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Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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05/03/2013 16:56
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Castel Gandolfo, il sindaco che “ospita” il Papa: «Il suo gesto rivoluzionario un esempio anche per la politica»

Il primo cittadino Milvia Monachesi, un passato nella sinistra riformista e quell'incontro speciale con Ratzinger: «Mi ha avvicinata alla Chiesa»

di Marida Lombardo Pijola

ROMA - A Castel Gandolfo, in piazza della Libertà, accanto al palazzo pontificio dove il Papa emerito medita, passeggia e prega, chiuso nella sua bolla di silenzio, lavora una signora che ha nel suo ufficio una bellissima foto in bianco e nero di Enrico Berlinguer. Si chiama Milvia Monachesi, ha 56 anni e due figli da un marito divorziato, ha militato sin da ragazza nella sinistra riformista, ed era una di quelli che sognavano di cambiare il mondo con la lotta di classe, spendendo testa e cuore. Milvia è da otto mesi il sindaco di uno dei più bei borghi italiani, il primo donna, eletta nelle liste del Pd. L'altra mattina, per la prima volta, ha aperto la giornata andando in Chiesa.

E' andata a pregare per il suo nuovo vicino, Joseph Ratzinger. L'uomo davanti al quale, racconta, l'altro giorno ha pianto, baciandogli le mani, come mai avrebbe immaginato di trovarsi a fare. L'uomo che, aggiunge, ha profondamente cambiato la sua vita. Non è che abbia cambiato la sua vita per l'impegno tutt' affatto lieve di fare in modo che ogni cosa sia all'altezza del privilegio di ospitare per due mesi (forse tre) il primo Papa emerito della storia della Chiesa. Non è per il carico del cerimoniale, o della sicurezza, o delle premure che la cittadina, tramite il suo sindaco, intende tributare all'ex pontefice, per tutelare il suo desiderio di tranquillità, per fargli percepire i sentimenti che Milvia, a nome della cittadinanza, ha elencato su un grande manifesto: «Affetto, stima, comprensione, gratitudine per aver scelto di venire mezzo a noi in un momento così difficile». Ragion per cui gli sarà offerta presto la cittadinanza onoraria del borgo dal quale si possono vedere “il lago, le montagne e il mare”, come lui stesso ha scritto nella targa che gli ha dedicato, non senza aggiungere che, da quelle parti, si può frequentare “gente buona”.

Come Milvia. Nel suo cuore, ancorché laico, c'è molto di più di ciò che ha scritto su quel manifesto. Qualcosa di personale, che riguarda il movimento dei sentimenti, delle emozioni, dei valori. «Quando sono andata a riceverlo all'eliporto delle Ville Pontificie, il cuore mi scoppiava. Vedendolo così provato, così curvo, con gli occhi velati di lacrime, sono scoppiata a piangere, senza imbarazzo. Gli ho stretto le mani, baciandole. Qualcosa in me è cambiato. Lui mi ha detto grazie. Io gli ho risposto grazie a lei». I motivi di quella gratitudine glieli ha spiegati in una lettera lasciata sulla scrivania del suo studio negli appartamenti pontifici. «Lui, con il suo gesto rivoluzionario, mi ha avvicinata alla sua Chiesa. Mi ha fatto scoprire una nuova spiritualità, che forse era latente. E ha dato a tutti una grandissima lezione: la capacità di capire i propri limiti, il coraggio di lasciare, se non ci si sente in grado di rispettare i propri impegni. Un esempio che anche la politica, soprattutto in questi giorni difficili, dovrebbe non dimenticare».

www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa/notizie/2559...


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01/03/2013

L'elicottero, la “Luna” e “Buonanotte”: ho pianto

Ho pianto come un bambino... e non lo sono più da tanti decenni. Quelle immagini dell'elicottero bianco che parte e sorvola Roma, la sua Roma, e San Giovanni, la sua Cattedrale, per arrivare su quel lago! Hai voglia a dire – anche con Lui, anche se nella fede è verissimo – che da sempre «è Cristo che regge la Chiesa», e in situazioni anche tremendamente più “difficili” (per usare una sua espressione) di oggi. Tutto vero, tutto biblico, tutto teologicamente perfetto, però… ho pianto come un bambino. Fino a quando si è detto «pellegrino», e poi «buonanotte». Fine delle lacrime. Ecco il lupus. Proprio a proposito. Ieri sul “Fatto” (p. 10) leggevo che quell'affermazione dell'ultima Udienza, e cioè che «è Cristo che guida la Chiesa… è una svolta epocale». Svolta? Ma no? Qualcuno ha scritto anche che la «sua» rinuncia «ha desacralizzato» il Papato. Ma no? Ma perché si fa finta di sapere tutto e invece o si ignora tanto, o lo si nasconde per calcolo? La rinuncia dell'11 febbraio ha messo l'accento sulla distinzione tra la persona umana del Papa e il ministero che gli è affidato. Era un altro 11, di ottobre però, e un altro «successore di Pietro», in quella sera visitata dalla Luna «affrettatasi a guardare lo spettacolo», disse: «La mia persona conta niente. È un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore…». E allora? Allora possiamo capirli, certi fratelli, e certi colleghi, che nel Papa vedono solo un prete che ha fatto carriera in mezzo agli altri, e quindi non capiscono che uno, se ragiona e guarda avanti, rimanga tranquillo perché in trasparenza vede (anche) un Altro… È proprio così. Sì! Però ho pianto, e adesso un po' ricomincio… A domani.


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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5 marzo 2013

Due modi di sentire un distacco
Quell’amore per il Papa che vive «in basso»


Ci son due modi di sentire la rinuncia del Papa: uno in alto, tra le autorità, i media, i resoconti delle tv e dei giornali di tutto il mondo, le titolazioni, le spiegazioni, le cautele; e una in basso, tra la gente comune, il clero e i fedeli delle parrocchie, la gente delle periferie e delle campagne, in Italia e nel mondo. I giornali e le tv, gli storici e gli studiosi, cercavano di spiegare, di trasformare l’evento in articolo, libro, servizio, resoconto, in parole o immagini. I preti, le suore, l’autista del Papa, i servitori, i fedeli sparsi per i continenti, pregavano, applaudivano, alzavano cartelli, tenevano le mani giunte, piangevano.

Li abbiamo visti in piazza San Pietro, facce di tutte le razze, vestiti di tutte le mode. Li abbiamo visti sui poggioli delle loro case, alzare le mani, come per un saluto ravvicinato, verso l’elicottero che portava papa Benedetto fuori dal Vaticano. Dall’alto trapelava l’idea che le 'dimissioni' del Papa sono un fatto che va affrontato razionalmente, c’è qualcosa da capire e da spiegare, perciò bisognava aprire libri, trovare i precedenti, consultare, citare: se trovi la fonte giusta, sistemi tutto. In basso c’era l’idea che è solo una questione di 'amore', bisognava mostrare al Papa più amore, bisogna mostrarglielo anche adesso, non è mai troppo tardi: così si spiegano tutti quei cartelli 'Ti vogliamo bene', 'Saremo sempre con Te', 'Non sei solo'.

Molti, in basso, piangevano. Le suore, inquadrate di spalle, controluce, mentre salutano l’elicottero che transita da sinistra verso destra, dal Vaticano a Castel Gandolfo, agitando in aria i fazzoletti che ogni tanto riabbassano per asciugarsi gli occhi. L’autista che, mentre tutti coloro che per ragioni di lavoro avevano intimità con Benedetto XVI gli danno la mano, piegando la schiena e sussurrando qualcosa, lui s’inginocchia fino a toccar terra e si rialza piangendo, senza una parola. In basso, tra il miliardo e duecento milioni di cattolici sparsi sulla superficie della Terra, l’addio del Papa che si nasconde al mondo non è un problema: è un dolore. Non c’è niente da chiedersi. C’è soltanto da soffrire. È una prova della vita. Se la ricorderanno finché vivranno. La loro memoria, quando sarà confusa, situerà i fatti più importanti prima o dopo questa data: anche le malattie in famiglia, i ricoveri in ospedale, le nascite dei nipotini, i matrimoni, le morti dei parenti.

L’elicottero che porta via il Papa, nella vita di questa generazione, resterà un unicum, un evento inconfondibile. Ai fedeli succede con questo Papa ciò che succede con i parenti: li si ama sempre di più man mano che s’avvicina il momento del distacco. Papa Benedetto la massa dei fedeli lo ha amato persino di più quando ha saputo che se ne andava. Lo amano moltissimo adesso che non è più Papa. Sentono che è una personalità complessa, in grado di conquistare l’attenzione dei dotti, dei sapienti, sulla base della cultura, la frequentazione dei testi­base dell’etica, ma in grado anche di attrarre la simpatia dei semplici, degli umili, per il frequente rinvio di ogni questione alla preghiera: la preghiera, nelle subtopie dei poveri del pianeta, è il rifugio nelle situazioni d’impotenza, il ricorso negli estremi pericoli, ma poiché i poveri sono sempre in estremo pericolo, conoscono bene quel rifugio. I poveri non capiscono il potere. Non amano le manovre del potere. Vedono questo Papa andar via senza indicare un qualche successore, nemmeno con allusioni. Chiunque sia, lui gli promette «reverenza e obbedienza». Così fa la massa di fedeli che aspettano, nel mondo. Come la folla che si radunerà in Piazza san Pietro, quando sarà il giorno. Saran devoti al nome che suonerà, prima ancora di sentirlo. Son devoti fin da adesso.

