätsgedankens die Möglichkeiten nutzen, die wir im vergleichsweise wohlhabenden und privilegierten Europa besitzen, damit Gerechtigkeit für möglichst viele Menschen erfahrbar wird. Denn dort, wo Gerechtigkeit Wirklichkeit wird, wird auch der Wert der Freiheit gestärkt.

„Entwicklung ist der neue Name für Friede", so hat es Papst Paul VI 1967 in seiner Enzyklika „Populorum progressio" formuliert. Heute, so meine ich, müssen wir einen Schritt weitergehen und sagen „Solidarität ist der neue Name für Frieden". Indem wir dies so formulieren, bringen wir Freiheit und Gleichheit wieder in das ihnen angemessene Verhältnis zur Solidarität. Damit findet das Streben nach Gerechtigkeit seine tiefste ethische Wurzel, die Wurzel der Brüderlichkeit und, christlich gesprochen, der Nächstenliebe. In diesem Sinne verstehe ich den Auftrag des Heiligen Vaters und seine Auslegung der Fastenbotschaft 2010 im Geiste der Gerechtigkeitsidee.

Solidarität ist nicht abstrakt, sie muss konkret werden. Heute stellen wir fest, dass reiche Länder immer reicher, arme Länder immer ärmer werden. Zwei Milliarden Menschen leben mit weniger als 1,5 US-Dollar pro Tag. Es ist nicht zu erwarten, so sehr es wünschenswert wäre, dass die reichen Länder ihre Entwicklungshilfe schnell drastisch aufstocken werden. Um an die notwendigen finanziellen Mittel zu kommen müssen wir deshalb auch neue Wege gehen. Ein vielversprechendes Beispiel dafür ist das Projekt „UNITAID", das eng an die Weltgesundheitsorganisation der Vereinten Nationen angegliedert ist und dessen Ziel es ist, AIDS, Malaria, Tuberkulose und andere Krankheiten in 93 der ärmsten Länder der Welt zu bekämpfen. Einen Großteil der Gelder erwirtschaftet "UNITAID" durch eine geringe Sonderabgabe auf Flugtickets. Mit einem Aufschlag von ein oder zwei US-Dollar pro Ticket konnte in den 15 teilnehmenden Staaten in den vergangenen drei Jahren und drei Monaten ein Betrag von 1,5 Milliarden US-Dollar gesammelt werden. Ich möchte vorschlagen, diese Initiative auf alle Länder und Fluggesellschaften auszuweiten. Die Flugreisenden können sich diese geringfügige Erhöhung ihrer Tickets leisten. Mit zusätzlichen Milliardenbeträgen könnten wir die Not in der Welt zu lindern helfen.

Andererseits bin ich zutiefst davon überzeugt, dass die Aufgabe der globalen Solidarität nicht nur ein materielles Anliegen ist. Gerechtigkeit und Frieden, Ausgleich und Anerkennung wird es zwischen den Völkern und Staaten dieser Welt nur geben, wenn wir auch in unserem Dialog über den Glauben und die Grundlagen der Kultur solidarisch, brüderlich verfahren. Dabei werden wir auch über das Gerechtigkeitsverständnis sprechen, das den unterschiedlichen Kulturen und Religionen innewohnt. Der hebräische Begriff des Sedaqah, von dem der Heilige Vater in seiner Fastenbotschaft gesprochen hat, schließt, wenn ich es richtig verstehe, auch den Gedanken der Gemeinschaftstreue ein. Dieser alte jüdische Gedanke kann uns helfen, neu über den Sinn wechselseitiger Verpflichtungen nachzudenken, über das rechte Verhältnis von Rechten und Pflichten. Im Islam wird der Gerechtigkeitsbegriff wie selbstverständlich aus dem Koran abgeleitet. Das säkularisierte Europa wird im interkulturellen und interreligiösen Dialog also auch erfahren, dass Gerechtigkeitsbegriffe in anderen Kulturen geradezu natürlich und selbstverständlich religiös geprägt worden sind. So ist es ja auch gewissermaßen in der Tradition der christlichen Prägung des Gerechtigkeitsbegriffs gewesen und übrigens auch in der christlichen Prägung von Freiheit und von Solidarität. Vielfach haben wir den Zusammenhang von religiösen Begründungen und politischen Begriffen vergessen. Es wird uns aber gut tun, auch im interkulturellen und interreligiösen Dialog die Schätze dieser Tradition neu zu entdecken. Das hat nichts mit Fundamentalismus zu tun, aber sehr viel mit der Aktualitätskraft unserer eigenen Wurzeln. Wo uns diese Aktualisierung unserer eigenen kulturellen und religiösen Wurzeln gelingt, werden wir auch in der heutigen weitgehend säkularisierten Europäischen Union in christlicher Verantwortung gute Politik machen können.

Wechselseitiger Respekt im interkulturellen Dialog bedeutet nicht, die Augen vor unüberwindbaren Gegensätzen zu verschließen. Aber wir werden nur dann in der Welt des 21. Jahrhunderts den Fanatismus derer stoppen, die mit Gewalt diese Welt verändern wollen, wenn wir ihnen den geistigen Boden entziehen, auf dem sie viele Menschen guten Willens manipulieren können. Wir benötigen deshalb einen aufrichtigen Dialog der Solidarität von Christen und Muslimen, von Christen und Juden. Wir benötigen ihn zwischen den Privilegierten, die in Wohlstand und materieller Freiheit leben und jenen, die am Rande des sozialen und kulturellen Daseins stehen, die abseits bleiben von Wirtschaftswachstum und technologischen Möglichkeiten. Wir müssen den Gedanken der Solidarität zu einem politischen Projekt schmieden, das uns einlädt zum Dialog über alle Mauern hinweg, die unsere Welt heute trennen. Nur Solidarität kann den Weg weisen in ein Mehr an Freiheit und Gerechtigkeit für immer mehr Menschen auf dieser Welt.

Politik, die aus christlichem Verständnis des Menschen handelt, sollte in dieser Frage nie in ihrem Ehrgeiz nachlassen. Der Heilige Vater hat uns auf zwei wesentliche Folgerungen aus dem christlichen Verständnis von Gerechtigkeit hingewiesen: Die Selbstgenügsamkeit aufgeben und in Demut unsere Aufgabe annehmen. Dies ist der Kompass für jede Politik, die sich in christlicher Verantwortung sieht – in dieser Fastenzeit 2010 und weit darüber hinaus in diesem 21. Jahrhundert mit den vor uns liegenden großen Aufgaben der Gestaltung der Globalisierung.





INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES

Nell’autunno dell’anno scorso circa 250 Vescovi, sacerdoti e laici si sono riuniti a Roma in occasione della Seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Essi hanno riflettuto per più di tre settimane, sotto la presidenza di papa Benedetto XVI, sul tema "Riconciliazione, giustizia e pace". In quanto Presidente del Pontificio Consiglio Cor unum ho partecipato anch’io alle discussioni e alla formulazione delle proposte che sono ora a disposizione del Santo Padre per la stesura delle sue istruzioni sull’argomento ("Documento post-sinodale").

Chi ha seguito le notizie sul Sinodo o si è trovato addirittura tra i suoi Membri sa che la sofferenza e la miseria della gente in quel continente sono state ricordate di continuo, fino a diventare in qualche modo il tema principale. È stato così, per esempio, quando il Vescovo Abegunrin di Osogbo in Nigeria ha detto che "il malgoverno dovuto alla corruzione, al tribalismo e alla mancanza di rispetto della legge impedisce la giustizia e la riconciliazione. In Africa, dal nord al sud, dall’est all’ovest, i nostri giovani sono […] le prime vittime della violenza etnica, del genocidio, del banditismo, della criminalità, del traffico di esseri umani, della corruzione e della cattiva gestione dello Stato". Tanti interventi hanno segnalato difficoltà simili. Straordinario è stato l’articolato rapporto speciale sul Sudan e in particolare sulla provincia del Darfur. Un laico africano, Rodolphe Adada, ha avuto un tempo di tre quarti d’ora per relazionare in modo dettagliato sul calvario che la popolazione sta vivendo in quella regione. Il relatore è il Rappresentante speciale congiunto del Segretario Generale delle Nazioni Unite e del Presidente della Commissione dell’Unione Africana nel Darfur (Sudan).

Egli ha riferito tra l’altro che le ostilità nel Darfur ebbero inizio già nel 1989. Nel 2003 si formò poi il "Sudan Liberation Army", un gruppo di ribelli, i quali cacciarono gli abitanti della provincia dai loro villaggi, così che migliaia e migliaia di persone sono dovute scappare per trovare rifugio nei campi. Qualche tempo fa ho avuto modo di visitare di persona un tale campo e ho visto la miseria della gente che stava lì. Nel frattempo centinaia di migliaia di persone hanno trovato la morte durante i conflitti. Le Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Unione Europea hanno promosso senza sosta delle iniziative – anche se a volte probabilmente con poca convinzione. Finora non si può di certo parlare di cessazione dei combattimenti. L’Alto Rappresentante dell’ONU voleva probabilmente rassicurarci e ha osservato che nel frattempo il conflitto è ormai solo di poca intensità.

Non senza motivo risuona dovunque nel mondo l’appello per la giustizia. Certo la situazione nel continente nero è particolarmente drammatica. Ma, come il presidente Dr. Pöttering ha già spiegato, il mondo della politica e la convivenza dei popoli richiedono ovunque questo rapporto tra le diverse forze sociali. È questo il campo della giustizia. Si esige la giustizia fino ai rapporti tra gruppi e singoli. Essa viene calpestata con la violenza, con l’oppressione della libertà e con il mancato rispetto della dignità umana, con cattive leggi e con la violazione dei diritti, con lo sfruttamento e con stipendi da fame.

Quest’anno, il Messaggio Quaresimale del Santo Padre Benedetto XVI tratta della giustizia. Di fronte alle tante forme in cui è violata, inizia ponendo la definizione del termine "giustizia" che nella cultura occidentale è corrente già a partire del terzo secolo: "Dare a ciascuno il suo – cuique suum". Così il Papa mette in chiaro che per primo si deve realizzare politicamente l’esigenza formulata in tale definizione. Ci sono dunque fattori sociali che vanno corretti; e in tale lotta – non va dimenticato – la Chiesa ha senz’altro i suoi meriti. Sarebbe una calunnia collocare noi Cristiani tra gli abbienti che si sono opposti alla giusta ridistribuzione e che hanno perfino tratto continuamente vantaggio dalla difesa di un ordine sociale ingiusto.

Si negherebbe il contributo del cristianesimo alla promozione del benessere e della dignità della persona. Seguendo l’esempio di Gesù, già i primi cristiani si sono fatti carico del bisogno dell’uomo. Papa Callisto I (morto nel 222 circa), che era stato lui stesso schiavo, istituì una sorta di banca dei poveri la quale metteva le vedove e gli orfani al riparo dagli usurai impedendo che fossero ridotti in schiavitù. Basilio di Cesarea (+ 379), più conosciuto come grande teologo, fu il primo a fondare ospedali e, grazie alla sua notorietà personale, diventò avvocato di tanti oppressi di fronte ai potenti – come per esempio all’Imperatore romano Valente (+ 378). – O più tardi, in quel Medioevo che si dice essere così "buio", pensiamo alla "Tregua Dei". Gli uomini di Chiesa mettevano al sicuro i beni della gente semplice di fronte alla nobiltà; invitavano a manifestazioni di massa che al grido "Pax –pax –pax" promuovevano il desiderio entusiastico di una convivenza pacifica; i Vescovi, a conferma dei decreti di pace, brandivano il loro pastorale verso il cielo. Proveniente dalla Francia, il movimento della "Tregua Dei" si diffuse in Spagna, Italia e Germania. – Poi in epoca moderna: quando gli Stati europei fecero diventare altri paesi e continenti loro colonie, sottoponendoli non di rado a sfruttamento selvaggio, missionari cristiani e religiose non solo portarono agli abitanti di quelle terre la fede, ma insegnarono loro spesso anche stile e qualità di vita. Certo, nel frattempo, anche i nostri governi hanno imparato a fare qualcosa contro la miseria nei paesi lontani. Ma è pure innegabile che ancora nel XVIII e nel XIX secolo sarebbe vano cercare i "ministeri per lo sviluppo". Nel passato i cristiani erano tra i primi a farsi promotori di una maggiore giustizia. Nel loro impegno a favore della pace non hanno nulla da invidiare all’efficacia del lavoro delle istanze statali – sebbene se ne parli di meno. Il Sinodo dei Vescovi per l’Africa già citato prima ne ha dato eloquente testimonianza.

Ma chi analizza in modo più preciso i contributi della Chiesa a favore di una intesa pacifica tra gli esseri umani, fa presto ad osservare che il problema di una convivenza giusta non può essere risolto soltanto con interventi mondani. Va oltre le categorie politiche. In quanto Chiesa dobbiamo spingere il nostro pensiero oltre l’orizzonte della società. Perciò sottovaluteremmo la profondità delle riflessioni del Pontefice, se volessimo considerare già risolta la questione che ci interessa con la rivendicazione di "dare a ciascuno il suo". Così il Papa insegna che questa definizione classica non considera a sufficienza in che cosa consiste quel "suo" che va concesso. E non ci vuole molto a riconoscere che "il suo" non può essere prescritto per legge e non si può ottenere solo con provvedimenti amministrativi.

Il Papa osserva che una vita piena dipende da qualcosa che ha il carattere di un dono. Superando l’orizzonte meramente mondano nel rivendicare la giustizia, egli dice in modo inequivocabile: "Potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza". La giustizia distributiva, che va perseguita e che ogni promotore di pace riconosce, non è in grado ancora di dare all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno, il "suo".

Come il Papa così anche noi dobbiamo andare oltre il modo comune di concepire l’antropologia per giungere a una visione dell’uomo completa: così il concetto di giustizia rivela tutto il suo contenuto. Benedetto XVI si fa guidare dalla Parola di Dio, ma, scegliendo questa via, non si perde in nessun modo in speculazioni da tavolino. Conferma soltanto ciò che vediamo in noi stessi e nella storia, se guardiamo con sufficiente attenzione. Il male viene dal di dentro, dal cuore dell’uomo come dice il Signore nel Vangelo (cfr. Mc 7, 14 ss.). William Shakespeare e Georges Bernanos lo hanno fatto vedere nelle loro opere, come per esempio in "Riccardo III" o in "Sotto il sole di Satana"; Stalin – per esempio in Ucraina – e Hitler – a Auschwitz – non si facevano scrupoli a lasciare libero sfogo alla propria malignità. Proprio l’esperienza del male ci insegna che sarebbe ingenuo affidarsi solamente alla giustizia umana che interviene sulle strutture e sui comportamenti dall’esterno. Il cuore degli uomini ha bisogno di essere sanato. Guarire dal di dentro di certo non li dispensa da uno sforzo proprio; ciascuno deve prendere coscienza della propria condizione. Ma l’uomo non può guarire per sua propria forza – con un allenamento fisico o mentale. Papa Benedetto dice: "Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia".

Come ogni anno, il Messaggio Quaresimale esorta tutti gli uomini del nostro tempo a compiere buone azioni. Non omette di sollecitare una migliore distribuzione di cibo, di acqua e di medicine. Vediamo dopo il terribile terremoto in Haiti la grande generosità di moltissime persone. Ma la parola del Papa è soprattutto una sfida alla nostra volontà a fidarsi di Dio e a credere in Lui. Mette quindi a tema ciò che nella discussione generale sulla giustizia e sulla pace viene facilmente dimenticato o taciuto. A un tale auto-isolamento lontano da Dio – si potrebbe parlare di un "autismo dell’uomo causato dalla secolarizzazione" – papa Benedetto contrappone il suo fermo riferimento a Dio e la sua offerta di amore. In effetti, egli non perde mai l’occasione di ricordarlo in nessuno dei suoi discorsi importanti; non per caso anche la scorsa domenica ha messo Dio al centro della breve meditazione prima dell’Angelus. In questo mondo sempre più autosufficiente, considera evidentemente come il suo più importante servizio quello di testimoniare Dio e di spingere gli uomini a consegnarsi a Lui nella fede.

Nell’ultima parte del suo Messaggio il Papa mette in risalto la salvezza in Cristo come il fondamento della giustizia umana. Per evidenziare questo si rifà a un passaggio centrale della lettera di san Paolo ai cristiani di questa nostra città. Senza averlo meritato, gli uomini vengono giustificati per la grazia di Dio mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (cfr. Rm 3, 24). Così ogni tentativo di voler ottenere la giustizia come merito proprio viene portato ad absurdum. Particolarmente per noi oggi ciò può sembrare solo irritante, visto che sperimentiamo di continuo che solo ciò che ci siamo guadagnati con le nostre forze ci appartiene e che niente ci viene regalato; visto che veniamo ignorati se non alziamo la voce per rivendicare ciò che è nostro. La vita ordinaria oggi non ci rimanda a Dio; la sua assenza contraddistingue la nostra esperienza quotidiana. Un'altra volta scopriamo che il Vangelo non si trova in sintonia con il buonsenso borghese e deve per questo essere proclamato sempre di nuovo.

Con le parole del Papa: la giustizia divina, avvenuta nel sangue di Cristo, è fondamentalmente diversa da quella umana. "Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia".
+PetaloNero+
00venerdì 5 febbraio 2010 16:21
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL XXV ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) E DELLA XVIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del XXV anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) e della XVIII Giornata Mondiale del Malato.
Intervengono: S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; S.E. Mons. José L. Redrado, O.H., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; S.E. Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes et Lourdes; Mons. Jean-Marie Musivi Mpendawatu, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; il Dott. Salvatore Pagliuca, Vice Presidente Nazionale dell’UNITALSI.
Pubblichiamo di seguito l’intervento di S.E. Mons. Zygmunt Zimowski e del Dott. Salvatore Pagliuca:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKI

È per me un onore e un piacere essere qui, oggi, ad annunciare di persona le celebrazioni per il XXV dell’istituzione del nostro Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) e per la XVIII Giornata Mondiale del Malato che si terranno a Roma e nella Città del Vaticano tra il 9 e l’11 febbraio prossimi. Il loro tema conduttore è "La Chiesa al servizio dell’amore per i sofferenti", il titolo del Messaggio dedicato da Sua Santità Papa Benedetto XVI proprio agli eventi della settimana prossima.

