Documenti emanati dai dicasteri e da altri organismi della Curia Romana e della Santa Sede durante il pontificato di Benedetto XVI

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+PetaloNero+
00venerdì 27 novembre 2009 16:00
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 96ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (17 GENNAIO 2010)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 96 Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (17 gennaio 2010) sul tema: "I migranti e i rifugiati minorenni".

Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e Mons. Novatus Rugambwa, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTONIO MARIA VEGLIÒ

"Sono testimone della straziante condizione di milioni di bambini in ogni continente. Essi sono i più vulnerabili perché sono i meno capaci di far sentire la loro voce". Così scriveva Giovanni Paolo II in una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite in occasione del Vertice Mondiale per i Bambini nel 1990, citata da Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2010, che oggi presentiamo.

Se gli immigrati in genere sono vulnerabili perché si trovano in un Paese che non è il loro e nel quale la protezione può non essere garantita, molto più lo sono gli immigrati minorenni, soprattutto se non accompagnati, e dunque privi di rappresentanti legali o di tutori. E che dire quando non sono in possesso di documenti adeguati?

Qualcuno potrebbe avere la tentazione di considerarli persone dotate di minori diritti rispetto agli adulti. Ma il Papa richiama nel Suo Messaggio la Convenzione dei Diritti del Bambino, che "afferma con chiarezza che va sempre salvaguardato l’interesse del minore (cfr. art. 3), al quale vanno riconosciuti i diritti fondamentali della persona al pari dell’adulto", anche se Egli costata con amarezza che "purtroppo nella realtà questo non sempre avviene". Giovanni Paolo II stesso affermava che "ogni individuo, non importa quanto piccolo o quanto apparentemente insignificante [sia] in termini utilitaristici, porta l’impronta dell’immagine e la somiglianza del Creatore (cf. Gen 1, 26)" (op. cit.).

Ci sono vari tipi, diciamo così, di migranti minorenni: coloro che emigrano con migranti adulti, generalmente i genitori, o li raggiungono, coloro che nascono da genitori immigrati e coloro che emigrano non accompagnati. Le difficoltà che questi minori incontrano sono simili, per alcuni aspetti, ma anche diverse per altri. È comunque sicuramente giusto impegnarsi per favorire il benessere di ciascuno di loro. Purtroppo, afferma ancora Benedetto XVI nel suo Messaggio, "mentre cresce nell’opinione pubblica la consapevolezza della necessità di un’azione puntuale e incisiva a protezione dei minori, di fatto tanti sono lasciati in abbandono e, in vari modi, si ritrovano a rischio di sfruttamento".

I motivi per cui i minorenni lasciano la terra ove sono nati sono simili a quelli degli adulti: conflitti armati, etnici o religiosi, crisi economiche e sociali, assenza di prospettive per un futuro nel loro Paese di origine. Ci sono però ragioni più specifiche per i minorenni, come per esempio nel caso di difficoltà, o impossibilità, di accedere al Paese di destinazione desiderato. Ciò spinge i minorenni, o i loro genitori, a tentare l’immigrazione irregolare. Si sa, infatti, che un minore non accompagnato non può essere rimpatriato, anche se purtroppo tale diritto, come molti altri, non è sempre rispettato. In questi casi, i genitori, a volte l’intera famiglia, pongono tutte le loro speranze nella riuscita del minore che emigra, il che si trasforma in un forte peso psicologico per il ragazzo che non vuole deluderli. Perciò egli è pronto a subire ingiustizie, violenze e maltrattamenti pur di ottenere il permesso di soggiorno, forse una formazione scolastica, e soprattutto un lavoro per poter aiutare la famiglia di origine, che tanto ha "investito" su di lui.

Coloro invece che hanno la fortuna di trovarsi insieme ai genitori in terra di immigrazione, anche tra disagi di vario genere, hanno tuttavia un punto di riferimento e di appoggio nel contesto di quella solidarietà che rende tutti responsabili di tutti (cf. Giovani Paolo II, op. cit.). Questi minorenni hanno inoltre una caratteristica, quella di far "parte di due culture con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice appartenenza", che però può anche "offrire l’opportunità di sperimentare la ricchezza dell’incontro tra differenti tradizioni culturali" (dal Messaggio del Santo Padre che presentiamo). Tale processo, se prolungato, potrà un giorno "formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini". Da parte sua, il migrante "è impegnato a compiere i passi necessari all’inclusione sociale, quali l’apprendimento della lingua nazionale e il proprio adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2005). È dunque importante facilitare l’integrazione sociale dei migranti minorenni attraverso "opportune strutture formative e sociali", dando ad essi l’indispensabile "possibilità della frequenza scolastica e del successivo inserimento nel mondo del lavoro" (dal Messaggio che presentiamo). In effetti la scolarizzazione è un diritto dei minorenni.

È commovente l’appello che Benedetto XVI rivolge oggi a tutti i cristiani dopo aver ringraziato le parrocchie e le associazioni cattoliche per quanto operano per i migranti. Il Santo Padre scrive: "Vorrei invitare tutti i cristiani a prendere consapevolezza della sfida sociale e pastorale che pone la condizione dei minori migranti e rifugiati. Risuonano nel nostro cuore le parole di Gesù: ‘Ero forestiero e mi avete ospitato’ (Mt 25,35)".

* * *

Alcune statistiche

tratte dal Rapporto dell’UNICEF

"Children in Immigrant Families in Eight Affluent Countries"

Un recente rapporto (agosto 2009) del Centro ricerca Innocenti dell’UNICEF, intitolato "Children in Immigrant Families in Eight Affluent Countries" (I bambini di famiglie immigrate in otto paesi ricchi), analizza la presenza dei bambini immigrati negli Stati Uniti, in Australia e in sei Paesi europei. Vi si afferma che i bambini nati da almeno un genitore immigrato costituiscono una parte significativa del numero complessivo dei bambini che abitano in questi Paesi. In Svizzera sono il 39%, in Australia il 33% e in Germania il 26%, mentre negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi costituiscono il 22%. In Francia tali bambini sono il 17%, nel Regno Unito il 16%, mentre in Italia sono appena il 10%.

Essi provengono, da una parte, dai Paesi ricchi dell’occidente, come il Canada, gli Stati Uniti o anche altri Paesi dell’Europa occidentale. In questi casi, i bambini immigrati hanno una cultura europea che assomiglia a quella dei bambini locali. D’altra parte, però, possono arrivare anche dai Paesi di medio o basso reddito dell’Africa o dell’Asia e persino dell’Europa orientale. In Svizzera, per esempio, il 29% (79.417) dei bambini immigrati provengono dalla Repubblica Federale Iugoslava e l’undici percento (31.261) dalla Turchia. Così negli Stati Uniti il 71% (73.592) di questi bambini provengono dall’America Latina o dai Caraibi (dal Messico: 5.216.718, da El Salvador: 391.677 e dalla Repubblica Dominicana: 334.072) e il 15% dalla regione Asia e Pacifico (dalle Filippine: 562.787, dal Vietnam: 395.031 e dall’India: 331.153), mentre in Australia il 10% (47.311) arrivano dalle Filippine e il 14% (62.909) dal Vietnam. In Germania il 31% (107.100) dei minorenni immigrati sono cittadini della Federazione Russa e il 19% (66.700) provengono dalla Turchia, mentre in Italia il 10% (49.956) di questi minorenni arrivano dall’Albania e il 12% (59.300) dal Marocco.



INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

La mobilità è un macrofenomeno del nostro tempo, che concerne anziani, adulti e ragazzi, ad un tempo, in tutto il mondo. È, come si dice con linguaggio evangelico, un "segno dei tempi". La Chiesa in modo particolare è vicina ai rifugiati e ai migranti forzati non solo con la sua presenza pastorale e con il sostegno materiale per chi ne ha bisogno, ma anche con il suo impegno a difendere la loro dignità umana: "La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati"1, è parola di Papa Giovanni Paolo II.

Il Messaggio di Benedetto XVI quest’anno attira la nostra attenzione e riaccende il nostro zelo per i minorenni migranti e rifugiati.

Sono molti infatti i minorenni, cioè le persone sotto i diciotto anni di età, che, per esempio, varcano le frontiere non accompagnati, temendo per la propria sicurezza nel paese d’origine. Si tratta in fondo di una strategia di sopravvivenza. A volte essa dipende da una decisione personale, mentre in altri casi sono i genitori a spingerli a fuggire.

Un altro gruppo di minorenni da considerare, nella prospettiva della nostra presentazione, sono i bambini che vengono separati - o così si trovano ad essere - dai loro genitori o da chi tradizionalmente, nella cultura locale, se ne prende cura. In situazioni drammatiche le decisioni sono in genere prese all’improvviso o risultano frutto delle circostanze caotiche e di distruzione della guerra: i bambini scappano dalle scuole, gli agricoltori lasciano i campi, le mamme fuggono dalle loro case. I bambini e i minorenni, così dispersi, possono essere ritrovati nei propri Paesi o lungo la strada della fuga verso un’altra Nazione.

E qui vi è la differenza tra profughi e rifugiati (nel caso, cioè, si esca dal territorio nazionale). I motivi per il forzato abbandono delle proprie case sono legati a guerra, situazioni politiche avverse, uccisione di un membro della famiglia o persecuzione del bambino stesso. Ciò può creare paura di persecuzione, di violazioni dei diritti umani o di un conflitto armato. Sono, queste, motivazioni sufficienti per chiedere asilo, una situazione contemplata da una ben rodata legislazione umanitaria internazionale, almeno in linea di principio.

A questo riguardo vale richiamare la preoccupazione prioritaria riguardo ai minorenni non accompagnati e separati, emersa già nel 1981, durante l’annuale Sessione della Commissione Esecutiva dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati con l’adozione unanime di Conclusioni2 circa il modo di affrontare la loro situazione.

Si richiede cioè che i minori vivano una vita normale e stabile, che vi sia sicurezza per il loro futuro, considerato cioè il miglior interesse per il minorenne come norma per un’azione atta a promuovere, come minimo, l’accesso all’educazione, l’assistenza sanitaria, un’abitazione appropriata e cibo sufficiente. Notizie della famiglia d’origine devono essere poi ricercate al più presto. Nel contempo, un tutore sarà assegnato al minorenne per proteggerne i diritti e gli interessi, creando, se possibile, un rapporto di reciproca fiducia. Pure la dimensione sociale non è dimenticata, dovendosi creare occasioni di socializzazione fra ragazzi e con l’intera comunità.

Invece, spesso, i ragazzi richiedenti asilo o rifugiati vivono una vita isolata, dovuta in genere al fatto che essi rimangono nei campi e centri specializzati d’accoglienza, o non dispongono di sufficiente denaro. Ecco dunque lo spazio per l’aiuto degli organismi di carità e di altre associazioni che possono aiutarli a sviluppare i loro talenti e l’autostima. L’integrazione nella comunità sarà comunque incoraggiata da buone relazioni quotidiane con tante diverse persone e organizzazioni ufficiali: una rete sociale è dunque necessaria per promuovere l’integrazione nella società di accoglienza. Così i minorenni rifugiati hanno l’opportunità di crescere e diventare persone capaci di assumere responsabilità nella società che li ha benevolmente accolti.

La domanda che può sorgere qui è se noi, come società e membri della Chiesa, facciamo il possibile per far sì che tali minorenni si sentano come a casa nella società che li accoglie. A questo proposito ho un bel ricordo di una comunità presso Cividale del Friuli che ho visitato per la Santa Pasqua. Le Comunità Cristiane possono aiutare in queste situazioni con l’accompagnamento umano, l’ascolto del giovane/ragazzo per guidarlo con amore e rispetto nella sua ricerca personale di risposte anche alle più profonde domande esistenziali.

Bisogna comunque riconoscere che i minori non accompagnati e quelli separati dalle loro famiglie molto spesso vivono ancora in ambienti a rischio di abusi e di sfruttamento, come per la tratta di esseri umani o il reclutamento per fini militari.

Bisogna anche qui notare che, in tanti paesi, un divario esiste tra gli obiettivi formulati e la reale pratica quotidiana. Molti giovani rifugiati "purtroppo rimangono ancora nei campi di raccolta, o comunque a lungo limitati nell’esercizio dei loro diritti"3, mentre altri restano privi della loro libertà e sono portati in luoghi di detenzione non adatti a minorenni. Il trattenere ragazzi in centri di detenzione contraddice infatti le Conclusioni e Linee Guida dell’ACNUR e anche la Convenzione dei Diritti del Bambino, della quale la Santa Sede è firmataria. La detenzione non farà dunque che aumentare i traumi del loro passato. Alternative alla detenzione sarebbero il monitoraggio delle esigenze, la scarcerazione sotto cauzione, o i centri di accoglienza aperti.

Peraltro, bisogna riconoscere con profonda pena che i membri della società civile agiscono e reagiscono secondo stereotipi, preconcetti e pregiudizi all’arrivo dei rifugiati, mentre le politiche ufficiali guardano al miglior interesse del minorenne. Questo comportamento di discriminazione, xenofobia e finanche razzismo va affrontato con politiche4 atte a salvaguardare, rinforzare e proteggere i diritti dei rifugiati e delle persone sfollate all’interno del proprio paese. "Mi rivolgo quindi a genitori e insegnanti, affinché combattano il razzismo e la xenofobia inculcando atteggiamenti positivi fondati sulla Dottrina sociale cattolica", ebbe a scrivere Papa Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2003 (n. 3).

Le nostre Comunità Cristiane hanno perciò il dovere "di accogliere chiunque bussi per necessità alla nostra porta"5, di dimostrare solidarietà, ospitalità e impegno pastorale rivolto ai bisogni dei minori specialmente non accompagnati e di quelli rifugiati separati. Speranza, coraggio, amore e creatività devono essere loro offerte.

Cito, per concludere, l’appello del Santo Padre nel Messaggio che oggi presentiamo, il seguente: "Vorrei invitare tutti i cristiani a prendere consapevolezza della sfida sociale e pastorale che pone la condizione dei minori migranti e rifugiati".

Grazie.

______________________________

1 GIOVANNI PAOLO II, 1990 Messaggio per la Quaresima, 3: L’Osservatore Romano, English Edition, 12 Febbraio 1990, p. 5. www.vatican.va/holy_father/john_paul__ii//messages/lent/documen... ii_mes_19890908_lent-1990_it.html

2 Mentre le Conclusioni del Comitato Esecutivo circa la Protezione Internazionale del Rifugiato non sono formalmente vincolanti, quella a cui ci riferiamo qui dovrebbe essere considerata correttamente come atta a fornire elementi rilevanti circa l’interpretazione della Convenzione sui Rifugiati del 1951.

3 GIOVANNI PAOLO II, Angelus, 20 Giugno 2004: O.R., 21-22 Giugno 2004, p. 5.

4 Cfr. BENEDETTO XVI, Angelus, 24 Dicembre 2006 : O.R., 27-28 Dicembre 2006, p. 6. L’impegno corrispondente è quello di superare sempre più i preconcetti e i pregiudizi, abbattere le barriere ed eliminare i contrasti che dividono, o peggio, contrappongono gli individui e i popoli, per costruire assieme un mondo di giustizia e pace.

5 GIOVANNI PAOLO II, 2003 Messaggio per la 89° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato: www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/messages/migration/documents/hf_jp-ii_mes_20021202_world-migration-day-2003_it...



INTERVENTO DI MONS. NOVATUS RUGAMBWA

Da sempre le migrazioni internazionali e il movimento dei rifugiati riguardano anche i bambini e i ragazzi che sono rimasti nel Paese di origine o che hanno intrapreso il viaggio assieme ai genitori, oppure sono nati da genitori migranti o ancora sono emigrati per proprio conto in un altro paese.

Molti sono i problemi comuni alle famiglie dei migranti, di cui i minori condividono il peso. Parliamo di povertà, spostamenti frequenti, basse aspettative di vita, abitazioni sovraffollate, scarse strutture sanitarie e infine, ma non ultimo, il fatto di essere costretti a interrompere gli studi, quando addirittura non sono mai stati intrapresi.

Si ritiene che un buon numero degli scolari di oggi abbiano particolari necessità, mentre i bambini migranti e rifugiati mostrano problemi psicologici molto maggiori degli altri. La lingua, in particolare, è una variabile importante associata alla loro sofferenza. Poiché il lavoro è parte essenziale del processo di integrazione ed è fondamentale per la piena partecipazione dei migranti e dei rifugiati nel Paese di accoglienza, provvedere a un’istruzione adeguata è indispensabile se si vuole che il loro contributo sia riconosciuto e porti frutti. Occorre perciò mettere a loro disposizione opportunità educative adeguate, adattandole ove necessario.

Pertanto, l'orientamento professionale, l'istruzione e l'apprendimento della lingua devono essere visti come elementi atti a facilitare il processo per ottenere un lavoro adeguato. Tali elementi, però, hanno anche un ruolo da svolgere nell’auto-realizzazione dei giovani rifugiati e migranti. La formazione educativa e lo sviluppo di nuove capacità, specialmente quella di parlare la nuova lingua per comunicare adeguatamente nel Paese di ricezione, permettono di svolgere un ruolo attivo nell’integrazione e di assumere il posto che spetta loro nella società di accoglienza.

Purtroppo un gran numero di questi migranti e rifugiati trovano spesso ostacoli nel cammino dell'istruzione e del successivo orientamento professionale o dell'educazione superiore. Tra questi menzioniamo le restrizioni istituzionali che ne impediscono l’accesso, la mancanza di adeguato sostegno finanziario e di informazione sul sistema educativo e sui corsi di formazione. In particolare, molte delle persone in cerca d’asilo non sono in grado di avvalersi di opportunità educative durante il periodo in cui le loro domande sono esaminate, e questa procedura può richiedere spesso mesi, se non anni. Molti perdono anni preziosi di istruzione e opportunità di formazione e persino di lavoro. Anche coloro che rientrano nella categoria dei migranti "irregolari" e sono minori, spesso non sono in grado di avvalersi delle opportunità educative, e specialmente della possibilità di accedere a una formazione universitaria o di concluderla.

Poiché fornire servizi educativi a questi giovani favorisce non solo loro stessi ma anche la famiglia, la comunità e il Paese, spesso si rende necessario rompere il legame esistente tra svantaggi socio-economici ed educativi, e la mancanza di coordinamento tra le differenti politiche che riguardano i minori migranti e le loro famiglie. Ugualmente si avverte la necessità di impegnarsi

contro le tendenze alla segregazione scolastica,

contro l’assenza di politiche di opportunità uguali e complete,

contro il fatto che le scuole spesso non si sono ancora adattate alle esigenze dei figli dei migranti o non possono arrivare alle loro famiglie,

contro la mancanza delle necessarie abilità interculturali da parte degli insegnanti e, infine,

contro la scarsità di risorse finanziarie per risolvere queste difficoltà.

Grazie.
+PetaloNero+
00sabato 28 novembre 2009 15:43
INTERVENTO DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO NELL’INCONTRO CON I PRESIDENTI DELL’ARGENTINA E DEL CILE

Concluso alle ore 12.30 l’incontro con il Santo Padre nella Sala Clementina, i Presidenti di Argentina e di Cile si recano nelle Grotte Vaticane per un momento di preghiera. Sostando alla tomba di Giovanni Paolo II vi depongono due corone di fiori.

Successivamente, nella Casina Pio IV nei Giardini Vaticani, si svolge l’atto commemorativo del XXV anniversario del Trattato di pace e di amicizia tra Argentina e Cile. Nella Sala delle Conferenze, prima di scoprire una Targa commemorativa dell’evento del 1984, il Segretario di Stato, Em.mo Card. Tarcisio Bertone, S.D.B., S.E. la Signora Cristina Fernández de Kirchner, Presidente della Repubblica Argentina e S.E. la Signora Michelle Bachelet, Presidente della Repubblica del Cile pronunciano i rispettivi discorsi.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento del Cardinale Segretario di Stato:


DISCORSO DELL’EM.MO CARD. TARCISIO BERTONE, S.D.B.

Excelentísimas Señoras Presidentas de Argentina y Chile,
Eminencias Reverendísimas,
Queridos Hermanos en el Episcopado,
Excelentísimos Señores Embajadores,
Queridos amigos:

El 18 de octubre de 1984, en este mismo lugar de la Casina Pío IV, y en presencia del Cardenal Agostino Casaroli, se les entregó a los Representantes de las Delegaciones de las Repúblicas de Argentina y Chile el texto oficial del Tratado que, para la solución del diferendo austral, se había previamente concordado en distintas sesiones de estudio. Más tarde, el 29 de noviembre de ese mismo año, en el marco incomparable de la Sala Regia del Palacio Apostólico, fue firmado el mencionado Tratado de Paz y Amistad que, bajo el amparo moral de la Santa Sede, ponía fin a dicha controversia.

En el día de hoy, transcurridos 25 años desde aquel histórico Tratado, queremos rendir homenaje a todas aquellas personas que, con generosa dedicación y firme voluntad de paz, lograron llevarlo felizmente a término, a pesar de las aparentemente insuperables dificultades que se presentaban en su camino. En particular, recordamos al querido Papa Juan Pablo II que, confiando en la gran experiencia diplomática y en la prudencia del Cardenal Antonio Samorè, emprendió el proceso de Mediación, como respuesta al pedido de los Episcopados argentino y chileno, los cuales se hicieron así intérpretes de la angustia e inquietud tanto de los fieles de sus respectivas Iglesias locales como de la población en general de ambos Países. Debemos reconocer, asimismo, la labor determinante de los miembros de los dos gobiernos y sus respectivas delegaciones diplomáticas, que en momentos de especial gravedad y tensión ofrecieron ante el mundo un ejemplo de sensatez y voluntad pacificadora.

Chile y Argentina, aunque separadas físicamente por los Andes, son dos naciones hermanas que están estrechamente unidas por un idéntico patrimonio religioso, cultural y lingüístico. Esta insondable riqueza espiritual, junto al inquebrantable anhelo de paz, integración y concordia de sus gentes, es la base de este histórico Tratado de Paz y Amistad. En efecto, el texto del Acuerdo comienza con estas palabras: «En el nombre de Dios Todopoderoso», aludiendo así a ese tesoro común de fe y valores morales que constituye una fuente continua de inspiración para no dejarse vencer por los obstáculos, ni permitir que las discordias, la rivalidad o la cerrazón, tengan la última palabra, sino la perseverancia incansable en la búsqueda de la convivencia, el respeto y el entendimiento recíproco.