Ferdinando Camon



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5/03/2013

Un telegramma carico di gratitudine per Benedetto

Intanto sono ancora cinque i cardinali elettori che ancora non sono arrivati a Roma per il Conclave: Naguib, Lehmann, Tong Hon, Pham Minh Man e Nycz

REDAZIONE
ROMA


I cardinali riuniti in Vaticano per le congregazioni generali in vista del prossimo conclave hanno inviato al Papa Emerito Benedetto XVI, ora a Castel Gandolfo, un telegramma, firmato dal cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio.

Il testo del messaggio è stato reso noto dal portavoce della Santa Sede Padre Lombardi, nel corso di una conferenza stampa. I cardinali, si legge nel telegramma, «inviano in coro un devoto saluto con l'espressione della loro rinnovata gratitudine per tutto il Suo luminoso ministero Petrino e per l'esempio loro dato di una generosa sollecitudine pastorale per il bene della Chiesa e del mondo».

La gratitudine dei cardinali - prosegue il telegramma inviato a Sua Santità - «vuole rappresentare la riconoscenza di tutta la Chiesa per il Suo instancabile lavoro nella vigna del Signore». I membri del collegio cardinalizio - conclude il messaggio - confidano infine nelle sue preghiere per loro, «come per tutta la Santa Chiesa».

Interrogato sulle ragioni per le quali al Papa Emerito si è deciso di inviare un messaggio così succinto, nella forma di un telegramma, il portavoce vaticano, padre Lombardi, ha poi risposto: «il testo è stato proposto dal cardinale decano Angelo Sodano all'Assemblea che lo ha approvato e dato il suo consenso».

È ancora «prematuro» ipotizzare una data precisa per il Conclave. Lo ha sottolineato Padre Federico Lombardi. «I cardinali vogliono riflettere bene per capire, approfondire. Già il fatto che nelle giornate di oggi e domani non ci saranno congregazioni la dice lunga. I cardinali vogliono capire, avere tempo a disposizione senza affrettare le cose», ha aggiunto il direttore della sala stampa vaticana.


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TELEGRAMMA DEL COLLEGIO CARDINALIZIO A SUA SANTITÀ IL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI, 05.03.2013

Pubblichiamo di seguito il testo del telegramma inviato stamattina a Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI dal Cardinale Decano Angelo Sodano, a nome del Collegio Cardinalizio riunito in Vaticano per la terza Congregazione Generale in periodo di sede vacante:

TELEGRAMMA DEL CARD. ANGELO SODANO
A SUA SANTITÀ
IL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI
CASTELGANDOLFO

I PADRI CARDINALI RIUNITI IN VATICANO PER LE LORO CONGREGAZIONI GENERALI IN VISTA DEL PROSSIMO CONCLAVE LE INVIANO IN CORO UN DEVOTO SALUTO CON L’ESPRESSIONE DELLA LORO RINNOVATA GRATITUDINE PER TUTTO IL SUO LUMINOSO MINISTERO PETRINO E PER L'ESEMPIO LORO DATO DI UNA GENEROSA SOLLECITUDINE PASTORALE PER IL BENE DELLA CHIESA E DEL MONDO.
LA LORO GRATITUDINE VUOLE RAPPRESENTARE LA RICONOSCENZA DI TUTTA LA CHIESA PER IL SUO INSTANCABILE LAVORO NELLA VIGNA DEL SIGNORE.
I MEMBRI DEL COLLEGIO CARDINALIZIO CONFIDANO INFINE NELLE SUE PREGHIERE PER LORO, COME PER TUTTA LA SANTA CHIESA.
+ ANGELO CARD. SODANO
DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO

DAL VATICANO, 5 MARZO 2013

Bollettino Ufficiale Santa Sede


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5/03/2013

"L'addio di Ratzinger è nel messaggio di Fatima"


Il 7 marzo esce il suo nuovo saggio: "Il libro segreto di Papa Ratzinger.L'uomo che ha rinunciato al papato"(Newton Compton)

GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO

"La verità della rinuncia di Ratzinger va cercata nel messaggio di Fatima", spiega a Vatican Insider Simone Venturini biblista e docente alla Pontificia Università della Santa Croce.

Professore, perché secondo lei perché Ratzinger ha lasciato?

"Nel libro cerco di spiegare in profondità il gesto di Benedetto XVI. Certamente, analizzo i fatti di questi ultimi anni, ma conduco pian piano il lettore a cogliere la visione alta e profetica che il Papa ha della storia della Chiesa, i cui destini sono in mano a Dio e non all'uomo. Il motivo concreto, comunque, potrebbe essere che il Papa avvertiva di non avere più quella energia fisica che gli avrebbe permesso di affrontare con l'adeguata forza gli impegni straordinari che gli si ponevano innanzi.

Cosa c'è dietro la rinuncia di Benedetto XVI?

"Non credo sia possibile, in questo momento, nascondersi dietro un dito. Ritengo infatti che l'ultimo anno sia stato tremendamente pesante per il Papa. Soprattutto la graduale scoperta di avere intorno a sé un ambiente ostile, non certamente una famiglia come sperava. Una struttura che non corrispondeva alla sua idea di Chiesa al servizio di Dio e degli uomini, accorgendosi nel contempo di non avere più l'energia per attuare quelle necessarie riforme che ne avrebbero modificato la fisionomia".

E' questa la verità?

"Ritengo che sia una lettura parziale e riduttiva dire che il Papa sia fuggito davanti ai lupi, perché il suo è stato un gesto libero e preso con pieno senso di responsabilità davanti a Dio e alla storia". Il gesto di Benedetto XVI non è paragonabile né a quello di Celestino V, né a quello di Gregorio XII. Non solo per i tempi diversi, ma anche e soprattutto perché - ripeto - la scelta del Papa è stata libera e dovuta dalla percezione che aveva di sé di fronte al momento storico che stiamo vivendo. Da qui scaturisce la "normalità" di cui è ammantata la scelta di Benedetto, la sua serenità e calma; il Papa, mai come prima, ha detto chiaro e tondo al mondo e alla chiesa, soprattutto, che non siamo noi i padroni di tutto, ma è Dio. Non si tratta, perciò, di una "svolta laica" del papato, bensì di una vera e propria "svolta teologica"!

Perchè lei dice che anche Benedetto XVI è misteriosamente inserito nel messaggio di Fatima?

"Perché il linguaggio del Terzo segreto di Fatima è simbolico e perché fu lo stesso Benedetto XVI a dire che il messaggio del Terzo segreto è ancora assai attuale. Nel mio libro, analizzando i simboli presenti nel testo del segreto, sostengo che il "Vescovo vestito di bianco" rappresenti la vicenda di Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e probabilmente anche del suo successore. Nessuno dei tre è stato ucciso, ma tutti e tre sono stati ferocemente attaccati dalla cultura relativista e materialista che a partire da Paolo VI si è sempre più imposta nel mondo, soprattutto in Occidente. Questi attacchi, però, segneranno la graduale e sofferta purificazione della Chiesa che la porterà ad essere quella resta luminosa e splendente di cui parla l'Apocalisse (capitolo 22)".

Quanto hanno inciso gli scandali Vatileaks e Ior sulla decisione clamorosa di Benedetto XVI?

"Probabilmente hanno ferito profondamente la sensibilità umana del Papa e, perciò, hanno indubbiamente giocato un loro ruolo nella decisione del Papa. Tuttavia, proprio nell'ultimo angelus - il 24 febbraio - Benedetto disse che "stava rispondendo ad una chiamata di Dio" che ci riporta al piano provvidenziale di Dio per la Chiesa di oggi, all'interno del quale il Papa si sente profondamente inserito. Certamente, il successore di Benedetto XVI eredita una situazione molto difficile e complessa, ma certamente saprà porsi al di sopra di "scandali e lotte interne" per ridare alla Chiesa quel volto di speranza e di amore di cui l'Italia e il mondo di oggi hanno tanto bisogno".


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Quel freddo telegramma per Benedetto

di Luigi Accattoli

I cardinali riuniti in «congregazione generale» hanno mandato un «devoto saluto» «a Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI» con un telegramma a firma del cardinale decano Angelo Sodano.
Gli dicono «rinnovata gratitudine» per il suo «luminoso ministero petrino» e per l'esempio loro dato di una «generosa sollecitudine» per «il bene della Chiesa e del mondo», nonché per il suo «instancabile lavoro nella vigna del Signore».
Di sicuro non ne ha colpa il cardinale decano ma l'evento nuovissimo della «rinuncia» di papa Benedetto non poteva provocare un'eco più vecchia di quella contenuta nel telegramma cardinalizio.
Si direbbe che l'ufficio che l'ha redatto abbia utilizzato lo schema di un ordinario messaggio «gratulatorio» poniamo per un cinquantesimo di messa di un cardinale, dove non mancano mai il «devoto» saluto, la «rinnovata» gratitudine, la «generosa» sollecitudine.
Immaginiamo che Ratzinger-Benedetto avrà comunque apprezzato che i cardinali gli abbiano mandato un pensiero rivolgendosi a lui con il titolo di «Papa emerito» che egli aveva scelto per sé.
Ma essendogli giunto a poche ore da un telegramma venuto da Mosca, firmato dal Patriarca Kirill, il Papa della rinuncia non avrà potuto non avvertire la diversità di tono e di affetto.
Kirill lo saluta «in questi giorni così speciali» con «amore fraterno», richiama la decisione di lasciare il Pontificato come «un gesto di semplicità e umiltà» che ha trovato «una risposta vivace nei cuori di molti».
Ricorda il «calore» degli incontri avuti con lui quand'era cardinale e gli augura «buona salute e molti anni di vita».
La materia per dire qualcosa dunque c'era e a Mosca l'hanno colta meglio che in Vaticano.
Sarà che a volte la distanza aiuta.