Una serie di celebrazioni davvero molto nutrita e che, oltre alla Liturgia Eucaristica che Sua Santità Papa Benedetto XVI presiederà l’11 febbraio in S. Pietro, sarà tra poco illustrata dal nostro Segretario, S.E. Monsignor José L. Redrado O.H, e dal Presidente dell’UNITALSI, il dott. Antonio Diella.

Desidero comunque anticipare innanzitutto lo svolgimento di un Simposio internazionale di due giorni, dedicato alle Lettere apostoliche: la "Salvifici Doloris" e il Motu Proprio "Dolentium Hominum", con cui il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II istituì, venticinque anni fa, il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Sono attualmente oltre 540 gli iscritti, provenienti da 35 Paesi fra i quali: Canada, Slovenia, USA, Belgio, Ucraina, Spagna, Polonia, Francia, Regno Unito, Ghana e Italia. Si tratta di operatori sanitari, cappellani, medici e infermieri, rappresentanti di associazioni e organismi a carattere istituzionale o di volontariato e di alcuni malati in grado di prendervi parte. Vi saranno inoltre una mostra di pittura ed un concerto di musica classica.

Giovedì 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes e XVIII Giornata Mondiale del Malato, nell’ambito della quale vi saranno l’arrivo in Vaticano delle reliquie di Santa Bernadette Soubirous e una processione, realizzata sempre col supporto logistico dell’UNITALSI, con lo stesso reliquiario e la statua della Madonna di Lourdes che, dopo aver percorso Via della Conciliazione, si concluderà in Piazza S. Pietro.

Entrando più nello specifico e nell’essenza di queste celebrazioni, dedicate al mondo della malattia e del patimento e alla cura della persona umana nella sua integralità, è opportuno ricordare come nel Suo Messaggio di quest’anno, il Santo Padre Benedetto XVI si riferisca alla Lettera Apostolica "Salvifici Doloris" per sottolineare che il senso definitivo della sofferenza umana si rivela solamente alla luce di Gesù Redentore. "Nel mistero della sua passione morte e resurrezione, l’umana sofferenza attinge senso e pienezza di luce" afferma Sua Santità Papa Benedetto XVI. Citando quindi la "Salvifici Doloris", ricorda come la stessa umana sofferenza, abbia raggiunto il suo culmine nella Passione del Signore e sia così "entrata in una dimensione completamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore…". (n.18)

Proseguendo in maniera estremamente sintetica, data la profondità e la vastità delle tematiche affrontate, possiamo quindi ricollegarci alla "Redemptor Hominis" e così essere consapevoli che il servizio ecclesiale dell’amore si fonda sull’opera di Gesù Redentore e trova una sua attualizzazione nel "completamento di quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del Suo corpo che è la Chiesa", come spiega la "Salvifici Doloris".

E in effetti, pur nella sua ‘giovane’ esistenza, tale continuum si ritrova anche nel Dicastero che festeggia il XXV della sua istituzione e allo stesso tempo la XVIII Giornata Mondiale del Malato. "Una felice coincidenza" che, ha sottolineato il Santo Padre nel Messaggio, costituisce un motivo ulteriore "per ringraziare Dio del cammino sinora percorso nel settore della pastorale della salute. Auspico di cuore che tale ricorrenza sia occasione per un più generoso slancio apostolico al servizio dei malati e di quanti se ne prendono cura".

Parole che sono per noi, per tutti gli agenti di pastorale e per gli operatori, professionali e/o volontari, impegnati nel campo sanitario, un consolidamento sulla via del servizio all’amore che la Chiesa compie per i malati e i sofferenti.

Perché la pastorale della salute, la sua attenzione all’integralità della persona, è necessaria alla medicina. Non soltanto per fornire le basi degli impegni etici e morali ma anche per sostenere gli atteggiamenti e la prassi degli operatori sanitari per un’adeguata assistenza, nel tempo, a chi è nel dolore della malattia.

Non sempre peraltro, è possibile portare la guarigione fisica così come, talvolta, la sola presenza, la vicinanza, il farsi prossimi, è di per sé un sostegno, un aiuto alla persona sofferente. Un esempio sono i tre amici di Giobbe accorsi per esprimere la loro solidarietà. "Poi si sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti e nessuno gli rivolse la parola, perché vedevano che grande era il suo dolore". (Giobbe 2,13).

Una "azione umanitaria e spirituale della Comunità ecclesiale verso gli ammalati ed i sofferenti" che, come continua il Santo Padre nel Messaggio, "nel corso dei secoli è stata espressa in molteplici forme e strutture sanitarie anche di carattere istituzionale. Vorrei qui ricordare quelle direttamente gestite dalle Diocesi e quelle nate dalla generosità di vari istituti religiosi. Si tratta di un prezioso ‘patrimonio’ rispondente al fatto che "l’amore ha bisogno di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato" (Enc. Deus Caritas est, 20)

È tale "sollecitudine ecclesiale per il mondo della salute" che ha portato venticinque anni fa alla "creazione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari."

Un dicastero posto sotto la guida prima di S.E. il Cardinale Fiorenzo Angelini, il suo primo Presidente, e poi, sino allo scorso anno, sotto quella del suo successore, il Cardinale Javier Lozano Barragán. Un impegno articolato, quello del Dicastero e decisamente vasto, sia spiritualmente che ‘geograficamente’. Con al centro il Cristo e la Chiesa, si occupa della persona umana nella sua integralità, del coordinamento degli oltre 117mila Centri sanitari cattolici attivi nel mondo, del supporto e/o della formazione di tutti gli agenti di pastorale – e vorrei qui innanzitutto ricordare, anche in considerazione dell’Anno Sacerdotale in corso, i cappellani - che sono impegnati con i malati e tutti gli operatori, professionisti e volontari, che intendono integrare le proprie capacità professionali nel campo medico con il mandato specifico del Battesimo e nel rispetto dell’uomo creato ad immagine di Dio. Vi sono poi le iniziative pubbliche legate al Dicastero, od organizzate direttamente dallo stesso, che sono diventate degli appuntamenti direi ‘tradizionali’. Una per tutte la Conferenza Internazionale che di norma ha luogo nel mese di novembre e che quest’anno giungerà anch’essa alla sua XXV edizione. Un appuntamento che richiama le personalità della Chiesa e quelle della ricerca, approfondendo le tematiche anche prendendo in esame i punti di vista delle altre principali confessioni religiose.

È inoltre importante, tornare sul ruolo centrale del presbitero, del cappellano, sempre in considerazione dell’Anno Sacerdotale in corso.

"Il mio pensiero si dirige particolarmente a voi, cari sacerdoti, ministri degli infermi, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" prosegue il Santo Padre nel Suo messaggio. "Vi invito, cari presbiteri, a non risparmiarvi nel dare loro cura e conforto. Il tempo trascorso accanto a chi è nella prova si rivela fecondo di grazia per tutte le altre dimensioni della pastorale".

Ecco come l’Anno Sacerdotale viene mostrato non solamente nel suo aspetto di attualizzazione della Giornata Mondiale del Malato ma anche indicazione per interpretare correttamente il mistero ed il valore della sofferenza.

Un impegno arduo, quello sacerdotale, anche solo considerando l’obbligo dei consacrati di approfondire in loro stessi una prontezza dell’osservanza eroica di tutte le esigenze del messaggio evangelico anche quelle che, nella vita quotidiana si mostrano spesso molto difficili perché connesse con il messaggio della sofferenza.

È anche perciò che Sua Santità Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio si rivolge anche ai malati perché preghino caldamente – con le parole e con le opere – per tutti i sacerdoti. "Mi rivolgo a voi, cari malati e vi chiedo di pregare e di offrire le vostre sofferenze in modo particolare per i sacerdoti, perché possano mantenersi fedeli alla loro vocazione e il loro ministero sia ricco di frutti spirituali a beneficio di tutta la Chiesa"

È ’altro lato la persona malata, sofferente, ad essere il punto focale dell’impegno in ambito sanitario. Una cura, o anche solamente un farsi vicini, un essere presenti, che la Chiesa sollecita e promuove anche attraverso la Giornata Mondiale del Malato, che il servo di Dio Giovanni Paolo II volle fosse legata alla memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, e che è stata celebrata, per la prima volta, proprio nei luoghi ove Santa Bernadette vide apparire la Madonna e su Sua indicazione scavò facendo scaturire la sorgente miracolosa.

Le edizioni successive della Giornata Mondiale del Malato sono state celebrate nei diversi continenti e in Paesi tecnologicamente più avanzati, come nella capitale degli USA, a Washington D.C. nel 2003, così come in quelli economicamente svantaggiati, ad esempio in Camerun, a Yaoundé nel 2005.



INTERVENTO DEL DOTT. SALVATORE PAGLIUCA

Ringrazio innanzitutto Sua Eccellenza Mons. Zimowski per avere affidato all’Unitalsi l’organizzazione logistica e tecnica dello svolgimento dell’evento.

Il Presidente Nazionale Antonio Diella si scusa per non essere qui a causa di un problema tecnico, ma di sicuro sarà presente durante gli appuntamenti liturgici previsti per le celebrazioni della prossima settimana. Approfitto per salutare un amico dell’Unitalsi, Sua Eccellenza Mons. Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes qui presente e tutti gli intervenuti.

"La Chiesa al servizio dell’amore per i sofferenti" è il tema conduttore della celebrazione del XXV dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e della XVIII Giornata Mondiale del Malato e dell’11 febbraio, anniversario della prima apparizione della Beata Vergine di Lourdes.

L’Unitalsi per l’evento ha previsto diversi appuntamenti liturgici, a partire dal 9 febbraio, quando nel pomeriggio presso la Basilica Santa Maria Maggiore, volontari e malati accoglieranno le reliquie di Santa Bernadette provenienti dal Santuario di Lourdes, dove sono custodite. L’appuntamento sarà presieduto dall’Arciprete della Basilica, il Cardinal Bernard Francis Law e dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Vorrei ricordare a tutti i presenti anche la processione aux flambeaux che l’Unitalsi ha predisposto nel pomeriggio dell’11 febbraio.

L’Associazione infatti si riunirà nei pressi di Castel Sant’Angelo per sfilare in processione lungo via della Conciliazione, fino ad arrivare a piazza San Pietro e attendere la benedizione del Santo Padre Benedetto XVI dalla finestra del suo studio privato. Alla processione parteciperanno Sua Eccellenza Mons. Zimowski e il Sindaco Alemanno.

Le cronache degli ultimi giorni raccontano sempre più spesso di anziani, di disabili abbandonati o lasciati soli senza alcuna assistenza socio sanitaria. Ecco vorrei ricordare proprio in questa occasione, in prossimità degli anniversari che riguardano, i malati, come l’Unitalsi sia impegnata quotidianamente nella propria opera nel coinvolgere, i malati e coloro che soffrono e sono emarginati; e questo avviene principalmente attraverso i nostri pellegrinaggi. L’Unitalsi, lo ricordo, non effettua pellegrinaggi per soli malati, ma rifiuta allo stesso tempo l’idea di pellegrinaggi per i soli "sani" che non creano problemi, perché il pellegrinaggio è una esperienza di comunità, in tutte le sue componenti.

Chi viene in pellegrinaggio è gente che chiede di condividere l’esperienza dell’associazione chiede di seguirla anche al termine del pellegrinaggio, impegnandosi in un cammino di spiritualità e di carità e di fede. La missione che ci è stata affidata è quella di rivolgere la nostra attenzione su tutti gli aspetti della "malattia" e quindi concentreremo i nostri sforzi su una presenza maggiore di ammalati terminali e affetti da patologie inguaribili e sull’organizzazione nei più importanti Santuari di Europa, di punti di incontro per informare gli ammalati di tutta Europa della vita della Chiesa e del suo lavoro per la difesa della vita e delle legislazioni esistenti in tutti i paesi europei a tutela dei portatori di disabilità.

Ringrazio tutti presenti per l’attenzione dedicata e ancora grazie a Sua Eccellenza Mons. Zimowski per l’opportunità concessa all’Unitalsi e ai suoi volontari di essere ancora più vicini e di aiuto agli ammalati che saranno presenti alle celebrazioni liturgiche.
+PetaloNero+
00lunedì 8 febbraio 2010 15:43
STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 48th SESSION OF THE COMMISSION FOR SOCIAL DEVELOPMENT BEFORE THE ECONOMIC AND SOCIAL COUNCIL ON ITEM 3 (A) PRIORITY THEME: SOCIAL INTEGRATION

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore Apostolic Nuncio Permanent Observe of the Holy See, on 4 February 2010, at the 48th Session of the Commission for Social development before the Economic and Social Council on item 3 (a) Priority theme: social integration:

Mr. Chairman,

On behalf of my Delegation, I wish to express best wishes to you and the Bureau for a productive session on this year’s priority theme "Promoting social integration" and look forward to working with the membership and other stakeholders to address the daunting challenges of social integration.

For more than twenty years now the human community has been living and interacting within the context of the so-called globalization of society. And yet, "as society becomes ever more globalized, it makes us neighbours but does not make us brothers" 1. All those responsible for promoting social integration and cohesion know all too well that this is not attainable by a simple, though indispensable, mix of good laws and social measures and incentives. There is always a need to push further ahead and take into consideration the integral good of the human person in his various dimensions, including the spiritual.

In a world beset with the soaring woes of the economic and financial crisis, the deliberations over promoting social integration must take into account its link with poverty eradication and full employment, including decent work for all.

While the financial system seems to be regaining stability and increasing production in some sectors offers signs of economic recovery, still in many places the level of unemployment continues to worsen.

In this context, in order to promote economic and social growth along with employment, it seems that the patterns of consumption should be focused upon relational goods and services which promote greater connection between people. By investing in relational goods, such as medical care, education, culture, art, sport – all things which develop a person and require unique human interaction rather than machine production – the State, through its public intervention, would be addressing development at its root, while also promoting employment and long-term development.

Social development and integration will not come about solely from technological solutions, since they concern primarily human relations.

Focusing on human relations necessarily calls for an openness to life which is a positive contribution to social and economic development. In this light, too often population growth is viewed as the cause of poverty whereas it is a means of overcoming it, for only within the work force can the solution for poverty be found. It is therefore imperative that countries focus their efforts on finding the ways and means for ensuring that people receive the necessary skills, training and education so that human ingenuity can be harnessed in a way which promotes development and human rights. Similarly, where economic growth rates have declined, the answers lie not in trying to close society to others and pushing for population decline but rather in creating a society which is open to and encourages life. Promoting life and the family and finding ways to integrate the contribution of all people will allow societies to realize their full potential and achieve development.

For this reason, the family occupies a central place. The family is the first context in which children learn certain skills, attitudes and virtues which prepare them for the labor force and thus allow them to contribute to economic growth and social development. Education and formation is a long-term investment. It requires that policies promoting the family be based not only on redistribution but above all on justice and efficiency and assume responsibility for the economic and fiscal needs of families.

Mr. Chairman, as we promote social integration in our world today we cannot overlook the increasing concern that needs to be given to migration, and in particular, irregular migration.

Intolerance and mutual friction between citizens and newcomers is always more noted in countries of intense immigration. The phenomenon calls for strong attention to the two tracks of acceptance of migrants and respect for the law, on which the solutions to the problem can be found. Also in this field, integration and social cohesion are the parameters that allow us to find adequate solutions to complex issues connected with immigration.

Integration requires a long time and is usually realized in subsequent generations. It is built on the premise of a proactive vision of national citizenship, of the mechanisms of interaction that involves full respect of the fundamental rights of all – of citizens as well as of newcomers – and of a culture of social justice.

In social integration programs, including the efforts to bridge the gap in education, health care and care for environment, important roles are played by civil society and faith based organizations since they help to ensure the involvement of local communities and promote cooperation and participation of all peoples.

Thank you, Mr. Chairman.

_________________________________

1 Benedict XVI, Caritas in veritate, # 19.
+PetaloNero+
00martedì 9 febbraio 2010 00:31
Intervento della Santa Sede sulla promozione di un'autentica integrazione sociale
All'ONU, alla 48° sessione dell'Ecosoc



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'intervento pronunciato il 4 febbraio a New York dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, in occasione della 48° sessione della Commissione per lo Sviluppo Sociale del Consiglio Economico e Sociale dell'Onu (Ecosoc) sul tema dell'integrazione sociale.

* * *

Signor Presidente,

A nome della mia Delegazione desidero esprimere a lei e al Bureau i migliori auguri per una sessione feconda sul tema prioritario di quest'anno, «Promuovere l'integrazione sociale», e attendo con piacere di lavorare con i membri e le altre parti interessate per affrontare le pressanti sfide dell'integrazione sociale.

Da oltre vent'anni, ormai, la comunità umana sta vivendo e interagendo nel contesto della cosiddetta globalizzazione della società. E tuttavia, la «società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 19). Tutti i responsabili della promozione dell'integrazione sociale e della coesione sanno fin troppo bene che non possono essere ottenute per mezzo di una semplice, seppure indispensabile, combinazione di buone leggi e di misure sociali e incentivi. C'è sempre il bisogno di andare oltre e prendere in considerazione il bene integrale della persona umana nelle sue diverse dimensioni, compresa quella spirituale.