Señoras Presidentas, quisiera terminar renovándoles el compromiso de la Santa Sede de seguir ofreciendo su sincera y humilde aportación en todo aquello que contribuya a incrementar y consolidar los frutos del Tratado de Paz y Amistad que hoy conmemoramos, deseando además que el clima de cooperación y la concordia alcanzada en el extremo austral se extienda por todo el Continente americano y el mundo entero. Muchísimas gracias.
+PetaloNero+
00sabato 28 novembre 2009 15:44
COMUNICATO: RIUNIONE DEL COMITATO PREPARATORIO DELLA III FASE DELLA "COMMISSIONE INTERNAZIONALE TRA ANGLICANI E CATTOLICI" (ARCIC)


A seguito dell’incontro tenutosi in Vaticano il 21 novembre tra Papa Benedetto XVI e l’Arcivescovo di Canterbury, Dott. Rowan Williams, nel corso del quale essi hanno ribadito il desiderio di rafforzare le relazioni ecumeniche tra anglicani e cattolici, il 23 novembre si è riunito un Comitato preparatorio per approntare la terza fase della "Commissione Internazionale tra anglicani e cattolici" (ARCIC, Anglican - Roman Catholic International Commission). È stato deciso che questa nuova fase avrà inizio entro il prossimo anno.

Nella terza fase si tratteranno questioni fondamentali riguardanti la Chiesa - Chiesa locale e Chiesa universale - intesa come comunione, e del modo in cui la Chiesa, locale e universale, possa discernere, nella comunione, il giusto insegnamento morale.

Nei prossimi mesi verranno nominati i membri della Commissione e sarà annunciata la data del suo primo incontro.
+PetaloNero+
00lunedì 30 novembre 2009 16:36
COMUNICATO: XIV RIUNIONE DEL CONSIGLIO SPECIALE PER L’AMERICA DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI (17-18 NOVEMBRE 2009)

Il tema dell’Assemblea Speciale per l’America del Sinodo dei Vescovi riunita nel 1997 «Incontro con Gesù Cristo vivo, via per la conversione, la comunione e la solidarietà in America» mantiene la sua attualità per le popolazioni del grande continente. Esso evidenzia, infatti, la centralità della persona di Gesù Cristo risorto, presente nella vita della Chiesa, che invita alla conversione, alla comunione e alla solidarietà. Il tema è stato ripreso anche dal Documento di Aparecida, risultato della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, svolta nel 2007.

Sull’ampio campo dell’azione pastorale nelle Chiese particolari americane si sono concentrati i lavori della 14a riunione del Consiglio Speciale per l’America della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, che ha avuto luogo nei giorni 17-18 novembre 2009.

Alla sessione, presieduta dall’Eccellentissimo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, S.E.R. Mons. Nikola Eterović, Arcivescovo titolare di Sisak, sono intervenuti S.Em.R. il Sig. Card. Jean-Claude Turcotte, Arcivescovo di Montréal (Canada); S.Em.R. il Sig. Card. Juan Sandoval Íñiguez, Arcivescovo di Guadalajara (Messico); S.Em.R. il Sig. Card. Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, s.d.b., Arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras); S.Em.R. il Sig. Card. Dario Castrillón Hoyos, Prefetto emerito della Congregazione per il Clero (Vaticano); S.E.R. Mons. Baltasar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela); S.E.R. Mons. José Maria Arancibia, Arcivescovo di Mendoza (Argentina); S.E.R. Mons. Edmundo Luis Flavio Abastoflor Montero, Arcivescovo di La Paz (Bolivia); S.E.R. Mons. Luiz Demétrio Valentini, Vescovo di Jales (Brasile); S.E.R. Mons. Fernando Antonio Figueiredo, o.f.m., Vescovo di Santo Amaro (Brasile), e S.E.R. Mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri, Vescovo di San Marcos (Guatemala).

L’ordine del giorno prevedeva il saluto e l’introduzione dell’Eccellentissimo Segretario Generale, seguito dagli interventi dei Membri sulla situazione attuale ecclesiale e sociale nei diversi paesi e in tutto il Continente. Altro tema è stato quello dell’inculturazione della Buona Notizia nel continente americano, anche alla luce della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio e della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa.

Su questo tema ha richiamato l’attenzione il Segretario Generale nella sua introduzione, prendendo in esame l’insegnamento del Servo di Dio Giovanni Paolo II, che ne trattò nell’Esortazione Apostolica Postsinodale Ecclesia in America. L’inculturazione del Vangelo risponde alla primordiale indole missionaria della Chiesa, che annuncia l’insegnamento del Signore, perché diventi fermento di pensiero e di vita. La rottura tra vita e Vangelo è senza dubbio il dramma del nostro tempo. Il processo di inculturazione dipende in grande misura da una equilibrata educazione alla fede, svolta soprattutto dalle famiglie, dalle scuole e dalle università cattoliche e oggi, in modo veramente urgente, attraverso i media, il cui uso corretto e competente costituisce un veicolo di straordinaria efficacia pastorale.

Nella discussione comune i Membri hanno ripreso questi concetti soffermandosi anche sulle diverse situazioni locali, con preoccupanti problemi come commercio di droghe, riciclaggio di guadagni illeciti, corruzione, violenza, corsa agli armamenti, discriminazione razziale, debito estero, disuguaglianze tra i gruppi sociali, irragionevole distruzione della natura.

Il fenomeno della corruzione è notevolmente esteso. La Chiesa appoggia gli sforzi delle autorità civili intesi a sconfiggerla o perlomeno a diminuirne la portata. Da parte sua è disposta a contribuire efficacemente a sradicare questo male dalla società civile con un’adeguata educazione dei fedeli e con una maggior presenza di laici cristiani qualificati che, per la loro formazione familiare, scolastica e parrocchiale, promuovano la pratica di valori come la verità, l'onestà, la laboriosità ed il servizio del bene comune.

Circa il grave problema del commercio di droghe, la Chiesa in America è disposta a collaborare efficacemente con i responsabili delle Nazioni, i dirigenti di imprese private, le organizzazioni non governative e le istanze internazionali per sviluppare progetti tesi ad abolire tale commercio, che minaccia l'integrità dei popoli in America.

Un fattore che desta preoccupazione è la facilità con cui possono circolare le armi, anche quelle più sofisticate che non poche volte vengono adoperate dalle organizzazioni della criminalità, costituendo una causa d’instabilità ed una minaccia per la pace. Dalle Chiese particolari d'America deve alzarsi una voce profetica che denunci il riarmo e lo scandaloso commercio di armi da guerra, il quale assorbe ingenti somme di denaro che dovrebbero essere, invece, destinate a combattere la miseria ed a promuovere lo sviluppo.

Inoltre il Continente americano ha conosciuto nella sua storia molti movimenti di immigrazione, con schiere di uomini e di donne giunti nelle varie regioni con la speranza di un futuro migliore. Il fenomeno continua anche oggi ed interessa, in particolare, numerose persone e famiglie provenienti da Nazioni latino-americane, che si sono stanziate nelle regioni del Nord del Continente, fino a costituire in alcuni casi una parte considerevole della popolazione. Spesso esse recano con sé un patrimonio culturale e religioso ricco di significativi elementi cristiani.

Iniziativa promettente è la grande missione continentale, in atto nei paesi dell’America Latina, con lo scopo di promuovere la nuova evangelizzazione. Inoltre, un significativo segno di speranza è costituito dalle iniziative pastorali e di promozione umana della Chiesa, dalla solidarietà verso i poveri e gli emarginati di ogni genere. Da qui scaturisce per le Chiese particolari del Continente americano l'impegno alla reciproca solidarietà e alla condivisione dei doni spirituali e dei beni materiali con cui Dio le ha benedette, favorendo la disponibilità delle persone a lavorare dove necessario. Partendo dal Vangelo, occorre promuovere una cultura della solidarietà che incentivi opportune iniziative di sostegno ai poveri ed agli emarginati, in modo speciale ai rifugiati, i quali si vedono forzati a lasciare i loro villaggi e le loro terre per sfuggire alla povertà e alla violenza. Fonte di risposte efficaci alle diverse situazioni critiche è la dottrina sociale della Chiesa. È importante che in America gli operatori pastorali assimilino questo tesoro e, da essa illuminati, si rendano capaci di leggere la realtà attuale e di cercare delle vie per l'azione. A tale proposito, va privilegiata la formazione dei fedeli laici capaci di lavorare, in nome della fede in Cristo, per la trasformazione delle realtà terrene. La complessa realtà sociale di questo Continente è un campo fecondo per l'analisi e l'applicazione dei principi universali di tale dottrina.

Al termine delle sessioni di lavoro è stata assegnata ai giorni 16-17 novembre 2010 la 15a riunione Consiglio Speciale per l'America della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.
+PetaloNero+
00venerdì 4 dicembre 2009 16:16
PREDICA DI AVVENTO

Alle ore 9.00 di oggi, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la prima Predica di Avvento sul tema: "Ministri di Cristo e dispensatori del misteri di Dio" (1 Corinzi 4, 1) - Sacerdoti secondo il Cuore di Cristo.

Lo scopo di fondo, nell’anno sacerdotale in corso, è mettere in luce l’identità originaria e "l’anima di ogni sacerdozio", ridando ad essa il primo posto tra tutte le mansioni storiche e contingenti assunte nel corso dei secoli.






Prima Predica d'Avvento: “Servi e amici di Gesù Cristo”
Del Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 4 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della prima meditazione d'Avvento che il Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì alla presenza di Benedetto XVI nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è: “Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1 Corinzi 4, 1),

Le prossime Prediche si terranno l'11 e il 18 dicembre.

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1. Alla sorgente di ogni sacerdozio

Nella scelta del tema da proporre in queste prediche alla Casa Pontificia cerco sempre di farmi guidare dalla particolare grazia che la Chiesa sta vivendo. L'anno scorso era la grazia dell’anno paolino, quest’anno è la grazia dell’anno sacerdotale, della cui proclamazione, Santo Padre, le siamo tutti profondamente grati.

Il concilio Vaticano II ha dedicato al tema del sacerdozio un intero documento, il Presbyterorum ordinis; Giovanni Paolo II, nel 1992, ha indirizzato a tutta la Chiesa l’esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis, sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali; l’attuale Sommo Pontefice, nell’indire il presente anno sacerdotale, ha tracciato un breve ma intenso profilo del sacerdote alla luce della vita del Santo Curato d’Ars. Non si contano gli interventi di singoli vescovi su questo tema, per non parlare dei libri scritti sulla figura e la missione del sacerdote nel secolo da poco terminato, alcuni dei quali opere letterarie di prima grandezza.

Che cosa si può aggiungere a tutto ciò nel breve tempo di una meditazione? Mi incoraggia il detto con cui, ricordo, un predicatore iniziava il suo corso di esercizi: “Non nova ut sciatis, sed vetera ut faciatis”: l’importante non è conoscere cose nuove, ma mettere in pratica quelle conosciute. Rinuncio dunque a ogni tentativo di sintesi dottrinale, di presentazioni globali o profili ideali sul sacerdote (non ne avrei né il tempo, né la capacità) e cerco, se possibile, di far vibrare il nostro cuore sacerdotale, al contatto con qualche parola di Dio.

La parola della Scrittura che ci servirà da filo conduttore è 1 Corinzi 4,1 che molti di noi ricordano nella traduzione latina della Volgata: “Sic nos existimet homo ut ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei”: “Così ognuno ci consideri: servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”. Ad essa possiamo affiancare, per certi aspetti, la definizione della Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, preso tra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb 5,1).

Queste frasi hanno il vantaggio di riportarci alla radice comune di ogni sacerdozio, cioè a quello stadio della rivelazione quando il ministero apostolico non si è ancora diversificato, dando luogo ai tre gradi canonici di vescovi, presbiteri e diaconi, che, almeno per quanto riguarda le rispettive funzioni, diventeranno chiari solo con sant’Ignazio d’Antiochia, all’inizio del II secolo. Questa radice comune è messa in luce dal Catechismo della Chiesa Cattolica che definisce l’Ordine sacro “il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è dunque il sacramento del ministero apostolico” (n. 1536).

È a questo stadio iniziale che cercheremo di riferirci il più possibile nelle nostre meditazioni, allo scopo di cogliere l’essenza del ministero sacerdotale. In questo Avvento, prenderemo in considerazione solo la prima parte della frase dell’Apostolo: “Servitori di Cristo”. Se Dio vuole, proseguiremo in Quaresima la nostra riflessione, meditando su cosa significa per un sacerdote essere “amministratore dei misteri di Dio” e quali sono i misteri che deve amministrare.

“Servi di Cristo!” (con il punto esclamativo a indicare la grandezza, dignità e bellezza di questo titolo): ecco la parola che dovrebbe toccare il nostro cuore nella presente meditazione e farlo vibrare di santo orgoglio. Qui non parliamo dei servizi pratici o ministeriali, come amministrare la parola e i sacramenti (di questo, dicevo, parleremo in Quaresima); non parliamo, in altre parole, del servizio come atto, ma del servizio come stato, come vocazione fondamentale e come identità del sacerdote e ne parliamo nello stesso senso e con lo stesso spirito di Paolo che all’inizio delle sue lettere si presenta sempre così: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione”.

Sul passaporto invisibile del sacerdote, quello con cui si presenta ogni giorno al cospetto di Dio e del suo popolo, alla voce “professione”, si dovrebbe poter leggere: “Servo di Gesù Cristo”. Tutti i cristiani sono naturalmente servi di Cristo, ma il sacerdote lo è a un titolo e in un senso tutto particolare, come tutti i battezzati sono sacerdoti, ma il ministro ordinato lo è a un titolo e in un senso diverso e superiore.

2. Continuatori dell’opera di Cristo

Il servizio essenziale che il sacerdote è chiamato a rendere a Cristo è continuare la sua opera nel mondo: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). Il papa san Clemente, nella sua famosa Lettera ai Corinzi, commenta: “Cristo è mandato da Dio e gli Apostoli da Cristo… Essi, predicando dappertutto in campagna ed in città, nominarono i loro primi successori, essendo stati messi alla prova dallo Spirito, per essere vescovi e diaconi". Cristo è mandato dal Padre, gli apostoli da Cristo, i vescovi dagli apostoli: è la prima enunciazione chiara del principio della successione apostolica.

Ma quella parola di Gesù non ha solo un significato giuridico e formale. Non fonda, in altre parole, solo il diritto dei ministri ordinati di parlare come “mandati” da Cristo; indica anche il motivo e il contenuto di questo mandato che è lo stesso per cui il Padre ha mandato il Figlio nel mondo. E perché Dio ha mandato il Figlio suo nel mondo? Anche qui rinunciamo a risposte globali, esaustive, per le quali bisognerebbe leggere tutto il vangelo; solo qualche dichiarazione programmatica di Gesù.

Davanti a Pilato egli afferma solennemente: “Per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità” (Gv 18,37). Continuare l’opera di Cristo comporta dunque per il sacerdote un rendere testimonianza alla verità, far brillare la luce del vero. Solo bisogna tener conto del duplice significato della parola verità, aletheia, in Giovanni. Esso oscilla tra la realtà divina e la conoscenza della realtà divina, tra un significato ontologico o oggettivo e uno gnoseologico o soggettivo. Verità è “la realtà eterna in quanto rivelata agli uomini, riferibile sia alla realtà stessa che alla sua rivelazione”[1].

L’interpretazione tradizionale ha inteso “verità” soprattutto nel senso di rivelazione e conoscenza della verità; in altre parole, come verità dogmatica. Questo è un compito certamente essenziale. La Chiesa, nel suo insieme, lo assolve per mezzo del magistero, dei concili, dei teologi, e il singolo sacerdote predicando al popolo la “sana dottrina”.

Non bisogna però dimenticare l’altro significato giovanneo di verità: quello di realtà conosciuta, più che conoscenza della realtà. In questa luce, il compito della Chiesa e del singolo sacerdote non si limita a proclamare le verità della fede, ma deve aiutare a farne l’esperienza, a entrare in un contatto intimo e personale con la realtà di Dio, mediante lo Spirito Santo.

“La fede, ha scritto san Tommaso d’Aquino, non termina all’enunciato, ma alla cosa” (“Fides non terminatur ad enuntiabile sed ad rem”). Parimenti, i maestri della fede non possono accontentarsi di insegnare le cosiddette verità di fede, devono aiutare le persone ad attingere la “cosa”, a non avere soltanto una idea di Dio, ma a fare l’esperienza di lui, secondo il senso biblico di conoscere, diverso, come è noto, da quello greco e filosofico.

Altra dichiarazione programmatica di intenti è quella che Gesù pronuncia davanti a Nicodemo: “Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3, 16). Questa frase va letta alla luce di quella che la precede immediatamente: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”. Gesù è venuto a rivelare agli uomini la volontà salvifica e l’amore misericordioso del Padre. Tutta la sua predicazione è riassunta nella parola che rivolge ai discepoli nell’ultima cena: “Il Padre vi ama!” (Gv 16, 27).

Essere continuatore nel mondo dell’opera di Cristo significa fare proprio questo atteggiamento di fondo nei confronti della gente, anche dei più lontani. Non giudicare, ma salvare. Non dovrebbe passare inosservato il tratto umano sul quale la Lettera agli Ebrei maggiormente insiste nel delineare la figura di Cristo sommo Sacerdote e di ogni sacerdote: la simpatia, il senso di solidarietà, la compassione nei confronti del popolo.

Di Cristo è detto: “Non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato”. Del sacerdote umano si afferma che “preso tra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati; così può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch'egli è soggetto a debolezza; ed è a motivo di questa che egli è obbligato a offrire dei sacrifici per i peccati, tanto per se stesso quanto per il popolo” (Eb 4,15-5,3).

È vero che Gesù, nei vangeli, si mostra anche severo, giudica e condanna, ma con chi lo fa? Non con la gente semplice, che lo seguiva e veniva ad ascoltarlo, ma con gli ipocriti, gli autosufficienti, i maestri e le guide del popolo. Gesù non era davvero, come si dice di certi uomini politici : “forte con i deboli e debole con i forti”. Tutto il contrario!

3. Continuatori, non successori

Ma in che senso possiamo parlare dei sacerdoti come continuatori dell’opera di Cristo? In ogni istituzione umana, come era a quel tempo l’impero romano e come sono oggi gli ordini religiosi e tutte le imprese mondane, i successori continuano l’opera, ma non la persona del fondatore. Questi a volte viene corretto, superato e perfino sconfessato. Non così la Chiesa. Gesù non ha successori perché non è morto, ma vivo; “risorto da morte, la morte non ha più potere su di lui”.

Quale sarà allora il compito dei suoi ministri? Quello di rappresentarlo, cioè di renderlo presente, di dare forma visibile alla sua presenza invisibile. In questo consiste la dimensione profetica del sacerdozio. Prima di Cristo la profezia consisteva essenzialmente nell’annunciare una salvezza futura, “negli ultimi giorni”, dopo di lui consiste nel rivelare al mondo la presenza nascosta di Cristo, nel gridare come Giovanni Battista: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete”.

“Un giorno alcuni greci si rivolsero all’apostolo Filippo con la domanda: “Vorremmo vedere Gesù!” (Gv 12, 21); la stessa domanda, più o meno esplicita, ha nel cuore chi si avvicina oggi al sacerdote.

San Gregorio Nisseno ha coniato un’espressione famosa, che viene di solito applicata all’esperienza dei mistici: “Sentimento di presenza" [2] Il sentimento di presenza è più che la semplice fede nella presenza di Cristo; è avere il sentimento vivo, la percezione quasi fisica, della sua presenza di Risorto. Se questo è proprio della mistica, allora vuol dire che ogni sacerdote deve essere un mistico, o almeno un “mistagogo”, uno che introduce le persone al mistero di Dio e di Cristo, come tenendole per mano.

Il compito del sacerdote non è diverso, anche se subordinato, rispetto a quello che il Santo Padre additava come priorità assoluta del Successore di Pietro e della Chiesa intera nella lettera indirizzata ai Vescovi il 10 Marzo scorso:

“Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto… Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo”.

4. Servi e amici

Ma ora dobbiamo fare un passo avanti nella nostra riflessione. “Servi di Gesù Cristo!”: questo titolo non dovrebbe mai stare da solo; ad esso si deve affiancare sempre, almeno, nel fondo del proprio cuore, un altro titolo: quello di amici!

La radice comune di tutti i ministeri ordinati che si delineeranno in seguito è la scelta che Gesù fece un giorno dei Dodici; questo è ciò che, dell’istituzione sacerdotale, risale al Gesù storico. La liturgia colloca, è vero, l’istituzione del sacerdozio il Giovedì Santo, a causa della parola che Gesù pronunciò dopo l’istituzione dell’Eucaristia: “Fate questo in memoria di me”. Ma anche questa parola presuppone la scelta dei Dodici, senza contare che, presa da sola, giustificherebbe il ruolo di sacrificatore e liturgo del sacerdote, ma non quello, altrettanto fondamentale, di annunciatore del vangelo.

Ora, che cosa disse in quella circostanza Gesù? Perché scelse i Dodici, dopo aver pregato tutta la notte? “Ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare” (Mc 3,14-15). Stare con Gesù e andare a predicare: stare e andare, ricevere e dare: c’è in poche parole l’essenziale del compito dei collaboratori di Cristo.

Stare “con” con Gesù non significa evidentemente solo una vicinanza fisica; c’è già, in nuce, tutta la ricchezza che Paolo racchiuderà nella formula pregnante “in Cristo” o “con Cristo”. Significa condividere tutto di Gesù: la sua vita itinerante, certo, ma anche i suoi pensieri, gli scopi, lo spirito. La parola compagno viene dal latino medievale e significa colui che ha in comune (con-) il pane (panis), che mangia lo stesso pane.

Nei discorsi di addio, Gesù fa un passo avanti, completando il titolo di compagni con quello di amici: “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Gv 15.15).