© Copyright Corriere della sera, 6 marzo 2013


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Berretto, sciarpa e rosario: la nuova vita di Ratzinger

Ecco la prima foto del Papa Emerito dopo l'addio: passeggia a Castel Gandolfo col fedele Georg

Stefano Filippi

«Nascosto al mondo», ma non ai fotografi. Ecco, al quinto giorno da Papa emerito, la prima immagine di Joseph Ratzinger. La pubblica in esclusiva mondiale il settimanale della Mondadori Chi, in edicola oggi.
È un documento storico, a suo modo. Che ci restituisce esattamente il Ratzinger che ci aspettavamo. Un uomo dimesso, curvo, che prega nei giardini del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo accompagnato dal segretario personale, don Georg Gänswein, che procede al suo fianco.
L'obiettivo li inquadra mentre camminano su una stradina nel verde, tra alberi, siepi e un ritaglio di prato. Possiamo immaginare che stiano recitando il rosario: era abitudine di Benedetto XVI passeggiare nei giardini vaticani con la corona delle Avemarie. Alle loro spalle, nascosta quasi completamente da un tronco, s'intravede appena una terza figura vestita di scuro, forse una delle quattro «memores Domini» che hanno accettato di seguire Ratzinger anche in questa «ultima tappa del mio pellegrinaggio su questa terra», come egli ha detto congedandosi.
Il Papa ha freddo. Indossa la talare, una giacca a vento, una sciarpa e un berretto con la visiera, tutto bianco. Con la mano destra si appoggia al bastone nero che impugnava al momento di abbandonare il Vaticano, mentre la sinistra è infilata nella tasca del piumino e probabilmente sgrana la corona del rosario. Ai piedi Ratzinger porta le famose scarpe marroni, non quelle rosse da Pontefice, che per giorni hanno fatto discutere i cultori dell'abbigliamento post-pontificio.
Le calzature sono l'unico segno esteriore del cambiamento avvenuto. Benedetto XVI ha rinunciato all'«esercizio attivo del ministero», alla «potestà dell'officio per il governo della Chiesa» come ha detto nell'udienza di mercoledì scorso, ma rimane un uomo «impegnato sempre e per sempre dal Signore». E aveva aggiunto: «Chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy». Lo scatto di Chi conferma anche questa verità.
«Sono un pellegrino», erano state le sue parole dalla loggia di Castel Gandolfo. Vecchio e stanco, il pellegrino Ratzinger cammina e prega immerso nel verde, in silenzio. Al lato del sentiero si intravede una rete altissima, emblema di quel «recinto di San Pietro» in cui il Papa ha deciso di rinchiudersi. Benedetto XVI è ingobbito, il peso delle fatiche non lo ha abbandonato, ma non è solo: c'è qualcuno al suo fianco, e la figura di don Georg intabarrato in un soprabito nero che scende fino ai piedi sembra catalizzare le preghiere dei fedeli.
Ieri alle invocazioni del popolo si sono aggiunti i ringraziamenti dei «grandi elettori» del prossimo Papa. «I Padri Cardinali riuniti in Vaticano per le loro Congregazioni generali in vista del prossimo Conclave - si legge nel testo del messaggio inviato dal decano Angelo Sodano - Le inviano in coro un devoto saluto con l'espressione della loro rinnovata gratitudine per tutto il Suo luminoso ministero petrino e per l'esempio loro dato di una generosa sollecitudine pastorale, per il bene della Chiesa e del mondo. La loro gratitudine vuole rappresentare tutta la riconoscenza della Chiesa per il Suo instancabile lavoro nella vigna del Signore. I membri del Collegio Cardinalizio confidano infine nelle Sue preghiere per loro, come per tutta la Chiesa».
È una coincidenza curiosa che questo telegramma sia stato spedito il giorno in cui è apparsa la prima foto del Papa emerito.
Il messaggio è un gesto cortese e riconoscente ma vi si coglie anche un sapore di atto dovuto, un po' ingessato.
Sodano era stato molto efficace in Sala Clementina, nell'ultimo giorno del pontificato, prima che Benedetto XVI salutasse a uno a uno tutti i cardinali: evocando i discepoli di Emmaus aveva detto che «ardeva anche il nostro cuore quando camminavamo con lei in questi otto anni». Ora il Papa emerito è a Castel Gandolfo e i cardinali sono impegnati a capire chi eleggere, vogliono sapere di Vatileaks, Ior, scandali, Curia e governo della Chiesa. Sì, c'è un posto di riguardo per loro nel rosario di Benedetto XVI scandito nella quiete di Castel Gandolfo.

© Copyright Il Giornale, 6 marzo 2013


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5 marzo 2013

Un cattolicesimo sempre più “clericale”… e sempre meno cattolico

(di Corrado Gnerre su Il Giudizio Cattolico del 05-03-2013) Dinanzi a coloro che hanno manifestato qualche perplessità in merito all’opportunità della rinuncia di Benedetto XVI c’è chi ha parlato di “papalini” che hanno avuto la pretesa di mettersi al di sopra del papa. Come se non essere eventualmente d’accordo su atti che non coinvolgono l’infallibilità del Sommo Pontefice possa essere letto come un rifiuto dell’autorità dello Stesso.

Ovviamente nessuno di noi può entrare nella coscienza di Benedetto XVI e pretendere di giudicare soggettivamente. Il suo gesto non solo è stato canonicamente legittimo, ma è stato anche – come lui stesso ha tenuto a precisare – sofferto e preso dopo un’intensa preghiera. Oltretutto, da credenti, non si può nemmeno escludere che Benedetto XVI abbia ricevuto un segno dall’alto che lo abbia spinto a fare ciò che ha fatto. Chi, a tal riguardo, può permettersi un giudizio? Ma – come molti dovrebbero sapere – un conto è il giudizio in campo soggettivo, altro quello in campo oggettivo. Fermo restando l’impossibilità e l’illegittimità del primo, non si è costretti a dispensarsi dal secondo. Ebbene, oggettivamente, non vi è nulla di scandaloso nel ritenere la rinuncia di un Pontefice come atto poco opportuno… soprattutto in questo momento storico.

Tutta una serie di elementi possono indurre ad un giudizio in tal senso. Il primo è quello di pensare che un tale atto possa far passare in secondo piano o addirittura annullare la dimensione misterica del Primato Petrino. Molti già parlano di Papato a termine. E anche il successore di Benedetto XVI (che ovviamente non avrà nessun obbligo a riguardo) quando raggiungerà gli 80/85 anni potrà trovarsi nell’imbarazzo di dover continuare e forse potrà anche essere oggetto di inopportune pressioni da parte di chi volesse contestargli il magistero.

Per non parlare del titolo di “Papa emerito” che non certo facilita la chiarezza a riguardo. Non a caso padre Ghirlanda su La Civiltà Cattolica (anche se il numero della rivista è stato dato alle stampe prima della decisione ufficiale) dice che si tratta di un titolo inopportuno, ambiguo. Meglio sarebbe (stato) “Già Papa” o “Già Sommo Pontefice”. Infatti la carica primaziale è data direttamente da Cristo al Vescovo di Roma e si perde quando non si è più Papa. Due papi non possono coesistere, è una contraddizione in termini.

Ma torniamo al punto da cui siamo partiti. E cioè il presunto “scandalo” di ritenere oggettivamente poco opportuno il gesto compiuto da Benedetto XVI. Sembra proprio che si sia realizzato ciò che qualcuno ha definito come “clericalismo non cattolico”, nel senso che ormai siamo diventati un po’ tutti clericali ma sempre meno cattolici. Chiarisco.

Cosa significa sottomettersi al Papa? Cosa significa riconoscere davvero il Papa?

Significa riconoscere il suo ruolo. Significa riconoscere il suo magistero. Non dobbiamo confondere l’obbedienza al Papa, la giusta riverenza e il giusto rispetto… con la “papolatria”, che è un’altra cosa. Rispettare il Papa non significa necessariamente andare a battere le mani sotto la sua finestra, cantare “Giovani Paolo, Giovanni Paolo …” o “Benedetto, Benedetto …”, cantare o ballare da papaboys … e tornare a casa per dimenticare ciò che il Papa insegna e ha insegnato. L’obbedienza al Papa è riconoscere il suo magistero, sostituire il proprio criterio di giudizio con quello di Pietro, vivere – costi quel che costi – ciò che la Chiesa insegna con il governo del Vicario di Cristo. Questo è riconoscere il Papa. Il resto è contorno… che se c’è va anche bene, ma è sempre e solo contorno.

Porrei questa domanda a tutti coloro che hanno ritenuto che un gesto come quello di Benedetto XVI non si potesse oggettivamente (sottolineo “oggettivamente” non “soggettivamente) giudicare: in molti cattolici cosa ne è di tutto ciò che Benedetto XVI ha insegnato in questi anni? Cosa ne è – per esempio – dei cosiddetti “principi non negoziabili” (vita, famiglia, libertà di educazione)? Quanti cattolici, quanti di quelli che si sono commossi dinanzi ad un papa che andava via sull’elicottero, quanti di quelli che stavano sotto la sua finestra, hanno tenuto in prima considerazione questi principi quando sono andati a votare alle recenti elezioni?