In un mondo afflitto dalle grandi difficoltà della crisi economica e finanziaria, le deliberazioni sulla promozione dell'integrazione sociale devono tener conto del suo collegamento con lo sradicamento della povertà e la piena occupazione, che comprende un lavoro dignitoso per tutti.

Anche se il sistema finanziario sembra riacquistare stabilità e l'aumento della produzione in alcuni settori è segno di una ripresa economica, in molti luoghi il livello di disoccupazione continua a peggiorare.

In questo contesto, al fine di promuovere la crescita economica e sociale, insieme all'occupazione, sembra che gli schemi di consumo dovrebbero concentrarsi sui beni e i servizi relazionali che favoriscono un maggiore legame tra le persone. Investendo nei beni relazionali, come l'assistenza medica, l'educazione, la cultura, l'arte, lo sport — tutte cose che sviluppano la persona ed esigono un'interazione umana unica piuttosto che una produzione meccanica — lo Stato, attraverso gli interventi pubblici, affronterebbe la questione dello sviluppo alla radice, favorendo al contempo l'occupazione e lo sviluppo a lungo termine.

Lo sviluppo e l'integrazione sociale non si realizzeranno soltanto attraverso soluzioni tecnologiche, poiché riguardano principalmente le relazioni umane.

Concentrarsi sulle relazioni umane esige un'apertura alla vita che è un contributo positivo allo sviluppo sociale ed economico. In questa luce, troppo spesso la crescita demografica è vista come causa della povertà mentre invece è un mezzo per superarla, poiché solo nella forza lavoro si può trovare la soluzione alla povertà. È pertanto indispensabile che i Paesi concentrino i loro sforzi sulla ricerca di modi e mezzi per far sì che le persone ricevano la necessaria preparazione, formazione ed educazione affinché l'ingegno umano possa essere utilizzato in un modo che promuova lo sviluppo e i diritti umani. Similmente, laddove i tassi di crescita economica sono diminuiti, le risposte non stanno nel cercare di chiudere la società agli altri e nel fare pressione per una diminuzione della popolazione, bensì nel creare una società che sia aperta alla vita e la incoraggi. Promuovere la vita e la famiglia e trovare modi per integrare il contributo di tutte le persone permetterà alle società di realizzare il loro pieno potenziale e ottenere lo sviluppo.

Per questa ragione la famiglia occupa un posto centrale. La famiglia è il primo contesto in cui i bambini acquisiscono certe capacità, atteggiamenti e virtù che li preparano come forza lavoro e quindi permettono loro di contribuire alla crescita economica e allo sviluppo sociale. L'educazione e la formazione sono un investimento a lungo termine. Ciò esige che le politiche che promuovono la famiglia non si basino solo sulla ridistribuzione, ma soprattutto sulla giustizia e sull'efficienza, e che si assumano la responsabilità delle necessità economiche e del giusto trattamento fiscale delle famiglie.

Signor Presidente, mentre promoviamo l'integrazione sociale nel mondo attuale, non possiamo ignorare la crescente attenzione che occorre rivolgere alla migrazione, e in particolare alla migrazione irregolare.

Sempre più spesso si osservano intolleranza e attriti reciproci tra i cittadini e i nuovi arrivati nei paesi in cui vi è un'immigrazione intensa. Questo fenomeno esige una grande attenzione per i due percorsi dell'accettazione dei migranti e del rispetto della legge, nei quali si possono trovare le soluzioni al problema. Anche in questo campo l'integrazione e la coesione sociale sono i parametri che ci consentono di trovare soluzioni adeguate alle complesse questioni legate all'immigrazione.

L'integrazione richiede molto tempo e generalmente viene realizzata nelle generazioni successive. Si fonda sulla premessa di una visione proattiva della cittadinanza nazionale e dei meccanismi di interazione, che implica il pieno rispetto dei diritti fondamentali di tutti — dei cittadini come pure dei nuovi arrivati — e una cultura di giustizia sociale.

Nei programmi di integrazione sociale, che includono gli sforzi per superare il divario nell'educazione, nell'assistenza sanitaria e nella cura per l'ambiente, un ruolo importante viene svolto dalla società civile e dalle organizzazioni confessionali, poiché contribuiscono ad assicurare il coinvolgimento delle comunità locali e promuovono la cooperazione e la partecipazione di tutti i popoli.


[Traduzione del testo in inglese a cura de L'Osservatore Romano]
+PetaloNero+
00martedì 9 febbraio 2010 15:27
COMUNICATO DELLA SEGRETERIA DI STATO

Dal 23 gennaio si stanno moltiplicando, soprattutto su molti media italiani, notizie e ricostruzioni che riguardano le vicende connesse con le dimissioni del direttore del quotidiano cattolico italiano "Avvenire", con l’evidente intenzione di dimostrare una implicazione nella vicenda del direttore de "L’Osservatore Romano", arrivando a insinuare responsabilità addirittura del cardinale segretario di Stato. Queste notizie e ricostruzioni non hanno alcun fondamento.

In particolare, è falso che responsabili della Gendarmeria vaticana o il direttore de "L’Osservatore Romano" abbiano trasmesso documenti che sono alla base delle dimissioni, il 3 settembre scorso, del direttore di "Avvenire"; è falso che il direttore de "L’Osservatore Romano" abbia dato – o comunque trasmesso o avallato in qualsiasi modo – informazioni su questi documenti, ed è falso che egli abbia scritto sotto pseudonimo, o ispirato, articoli su altre testate.

Appare chiaro dal moltiplicarsi delle argomentazioni e delle ipotesi più incredibili – ripetute sui media con una consonanza davvero singolare – che tutto si basa su convinzioni non fondate, con l’intento di attribuire al direttore de "L’Osservatore Romano", in modo gratuito e calunnioso, un’azione immotivata, irragionevole e malvagia. Ciò sta dando luogo a una campagna diffamatoria contro la Santa Sede, che coinvolge lo stesso Romano Pontefice.

Il Santo Padre Benedetto XVI, che è sempre stato informato, deplora questi attacchi ingiusti e ingiuriosi, rinnova piena fiducia ai suoi collaboratori e prega perché chi ha veramente a cuore il bene della Chiesa operi con ogni mezzo perché si affermino la verità e la giustizia.

Dal Vaticano, 9 febbraio 2010
+PetaloNero+
00sabato 13 febbraio 2010 16:01
COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI SUL SIMPOSIO DEDICATO A HARVESTING THE FRUITS (ROMA, 8-10 FEBBRAIO 2009)


Nell’ottobre 2009 è stato pubblicato il volume Harvesting the Fruits: Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue. Il libro raccoglie i risultati di quarant’anni di dialoghi bilaterali tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate, la Comunione Anglicana ed il Consiglio Metodista Mondiale, riflettendo anche su quale potrà essere il contenuto e la direzione della discussione ecumenica nel futuro. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha ospitato un Simposio dall’8 al 10 febbraio 2010 sui temi presentati nel libro Harvesting the Fruits. Presso il Dicastero vaticano, su invito del suo Presidente, il Cardinale Walter Kasper, si sono incontrati teologi cattolici, luterani, riformati, anglicani e metodisti.

Scopo del Simposio non era soltanto prendere atto dei molti elementi di convergenza conseguiti in quarant’anni di dialogo ufficiale, ma anche trovare il modo di comunicare tali importanti risultati ai membri delle varie comunità cristiane, affinché possano esprimere più pienamente nella loro vita di fede il progresso realizzato verso l’unità. Durante i tre giorni del Simposio, i partecipanti hanno esaminato nel dettaglio il tema della recezione delle dichiarazioni comuni, la necessità di una testimonianza cristiana comune ad ogni livello ed il nuovo contesto nel quale la cristianità deve portare avanti la sua missione.

Il Simposio ha anche guardato al futuro, per discernere quella che dovrà essere la configurazione del dialogo ecumenico. Si è ampiamente riflettuto sui passi che dovranno essere intrapresi verso il raggiungimento dell’obiettivo ecumenico, che rimane la piena a visibile comunione. Il Cardinale Kasper ha proposto la seguente considerazione: "Cosa significa comunione nel senso teologico? Non significa comunità in senso orizzontale, ma communio sanctorum, che potremmo definire partecipazione verticale a ciò che è ‘santo’, alle ‘cose sante’- ovvero lo Spirito di Cristo presente nella sua Parola e nei sacramenti amministrati dai ministri, propriamente ordinati".

I partecipanti hanno discusso su come sia possibile giungere ad una diversa valutazione delle divergenze tradizionali dal punto di vista della missione e del Regno di Dio. In tale contesto, è stato menzionato il nuovo e promettente approccio secondo il quale il dialogo ecumenico viene considerato come uno scambio di doni. Si è parlato onestamente anche dei limiti della diversità e del ruolo della gerarchia delle verità. Infine, sono state avanzate proposte concrete volte a promuovere la ricerca dell’unità, tra cui, in particolare, quella di stilare una Dichiarazione Comune su ciò che abbiamo conseguito insieme ecumenicamente. Tale dichiarazione potrebbe prendere la forma di un’affermazione comune della nostra fede battesimale, comprendente un commento al Credo apostolico ed al Padre Nostro.

Al Simposio erano presenti sia esperti di dialoghi bilaterali sia giovani teologi, nuovi all’ecumenismo. La discussione teologica è stata di alto livello. I numerosi suggerimenti positivi che ha prodotto saranno ripresi nella Plenaria del Pontificio Consiglio prevista per il mese di novembre 2010. I partecipanti hanno espresso gratitudine per l’opportunità offerta loro di discutere approfonditamente delle sfide reali incontrate nella ricerca dell’unità dei cristiani. Essi hanno altresì dichiarato che la capacità di organizzare simili incontri è una potenzialità caratteristica di Roma, sottolineando in tal modo l’ampio servizio che il ministero petrino può offrire all’ecumenismo.
+PetaloNero+
00sabato 13 febbraio 2010 16:01
COMUNICATO CONGIUNTO DELLA COMMISSIONE BILATERALE PERMANENTE DI LAVORO TRA LA SANTA SEDE E LO STATO DI ISRAELE


La Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è incontrata il 10 febbraio 2010 per continuare il suo lavoro su un Accordo in conformità all’Articolo 10 § 2 del "Fundamental Agreement" tra le Parti del 1993.

I colloqui sono stati proficui e si sono svolti in un’atmosfera di grande cordialità.
+PetaloNero+
00lunedì 15 febbraio 2010 15:57
Comunicato vaticano di bilancio di 40 anni di ecumenismo
Dopo un incontro con teologi cattolici, luterani, riformati, anglicani e metodisti



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 15 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il comunicato diffuso dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani sul simposio che ha organizzato a Roma per analizzare 40 anni di ecumenismo con teologi cattolici, luterani, riformati, anglicani e metodisti.

* * *

Nell’ottobre 2009 è stato pubblicato il volume Harvesting the Fruits: Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue. Il libro raccoglie i risultati di quarant’anni di dialoghi bilaterali tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, l’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate, la Comunione Anglicana ed il Consiglio Metodista Mondiale, riflettendo anche su quale potrà essere il contenuto e la direzione della discussione ecumenica nel futuro. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha ospitato un Simposio dall’8 al 10 febbraio 2010 sui temi presentati nel libro Harvesting the Fruits. Presso il Dicastero vaticano, su invito del suo Presidente, il Cardinale Walter Kasper, si sono incontrati teologi cattolici, luterani, riformati, anglicani e metodisti.

Scopo del Simposio non era soltanto prendere atto dei molti elementi di convergenza conseguiti in quarant’anni di dialogo ufficiale, ma anche trovare il modo di comunicare tali importanti risultati ai membri delle varie comunità cristiane, affinché possano esprimere più pienamente nella loro vita di fede il progresso realizzato verso l’unità. Durante i tre giorni del Simposio, i partecipanti hanno esaminato nel dettaglio il tema della recezione delle dichiarazioni comuni, la necessità di una testimonianza cristiana comune ad ogni livello ed il nuovo contesto nel quale la cristianità deve portare avanti la sua missione.

Il Simposio ha anche guardato al futuro, per discernere quella che dovrà essere la configurazione del dialogo ecumenico. Si è ampiamente riflettuto sui passi che dovranno essere intrapresi verso il raggiungimento dell’obiettivo ecumenico, che rimane la piena a visibile comunione. Il Cardinale Kasper ha proposto la seguente considerazione: "Cosa significa comunione nel senso teologico? Non significa comunità in senso orizzontale, ma communio sanctorum, che potremmo definire partecipazione verticale a ciò che è ‘santo’, alle ‘cose sante’- ovvero lo Spirito di Cristo presente nella sua Parola e nei sacramenti amministrati dai ministri, propriamente ordinati".

I partecipanti hanno discusso su come sia possibile giungere ad una diversa valutazione delle divergenze tradizionali dal punto di vista della missione e del Regno di Dio. In tale contesto, è stato menzionato il nuovo e promettente approccio secondo il quale il dialogo ecumenico viene considerato come uno scambio di doni. Si è parlato onestamente anche dei limiti della diversità e del ruolo della gerarchia delle verità. Infine, sono state avanzate proposte concrete volte a promuovere la ricerca dell’unità, tra cui, in particolare, quella di stilare una Dichiarazione Comune su ciò che abbiamo conseguito insieme ecumenicamente. Tale dichiarazione potrebbe prendere la forma di un’affermazione comune della nostra fede battesimale, comprendente un commento al Credo apostolico ed al Padre Nostro.

Al Simposio erano presenti sia esperti di dialoghi bilaterali sia giovani teologi, nuovi all’ecumenismo. La discussione teologica è stata di alto livello. I numerosi suggerimenti positivi che ha prodotto saranno ripresi nella Plenaria del Pontificio Consiglio prevista per il mese di novembre 2010. I partecipanti hanno espresso gratitudine per l’opportunità offerta loro di discutere approfonditamente delle sfide reali incontrate nella ricerca dell’unità dei cristiani. Essi hanno altresì dichiarato che la capacità di organizzare simili incontri è una potenzialità caratteristica di Roma, sottolineando in tal modo l’ampio servizio che il ministero petrino può offrire all’ecumenismo.
+PetaloNero+
00sabato 20 febbraio 2010 15:14
PRESENTAZIONE DELL’ANNUARIO PONTIFICIO 2010

L’Annuario Pontificio 2010 è stato presentato al Santo Padre questa mattina, 20 febbraio 2010, da S.E.R. il Signor Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, e da S.E.R. Mons. Fernando Filoni, Sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari Generali. La redazione del nuovo Annuario è stata curata da Mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal Prof. Enrico Nenna e dagli altri collaboratori.

Il complesso lavoro di stampa è stato invece curato dal Rev. don Pietro Migliasso S.D.B., dal Comm. Antonio Maggiotto e dal Comm. Giuseppe Canesso, rispettivamente Direttore Generale, Direttore Commerciale e Direttore Tecnico della Tipografia Vaticana. Il volume sarà prossimamente in vendita nelle librerie.

Il Santo Padre ha ringraziato per l’omaggio, mostrando vivo interesse per i dati illustrati e pregando di esprimere l’attestazione della Sua sentita gratitudine a tutti coloro che hanno collaborato alla nuova edizione dell’Annuario.

Dalla lettura del volume si possono desumere alcune novità relative alla vita della Chiesa cattolica nel mondo, a partire dal 2009.

Durante tale anno sono state erette dal Santo Padre 8 nuove Sedi Vescovili ed 1 Prelatura; sono state elevate 1 Prelatura a Diocesi e 3 Prefetture a Vicariati Apostolici. In tutto sono stati nominati 169 nuovi Vescovi.

I dati statistici, riferiti all’anno 2008, forniscono un’analisi sintetica delle principali dinamiche riguardanti la Chiesa Cattolica nelle 2.945 circoscrizioni ecclesiastiche del pianeta.

Nel periodo che va dal 2007 al 2008 i fedeli battezzati nel mondo sono complessivamente passati da quasi 1.147 a 1.166 milioni, con un incremento assoluto di 19 milioni di fedeli e percentuale pari all’1,7%. Confrontando questi dati con l’evoluzione della popolazione mondiale nello stesso periodo, passata da 6,62 a 6,70 miliardi, si osserva che l’incidenza dei cattolici a livello planetario è lievemente aumentata, dal 17,33 al 17,40 per cento.

Tra il 2007 e il 2008 il numero dei vescovi è aumentato globalmente dell’1,13%, passando da 4.946 a 5.002. L’incremento è stato significativo in Africa (+ 1,83%) e nelle Americhe (+1,57%), mentre in Asia (+1,09%) e in Europa (+0,70%) i valori si collocano sotto la media complessiva. L’Oceania registra nello stesso periodo un tasso di variazione di –3%. Tali dinamiche differenziate non hanno però causato sostanziali variazioni nella distribuzione dei vescovi per continente.

La situazione numerica dei sacerdoti, sia diocesani che religiosi, continua a mostrare, a livello aggregato, un’evoluzione positiva, ma moderata e comunque attorno all’1% nel periodo 2000 – 2008. I sacerdoti, diocesani e religiosi, infatti, sono aumentati nel corso degli ultimi nove anni, passando da 405.178 nel 2000 a 408.024 nel 2007 e a 409.166 nel 2008. La distribuzione del clero tra i continenti, nel 2008, è caratterizzata da una forte prevalenza di sacerdoti europei (47,1%), quelli americani sono il 30%; il clero asiatico incide per il 13,2%, quello africano per l’8,7% e quello nell’Oceania per l’1,2%.

Tra il 2000 e il 2008 non è variata l’incidenza relativa dei sacerdoti in Oceania; è invece cresciuto il peso sia del clero africano, sia di quello asiatico e dei sacerdoti americani, mentre il clero europeo è vistosamente sceso dal 51,5 al 47,1%.