C’è qualcosa di commovente in questa dichiarazione d’amore di Gesù. Ricorderò sempre il momento in cui fu dato anche a me, per un istante, di conoscere qualcosa di questa commozione. In un incontro di preghiera qualcuno aveva aperto la Bibbia e aveva letto quel brano di Giovanni. La parola “amici” mi raggiunse a una profondità mai sperimentata; smosse qualcosa nel profondo di me, tanto che per tutto il resto della giornata andavo ripetendo tra me, pieno di stupore e di incredulità: Mi ha chiamato amico! Gesù di Nazareth, il Signore, il mio Dio! Mi ha chiamato amico! Io sono suo amico! E mi pareva che si potesse volare sui tetti della città e attraversare anche il fuoco, con quella certezza.

Quando parla dell’amore di Gesù Cristo san Paolo appare sempre “commosso”: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rom 8, 35), “Mi ha amato e ha dato se stesso per me!” (Gal 2, 20). Noi siamo portati a diffidare della commozione e perfino a vergognarcene. Non sappiamo di quale ricchezza ci priviamo. Gesù “si commosse profondamente” e pianse davanti alla vedova di Nain (cf Lc 7, 13) e alle sorelle di Lazzaro (cf Gv 11, 33.35). Un sacerdote capace di commuoversi quando parla dell’amore di Dio e della sofferenza di Cristo o raccoglie la confidenza di un grande dolore, convince meglio che con infiniti ragionamenti. Commuoversi non significa necessariamente mettersi a piangere; è qualcosa che si avverte negli occhi, nella voce. La Bibbia è piena del pathos di Dio.

5. L’anima di ogni sacerdozio

Un rapporto personale, pieno di confidenza e di amicizia con la persona di Gesù è l’anima di ogni sacerdozio. In vista dell’anno sacerdotale mi sono riletto il libro di Dom Chautard “L’anima di ogni apostolato” che fece tanto bene e scosse tante coscienze negli anni anteriori al concilio. In un momento in cui c’era grande entusiasmo per le “opere parrocchiali”: cinema, ricreatori, iniziative sociali, circoli culturali, l’autore riportava bruscamente il discorso al cuore del problema, denunciando il pericolo di un attivismo vuoto. “Dio, scriveva, vuole che Gesù sia la vita delle opere”.

Non riduceva l’importanza delle attività pastorali, tutt’altro, affermava però che senza una vita di unione con Cristo, esse non erano che “stampelle”, o, come le definiva san Bernardo, “maledette occupazioni”. Gesù disse a Pietro: “Simone mi ami? Pasci le mie pecore”. L’azione pastorale di ogni ministro della Chiesa, dal papa all’ultimo sacerdote, non è che l’espressione concreta dell’amore per Cristo. Mi ami? Allora pasci! L’amore per Gesù è quello che fa la differenza tra il sacerdote funzionario e manager e il sacerdote servo di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio.

Il libro di Dom Chautard avrebbe potuto benissimo intitolarsi “L’anima di ogni sacerdozio”, perché è di lui che si parla, in pratica, in tutta l’opera, come agente e responsabile in prima linea della pastorale della Chiesa. A quel tempo, il pericolo a cui si intendeva reagire era il cosiddetto “americanismo”. L’Abate si rifà spesso, infatti, alla lettera di Leone XIII “Testem benevolentiae” che aveva condannato tale “eresia”.

Oggi questa eresia, se di eresia si può parlare, non è più solo “americana”, ma una minaccia che, anche a causa del diminuito numero dei sacerdoti, insidia il clero di tutta la Chiesa: si chiama attivismo frenetico. (Molte delle istanze, del resto, che provenivano in quel tempo dai cristiani degli Stati Uniti, e in particolare dal movimento creato dal servo di Dio Isaac Hecker, fondatore dei Paulist Fathers, bollate con il termine “americanismo”, per esempio la libertà di coscienza e la necessità di un dialogo con il mondo moderno, non erano eresie, ma istanze profetiche che il Concilio Vaticano II, in parte, farà proprie!).

Il primo passo, per fare di Gesù l’anima del proprio sacerdozio, è passare dal Gesù personaggio al Gesù persona. Il personaggio è uno del quale si può parlare a piacimento, ma al quale e con il quale nessuno si sogna di parlare. Si può parlare di Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone finché si vuole, ma se uno dicesse di parlare con qualcuno di essi, lo manderebbero subito da uno psichiatra. La persona, al contrario, è uno con il quale e al quale si può parlare. Finché Gesù rimane un insieme di notizie, di dogmi o di eresie, qualcuno che si colloca istintivamente nel passato, una memoria, non una presenza, è un personaggio. Bisogna convincersi che egli è vivo e presente, e più importante che parlare di lui, è parlare con lui.

Uno dei tratti più belli della figura del don Camillo di Guareschi, naturalmente tenendo conto del genere letterario adottato, è il suo parlare ad alta voce con il Crocifisso di tutte le cose che succedono nella parrocchia. Se prendessimo l’abitudine di farlo, così spontaneamente, con parole proprie, quante cose cambierebbe nella nostra vita sacerdotale! Ci accorgeremmo che non parliamo mai a vuoto, ma a qualcuno che è presente, ascolta e risponde, magari non ad alta voce come a Don Camillo.

6. Mettere al sicuro “le grosse pietre”

Come in Dio tutta l’opera esterna della creazione, sgorga dalla sua vita intima, “dall’incessante flusso del suo amore”, e come tutta l’attività di Cristo sgorga dal suo dialogo ininterrotto con il Padre, così tutte le opere del sacerdote devono essere il prolungamento della sua unione con Cristo. “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”, significa anche questo: “Io sono venuto nel mondo senza separarmi dal Padre, voi andate nel mondo senza separarvi da me”.

Quando questo contatto si interrompe, è come quando in una casa cade la corrente elettrica e tutto si ferma e rimane al buio, o, se si tratta del rifornimento idrico, i rubinetti non danno più acqua. Si sente dire talvolta: come starsene tranquilli a pregare quando tanti bisogni reclamano la nostra presenza? Come non correre, quando la casa brucia? E' vero, ma immaginiamo cosa succederebbe a una squadra di pompieri che accorresse, a sirene spiegate, per spegnere un incendio e poi, giunta sul posto, si accorgesse di non avere con sé, nei serbatoi, neppure una goccia d'acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare o ad altro ministero vuoti di preghiera e di Spirito Santo.

Ho letto da qualche parte una storia che mi sembra si applichi in modo esemplare ai sacerdoti. Un giorno, un vecchio professore fu chiamato come esperto a parlare sulla pianificazione più efficace del proprio tempo ai quadri superiori di alcune grosse compagnie nordamericane. Decise allora di tentare un esperimento. In piedi, tirò fuori da sotto il tavolo un grosso vaso di vetro vuoto. Insieme prese anche una dozzina di pietre grosse quanto palle da tennis che depose delicatamente una a una nel vaso fino a riempirlo. Quando non si poteva aggiungere più altri sassi, chiese agli allievi: «Vi sembra che il vaso sia pieno?» e tutti risposero «Si!».

Si chinò di nuovo e tirò fuori da sotto il tavolo una scatola piena di breccia che versò sopra le grosse pietre, movendo il vaso perché la breccia potesse infiltrarsi tra le pietre grosse fino al fondo. «È pieno questa volta il vaso?» chiese. Divenuti più prudenti, gli allievi cominciarono a capire e risposero: «Forse non ancora». Il vecchio professore si chinò di nuovo e tirò fuori questa volta un sacchetto di sabbia che versò nel vaso. La sabbia riempì gli spazi tra i sassi e la breccia. Quindi chiese di nuo­vo: «È pieno ora il vaso?». E tutti, senza esitare, risposero: «No!». Infatti il vecchio prese la caraffa che era sul tavolo e versò l’acqua nel vaso fino all’orlo.

A questo punto domanda: «Quale grande verità ci mo­stra questo esperimento?». Il più audace rispose: «Questo dimostra che anche quando la nostra agenda è completamente piena, con un po’ di buona volontà, si può sempre aggiungervi qualche impegno in più, qualche altra cosa da fare». «No» rispose il professore. «Quello che l’esperimento dimostra è che se non si mettono per primo le grosse pietre nel vaso, non si riuscirà mai a farvele entrare in seguito.» «Quali sono le grosse pietre, le priorità, nella vostra vita? La cosa importante è mettere queste grosse pietre per prime nella vostra agenda».

San Pietro ha indicato, una volta per tutte, quali sono le grosse pietre, le priorità assolute, degli apostoli e dei loro successori, vescovi e sacerdoti: “Quanto a noi, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola” (At 6,4).

Noi sacerdoti, più che chiunque altro, siamo esposti al pericolo di sacrificare l’importante all’urgente. La preghiera, la preparazione dell’omelia o alla Messa, lo studio e la formazione, sono tutte cose importanti, ma non urgenti; se si rimandano, apparentemente, non casca il mondo, mentre ci sono tante piccole cose - un incontro, una telefonata, un lavoretto materiale – che sono urgenti. Così si finisce per rimandare sistematicamente le cose importanti a un “dopo” che non arriva mai.

Per un sacerdote, mettere per prime nel vaso le pietre grosse, può significare molto concretamente, iniziare la giornata con un tempo di preghiera e di dialogo con Dio, in modo che le attività e gli impegni vari non finiscano per occupare tutto lo spazio.

Termino con una preghiera dell’abate Chautard che si trova stampata nel programma di queste meditazioni: “O Dio, date alla Chiesa tanti apostoli, ma ravvivate nel loro cuore una sete ardente di intimità con Voi e insieme un desiderio di lavorare per il bene del prossimo. Date a tutti un’attività contemplativa e una contemplazione operosa”. Così sia!




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1) H. Dodd, L’interpretazione del Quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974, p. 227.

2) Gregorio Nisseno, Sul Cantico, XI, 5, 2 (PG 44, 1001) (aisthesis parousias).
+PetaloNero+
00mercoledì 9 dicembre 2009 18:48
COMUNICATO: ALLACCIAMENTO DELLE RELAZIONI DIPLOMATICHE FRA LA SANTA SEDE E LA FEDERAZIONE RUSSA

La Santa Sede e la Federazione Russa, desiderose di promuovere i loro reciproci rapporti amichevoli, hanno deciso di comune accordo di stabilire tra di loro relazioni diplomatiche, a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Federazione Russa.
+PetaloNero+
00giovedì 10 dicembre 2009 16:31
RATIFICA DELL’ACCORDO TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA FEDERATIVA DEL BRASILE


Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, si è proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Federativa del Brasile, firmato il 13 novembre 2008.

Hanno proceduto allo scambio per la Santa Sede l’Ecc.mo Mons. Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporto con gli Stati, e per la Repubblica Federativa del Brasile Sua Eccellenza l’Ambasciatore Luiz Felipe de Seixas Corrêa, munito dei Pieni Poteri.

Hanno assistito al solenne atto:

per parte della Santa Sede: i Rev.mi Monsignori Fortunatus Nwachukwu, Capo del Protocollo, Antoine Camilleri e Angelo Accattino.

per parte della Repubblica Federativa del Brasile: la Dr.ssa Silvana Polich, il Dr. Orlando Timponi ed il Dr. Alexandre Campello de Siqueira, Consiglieri dell’Ambasciata presso la Santa Sede.

Hanno presenziato pure gli Em.mi Cardinali Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, e Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, nonché Mons. Lech Piechota e il Rev.do Roberto Lucchini.

L’Accordo, che consolida ulteriormente i tradizionali vincoli di amicizia e di collaborazione esistenti tra le due Parti, si compone di un Preambolo e di venti articoli, che disciplinano vari ambiti, tra i quali: lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Brasile, il riconoscimento dei titoli di studio, l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, il matrimonio canonico, il regime fiscale.

Con la cerimonia odierna l’Accordo entra in vigore.

Pubblichiamo di seguito i testi dei discorsi tenuti nella circostanza dall’Ecc.mo Monsignore Segretario per i Rapporti con gli Stati e da S.E. il Signor Ambasciatore della Repubblica Federativa del Brasile:


DISCORSO DI S.E. MONS. DOMINIQUE MAMBERTI

Eminenze Reverendissime,
Signor Ambasciatore,
Distinti membri della Delegazione brasiliana,
Reverendi Monsignori,

A distanza di poco più di un anno dalla firma, avvenuta il 13 novembre 2008, l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Federativa del Brasile entra in vigore con lo scambio degli Strumenti di Ratifica. Lungo tutta la storia repubblicana del Brasile, ma in modo particolare a partire dalla Costituzione del 1988, la Chiesa non ha mai cessato di esercitare liberamente la propria missione di annuncio del Vangelo, per il bene spirituale e materiale di ogni cittadino, in un quadro di vicendevole rispetto, autonomia e indipendenza tra Stato e Chiesa. La data di oggi è da considerarsi come il culmine di tali buoni rapporti, il raggiungimento di una meta segnata da tempo ed il suggello delle strette relazioni esistenti fra la Chiesa cattolica ed il Brasile. Fra gli elementi di maggior rilievo del presente Accordo, mi piace ricordare il definitivo riconoscimento della personalità giuridica delle istituzioni ecclesiastiche previste dall’ordinamento canonico, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, contestualmente a quello di altre confessioni religiose, la delibazione delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale, l’inserimento di spazi per l’edilizia religiosa nei piani regolatori e il riconoscimento dei titoli accademici ecclesiastici.

L’entrata in vigore dell’Accordo rappresenta, però, anche un punto di partenza. Esso prende le mosse proprio dall’attuale momento di ottimo stato delle relazioni diplomatiche bilaterali. Il consenso raggiunto in materie di mutuo interesse come quelle citate è il più chiaro segnale della volontà di continuare a lavorare insieme, con un nuovo strumento, per il conseguimento della formazione integrale di ogni persona, in quanto credente e in quanto cittadino.

L’Accordo non pregiudica la sussistenza e l’attività di tante Comunità religiose, cristiane e non cristiane, che in Brasile hanno trovato accoglienza, e neppure pone la Chiesa cattolica in una posizione privilegiata, come qualcuno potrebbe essere erroneamente indotto a pensare. Esso, piuttosto, garantisce la libertà che ad essa compete e tiene doverosamente in considerazione il singolare ruolo che la medesima Chiesa cattolica ha avuto nella formazione della coscienza e dell’identità culturale del Paese. Penso, ad esempio, alla figura del Beato José de Anchieta, S.I., esimia figura di religioso, giunto in Brasile dalle Isole Canarie come missionario. Mantenendosi sempre fedele al suo ruolo di annunciatore della Buona Novella, è divenuto figura di riferimento della poesia e della letteratura brasiliana. Il suo processo di canonizzazione, attualmente in corso, non può che essere un ulteriore motivo di sano orgoglio per ogni cittadino brasiliano.

L’auspicio, certamente condiviso, che sorge spontaneo è che le nostre relazioni bilaterali, già molto cordiali, da oggi abbiano un nuovo impulso per progredire ed intensificarsi.

Grazie.



DISCORSO DI S.E. IL SIG. LUIZ FELIPE DE SEIXAS CORRÊA

Il 13 novembre del 2008, in questa stessa Sala dei Trattati, Vostra Eccellenza, Monsignor Mamberti, ed il Ministro degli Esteri brasiliano, firmavate, in presenza del Presidente Luís Inácio Lula da Silva, allora in visita a Sua Santità Papa Benedetto XVI, e del Cardinale Tarcisio Bertone, l’Accordo sullo Statuto Giuridico della Chiesa Cattolica in Brasile. Nel discorso pronunciato in quell’occasione, il Ministro Celso Amorim, sottolineò che l’Accordo costituiva la cornice giuridica del nostro rapporto, l’impronta delle nostre relazioni, sempre basate sugli ideali di pace, giustizia e solidarietà, che condividiamo, Brasile e Santa Sede.

Oggi, poco più di un anno da quell’atto che può essere considerato storico nelle nostre relazioni, ho l’onore, a nome del Governo brasiliano, di procedere allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo.

Lunga è la storia dei nostri rapporti bilaterali. La Santa Sede riconobbe l’indipendenza del Brasile nel 1826, quattro anni dopo la proclamazione di Don Pietro I. Fino al 1889, il Brasile conservò il regime di patronato, così come ereditato dal Portogallo. Con la Proclamazione della Repubblica, si è prodotta la laicizzazione dello Stato. Da allora, si sono modernizzate le relazioni tra Stato e Chiesa, sempre mantenendo le sfumature positive che le caratterizzano.

Il Brasile è il paese con il maggior numero di cattolici al mondo, il maggior numero di vescovi e di diocesi. Un paese, un popolo e un governo che riconoscono e valorizzano il rilevante contributo della Chiesa Cattolica nel corso della nostra storia e dell’impegno quotidiano per la formazione di valori, per l’educazione a tutti i livelli, per il conforto spirituale, per la costituzione di reti di solidarietà sociale e per la costruzione del patrimonio culturale e artistico nazionale.

Mancava un accordo bilaterale che regolasse i vari aspetti dei nostri rapporti. Questa lacuna non esiste più. Firmato e approvato dalle due Camere del Congresso brasiliano e scambiati, oggi, gli strumenti di ratifica, null’altro manca per la sua entrata in vigore, dopo la promulgazione da parte del Presidente Lula da Silva, affinché si trasformi nell’elemento giuridico principale per la disciplina dei rapporti tra la Santa Sede ed il Brasile.

Il presente Accordo rappresenta il momento culminante di un negoziato iniziato nel settembre 2006, quando il Nunzio Apostolico a Brasilia, l’allora Cardinale Arcivescovo di São Paulo, Cláudio Hummes e l’alta direzione della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB), presentarono formalmente al Presidente Lula una proposta di Accordo. I negoziati, svoltisi in uno spirito di elevata concordia, hanno tardato circa due anni, essendo stati oggetto di sollecita attenzione da parte dei segmenti pertinenti del Governo brasiliano.

L’Accordo sullo Statuto della Chiesa Cattolica in Brasile riafferma, al tempo stesso, il concetto di laicità dello Stato ed il ruolo specifico della Chiesa nella società e nell’ordinamento giuridico brasiliani. Indubbiamente, trattasi di uno strumento rilevante per il Brasile, così come per la Santa Sede. Con l’Accordo, guadagna la Chiesa Cattolica una maggior sicurezza giuridica per la sue attività in Brasile e guadagna lo Stato brasiliano che stabilisce in uno strumento a carattere vincolante, un quadro chiaro e preciso per le sue relazioni con la Chiesa Cattolica, contrassegnato dall’assoluto rispetto dei canoni legali brasiliani.

Nel ribadire la soddisfazione del Governo brasiliano con la prossima entrata in vigore del nostro Accordo bilaterale, porgo voti affinché la sua implementazione contribuisca a rafforzare ancor di più i nostri reciprocamente vantaggiosi rapporti in tutti i settori di attività.

Molte grazie.
+PetaloNero+
00venerdì 11 dicembre 2009 16:55
COMUNICATO CONGIUNTO SULLA RIUNIONE PLENARIA DELLA COMMISSIONE BILATERALE PERMANENTE DI LAVORO TRA LA SANTA SEDE E LO STATO DI ISRAELE PRESSO IL PALAZZO APOSTOLICO VATICANO (10 DICEMBRE 2009)


La Riunione Plenaria della Commissione si è svolta in un’atmosfera di cordialità e di reciproca comprensione. La Delegazione della Santa Sede è stata guidata da Mons. Ettore Balestrero, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati, e la Delegazione dello Stato di Israele è stata guidata dal Sig. Daniel Ayalon, M.K, Vice-Ministro degli Affari Esteri.

La Plenaria ha preso nota di quanto è stato fatto dalla Commissione "di Lavoro" in seguito alla precedente Plenaria e ha dato indicazioni per il compito da effettuare in futuro.

Si è inoltre deciso di tenere la prossima riunione Plenaria il 27 maggio 2010, in Vaticano. La prossima riunione di lavoro avrà luogo il 7 gennaio 2010.

La Delegazione della Santa Sede era composta come segue:

- Monsignor Ettore Balestrero, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati nella Segreteria di Stato; Capo della Delegazione.

- S.E. Mons. Antonio Franco, Nunzio Apostolico in Israele,

- S.E. Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, Vicario del Patriarcato Latino;

- Mons. Maurizio Malvestiti, Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali;

- Mons. Alberto Ortega, Segreteria di Stato;

- P. David-Maria A. Jaeger, OFM, Consigliere Giuridico;

- P. Jacek Dobromir Jasztal, OFM;

- P. Pietro Felet, SCJ;

- Sig. Henry Amoroso, Secondo Consigliere Giuridico;

- Sig. Samir Abu-Nassar, CPA;

- P. Giovanni Caputa, SDB, Segretario.

La Delegazione di Israele era composta come segue:

- Sig. Daniel Ayalon, Vice-Ministro degli Affari Esteri; Capo della Delegazione.

- Mr. Shmuel Ben-Shmuel, Capo del Dipartimento per gli Affari Ebrei e Interreligiosi nel mondo, MAE;

- Sig. Mordechay Lewy, Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede;

- Sig. Ronen Gil-Or, Direttore del Dipartimento Legale, MAE;

- Sig. Bahij Mansour, Direttore del Dipartimento per gli Affari Religiosi, MAE;

- Sig. Moshe Golan, Vice- Procuratore di Stato, Responsabile per le questioni di Diritto Civile, Ministero della Giustizia;

- Sig. Oded Brook, Capo del Dipartimento per gli Affari Internazionali , Ministero delle Finanze;

- Sig.ra Klarina Shpitz, Capo dello Staff del Vice-Ministro degli Affari Esteri.
+PetaloNero+
00venerdì 11 dicembre 2009 16:56
PREDICA DI AVVENTO

Alle ore 9 di oggi, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la seconda Predica di Avvento sul tema: "Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1 Corinzi 4, 1) - Sacerdoti secondo il Cuore di Cristo.




Il sacerdote sia "il buon profumo di Cristo nel mondo!": così padre Cantalamessa nella seconda predica d'Avvento. Testo integrale



“Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo!”: è quanto ha detto stamani padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nella sua seconda predica dell’Avvento dedicata all’Anno sacerdotale, tenuta nella Cappella Redemptoris Mater, alla presenza del Papa e della Famiglia pontificia. Il religioso ha ricordato quindi l’avvertimento di San Paolo: ‘Abbiamo questo tesoro in vasi di terra’ (2 Cor 4,7). “Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza recente – ha aggiunto - cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: ‘Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini’ (Mt 5,13). La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui”. Ecco il testo integrale della predica di padre Cantalamessa:

Ministri della nuova alleanza dello Spirito

1. Il servizio dello Spirito
La volta scorsa abbiamo commentato la definizione che Paolo dà dei sacerdoti come “servitori di Cristo”. Nella Seconda Lettera ai Corinzi troviamo un’affermazione apparentemente diversa: Scrive: “Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica. Or se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?” (2 Cor 6-8). Paolo definisce se stesso e i suoi collaboratori “ministri dello Spirito” e il ministero apostolico un “servizio dello Spirito”. Il confronto con Mosè e il culto dell’antica alleanza, non lascia dubbio infatti che in questo passo, come in molti altri della stessa Lettera, egli parli del ruolo delle guide nella comunità cristiana, cioè degli apostoli e dei loro collaboratori.