Insomma, da decenni ormai stiamo vivendo un paradosso, che è quello di non discutere sugli atti e sulla persona dei papi, ma di mettere in discussione il Magistero di Pietro, Vicario di Cristo. Un tempo era diverso: non si metteva in discussione il ruolo del Papa e il suo insegnamento… si metteva però in discussione ciò che di per sé non riguarda l’infallibilità e si era convinti che non tutti i papi ricevono lo stesso giudizio da Dio.
Noi no. Noi siamo nel paradosso di un cattolicesimo che è sempre più “clericale” … e sempre meno “cattolico”.

Corrado Gnerre


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Le dimissioni del Papa – Intervista ad Herranz

Il Card. Julián Herranz ha lavorato in vaticano al servizio di cinque Papi. Il suo ultimo servizio a Benedetto XVI è stato presiedere la commissione cardinalizia di inchiesta per il “Vatileaks”. Ritiene che la rinuncia del Papa sia un gesto proprio dell’anima di un santo. Conosce Joseph Ratzinger da 32 anni. (Intervista ad ABC del 16 febbraio 2013, di Juan Vicente Boo. Traduzione di don Andrea Mardegan che ha già pubblicato l’intervista sul suo blog Tra le righe del Vangelo)


- Eminenza, lei l’11 febbraio scorso si trovava nella riunione dei cardinali durante la quale Benedetto XVI ha comunicato in maniera inaspettata la propria rinuncia. Che cosa ha provato?

- In primo luogo ho reagito da giurista e poi da cardinale. Come canonista sono rimasto sorpreso dalla precisione giuridica con la quale Benedetto XVI agiva e soprattutto da un gesto che non ha nessun precedente nella storia della Chiesa.

- Ma Celestino V nel 1294…

- Non lo si può paragonare alla rinuncia di Celestino V avvenuta sette secoli fa, perché sono persone e situazioni molto differenti. Ho avuto la percezione di essere stato testimone di un fatto unico in duemila anni di storia della Chiesa, perfettamente meditato in tutte le sue dimensioni, sia teologiche che giuridiche.

- E cosa ha pensato come cardinale?

- Come cardinale, come sacerdote e come fedele, ho avuto un moto di tristezza, perché ci lascia una persona con la quale ho lavorato tanti anni e che ammiro profondamente. Allo stesso tempo, ho provato una sensazione come di gioia interiore, di ritrovarmi di fronte a un fatto che rivela una grande santità.

- Per quale motivo?

- Perché è stato un gesto di eroica umiltà e amore per la Chiesa, e quindi per Cristo.

Un gesto che si confà perfettamente all’anima di un santo. E’ un genere di umiltà che oggi non siamo abituati a vedere, in special modo nella vita civile, dove tante persone sono attaccate alla poltrona, al posto di comando…



- Con quale prospettiva i comuni fedeli dovrebbero guardare a questa rinuncia?

- Dal punto di vista spirituale, dovrebbero considerare l’esempio di profonda umiltà di un uomo che ama al di sopra di tutto Cristo e la sua Chiesa. E dal punto di vista umano possono considerarla come una decisione molto ragionevole. Fino a un secolo fa sarebbe stato inconcepibile. Adesso no, perché l’aspettativa di vita è cresciuta molto senza che – e questo lo dico da medico – si riescano a conservare in ugual misura la capacità organica e biologica delle persone.

- Alcuni fedeli obiettano che si possa perdere un po’ il senso di sacralità del Papato.

- Sono convinto che non è così. Il Papa è il vicario di Cristo, che è perfetto Dio, ma anche perfetto uomo: che piange per una vedova alla quale è morto il figlio, e piange per la morte di un amico. Questa perfetta umanità si riflette nell’umanità del suo vicario.

- Altri si preoccupano pensando che Benedetto XVI abbia agito in modo contrario a Giovanni Paolo II, che preferì non rinunciare.

- Vedo la differenza, ma non l’opposizione fra l’agire dei due Papi. In coscienza, davanti a Dio, Giovanni Paolo II considerò che doveva continuare. E in coscienza, pure davanti a Dio, Benedetto XVI ha pensato che, per amore alla Chiesa, doveva fare questo gesto altrettanto eroico e altrettanto santo. Sono due modi diversi di comportamento eroico in momenti diversi della storia della Chiesa. E personalmente ritengo che ciò che ha fatto Benedetto XVI non sia per nulla uno scendere dalla Croce.

- Sarebbe meglio stabilire la rinuncia dei Papi al compimento degli 80 anni, l’età in cui i cardinali della Santa Sede lasciano i loro incarichi?

- Non credo che si debba fissare un limite di età ai Papi. Si tratta di una elezione “ad vitam”, “per tutta la vita”. Ma non bisogna nemmeno trasformarla in una condanna a portare questo peso “per tutta la vita”.

- Dopo il 1° marzo cominceranno le “riunioni generali” dei cardinali di tutto il mondo. Come lavoreranno?

- Nella prima parte delle “congregazioni generali”, alle quali partecipano tutti i cardinali, anche quelli di più di 80 anni, si inizia con l’affrontare questioni di tipo pratico e logistico. Dopo si procede con l’esame della situazione della Chiesa nel mondo. Si ricevono studi sulla situazione in ogni continente, e anche informazioni su determinati argomenti, questioni positive e negative nel panorama dell’evangelizzazione nel mondo. Quindi si discutono possibili soluzioni a un problema o ad un altro… In questo modo, nel definire i compiti che toccheranno al futuro Papa, i cardinali vengono aiutati a pensare come dovrebbe essere l’”identikit”, il ritratto della persona più idonea per affrontare queste questioni.

- Ha fiducia che il Conclave scelga bene?

- Fortunatamente lo Spirito Santo assiste i cardinali nel conclave, e questo si nota. Gli ultimi sei Papi sono state persone di straordinarie doti, sia umane che soprannaturali. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono già sugli altari come beati. E sono in corso i processi di canonizzazione di Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo I. E anche se glielo dico sotto voce e in privato, che in cuor mio ho già canonizzato Benedetto XVI nel mio cuore, lo scriva pure.


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Dal blog di Lella...

L’educatore: Ha saputo incantarli con parole piene di senso

di Don Michele Falabretti *

Chi è stato – qualche volta – sulla spianata della GMG, ha visto questa scena. A un certo punto viene annunciato l’ingresso della jeep bianca che porta il Papa in mezzo ai giovani.
Come allo sparo dello starter di una corsa, improvvisamente tutti scattano in piedi e si mettono a correre. Gli spazi dei settori al centro di colpo, si svuotano e tutti si accalcano a ridosso delle transenne. Rigorosamente, con il telefonino in mano , per scattare una foto. Era quello l’inizio di un dialogo che poi proseguiva su l palco papale: parole, gesti e canti erano l’inizio di un coinvolgimento anche spettacolare.
Poi le cose son un po’ cambiate. A Colonia le transenne non c’erano e fu impossibile far passare la jeep. Ultimamente era ripreso il giro prima della Messa della domenica mattina. Ma niente corse. Perché l’appuntamento con Benedetto XVI è da un’altra parte. Ricordo soprattutto la notte di Sidney , quando il Papa ha parlato ai giovani utilizzando Sant’Agostino: “l’allontanamento dal Signore è solo un futile tentativo di fuggire da noi stessi”:
Lì per lì, rimango perplesso: chissà cosa avranno capito? Poi, con una semplicità quasi disarmante, il Papa comincia a scavare nel profondo del cuore di ciascuno. Sempre utilizzando Agostino. Rimango sospeso: ma non sarà troppo difficile per loro? A un certo punto incrocio lo sguardo di qualcuno: aveva gli occhi lucidi.
Era iniziata al nuova stagione. L’euforia si trasforma in incanto. Le parole, misurate, pronunciate con mitezza e delicatezza, manifestano sempre più tutta la loro potenza. E la capacità di andare dritte al cuore dell’esistenza. La scuola del silenzio sembra la pia illusione di chi è ancorato a forme superate: chi si sarebbe aspettato di poter far sognare ancora i giovani facendo loro attraversare un silenzio abitato da parole piene di senso? Soltanto chi non ha visto questo percorso non è riuscito a comprendere i famosi dieci minuti di adorazione della spianata di Madrid.
Ma noi, mentre il vento caldo ci asciugava dalla pioggia appena ricevuta, ce ne stavamo in ginocchio a vedere le spalle del Papa. Poco più oltre, la Presenza dell’Unico per cui vale la pena vivere. C’era un Papa al quale quella sera non era stato concesso di parlare: il temporale sembrava averla vinta. Sorridente, non si era scomposto. Paziente, aveva atteso Quella sera , il discorso l’avrebbe fatto in ginocchio, voltando le spalle alla marea di giovani. Ma portandoci tutti dal Maestro che aspettava tutti e ciascuno

Direttore del servizio nazionale di pastorale giovanile

© Copyright Avvenire, 24 febbraio 2013


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Dal blog di padre Scalese...

DOMENICA 10 MARZO 2013

Papa emerito?

Dopo venti mesi di letargo, il Querciolino errante (che da tre anni si è pressoché sedentarizzato) torna a far sentire (chissà se solo per una volta o in maniera piú assidua) la sua voce. Come mai, direte voi? Se neppure tanti eventi accaduti in questi quasi due anni lo avevano ridestato dal sonno, come mai proprio ora si rifà vivo?