Tra le figure di operatori religiosi che affiancano l’attività pastorale dei vescovi e dei sacerdoti, le religiose professe costituiscono il gruppo di maggior peso numerico. Tali religiose, che nel Mondo erano 801.185 nell’anno 2000, diminuiscono progressivamente, tanto che al 2008 se ne contavano 739.067 (con una diminuzione relativa nel periodo del 7,8%). Va rilevato che i gruppi più numerosi di religiose professe si trovano in Europa (40,9%) e in America (27,5%) e che le contrazioni di maggior rilievo si sono manifestate ugualmente in Europa (- 17,6%) e in America (-12,9%), oltre che in Oceania (-14,9%), mentre in Africa e in Asia si hanno dei notevoli aumenti (+21,2% per l’Africa e +16,4 per l’Asia), che controbilanciano l’anzidetta diminuzione, ma non sino al punto di annullarla.

A livello globale, il numero dei candidati al sacerdozio è aumentato, passando da 115.919 nel 2007 a 117.024 nel 2008. Complessivamente nel biennio si è avuto un tasso di aumento di circa l’1%. Tale variazione relativa è stata positiva in Africa (3,6%), in Asia (4,4%) e in Oceania (6,5%), mentre l’Europa ha fatto registrare un calo del 4,3%. L’America presenta invece una situazione di quasi stazionarietà.
+PetaloNero+
00venerdì 5 marzo 2010 15:55
PRIMA PREDICA DI QUARESIMA

Alle ore 9 di questa mattina, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la prima Predica di Quaresima.

Tema delle meditazioni quaresimali è il seguente: "Dispensatori dei misteri di Dio" - Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti.

Le due successive Prediche di Quaresima avranno luogo venerdì 12 marzo e venerdì 26 marzo.






Prima predica di padre Cantalamessa per la Quaresima 2010
“Misteri di una alleanza nuova”



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la prima predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è “Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti”, in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.

Le due prediche successive avranno luogo il 12 e il 26 marzo.

* * *

Il Signore mi concede di essere testimone della grazia straordinaria che si sta rivelando per la Chiesa quest’anno sacerdotale. Non si contano i ritiri del clero che si tengono in varie parti del mondo. A uno di questi ritiri, organizzato a Manila dalla conferenza episcopale delle Filippine, nel gennaio scorso, hanno preso parte 5.500 sacerdoti e 90 vescovi. È stato, a detta del cardinale di Manila, una nuova Pentecoste. Durante un’ora di adorazione guidata, all’invito del predicatore, tutta quella immensa distesa di sacerdoti in bianche vesti ha gridato a una sola voce: “Lord Jesus, we are happy to be your priests”: Signore Gesù, siamo felici di essere tuoi sacerdoti!”. E si vedeva dai volti che non erano solo parole. La stessa esperienza, in numero più ridotto, l’ho vissuta in diversi altri paesi. Tutti mi hanno pregato di trasmettere al Santo Padre il loro grazie e il loro saluto e io lo faccio con gioia in questo momento.

1. I “misteri” di Dio

La parola di Dio che ci guida in queste riflessioni per l’anno sacerdotale è 1 Corinzi 4, 1: “Si nos existimet homo, ut ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei”; quello che ognuno deve pensare di noi è che siamo "ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio”. Abbiamo meditato in Avvento la prima parte di questa definizione: il sacerdote come servitore di Cristo, nel potere e nell’unzione dello Spirito Santo. Ci resta, in questa Quaresima, di riflettere sulla seconda parte: il sacerdote come dispensatore dei misteri di Dio. Naturalmente quello che diciamo del sacerdote, vale a maggior ragione per il vescovo che possiede la pienezza del sacerdozio.

Il termine “misteri” ha due significati fondamentali: il primo è quello di verità nascoste e rivelate da Dio, i divini propositi annunciati velatamente nell’Antico Testamento e rivelati agli uomini nella pienezza dei tempi; il secondo è quello di “segni concreti della grazia”, in pratica i sacramenti. La Lettera agli Ebrei riunisce i due significati nell’espressione: “le cose che riguardano Dio” (ta pros ton Theon, ea que sunt ad Deum); accentua anzi proprio il significato rituale e sacramentale, dicendo che il compito del sacerdote (l’autore parla però qui del sacerdozio in genere, dell’Antico e del Nuovo Testamento) è quello di “offrire doni e sacrifici per i peccati” (Eb 5,1).

Questo secondo significato si afferma soprattutto nella tradizione della Chiesa. Sacramentum è il termine con cui, nel latino ecclesiastico, viene tradotta la parola mysterion. Sant’Ambrogio scrive due trattati sui riti dell’iniziazione cristiana, visti come compimento di figure e profezie dell’Antico Testamento; uno lo intitola “De sacramentis” e l’altro “De mysteriis”, anche se trattano in pratica lo stesso argomento.

Ritornando alla parola dell’Apostolo, il primo di questi due significati mette in luce il ruolo del sacerdote nei confronti della parola di Dio, il secondo il suo ruolo nei confronti dei sacramenti. Insieme delineano la fisionomia del sacerdote come testimone della verità di Dio e come ministro della grazia di Cristo, come annunciatore e come sacrificatore.

Per molti secoli la funzione del sacerdote è stata ridotta quasi esclusivamente al suo ruolo di liturgo e di sacrificatore: “offrire sacrifici e perdonare i peccati”. È stato il Concilio Vaticano II a rimettere in evidenza, accanto alla funzione cultuale, quella di evangelizzatore. In linea con quello che la Lumen gentium aveva detto della funzione dei vescovi di “insegnare” e “santificare”, la Presbyterorum ordinis scrive:

“Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione degli apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra le nazioni mediante il sacro ministero del Vangelo, affinché le nazioni diventino un'offerta gradita, santificata nello Spirito Santo (Rom 15,16). È infatti proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato [...] Il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo”[1].

Delle tre meditazioni di Quaresima (il Venerdì 19 Marzo, si omette la predica per la festa di san Giuseppe) ne dedicheremo una al tema del sacerdote come ministro della parola di Dio, una al sacerdote come ministro dei sacramenti e una più esistenziale, al rinnovamento del sacerdozio mediante la conversione al Signore.

2. La lettera e lo Spirito

A partire dal III secolo si nota una tendenza a modellare -nei requisiti, nei riti, nei titoli, nelle vesti - il sacerdozio cristiano su quello levitico dell’Antico Testamento[2]; una tendenza che si riflette in documenti canonici come le Costituzioni apostoliche, la Didascalia siriaca e altre fonti simili. Proprio questa assimilazione esterna, fa sentire più urgente il bisogno di riscoprire, in una occasione come questa, la novità e alterità sostanziale del ministero della nuova alleanza rispetto a quello dell’antica. È l’energica affermazione paolina che vorrei mettere al centro della presente meditazione:

“La nostra capacità viene da Dio. Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di una nuova alleanza, non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica. Or se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?” (2Cor 3, 5-8).

Che cosa l’Apostolo intende con l’opposizione lettera – Spirito, lo si deduce da quello che ha scritto poco sopra, parlando della comunità del Nuovo Testamento: “È noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne” (2 Cor 3, 3).

La lettera è dunque la legge mosaica scritta su tavole di pietra e, per estensione ogni legge positiva esteriore all’uomo; lo Spirito è la legge interiore, scritta sui cuori, quella che altrove l’Apostolo definisce “la legge dello Spirito che da la vita in Cristo Gesù e che libera dalla legge del peccato e della morte” (cf. Rom 8, 2).

Sant’Agostino ha scritto un trattato sul nostro testo – il De Spiritu et littera - che è una pietra miliare nella storia del pensiero cristiano. La novità della nuova alleanza rispetto all’antica, egli spiega, è che Dio non si limita più a comandare all’uomo di fare o non fare, ma fa egli stesso con lui e in lui le cose che gli comanda. “Dove la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impetra credendo…Con la legge delle opere Dio dice all’uomo: ‘Fa’ quello che ti comando’, con la legge della fede l’uomo dice a Dio: ‘Da’ quello che mi comandi’”[3].

La legge nuova che è lo Spirito è ben più che una “indicazione” di volontà; è un’“azione”, un principio vivo e attivo. La legge nuova è la vita nuova. L’opposizione lettera – Spirito equivale in san Paolo, all’opposizione legge – grazia: “Non siete più sotto la legge, scrive, ma sotto la grazia” (Rom 6,14).

Anche nell’antica alleanza è presente l’idea di grazia, nel senso di benevolenza, favore e perdono di Dio (la hesed): “Farò grazia a chi vorrò far grazia” (Es 33,19); i salmi sono pieni di questo concetto. Ma ora la parola grazia, charis, ha acquistato un significato nuovo, storico: è la grazia che viene dalla morte e risurrezione di Cristo e che giustifica il peccatore. Non è più solo una benevola disposizione, ma una realtà, uno “stato”: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi” (Rom 5, 1-2).

Giovanni descrive il rapporto tra antica e nuova alleanza allo stesso modo di Paolo: “La legge –scrive - è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1, 17).

Da ciò si deduce che la legge nuova, o dello Spirito, non è, in senso stretto, quella promulgata da Gesù sul monte delle beatitudini, ma quella da lui incisa nei cuori a Pentecoste. I precetti evangelici sono certo più elevati e perfetti di quelli mosaici; tuttavia, da soli, anch’essi sarebbero rimasti inefficaci. Se fosse bastato proclamare la nuova volontà di Dio attraverso il Vangelo, non si spiegherebbe che bisogno c’era che Gesù morisse e che venisse lo Spirito Santo; non si spiega perché il Gesù di Giovanni fa dipendere tutto dalla sua “elevazione”, cioè dalla sua morte di croce (cf. Gv 7, 39; 16, 7-15).

Gli apostoli sono la prova vivente di ciò. Essi avevano ascoltato dalla viva voce di Cristo tutti i precetti evangelici, per esempio che “chi vuol essere il primo deve farsi l’ultimo e il servo di tutti”, ma fino alla fine li vediamo preoccupati di stabilire chi fosse il più grande fra di loro. Solo dopo la venuta dello Spirito su di loro li vediamo completamente dimentichi di sé e intenti solo a proclamare “le grandi opere di Dio” (cf. At 2, 11).

Senza la grazia interiore dello Spirito, anche il Vangelo, dunque, anche il comandamento nuovo, sarebbe rimasto legge vecchia, lettera. Riprendendo un pensiero ardito di sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino scrive: “Per lettera si intende ogni legge scritta che resta al di fuori dell’uomo, anche i precetti morali contenuti nel Vangelo; per cui anche la lettera del Vangelo ucciderebbe, se non si aggiungesse, dentro, la grazia della fede che sana”[4]. Ancora più esplicito è ciò che ha scritto un po’ prima: “La legge nuova è principalmente la stessa grazia dello Spirito Santo che è data ai credenti”[5].

3. Non per costrizione, ma per attrazione

Ma come agisce, in concreto, questa legge nuova che è lo Spirito? Agisce attraverso l’amore! La legge nuova altro non è se non quello che Gesù chiama il “comandamento nuovo”. Lo Spirito Santo ha scritto la legge nuova nei nostri cuori, infondendo in essi l’amore (Rom 5, 5). Questo amore è l’amore con cui Dio ama noi e con cui, contemporaneamente, fa sì che noi amiamo lui e il prossimo. È una capacità nuova di amare.

Non è un controsenso parlare dell’amore come di una “legge”? A questa domanda si deve rispondere che vi sono due modi secondo cui l’uomo può essere indotto a fare, o a non fare, una certa cosa: o per costrizione o per attrazione. La legge esterna ve lo induce nel primo modo, per costrizione, con la minaccia del castigo; l’amore ve lo induce nel secondo modo, per attrazione. Ciascuno infatti è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione dall’esterno. L’amore è come un “peso” dell’anima che attira verso l’oggetto del proprio piacere, in cui sa di trovare il proprio riposo[6]. La vita cristiana va vissuta per attrazione, non per costrizione.

L’amore dunque è una legge, “la legge dello Spirito”, nel senso crea nel cristiano un dinamismo che lo spinge a fare tutto ciò che Dio vuole, spontaneamente, perché ha fatto propria la volontà di Dio e ama tutto ciò che Dio ama.

Che posto ha, ci domandiamo, in questa economia dello Spirito, l’osservanza dei comandamenti? Anche dopo la venuta di Cristo sussiste infatti la legge scritta: ci sono i comandamenti di Dio, il decalogo, ci sono i precetti evangelici; a essi si sono aggiunte, in seguito, le leggi ecclesiastiche. Che senso hanno il Codice di diritto canonico, le regole monastiche, i voti religiosi, tutto ciò, insomma, che indica una volontà oggettivata, che mi si impone dall’esterno? Sono, tali cose, come dei corpi estranei nell’organismo cristiano?

Ci sono stati, nel corso della storia della Chiesa, dei movimenti che hanno pensato così e hanno rifiutato, in nome della libertà dello Spirito, ogni legge, tanto da chiamarsi, appunto, movimenti “anomisti”, ma essi sono stati sempre sconfessati dall’autorità della Chiesa e dalla stessa coscienza cristiana. La risposta cristiana a questo problema ci viene dal Vangelo. Gesù dice di non essere venuto ad “abolire la legge”, ma a “darle compimento” (cf Mt 5, 17). E qual è il “compimento” della legge? “Pieno compimento della legge – risponde l’Apostolo – è l’amore!” (Rom 13, 10). Dal comandamento dell’amore – dice Gesù – dipendono tutta la legge e i profeti (cf Mt 22, 40).

L’obbedienza diventa così la prova che si vive sotto la grazia. “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Gv 14,15). L’amore, allora, non sostituisce la legge, ma la osserva, la “compie”. Nella profezia di Ezechiele si attribuiva precisamente al dono futuro dello Spirito e del cuore nuovo, la possibilità di osservare la legge di Dio: “Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36, 27). “È stata data la legge –scrive lapidariamente Agostino – perché si cercasse la grazia ed è stata data la grazia perché si osservasse la legge” [7].

4. Attualità del messaggio della grazia

Fin qui le conseguenze che il messaggio paolino sulla nuova alleanza può avere sul modo di concepire e vivere la vita cristiana. In questa occasione vorrei però mettere in evidenza soprattutto la luce che esso getta sul problema dell’evangelizzazione nel mondo attuale e del dialogo interreligioso e, di conseguenza, sul ruolo del sacerdote come ministro della verità di Dio.

Agostino scrisse il suo trattato su La lettera e lo Spirito per combattere la tesi pelagiana secondo cui per salvarsi è sufficiente che Dio ci abbia creati, dotati del libero arbitrio e dato una legge che ci indica la sua volontà. In pratica, la tesi che l’uomo può salvarsi da solo e che la venuta di Cristo è, certo, un aiuto straordinario, ma non indispensabile per la salvezza.

Si può discutere – e oggi si discute tra gli studiosi – se il santo abbia interpretato correttamente il pensiero del monaco Pelagio. Ma questo non dovrebbe sorprenderci. I Padri che si sono trovati a combattere delle eresie hanno spesso esplicitato quelle che (dal loro punto di vista!) erano le implicazioni logiche di una certa dottrina, senza tener conto sempre del punto di vista e del linguaggio diverso dell’avversario. Erano più preoccupati della dottrina che delle persone, della verità dogmatica che di quella storica. Agostino, anzi, si mostra assai più rispettoso e cortese nei riguardi di Pelagio di quanto non lo fosse, per esempio, Cirillo d’Alessandria nei confronti di Nestorio.

La rivalutazione moderna di autori come Pelagio o Nestorio non significa dunque minimamente rivalutazione del pelagianesimo o del nestorianesimo. Questa distinzione ha contribuito, in tempi recenti, al ristabilimento della comunione con le chiese cosiddette nestoriane o monofisite d’oriente.

Tutto questo, però, ci interessa relativamente. La cosa importante da ritenere è che Agostino ha ragione sul problema principale: per salvarsi non basta la natura, il libero arbitrio e la guida della legge, occorre la grazia, cioè occorre Cristo. Pensare diversamente significherebbe rendere superflua la sua venuta e con essa la sua morte e la redenzione; significherebbe considerare Cristo un esempio di vita, non “causa di salvezza eterna per chiunque crede” (Eb 5, 9).

È su questo punto che il pensiero di Agostino – e prima di lui quello di Paolo – si rivela di una straordinaria attualità. Quello che, secondo l’Apostolo, distingue la nuova dall’antica alleanza, lo Spirito dalla lettera, la grazia dalla legge, fatte le debite distinzioni, è esattamente ciò che distingue oggi il cristianesimo da ogni altra religione.

Le forme sono cambiante, ma la sostanza è la stessa. “Opera della legge”, o opera dell’uomo, è ogni pratica umana, quando da essa si fa dipendere la propria salvezza, sia, questa, concepita come comunione con Dio, o come comunione con se stessi e sintonia con le energie dell’universo. Il presupposto è lo stesso: Dio non si dona, lo si conquista!

Possiamo illustrare la differenza così. Ogni religione umana o filosofia religiosa comincia con il dire all’uomo quello che deve fare per salvarsi: i doveri, le opere, siano esse opere ascetiche esteriori o cammini speculativi verso il proprio io interiore, il Tutto o il Nulla. Il cristianesimo non comincia dicendo all’uomo quello che deve fare, ma quello che Dio ha fatto per lui. Gesù non cominciò a predicare dicendo: “Convertitevi e credete al vangelo affinché il Regno venga a voi”; cominciò dicendo: “Il regno di Dio è venuto tra voi: convertitevi e credete al vangelo”. Non prima la conversione, poi la salvezza, ma prima la salvezza e poi la conversione.