Chi conosce il rapporto che c’è per Paolo tra Cristo e lo Spirito sa che non c’è contraddizione tra l’essere servitori di Cristo e l’essere ministri dello Spirito, ma continuità perfetta. Lo Spirito di cui si parla qui è infatti lo Spirito di Cristo. Gesù stesso spiega il ruolo del Paraclito nei suoi confronti, quando dice agli apostoli: egli prenderà del mio e ve lo annunzierà, egli vi farà ricordare ciò che vi ho detto, egli mi darà testimonianza…

La definizione completa del ministero apostolico e sacerdotale è: servitori di Cristo nello Spirito Santo. Lo Spirito indica la qualità o la natura del nostro servizio che è un servizio “spirituale” nel senso forte del termine; non solo cioè nel senso che ha per oggetto lo spirito dell’uomo, la sua anima, ma anche nel senso che ha per soggetto, o per “agente principale”, come diceva Paolo VI, lo Spirito Santo. Sant’Ireneo dice che lo Spirito Santo è “la nostra stessa comunione con Cristo” .
Poco sopra, nella stessa Seconda Lettera ai Corinzi, l’Apostolo aveva illustrato l’azione dello Spirito Santo nei ministri della nuova alleanza con il simbolo dell’unzione: “Or colui che con voi ci fortifica in Cristo e che ci ha unti, è Dio; egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2 Cor 1, 21 s.).

Tutti i cristiani sono “unti”; il loro stesso nome non significa altro che questo: “unti”, a somiglianza di Cristo, che è l’Unto per eccellenza (cf. 1 Gv 2, 20.27). Paolo però sta parlando qui dell’ opera sua e di Timoteo (“noi”) nei confronti della comunità (“voi”); è evidente perciò che si riferisce in particolare all’unzione e al sigillo dello Spirito ricevuti al momento di essere consacrati al ministero apostolico, per Timoteo mediante l’imposizione delle mani dell’Apostolo (cf. 2 Tim 1,6). Dobbiamo assolutamente riscoprire l’importanza dell’unzione dello Spirito perché in essa, sono convinto, è racchiuso il segreto dell’efficacia del ministero episcopale e presbiterale. I sacerdoti sono essenzialmente dei consacrati, cioè degli unti. “Nostro Signore Gesù -si legge nella Presbyterorum ordinis - che il Padre santificò e inviò nel mondo (Gv 10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto”. Lo stesso decreto conciliare si premura però di mettere subito in luce la specificità dell’unzione conferita dal sacramento dell’Ordine. Per esso, dice, “ i sacerdoti, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da una speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo Capo”.

2. L’unzione: figura, evento e sacramento
L’unzione, come l’Eucaristia e la Pasqua, è una di quelle realtà che sono presenti in tutte e tre le fasi della storia della salvezza. È presente infatti nell’Antico Testamento come figura, nel Nuovo Testamento come evento e nel tempo della Chiesa come sacramento. Nel nostro caso, la figura è data dalle varie unzioni praticate nell’Antico Testamento; l’evento è costituito dall’unzione di Cristo, il Messia, l’Unto, a cui tutte le figure tendevano come al loro compimento; il sacramento, è rappresentato da quell’insieme di segni sacramentali che prevedono un’unzione come rito principale o complementare. Nell’Antico Testamento si parla di tre tipi di unzione: l’unzione regale, sacerdotale e profetica e cioè unzione dei re, dei sacerdoti e dei profeti. In ognuna di queste tre unzioni, si delinea un orizzonte messianico, cioè l’attesa di un re, di un sacerdote e di un profeta che sarà l’Unto per antonomasia, il Messia. Insieme con l’investitura ufficiale e giuridica, l’unzione conferisce anche un reale potere interiore che viene sempre più chiaramente identificato con lo Spirito Santo. Nell’ungere Saul come re Samuele dice: “Ecco: il Signore ti ha unto capo sopra Israele suo popolo. Tu avrai potere sul popolo...Lo Spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta e sarai trasformato in un altro uomo” (1 Sam 10, 1.6). Il legame tra l’unzione e lo Spirito è soprattutto messo in luce nel noto testo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is. 61, 1).

Il Nuovo Testamento non ha esitazioni nel presentare Gesù come l’Unto di Dio, nel quale tutte le unzioni antiche hanno trovato il loro compimento. Il titolo di Messia, o Cristo, che significa, appunto, Unto, è la prova più chiara di ciò. L’evento storico a cui si fa risalire questo compimento è il battesimo di Gesù nel Giordano. L’effetto di questa unzione è lo Spirito Santo: “Dio ha unto di Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth” (At 10, 38); Gesù stesso, subito il suo battesimo, nella sinagoga di Nazareth dichiarerà: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4, 18). Gesù era certamente pieno di Spirito Santo fin dal momento dell’incarnazione, ma si trattava di una grazia personale, legata all’unione ipostatica, e perciò incomunicabile. Ora, nell’unzione, riceve quella pienezza di Spirito Santo che, come capo, potrà trasmettere al suo corpo. La Chiesa vive di questa grazia cosiddetta capitale (gratia capitis).
Gli effetti della triplice unzione sono grandiosi e immediati nel ministero di Gesù. In forza dell’unzione regale, egli abbatte il regno di satana e instaura il regno di Dio: “Se è con l'aiuto dello Spirito di Dio che io scaccio i demòni, è dunque giunto fino a voi il regno di Dio” (Mt 12.28); in forza dell’unzione profetica, egli “annuncia la buona novella ai poveri”; in forza dell’unzione sacerdotale, offre preghiere e lacrime durante la sua vita terrena e alla fine offre se stresso sulla croce.

Dopo essere stata presente nell’Antico Testamento come figura e nel Nuovo Testamento come evento, l’unzione è presente ora nella Chiesa come sacramento. Più che un sacramento unico, l’unzione è presente nella Chiesa come un insieme di riti sacramentali. Come sacramenti a se stanti, abbiamo la cresima (che attraverso tutte le trasformazioni subite, risale, come attesta il nome, all’antico rito dell’unzione con il crisma) e l’unzione degli infermi; come parte di altri sacramenti abbiamo: l’unzione battesimale e l’unzione nel sacramento dell’ordine. La preghiera che accompagna l’unzione che segue il battesimo, fa riferimento esplicito alla triplice unzione di Cristo, dicendo: “Egli stesso vi consacra con il crisma di salvezza; inseriti in Cristo sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna”.

Di tutte queste unzioni, a noi interessa in questo momento quella che accompagna il conferimento dell’Ordine sacro. Nel momento in cui unge con il sacro crisma le palme di ciascuno ordinato inginocchiato davanti a lui, il vescovo pronuncia queste parole: "Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l'offerta del sacrificio". Ancora più esplicito il riferimento all’unzione di Cristo nella consacrazione episcopale. Ungendo di olio profumato il capo del nuovo vescovo il vescovo ordinante dice: “Dio, che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di Cristo, effonda su di te la sua mistica unzione e con l’abbondanza della sua benedizione dia fecondità al tuo ministero”.

3. L’unzione spirituale
C’è però un rischio, che è comune, del resto, a tutti i sacramenti: quello di fermarsi all’aspetto rituale e canonico dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non dare abbastanza importanza alla “res sacramenti”, all’effetto spirituale, alla grazia propria del sacramento, in questo caso al frutto dell’unzione nella vita del sacerdote. L’unzione sacramentale ci abilita a compiere certe azioni sacre, come governare, predicare, istruire; ci dà, per così dire, l’autorizzazione a fare certe cose, non necessariamente l’autorità o autorevolezza nel farle; assicura la successione apostolica, non necessariamente il successo apostolico!

L’unzione sacramentale, con il carattere indelebile (il “sigillo”!) che imprime nel sacerdote, è una risorsa dalla quale possiamo attingere ogni volta che ne sentiamo il bisogno, che possiamo, per così dire, attivare in ogni momento del nostro ministero. Si attua anche qui quella che in teologia si chiama la “reviviscenza” del sacramento. Il sacramento, ricevuto in passato, “reviviscit”, torna a rivivere e a sprigionare la sua grazia: nei casi estremi perché viene tolto l’ostacolo del peccato (l’obex), in altri casi perché viene rimossa la patina dell’abitudine e si intensifica la fede nel sacramento. Succede come con un flacone di profumo. Noi possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano finché vogliamo, ma se non lo apriamo il profumo non si effonde, è come se non ci fosse.
Come è nata questa idea di una unzione attuale? Una tappa importante è costituita, ancora una volta, da Agostino. Giovanni nella Prima lettera scrive: “L'unzione che avete ricevuta da lui rimane in voi, e non avete bisogno dell'insegnamento di nessuno; ma siccome la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera, e non è menzogna, rimanete in lui come essa vi ha insegnato” (1 Gv 2,27). Agostino interpreta queste parole nel senso di un’unzione continuata, grazie alla quale lo Spirito Santo, maestro interiore, ci permette di comprendere dentro ciò che ascoltiamo all’esterno. A lui risale l’espressione “unzione spirituale”, spiritalis unctio, accolta nell’inno Veni creator.
Una nuova fase nello sviluppo del tema dell’unzione si apre con san Bernardo e san Bonaventura. Con essi si afferma la nuova accezione, spirituale e moderna di unzione, non legata tanto al tema della conoscenza della verità, quanto a quello dell’esperienza della realtà divina. Iniziando a commentare il Cantico dei cantici, san Bernardo dice: “Un siffatto cantico, solo l’unzione lo insegna, solo l‘esperienza lo fa comprendere” . San Bonaventura identifica l’unzione con la devozione, concepita da lui come “un sentimento soave d’amore verso Dio suscitato dal ricordo dei benefici di Cristo”. Essa non dipende dalla natura, né dalla scienza, né dalle parole o dai libri, ma “dal dono di Dio che è lo Spirito Santo”.

Ai nostri giorni, si usano sempre più spesso i termini unto e unzione (anointed, anointing) per descrivere l’agire di una persona, la qualità di un discorso, di una predica, ma con una differenza di accento. Nel linguaggio tradizionale, l’unzione suggerisce, come si è visto, soprattutto l’idea di soavità e dolcezza, tanto da dar luogo, nell’uso profano, all’accezione negativa di “eloquio o atteggiamento mellifluo e insinuante, spesso ipocrita”, e all’aggettivo “untuoso”, nel senso di “persona o atteggiamento sgradevolmente cerimonioso e servile”.

Nell’uso moderno, più vicino a quello biblico, essa suggerisce piuttosto l’idea di potere e forza di persuasione. Una predica piena di unzione è una predica in cui si percepisce, per così dire, il fremito dello Spirito; un annuncio che scuote, che convince di peccato, che arriva al cuore della gente. Si tratta di una componente squisitamente biblica del termine, presente per esempio nel testo degli Atti, in cui si dice che Gesù “fu unto in Spirito e potenza” (At 10, 38). L’unzione, in questa accezione, appare più un atto che uno stato. È qualcosa che la persona non possiede stabilmente, ma che sopraggiunge su di essa, la “investe” sul momento, nell’esercizio di un certo ministero o nella preghiera. Se l’unzione è data dalla presenza dello Spirito ed è dono suo, che possiamo fare noi per averla? Anzitutto pregare. C’è una promessa esplicita di Gesù: “Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 11,13). Poi rompere anche noi il vaso di alabastro come la peccatrice in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo. Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente a lui.

4. Come ottenere l’unzione dello Spirito
Applichiamo ora alla vita del sacerdote questo ricchissimo contenuto biblico e teologico legato al tema dell’unzione. San Basilio dice che lo Spirito Santo “fu sempre presente nella vita del Signore, divenendone l’unzione e il compagno inseparabile”, così che “tutta l’attività di Cristo si svolse nello Spirito”. Avere l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come “compagno inseparabile” nella vita, fare tutto “nello Spirito”, alla sua presenza, con la sua guida. Essa comporta una certa passività, un essere agiti, mossi, o, come dice Paolo, un “lasciarsi guidare dallo Spirito” (cf. Gal 5,18).
Tutto questo si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma, pace, dolcezza, devozione, commozione, ora in autorità, forza, potere, autorevolezza, a seconda delle circostanze, del carattere di ognuno e anche dell’ufficio che ricopre. È una condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità e padronanza nel fare le cose. Un po’ come è la “forma” per l’atleta e l’ispirazione per il poeta: uno stato in cui si riesce a dare il meglio di sé.

Noi sacerdoti dovremmo abituarci a chiedere l’unzione dello Spirito prima di accingerci a un’azione importante a servizio del regno: una decisione da prendere, una nomina da fare, un documento da scrivere, una commissione da presiedere, una predica da preparare. Io l’ho appreso a mie spese. Mi sono trovato a volte a dover parlare a un vasto uditorio, in una lingua straniera, magari appena arrivato da un lungo viaggio. Buio totale. La lingua in cui dovevo parlare mi sembrava di non averla mai conosciuta, incapacità di concentrarmi su uno schema, un tema. E il canto iniziale stava per finire…Allora mi sono ricordato dell’unzione e in fretta ho fatto una breve preghiera: “Padre, nel nome di Cristo, ti chiedo l’unzione dello Spirito!”

A volte, l’effetto è immediato. Si sperimenta quasi fisicamente la venuta su di sé dell’unzione. Una certa commozione attraversa il corpo, chiarezza nella mente, serenità nell’anima; scompare la stanchezza, il nervosismo, ogni paura e ogni timidezza; si sperimenta qualcosa della calma e dell’autorità stessa di Dio. Molte mie preghiere, come, penso, quelle di ogni cristiano, sono rimaste inascoltate, quasi mai però questa per l’unzione. Pare che davanti a Dio abbiamo una specie di diritto di reclamarla.

5. Unti per diffondere nel mondo il buon odore di Cristo
Nello stesso contesto della 2 Corinzi, l’Apostolo, sempre riferendosi al ministero apostolico, sviluppa la metafora dell’unzione con quella del profumo che ne è l’effetto; scrive: “Siano rese grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo” ( 2 Cor 2, 14-15). Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo: “Abbiamo questo tesoro in vasi di terra” (2 Cor 4,7). Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13). La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui. Anche per rispondere a questa situazione il Santo Padre ha indetto il presente anno sacerdotale. Lo dice apertamente nella lettera di indizione: “ Ci sono purtroppo anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà dei alcuni suoi ministri. È il mondo a trarre allora motivo di scandalo e di rifiuto”. La lettera del papa non si ferma però a questa costatazione; aggiunge infatti: “Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi pastori, di Religiosi, ardenti di amore per Dio e per le anime” .

La rilevazione delle debolezze va fatta, naturalmente, anch’essa, per rendere giustizia alle vittime e la Chiesa ora lo riconosce e la attua come meglio può, ma va fatta in altra sede e, in ogni caso, non è da essa che verrà lo slancio per un rinnovamento del ministero sacerdotale. Io ho pensato a questo ciclo di meditazioni sul sacerdozio proprio come un piccolo contributo nel senso auspicato dal Santo Padre. Vorrei, al posto mio, far parlare il mio Serafico Padre san Francesco. In un tempo in cui la situazione morale del clero non era certo migliore di quella di oggi, egli, nel suo Testamento, scrive:

“Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri”.

Paolo parlava della “gloria” dei ministri della Nuova Alleanza dello Spirito, immensamente più alta di quella antica. Questa gloria non viene dagli uomini e non può essere distrutta dagli uomini. Il Santo Curato d’Ars diffondeva certamente intorno a sé il buon odore di Cristo; più vicino a noi, Padre Pio da Petrelcina diffondeva il profumo di Cristo, a volte un profumo anche fisico, come è attestato da innumerevoli persone degne di fede. Tanti sacerdoti, ignorati dal mondo, sono nel loro ambiente il buon odore di Cristo e del vangelo.

Il Padre Lacordaire ha tracciato un profilo del sacerdote cattolico, che può apparire oggi un po’ troppo ottimistico e idealizzato, ma ritrovare l’ideale e l’entusiasmo per ministero sacerdotale è precisamente la cosa che ci occorre in questo momento e perciò lo riascoltiamo a conclusione della presente meditazione:

“Vivere in mezzo al mondo senza alcun desiderio per i suoi piaceri; essere membro di ogni famiglia, senza appartenere ad alcuna di esse; condividere ogni sofferenza, essere messo a parte di ogni segreto, guarire ogni ferita; andare ogni giorno dagli uomini a Dio per offrirgli la loro devozione e le loro preghiere, e tornare da Dio agli uomini per portare a essi il suo perdono e la sua speranza; avere un cuore di acciaio per la castità e un cuore di carne per la carità; insegnare e perdonare, consolare e benedire ed essere benedetto per sempre. O Dio, che genere di vita è mai questo? È la tua vita, o sacerdote di Gesù Cristo!”.
+PetaloNero+
00lunedì 14 dicembre 2009 17:38
COMUNICATO: 2a RIUNIONE DEL CONSIGLIO PER IL MEDIO ORIENTE DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

Nei giorni 24 - 25 novembre 2009 si è svolta a Roma la seconda riunione del Consiglio Presinodale per l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Hanno partecipato le LL. Beatitudini i Cardinali Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca d’Antiochia dei Maroniti ; Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei ; le LL. Eminenze i Cardinali Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; le LL. Beatitudini Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti; Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri; Gregorios III Laham, b.s., Patriarca di Antiochia dei Greco Melkiti; Nerses Bedros XIX Tarmouni, Patriarca di Cilicia degli Armeni; Fouad Twal, Patriarca di Gerusalemme dei Latini; S.E. Mons. Ramzi Garmou, Arcivescovo di Teheran dei Caldei, Presidente della Conferenza Episcopale d’Iran; S.E. Mons. Luigi Padovese, o.f.m. cap., Vicario Apostolico dell’Anatolia, Vescovo tit. di Monteverde, Presidente della Conferenza Episcopale di Turchia.

Nella prolusione, l’Ecc.mo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Mons. Nikola Eterović, ha posto al centro il tema della testimonianza, rifacendosi all’Esortazione Apostolica Postsinodale pubblicata nel 1997, a seguito dell’Assemblea Speciale per il Libano. In quella vasta regione che comprende anche la Terra in cui si compirono i misteri della nostra redenzione, i cristiani sono chiamati ad essere testimoni della morte e risurrezione di Cristo in virtù del dono dello Spirito, che ispira i credenti ad agire non individualmente, ma in comunione ed unità con tutta la Chiesa.

Nell'azione evangelizzatrice, ha continuato mons. Eterović, occorre far conoscere alle nuove generazioni il grande patrimonio di fede e di testimonianza delle singole Chiese e questo compito investe tutte le categorie ecclesiali: Vescovi, sacerdoti, diaconi, persone consacrate, fedeli laici, cattolici della diaspora, nelle diverse situazioni e ambienti di vita, come sono la famiglia, gli istituti di scienze religiose, le istituzioni educative e anche quelle sanitarie.

L’ordine del giorno della riunione prevedeva, dopo il saluto e l’introduzione del Segretario Generale, le comunicazioni dei singoli Membri sulla situazione ecclesiale nel contesto socio-politico nelle regioni mediorientali e soprattutto lo studio del progetto dei Lineamenta per l’Assemblea stessa, che si svolgerà dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema: «La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza. ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola’ (At 4, 32)».

Un’articolata ed accurata discussione, svolta in due gruppi di lavoro distinti, che hanno successivamente integrato le rispettive proposte, ha permesso di elaborare un testo che ormai è prossimo alla stesura finale.

I partecipanti all’incontro hanno dedicato ampio spazio anche al tema dell’approfondimento della comunione nella Chiesa Cattolica e, in particolare, nelle e tra le Chiese Patriarcali e il Patriarcato Latino di Gerusalemme, come pure nelle Conferenze Episcopali dei Paesi del Medio Oriente.

Di grande importanza è favorire sempre più la comunione, reale sebbene ancora non piena, con le altre Chiese e comunità ecclesiali.

I Membri del Consiglio non hanno tralasciato il tema dei rapporti con ebrei e musulmani, insistendo soprattutto sulla necessità di dialogo e di collaborazione in vari campi di attività sociale e culturale.

Al termine della riunione si è invocata l’intercessione della Beata Vergine Maria sui lavori di preparazione dell’Assise Sinodale. Il prossimo incontro è stato fissato per i giorni 23 e 24 aprile 2010.
+PetaloNero+
00martedì 15 dicembre 2009 15:53
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 43ª GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2010)

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 43ª Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2010) sul tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.
Intervengono l’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino, Presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Mario Toso, S.D.B., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; Dott. Tommaso Di Ruzza, Officiale del medesimo Pontificio Consiglio.
Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino:


INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

Il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della 43° Giornata Mondiale della Pace, ci invita a riflettere su un tema che interpella l’umanità intera: "Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato". Tema di notevole attualità e che sviluppa in maniera coerente il "Magistero di pace" che Benedetto XVI ci va donando con i Suoi Messaggi annuali.

Il Santo Padre infatti - dopo essersi soffermato sul tema della pace intesa come dono di Dio nella Verità (2006); come frutto del rispetto della persona umana (2007); come espressione della comunione della famiglia umana (2008), chiamata ad eliminare ogni forma di povertà, materiale ed immateriale (2009) - seguendo un ideale "itinerario di pace", giunge al contesto in cui l’umanità riceve la vocazione alla pace: il creato.

Una "visione cosmica" della pace

Emerge allora un primo essenziale aspetto del Messaggio di Benedetto XVI, il quale ci propone una visione cosmica della pace, intesa cioè come tranquillitas ordinis (tranquillità dell’ordine stabilito da Dio), che si realizza in uno stato di armonia tra Dio, l’umanità e il creato.