Stiamo vivendo un momento davvero storico, con la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato e, ora, con i meccanismi che si sono messi in moto per l’elezione del nuovo Papa. Si è scritto tanto in quest’ultimo mese a proposito di tali eventi: molte delle cose dette sono interessanti, altre meno. In ogni caso c’è stato, e continua a esserci, un vivace dibattito. Che bisogno c’era, allora, di aggiungere un’altra voce al coro già cosí numeroso che si sta esibendo in questi giorni?

Se intervengo, è solo per aggiungere qualche riflessione, che mi sembra non sia stata ancora fatta. Il problema che vorrei affrontare è se la rinuncia operata da Benedetto XVI — certamente una novità, un unicum nella storia della Chiesa (i casi precedenti, è stato fatto autorevolmente notare, non possono in alcun modo essere paragonati col caso presente) — costituisca un atto “rivoluzionario”, una svolta radicale, una rottura con la tradizione della Chiesa, o se non sia piuttosto qualcosa che si situa, nonostante l’oggettiva novità, in continuità con il passato, qualcosa che è sempre stato possibile, ancorché praticamente finora mai avvenuto.

Certamente si potrà discutere sull’opportunità di un gesto come quello di Benedetto XVI: ciascuno di noi vede le cose dal proprio punto di vista e quindi è portato a esprimere una valutazione se fosse opportuno o no procedere alla rinuncia al pontificato. Bisognerà però ammettere che, ponendosi su questo piano, si potranno individuare infinite motivazioni sia a favore sia contro la rinuncia. Mi limiterò soltanto a due argomenti, entrambi validi, che possono giustificare l’opportunità o la non-opportunità della rinuncia. Fra i tanti motivi, che sono stati portati per giustificare il gesto di Benedetto XVI, il più interessante, nella sua banalità, mi è parso quello del Card. Georges Cottier: «Oggi si vive piú a lungo … Il vigore e la lucidità però possono non esserci piú». Al contrario, la difficoltà piú seria contro la rinuncia mi sembra essere il rischio di relativismo, insito nelle dimissioni di un Papa. Però capite bene che, se andiamo avanti su questa strada, troveremo sempre innumerevoli argomenti a favore e innumerevoli argomenti contro la rinuncia, senza mai trovare l’argomento risolutivo. Per cui dobbiamo rassegnarci e accettare, con assoluto rispetto, la scelta compiuta, di fronte a Dio, da Benedetto XVI. Nessuno di noi può violare la coscienza di un uomo, tanto piú se si tratta della coscienza del Papa. È totalmente fuori luogo esprimere giudizi sul suo gesto, tanto piú i giudizi estremi, sia in senso positivo («Un gesto coraggioso!») sia in senso negativo («Un atto di viltà!»).

Se però dal livello dell’opportunità passiamo a quello della legittimità, mi pare che il discorso cambi completamente. Se ci chiediamo se quanto è avvenuto sia legittimo, cioè giuridicamente possibile, credo che non ci debbano essere dubbi: è tutto (sottolineo “tutto”, volendo comprendere anche i dettagli) pienamente legittimo. La possibilità di rinuncia è prevista dal can. 332 § 2: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti». Si badi bene che tale possibilità non viene in alcun modo limitata: non si parla neppure, come in altri casi, di “gravi motivi”. Le uniche condizioni previste per la validità della rinuncia sono la sua piena libertà e la sua debita manifestazione (condizioni che, nella fattispecie, sono state pienamente rispettate). Questo dovrebbe rassicurarci e liberarci completamente dal sospetto che, con l’imminente conclave, si possa procedere all’elezione di un “antipapa”.

Se sulla legittimità giuridica della rinuncia non ci piove, visto che è espressamente contemplata dal diritto canonico, può dirsi altrettanto delle decisioni prese riguardo ai risvolti pratici della rinuncia, risvolti non previsti dal diritto, trattandosi di una situazione totalmente nuova? Mi riferisco al fatto che Benedetto XVI abbia deciso di continuare a usare tale nome, di adottare per sé il titolo inedito di “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito”, di conservare l’appellativo di “Sua Santità” e di continuare a indossare la veste bianca. Quantunque su questi aspetti non esista alcun punto di riferimento oggettivo, mi sembra che, anche in questi casi, ci si sia mossi nella piú completa correttezza giuridica.

La questione centrale è quella del titolo di “Papa emerito”, contestato da alcuni con la sorprendente motivazione che… non può esistere un Papa emerito: o si è Papa o non lo si è. Infatti. Ma un Papa emerito non è piú Papa; è soltanto un Papa… emerito. Che cosa significa “emerito”? Lo spiega il can. 185: «A colui che perde l’ufficio per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito». Si noti: non si sta parlando dei Vescovi (a cui si riferisce il can. 402), ma della “perdita dell’ufficio ecclesiastico”, di un qualsiasi ufficio ecclesiastico. Il supremo pontificato è o non è un ufficio ecclesiastico? Sí. Benedetto XVI, con la sua rinuncia, ha perso o non ha perso il suo ufficio? Sí. Può o non può assumere il titolo di “Papa emerito”? A norma del can. 185, si direbbe proprio di sí. Tale titolo non significa che Benedetto XVI sia ancora Papa, ma solo che è stato Papa (e questo nessuno può negarlo).

È stata fatta un’analogia con i Vescovi, e si è detto che il Vescovo emerito continua a essere Vescovo. Certo, ma il suo titolo non è, semplicemente, “Vescovo emerito”, bensí Vescovo emerito di una determinata sede: «Il Vescovo, la cui rinuncia all’ufficio sia stata accettata, mantiene il titolo di emerito della sua diocesi» (can. 402 § 1). L’aggettivo “emerito” non si riferisce propriamente a “Vescovo”, ma all’ufficio che quel Vescovo aveva di essere pastore di una determinata diocesi.

Qualcuno (p. es. Padre Gianfranco Ghirlanda su La Civiltà Cattolica) aveva suggerito di adottare, appunto, il titolo di “Vescovo emerito di Roma”. Con tutto il rispetto per chi ha sostenuto tale tesi, chiedo: qual è il titolo del Vescovo di Roma? “Papa”. Se, dunque, si può dire (e certamente si può dire) “Vescovo emerito di Roma”, perché non si potrebbe dire “Papa emerito”? A maggior ragione, si potrà usare l’espressione “Romano Pontefice emerito” (si noti che non si è mai parlato di “Sommo Pontefice emerito”), dal momento che Romanus Pontifex non è altro che il corrispondente latino di “Vescovo di Roma”.

Ma il mio sospetto è che, dietro questa querelle canonica, si nasconda un’errata visione teologica del ministero petrino. Sembrerebbe di capire che, secondo alcuni, il Successore di Pietro abbia un duplice ufficio, quello di Vescovo di Roma e quello di Papa, intendendo tale termine come sinonimo di “pastore supremo della Chiesa universale”, quasi che, per ipotesi, uno potesse esercitare soltanto uno dei due uffici disgiunto dall’altro. Tutto ciò è semplicemente assurdo. È il Vescovo di Roma che, in quanto tale, esercita il primato su tutta la Chiesa. Il termine “Papa” non sta a indicare un ufficio ulteriore rispetto a quello di Vescovo di Roma, ma è semplicemente il titolo proprio del Vescovo di Roma.

Qualcuno ha contestato anche il mantenimento del nome “Benedetto XVI”, sostenendo che bisognerebbe tornare a chiamare Benedetto XVI “Cardinale Ratzinger”, dando per scontato che un Papa dimissionario torni a essere un Cardinale. E dove sta scritto? È vero che questo è storicamente avvenuto, ma ciò non significa che debba automaticamente avvenire. Il Cardinale Ratzinger, divenendo Papa, ha cessato di essere membro del Sacro Collegio; per rientrarvi a farne parte, dovrebbe essere di nuovo creato Cardinale dal suo successore; ma mi sembrerebbe una cosa del tutto fuori luogo. Non vedo dove sia lo scandalo se, una volta rinunciato al suo ufficio, Benedetto XVI mantiene il nome assunto il giorno dell’elezione al pontificato. Un re, quando abdica, non conserva forse il nome che aveva quando regnava?

Il resto (l’appellativo “Sua Santità”, l’abito bianco) viene da sé. È normale che chi ha goduto di un certo titolo, lo mantenga anche dopo la perdita dell’ufficio. Nel mio Ordine religioso il Superiore generale ha diritto a essere chiamato “Reverendissimo”, titolo che conserva per il resto dei suoi giorni, anche dopo aver terminato il suo mandato. Del resto, abbiamo incominciato a chiamare “Santità” anche alcuni Patriarchi orientali non cattolici; e non dovremmo chiamare “Santità” il Papa emerito? Sulla talare bianca non mi sembra che possano esserci assolutamente problemi: anch’io, quando ero in missione, ne facevo uso (e continuo a farne uso nella foto di questo blog, proprio perché è stata un’esperienza che ha segnato la mia vita). Anzi, non vedrei nulla di strano (per quanto non credo che potrà mai avvenire) se Benedetto XVI assistesse, in abito corale, a qualche celebrazione del nuovo Pontefice, cosí come accade normalmente nelle diocesi con i rispettivi Vescovi emeriti.