Anche nel cristianesimo –lo abbiamo già ricordato – esistono i doveri e i comandamenti, ma il piano dei comandamenti, compreso il più grande di tutti che è amare Dio e il prossimo, non è il primo piano, ma il secondo; prima di esso, c’è il piano del dono, della grazia. “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). È dal dono che scaturisce il dovere, non viceversa

Noi cristiani non entreremo certo in dialogo con altre fedi, affermando la differenza o la superiorità della nostra religione; questo sarebbe la negazione stessa del dialogo. Insisteremo piuttosto su ciò che ci unisce, gli obiettivi comuni, riconoscendo agli altri lo stesso diritto (almeno soggettivo) di considerare la loro fede la più perfetta e la definitiva. Senza dimenticare, del resto, che chi vive con coerenza e in buona fede una religione delle opere e della legge è migliore e più gradito a Dio di chi appartiene alla religione della grazia, ma trascura completamente sia di credere nella grazia che di compiere le opere della fede.

Tutto questo non deve però indurci a mettere tra parentesi la nostra fede nella novità e unicità di Cristo. Non si tratta neppure di affermare la superiorità di una religione sulle altre, ma di riconoscere la specificità di ognuna, di sapere chi siamo e cosa crediamo.

Non è difficile spiegare il perché della difficoltà ad ammettere l’idea di grazia e del suo istintivo rifiuto da parte dell’uomo moderno. Salvarsi “per grazia” significa riconoscere la dipendenza da qualcuno e questo risulta la cosa più difficile. È nota l’affermazione di Marx: “Un essere non si presenta indipendente se non in quanto è signore di se stesso, e non è signore di se stesso se non in quanto deve a se stesso la sua esistenza. Un uomo che vive per la “grazia” di un altro si considera un essere dipendente [...]. Ma io vivrei completamente per la grazia di un altro, se egli avesse creato la mia vita, se egli fosse la sorgente della mia vita e questa non fosse mia propria creazione”[8].Il motivo per cui si rifiuta un Dio creatore è anche quello per cui si rifiuta un Dio salvatore.

È la spiegazione che san Bernardo da del peccato di Satana: egli preferì essere la più infelice delle creature per merito proprio, anziché la più felice per grazia altrui; preferì essere “infelice ma sovrano, anziché felice ma dipendente: misere praeesse, quam feliciter subesse[9].

Il rifiuto del cristianesimo, in atto a certi livelli della nostra cultura occidentale, quando non è rifiuto della Chiesa e dei cristiani, è rifiuto della grazia.

5. “Noi predichiamo Cristo Gesù Signore”

Qual è, in questo campo, il compito dei sacerdoti in quanto amministratori dei misteri di Dio e maestri della fede? Quello di aiutare i fratelli a vivere la novità della grazia, che è come dire la novità di Cristo.

Gesù nel vangelo usa l’espressione “i misteri del Regno dei cieli” per indicare tutto il suo insegnamento e, in particolare, ciò che riguarda la sua persona (cf. Mt 13, 11). Dopo la Pasqua si passa sempre più spesso dal plurale al singolare, dai misteri al mistero: tutti i misteri di Dio si riassumono ormai nel mistero che è Cristo.

San Paolo parla del “mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti” (Col 2, 2-3). Ci invita a pensare a Cristo come a un palazzo, addentrandosi nel quale si passa di meraviglia in meraviglia. L’universo materiale, con tutte le sue bellezze e la sua incalcolabile estensione, è l’unica immagine adeguata dell’universo spirituale che è Cristo. Non per nulla esso è stato fatto “per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16).

L’Apostolo ha individuato con più chiarezza di tutti il centro e il cuore dell’annuncio cristiano e lo ho espresso in maniera programmatica, a modo di manifesto: “Noi predichiamo Cristo crocifisso” (1 Cor 1, 23) e “Noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore” (2 Cor 4,5). Tali parole giustificano in pieno l’affermazione secondo cui il cristianesimo non è una dottrina ma una persona.

Ma cosa significa, nella pratica, predicare “Cristo crocifisso”, o “Cristo Gesù Signore?” Non significa parlare sempre e solo del Cristo del kerygma o del Cristo del dogma, cioè trasformare le prediche in lezioni di cristologia. Significa piuttosto “ricapitolare tutto in Cristo” (Ef 1,10), fondare ogni dovere su di lui, far servire ogni cosa allo scopo di portare gli uomini alla “sublime conoscenza di Cristo Gesù Signore” (Fil 3, 8).

Gesù deve essere l’oggetto formale, non necessariamente e sempre l’oggetto materiale, della predicazione, quello che la “informa”, che fa da fondamento e da autorità a ogni altro annuncio, l’anima e la luce dell’annuncio cristiano. “Arido è ogni cibo dell’anima – esclama san Bernardo - se non è condito con questo olio; insipido se non è condito con questo sale. Ciò che scrivi non ha sapore - non sapit mihi – se non vi palpita dentro il cuore di Gesù – nisi sonuerit ibi Cor Jesu”[10].

Nella Liturgia delle ore di lingua tedesca, il Stundengebet, c’è un inno (Lodi del Martedì della seconda settimana) che mi è divenuto caro fin dal primo momento che l’ho recitato. Comincia così: "Göttliches Wort, der Gottheit Schrein, für uns in dein Geheimnis ein”. “Verbo eterno, Dio vivo e vero, facci penetrare nel tuo mistero“. L’espressione “il mistero di Cristo” è la più comprensiva di tutte: racchiude il suo essere e il suo agire, la sua umanità e la sua divinità, la sua preesistenza e la sua incarnazione, le profezie dell’Antico Testamento e la loro realizzazione nella pienezza dei tempi. Possiamo ripeterlo come una giaculatoria: “Verbo eterno, Dio vivo e vero, facci penetrare nel tuo mistero".



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1) PO, 2.

2) Cf. J.-M. Tillard, “Sacerdoce”, in DSpir. 14, col.12.

3) Agostino, De Spiritu et littera, 13,22.

4) Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 2.

5) Ibid., q. 106, a. 1; cf. Agostino, De Spiritu et littera, 21, 36.

6) Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 26, 4-5: CCL 36, 261; Confessioni, XIII, 9.

7) Agostino, De Spir. et litt. ,19,34.

8) C. Marx, Manoscritti del 1844, in Gesamtausgabe, III, Berlino 1932, p. 124 e Critica della filosofia del diritto di Hegel, in Gesamtausgabe, I, 1, Francoforte sul M. 1927, p. 614 s.

9) Bernardo di Chiaravalle, De gradibus humilitatis, X, 36: PL 182, 962.

10) Bernardo di Chiaravalle, Sermones super Canticum, XV, 6: Ed. Cistercense, Roma 1957, p.86.
+PetaloNero+
00lunedì 8 marzo 2010 15:55
APPELLO PER LA COLLETTA A SOSTEGNO DEI CRISTIANI IN TERRA SANTA


Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, l’Em.mo Card. Leonardo Sandri, ha inviato ai Pastori della Chiesa Universale affinché sostengano la Terra Santa:

Testo in lingua italiana

Eccellenza Reverendissima,

Con la preparazione alla Pasqua del Signore torna l’appello ai Pastori della Chiesa Universale affinché sostengano la Terra Santa, offrendo la preghiera, la partecipazione vigilante e la concretezza della generosità.

Nel "noi" della Chiesa trova motivazione la sensibilità per le necessità della Chiesa di Gerusalemme e del Medio Oriente. Sensibilità che si fa soccorso, come quello inviato ai fratelli della Giudea (At 11,29-30); ricordo, come l’invito di San Paolo nella lettera ai Galati (2,10), e colletta, che risponde a precise indicazioni pratiche (1 Cor 16,1-6) ed è definita grazia di prendere parte al servizio a favore dei santi (2 Cor 8-9 e Rm 15).

Il nostro appello quest’anno trae ispirazione dal pellegrinaggio compiuto "sulle orme storiche di Gesù" dal Santo Padre Benedetto XVI nel maggio scorso.

Ho avuto l’onore di accompagnarLo e di condividere l’ansia pastorale, ecumenica e interreligiosa che ne hanno animato le parole e i gesti.

Insieme alla comunità ecclesiale di Israele e Palestina ho ascoltato "una voce" di fraternità e di pace.

Sottolineando fortemente il problema incessante dell’emigrazione, Sua Santità ha ricordato che "nella Terra Santa c’è posto per tutti"! Ed ha esortato le autorità a sostenere la presenza cristiana, ma nel contempo ha assicurato ai cristiani di quella Terra la solidarietà della Chiesa.

Nella Santa Messa a Betlemme, Egli ha poi incoraggiato i battezzati ad essere "un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione", perché le Chiese locali siano "laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.

L’anno sacerdotale impegna a favore dei Luoghi Santi, insieme ai rispettivi Vescovi, i carissimi presbiteri e seminaristi di tutta la Chiesa. Torniamo, perciò, col cuore al Cenacolo di Gerusalemme, dove il Maestro e Signore "ci amò sino alla fine"; a quel luogo dove gli Apostoli con la Santa Madre del Crocifisso Risorto vissero la prima Pentecoste. Crediamo fermamente nel "fuoco mai spento" dello Spirito Santo, che il Vivente effonde in abbondanza. E prodighiamoci instancabilmente per garantire un futuro ai cristiani là dove apparvero "la benignità e l’umanità" del Nostro Dio e Padre.

Il Papa ha affidato alla Congregazione per le Chiese Orientali il compito di tenere vivo l’interesse per quella Terra benedetta. A Suo nome esorto tutti a confermare la solidarietà finora mostrata. I cristiani d’Oriente portano, infatti, una responsabilità che spetta alla Chiesa universale, quella cioè di custodire le "origini cristiane", i luoghi e le persone che ne sono il segno, perché quelle origini siano sempre il riferimento della missione cristiana, la misura del futuro ecclesiale e la sua sicurezza. Essi meritano, pertanto, l’appoggio di tutta la Chiesa.

Unisco un documento informativo, che illustra le opere compiute dalla Custodia di Terra Santa con la Colletta 2009. E ricordo che diversi interventi vengono realizzati dal Patriarcato Latino di Gerusalemme e dalle Chiese Orientali Cattoliche in Israele e Palestina sempre grazie all’annuale Colletta.

Prego il Signore perché sia largo nella ricompensa verso quanti amano la Terra che Gli diede i natali: essa deve rimanere, grazie alla "Chiesa viva e giovane" che vi opera, la testimone nei secoli delle grandi opere della salvezza.

In comunione con i pastori e i cristiani di Terra Santa, auguro una Pasqua colma delle benedizioni divine.

Suo dev.mo

Leonardo Card. Sandri
Prefetto

+ Cyril Vasil’, S.I.
Arcivescovo Segretario






RAPPORTO DELLA CUSTODIA DI TERRA SANTA SU PROGETTI E OPERE REALIZZATI CON LA COLLETTA 2009


CUSTODIA DI TERRA SANTA
Ordine dei Frati Minori
Rapporto sommario 2008/2009

La Custodia di Terra Santa in adempimento della sua secolare Missione di tutelare i Luoghi Santi della Redenzione, officiare in essi il culto, assistere i Pellegrini e incrementare le opere apostoliche ha prestato negli anni 2008/2009 una particolare attenzione alla promozione e all’esecuzione dei seguenti Progetti e Opere:

I. Luoghi Santi/Pellegrini

1. Ain Karem

- Conclusione del progetto di restauro dell’entrata al Santuario della Visitazione. Sondaggi e scavi archeologici nel piazzale principale, rifacimento completo dei condotti idrici e degli scarichi, restauro della lunga scalinata di accesso al Santuario.

- Conclusione del progetto nel Santuario di S. Giovanni nel Deserto del restauro dell’antico muro di cinta e di alcuni ambienti per l’accoglienza di singoli Pellegrini che compiono esperienza di Romitaggio. Rinnovo dell’intero impianto elettrico.

2. Betania

- Conclusione del progetto di restauro del Convento di S. Lazzaro. Cambio degli impianti elettrici ed idrici, rifacimento dei pavimenti del Convento, della Sacrestia e degli ambienti di accoglienza dei Pellegrini.

3. Betlemme

- Progetto di rinnovo del sistema di illuminazione della chiesa di S. Caterina a Betlemme con la tinteggiatura dell’intera chiesa.

- Continuazione del restauro degli ambienti di Casa Nova in vista del crescente afflusso dei Pellegrini.

4. Gerusalemme

- Progetto di restauro della Cappella del Ritrovamento della S. Croce nella Basilica del Santo Sepolcro e installazione di un nuovo sistema di protezione delle pareti.

- Progetto di risistemazione della Valle del Cedron tra il Santuario e le mura della Gerusalemme antica, preparazione degli spazi per l’accoglienza dei pellegrini, per la preghiera e per la meditazione. Costruzione di due nuovi complessi di servizi per l’uso dei pellegrini.

- Preparazione della celebrazione della S. Messa celebrata da Sua Santità Benedetto XVI nella Valle del Cedron.

- Restauro delle finestre della Basilica delle Nazioni. Preparazione del progetto del restauro della copertura della Basilica e dei mosaici.

- Restauro del Convento del Dominus Flevit e preparazione del progetto di risistemazione del giardino e degli spazi per l’accoglienza dei Pellegrini.

5. Giaffa

- Conclusione della seconda fase del restauro del Santuario di San Pietro in Giaffa, consistente nel rinnovo completo dell’interno del Convento e degli spazi per le attività pastorali per i lavoratori stranieri (lingua spagnola, francese e polacca) e per la comunità di espressione ebraica.

- Inizio del progetto di restauro del complesso del Convento di S. Antonio in Giaffa.

6. Magdala

- Progetto di conservazione dell’area archeologica di Magdala. Restauro e consolidamento dei resti rinvenuti in seguito alla campagna archeologica negli anni ’70. Si è reso inoltre necessario lo strappo, il restauro e il ricollocamento su adeguati supporti dei tappeti musivi pavimentali che dovranno essere protetti dagli agenti atmosferici. È in allestimento un percorso di visita all’interno delle rovine, che si presta efficacemente ad illustrare la vita quotidiana della cittadina al tempo di Gesù.

7. Nazareth

- Restauro completo dell’Auditorium utilizzato per l’incontro di Sua Santità Benedetto XVI con i Capi religiosi della Galilea. Preparazione della celebrazione presieduta dal Papa nella Chiesa superiore. Conclusione del restauro dei percorsi di accesso per le visite del Santuario e per le processioni.

- Continuazione del restauro della Grotta dell’Annunciazione.

- Preparazione del progetto della copertura dell’antica Chiesa in Seforis (che ricorda la natività ed infanzia della Vergine); pagamento delle seguenti rate per ottenere i permessi delle autorità per le antichità.

8. Monte Nebo (Giordania)

- Prima fase dei lavori in vista del rifacimento della Basilica memoriale della morte del Profeta Mosè: consolidamento delle fondamenta, del terreno e messa in posa delle strutture portanti la futura copertura della basilica.

9. Monte Tabor

- Preparazione del progetto di costruzione del nuovo parcheggio, del restauro dei viali d’accesso al Santuario, del grande terrazzo sopra la sacrestia e delle vetrate nella Cripta della Chiesa.

- Restauro di alcuni ambienti del Convento.

10. Nain

- Preparazione del progetto di costruzione del nuovo Convento nel Santuario di Nain dove Gesù ha risuscitato il figlio unico della vedova. Il progetto oltre la costruzione di nuovi ambienti prevede il restauro della Chiesa esistente, l’effettuazione di scavi archeologici e la risistemazione dell’intera area per l’accoglienza dei pellegrini.

II. Luoghi Santi/Comunità Locale

1. Opere in favore dei giovani

- Continuazione del progetto "Borse di Studio", che consiste nel finanziamento completo di Studi per la durata di quattro anni. Si tratta di 350 Borse di Studio Universitarie all’anno, distribuite nelle diverse università nella regione (Betlemme, Ebraica a Gerusalemme e Haifa, Bir Zeit, Amman ed altre).

- Continuazione del progetto di Sostegno alle imprese artigiane. Consiste nel sostenere circa 10 piccole imprese artigiane con l’acquisto di pezzi di ricambio, apparecchiature per la produzione, ausili per la messa in sicurezza delle attività.

2. Attività per le famiglie

- (Betlemme) Continuazione del progetto di sostegno alle famiglie organizzato dal Centro di ascolto parrocchiale e in coordinamento con il Franciscan Family Center (Consultorio familiare parrocchiale). Questo tipo di aiuto prevede un supporto socio-assistenziale ai bisogni principali delle famiglie.

- Casa Francescana del Fanciullo. Accoglie oltre 20 ragazzi dell’età tra i 6 e i 12 anni provenienti dalle famiglie povere e con diversi tipi di difficoltà. I ragazzi oltre che all’accoglienza e all’assistenza nello studio, sono seguiti da un educatore, un assistente sociale e uno psicologo. Il progetto si sviluppa in stretto contatto con il Franciscan Family Center.

- Continuazione del progetto di Assistenza medica. Il progetto agisce su diversi tipi di aiuto sanitario e si coordina sul territorio con il Franciscan Family Center, con la Caritas e con Bethlehem Arab Society for Rehabilitation. L’obiettivo principale è assicurare alle famiglie con difficoltà economiche una copertura, parziale o completa, delle spese mediche (acquisto farmaci, visite mediche e degenze ospedaliere).

- Progetto di restauro delle case appartenenti alle famiglie più bisognose. Il restauro viene effettuato da operai disoccupati. Oltre all’aiuto alle famiglie vengono creati periodicamente decine di posti di lavoro.

3. Comunità parrocchiali

- (Gerusalemme) Preparazione della seconda fase del progetto di rinnovazione degli edifici del Parish Center in Beit Hanina. Pagamento delle seguenti rate per il restauro ed ampliamento della chiesa.

- Parish Center a Nazaret. Completata ed inaugurata la costruzione di un centro parrocchiale per varie attività parrocchiali e sociali della Comunità cristiana della città (finanziata quasi completamente dai vescovi tedeschi e da Sua Santità Benedetto XVI), si prosegue con la costruzione dei campi sportivi per i giovani e con la preparazione di alcuni spazi ricreativi per i bambini.