In tale prospettiva il degrado ambientale esprime, non solo, una rottura dell’equilibrio tra l’umanità e il creato, ma un più profondo deterioramento dell’unione tra l’umanità e Dio. Riflettere sulla crisi ecologica, significa allora riflettere su una "crisi interiore" al creato che interpella direttamente l’uomo, al quale Dio ha affidato il mandato di "custodire e coltivare" il creato (Gn 2,15).

L’urgenza di agire

Nel solco della dottrina sociale della Chiesa e, in particolare, del Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II - il quale nel 1990 dedicò il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace al tema: "Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato" - Benedetto XVI denuncia una vera e propria crisi ecologica: «Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti "profughi ambientali": persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare - spesso insieme ai loro beni - per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire ai conflitti in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo» (n. 4).

Dinanzi a tali sfide, il Santo Padre non propone tuttavia soluzioni tecniche e non si intromette nelle politiche governative. Egli richiama piuttosto l’impegno della Chiesa nella difesa della terra, dell’acqua e dell’aria, che sono doni del Creatore all’umanità, ed esorta ad un riequilibrio del rapporto tra il Creatore, l’umanità e il creato (n. 4).

Prospettive per un "comune cammino" dell’umanità

Benedetto XVI indica perciò alcuni punti essenziali di un possibile cammino per la costruzione della pace nel rispetto del creato.

a) Una visione non riduttiva della natura e dell’uomo

Il Santo Padre invita anzitutto a coltivare una visione non riduttiva della natura e dell’uomo: «Quando la natura e … l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità. Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo» (n. 2). La bellezza del creato è un permanente invito a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che "move il sole e l’altre stelle" (n. 2). «Quando l’uomo» - prosegue Benedetto XVI - «invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, "piuttosto tiranneggiata che governata da lui"» (n. 6).

Ciò spiega la perplessità della Chiesa dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, poiché «tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della «dignità» di tutti gli esseri viventi» (n. 13).

b) Un profondo rinnovamento culturale

Il Messaggio pontificio esorta poi ad un profondo rinnovamento etico e culturale. «Le situazioni di crisi» - afferma Benedetto XVI - «siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale -, sono, in fondo, anche crisi morali» (n. 5). Esse - prosegue il Santo Padre - «chiamano in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili» (n. 11). «Solo così la crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità» (n. 5).

c) Tutti siamo responsabili della cura del creato

«Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale responsabilità non conosce frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, è importante che ciascuno si impegni al livello che gli corrisponde» (n. 11). In tale contesto riveste una fondamentale importanza l’educazione all’ecologia, da svolgere anzitutto nel contesto della famiglia (n. 12). Il Santo Padre sottolinea inoltre il prezioso contributo delle Organizzazioni non governative: «che si prodigano con determinazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologica» (n. 11).

d) Una revisione profonda del modello di sviluppo

Una speciale responsabilità grava tuttavia sui responsabili a livello nazionale e internazionale. L’invito del Santo Padre è perciò quello di: «operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni» (n. 5).

Già nella Caritas in veritate, Benedetto XVI ha sottolineato che: «Ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale»1 Egli auspica perciò: «l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, e … sulla prudenza» (n. 9).

Nel fare ciò, «l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica» (n. 10). La scienza e la tecnica non sono tuttavia capaci, da sole, a risolvere la crisi ecologica, che ha profonde radici culturali ed etiche. Anche esse vanno collocate nel contesto del «mandato di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio».2

e) Coerenza alla destinazione universale dei beni

«Purtroppo» - osserva Benedetto XVI - «si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza o del rifiuto, da parte di tanti, di esercitare un governo responsabile sull’ambiente» (n. 7). «L’eredità del creato appartiene» - prosegue il Santo Padre - «all’intera umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente ma soprattutto per quelle future» (n. 7).

f) Necessità di una rinnovata solidarietà inter- ed intra-generazionale

La crisi ecologica mostra allora la necessità di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo: «i costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni future. … Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future» (n. 8). In maniera speculare vi è inoltre l’urgente necessità di una solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente sviluppati, senza alimentare visioni parziali che tendano ad estremizzare alcune responsabilità rispetto ad altre.

Come afferma Benedetto XVI, «è infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti» (n. 8).

g) Uno utilizzo equilibrato delle risorse energetiche

«Uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comunità internazionale», afferma il Santo Padre, «è quello delle risorse energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future» (n. 9). A tale scopo: «occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la «ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi» (n. 9).

Speranza nell’intelligenza e nella dignità nell’uomo

In sintesi, Benedetto XVI ci offre una lettura realistica e assai problematica, eppure mai catastrofica della realtà e dell’attuale crisi ecologica. Il Santo Padre sottolinea gli effetti negativi della condotta umana, ma senza mai perdere la speranza nell’intelligenza e nella dignità dell’uomo, che, insegna Tommaso d’Aquino, «significa quanto di più nobile c’è nell’universo».3

In maniera illuminante, Benedetto XVI osserva che: «La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune» (n. 10).

Il Santo Padre rigetta quindi i due estremi dell’ego-centrismo, che consentirebbe all’uomo di tiranneggiare sul creato, e dell’eco-centrismo, che priverebbe l’uomo della sua trascendente e superiore dignità. Quello indicato dal Santo Padre è un percorso di profondo equilibrio, interiore ed esteriore, tra il Creatore, l’umanità e il creato.

San Francesco d’Assisi testimone di armonia nel creato

La scelta di Benedetto XVI di dedicare il Messaggio al tema dell’ecologia non è casuale. Quest’anno ricorre infatti il 30° anniversario della proclamazione di San Francesco d’Assisi a Patrono dei cultori dell’ecologia.4 «Amico dei poveri, amato dalle creature di Dio», affermò Giovanni Paolo II, «Egli invitò tutti - animali, piante, forze naturali - a onorare e lodare il Signore. Dal Poverello di Assisi ci viene la testimonianza che, essendo in pace con Dio, possiamo meglio dedicarci a costruire la pace con tutto il creato, la quale è inseparabile dalla pace tra i popoli».5

Il Cantico delle creature di San Francesco offre una testimonianza attuale anche nella complessità di oggi. L’amore per il creato, se proiettato in un orizzonte spirituale, può condurre l’uomo alla fratellanza con il prossimo e all’unione con Dio.

Guardando all’esempio del Poverello di Assisi, impariamo ad amare il creato, ed a scorgere in esso l’amore infinito del Creatore: «Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature; Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore; Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate».

Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato!

_____________________________________

1 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 37.

2 Id. supra nota 1, 69.

3 TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 29. a. 3.

4 GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Inter Sanctos.

5 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1990, 16.





www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=1154&sett...

+PetaloNero+
00giovedì 17 dicembre 2009 22:17
COMUNICATO DEL GOVERNATORATO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

Nella mattinata di oggi, 17 dicembre 2009, a Bruxelles, è stata sottoscritta la Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea.

A nome della Santa Sede in quanto rappresentante dello Stato della Città del Vaticano, ha firmato S.E. Mons. André Dupuy, Nunzio Apostolico presso l’Unione Europea, mentre il Signor Joaquín Almunia, Membro della Commissione europea, ha firmato per conto dell’Unione Europea.

Le disposizioni della nuova Convenzione, che sostituisce la Convenzione monetaria del 29 dicembre 2000, con la quale si introduceva nello Stato della Città del Vaticano l’euro come moneta ufficiale, entreranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2010.
+PetaloNero+
00giovedì 17 dicembre 2009 22:17
OMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: DIMISSIONE DALLO STATO CLERICALE DI EMMANUEL MILINGO


Da diversi anni la Chiesa segue con particolare sofferenza gli sviluppi legati agli incresciosi comportamenti dell'Arcivescovo emerito di Lusaka, Emmanuel Milingo. Numerosi sono stati i tentativi intrapresi per riportare il Sig. Emmanuel Milingo alla comunione con la Chiesa Cattolica, cercando anche forme adeguate per consentirgli di esercitare il ministero episcopale, con un coinvolgimento diretto da parte dei Sommi Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che personalmente e con spirito di paterna sollecitudine seguivano il Sig. Milingo.

In questa triste vicenda, già nell'anno 2001 egli si era trovato nella condizione di irregolarità a seguito dell'attentato matrimonio con la Signora Maria Sung, incorrendo nella pena medicinale di sospensione (cfr cann. 1044 1, n. 3; 1394 § 1 C.I.C.). Successivamente si era posto a capo di alcune correnti per l'abolizione del celibato sacerdotale e non mancava di moltiplicare i suoi interventi nei mezzi di comunicazione sociale, in aperta ribellione ai ripetuti interventi della Santa Sede e creando grave sconcerto e scandalo nei fedeli. In particolare, il 24 settembre 2006 il Sig. Milingo aveva effettuato a Washington l'ordinazione di quattro vescovi senza mandato pontificio.

Egli incorse pertanto nella pena della scomunica latae sententiae (can. 1382 C.I.C.), dichiarata dalla Santa Sede il 26 settembre 2006 e che rimane in vigore. Purtroppo il predetto Sig. Milingo non ha dato prove dello sperato pentimento in vista del ritorno alla piena comunione con il Sommo Pontefice e con i membri del Collegio episcopale, ma ha continuato nell'esercizio illegittimo degli atti dell'ufficio episcopale, attentando nuovi delitti contro l'unità della santa Chiesa. In particolare, nei mesi scorsi egli ha proceduto ad alcune nuove ordinazioni episcopali.

Tali gravi delitti, recentemente accertati, che sono da ritenere segno comprovante della persistente contumacia del Sig. Emmanuel Milingo, hanno costretto la Sede Apostolica ad aggiungergli l'ulteriore pena della dimissione dallo stato clericale.

Secondo il disposto del can. 292 del Codice di Diritto Canonico l'ulteriore pena della dimissione dallo stato clericale, che ora si aggiunge alla grave pena della scomunica, comporta le seguenti conseguenze: la perdita dei diritti e dei doveri connessi allo stato clericale, eccetto l'obbligo del celibato; la proibizione dell'esercizio del ministero, salvo il disposto del can. 976 del Codice di Diritto Canonico per i casi di pericolo di morte; la privazione di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata, nonché il divieto di utilizzare l'abito ecclesiastico. Di conseguenza, risulta illegittima la partecipazione dei fedeli ad eventuali nuove celebrazioni promosse dal Sig. Emmanuel Milingo.

Si deve rilevare che la dimissione dallo stato clericale di un Vescovo è un fatto del tutto eccezionale, a cui la Santa Sede si è vista costretta per la gravità delle conseguenze che derivavano per la comunione ecclesiale dal susseguirsi di ordinazioni episcopali senza mandato pontificio; la Chiesa conserva tuttavia la speranza nel suo ravvedimento.

Circa le persone ordinate recentemente dal Signor Milingo è ben nota la disciplina della Chiesa riguardante la pena della scomunica latae sententiae per quelli che ricevono la consacrazione episcopale senza Mandato Pontificio (can. 1382 C.I.C.). Esprimendo speranza nella loro conversione, la Chiesa rinnova quanto già dichiarato il 26 settembre 2006, ovvero che Essa non riconosce e non intende riconoscere nel futuro tali ordinazioni e tutte le ordinazioni da esse derivate e pertanto lo stato canonico dei presunti vescovi resta quello in cui si trovavano prima dell'ordinazione conferita da su menzionato Signor Milingo.

In quest'ora segnata da un profondo dolore della Comunità ecclesiale per i gravi gesti compiuti dal Sig. Milingo, si affida alla forza della preghiera il ravvedimento del colpevole e quello di quanti - Sacerdoti o fedeli laici - hanno in qualche modo collaborato con lui nel porre atti contro l'unità della Chiesa di Cristo.
+PetaloNero+
00venerdì 18 dicembre 2009 21:46
STATEMENT OF THE HOLY SEE BEFORE THE PLENARY OF THE HIGH-LEVEL SEGMENT OF THE UNITED NATIONS CLIMATE CHANGE CONFERENCE (COPENHAGEN)

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore, Apostolic Nuncio, Head of Delegation, on 17 December 2009, before the plenary of the High-Level Segment of the United Nations Climate Change Conference:

Mr President,

This conference reiterates how long it takes to create the clear and firm political will necessary to adopt common binding measures and adequate budgets for an effective mitigation and adaptation to ongoing climate change.

Is this political will slow in taking shape due to the complexity of the interlinking issues that we must tackle? Is it mainly a problem of conflicting national interests? Or is it the difficulty in translating into numbers the by-now acquired principle of common and differentiated responsibility? Or is it still the predominance of energy policies over care of the environment? Undoubtedly, there is a little of all of this.

However, it should be noted how the many considerations that are being developed during this process converge on a central aspect: the necessity of a new and deeper reflection on the meaning of the economy and its purposes, and a profound and far-reaching revision of the model for development, to correct the malfunctions and distortions. This, in fact, is required by the good ecological health of the planet and especially as an urgent response to the cultural and moral crisis of man, whose symptoms have long been evident all over the world.

With realism, trust and hope we must assume the new responsibilities which call us to the scene of a world in need of a deep cultural renewal and a rediscovery of fundamental values on which to build a better future. The moral crises that humanity is currently experiencing, be they economic, nutritional, environmental, or social - all deeply interlinked - oblige us to redesign our way, to establish new guidelines and to find new forms of engagement. These crises become thus the occasion for discernment and new thinking.

Obviously, this obligation requires the collection of detailed and accurate scientific analysis to help avoid the anxieties and fears of many and the cynicism and indifference on the part of others. It also requires the responsible involvement of all segments of human society to search for and discover an adequate response to the tangible reality of climate change. If the diagnosis - by force of circumstances in the hands of science, information and politics - finds it difficult to provide clarity and to motivate the concerted and timely action of those responsible for human society, reason and the innate sense of shared responsibility of the people once again must prevail.

Civil society and local authorities did not wait for the expected political and legally binding conclusions of our meetings, which take such an incredibly long time. Instead, individuals, groups, local authorities and communities have already begun an impressive series of initiatives to give form to the two cornerstones of the response to climate change: adaptation and mitigation. While technical solutions are necessary, they are not sufficient. The wisest and most effective programs focus on information, education, and the formation of the sense of responsibility in children and adults towards environmentally sound patterns of development and stewardship of creation.

These initiatives have already started to build up a mosaic of experiences and achievements marked by a widespread ecological conversion. These new attitudes and behaviors have the potential to create the necessary intra-generational and inter-generational solidarity and dispel any sterile sense of fear, apocalyptic terror, overbearing control and hostility towards humanity that are multiplied in media accounts and other reports.

Mr President,

The Holy See, in the albeit small state of Vatican City, also is making significant efforts to take a lead in environmental protection by promoting and implementing energy diversification projects targeted at the development of renewable energy, with the objective of reducing emissions of CO2 and its consumption of fossil fuels.

In addition, the Holy See is giving substance to the necessity to disseminate an education in environmental responsibility, which also seeks to safeguard the moral conditions for an authentic human ecology. Many Catholic educational institutions are engaged in promoting such a model of education, both in schools and in universities. Moreover, Episcopal Conferences, Dioceses, parishes and faith-based NGOs have been devoted to advocacy and management of ecological programs for a number of years.

These efforts are about working on lifestyles, as the current dominant models of consumption and production are often unsustainable from the point of view of social, environmental, economic and even moral analysis. We must safeguard creation - soil, water and air - as a gift entrusted to everyone, but we must also and above all prevent mankind from destroying itself. The degradation of nature is directly connected to the culture that shapes human coexistence: when the human ecology is respected within society, the environmental ecology will benefit. The way humanity treats the environment influences the way it treats itself.

In his recent encyclical Caritas in veritate and World Day of Peace Message 2010 Pope Benedict XVI addressed to all those involved in the environmental sector an inescapable question: how can we hope that future generations respect the natural environment when our educational systems and laws do not help them to respect themselves?

Mr President,

Environment and climate change entail a shared responsibility toward all humanity, especially the poor and future generations.

There is an inseparable link between the protection of creation, education and an ethical approach to the economy and development. The Holy See hopes that the process in question can ever more appreciate this link and, with this outlook, continues to give its full cooperation.

Thank you, Mr President.
+PetaloNero+
00venerdì 18 dicembre 2009 21:47
PREDICA DI AVVENTO

Alle ore 9.00 di oggi, nella Cappella "Redemptoris Mater", alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, il Predicatore della Casa Pontificia, Rev.do P. Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la terza ed ultima Predica di Avvento sul tema: "Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1 Corinzi 4, 1) - Sacerdoti secondo il cuore di Cristo.




Terza Predica d'Avvento: “Maria, madre e modello del sacerdote”
Del Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 18 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della terza meditazione d'Avvento che il Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì alla presenza di Benedetto XVI e della Famiglia pontificia nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è: “Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1 Corinzi 4, 1),

La prima e la seconda Predica si sono tenute il 4 e l'11 dicembre.


* * *

Nella lettera a tutti i sacerdoti in occasione del Giovedì Santo del 1979, la prima della serie del suo pontificato, Giovanni Paolo II scriveva: “C’è, nel nostro sacerdozio, ministeriale la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza della madre di Cristo”. In quest’ultima meditazione di Avvento, vorremmo riflettere proprio su questa vicinanza tra Maria e il sacerdote.

Di Maria non si parla molto spesso nel Nuovo Testamento. Tuttavia, se ci facciamo caso, notiamo che ella non è assente in nessuno dei tre momenti costitutivi del mistero cristiano che sono: l'Incarnazione, il Mistero pasquale, e la Pentecoste. Maria fu presente nell'Incarnazione perché essa è avvenuta in lei; fu presente nel Mistero pasquale, perché è scritto che: “ presso la croce di Gesù stava Maria sua madre” (cf Gv 19, 25); fu presente nella Pentecoste, perché è scritto che gli apostoli erano “ assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù “ (cf At 1, 14).

Ognuna di queste tre presenze ci rivela qualcosa della misteriosa vicinanza tra Maria e il sacerdote, ma trovandoci nell’imminenza del Natale, vorrei limitarmi alla prima di esse, a quello che Maria dice del sacerdote e al sacerdote nel mistero dell’incarnazione.

1. Quale rapporto tra Maria e il sacerdote?

Vorrei anzitutto accennare alla questione del titolo di sacerdote attribuito alla Vergine nella tradizione. Uno scrittore della fine del V secolo chiama Maria “Vergine e allo stesso tempo sacerdote e altare che ci ha dato Cristo pane del cielo per la remissione dei peccati”[1]. Dopo di lui sono frequenti i riferimenti al tema di Maria sacerdote che però divenne oggetto di sviluppi teologici solo nel secolo XVII, nella scuola francese di San Sulpizio. In essa il sacerdozio di Maria non viene messo tanto in rapporto con il sacerdozio ministeriale quanto con quello di Cristo.

Alla fine del secolo XIX si diffuse una vera e propria devozione alla Vergine - sacerdote e san Pio X accordò anche una indulgenza alla relativa pratica. Quando però si intravide il pericolo di confondere il sacerdozio di Maria con quello ministeriale, il magistero della Chiesa divenne reticente e due interventi del Santo Ufficio posero praticamente fine a tale devozione[2].

Dopo il concilio si continua a parlare del sacerdozio di Maria, collegandolo però non al sacerdozio ministeriale, e neppure a quello supremo di Cristo, ma al sacerdozio universale dei fedeli: ella possederebbe a titolo personale, come figura e primizia della Chiesa, quel “sacerdozio regale” (1 Pt 2,9) che tutti i battezzati posseggono a titolo collettivo.

Che possiamo ritenere di questa lunga tradizione che associa Maria al sacerdote e che senso dare alla “vicinanza” tra essi di cui parlava Giovanni Paolo II? Resta, a me pare, la analogia o la corrispondenza dei piani, all’interno del mistero della salvezza. Quello che Maria è stata sul piano della realtà storica, una volta per tutte, il sacerdote lo è ogni volta di nuovo sul piano della realtà sacramentale.

In questo senso si possono intendere le parole di Paolo VI: “Quali relazioni e quali distinzioni vi sono fra la maternità di Maria, resa universale dalla dignità e dalla carità della posizione assegnatale da Dio nel piano della Redenzione, e il sacerdozio apostolico, costituito dal Signore per essere strumento di comunicazione salvifica fra Dio e gli uomini? Maria dà Cristo all’umanità; e anche il Sacerdozio dà Cristo all’umanità, ma in modo diverso, com’è chiaro; Maria mediante l’Incarnazione e mediante l’effusione della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il Sacerdozio mediante i poteri dell’ordine sacro[3].

L’analogia tra Maria e il sacerdote si può esprimere così. Maria, per opera dello Spirito Santo, ha concepito Cristo e, dopo averlo nutrito e portato nel suo seno, lo ha dato alla luce a Betlemme; il sacerdote, unto e consacrato di Spirito Santo nell’ordinazione, è chiamato anche lui a riempirsi di Cristo per poi darlo alla luce e farlo nascere nelle anime mediante l’annuncio della parola, l’amministrazione dei sacramenti.

In questo senso il rapporto tra Maria e il sacerdote ha una lunga tradizione dietro di sé, molto più autorevole di quella di Maria – sacerdote. Riprendendo un pensiero di Agostino[4] il Con­cilio Vaticano II scrive: “ La Chiesa... diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio“ [5].

Il battistero, dicevano i Padri, è il seno in cui la Chiesa dà alla luce i suoi figli e la parola di Dio è il latte puro con cui li nutre: “O prodigio mistico! Uno è il Padre di tutti, uno anche il Verbo di tutti, uno e identico dappertutto è anche lo Spirito Santo e una sola è la Vergine Madre: così io amo chiamare la Chiesa. Pura come vergine, amabile come madre, chiamando a raccolta i suoi figli, li nutre con quel sacro latte che è la parola destinata ai bambini appena nati (cf 1 Pt 2, 2)”[6].

Il beato Isacco della Stella, in una pagina che abbiamo letto nell’ufficio delle letture di sabato scorso, ha fatto una sintesi di questa tradizione: “ Maria e la Chiesa, scrive, sono una madre e più madri; una vergine e più vergini. L'una e l'altra madre, l'una e l'altra vergine. L'una e l'al­tra concepisce senza concupiscenza dallo stesso Spirito; l'una e l'altra dà a Dio Padre una prole senza peccato. Quella, senza al­cun peccato, partorì al corpo il Capo; questa, nella remissione di tutti i peccati, partorisce il corpo al Capo”[7].