Vorrei terminare con una riflessione. Penso che la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato ci costringa a un approfondimento del ruolo del Papa. Ci aiuta lui stesso a farlo. Nell’ultima udienza generale ha affermato: «Il “sempre” è anche un “per sempre” — non c’è piú un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto piú la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per cosí dire, nel recinto di San Pietro» (27 febbraio 2013). Se è vero che, con la sua rinuncia, Benedetto XVI ha perso qualsiasi tipo di giurisdizione, ciò non significa che, con ciò, è tornato a essere un semplice fedele o, se vogliamo, un semplice Vescovo in pensione. Sembrerebbe di capire che il ministero petrino non si esaurisca nell’esercizio dell’autorità, ma possieda una dimensione spirituale (il “servizio della preghiera”), che continua al di là della rinuncia: è ciò che Benedetto XVI vuole esprimere con il suo ritirarsi in clausura, con il suo “salire sul monte” a pregare per la Chiesa. La Chiesa la si serve, sí, governandola, ma la si serve anche, e forse soprattutto, pregando per essa. Lo stesso luogo, da lui scelto, per espletare questo servizio (“nel recinto di San Pietro”), sta a indicare la continuità fra il prima e il dopo la rinuncia. Forse il titolo di “Papa emerito” vuole esprimere anche tale continuità.

Pubblicato da Querculanus a 17:35


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11/03/2013 23:32
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Altro che Chiesa in balia degli scandali. Negli Usa con Benedetto XVI le vocazioni sono cresciute


Marzo 11, 2013

Benedetta Frigerio

Dal 2006 le iscrizioni ai seminari e i preti sono aumentate dopo anni. Come la Conferenza episcopale voluta dal Papa e il suo pontificato hanno fatto sbocciare germogli nel deserto creato dal secolarismo che lui stesso definì radicale.
La Chiesa americana, di cui molto si sta parlando per via del conclave, è emersa con un volto rinnovato rispetto a quella arroccata sulle regole e sugli scandali di cui si è cominciato a parlare dieci anni fa. Colpisce il carattere giovane e spensierato con cui i suoi vescovi e cardinali, in maggioranza di nomina ratzingeriana, testimoniano la loro fede. Mostrando un volto forse inaspettato anche al governo e al secolarismo radicale, che negli Stati Uniti sembrava aver già vinto e a cui la Conferenza episcopale, con a capo Timothy Dolan, sta rispondendo con vigore da quando il presidente Obama ha messo in discussione la libertà religiosa e le fondamenta della famiglia naturale.
IL SIGILLO. Ma c’è di più: «Si può sottolineare che il pontificato di papa Benedetto XVI è durato solo otto anni, ma la rinuncia del Santo Padre e la sua riforma hanno lasciato il loro sigillo sul sacerdozio americano e hanno generato un incremento delle vocazioni», si legge in un articolo apparso ieri sul quotidiano americano National Catholic Register. A dirlo sono i numeri provenienti dalla Commissione delle vocazioni del clero, dei religiosi e dei consacrati della Conferenza episcopale americana e non solo. Il declino maggiore nel numero di nuovi sacerdoti e seminaristi si è verificato fra il 1980 e il 1990. Tra il 1985 e il 2005, invece, il numero medio annuale di ordinazioni sacerdotali era sceso da 533 a 454 e quello di nuovi seminaristi da 4.000 a 3.300. La Commissione ha invece assistito ad un costante aumento di nuove ordinazioni e all’incremento di seminaristi dal 2006 in poi. Nel 2012 le ordinazioni sono salite a 480, mentre il numero dei seminaristi è cresciuto a 3.700. «Ma il salto oltre che quantitativo è qualitativo», si legge.
«SONO PRETE GRAZIE AL PAPA». A spiegare il perché dei numeri, le storie riportate dal quotidiano. Padre Michael Roche, oggi 34enne, ricorda quando nel 2005, mentre lavorava per uno studio di revisione contabile, si allontanò dalla sua scrivania alla notizia dell’elezione del Papa per guardare l’evento in televisione. Colpito da «questa forte figura della Chiesa», iniziò a seguire il nuovo Pontefice fino a sentirlo ripetere ai giovani, nella sua prima omelia, le parole del suo predecessore: «Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita». Questo, continua il giovane, «fu un punto cruciale per la mia vita, non posso dire che avevo paura di Cristo, ma non ero convinto che una vocazione al sacerdozio diocesano potesse essere vissuta in questi tempi». Un anno dopo il giovane è entrato nel seminario di Pittsburgh in Virginia.
DA SCETTICO A SEMINARISTA. L’articolo continua così: «I direttori spirituali confermano un incremento delle iscrizioni ai seminari». Padre Carter Griffin, vicerettore del seminario beato Giovanni Paolo II di Washington, spiega al quotidiano che il nuovo seminario ha aperto nel 2011 e che oggi le richieste stanno quasi raggiungendo il limite massimo per le sue capacità di accoglienza. «Benedetto XVI – continua Griffin – è stato capace di aprire nuove prospettive nella vita di molte persone, la sua profonda fede, amore e speranza hanno avuto un grande beneficio sulle vocazioni religiose».
Anche monsignor Stuart Swetland, che insegna teologia presso il seminario molto Mount St. Mary di Emmitsburg, in Maryland, conferma che «siamo davanti ai più grandi numeri mai avuti in questi anni», sottolineando che la maggior parte degli uomini a cui insegna sono di età compresa tra 21 e i 25 anni di età, adolescenti quando il beato Giovanni Paolo II è morto. «Su di loro ha avuto più influsso Benedetto XVI. Penso grazie al fatto che abbia preso i giovani sul serio, chiedendogli qualcosa che va al di là di loro stessi».
A confermarlo è la vicenda di uno di loro, Andrea Buonopane, 24 anni, al secondo anno di seminario nell’arcidiocesi di Washington: «L’Anno della Fede e la chiamata alla Nuova Evangelizzazione sono proprio i miei alleati per rispondere alle preoccupazioni degli scettici e dei non credenti». Buonopane lo sa per sua esperienza personale, dato che, si legge «l’incontro con il Papa durante la sua storica visita dell’aprile 2008 a Washington ha giocato un ruolo fondamentale per il suo ritorno alla fede cattolica durante gli anni all’università di George Washington: “È solo durante il suo pontificato che sono diventato consapevole di Dio e la mia vita di fede”, ha detto, aggiungendo di aver continuato ad approfondirla con la lettura dei testi del Papa: “Quando ho cominciato a conoscere meglio la mia fede BenedettoXVI era sempre lì per me”».
QUALITA’ E QUANTITA’. I numeri sono cresciuti, forse proprio perché non è su questi che il Pontefice ha insistito ma sulla qualità delle vocazioni. Come ha ripetuto spesso in questi otto anni. Monsignor Fabian Bruskewitz, vescovo emerito della diocesi di Lincoln, in Nebraska, spiega che sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno dato al Concilio Vaticano II la sua vera interpretazione, ma che «papa Benedetto XVI ha posto un accento ancora più forte sulla preghiera liturgica e sull’apprendimento del latino», motivo per cui «l’attenzione alla tradizione liturgica tra i sacerdoti e seminaristi è molto maggiore che in passato».
RITORNO ALL’UMILTA’. Infine, il quotidiano parla delle conseguenze dell’«ultimo atto di Benedetto XVI che ha dato ai sacerdoti e ai seminaristi una profonda lezione di umiltà». «Mi ha ricordato», ha concluso Buonopane, «che il ministero sacerdotale non è mio», che «non si basa su quanto sia bravo, sui miei doni particolari, sul mio carisma o su qualsiasi altra cosa che io possa fare da me. Ma solo sull’uso che Dio fa di me».


GRANDISSIMO, MI PAPA!!!!!!


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Da "Vatican Insider"...

10/03/2013

Christoph Schönborn "Ho pianto per papa Benedetto"


La messa dell'arcivescovo di Vienna al quartiere portuense

ALESSANDRO SPECIALE
CITTA' DEL VATICANO

Le dimissioni di papa Benedetto XVI "mi hanno fatto piangere": lo ha confessato l'arcivescovo di Vienna, cardinal Christoph Schönborn, nella messa celebrata questa sera nella parrocchia di cui è titolare a Roma, Gesù Divin Lavoratore nel quartiere Portuense.

Eppure, ha aggiunto il porporato che di Ratzinger è stato studente e a lui è legato da un rapporto di amicizia che dura da 40 anni, con il suo "gesto umile" Benedetto XVI "ci ha fatto capire che siamo fratelli, ci ha fatto capir che cosa è la fraternità".

Nelle congregazioni generali, ha detto il porporato austriaco scherzando di non star per rivelare un segreto - "non voglio fare Vatileaks" -, "abbiamo vissuto una comunione fraterna come non la avevamo mai vissuta tra di noi".

"Ho l'impressione - ha aggiunto - che quel gesto così sorprendente già ha iniziato un profondo rinnovamento nella Chiesa, una specie di conversione pastorale".

Schönborn, all'inizio della sua omelia, ha anche salutato i - non moltissimi - giornalisti presenti, "disperati" a caccia di notizie in questi giorni di pre-Conclave. "Aiutate i lettori dei vostri giornali - ha detto loro - a condividere la nostra gioia ma anche la nostra preghiera".