- (Giaffa) Progetto di riorganizzazione e di preparazione dei nuovi spazi per le attività parrocchiali della comunità locale e delle comunità straniere (oltre ventiduemila fedeli) per la locale Parrocchia S. Antonio.

4. Scuole

- (Ramle) Ampliamento e restauro degli spazi della scuola esistente.

5. Costruzione di appartamenti per i poveri e per le giovani coppie

- The Franciscan Neighborhood in Jaffa. Si tratta di 124 appartamenti per famiglie cristiane della parrocchia. Ottenuti e pagati i permessi edilizi finali.

- Housing Project in Nazaret. È situato a 2 km di distanza dalla Basilica dell’Annunciazione. Oltre ad una Cappella ed alcune costruzioni per uso sociale prevede circa 80 appartamenti per rispondere alla necessità di abitazione per le giovani famiglie.

- Prosegue il restauro delle abitazioni nella Città Vecchia di Gerusalemme. Le antiche abitazioni, spesso del periodo ottomano, sono spesso in condizioni precarie e costringono gli abitanti al loro abbandono. Il Progetto prevede un progressivo rinnovo di circa 300 abitazioni. Nel periodo da dicembre 2008 a dicembre di 2009 sono stati rinnovati oltre 80 appartamenti.

6. Altre opere culturali

- Ogni anno la Custodia di Terra Santa sostiene economicamente la Facoltà di Scienze Bibliche e di Archeologia dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Oltre al sostentamento completo dell’attività della Facoltà, vengono offerte a circa 30 studenti provenienti da diverse diocesi e istituti religiosi Borse di Studio che garantiscono per tutta la durata degli studi vitto ed alloggio.

- Franciscan Media Center. E’ una nuova forma di apostolato avente lo scopo di trasmettere attraverso network televisivi il messaggio dei Luoghi Santi e la vita delle comunità cristiane locali.

- Istituto Magnificat. In pochi anni di attività il Magnificat è diventata una scuola di musica capace di formare studenti provenienti da diverse culture e religioni. Ad oggi sono iscritti oltre 180 giovani guidati da 16 docenti. Il Magnificat promuove attività di ricerca e manifestazioni culturali a livello locale ed internazionale.

A tutto ciò si devono aggiungere anche numerosi interventi in Siria e Libano. In particolare segnaliamo il rifacimento della chiesa parrocchiale e del Convento di S. Francesco (Aleppo), concluso nell’ottobre 2009; la costruzione di 90 nuovi appartamenti e di un asilo infantile a Tripoli (Libano), in corso; il completo restauro del Convento a Tripoli, della chiesa di Latakiye (Siria), della casa delle suore e dell'asilo infantile a Jakubiye (Siria).
+PetaloNero+
00martedì 9 marzo 2010 16:19
INTERVENTO DELLA SANTA SEDE AL SEGMENTO DI ALTO LIVELLO DELLA XIII SESSIONE ORDINARIA DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI DELL’UOMO SULLA CRISI ECONOMICA E FINANZIARIA MONDIALE

Il 3 marzo scorso, in occasione della XIII Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo, in corso a Ginevra, l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite, S.E. Mons. Silvano M. Tomasi, ha pronunciato l’intervento che riportiamo qui di seguito:


INTERVENTO DI S.E. MONS. SILVANO M. TOMASI

Mr. President,

My delegation joins previous speakers in expressing our condolences and solidarity to the people of Chile for the victims of the recent earthquake.

Mr. President,

The Delegation of the Holy See wants to restate its conviction that the perspective of human rights provides a positive contribution for a solution to the current financial crisis. Even though some signs of recovery seem visible, the crisis continues to aggravate the conditions of millions of people in their access to the basic necessities of life and has adversely compromised the retirement plans of many. This situation, therefore, calls for new regulations and a sound global system of governance that ensures a sustainable and comprehensive path to development for all. In the establishment of new regulations and reliable governance there exists a unique opportunity to address the root causes of the crisis and to affirm an integrated approach to the implementation of all economic, social, civil and political human rights as outlined in the Universal Declaration of Human Rights.

United Nations reports give plenty of evidence regarding the many negative consequences of the financial crisis: the scandal of hunger, the growing inequality worldwide, millions of unemployed people and millions of others reduced to extreme poverty, institutional failures, lack of social protection for countless vulnerable persons. These imbalances, the Holy Father reminds us in the recent encyclical Caritas in Veritate, "are produced when economic action, conceived merely as an engine for wealth creation, is detached from political action, conceived as a means for pursuing justice through redistribution"1 Equity and justice are essential criteria in the management of the world economy.

The enjoyment of human rights becomes possible when States translate principles into law and make change on the ground a reality. While the State is the first actor in the implementation of human rights, it cannot fail to collaborate with all other players in its own civil society and with the international community, interconnected and interdependent as we are in today’s globalized world. In fact, the common goal is the protection and respect of human dignity that binds together the entire human family, a unity rooted on the four basic principles of the centrality of the human person, solidarity, subsidiarity and the common good. In this context, the review of the Human Rights Council should aim also at making change on the ground a reality and the concrete implementation of human rights, its priority.

Mr. President,

An important message conveyed by Pope Benedict XVI in Caritas in Veritate (CV) in this moment of economic crisis is the invitation to overcome the obsolete dichotomy between the economic, social and ecological spheres. Markets and freedom are important requirements in building a healthy society, but the context within which they operate is global and must include the universal principles of honesty, justice, solidarity and in addition the principles of "reciprocity and gift"2. The focus of concern in the reform of the financial system, and the economic models that are operative in government programs and corporate policies, should shift from goods and services to the persons who are recipients of these services; in this way, they have access to the resources to improve their position in life and thus place their talents at the service of their local community and the universal common good. The social doctrine of the Church has always pursued such a goal with special care for the more vulnerable members of society. In fact, by giving priority to human beings and the created order that supports them on their earthly journey, we can modify the rules that govern the financial system to serve concrete change, to move away from old habits of greed that led to the present crisis, and to promote effective integral development and the implementation of human rights since "the primary capital to be safeguarded and valued is the human person in his or her integrity." (CV, 25)

________________________________________________________

1 Benedict XVI, Encyclical Letter Caritas in Veritate, 36

2 Ibid. "The great challenge before us, accentuated by the problems of development in this global era and made even more urgent by the economic and financial crisis, is to demonstrate, in thinking and behaviour, not only that traditional principles of social ethics like transparency, honesty and responsibility cannot be ignored or attenuated, but also that in commercial relationships the principle of gratuitousness and the logic of gift as an expression of fraternity can and must find their place within normal economic activity. This is a human demand at the present time, but it is also demanded by economic logic. It is a demand both of charity and of truth" (CV, 36)
+PetaloNero+
00mercoledì 10 marzo 2010 15:41
STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 54th SESSION OF THE COMMISSION ON THE STATUS OF WOMEN ON ITEM 3: FOLLOW-UP TO THE FOURTH WORLD CONFERENCE ON WOMEN AND THE TWENTY-THIRD SPECIAL SESSION OF THE GENERAL ASSEMBLY ENTITLED "WOMEN 2000: GENDER EQUALITY, DEVELOPMENT AND PEACE FOR THE TWENTY-FIRST CENTURY"

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore, Apostolic Nuncio, Permanent Observer of the Holy See, on 8 March 2010, at the 54th Session of the Commission on the Status of Women (Economic and Social Council) on Item 3: Follow-up to the Fourth World Conference on Women and to the twenty-third special session of the General Assembly entitled "Women 2000: gender equality, development and peace for the twenty-first century":

Mr. Chairman,

As this Commission undertakes a fifteen-year review of the implementation of the Beijing Declaration and Platform for Action and the outcomes of the twenty-third special session of the General Assembly, my delegation wishes you and your Bureau a productive session for the good of all women in the world.

From the successive interventions in these days in the general debate, it seems that the assessment is not entirely positive: it includes some light, but also many and disturbing shadows.

The advancements achieved regarding the status of women in the world in the last fifteen years include, among others, improvements in the education of girls, the promotion of women as key to eradicating poverty and fostering development, growth of participation in social life, political reforms aimed at removing forms of discrimination against women and specific laws against domestic violence.

In particular, among the many parallel events, some have stressed the indispensable role played by civil society in all its components, in highlighting the dignity of women, their rights and responsibilities.

This having been said, women continue to suffer in many parts of the world.

Violence in the form of female feticide, infanticide, and abandonment are realities that cannot be brushed aside. Discrimination in health and nutrition occurs throughout the lives of girls and malnutrition affects girls much more than boys, stunting future physical and mental growth. Girls continue to account for the majority of children out of school and girls and women 15 years of age and over account for two-thirds of the world’s illiterate population.

It is a sad fact that three quarters of those infected by HIV/AIDS are girls and women between the ages of 15 and 24; the proportion of women infected with HIV is increasing in Asia, Eastern Europe and Latin America; and in sub-Saharan Africa, 60% of all adults and three out of four young people living with the virus are female.

Of those who are trafficked across international borders each year, minors account for up to 50% and aproximately 70% are women and girls with the majority of transnational victims being trafficked into commercial sexual exploitation. Around the world girls and women are victims of physical, sexual and psychological violence, including rape as a weapon of war in various parts of the world, not to mention economic abuse.

The reasons for this precarious situation are various. The analyses in these days tend to be found mostly, and not without good reason, in cultural and social dynamics as well as delays and slowness of policy. Yet we would do well to look also to principles, priorities and action policies in force in international organizations, namely, that system of motivations, values, guidelines and methodologies that guide the UN’s work on women’s issues.

Achieving equality between women and men in education, employment, legal protection and social and political rights is considered in the context of gender equality. Yet the evidence shows that the handling of this concept, as hinted at in the Cairo and Beijing Conferences, and subsequently developed in various international circles, is proving increasingly ideologically driven, and actually delaysthe true advancement of women. Moreover, in recent official documents there are interpretations of gender that dissolve every specificity and complementarity between men and women. These theories will not change the nature of things but certainly are already blurring and hindering any serious and timely advancement on the recognition of the inherent dignity and rights of women.

Almost no outcome document of international Conferences and Committees, or Resolution fails to attempt to link the achievement of personal, social, economic and political rights to a notion of sexual and reproductive health and rights which is violent to unborn human life and is detrimental to the integral needs of women and men within society. While at the same time only seldom are women’s political, economic and social rights mentioned as an inescapable clause and commitment. This is particularly distressing given the widespread maternal mortality occurring in regions where health systems are inadequate. A solution respectful of the dignity of women does not allow us to bypass the right to motherhood, but commits us to promoting motherhood by investing in and improving local health systems and providing essential obstetrical services.

Mr. Chairman,

Fifteen years ago the Beijing Platform for Action proclaimed that women’s human rights are an inalienable, integral and indivisible part of universal human rights. This is key not only to understanding the inherent dignity of women and girls but also to making this a concrete reality around the world.

The Holy See reaffirms its commitments for improving the condition of women. Its call to Catholic institutions, on the occasion of the Beijing Conference, for a concerted and prioritized strategy directed to girls and young women, especially the poorest, has yielded over the past years many significant results, and remains a strong commitment to implementing and promoting this task for the future.

Thank you, Mr. Chairman.

+PetaloNero+
00giovedì 11 marzo 2010 00:19
Intervento della Santa Sede alla Commissione sullo Status della donna
Luci e ombre della condizione delle donne



CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato l'8 marzo, nel palazzo dell'Onu a New York, nell'ambito della 54ª sessione del Comitato sullo Status della donna, dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York.

* * *

Signor Presidente,

mentre questa commissione si accinge a una verifica dopo quindici anni della realizzazione della Dichiarazione e della Piattaforma di Azione di Pechino e dei risultati della ventitreesima sessione speciale dell'Assemblea Generale, la mia delegazione augura a Lei e al suo Ufficio una sessione produttiva per il bene di tutte le donne del mondo.

Dagli interventi che si sono susseguiti in questi giorni nell'ambito del dibattito generale, sembra che la valutazione non sia del tutto positiva: include alcune luci, ma anche molte ombre inquietanti.

I progressi ottenuti rispetto alla condizione delle donne nel mondo negli ultimi quindici anni includono, fra l'altro, miglioramenti nell'educazione delle giovani, la promozione delle donne quale chiave per lo sradicamento della povertà e per la promozione dello sviluppo, l'aumento della partecipazione alla vita sociale, riforme politiche volte a rimuovere forme di discriminazione contro le donne e leggi specifiche contro la violenza domestica.

In particolare, fra i numerosi eventi paralleli, alcuni hanno sottolineato il ruolo indispensabile svolto dalla società civile, in tutte le sue componenti, nell'evidenziare la dignità delle donne, i loro diritti e responsabilità.

Comunque, le donne continuano a soffrire in numerose parti del mondo.

La violenza, sotto forma di aborto di feti femminili, di infanticidio e di abbandono, è una realtà che non può essere ignorata. La discriminazione nell'assistenza sanitaria e nell'alimentazione si verifica nella vita di giovani donne e la malnutrizione le colpisce molto più che i ragazzi, arrestando la loro crescita mentale e fisica. Le ragazze costituiscono ancora la maggioranza dei minori non scolarizzati e, con le donne di 15 anni e oltre, rappresentano i due terzi della popolazione illetterata mondiale.

È triste che tre quarti dei malati di Hiv/Aids siano ragazze e donne tra i 15 e i 24 anni. La proporzione di donne affette da Hiv sta aumentando in Asia, in Europa dell'Est e in America latina. Nell'Africa sub-sahariana, il 60% di tutti gli adulti e tre giovani su quattro affetti dal virus sono di sesso femminile.

Fra quanti, ogni anno, sono vittima di traffici attraverso i confini internazionali il 50% è costituito da minorenni e circa il 70% da donne e ragazze. Per la maggior parte, questo traffico è finalizzato allo sfruttamento sessuale a fini di lucro. In tutto il mondo, ragazze e donne sono vittimedi violenze fisiche, sessuali e psicologiche, che includono lo stupro come strumento di guerra in varie parti del mondo, per non parlare dell'abuso economico.

Le ragioni di questa situazione precaria sono varie. Le analisi di questi giorni tendono a individuarle soprattutto, e non senza un buon motivo, in dinamiche culturali e sociali nonché in ritardi e lentezze delle politiche. Tuttavia faremmo bene a guardare anche a principi, priorità e politiche di azione presenti nelle organizzazioni internazionali, ovvero, a quel sistema di motivazioni, valori, orientamenti e metodologie, che guida l'opera delle Nazioni Unite sulle questioni femminili.

La parità fra donne e uomini nell'educazione, nell'occupazione, nella tutela legale, nei diritti politici e sociali è considerata nel contesto dell'eguaglianza di genere. La realtà dimostra che l'uso di questo concetto, come suggerito nelle Conferenze del Cairo e di Pechino, e di conseguenza sviluppato in vari circoli internazionali, è sempre più guidato ideologicamente e, di fatto, ritarda il progresso autentico delle donne. Inoltre, documenti recenti contengono interpretazioni di genere che dissolvono ogni specificità e complementarità fra uomini e donne. Queste teorie non cambieranno la natura delle cose, ma, di certo, stanno già offuscando e ostacolando ogni serio e tempestivo progresso nel riconoscimento della dignità e dei diritti delle donne.

Quasi tutti i documenti di conferenze o comitati internazionali, o risoluzioni, riescono a collegare il raggiungimento dei diritti personali, sociali, economici e politici a una nozione di salute e di diritti riproduttivi e sessuali, che è violenta verso i nascituri e dannosa per i bisogni integrali di donne e di uomini in seno alla società. Tuttavia, nello stesso tempo, solo raramente si menzionano i diritti politici, economici e sociali delle donne, come impegno e condizione ineludibili. Questo è particolarmente doloroso data la diffusa mortalità materna nelle regioni in cui i sistemi sanitari sono inadeguati. Una soluzione rispettosa della dignità delle donne non ci permette di trascurare il diritto alla maternità, ma ci impegna a promuovere quest'ultima investendo nei sistemi sanitari locali e migliorandoli, fornendo servizi essenziali di ostetricia.

Signor Presidente,

quindici anni fa, la Piattaforma di Azione di Pechino proclamò che i diritti umani delle donne sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. Questa non è solo la chiave per comprendere la dignità intrinseca delle donne e delle giovani, ma anche per far sì che sia un realtà concreta in tutto il mondo.

La Santa Sede riafferma i suoi impegni per migliorare la condizione delle donne. In occasione della Conferenza di Pechino, la sua esortazione a istituzioni cattoliche affinché adottassero una strategia concertata e urgente rivolta alle ragazze e alle giovani donne, in particolare a quelle più povere, ha prodotto, nel corso di questi ultimi anni, risultati significativi e resta un impegno forte per realizzare e promuovere questo compito in futuro.

[Traduzione dal testo originale in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]
+PetaloNero+
00venerdì 12 marzo 2010 00:26
Sacerdoti e laici: il giusto rapporto
Guzmán Carriquiry, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici




ROMA, giovedì, 11 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la relazione del prof. Guzmán Carriquiry, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, al Convegno teologico internazionale organizzato dalla Congregazione per il Clero e che si tiene l'11 e il 12 marzo presso la Pontificia Università Lateranense sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”.

* * *

L’Anno Sacerdotale è una buona occasione per ricapitolare alcune delle questioni più rilevanti nei rapporti tra clero e laicato. È ben noto quanto l’autocoscienza della Chiesa come mistero di comunione, dono dello Spirito nell’evento e negli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ripresa e approfondita nel magistero dei successivi pontefici e nell’iter sinodale della Chiesa, sia stata semina feconda per impostare e per attuare in modo sempre più corretto i rapporti tra il clero e i fedeli laici. Infatti, riprendendo una grande corrente storica di “promozione del laicato”, il Concilio Vaticano II illuminò la vocazione e la dignità battesimale dei fedeli laici e la loro piena appartenenza alla Chiesa, mistero di comunione missionaria, ponendo in risalto la partecipazione di tutto il popolo di Dio al dono sacerdotale di Cristo, impiantando il sacramento dell’ordine, gerarchico e ministeriale allo stesso tempo, nel contesto del sacerdozio universale dei fedeli.