Quello che in questi testi si dice della Chiesa nel suo insieme, come sacramento di salvezza, va applicato in modo speciale ai sacerdoti, perché, ministerialmente, sono essi che, in concreto, generano Cristo nelle anime mediante la parola e i sacramenti.

2. Maria credette

Fin qui l’analogia tra Maria e il sacerdote sul piano, per così dire, oggettivo o della grazia. Esiste però un’analogia anche sul piano soggettivo, cioè tra il contributo personale che la Vergine ha dato alla grazia dell’elezione e il contributo che il sacerdote è chiamato a dare alla grazia dell’ordinazione. Nessuno dei due è un puro canale che lascia passare la grazia senza nulla apportarvi di proprio.

Tertulliano parla di una versione del docetismo gnostico, secondo cui Gesù era nato, sì, da Maria, ma non concepito in lei e da lei; il corpo di Cristo, venuto dal cielo, sarebbe passato attraverso la Vergine, ma non generato in lei e da lei; Maria sarebbe stata per Gesù una via, non una madre, e Gesù per Maria un ospite, non un figlio[8]. Per non ripetere questa forma di docetismo nella sua vita, il sacerdote non può limitarsi a trasmette agli altri un Cristo imparato dai libri che non è diventato prima carne della sua carne e sangue del suo sangue. Come Maria (l’immagine è di San Bernardo) egli deve essere un serbatoio che fa traboccare al di fuori ciò di cui è pieno dentro, non un canale che si limita a far passare l’acqua senza nulla trattenerne.

L’apporto personale, comune a Maria e al sacerdote, si riassume nella fede. Maria, scrive Agostino, “per fede concepì e per fede partorì” (fide concepit, fide peperit)[9]; anche il sacerdote per fede porta Cristo nel suo cuore e mediante la fede lo comunica agli altri. Sarà il centro della meditazione di oggi: cosa il sacerdote può imparare dalla fede di Maria.

Quando Maria giunse da Elisabetta, questa l'accolse con grande gioia e, “piena di Spirito Santo “, esclamò: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc l, 45). Non c'è dubbio che questo aver creduto si riferi­sce alla risposta di Maria all'angelo: “Eccomi, sono la serva del Si­gnore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

A prima vista, quello di Maria fu un atto di fede facile e per­fino scontato. Diventare madre di un re che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe, madre del Messia! Non era quel­lo che ogni fanciulla ebrea sognava di essere? Ma questo è un modo di ragionare assai umano e carnale. Maria viene a tro­varsi in una totale solitudine. A chi può spiegare ciò che è av­venuto in lei? Chi la crederà quando dirà che il bimbo che por­ta nel grembo è “opera dello Spirito Santo “? Questa cosa non è avvenuta mai prima di lei e non avverrà mai dopo di lei.

Maria conosceva certamente ciò che era scritto nel libro della legge e cioè che se la fanciulla, al momento delle nozze, non fosse stata trovata in stato di verginità, doveva essere fatta uscire all'ingres­so della casa del padre e lapidata dalla gente del villaggio (cf Dt 22, 20 s). Noi parliamo volentieri oggigiorno del rischio della fede, intendendo, in genere, con ciò, il rischio intellettuale; ma per Maria si trattò di un rischio reale!

Carlo Carretto, nel suo li­bretto sulla Madonna, narra come giunse a scoprire la fede di Maria. Quando viveva nel deserto, aveva saputo da alcuni suoi amici Tuareg che una ragazza dell'accampamento era stata promessa sposa a un giovane, ma che non era andata ad abitare con lui, essendo troppo giovane. Aveva collegato questo fatto con quello che Luca dice di Maria. Perciò ripassando, dopo due anni, in quello stesso accampamento, chiese notizie della ragaz­za. Notò un certo imbarazzo tra i suoi interlocutori e più tardi uno di loro, avvicinandosi con grande segretezza, fece un segno: passò una mano sulla gola con il gesto caratteristico degli arabi quando vogliono dire: “E stata sgozzata “. Si era scoperta incin­ta prima del matrimonio e l'onore della famiglia esigeva quella fine. Allora ripensò a Maria, agli sguardi impietosi della gente di Nazareth, agli ammiccamenti, capì la solitudine di Maria, e quella notte stessa la scelse come compagna di viaggio e maestra della sua fede [10].

Dio non strappa mai alle creature dei consensi, nascondendo loro le conseguenze, ciò cui andranno incontro. Lo vediamo in tutte le grandi chia­mate di Dio. A Geremia preannuncia: “Ti muoveranno guerra” (Ger l, 19) e di Saulo, dice ad Anania: “Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome2 (At 9, 16). Solo con Maria, per una missione come la sua, avrebbe agito diversamente? Nella luce dello Spirito Santo, che accompagna la chiamata di Dio, el­la ha certamente intravisto che anche il suo cammino non sa­rebbe stato diverso da quello di tutti gli altri chiamati. Del resto, Simeone, ben presto, darà espressione a questo presentimento, quando le dirà che una spada le avrebbe trapassato l'anima.

Uno scrittore moderno, Erri De Luca, ha descritto in modo poetico questo presentimento di Maria al momento della nascita di Gesù. Ella è sola nella grotta, Giuseppe veglia all’esterno (per legge nessun uomo può assistere al parto); ha appena dato alla luce il figlio, quando delle strane associazioni le balenano nella mente: “Perché, figlio mio, nasci proprio qui a Bet-Lehem, Casa del Pane? E perché dobbiamo chiamarti Ieshu?... Fa’ che questo brivido salito sulla mia schiena, questo freddo venuto dal futuro sia lontano da lui”. La madre presagisce che quel figlio le sarà tolto, allora ripete tra sé: “Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio. Voglio cantare una canzone con queste tre parole e basta. Stanotte qui a Bet Lehem è solamente mio”. E, così dicendo, se lo porta al seno per allattarlo[11].

Maria è l'unica ad aver creduto “in situazione di contemporaneità”, cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma e di ogni convalida da parte degli eventi e della storia [8]. Gesù disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20, 29): Maria è la prima di coloro che hanno creduto senza aver ancora visto.

San Paolo dice che Dio ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7) e Maria ha detto a Dio il suo “sì “ con gioia. Il verbo con cui Maria esprime il suo consenso, e che è tradotto con “fiat “ o con “si faccia “, nell'originale, è all'ottativo (génoito), un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse: “Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto ciò che egli vuole “. Davvero, come diceva sant'Agostino, prima ancora che nel suo corpo ella concepì Cristo nel suo cuore.

Ma Maria non disse “fiat” perché non parlava latino e non disse neppure “génoito “ che è parola greca. Che cosa disse allora? Qual è la parola che, nella lingua parlata da Maria, corrisponde più ' da vicino a questa espressione? Quando voleva dire a Dio “sì, così sia “, un ebreo diceva “amen! “ Se è lecito cer­care di risalire, con pia riflessione, all'ipsissima vox, alla parola esatta uscita dalla bocca di Maria - o almeno alla parola che c'era, a questo punto, nella fonte giudaica usata da Luca -, que­sta deve essere stata proprio la parola “amen “. Ricordiamo i salmi che nella Volgata latina terminavano con l’espressione: “fiat, fiat”?; nel testo greco dei LXX, a quel punto, c’è “genoito, genoito” e nell’originale ebraico conosciuto da Maria c’è “amen, amen”.

Amen è parola ebraica, la cui radice significa solidità, certezza; era usata nella liturgia come risposta di fede alla parola di Dio. Con l'“amen “ si riconosce quel che è stato detto come paro­la ferma, stabile, valida e vincolante. La sua traduzione esatta, quando è risposta alla parola di Dio, è questa: “Così è e così sia “. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette. E dire “sì “ a Dio. In questo senso lo troviamo sulla bocca stessa di Gesù: “Sì, amen, Padre, perché così è piaciuto a te... “ (cf Mt 11, 26). Egli anzi è l'Amen personificato: Così parla l’Amen... (Ap 3, 14) ed è per mezzo di lui che ogni altro “amen “ di fede pronunciato sulla terra sale ormai a Dio (cf 2 Cor l, 20). Anche Maria, dopo il Figlio, è l’ amen a Dio fatto persona.

La fede di Maria è dunque un atto d'amore e di docilità, libe­ro anche se suscitato da Dio, misterioso come misterioso è ogni volta l'incontro tra la grazia e la libertà. E questa la vera gran­dezza personale di Maria, la sua beatitudine confermata da Cri­sto stesso. “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte” (Lc 11, 27), dice una donna nel Vangelo. La donna proclama Maria beata perché ha portato Gesù; Eli­sabetta la proclama beata perché ha creduto; la donna proclama beato il portare Gesù nel grembo, Gesù proclama beato il portarlo nel cuore: “Beati piuttosto - risponde Gesù - coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Egli aiuta, in tal modo, quella donna e tutti noi, a capire dove risiede la grandezza personale di sua Madre. Chi è infatti che “custodiva“ le parole di Dio più di Maria, della quale è detto due volte, dalla stessa Scrittura, che “custodiva tutte le parole nel suo cuore “? (cf Lc 2, 19.51).

Non dovremmo concludere il nostro sguardo alla fede di Maria con l'impressione che Maria abbia creduto una volta e poi basta nella sua vita; che ci sia stato un solo grande atto di fede nella vita della Madonna. Quante volte, in seguito all'Annunciazione, Maria sarà stata martirizzata dall'apparente contrasto della sua situazione con tutto ciò che era scritto e conosciuto, circa la volontà di Dio, nell'Antico Testamento e circa la figura stessa del Messia! Il Concilio Vaticano II ci ha fatto un grande dono, afferman­do che anche Maria ha camminato nella fede, anzi che ha “progredito” nella fede, cioè è cresciuta e si è perfezionata in essa [12].

3. Crediamo anche noi!

Passiamo ora da Maria al sacerdote. Sant'Agostino ha scritto: “Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche a noi”[13]. Crediamo anche noi! La contemplazione della fede di Maria ci spinge a rinnovare anzitutto il nostro personale atto di fede e di abbandono a Dio.

Tutti devono e possono imitare Maria nella sua fede, ma in modo tutto speciale deve farlo il sacerdote. “Il mio giusto - dice Dio - vivrà di fede “ (cf Abacuc 2, 4; Rm 1, 17): questo vale, a un titolo speciale, per il sacerdote. Egli è l'uomo della fede. La fede è ciò che determina, per così dire, il suo “peso specifico” e l’efficacia del suo ministero.

Ciò che i fedeli colgono immedia­tamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cer­ca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al pas­so coi tempi, mentre, in realtà, è un “bronzo che tintinna e un cembalo squillante”.

Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subi­to la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.

A volte si soffre e magari ci si lamenta in preghiera con Dio, perché la gente abbandona la Chiesa, non lascia il peccato, perché parliamo parliamo, e non succede niente. Un giorno gli apostoli tentarono di cacciare il demonio da un pove­ro ragazzo, ma senza riuscirvi. Dopo che Gesù ebbe cacciato, lui, lo spirito cattivo dal ragazzo, si accostarono a Gesù in di­sparte e gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?” E Gesù rispose: “Per la vostra poca fede” (Mi 17, 19-20).

San Bonaventura racconta co­me un giorno, mentre era sul monte della Verna, gli tornò in mente ciò che dicono i santi Padri e cioè che l'anima devota, per grazia dello Spirito Santo e la potenza dell'Al­tissimo, può spiritualmente concepire per fede il benedetto Verbo del Padre, partorirlo, dargli il nome, cercarlo e adorarlo con i Magi e infine presentarlo felicemente a Dio Pa­dre nel suo tempio. Scrisse allora un opuscolo intitolato “Le cinque feste di Gesù bambino”, per mostrare come il cristiano può rivivere in sé ognuno di questi cinque momenti della vita di Gesù. Mi limito a ciò che san Bonaventura dice delle due prime feste, la concezione e la nascita, applicandolo in particolare al sacerdote.

Il sacerdote conce­pisce Gesù quando, scontento della vita che conduce, stimolato da sante ispirazioni e accendendosi di santo ardore, infine stac­candosi risolutamente dalle sue vecchie abitudini e difetti, è come fecondato spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova.

Una volta concepito, il benedetto Figlio di Dio nasce nel cuore del sacerdote, allorché, dopo aver fatto un sano discernimen­to, chiesto opportuno consiglio, invocato l'aiuto di Dio, mette immediatamente in opera il suo santo proposito, comin­ciando a realizzare quello che da tempo andava maturando, ma che aveva sempre rimandato per paura di non esserne capace.

Questo proposito di vi­ta nuova deve, però, tradursi subito, senza rinvii, in qualcosa di concreto, in un cambiamento, possibilmente anche esterno e visibile, nella nostra vita e nelle nostre abitudini. Se il proposito non è messo in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito. Sarà uno dei tanti aborti spirituali di cui è pieno purtroppo il mondo delle anime.

Ci sono due brevissime parole che Maria pronunciò al momento dell’Annunciazione e il sacerdote pronuncia nel momento della sua ordinazione: “Eccomi!” e “Amen”, o “Sì”. Ricordo il momento in cui ero davanti all’altare per l’ordinazione con una decina di miei compagni. A un certo punto venne pronunciato il mio nome e io risposi emozionatissimo: “Eccomi!”

Nel corso del rito, ci furono rivolte alcune domande: “Vuoi esercitare il ministero sacerdotale per tutta la vita?”, “Vuoi adempiere degnamente e fedelmente il ministero della parola nella predicazione?”, “Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo?”. Ad ogni domanda rispondemmo: “Sì, lo voglio!”

Il rinnovamento spirituale del sacerdozio cattolico, auspicato dal Santo Padre, sarà proporzionato allo slancio con cui ognuno di noi, sacerdoti o vescovi della Chiesa, saremo capaci di pronunciare di nuovo un gioioso: “Eccomi!” e “Sì, lo voglio!”, facendo rivivere l’unzione ricevuta nell’ordinazione. Gesù entrò nel mondo dicendo: “Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà!” (Eb 10,7). Noi lo accogliamo, in questo Natale, con le stesse parole: “Ecco, io vengo, Signore Gesù, a fare la tua volontà!”.




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1) Ps. Epifanio, Omelia in lode della Vergine (PG 43, 497)

2) Cf. su tutta la questione, R. Laurentin, Maria – ecclesia – sacerdotium, Parigini 1952; art. “Sacerdoti” in Nuovo Dizionario di Mariologia, Ed. Paoline 1985, 1231-1242.

3) Paolo VI, Udienza generale del 7, Ott. 1964.

4) S. Agostino, Discorsi 72 A, 8 (Misc. Agost. I, p.164).

5) Lumen gentium, 64.

6) Clemente Alessandrino, Pedagogo, I, 6.

7) B. Isacco della Stella, Discorsi 51 (PL 194, 1863).

8) Tertulliano, De carne Christi, 20-21 (CCL 2, 910 ss.).

9) S. Agostino, Discorsi 215, 4 (PL 38,1074).

10) C. Carretto, Beata te che hai creduto, Ed. Paoline 1986, pp. 9 ss.

11) E. De Luca, In nome della madre, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 66 ss.

12) Lumen gentium, 58.

13) S. Agostino, Discorsi, 215,4 (PL 38, 1074).
+PetaloNero+
00sabato 19 dicembre 2009 21:42
PROMULGAZIONE DI DECRETI DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

Oggi, 19 dicembre 2009, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza privata S.E. Mons. Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’Udienza il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Beato Stanislao Sołtys, chiamato Kazimierczyk, Sacerdote professo dell'Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi; nato il 27 settembre 1433 a Kazimierz (Polonia) ed ivi morto il 3 maggio 1489;

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Beato Andrea Bessette (al secolo: Alfredo), Religioso professo della Congregazione di Santa Croce; nato a Saint-Grégoire d'Iberville (Canada) il 9 agosto 1845 e morto a Montréal (Canada) il 6 gennaio 1937;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Beata Maria della Croce MacKillop (al secolo: Maria Elena), Fondatrice della Congregazione delle Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore; nata il 15 gennaio 1842 a Fitzroy (Australia) e morta l'8 agosto 1909 a Sydney (Australia);

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Beata Giulia Salzano, Fondatrice della Congregazione delle Suore Catechiste del Sacro Cuore di Gesù; nata il 13 ottobre 1846 a Santa Maria Capua Vetere (Italia) e morta il 17 maggio 1929 a Casoria (Italia);

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Beata Battista da Varano (al secolo: Camilla), Monaca professa dell'Ordine di Santa Chiara e Fondatrice del Monastero di Santa Chiara nella città di Camerino; nata il 9 aprile 1458 a Camerino (Italia) ed ivi morta il 31 maggio 1524;

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Giuseppe Tous y Soler, Sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini e Fondatore della Congregazione delle Suore Cappuccine della Madre del Divin Pastore; nato il 31 marzo 1811 a Igualada (Spagna) e morto il 27 febbraio 1871 a Barcellona (Spagna);

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Leopoldo da Alpandeire Sánchez Márquez (al secolo: Francesco), Laico professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini; nato il 24 luglio 1866 ad Alpandeire (Spagna) e morto il 9 febbraio 1956 a Granada (Spagna);

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Emanuele Lozano Garrido, Laico; nato il 9 agosto 1920 a Linares (Spagna) ed ivi morto il 3 novembre 1971;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Teresa Manganiello, Laica, del Terz'Ordine di San Francesco; nata a Montefusco (Italia) il 1 gennaio 1849 ed ivi morta il 4 novembre 1876;

- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Chiara Badano, Laica; nata a Sassello (Italia) il 29 ottobre 1971 ed ivi morta il 7 ottobre 1990;

- il martirio del Servo di Dio Giorgio Popiełuszko, Sacerdote diocesano; nato il 14 settembre 1947 ad Okopy Suchowola (Polonia) e ucciso in odio alla Fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Włocławek (Polonia);

- le virtù eroiche del Beato Giacomo Illirico da Bitetto, Laico professo dell'Ordine dei Frati Minori; nato nel 1400 a Zara (Dalmazia) e morto intorno all'anno 1496 a Bitetto (Italia);

- le virtù eroiche del Servo di Dio Pio XII (Eugenio Pacelli), Sommo Pontefice; nato a Roma il 2 marzo 1876 e morto a Castelgandolfo il 9 ottobre 1958;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Paolo II (Carlo Wojtyła), Sommo Pontefice; nato il 18 maggio 1920 a Wadowice (Polonia) e morto a Roma il 2 aprile 2005;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Brisson, Sacerdote e Fondatore degli Oblati e delle Oblate di San Francesco di Sales; nato il 23 giugno 1817 a Plancy (Francia) ed ivi morto il 2 febbraio 1908;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giuseppe Quadrio, Sacerdote professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 28 novembre 1921 a Vervio (Italia) e morto a Torino (Italia) il 23 ottobre 1963;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Ward (al secolo: Giovanna), Fondatrice dell'Istituto delle Suore della Beata Maria Vergine, oggi Congregazione di Gesù; nata a Mulwith (Inghilterra) il 23 gennaio 1585 e morta a Hewarth (Inghilterra) il 30 gennaio 1645;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Antonia Maria Verna, Fondatrice dell'Istituto delle Suore della Carità dell'Immacolata Concezione dette d'Ivrea; nata a Pasquaro di Rivarolo (Italia) il 12 giugno 1773 ed ivi morta il 25 dicembre 1838;

- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Chiara Serafina di Gesù Farolfi (al secolo: Francesca), Fondatrice delle Suore Clarisse Francescane Missionarie del Ss.mo Sacramento; nata il 7 ottobre 1853 a Tossignano (Italia) e morta il 18 giugno 1917 a Badia di Bertinoro (Italia);

- le virtù eroiche della Serva di Dio Enrica Alfieri (al secolo: Maria Angela), Suora professa della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret; nata il 23 febbraio 1891 a Borgovercelli (Italia) e morta a Milano (Italia) il 23 novembre 1951;

- le virtù eroiche del Servo di Dio Giunio Tinarelli, Laico, Socio della Pia Unione Primaria Silenziosi Operai della Croce, nato a Terni (Italia) il 27 maggio 1912 ed ivi morto il 14 gennaio 1956.
+PetaloNero+
00sabato 19 dicembre 2009 21:43
COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: DICHIARAZIONE PER LA TUTELA DELLA FIGURA DEL PAPA


Oggi la Segreteria di Stato ha disposto la pubblicazione della seguente Dichiarazione per la tutela della figura del Papa:


DICHIARAZIONE PER LA TUTELA DELLA FIGURA DEL PAPA

Nel corso soprattutto di questi ultimi anni, si è potuto rilevare il crescente affetto e la cordiale stima di molti verso i Sommi Pontefici, ai quali alcuni desiderano intitolare istituzioni universitarie, scolastiche o culturali, come pure associazioni, fondazioni o altri enti.

Prendendo atto di ciò, si dichiara che spetta esclusivamente alla Santa Sede la legittimazione a tutelare in ogni modo il rispetto dovuto ai Successori di Pietro e, quindi, a salvaguardarne la figura e l'identità personale da iniziative che, prive di autorizzazione, adottano il nome e/o lo stemma dei Papi per scopi ed attività che nulla o ben poco hanno a che vedere con la Chiesa Cattolica. Talora, di fatto, mediante l'uso di simboli nonché di loghi ecclesiali o pontifici si cerca di attribuire credibilità e autorevolezza a quanto viene promosso o organizzato.

Pertanto, l'impiego sia di tutto ciò che si riferisce direttamente alla persona e all'ufficio del Sommo Pontefice (nome, immagine e stemma), sia della denominazione "Pontificio/a" deve essere espressamente e preventivamente autorizzato dalla Santa Sede.
+PetaloNero+
00mercoledì 23 dicembre 2009 22:54
La sfida del cambiamento climatico nella lotta alla povertà
Intervento della Santa Sede alla Conferenza generale dell'Unido



ROMA, mercoledì, 23 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato il 10 dicembre da monsignor Michael Banach, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Vienna, in occasione della tredicesima sessione della Conferenza generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (Unido).

* * *

Signor presidente,

la delegazione della Santa Sede desidera aggiungere la propria voce al coro delle congratulazioni a lei nonché agli altri membri del Bureau che sono stati eletti all'inizio di questa settimana. Le nostre congratulazioni vanno anche al dr. Kandeh Yumkella perché è stato nuovamente nominato direttore generale dell'Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite (unido). Sono certo che egli consoliderà il trend positivo dell'evoluzione dell'organizzazione e darà ad essa un ulteriore sviluppo.