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Gli americani amano Benedetto XVI e il suo pontificato: un sondaggio dei Cavalieri di Colombo

Scritto da Veronica Giacometti
Domenica 10 Marzo 2013 07:55

In America più dei tre quarti dei cattolici ( 77%) e 8 su 10 tra i praticanti (82%), hanno un impressione positiva o molto positiva degli anni di papato di Benedetto XVI. Lo annuncia un sondaggio effettuato nei giorni scorsi dai Cavalieri di Colombo. I cattolici americani hanno espresso opinioni positive riguardo l’impatto di Papa Ratzinger sulle loro vite, la guida della Chiesa e la direzione morale del mondo di questi suoi anni come successore di Pietro. Oltre a queste principali, molte altre le domande alle quali hanno risposto gli intervistati americani del “Marist College Institute for Public Opinion” : per esempio l’uso di Twitter da parte di Benedetto XVI è stato molto popolare anche tra i cattolici. Due terzi dei cattolici e dei cattolici praticanti (67 e 66 % rispettivamente) ha detto che "è piaciuta l'idea" del papa di utilizzare il social network Twitter per comunicare.
Il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, Carl Anderson, ha annunciato: “i dati indicano chiaramente che i cattolici americani hanno un profondo rispetto per il Papa Benedetto XVI e un grande apprezzamento per il suo pontificato”. I Cavalieri di Colombo sono la più grande organizzazione cattolica di servizio fraterno. Fondata negli Stati Uniti nel 1882, è così chiamata in onore di Cristoforo Colombo. Ci sono più di 1,8 milioni di soci in 15.000 consigli, con quasi 200 consigli nei campus universitari. Nell'anno 2010 l'Ordine ha dato più di 154 milioni di dollari direttamente alla carità (oltre 1.406 milioni di dollari in contributi di beneficenza e di 653 milioni di ore di lavoro negli ultimi 10 anni) ed eseguito oltre 70 milioni di ore-uomo di volontariato. Oltre 413.000 litri di sangue sono stati donati. Per il loro sostegno alle comunità ecclesiali e locali, nonché per i loro sforzi filantropici, l'Ordine si riferisce spesso a sé stesso come "braccio destro forte della Chiesa".
Riguardo al Vaticano, i Cavalieri hanno finanziato il Programma Satellite per trasmettere una serie di eventi papali, tra cui l'annuale messa di Pasqua e di Natale, così come la Giornata Mondiale della Pace ad Assisi, il Vertice per la Pace di Assisi, le Giornate Mondiali della Gioventù, l'apertura della Porta Santa alla Basilica di San Pietro in Vaticano per il Giubileo Millenario, la visita di Papa Giovanni Paolo II' a Nazaret, e diversi altri eventi. Nei territori di missione l'Ordine paga anche per il downlink satellitare. Molti sono stati in questi anni i contatti e i ricevimenti di Benedetto XVI con i Cavalieri di Colombo : “Cari amici, nello spirito del vostro fondatore, il venerabile Michael McGivney, possano i Cavalieri di Colombo scoprire modi sempre nuovi per essere lievito del Vangelo nel mondo e una forza per il rinnovamento della Chiesa nella santità e nello zelo apostolico! A questo proposito, esprimo il mio apprezzamento per i vostri sforzi per offrire una solida formazione nella fede ai giovani e per difendere le verità morali necessarie a una società libera e umana, compreso il diritto fondamentale alla vita di ogni essere umano.”
Questo uno degli ultimi discorsi di Papa Ratzinger in udienza al Consiglio Amministrativo dei Cavalieri. Benedetto XVI ha sempre amato l’America. Lo ha dimostrato il suo viaggio nell’aprile del 2008, il New York Times che lo chiamò “ Il Papa Americano”, nel suo impegno di dimostrare che la modernità degli USA non deve schiacciare la fede religiosa . E ora l’America lo ringrazia, lo apprezza, lo riconosce.


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“Mi sfilai l’orologio dal polso e fissai quella storica ora”

Il cardinale Poupard: “Nella Sistina le emozioni più forti della mia vita”

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

In vita mia non ho mai provato emozioni simili. Tutti i mass media pronosticavano un conclave lungo. E invece allo scoccare del 77° voto, guardai il mio vicino nella Cappella Sistina e gli dissi: “Lo Spirito Santo non legge i giornali”. Mi tolsi dal polso l’orologio e guardai quella storica ora: 17,28». Poche ore dopo aver lasciato l’Aula del Sinodo, il cardinale francese Paul Poupard, 82 anni, riannoda i fili della memoria per descrive «l’elezione rapida» di Benedetto XVI. «Durante i funerali di Karol Wojtyla, il decano Ratzinger alzò un braccio verso la finestra della studio papale per richiamarne spiritualmente la presenza, lì compresi che il conclave era finito ancor prima di cominciare» spiega l’ex ministro vaticano della Cultura e del Dialogo interreligioso, porporato dal 1985 e conclavista nel 2005. «È impossibile descrivere le sensazioni davvero uniche di quei momenti vissuti davanti al Giudizio Universale di Michelangelo».

In cosa questo conclave è diverso da quello del 2005?

«Alle congregazioni generali conoscevo quasi tutti e con quelli con cui avevo avuto minor frequentazione, mi fu subito possibile approfondire la conoscenza. Otto anni fa eravamo presieduti da un decano che poi è entrato in conclave, mentre adesso Sodano non partecipa all’elezione pontificia. Joseph Ratzinger ci guidò dal pre-conclave al conclave. La sua omelia a San Pietro compattò emotivamente e spiritualmente il collegio cardinalizio. La malattia di Giovanni Paolo II fu lunga e ed eravamo già preparati psicologicamente ad eleggere il successore. Stavolta la differenza di situazione è abissale: la rinuncia di Benedetto XVI è stata realmente un fulmine a ciel sereno per tutti noi».

Com’è stato votare nella Sistina?

«È come passare dall’altra parte della piazza. Ero a San Pietro quando fu eletto Roncalli e la mattina in cui si aprì il conclave avevo fatto colazione con uno dei suoi elettori. Cinque anni dopo prestavo servizio in Segreteria di Stato e Montini divenne Papa. Quando è toccato a me prendere parte all’elezione pontificia, ho partecipato nel modo più naturale ad un evento straordinariamente intenso e significativo. Mi torna alla mente ogni istante, ogni fase. Lunedì 18 aprile 2005 alle 16.30 era l’orario fissato per l’ingresso in conclave e il giuramento per l’elezione del nuovo Pontefice. Un quarto d’ora prima ci ritrovammo nell’Aula della Benedizione, alla prima Loggia del Palazzo Apostolico. Indossavamo tutti la veste rossa, il rocchetto e la mozzetta. Preceduti dalla Croce e dal Libro dei Vangeli, al canto delle litanie dei santi, ci dirigemmo in processione alla Cappella Sistina dove prestammo giuramento. Mi tremava la voce per l’emozione mentre intonavo il “Veni Creator”».

Qual era il clima?

«Erano in corso i lavori di restauro alla Cappella Sistina, ci sedemmo su scomodi banchi di legno, da scuola. Nell’aula della Benedizione non si sentiva un respiro. Non mi ero mai trovato immerso in un silenzio assoluto malgrado le tante persone raccolte nello stesso luogo. Appena la processione si mosse, c’è stato uno sblocco psicologico. Era un’atmosfera di gravità e serenità. Mi resta impresso soprattutto l’inno allo Spirito Santo. È il più straordinario che abbia mai cantato. Ero in processione tra il tedesco Wetter (successore di Ratzinger a Monaco) e il filippino Vidal che ho ritrovato ora in queste congregazioni con lo stesso sorriso».

E nella casa Santa Marta?

«Erano a nostra disposizione i pulmini per i trasferimenti dalla Domus alla Sistina e viceversa. Però io andavo a piedi. L’aria era gradevole, rinfrescava le idee, attraversavo i cortili interni, l’abisde di San Pietro, San Damaso, l’ascensore, discutendo con qualche confratello. Anche a tavola parlammo liberamente, in grande armonia. Alla fine della cena venne spontaneo ritrovarci tutti a pregare nella cappella di Santa Marta. Nella mia stanza il sonno venne subito. Ho dormito benissimo».

© Copyright La Stampa, 12 marzo 2013


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Papa/ Card. Sodano: Grati a Benedetto XVI, applausi in San Pietro

Città del Vaticano, 12 mar. (TMNews) - "Canterò in eterno le misericordie del Signore", "Misericordias Domini in aeternum cantabo": "E' il bel testo latino, che ci ha introdotto nella contemplazione di Colui che sempre veglia con amore sulla sua Chiesa, sostenendola nel suo cammino attraverso i secoli e vivificandola con il suo Santo Spirito". Così il cardinale decano Angelo Sodano nell'omelia in italiano della messa 'Pro eligendo Pontifice' in San Pietro: "Anche noi oggi - ha detto il porporato - con tale atteggiamento interiore vogliamo offrirci con Cristo al Padre che sta nei Cieli per ringraziarlo per l'amorosa assistenza che sempre riserva alla sua Santa Chiesa ed in particolare per il luminoso Pontificato che ci ha concesso con la vita e le opere del 265esimo Successore di Pietro, l'amato e venerato Pontefice Benedetto XVI, al quale - ha detto Sodano tra gli applausi - in questo momento rinnoviamo tutta la nostra gratitudine". (TMNews)


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Da "Nichelino.com"...

"I miei giorni accanto a Benedetto XVI"

LUNEDÌ 12 MARZO 2012 23:19

Ascolti chi gli vive accanto tutto il giorno e ti rendi conto di quanto sia sovente distorta dai media l’immagine dell’attuale Papa. Ratzinger: il professore, teutonico, distaccato, insensibile, arroccato, intransigente o anche peggio. Scopri che non è così.