Oggi si può considerare superata, in linea di massima, quella visione tradizionale che recludeva i fedeli laici in una condizione di minorità – come se si trattasse d’una massa di destinatari e clienti dell’azione pastorale – favorita da quelle forme storiche e culturali di “clericalismo” che avevano impregnato la prassi e il volto della Chiesa cattolica, soprattutto nella fase del tardo-tridentino, in reazione alle istanze critiche della “riforma protestante” e dell’“Illuminismo”. La risposta reattiva di definire i laici in opposizione al clero e ai religiosi, accentuando la loro specificità e autonomia, portò, nella prima fase del dopo-concilio, a concepire e attuare il loro protagonismo come ricerca e ridistribuzione di spazi, diritti e poteri, dando luogo a non poche tensioni, contestazioni e conflitti in seno alla compagine ecclesiale. Non furono una buona traduzione degli insegnamenti conciliari né della loro fedele attuazioni neanche le tendenze che hanno portato a una “secolarizzazione dei clerici” e ad una “clericalizzazione dei laici”. Infine, fu anche fuorviante, lontana dalla realtà, anche l’idea di una “promozione del laicato” che riducesse l’importanza del sacerdozio ministeriale e che portasse a considerare maggiormente la responsabilità dei laici nel colmare le lacune causate dalla scarsità di sacerdoti, come se si trattasse di un mero scambio di funzioni.

È fondamentale, dunque, che sullo sfondo della comune appartenenza battesimale di tutti i christifideles, in cui “comune è la dignità dei membri (…), comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza, e indivisa la carità”, si mantenga con chiarezza, sia a livello teologico che nella prassi pastorale, la differenza tra sacerdozio universale dei fedeli e sacerdozio ministeriale, entrambi radicati nell’unico sacerdozio della nuova ed eterna Alleanza, cioè nel sacerdozio di Cristo, ma come modalità essenzialmente diverse. Essi sono “ordinati l’uno all’altro” (Lumen Gentium, 10) nella comunità organica e gerarchica che è la Chiesa, che si fonda, e sempre si rinnova, sui doni sacramentali e carismatici che le sono coessenziali, arricchita da diversi ministeri, stati di vita e compiti. Il sacerdozio ministeriale è essenzialmente riferito e ordinato al sacerdozio comune, come servizio per far crescere la consapevolezza e la responsabilità battesimale di tutti i fedeli. Essi, infatti, non sono soltanto destinatari della Parola, della celebrazione dei sacramenti, dell’educazione alla fede e del servizio della carità, giacché l’impegno profuso dal sacerdote è reso affinché diventino soggetti consapevoli della loro vocazione cristiana e responsabili della missione della Chiesa a tutti i livelli dell’esistenza umana. Il sacerdozio comune, invece, è ordinato a quello ministeriale perché ne ha bisogno per poter diventare offerta di tutta la vita al Signore.

È molto importante coltivare ed educare il sensus fidei e il sensus ecclesiae dei fedeli laici in rapporto al dono del sacerdozio ordinato per il disegno di salvezza, per l’essere e la missione della Chiesa, per la vita cristiana dei battezzati. Si tratta di una importante questione per la catechesi, ma che non si risolve con la semplice ripetizione della dottrina; ha bisogno, invece, per essere veramente educativa, della testimonianza che, tramite la loro vita e il loro ministero, gli sacerdoti rendono del Cristo che rappresentano di fronte alla comunità dei fedeli. Infatti, i fedeli laici hanno bisogno che i sacerdoti condividano con loro, a mani piene e col cuore colmo di riconoscenza e di zelo per le anime, i doni della Parola di Dio e dei Sacramenti, nella consapevolezza della comune appartenenza al mistero della Chiesa come fatto primordiale della loro vita. I fedeli laici hanno bisogno di essere aiutati a riscoprire la bellezza, la gioia, il senso di gratitudine e la responsabilità dell’essere cristiani. Essi devono sapersi riscoprire peccatori, mendicanti della misericordia divina, per riavvicinarsi con frequenza al sacramento della penitenza, trovando i preti nell’attesa disponibile e fiduciosa nel confessionale. Essi hanno bisogno di essere richiamati alla grazia del matrimonio, per vivere con maggiore pienezza questo mistero grande di unità, di fedeltà e di fecondità. Hanno bisogno di sacerdoti che siano autentici educatori alla fede e nella fede, che li sostengano nella loro crescita come christifideles. Hanno bisogno di essere accompagnati nell’itinerario di un’autentica esistenza cristiana, che abbia l’eucaristia come fonte e culmine. Hanno bisogno di sentire vicino il sacerdote nei momenti cruciali della loro esistenza. Essi hanno bisogno, dunque, del sacerdote per la loro salvezza!

I fedeli laici sentono vivamente il bisogno di santi sacerdoti.

Su questo sfondo di riflessioni, il testo che ho preparato affronta in modo speciale cinque campi tematici che ora soltanto menziono. Il primo è quello della “pluralità di ministeri” nell’edificazione della comunità cristiana, apprezzando e valorizzando il contributo prezioso dei fedeli laici nell’esercizio di diversi “ministeri non ordinati” in uno spirito di vera comunione, di gratuità e di servizio e mettendo in guardia, invece, contro ogni pericolosa tendenza alla loro “clericalizzazione”. Il secondo si riferisce al compito sacerdotale di saper scoprire, discernere, valorizzare e fomentare i multiformi carismi dei laici e, in modo particolare, quelli tramite cui non pochi sono attratti a una più alta vita spirituale, specialmente mediante la loro partecipazione in diverse associazioni di fedeli. I sacerdoti sono chiamati a condividere la gioia e la gratitudine che hanno manifestato S.S. Giovanni Paolo II e S.S. Benedetto XVI, in un abbondante e ricco magistero, nel riconoscere i movimenti ecclesiali e le nuove comunità come “provvidenziali”, un bene e una viva speranza per la Chiesa universale, per la sua missione. Vale anche per loro ciò che il Papa Benedetto XVI raccomandava ai Vescovi: “andate incontro ai movimenti con molto amore”. La terza questione approfondita è quella della partecipazione del sacerdote nei movimenti e nuove comunità, un fatto che, in genere, rinnova la propria vocazione e arricchisce il proprio ministero grazie alla carica carismatica, educativa e missionaria di queste realtà, destinate ad essere per ciascuno il sostegno per i propri compiti oggettivi nella Chiesa, luce e calore che li rendono - e questo è segno e verifica importante! - ancora più capaci di fedeltà al proprio Vescovo, più legati alla fraternità nel presbiterio, più attenti alle incombenze della pastorale e della disciplina ecclesiastica, più disponibili al servizio di tutti. Il quarto tema specificamente sviluppato è la conversione del sacerdote per mettersi in vero stato di missione, oltre la “pastorale di conservazione”, che non si limiti ad attendere i fedeli in chiesa né a rinchiudersi nel ghetto dei “buoni cattolici” né a rifugiarsi in discorsi astratti, ma inviato ad gentes,andando incontro alla vita, ai bisogni e alle attese delle persone, delle famiglie e delle comunità nella loro realtà quotidiana, dovunque essi si trovino, mettendo ogni cosa a confronto con l’annuncio della presenza di Cristo, pieno di com-passione e di misericordia. Il quinto tema approfondito è la necessità che hanno i fedeli laici impegnati nei diversi ambiti della vita pubblica di contare sulla presenza di sacerdoti vicini e competenti che li richiamino al significato e alle esigenze cristiane dei loro stessi impegni e li aiutino a vivere coerentemente.

Infine, tre annotazioni. Prima, il bisogno che hanno il sacerdoti dei fedeli laici, delle famiglie cristiane, delle comunità, delle associazioni e dei movimenti, come compagnia e sostegno cristiano per la loro vita, spesso logorante. Seconda, la corresponsabilità dei laici in una formazione dei sacerdoti tesa ad abbracciare tutta la realtà con grande amore, alla luce di un giudizio cristiano. Terza: una maggiore responsabilità dei fedeli laici riguardo all’incremento delle vocazioni sacerdotali.

+PetaloNero+
00venerdì 12 marzo 2010 16:19
SECONDA PREDICA DI QUARESIMA

Alle ore 9 di questa mattina, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la seconda Predica di Quaresima.

Tema delle meditazioni quaresimali è il seguente: "Dispensatori del misteri di Dio" - Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti.

La terza ed ultima Predica di Quaresima avrà luogo venerdì 26 marzo.

+PetaloNero+
00venerdì 12 marzo 2010 16:19
COMUNICATO: PERIODO DI RIPOSO ESTIVO DEL SANTO PADRE

Nel corso della prossima estate, il Santo Padre si recherà direttamente da Roma a Castel Gandolfo, per trascorrevi tutto il periodo estivo. Egli ha molto apprezzato gli inviti ricevuti anche quest’anno a recarsi per alcune settimane in località alpine e ha ringraziato sinceramente i Vescovi che li avevano presentati, ma per quest’anno preferisce iniziare subito il periodo estivo di riposo e di studio senza l’impegno di ulteriori trasferimenti.
+PetaloNero+
00sabato 13 marzo 2010 00:34
Seconda predica di padre Cantalamessa per la Quaresima 2010
"Cristo offrì se stesso a Dio"



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la seconda predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è "Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti", in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.

La prima predica è stata pronunciata il 5 marzo, quella successiva avrà luogo il 26 marzo.

* * *

1. La novità del sacerdozio di Cristo

In questa meditazione vogliamo riflettere sul sacerdote come amministratore dei misteri di Dio, intendendo, questa volta, per "misteri" i segni concreti della grazia, i sacramenti. Non possiamo soffermarci su tutti i sacramenti, ci limitiamo al sacramento per eccellenza che è l'Eucaristia. Così fa anche la Presbyterorum Ordinis che, dopo aver parlato dei presbiteri come evangelizzatori, prosegue dicendo che " il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo" che essi rinnovano misticamente sull'altare[1].

Questi due compiti del sacerdote sono quelli che anche gli apostoli riservarono a se stessi: "Quanto a noi -dichiara Pietro negli Atti -, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola" (At 6,4). La preghiera di cui egli parla non è la preghiera privata; è la preghiera liturgica comunitaria che ha al suo centro la frazione del pane. La Didaché permette di vedere come l'Eucaristia nei primi tempi veniva offerta proprio nel contesto della preghiera della comunità, come parte di essa e suo culmine[2].

Come il sacrificio della Messa non si concepisce se non in dipendenza dal sacrificio della croce, così il sacerdozio cristiano non si spiega se non in dipendenza e come partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo. È da qui che dobbiamo partire per scoprire la caratteristica fondamentale e i requisiti del sacerdozio ministeriale.

La novità del sacrificio di Cristo rispetto al sacerdozio dell'antica alleanza (e, come oggi sappiamo, rispetto a ogni altra istituzione sacerdotale anche fuori della Bibbia) è messa in rilievo nella Lettera agli Ebrei da diversi punti di vista: Cristo non ha avuto bisogno di offrire vittime anzitutto per i propri peccati, come ogni sacerdote (7,27); non ha bisogno di ripetere più volte il sacrificio, ma "una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso" (9, 26). Ma la differenza fondamentale è un'altra. Sentiamo come essa viene descritta:

"Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri [...] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurar la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!" (Eb 9, 11-14).

Ogni altro sacerdote offre qualcosa fuori di sé, Cristo ha offerto se stesso; ogni altro sacerdote offre delle vittime, Cristo si è offerto vittima! Sant'Agostino ha racchiuso in una formula celebre questo nuovo genere di sacerdozio, in cui sacerdote e vittima sono la stessa cosa: "Ideo victor, quia victima, et ideo sacerdos, quia sacrificium": vincitore perché vittima, sacerdote perché vittima"[3].

Nel passaggio dai sacrifici antichi al sacrificio di Cristo si osserva la stessa novità che nel passaggio dalla legge alla grazia, dal dovere al dono, illustrata in una meditazione precedente. Da opera dell'uomo per placare la divinità e riconciliarla a sé, il sacrificio passa ad essere dono di Dio per placare l'uomo, farlo desistere dalla sua violenza e riconciliarlo a sé (cf. Col 1,20). Anche nel suo sacrificio, come in tutto il resto, Cristo è "totalmente altro".

2. "Imitate ciò che compite"

La conseguenza di tutto ciò è chiara: per essere sacerdote "secondo l'ordine di Gesù Cristo", il presbitero deve, come lui, offrire se stesso. Sull'altare, egli non rappresenta soltanto il Gesù "sommo sacerdote", ma anche il Gesù "somma vittima", essendo ormai le due cose inseparabili. In altre parole non può accontentarsi di offrire Cristo al Padre nei segni sacramentali del pane e del vino, deve anche offrire se stesso con Cristo al Padre. Raccogliendo un pensiero di sant'Agostino, la istruzione della S. Congregazione dei riti, Eucharisticum mysterium, scrive: "La Chiesa, sposa e ministra di Cristo, adempiendo con lui all'ufficio di sacerdote e vittima, lo offre al Padre e, insieme, offre tutta se stessa con lui" [4].

Quello che qui si dice della Chiesa intera, si applica in modo tutto speciale al celebrante. Al momento dell'ordinazione, il vescovo rivolge agli ordinandi l'esortazione: "Agnoscite quod agitis, imitamini quod tractatis": "Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai". In altre parole: fai anche tu ciò che fa Cristo nella Messa, cioè offri te stesso a Dio in sacrificio vivente. Scrive san Gregorio Nazianzeno:

"Sapendo che nessuno è degno della grandezza di Dio, della Vittima e del Sacerdote, se non si è prima offerto lui stesso come sacrificio vivente e santo, se non si è presentato come oblazione ragionevole e gradita (cf Rom 12, 1) e se non ha offerto a Dio un sacrificio di lode e uno spirito contrito - l'unico sacrificio di cui l'autore di ogni dono domanda l'offerta -, come oserò offrirgli l'offerta esteriore sull'altare, quella che è la rappresentazione dei grandi misteri?"[5].

Mi permetto di dire come io stesso ho scoperto questa dimensione del mio sacerdozio perché può forse aiutare a capire meglio. Dopo la mia ordinazione, ecco come io vivevo il momento della consacrazione: chiudevo gli occhi, chinavo il capo, cercavo di estraniarmi da tutto ciò che mi circondava per immedesimarmi in Gesù che, nel cenacolo, pronunciò per la prima volta quelle parole: "Accipite et manducate...", "Prendete, mangiate...".

La liturgia stessa favoriva questo atteggiamento, facendo pronunciare le parole della consacrazione a voce bassa e in latino, chinati sulle specie, rivolti all'altare e non al popolo. Poi, un giorno, ho capito che tale atteggiamento, da solo, non esprimeva tutto il significato della mia partecipazione alla consacrazione. Chi presiede invisibilmente a ogni Messa è il Gesù risorto e vivo, il Gesù, per essere esatti, che era morto, ma ora vive per sempre (cf. Ap 1, 18). Ma questo Gesù è il "Cristo totale", Capo e corpo inscindibilmente uniti. Dunque, se è questo Cristo totale che pronuncia le parole della consacrazione, anch'io le pronuncio con lui. Dentro l'"Io" grande del Capo, c'è nascosto il piccolo "io" del corpo che è la Chiesa, c'è anche il mio piccolissimo "io".

Da allora, mentre, come sacerdote ordinato dalla Chiesa, pronuncio le parole della consacrazione "in persona Christi", credendo che, grazie allo Spirito Santo, esse hanno il potere di cambiare il pane nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue, allo stesso tempo, come membro del corpo di Cristo, non chiudo più gli occhi, ma guardo i fratelli che ho davanti, o, se celebro da solo, penso a coloro che devo servire durante il giorno e, rivolto a essi, dico mentalmente, insieme con Gesù: "Fratelli e sorelle, prendete, mangiate: questo è il mio corpo; prendete, bevete, questo è il mio sangue".

In seguito ho trovato una singolare conferma negli scritti della venerabile Concepciòn Cabrera de Armida, detta Conchita, la mistica messicana, fondatrice di tre ordini religiosi, di cui è in corso il processo di beatificazione. Al suo figlio gesuita, in procinto di essere ordinato sacerdote, ella scriveva: "Ricordati, figlio mio, quando terrai in mano l'Ostia Santa, tu non dirai: Ecco il corpo di Gesù, ecco il suo sangue, ma dirai: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue: cioè deve operarsi in te una trasformazione totale, devi perderti in lui, essere un altro Gesù"[6].

L'offerta del sacerdote e di tutta la Chiesa, senza quella di Gesù, non sarebbe né santa, né gradita a Dio, perché siamo solo creature peccatrici, ma l'offerta di Gesù, senza quella del suo corpo che è la Chiesa, sarebbe anch'essa incompleta e insufficiente: non, s'intende, per procurare la salvezza, ma perché noi la riceviamo e ce ne appropriamo. È in questo senso che la Chiesa può dire con san Paolo: "Completo nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo" (cf. Col 1, 24).

Possiamo illustrare con un esempio ciò che avviene ad ogni Messa. Immaginiamo che in una famiglia c'è uno dei figli, il primogenito, affezionatissimo al padre. Per il suo compleanno vuole fargli un regalo. Prima però di presentarglielo chiede, in segreto, a tutti i fratelli e le sorelle di apporre la loro firma sul dono. Questo arriva dunque nelle mani del padre come l'omaggio indistinto di tutti i suoi figli e come un segno della stima e dell'amore di tutti loro, ma, in realtà, uno solo ha pagato il prezzo di esso.