Nel suo Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace del 2009, Papa Benedetto XVI ha scritto: «Combattere la povertà implica un'attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione è importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di utilizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tanti aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rivestire anche un significato spirituale e morale... Resta comunque vero che ogni forma di povertà ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera “ecologia umana”, si scatenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni ambiti»

Queste parole descrivono bene qual è il fulcro di questa Tredicesima Conferenza che offre l'occasione per riflettere sui progressi compiuti nelle tre aree prioritarie dell'unido, ovvero riduzione della povertà attraverso attività produttive, creazione della capacità commerciale, ambiente ed energia. La mia delegazione è interessata ai risultati della Tredicesima Conferenza Generale perché la Santa Sede ha sempre riconosciuto la centralità della persona umana nella sollecitudine per uno sviluppo equo, accessibile e sostenibile.

Il rispetto per la dignità e per la libertà di ogni persona interessata dai pogrammi di sviluppo deve essere la forza trainante nella nostra opera. Infatti, la Chiesa cattolica ha sempre sottolineato che è necessario un equilibrio fra sviluppo sociale ed economico industriale. Il dibattito sullo sviluppo industriale rivela che nessuna persona o nessun gruppo vive in isolamento. Ciò che colpisce uno colpisce altri. La mia delegazione crede che i benefici del discutere le questioni e nel proporre soluzioni per rimuovere gli ostacoli che sfidano lo sviluppo sostenibile si sentiranno in ogni parte del mondo.

In quest'idea di solidarietà umana non possiamo perdere di vista la necessità di un'amministrazione responsabile che richiede attenzione al bene comune, che va oltre limitati interessi individuali a tutti i livelli.

L'amministrazione responsabile e la solidarietà umana autentica sono rivolte alle tre aree prioritarie e devono anche rimanere il punto di partenza nel dibattito sull'accesso allo sviluppo industriale. Gli effetti del cambiamento climatico, la questione delle risorse idriche e della sicurezza alimentare, la mobilitazione delle risorse energetiche e il turismo sostenibile devono essere collegati ai dibattiti su sanità, educazione, alimentazione, politica abitativa e sicurezza.

Nel parlare di sicurezza, è importante ricordare che l'energia è centrale per ottenere obiettivi sostenibili di sviluppo. Con circa due miliardi di persone ancora prive dell'accesso all'elettricità nel mondo e un numero ancora più alto di persone che usano biomasse tradizionali, migliorare l'accesso a servizi energetici affidabili, alla portata di tutti e a basso impatto ambientale è una importante sfida al fine di sradicare la povertà. È anche urgente trasformare i sistemi globali di energia perché le modalità attuali stanno causando grave danno alla salute umana, al clima della Terra e ai sistemi ecologici da cui dipende tutta la vita e perché l'accesso a servizi energetici affidabili e puliti è un prerequisito vitale per alleviare la povertà. Sebbene la quantità assoluta dell'uso di energia rinnovabile mondiale sia aumentata in modo significativo, la percentuale delle energie rinnovabili nell'offerta primaria totale di energia a livello mondiale è aumentata solo marginalmente negli ultimi tre decenni. Alcune tecnologie energetiche rinnovabili sono già mature ed economicamente concorrenziali, ma lo sviluppo di energie rinnovabili continua a essere una necessità umana, ecologica, economica e strategica e dovrebbe essere una priorità nei progetti pubblici di ricerca.

In considerazione dei progressi compiuti durante questi dibattiti, la Santa Sede desidera affermare, ancora una volta, che prestare semplicemente aiuto, per quanto lodevole e necessario, non è sufficiente a trattare tutti gli aspetti della solidarietà umana che devono essere offerti ai bisognosi. Le nazioni devono cooperare per una efficacia rinnovata e maggiore delle strutture internazionali in sfere quali l'economia, il commercio, lo sviluppo industriale, la finanza e il trasferimento di tecnologia.

Presidente!

Desidero assicurare quest'Assemblea del fatto che la Chiesa cattolica continuerà a sviluppare e a promuovere nelle aree critiche programmi specifici, che cercano di migliorare la vita umana in alcune delle zone più povere e meno sviluppate e, così facendo, contribuiscono a migliorare la vita di tutti.

La mia delegazione plaude ai progressi compiuti in questa Conferenza Generale e attende le iniziative future che saranno il prossimo passo verso il conseguimento di obiettivi di sviluppo equo, accessibile e sostenibile per tutti.

[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]
+PetaloNero+
00venerdì 25 dicembre 2009 22:59
COMUNICATO DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, REV.DO PADRE FEDERICO LOMBARDI, S.I.

Ieri sera, durante la processione di ingresso della celebrazione, una persona non equilibrata – tale Susanna Maiolo, di 25 anni, di cittadinanza italiana e svizzera – ha superato la transenna e, nonostante l’intervento della sicurezza, è riuscita a raggiungere il Santo Padre e ad afferrarne il pallio, facendogli perdere l’equilibrio e facendolo scivolare a terra. Il Papa ha potuto prontamente rialzarsi e riprendere il cammino e tutta la celebrazione si è svolta senza alcun altro problema.

Purtroppo nel trambusto creatosi, il Card. Etchegaray è caduto, riportando la frattura del collo del femore. E’ stato ricoverato al Policlinico Gemelli, le sue condizioni sono buone, ma dovrà essere sottoposto a operazione nei prossimi giorni.

La Maiolo, che non era armata ma manifesta segni di squilibrio psichico, è stata ricoverata in una struttura sanitaria, per essere sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio.

Per quanto riguarda il Santo Padre, il programma di oggi è confermato senza modifiche.
+PetaloNero+
00sabato 26 dicembre 2009 22:54
COMUNICATO DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, REV.DO P. FEDERICO LOMBARDI, S.I.

Per quanto riguarda le condizioni generali del Card. Etchegaray sono buone, e i medici provvedono a verificare che siano tali da procedere alla operazione che avverrà – a quanto oggi tutto lascia prevedere – domani mattina, domenica 27. Se tutto si svolgerà come previsto, la Sala Stampa vaticana rilascerà il comunicato medico sui risultati dell’operazione verso la fine della mattinata.

I visitatori testimoniano la serenità e l’ottimo morale del Cardinale, che offre le sue preghiere per il Papa e attende con ottimismo l’intervento chirurgico.

Per quanto riguarda la giovane autrice dell’incidente di giovedì sera - come si è già detto - rimane sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio e il caso rimane sotto la competenza della magistratura vaticana.

Il Promotore di giustizia nei prossimi giorni dovrà prendere in considerazione i rapporti dei medici e della gendarmeria vaticana, e alla luce di essi valutare gli eventuali successivi passi da compiere.

+PetaloNero+
00domenica 27 dicembre 2009 22:51
COMUNICATO SULL’INTERVENTO CHIRURGICO A CUI E’ STATO SOTTOPOSTO QUESTA MATTINA IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY

Questa mattina presso il Policlinico Gemelli il Cardinale Roger Etchegaray è stato sottoposto ad intervento chirurgico in seguito alla frattura del collo del femore riportata nella caduta avvenuta il 24 dicembre all’inizio della celebrazione della Messa della notte nella Basilica di San Pietro.

Riportiamo il bollettino medico dell’operazione:

In mattinata Sua Eminenza il Cardinale Roger Etchegaray, ricoverato presso il Policlinico universitario "Agostino Gemelli" di Roma per la frattura del collo del femore destro, è stato operato di artroprotesi totale dell’anca. L’intervento è riuscito e le condizioni cliniche del paziente sono buone.

Come programmato le fasi successive all’intervento saranno trascorse dal Cardinale Etchegaray nel reparto di Terapia intensiva postoperatoria del Gemelli.

I chirurghi operatori, professor Lorenzo Aulisa e prof. Carlo Fabbriciani, sono stati assistiti dall’anestesista prof. Germano De Cosmo.
+PetaloNero+
00domenica 3 gennaio 2010 22:53
COMUNICATO DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, P. FEDERICO LOMBARDI, S.I.

A seguito di alcune notizie apparse sulla stampa, il Direttore della Sala Stampa conferma che, nei giorni scorsi, il Segretario personale del Santo Padre, mons. Georg Gaenswein, ha compiuto in forma riservata una visita alla Signorina Maiolo, manifestandole l’interessamento del Santo Padre per la sua situazione.

Quanto all’iter avviato dalla magistratura dello Stato della Città del Vaticano, esso seguirà il suo corso fino al suo espletamento.
+PetaloNero+
00venerdì 8 gennaio 2010 23:11
LETTERA DI SOLIDARIETÀ DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI A SUA SANTITÀ SHENOUDA III

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha fatto pervenire a Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria d’Egitto e Patriarca della Sede di San Marco del Cairo, per esprimergli la sua vicinanza, in seguito agli attacchi ai cristiani copti dopo la liturgia di Natale a Nag Hamadi in Egitto:


LETTERA DEL CARD. WALTER KASPER

His Holiness Shenouda III
Pope of Alexandria and Patriarch of the See of Saint Mark

Your Holiness,

With sadness I have heard the tragic news of the death and injury of several Coptic Christians after a Christmas midnight Mass in Nag Hamadi in Upper Egypt.

Please know that I am united in prayer with Your Holiness and with the Coptic Christian Community at this time. Whenever our Christians suffer unjustly it is a wound to the Body of Christ in which all believers share. Together we share this sadness, and together we pray for healing, peace and justice. All Christians must stand united in the face of oppression and seek together the peace that only Christ can give.

I pray for the happy repose of the souls of the deceased and the healing of the injured, as well as comfort for the families of the victims.

With esteemed respect, I remain yours in Christ,

Walter Cardinal Kasper
President
+PetaloNero+
00sabato 9 gennaio 2010 23:15
JOINT COMMUNIQUÉ OF THE BILATERAL PERMANENT WORKING COMMISSION BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF ISRAEL (7 JANUARY 2010)


The Bilateral Permanent Working Commission between the Holy See and the State of Israel met on 7 January 2010 to continue its work on an Agreement pursuant to article 10 §2 of the 1993 Fundamental Agreement between the two Parties.

The talks proved useful and were held in un atmosphere of cordiality. Some important topics for forthcoming meetings were spelled out.

The next meeting will take place on 10 February at the headquarters of the Israeli Ministry of Foreign Affairs.

The Plenary meeting of the Commission will be held in the Vatican on 27 May 2010.



TESTO IN LINGUA ITALIANA

La Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è incontrata il 7 gennaio 2010 per continuare il suo lavoro su un Accordo in conformità all'Articolo 10 §2 del "Fundamental Agreement" del 1993 tra le Parti.

I colloqui sono stati utili e si sono svolti in un'atmosfera di cordialità. Sono stati enunciati alcuni temi importanti per i prossimi incontri.

Il prossimo incontro avrà luogo il 10 febbraio nella sede del Ministero degli Affari Esteri Israeliano.

La riunione Plenaria della Commissione avrà luogo il 27 maggio 2010, in Vaticano.
+PetaloNero+
00lunedì 11 gennaio 2010 23:12
NOTA INFORMATIVA

Il 9 dicembre 2009, la Santa Sede ha stabilito relazioni diplomatiche con la Federazione Russa, a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Federazione Russa.

Sono quindi 178 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede. A questi vanno aggiunti l’Unione Europea ed il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione a carattere speciale: l’Ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Per quanto riguarda le Organizzazioni Internazionali, la Santa Sede è presente all’ONU in qualità di "Stato osservatore"; è, inoltre, Membro di 7 Organizzazioni o Agenzie del sistema ONU, Osservatore in altre 8 e Membro o Osservatore in 5 Organizzazioni regionali.

Nel corso del 2009 è stato firmato il 12 gennaio un Accordo della Santa Sede con il Land Schleswig-Holstein (Germania) per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica in quel Land; lo scambio degli Strumenti di ratifica di tale è Accordo è avvenuto il 27 maggio.

Il 5 marzo è stato sottoscritto il VI Accordo Addizionale alla Convenzione fra la Santa Sede e l’Austria per il Regolamento di Rapporti Patrimoniali; lo scambio delle ratifiche si è svolto il 14 ottobre.

Il 10 dicembre si è proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo con il Brasile, firmato il 13 novembre 2008.

Infine, il 17 dicembre è stata conclusa una Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l'Unione Europea, che è entrata immediatamente in vigore.
+PetaloNero+
00giovedì 14 gennaio 2010 16:54
COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM: TERREMOTO IN HAITI


In seguito al catastrofico terremoto in Haiti, il Santo Padre ha rivolto un appello all'assistenza spirituale e materiale, dichiarando che "la Chiesa cattolica non mancherà di attivarsi immediatamente tramite le sue istituzioni caritative per venire incontro ai bisogni più immediati della popolazione" (Udienza Generale, 13 gennaio 2010).

Come in passato per altre tragedie di questo tipo, i cattolici sono già presenti con la loro assistenza concreta. Diverse agenzie cattoliche sono all'opera e inviano personale, che è particolarmente richiesto in maniera urgente. Il Pontificio Consiglio Cor Unum, in diretto contatto con Catholic Relief Services (CRS), l'agenzia umanitaria internazionale dei Vescovi degli Stati Uniti, ha chiesto all’organismo di coordinare gli sforzi di assistenza in questa fase. Il personale già sul posto, che conta più di 300 membri attivi da tempo in Haiti, l'esperienza passata, le capacità e le risorse di CRS, permetteranno pronto ed efficace coordinamento degli sforzi della Chiesa che, nelle parole di Papa Benedetto, devono essere generosi e concreti per venire incontro alle pressanti necessità dei nostri fratelli e sorelle in Haiti.
+PetaloNero+
00martedì 19 gennaio 2010 16:24
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEI LINEAMENTA DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL SINODO DEI VESCOVI (CITTÀ DEL VATICANO, 10-24 OTTOBRE 2010)


Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dei Lineamenta dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano, 10-24 ottobre 2010) sul tema «La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola" (At 4, 32)».

Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, e il Rev.mo Mons. Fortunato Frezza, Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. NIKOLA ETEROVIĆ

Introduzione

"Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio" (Lc 2, 6-7).

Queste parole dell’Evangelista Luca, proclamate e meditate specialmente nel periodo liturgico del Natale, ci portano spiritualmente nella mangiatoia di Betlemme, città di Davide ove è nato il Signore Gesù (cfr Mt 2, 1; Lc 2, 4). Secondo la profezia di Isaia il Messia avrà il nome "Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (Is 9, 5). La tradizione cristiana attribuisce tali titoli alla persona di Gesù, dichiarandolo vero Emmanuele, Dio con noi (cfr Mt 1, 23). Tra essi, quello della pace occupa un posto privilegiato. Infatti, il Messia "sarà egli stesso la pace" (Mi 5, 3). Pertanto Betlemme, come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, "è anche una città simbolo di pace in Terra Santa e nel mondo intero. Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa" (Angelus del 20 dicembre 2009).

Betlemme, Nazaret, Gerusalemme, nomi noti e cari al cuore dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, diventano attuali anche nella preparazione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Accogliendo la richiesta di numerosi Vescovi della regione che va dall’Egitto all’Iran, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto tale Assise sinodale che avrà luogo dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4, 32).

Per preparare tale importante evento, in ossequio alla volontà del Sommo Pontefice, è stato formato un Consiglio Presinodale composto da 7 Patriarchi delle 6 Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e dal Patriarca latino di Gerusalemme. Membri del menzionato Consiglio sono anche 4 Capi dei Dicasteri della Curia Romana più interessati al tema dell’Assemblea sinodale. Ad essi sono inoltre uniti i Presidenti delle Conferenze Episcopali della Turchia e dell’Iran.

Con l’aiuto di alcuni esperti, i membri del Consiglio Presinodale hanno redatto i Lineamenta che oggi vengono presentati in 4 lingue: arabo, francese, inglese e italiano.

Struttura dei Lineamenta

I testo dei Lineamenta ha tre Capitoli, preceduti da una Introduzione in cui si indica lo scopo principalmente pastorale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi e cioè: "confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti" e "ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente".

Come di consueto, ogni parte dei Lineamenta è accompagnata da alcune domande che nell’insieme sono 32. Esse aiuteranno i destinatari istituzionali: i Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche, le Conferenze Episcopali, i Dicasteri della Curia Romana, l’Unione dei Superiori Maggiori, a discutere sui contenuti del Documento, applicandone le affermazioni alla realtà dei rispettivi enti ecclesiali. Le risposte dovrebbero pervenire, come menzionato nella Prefazione, entro la solennità di Pasqua del 2010 che quest’anno celebreremo tutti i cristiani insieme. La sintesi di tali risposte formerà, in seguito, l’Instrumentum laboris, Documento di lavoro dell’Assise sinodale che il Santo Padre Benedetto XVI consegnerà ai rappresentanti delle Chiese Orientali Cattoliche durante la sua Visita Apostolica a Cipro dal 4 al 6 giugno prossimo. Considerando la grande importanza della Terra Santa per ogni cristiano, non sono escluse le osservazioni anche di altri Istituti e di persone singole del mondo intero, concernenti, in particolare, l’appoggio spirituale e materiale ai cristiani e alle Chiese particolari del Medio Oriente.

Primo Capitolo: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente

Il Documento accenna brevemente alla storia gloriosa delle Chiese di Oriente che, ancor più che le altre Chiese particolari del mondo, risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme. Da questa, esse si sono diffuse nella regione mantenendo l’unità essenziale nella pluralità delle espressioni. Tali Chiese sono state caratterizzate dall’apostolicità e da una forte indole missionaria. Infatti, oltre alla Chiesa di rito latino, vi sono Chiese Orientali Cattoliche di ben cinque Tradizioni: Alessandrina (Chiesa Copta e Chiesa Etiopica); Antiochena (Chiesa Siro-Malankarese, Chiesa Maronita e Chiesa Sira); Armena (Chiesa Armena); Caldea o Siro-Orientale (Chiesa Caldea e Chiesa Siro-Malabarese); Bizantina o Costantinopolitana (tra cui la Chiesa Greco-Melchita).

Grati alla divina Provvidenza che ha voluto che tali Chiese rimassero nei singoli Paesi per quasi 2.000 anni di storia del cristianesimo, nonostante non poche difficoltà, i Lineamenta si soffermano su alcune sfide attuali:

- conflitti politici nella regione, menzionandone alcuni (Israele - Palestina, Iraq, Libano);

- libertà di religione e di coscienza, lamentando non pochi ostacoli all’esercizio di tale diritto fondamentale della persona umana e di ogni comunità religiosa.

Si menziona l’evoluzione dell’Islam contemporaneo in cui non mancano correnti estremiste che sono una minaccia per tutti, cristiani e musulmani. Inoltre, si constata una forte emigrazione dei cristiani dai loro Paesi d’origine. D’altra parte si sottolinea l’immigrazione di cristiani, soprattutto come operai, provenienti da vari Paesi del mondo.

Di fronte a tale situazione, il Documento propone la formazione dei cristiani affinché possano vivere con fedeltà ancora più grande la propria fede nella vita privata e pubblica. Inoltre, essi sono chiamati a continuare a dare il loro prezioso contributo all’edificazione di una società democratica, rispettosa dei diritti e dei doveri di tutti i suoi membri.

Secondo Capitolo: La comunione ecclesiale

Accennando alla natura teologica della comunione, che ha il suo fondamento nel mistero della Santissima Trinità, il Documento entra nella questione della comunione all’interno della Chiesa Cattolica e cioè tra le varie Chiese Orientali Cattoliche che dovrebbe diventare sempre di più una ricchezza per tutti i cristiani del Medio Oriente, anzi per tutta la Chiesa Cattolica. Vi sono due segni principali della comunione cattolica: la celebrazione dell’Eucaristia e la comunione con il Vescovo di Roma, Successore di San Pietro Apostolo e Capo visibile di tutta la Chiesa.

Ovviamente, la comunione si esprime anche nei rapporti tra i Vescovi delle diverse Chiese Orientali Cattoliche come pure tra essi e i fedeli. Essa, poi, si manifesta nella vita di ogni giorno, e l’ espressioni di essa sembra essere più facile a livello dei fedeli che dei Gerarchi. Il Documento tratta dunque aspetti assai concreti della comunione tra i cristiani come, per esempio, l’iscrizione in scuole e istituti d’istruzione superiore, la possibilità di ricevere l’assistenza da parte di enti di natura caritativa come ospedali, orfanotrofi, case di riposo, ecc. Un aspetto importante e pratico è la frequentazione dei fedeli in altre chiese cattoliche nella regione.

Capitolo terzo: La testimonianza cristiana

È il capitolo più lungo in cui si tratta della testimonianza dei cattolici all’interno della Chiesa stessa, in particolare per mezzo della catechesi e delle opere, e al di fuori di essa.

Il dialogo con le altre Chiese e comunità cristiane esiste ma ha bisogno di essere incrementato. In tale urgente opera, grande ruolo svolge il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che praticamente raccoglie tutti i rappresentanti dei cristiani della regione. Inoltre, vi sono progetti pastorali comuni elaborati nel Consiglio dei Patriarchi Cattolici riuniti con i Patriarchi ortodossi di Libano e Siria. Insieme con tutta la Chiesa Cattolica, le Chiese Orientali Cattoliche partecipano anche al dialogo teologico con la Chiesa Ortodossa. Sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione anche nel campo liturgico.

Il dialogo con l’ebraismo è la peculiarità delle Chiese di Gerusalemme (6 Cattoliche e 5 Ortodosse, più 2 comunità ecclesiali protestanti). Esistono in Palestina e in Israele varie associazioni di dialogo ebraico-cristiano. Tuttavia i rapporti con l’ebraismo sono condizionati dalla situazione politica che oppone da una parte Palestinesi e mondo arabo e dall’altra lo Stato d’Israele. Al riguardo, i Lineamenta citano le parole del Santo Padre pronunciate durante la sua Visita Apostolica in Terra Santa circa il diritto del popolo Palestinese e di quello Israeliano di vivere in pace e di avere ognuno una patria propria all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti.

A tal proposito, occorre sempre rammentare la distinzione tra il piano religioso e quello politico, non adoperando la Bibbia a scopi politici né la politica a scopi religiosi. In tale contesto è importante sottolineare il legame religioso tra il Giudaismo e il Cristianesimo, tra l’Antico e il Nuovo Testamento. I cristiani sono chiamati ad incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa condurre alla pace attraverso la giustizia. In tale opera importante e difficile sono guidati dall’attitudine cristiana, espressa dal Venerabile Papa Giovanni Paolo II: "Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002).

