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Notizie dal B16F

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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02/03/2013 19:18
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PAPA: PROMETTO DA ORA AL MIO SUCCESSORE RIVERENZA E OBBEDIENZA

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 28 feb.

"Al nuovo Papa prometto fin d'ora la mia incondizionate riverenza e obbedienza". Lo ha detto questa mattina Benedetto XVI ai cardinali riuniti nella Sala Clementina per il congedo dal Pontefice.

© Copyright (AGI)

PAPA: SIATE DOCILI A SPIRITO SANTO CHE INDICHERA' SUCCESSORE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 28 feb.

"Signori cardinali continuero' ad esservi vicino con la preghiera specialmente nei prossimi giorni, siate docili all'azione dello Spirito Santo nell'elezione del nuovo Papa". Lo ha detto il Papa nel suo saluto ai cardinali. "Prima di salutarvi personalmente - ha detto testualmente Benedetto XVI - desidero dirvi che continuero' ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinche' siate pienamente docili all'azione dello Spirito Santo nell'elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che e' voluto da Lui. Tra di voi, tra il Collegio Cardinalizio, c'e' anche il futuro Papa, al quale gia' oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza. Per tutto questo con affetto e riconoscenza, vi impartisco di cuore la Benedizione Apostolica".

© Copyright (AGI)

PAPA: QUALCHE NUVOLA, MA LA CHIESA E' VIVA

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 28 feb. - Non e' mancata in questi 8 anni "qualche nuvola addensata nel Cielo" ma "la Chiesa e' viva. E' il Corpo vivo animato dallo Spirito Santo, lo abbiamo visto ieri". Lo ha detto Papa Ratzinger ai cardinali nel discorso di commiato. Citando il suo maestro, Romano Guardini, Benedetto XVI ha sottolineato "la Chiesa si risveglia nelle anime, vive". "Cresce e si risveglia - ha spiegato il Pontefice nell'ultimo discorso pubblico - nelle anime, che nella propria poverta' e umilta' diventano capaci di generare Cristo nel mondo".
"In questi otto anni - ha detto testualmente Benedetto XVI - abbiamo vissuto con fede momenti bellissimi di luce radiosa nel cammino della Chiesa, assieme a momenti in cui qualche nube si e' addensata nel cielo. Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale, che e' l'anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo e che solo puo' illuminare il cammino. Insieme possiamo ringraziare il Signore che ci ha fatto crescere nella comunione; insieme pregarlo di aiutarvi a crescere ancora in questa unita' profonda, cosicche' il Collegio dei cardinali sia come un'orchestra, dove le diversita', espressione della Chiesa universale, concorrano sempre alla superiore e concorde armonia". "Vorrei lasciarvi - ha poi aggiunto - un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi, possiamo dire,la ragione e la passione della vita". In questo si e' ispirato a una espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell'anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, "nel suo ultimo libro con una dedica personale anche per me".
"Percio' le parole di questo libro mi sono particolarmente care", ha confidato Joseph Ratzinger prima di citare Guardini: "La Chiesa non e' una istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realta' vivente. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa. Il suo cuore e' Cristo". Il Papa ha poi ricordato l'esperienza di ieri in piazza San Pietro: "vedere che la Chiesa e' un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa e' nel mondo, ma non e' del mondo: e' di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri". Per questo - ha aggiunto - e' vera ed eloquente anche l'altra famosa espressione di Guardini: "La Chiesa si risveglia nelle anime". "La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo. Offrono a Dio la propria carne e proprio nella loro poverta' e umilta' diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa il Mistero dell'Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi".

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Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
02/03/2013 19:27
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Da "Il Giornale.it"...

Adesso che se n'è andato i prelati si ribellano al Papa

Sono rimasti in silenzio per rispetto, ma la scelta di Ratzinger non l'hanno condivisa per niente. E si stanno organizzando perché non succeda mai più


Stefano Filippi - Sab, 02/03/2013 - 08:00

Roma - Ora che Benedetto XVI è volato a Castelgandolfo, prendono corpo dubbi e interrogativi sulla sua rinuncia. Sono rimasti sopiti per 20 giorni per una forma di rispetto per il vecchio Papa rinunciatario, così da non appesantirgli ulteriormente il distacco dalla sede di Pietro.

Domande che sono presenti in molti fedeli, ma anche tra i cardinali. Giovedì mattina l'hanno salutato per l'ultima volta nella Sala Clementina: i porporati erano 144 su 208.