E ora l'applicazione. Gesú ammira ed ama sconfinatamente il Padre celeste. A lui vuol fare ogni giorno, fino alla fine del mondo, il dono più prezioso che si possa pensare, quello della sua stessa vita. Nella Messa egli invita tutti i suoi "fratelli", che siamo noi, ad apporre la loro firma sul dono, di modo che esso giunge a Dio Padre come il dono indistinto di tutti i suoi figli, "il mio e vostro sacrificio", lo chiama il sacerdote nell'Orate fratres. Ma, in realtà, sappiamo che uno solo ha pagato il prezzo di tale dono. E quale prezzo!

3. Il corpo e il sangue

Per capire le conseguenze pratiche che derivano per il sacerdote da tutto questo, è necessario tener conto del significato della parola "corpo" e della parola "sangue". Nel linguaggio biblico, la parola corpo, come la parola carne, non indica, come per noi oggi, una terza parte della persona come nella tricotomia greca (corpo, anima, nous); indica tutta la persona, in quanto vive in una dimensione corporea.( "Il Verbo si fece carne", significa si fece uomo, non ossa, muscoli, nervi!). A sua volta, "sangue" non indica una parte di una parte dell'uomo. Il sangue è sede della vita, perciò l'effusione del sangue è segno della morte.

Con la parola "corpo" Gesù ci ha donato la sua vita, con la parola sangue ci ha donato la sua morte. Applicato a noi, offrire il corpo significa offrire il tempo, le risorse fisiche, mentali, un sorriso che è tipico di uno spirito che vive in un corpo; offrire il sangue significa offrire la morte. Non soltanto il momento finale della vita, ma tutto ciò che già fin da ora anticipa la morte: le mortificazioni, le malattie, le passività, tutto il negativo della vita.

Proviamo a immaginare la vita sacerdotale vissuta con questa consapevolezza. Tutta la giornata, non solo il momento della celebrazione, è una eucaristia: insegnare, governare, confessare, visitare i malati, anche il riposo, anche lo svago, tutto. Un maestro spirituale, il gesuita francese Pierre Olivaint, diceva: "Le matin, moi prêtre, Lui victime; le long du jour Lui prêtre, moi victime: il mattino (a quel tempo la Messa si celebrava solo di mattina) io sacerdote, Lui (Cristo) vittima ; lungo la giornata, Lui sacerdote, io vittima. "Come fa bene un prete -diceva il Santo curato d'Ars - a offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine"[7].

Grazie all'Eucaristia, anche la vita del sacerdote anziano, malato, e ridotto all'immobilità, è preziosissima per la Chiesa. Lui offre "il sangue". Feci visita una volta a un sacerdote malato di tumore. Si stava preparando per celebrare una delle sue ultime Messe con l'aiuto di un sacerdote giovane. Aveva anche una malattia agli occhi per cui lacrimava in continuazione. Mi disse: "Non avevo mai capito l'importanza di dire anche a nome mio nella Messa: "Prendete, mangiate; prendete bevete...". Adesso l'ho capito. È tutto quello che mi resta e lo dico in continuazione pensando ai miei parrocchiani. Ho capito cosa vuol dire essere "pane spezzato" per gli altri.

4. A servizio del sacerdozio universale dei fedeli

Una volta scoperta questa dimensione esistenziale, dell'Eucaristia, è compito pastorale del sacerdote aiutare a viverla anche al resto del popolo di Dio. L'anno sacerdotale non dovrebbe rimanere una opportunità e una grazia solo per i preti, ma anche per i laici. La Presbyterorum ordinis afferma chiaramente che il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio universale di tutti battezzati, affinché essi " possano offrire se stessi come ostia viva, santa, accettabile da Dio (Rom 12,1). Infatti:

"È attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore"[8].

La costituzione Lumen gentium del Vaticano II, parlando del "sacerdozio comune" di tutti i fedeli, scrive:

"I fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia...Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con Essa; così tutti, sia con la oblazione che con la santa comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però ugualmente, ma chi in un modo e chi in un altro" [9] .

L'Eucaristia è dunque l'atto di tutto il popolo di Dio, non solo nel senso passivo, che ridonda a beneficio di tutti, ma anche attivamente, nel senso che è compiuto con la partecipazione di tutti. Il fondamento biblico più chiaro di questa dottrina è Romani 12, 1: "Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale" .

Commentando queste parole di Paolo, san Pietro Crisologo, diceva:

"L'Apostolo vede così innalzati tutti gli uomini alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L'uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. Non cerca più fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé... Fratelli, questo sacrificio è modellato su quello di Cristo...Sii dunque, o uomo, sii sacrifico e sacerdote di Dio" [10].

Proviamo a vedere come il modo di vivere la consacrazione che ho illustrato potrebbe aiutare anche i laici a unirsi all'offerta del sacerdote. Anche il laico è chiamato, abbiamo visto, a offrirsi a Cristo, nella Messa. Può farlo usando le stesse parole di Cristo: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo"? Penso che nulla si opponga a ciò. Non facciamo la stessa cosa quando, per esprimere il nostro abbandono alla volontà di Dio, usiamo le parole di Gesù sulla croce: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito", o quando, nelle nostre prove, ripetiamo: "Passi da me questo calice", o altre parole del Salvatore? Usare le parole di Gesù aiuta ad unirsi ai suoi sentimenti.

La mistica messicana, ricordata sopra, sentiva rivolte anche a se, non solo al figlio sacerdote, le parole di Cristo: "Voglio che, trasformato in me per la sofferenza, per l'amore e per la pratica di tutte le virtù, salga verso il cielo questo grido della tua anima in unione con me: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" [11].

Il fedele laico deve solo essere consapevole che queste parole dette da lui, nella Messa o durante il giorno, non hanno il potere di rendere presente il corpo e il sangue di Cristo sull'altare. Egli non agisce, in questo momento, in persona Christi; non rappresenta Cristo, come fa il sacerdote ordinato, ma solo si unisce a Cristo. Perciò, non dirà le parole della consacrazione a voce alta, come il sacerdote, ma nel proprio cuore, pensandole, più che pronunziandole.

Proviamo a immaginare cosa avverrebbe se anche i laici, al momento della consacrazione, dicessero silenziosamente: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo. Prendete, bevete: questo è il mio sangue". Una mamma di famiglia celebra così la sua Messa, poi va a casa e comincia la sua giornata fatta di mille piccole cose. La sua vita è letteralmente sbriciolata; apparentemente non lascia traccia alcuna nella storia. Ma non è cosa da niente quello che fa: è un'eucaristia insieme con Gesù! Una suora dice anche lei, nel suo cuore, al momento della consacrazione: "Prendete, mangiate..."; poi va al suo lavoro giornaliero: bambini, malati, anziani. L'Eucaristia "invade" la sua giornata che diventa come un prolungamento dell'Eucaristia.

Ma vorrei soffermarmi in particolare su due categorie di persone: i lavoratori e i giovani. Il pane eucaristico "frutto della terra e del lavoro dell'uomo", ha qualcosa di importante da dire sul lavoro umano, e non solo su quello agricolo. Nel processo che porta dal chicco seminato in terra al pane sulla mensa, interviene l'industria con le sue macchine, il commercio, i trasporti e un'infinità di altre attività, in pratica tutto il lavoro umano. Insegniamo al lavoratore cristiano a offrire, nella Messa, il suo corpo e il suo sangue, cioè il tempo, il sudore, la fatica. Il lavoro non sarà più alienante come nella visione marxista in cui esso finisce nel prodotto che viene venduto, ma santificante.

E cosa ha da dire l'Eucaristia ai giovani? Basta che pensiamo una cosa: cosa vuole il mondo dai giovani e dalle ragazze, oggi? Il corpo, nient'altro che il corpo! Il corpo, nella mentalità del mondo, è essenzialmente uno strumento di piacere e di sfruttamento. Qualcosa da vendere, da spremere finché è giovane e attraente, e poi da buttare via, insieme con la persona, quando non serve più a questi scopi. Specialmente il corpo della donna è divenuto una merce di consumo.

Insegniamo ai giovani e alle ragazze cristiane a dire, al momento della consacrazione: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo, offerto per voi". Il corpo viene così consacrato, diventa cosa sacra, non si può più "dare in pasto" alla concupiscenza propria ed altrui, non si può più vendere, perché si è donato. E' diventato eucaristia con Cristo. L'apostolo Paolo scriveva ai primi cristiani: "Il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore...Glorificate dunque Dio con il vostro corpo (1 Cor 6, 13.20). E spiegava subito i due modi in cui si può glorificare Dio con il proprio corpo: o con il matrimonio o con la verginità, a secondo del carisma e della vocazione di ognuno (cf. 1 Cor 7, 1 ss.).

5. Con l'opera dello Spirito Santo

Dove trovare la forza, sacerdoti e laici, per fare questa offerta totale di sé a Dio, per prendersi e sollevarsi, per così dire, da terra con le proprie mani? La risposta è: lo Spirito Santo! Cristo, abbiamo ascoltato all'inizio dalla Lettera agli Ebrei, offrì se stesso al Padre in sacrificio, "nello Spirito eterno" (Eb 9, 14), cioè grazie allo Spirito Santo. Fu lo Spirito Santo che come suscitava nel cuore umano di Cristo l'impulso alla preghiera (cf. Lc 10,21), così suscitò in lui l'impulso e anzi il desiderio di offrirsi al Padre in sacrificio per l'umanità.

Papa Leone XIII, nella sua enciclica sullo Spirito Santo, dice che "Cristo ha compiuto ogni sua opera, e specialmente il suo sacrificio, con l'intervento dello Spirito Santo (praesente Spiritu)"[12] e nella Messa, prima della comunione, il sacerdote prega dicendo: "Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo (cooperante Spiritu Sancto), morendo hai dato la vita al mondo...". Questo spiega perché nella Messa ci sono due "epiclesi", cioè due invocazioni dello Spirito Santo: una, prima della consacrazione, sul pane e sul vino, e una, dopo la consacrazione, sull'intero corpo mistico.

Con le parole di una di queste epiclesi (Preghiera eucaristica III), chiediamo al Padre il dono del suo Spirito per essere a ogni Messa, come Gesù, sacerdoti e insieme sacrificio: "Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri e tutti i santi nostri intercessori presso di te".

[1] PO, 2.

[2] Didachè, 9-10.

[3] Agostino, Confessioni, 10,43.

[4] Eucharisticum mysterium, 3; cf. Agostino, De civitate Dei, X, 6 (CCL 47, 279).

[5] Gregorio Nazianzeno, Oratio 2, 95 (PG 35, 497).

[6] In Diario spirituale di una madre di famiglia, a cura di M.-M. Philipon, Roma, Città Nuova, 1985, p. 117.

[7] Citato da Benedetto XVI nella Lettera di indizione dell'anno sacerdotale.

[8] PO, 2.

[9] Lumen gentium, 10-11.

[10] Pietro Crisologo, Sermo 108 (PL 52, 499 s.).

[11] Diario, cit., p. 199.

[12] Leone XIII, Enc. "Divinum illud munus", 6.
+PetaloNero+
00sabato 13 marzo 2010 16:13
AVVISO AI GIORNALISTI: INTERVISTA A MONS. CHARLES J. SCICLUNA, PROMOTORE DI GIUSTIZIA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Il quotidiano "Avvenire" pubblica oggi una intervista a Mons. Charles J. Scicluna, Promotore di Giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, sull’attività investigativa e giudiziaria della Congregazione sui "Delicta graviora" che includono i reati di pedofilia compiuti da membri del clero.

La Sala Stampa segnala questa intervista perché risponde a molte delle domande poste recentemente dai giornalisti.

Oltre che sul quotidiano "Avvenire" di oggi 13 marzo 2010, pag. 5, richiamo in prima pagina, gli accreditati possono trovare il testo dell’intervista in lingua italiana, con traduzioni di lavoro in inglese, francese, tedesco e spagnolo, nell’area riservata della pagina Web della Sala Stampa della Santa Sede.

I testi saranno anche reperibili nelle pagine delle relative lingue del sito Web della Radio Vaticana (www.radiovaticana.org).

+PetaloNero+
00martedì 16 marzo 2010 15:34
INTERVENTO DELLA SANTA SEDE ALLA XIII SESSIONE ORDINARIA DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI DELL’UOMO SULLA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE SUI BAMBINI, IN OCCASIONE DELL’INCONTRO ANNUALE SUI DIRITTI DEL FANCIULLO (10 MARZO 2010)

Il 10 marzo scorso, in occasione dell’incontro annuale sui Diritti del Fanciullo, l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite, S.E. Mons. Silvano Maria Tomasi, ha pronunciato alla XIII Sessione Ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo, in corso a Ginevra, l’intervento che riportiamo qui di seguito:


INTERVENTO DI S.E. MONS. SILVANO MARIA TOMASI

Mr. President,

"Sexual abuse of minors is always a heinous crime". To this unambiguous condemnation of sexual violence against children and young people, the Holy Father Pope Benedict XVI has added the religious dimension, pointing out that it is also a "grave sin" that offends God and human dignity. The child's physical and psychological integrity is violated with destructive consequences. Studies have shown that abused children react in different ways to sexual violence and have a higher likelihood of teen pregnancy, homelessness, risk of drug and alcohol dependence. In a word, the evil committed against these little ones often stigmatizes them for their entire life.

As you are aware, in the last years, Catholic clergy, religious and lay workers in a number of countries have been accused , and several have been convicted, of child abuse. There is no excuse for this behavior, which is a grave betrayal of trust. In some cases heavy fines had to be paid while in other cases the culprits were given custodial sentences. Protection from sexual aggression remains high on the agenda of all church institutions as they struggle to come to terms with this serious problem. Likewise, concrete measures to ensure transparency and assistance to the victims and their families are the way to alleviate the pain, grief, and bewilderment caused by the abuse that has occurred.

The Catholic community continues its efforts to deal decisively with this problem. Thus, those who are found guilty of these crimes are immediately suspended from exercising their office and are dealt with according to the norms of civil and canon laws. Other legal measures have been taken in order to ensure that children and young people cared for in schools and institutions are safe. Many of the measures taken, legal or administrative, deal with recognition and punishment of abuse. Prevention is the best medicine, and this begins with education and promoting a culture of respect of the human rights and human dignity of every child, and especially through the implementation of efficient methods for the recruitment of school personnel.

Could the panel share some best practices that can help children to recognize and report the improper behavior of educators and caregivers?
+PetaloNero+
00mercoledì 17 marzo 2010 16:21
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: COMMISSIONE INTERNAZIONALE DI INCHIESTA SU MEDJUGORJE

È stata costituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto la presidenza del Cardinale Camillo Ruini, una Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje. Detta Commissione, composta da Cardinali, Vescovi, periti ed esperti, lavorerà in maniera riservata, sottoponendo l’esito del proprio studio alle istanze del Dicastero.
+PetaloNero+
00sabato 20 marzo 2010 15:44
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: RIUNIONE DELLA COMMISSIONE SULLA CHIESA CATTOLICA IN CINA

Dal 22 al 24 marzo corrente si riunirà, in Vaticano, la Commissione che il Papa Benedetto XVI ha istituito nel 2007 per studiare le questioni di maggiore importanza, relative alla vita della Chiesa cattolica in Cina. Fanno parte di detta Commissione i Superiori dei Dicasteri della Curia Romana, che sono competenti in materia, e alcuni rappresentanti dell’Episcopato cinese e di congregazioni religiose.

La prima riunione plenaria, svoltasi nei giorni 10-12 marzo 2008, ebbe, come tema, la Lettera che il Santo Padre Benedetto XVI aveva indirizzato ai cattolici cinesi il 27 maggio 2007. Durante i lavori fu esaminata l’accoglienza, che era stata riservata al medesimo Documento pontificio all’interno e al di fuori della Cina. Si fece anche una riflessione sui principi teologici, ispiratori della Lettera, al fine di cogliere le prospettive che da essi nascono per la comunità cattolica in Cina.

Nella seconda riunione plenaria (30 marzo-1º aprile 2009) si prese in esame il tema della formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale dei seminaristi e delle persone consacrate, nonché quello della formazione permanente dei sacerdoti.

Nella prossima riunione plenaria si continuerà ad approfondire il predetto tema della formazione, affinché in Cina, come nel resto del mondo, l’opera dei sacerdoti e delle persone consacrate aiuti la Chiesa ad incarnare il Vangelo e a darne testimonianza, anche di fronte alle sfide poste dall’evoluzione delle condizioni sociali e culturali.
+PetaloNero+
00giovedì 25 marzo 2010 16:00

NUOVI "TESTI FONDAMENTALI" DISPONIBILI SUL SITO WEB UFFICIALE VATICANO

ON LINE GLI ATTI UFFICIALI DELLA SANTA SEDE E LA COLLEZIONE DEI DOCUMENTI DEL PERIODO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE


Importanti testi finora disponibili in forma cartacea nelle biblioteche sono ora resi accessibili sul Sito Web ufficiale della Santa Sede, www.vatican.va , nella Sezione "Testi fondamentali".

Si tratta delle intere collezioni degli Acta Sanctae Sedis (ASS) e Acta Apostolicae Sedis (AAS), cioè gli Atti ufficiali della Santa Sede dal 1865 al 2007, in formato pdf, e della collezione dei 12 volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, pubblicati per volere di Paolo VI a partire dal 1965, curati da una équipe specializzata di quattro storici gesuiti.

Questi testi costituiscono una miniera di documentazione d’inestimabile valore che ora è messa gratuitamente a disposizione di tutti gli studiosi e delle persone interessate. Un grande contributo per la ricerca e l’informazione sulla Santa Sede, la sua storia e la sua attività.
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