I rapporti con i musulmani occupano una parte rilevante del Documento. Le Costituzioni della maggior parte dei Paesi del Medio Oriente garantiscono l’uguaglianza tra i cittadini a tutti i livelli. Tale quadro giuridico permette ai cristiani di esigere il rispetto dei loro diritti e doveri di cittadini. Purtroppo, per la mancanza di distinzione tra religione e politica in pratica i cristiani sono spesso in posizione di non-cittadinanza. Per migliorare la situazione, occorre promuovere di più il dialogo anche per conoscersi meglio. Bisogna incoraggiare la presentazione oggettiva del cristianesimo e dell’Islam tramite i mass media come pure in opuscoli accessibili anche a gente semplice. In tale opera grande importanza hanno non solamente i gruppi di dialogo interreligioso, bensì le opere cattoliche, come scuole e ospedali frequentati anche da musulmani.

Di fronte a questa situazione non facile in vari Paesi, i cristiani sono chiamati a dare un contributo specifico e insostituibile alla società in cui vivono: essere testimoni di Cristo e dei valori del Vangelo in tutti i settori della vita personale, famigliare e pubblica. Vi sono alcuni punti che uniscono i cristiani e i musulmani, come i diritti dell’uomo, che pertanto bisognerebbe promuovere insieme per ottenere risultati più qualificati. Ispirandosi all’esempio e all’insegnamento di Gesù, i cristiani condannano la violenza da qualunque parte essa provenga e suggeriscono il dialogo come il mezzo migliore per risolvere i problemi. Inoltre, essi non si stancano di proporre il messaggio della riconciliazione basato sul perdono reciproco che è frutto soprattutto dello Spirito Santo e non solamente di sforzi umani. Con tale spirito sarà possibile, emarginando gli estremismi politici e religiosi, aprirsi al processo di edificazione di una umanità nuova. Pertanto, la testimonianza di vita dei cristiani, come fermento di una società rinnovata, rimane essenziale per il presente e il futuro del Medio Oriente.

Conclusione

Nella Conclusione si ripropongono le ragioni non tanto di politica quanto di fede per cui è essenziale che i cristiani rimangano nel Medio Oriente e continuino ad offrire il loro contributo specifico alla costruzione di una società giusta, pacifica e prospera. Non temere piccolo gregge (Lc 12, 32) è la migliore risposta ai dubbi di non pochi cristiani per rimanere in Terra Santa, forti della promessa della vicinanza di Dio. Nato a Betlemme, Egli si è fatto vicino a tutti gli uomini, soprattutto ai suoi compaesani. La parola del Vangelo di non temere è vivificata anche dalla solidarietà dei cristiani del mondo intero che appoggiano con la preghiera e con le opere di aiuto concreto i loro confratelli del Medio Oriente, culla del cristianesimo, come pure di altri due monoteismi: l’ebraismo e l’Islam.

La speranza cristiana, nata in Terra Santa, ha animato i fedeli per 2000 anni. Anche oggi, pure in mezzo alle difficoltà e alle sfide essa rimane per i cristiani e gli uomini di buona volontà la sorgente inesauribile della fede, della carità, della gioia di essere testimoni del Signore Gesù risorto, presente in mezzo alla comunità dei suoi discepoli. Come una volta nel cenacolo di Gerusalemme, egli continua a riempire dello Spirito Santo i suoi con le parole di vita: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi" (Gv 20, 21).



INTERVENTO DI MONS. FORTUNATO FREZZA

La Terra Santa

Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo, ha condiviso tutto, eccetto il peccato (Ebr 4, 15), con gli uomini del suo tempo e della sua terra. Venne in una terra che poteva dire sua perché in essa si svolse la sua vita, la sua storia umana. Nacque in Giudea, a Betlemme, piccolo centro e grande nello stesso tempo (Mi 5, 1), la città di Davide, di Booz con Noemi e Rut (Rt 1, 22; 2, 1), dei pastori e degli innocenti trucidati da Erode (Mt 2, 16), la città del censimento ordinato da Cesare Augusto (Lc 2, 1-7).

Un altro luogo gli fu proprio, perché in esso avevano dimora i suoi genitori Giuseppe e Maria (Lc 2, 4.5), Nazaret, sperduto paese della Galilea, terra dei popoli (Is 9, 1), sconosciuto e umiliato borgo (Gv 1 , 46) ai confini con le regioni straniere e pagane. Tanto grande e nobile Betlemme, quanto piccolo punto in geografia e stima Nazaret!

In questa geografia, come linea d’orizzonte, si è mosso Gesù. Una prima volta nel seno di sua madre, da Nazaret fino a Betlemme, quasi alla periferia di Gerusalemme, la città del tempio (Lc 2, 22) e della festa annuale di pasqua (Lc 2, 41), città della nostalgia (Sal 137, 1ss) e delle ascensioni dei pellegrini (Sal 120-134).

L’itinerario annuale di Pasqua da Nazaret a Gerusalemme corrisponde quasi all’intero asse longitudinale della Palestina, a congiunzione di due luoghi distintivi della vita del Signore: Nazaret con la sua casa (Lc 2, 51s) e Gerusalemme, meta del suo viaggio definitivo (Lc 9, 53).

Se è vero che i tessuti oftalmici e le fibre cerebrali restano impressionati dalle sollecitazioni visive provenienti dall’esterno, sotto forma di immagini con qualità e durata variabili, dobbiamo concludere che il giorno dell’ascensione al cielo, quando fu elevato in alto (At 1, 9) e sottratto agli occhi fissi degli uomini di Galilea (At 1, 11), l’uomo Gesù portava con sé le immagini di questa terra: Galilea, Samaria, Giudea, perché da uomo non attraversò altra terra che questa, nessun’altra geografia che quella della Palestina, terra dei padri e della promessa (Gen 12, 1).

Gesù non fu un missionario internazionale. La sua appartenenza territoriale era chiara e gli fu tanto cara da farlo piangere di fronte alla grandezza tradita della città «unita e compatta» (Sal 122, 3ss), di Gerusalemme (Lc 19, 41-44).

Quella che noi chiamiamo Terra Santa non è semplicemente una realtà geografica. Come territorio somiglia ad un trapezoide i cui lati sono ad occidente la costa mediterranea, a nord una linea che da Tiro raggiunge le falde meridionali dell’Hermon, ad est il deserto arabico, a sud un confine che dalla sponda meridionale del Mar Morto tocca il Mediterraneo presso la frontiera egiziana.

L’altezza del trapezoide è di circa 255 chilometri, la larghezza massima, a sud, è di 120 chilometri, la minima, a nord, di 70 chilometri, con un’area di circa 25.000 chilometri quadrati: meno della Sicilia, un po’ più della Sardegna.

Anche sotto l’aspetto geografico la Palestina è uno dei paesi più straordinari: in tanto poco spazio racchiude la più profonda depressione della terra con il livello del Mar Morto che è quasi di 400 metri sotto il Mediterraneo, e la più grande varietà di clima, fauna e flora.

In questa piccola superficie, stretta tra mare e deserto, si svolsero anche i circa 2000 anni di storia del popolo ebreo, dalla venuta di Abramo fino alla dinastia degli Asmonei nel II secolo a.C., e, successivamente , la vicenda umana del Figlio di Dio fatto uomo e dei suoi discepoli ed apostoli.

Passando dall’Antico al Nuovo Testamento, non abbiamo la sensazione di cambiare paese. La prima pagina del Nuovo Testamento è una genealogia che registra persone, richiamando storie pubbliche e private, come anche luoghi e territorio, contrade e città. Il paese è lo stesso, è medesima l’atmosfera, anche se si respira aria diversa.

Nell’Antico Testamento è tangibile una gradualità della rivelazione, un affinamento della religiosità, una linea di progrediente innalzamento della fede e dei costumi operato da Dio attraverso uomini scelti, quali i profeti e finalmente il Figlio suo, nato da donna (Gal 4, 4), originario di Nazaret.

Terra Santa e Sinodo

Il sinodo si occuperà di tutto il Medio Oriente, dall’Asia Minore all’Iraq, e di questa vasta ed eterogenea area la Terra Santa è parte geografica, storicamente non secondaria, civilmente non trascurabile, spiritualmente eminente. Le tre religioni monoteiste infatti trovano in essa, specificamente a Gerusalemme, in modo proprio a ciascuna, radici e vincoli vitali.

Gerusalemme è città sacra per gli ebrei, per i cristiani, per i musulmani: tre religioni monoteiste, sorte in area medio orientale in epoche diverse. Posta su di un’altura -una santa montagna- per gli ebrei Gerusalemme è "il centro della terra"; mentre il centro di questa città è il "Santo dei Santi", il luogo più sacro dell’unico tempio per il culto divino, del quale, distrutto nel 70 d. C. e mai più ricostruito, rimane il Muro del pianto.

Per i cristiani è il luogo della crocifissione, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, che significa "Salvatore": luoghi tutti monumentalizzati da Costantino Magno († 337), che costruì l’Anàstasis, il Martyrion e altri santuari; ma è anche una città dalla valenza mistica: è infatti modello e anticipazione della "Gerusalemme celeste", il regno di Dio cui appartengono i credenti, la Chiesa sposa del Cristo, composta di angeli e di salvati (S. Agostino, Contra Faustum, XV, 11).

Anche i musulmani considerano Gerusalemme città santa perché legata a Maometto (†632) fondatore dell’islam. Quivi, stando alla sura 17 del Corano (sura del viaggio notturno), Maometto fu trasportato dall’arcangelo Gabriele (in una notte del 619); mentre dalla roccia di Moriah -luogo destinato al sacrificio di Isacco- il Profeta intraprese un’ascesa ai cieli sul cavallo antroponfalo al-Burag e fu portato in paradiso, dinanzi al trono di Allah. Dai suoi seguaci questo luogo, in cui si erano verificati detti eventi, fu identificato con la spianata del tempio di Erode e, una trentina di anni dopo la presa della città da parte del califfo ‘Umar, vi fu eretta una moschea.

Questi vincoli vitali interessano direttamente la fase originaria delle tre religioni, storiche, ma ci si domanda se l’appartenenza a questa porzione del territorio mediorientale possa fomentare la coscienza dell’autenticità e della purezza delle fede e della prassi religiosa. Inoltre ci si interroga se la comune terra di origine e di convivenza possa favorire la reciprocità nel riconoscimento e nel rispetto fino ad influenzare positivamente le relazioni nell’intera area mediorientale.

Per quanto impegnative siano le risposte a tali quesiti, si possono trovare osservazioni pertinenti nel documento che oggi si presenta, i Lineamenta per l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, dal titolo «La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)». Esso esamina lucidamente condizionamenti e problemi direttamente connessi con quelle domande, che di volta in volta si affacciano nel viver quotidiano in quell’area, nella grande società come anche nella concreta convivenza di persone e di gruppi.

I Pastori della Chiesa in Medio Oriente, concludendo nei Lineamenta l’esposizione degli elementi caratteristici della situazione attuale delle loro Chiese particolari, delle sfide, della comunione ecclesiale e della testimonianza cristiana, guardano al futuro e scrivono: «La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi» (n. 87).

E infine si affidano ad un auspicio: «La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà del mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli. In tutti i nostri Paesi, questa speranza ci sostiene, con la parola di Gesù: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12, 32)» (n. 89).
+PetaloNero+
00mercoledì 20 gennaio 2010 00:37
Lineamenta dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi

www.zenit.org/article-21057?l=italian
+PetaloNero+
00mercoledì 20 gennaio 2010 16:09
STATEMENT OF THE BILATERAL COMMISSION MEETING OF THE DELEGATION OF THE HOLY SEE’S COMMISSION FOR RELIGIOUS RELATIONS WITH THE JEWS AND THE CHIEF RABBINATE OF ISRAEL’S DELEGATION FOR RELATIONS WITH THE CATHOLIC CHURCH (ROME, JANUARY 17-20, 2010; SHVAT, 2-5, 5770)

The Bilateral Commission of the Holy See and the Chief Rabbinate of Israel held its ninth meeting pursuant to their participation in the historic visit of Pope Benedict XVI to the Great Synagogue in Rome. At this event the Pope categorically reaffirmed the commitment of the Catholic Church to dialogue and fraternity with the Jewish People, as well as unequivocally condemning anti-Semitism and anti-Judaism. He also highlighted the significance of the work of the Bilateral Commission itself, about to hold its meeting on the subject of Catholic and Jewish teaching on Creation and the Environment, wishing it a "profitable dialogue on such a timely and important theme". Similarly Rabbi Riccardo Di Segni, Chief Rabbi of Rome, in his words on this occasion emphasized the mutual obligation of Christians and Jews to work together to protect the environment in keeping with the Biblical charge (Gen-2:15).

However, the meeting also took place in the shadow of the catastrophic tragedy in Haiti. Indeed, the aforementioned gathering in the synagogue, opened with a minute of silence in solidarity with the victims. The members of the Commission expressed their prayers for the victims and for the recovery of the survivors and applauded the international rescue and aid for the reconstruction of Haiti.

During the course of the meeting the members attended the moving presentation of Fr. Patrick Desbois at the Pontifical Gregorian University that highlighted the work of Yachad in Unum to locate and memorialize the unidentified sites in Eastern Europe of mass murder during the Shoah. The commission urged the respective religious communities to support and publicise this very important work, in order to learn from the tragedies of the past to protect and respect the sanctity of human life everywhere so that atrocities will never reoccur.


PRESS STATEMENT

1. The ninth meeting of the above Commission, was held in Rome, following the historic visit of Pope Benedict XVI to the Great Synagogue which had been attended also by the members of the Commission and at which the Pope categorically confirmed the commitment of the Catholic Church and its will to deepen dialogue and fraternity with Judaism and the Jewish People in accordance with Nostra Aetate, the subsequent teachings of the Magisterium and in particular of his predecessor John Paul II. "On this path we can walk together aware of the differences that exist between us, but also aware of the fact that when we succeed in uniting our hearts and our hands in response to the Lord’s call, His light comes closer and shines on all the peoples of the world" (Papal Address at the Synagogue of Rome, 17 January 2010, sect. 8). The Pope specifically praised the work, significance and achievements of the Bilateral Commission about to hold its meeting on the subject of Catholic and Jewish teaching on Creation and the Environment and wished the Commission a "profitable dialogue on such a timely and important theme".

2. The meeting was opened by the chairmen Cardinal Jorge Mejía and Chief Rabbi Shear Yashuv Cohen who paid tribute to the late Ambassador Shmuel Hadas whose contribution was so instrumental in the establishment of the commission.

3. The opening presentations focused on the tensions between secular environmentalist movements and religious perspectives and emphasized that biblical teaching views nature as being endowed with sanctity that flows from the Creator. It is He who has charged humanity as the summit of his inherently good Creation (cf. Gen 1:31) with the obligation of responsible custodianship (cf. Gen 2:15). Accordingly while freedom and autonomy are given to humanity to develop and advance the natural resources, as it is written "the Heavens are the Heavens of the Lord and earth has been given to humankind" (Ps 115:16), these must always be expressed in a manner that respects Divine sovereignty of the Universe, as it is written "the earth is the Lord’s and all that is in it" (Ps 24:1).

4. Humankind today faces a unique environmental crisis which is substantially the product of unbridled material and technological exploitation. While this challenge must obviously be addressed through the necessary technical means as well as self restraint, humility and discipline; the participants emphasized the essential need for society to recognize the transcendent dimension of Creation that is critical to ensure sustainable development and progress in an ethically responsible manner. Not everything that is technically feasible is morally acceptable. It is this consciousness that ensures that every aspect of human advancement promotes the wellbeing of future generations and sanctifies the Divine Name, just as its absence leads to destructive consequences for humanity and environment and profanes the Divine Name.

5. The Biblical Tradition that gives unique dignity to the human person must not be understood in terms of domination but in terms of respect and solidarity. This requires of us a sense of a "human ecology" in which our responsibility for the eco-system is bound up with and reflective of our obligations to one another and in particular "a special generosity towards the poor, towards women and children, strangers, the sick, the weak and the needy" (Papal Address at the Synagogue of Rome, 17 January 2010, sect. 7).

6. The ethical aspect of human intervention in the natural order lies in the limitation on the power of science and its claim to absoluteness, and in the expression of human solidarity and moral responsibility towards all. To that end the bilateral commission strongly urges that all scientific innovation and development work in close consultation with religious ethical guidance. Similarly States and international bodies should engage in close consultation with religious ethical leadership in order to ensure that progress be a blessing rather than a curse. A genuine environmental ethic is a key condition for world peace and harmony.

7. Above all, the critical importance of a moral religious education at all levels was highlighted in order to guarantee responsible scientific and social development.

Rome,
January 19th, 2010 – Shvat 4th, 5770


Chief Rabbi Shear Yashuv Cohen

(Chairman of the Jewish Delegation)

Chief Rabbi Ratson Arussi

Chief Rabbi David Brodman

Chief Rabbi Joseph Levi

Chief Rabbi David Rosen

Rabbi Prof. Daniel Sperber

Mr. Oded Wiener




Jorge Cardinal Mejía

(Chairman of the Catholic Delegation)

Patriarch Fouad Twal

Archbishop Elias Chacour

Archbishop Antonio Franco

Archbishop Bruno Forte

Bishop Giacinto-Boulos Marcuzzo

Mons. Pier Francesco Fumagalli

P. Pierbattista Pizzaballa O.F.M.

P. Norbert J. Hofmann S.D.B.
+PetaloNero+
00venerdì 22 gennaio 2010 15:57
COMUNICATO AL TERMINE DEI LAVORI DEL CONSIGLIO DI CARDINALI PER LO STUDIO DEI PROBLEMI ORGANIZZATIVI ED ECONOMICI DELLA SANTA SEDE

Nei giorni 20 e 21 gennaio, si è svolta in Vaticano la riunione del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal Segretario di Stato, Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Tarcisio Bertone, S.D.B., con all’ordine del giorno la discussione del bilancio preventivo consolidato della Santa Sede e del bilancio preventivo del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano per l’anno 2010.

Vi hanno preso parte gli Em.mi Cardinali: Joachim Meisner, Arcivescovo di Köln (Germania); Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid (Spagna); Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano (Italia); Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban (Sud Africa); Anthony Olubunmi Okogie, Arcivescovo di Lagos (Nigeria); Juan Luis Cipriani Thorne, Arcivescovo di Lima (Perù); Marc Ouellet, P.S.S., Arcivescovo di Québec (Canada); Odilo Pedro Scherer, Arcivescovo di São Paulo (Brasile); Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma.

Erano assenti per inderogabili impegni pastorali gli Em.mi Cardinali Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas (Venezuela), e Nicholas Cheong Jinsuk, Arcivescovo di Seul (Corea).

La Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede era rappresentata dal Presidente, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Velasio De Paolis, C.S., dal Prelato Segretario, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo Di Mauro, e dal Ragioniere Generale, il Dott. Stefano Fralleoni.

Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano era rappresentato dal Presidente della Commissione Cardinalizia per lo S.C.V., l’Em.mo Card. Giovanni Lajolo, e dal Segretario Generale, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Carlo Maria Viganò.

Per l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica sono intervenuti l’Em.mo Card. Attilio Nicora, Presidente, e il Segretario, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Domenico Calcagno.

Su invito del Cardinale Segretario di Stato, sono stati convocati ed ascoltati, per quanto di loro competenza, il Padre Federico Lombardi, S.I., e il Dott. Alberto Gasbarri, rispettivamente, Direttore Generale e Direttore Amministrativo della Radio Vaticana.

Dopo l’introduzione del Cardinale Segretario di Stato, il quale ha esposto il senso e lo scopo della riunione, l’Arcivescovo De Paolis ha illustrato il bilancio preventivo consolidato della Santa Sede per l’anno 2010. L’area di consolidamento riguarda gli Organismi facenti parte della Curia Romana, ad eccezione della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, la quale ha una propria amministrazione, e le Istituzioni "mediatiche" collegate con la Santa Sede, vale a dire la Radio Vaticana, la Tipografia Vaticana – Editrice "L’Osservatore Romano", il Centro Televisivo Vaticano e la Libreria Editrice Vaticana.

Il risultato di esercizio preventivato riflette la speranza di possibili andamenti economici e finanziari che, nonostante il quadro generale di perdurante difficoltà, indicano qualche leggero miglioramento.

Tra i costi, la voce più consistente è quella inerente alla retribuzione del personale dipendente, che si attesta a 2.668 unità. Benché se ne preveda il contenimento, il relativo onere finanziario è ugualmente in crescita a motivo dell’adeguamento degli stipendi al costo della vita. Vi sono poi le spese relative alla Radio Vaticana e alle altre istituzioni mediatiche, le quali, peraltro, devono essere considerate nel quadro dell’attività missionaria della Santa Sede. Pur tenendo conto dell’attuale situazione economica mondiale, è stata rilevata la necessità pastorale di suscitare una maggior attenzione dei fedeli, più sensibili a contribuire a progetti specifici e a loro più prossimi, per le strutture della Chiesa che prestano servizi di ordine generale.

Sua Ecc.za Mons. De Paolis ha poi illustrato il bilancio preventivo per l’anno 2010 del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Questo Ente, com’è noto, cura la gestione territoriale e fornisce la necessaria struttura di supporto alla Santa Sede. Dai dati sottoposti all’attenzione dei membri del Consiglio emerge che l’Amministrazione in parola, la quale, peraltro, provvede in modo autonomo al proprio finanziamento, ha sostanzialmente superato le difficoltà degli esercizi precedenti, riacquistando un assetto che permette di guardare con maggior fiducia al futuro.

A carico del Governatorato, oltre ai costi connessi alle attività istituzionali dello Stato, vi sono gli oneri derivanti dalla manutenzione degli immobili e degli impianti. Per il periodo in esame, è prevista l’attività di 1.884 dipendenti.

I Bilanci sono stati sottoposti a verifica e controllo da parte della Prefettura degli Affari Economici.

Durante i lavori del Consiglio, il Santo Padre ha fatto graditissima visita ai partecipanti, ascoltando con vivo interesse le loro osservazioni e ringraziando tutti gli intervenuti per la preziosa collaborazione offerta alla Sede Apostolica.
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