Com’è allora agli albori del terzo millennio questo ennesimo successore di Pietro, la “roccia”, l’uomo che più di ogni altro al mondo rappresenta una storia iniziata tanto, tantissimo tempo fa in Galilea e che, insieme alla “buona novella”, porta con sé l’incredibile fardello di due mila anni di Cristianesimo?

Scopri che BXVI, al secolo Joseph Ratzinger, è sì un professore della Baviera dalla vastissima cultura, ma anche un uomo di straordinaria umanità, fede e mitezza.

Don Alfred Xuereb, 53 anni, maltese, dal 2007 è uno dei due segretari personali di Benedetto XVI (l’altro è il tedesco don Georg); abita in Vaticano, nell’appartamento papale. A febbraio è venuto a Nichelino: una visita lampo, mentre la città era stretta nella morsa del ghiaccio, per ricordare il quinto anniversario della morte del suo amico e conterraneo don Joe Galea.

Nell’incontro serale con i giovani della parrocchia don Alfred non si sottrae alla curiosità ed alle domande su come si vive nella casa del Papa. Risponde con semplicità disarmante.“Il mio servizio inizia alle sei di mattina e termina verso le nove di sera. Quasi tutti i giorni il Pontefice riceve persone; al mercoledì c’è sempre la folla per l’udienza aperta al pubblico. Io e don Georg prepariamo la documentazione per le udienze; dalla Segreteria di Stato arriva quotidianamente una grande quantità di corrispondenza. Uno dei miei compiti poi è quello di raccogliere e compilare un elenco di richieste di preghiere che arrivano al Papa. Sono le richieste di malati, di gente che vive momenti di difficoltà e sofferenza. Questa lista la metto sull’inginocchiatoio in cappella dove il Papa si raccoglie in preghiera. La cosa che più mi impressiona è che lui, tra le mille cose che ha da fare, si ricorda delle persone: a distanza di giorni si informa e chiede notizie su singole situazioni”.

Un rapporto umano e paterno che Benedetto XVI tiene anche con i suoi più diretti collaboratori. “Lo si nota anche da piccoli particolari - dice don Alfred - per esempio l’altro giorno dopo pranzo stavamo scendendo in giardino per il rosario. Faceva abbastanza freddo e l’ho aiutato a mettersi la giacca a vento. Uscendo dall’ascensore avevo entrambi le mani impegnate e allora lui a sua volta mi ha aiutato ad infilare il cappotto. Dobbiamo aiutarci a vicenda, mi fa. Quando telefono a Malta s’informa sulla salute di mia mamma. Gli ho spiegato perché venivo due giorni qui a Nichelino: lui si ricordava di don Joe, di don Joshua, del libro di don Paolo. Sicuramente al mio ritorno mi chiederà di com’è andata”.

Ogni giorno in Vaticano, arrivano capi di stato, vescovi, gente comune da tutti gli angoli della terra. E sulla scrivania del successore di Pietro si riversano una miriade di problemi esterni ed interni, non di rado anche attacchi personali, polemiche, notizie tragiche da paesi dove la Chiesa vive un equilibrio difficilissimo. Lo scenario è globale. Che dire, che fare? Come far sentire la voce del Papa, senza rischiare di peggiorare la situazione dei cristiani là dove sono perseguitati?

“Benedetto XVI è sereno, lo sorregge una grandissima fede. E’ un uomo che continua a vivere il Vangelo in modo semplice”, spiega don Alfred.

La barca del pescatore Pietro procede. Così da due mila anni. A volte pare arenarsi o arrancare, sembra sul punto di affondare travolta dalle onde, ma cessata la tempesta riesce a riprendere il largo. E’ sempre stato così, fin dall’inizio.

Dal pubblico in sala arrivano altre domande. E’ stato difficile per Benedetto XVI raccogliere l’eredità di Papa Woityla e del suo grande carisma? “Il Signore chiede a ciascuno qualcosa di particolare. Papa Ratzinger ha avuto il coraggio e la capacità di restare se stesso. Io l’ammiro anche per questo”, risponde don Alfred.

Momenti di vita quotidiana: “Al mattino sento il giornale radio e a colazione comunico le notizie più importanti al Papa. A tavola lui ama conversare; normalmente oltre a me e a don Georg ci sono le quattro religiose che si occupano della cucina e della casa. Parliamo dei fatti della giornata, dopo cena guardiamo il telegiornale italiano o quello tedesco”.

Un ragazzo chiede se il Papa si interessa di calcio: sembra proprio di no, ma nell’appartamento papale l’eco di qualche partita arriva comunque tramite il segretario, appunto, e don Alfred (che, guarda caso, per la sua visita a Torino indossa una sciarpa nera con un filino bianco) lascia intendere di non essere affatto indifferente al mondo del pallone.

Com’è che questo prete, gioviale e solare come la gente della sua isola di Gozo, si è trovato a fare il segretario del Papa? E’ una storia simile a quella di don Joe, don Joshua, don Maximilian e di tanti altri sacerdoti maltesi. Gozo e Malta ancora oggi abbondano di vocazioni: molti sacerdoti vanno in Missione, quasi tutti svolgono da seminaristi uno stage e, dopo l’ordinazione, almeno un paio d’anni di ministero all’estero. Don Alfred era stato mandato in una parrocchia di Roma; qui ha proseguito gli studi all’Università Pontificia; poi per diversi anni ha avuto incarichi presso la Segreteria di Stato e la Prefettura della Casa Pontificia. Quando mons. Mieczyslaw Mokrzycki (lo storico segretario personale di Giovanni Paolo II e dei primi due anni di pontificato di Benedetto XVI) è diventato vescovo ed è andato in Ucraina, lui è stato chiamato a sostituirlo.

“Quali sono gli hobby del Papa?”, chiede un altro giovane. “Beh, intanto non è vero che in casa abbiamo un gatto – sorride don Alfred – anche se Papa Benedetto ama molto gli animali. Si narra che da cardinale ogni tanto si fermasse per strada per rivolgersi a qualche gatto. Qualcuno chiedeva: scusi eminenza, ai gatti parla in tedesco o in italiano? Loro non capiscono le lingue, ma il tono di voce sì, obiettava lui. Senz’altro il Papa è appassionato di musica; è un eccellente pianista. Qualche volta dopo cena sentiamo che suona il pianoforte. E poi sicuramente ci sono i libri: il suo studio ne è pieno. E’ uno studio arredato in modo molto semplice; gli scaffali e la scrivania sono gli stessi di quando era professore all’università di Tubinga”.

Ha 84 anni, a fine mese andrà in Messico e a Cuba. Sbaglia chi dipinge Benedetto XVI come un Papa sedentario e che non ama il contatto con la gente. Racconta don Alfred: “Quand’era cardinale e poteva muoversi senza scorta, Ratzinger andava a fare la spesa e si fermava a parlare nei negozi… quando ‘tutti e due eravamo più liberi’, ha detto una volta scherzando al Presidente Napolitano”.

M.Co.


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Una statuina di San Giuseppe da Napoli per il Papa emerito Ratzinger

NAPOLI - Un San Giuseppe che mostra i suoi strumenti da falegname al piccolo Gesù sorridente ma conscio del suo destino, come testimoniano gli oggetti della passione che lui stesso regge in un cesto (chiodi e tenaglia).
È l'opera in terracotta realizzata per il Papa emerito Joseph Ratzinger (gli sarà consegnata probabilmente nel giorno del suo onomastico, martedì) dai fratelli napoletani Raffaele, Salvatore ed Emanuele Scuotto, artigiani-artisti della "ScarabattolA", su incarico di monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l'Italia.
«Realizzare un'opera per un Papa è l'ambizione di ogni artista» spiega Raffaele e aggiunge: «Qualche tempo fa abbiamo avuto l'incarico, creare una scultura per Benedetto XVI, e ciò proprio pochi giorni prima che diventasse Emerito. La commissione giunge a gennaio con consegna a marzo, a riprova che nessuno poteva aspettarsi il gesto del Papa uscente».
Con le dimissioni del pontefice gli autori credevano ritirata la commissione. Invece l'affetto verso Papa Ratzinger è stato più che confermato e gli artisti della bottega La Scarabattola hanno potuto completare il lavoro. «Ci fa un certo effetto avere un piccolo ruolo in questo fatto storico - aggiunge Raffaele Scuotto - essere gli autori di un opera che sarà consegnata ad un Papa Emerito mentre un altro si insedia. Ci piace l'elemento di cambiamento, del quale non solo la chiesa ha bisogno in questo periodo buio».
La scultura alta 50 centimetri e larga 40 centimetri sarà completata entro stasera dal "collettivo Scuotto" in Via Tribunali 50 e domani sarà consegnata a mons. Pelvi. Sarà visibile al pubblico dalle 10 alle 14.

www.ilmattino.it/primopiano/vaticano/papa_emerito_statua_san_giuseppe/notizie/2588...


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Telefonata nel pomeriggio di Papa Francesco a Benedetto XVI

Oggi pomeriggio, poco dopo le 17, Papa Francesco ha chiamato per telefono il Papa emerito Benedetto XVI per fargli i più sentiti auguri in occasione della festa di San Giuseppe e manifestargli ancora la gratitudine sua e della Chiesa per il suo servizio. Il Papa emerito ha seguito con intensa partecipazione gli eventi di questi giorni ed in particolare la celebrazione di questa mattina e assicura al suo Successore la sua continua vicinanza nella preghiera. (Radio Vaticana)


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