I problemi della Chiesa e la crisi delle primavere arabe
Ne mancavano tre su dieci. Alcuni erano lontani o malati, impossibile per loro venire fino a Roma. Altri, dopo il pensionamento, hanno scelto la riservatezza. Ma qualcun altro potrebbe aver manifestato con l'assenza una forma di «dissenso» dalla grave decisione del pontefice.
Che nel grande popolo di Dio - e forse anche tra i principi della Chiesa - serpeggi qualche dubbio è confermato indirettamente da quanto ha scritto il direttore dell'«Osservatore Romano», Giovanni Maria Vian: la rinuncia del Papa è «un atto grave e nuovo che alcuni non capiscono». Il primo a manifestare perplessità (seguite da una precipitosa marcia indietro) era stato il cardinale Stanislao Dziwisz, l'ex segretario di Wojtyla, ora arcivescovo di Cracovia, che nelle ore successive all'annuncio della rinuncia aveva detto: «Giovanni Paolo II riteneva che dalla croce non si scende». Cioè il papa non deve dimettersi.
Adesso le argomentazioni sono un po' più articolate. In un'intervista tv il cardinale australiano George Pell, soprannominato «Big George» per la stazza fisica (è un ex giocatore di football), ha sottolineato un rischio insito nella rinuncia al pontificato: «Ci potrebbero essere persone che essendo in disaccordo con un futuro Papa potrebbero montare una campagna contro di lui per indurlo alle dimissioni».

Circola voce che un gruppo di porporati voglia chiedere al futuro Papa di fare proprie solennemente le parole di Benedetto XVI nell'ultima udienza generale di mercoledì, quando ha accennato al fatto che si diventa Papa «sempre e per sempre». Essi vorrebbero un'assunzione di responsabilità formale, per evitare che la Chiesa possa essere equiparata nella mentalità comune a un'organizzazione retta a tempo da una grande personalità che passa la mano quando considera chiuso (o impossibile da compiere) il proprio mandato.

Sarebbe un modo per garantire la libertà della Chiesa da condizionamenti e pressioni e preservare la sacralità della figura del vescovo di Roma, il vicario di Cristo in terra. Ma la mossa nasconde anche il rischio di ridurre la portata della decisione di Benedetto XVI, facendone un «caso personale» legato alle particolarissime condizioni di Joseph Ratzinger e non un gesto libero e consapevole che affida la Chiesa a chi la guida davvero, cioè Dio stesso.


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
02/03/2013 21:03
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Il congedo del Papa, una pagina di cinema
Resterà come uno dei momenti più struggenti della nostra tv



L'elicottero del Papa in volo verso Castel Gandolfo (Omniroma)
Il momento era solenne, il cerimoniale aiutava molto, la location faceva il resto, ma il congedo da Roma di Benedetto XVI, dal punto di vista puramente televisivo, resterà come uno dei momenti più struggenti della nostra tv. Prima c'è stato il commiato dai cardinali e la memoria si è messa a rincorrere altre immagini, dai vecchi reperti in bianco e nero dei padri conciliari fino al film di Nanni Moretti «Habemus papam». Poco dopo le 17, però, dopo un saluto commosso ai suoi più stretti collaboratori, il Papa ha raggiunto in auto l'eliporto. E qui è iniziata una sequenza senza precedenti.
LA SCENA - Il volo su Roma del Pontefice, relativamente a bassa quota, mentre le campane suonavano a distesa, è qualcosa che esce da codici cerimoniali o da regie preventivate: «Spiritus ubi vult spirat», dice l'evangelista Giovanni. Sembra più frutto di una di quelle concomitanze celesti che ogni tanto si manifestano: un elicottero che inquadra un altro elicottero che volteggia a fianco del Cupolone, sorvola il Tevere, punta il Colosseo, dove normalmente si celebra la Via Crucis, il Venerdì Santo, e poi passa sopra le case di Roma, la gente che guarda in alto e saluta. In meno di venti minuti, l'elicottero atterra a Castel Gandolfo. L'ultimo saluto dal balcone, la piazza gremita.

I GESTI - Più delle parole contano i gesti. Il Papa si ritira, una guardia svizzera, prima di cedere il comando alla gendarmeria, appoggia l'alabarda al muro e, alle 20 in punto, chiude il portone, con un effetto cinematografico a nero. The End. Il pontificato di Benedetto XVI è stato meno mediatico del precedente, più incentrato sul valore della parola. E qui si gioca il senso profondo della parola carisma, ai tempi della tv. Esiste il carisma mediatico o è una contraddizione in termini? Il Papa del logos si è congedato con una pagina di grande cinema.

Aldo Grasso
2 marzo 2013 | 13:21


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03/03/2013 08:46
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Un popolo grato

di Marcello Semeraro*

Benedetto XVI ha rivolto il suo ultimo saluto alla Chiesa di Albano, prima che si chiudesse la finestra della loggia centrale e che dopo, alle ore venti, venisse sbarrato, spinto dagli Svizzeri, l'imponente portone centrale del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Un saluto finale, dunque, come un'ultima benedizione e un'ultima personale confidenza alla gente della mia diocesi, ma estesa a tutto il popolo di Dio che sentiva vicino in un'ora significativa e unica della sua vita: «Grazie per la vostra amicizia e il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti». Abbiamo tutti percepito, commossi, il senso di un profondo affidarsi nel cuore del Papa e il nostro cuore si è dilatato nell'affetto e nella riconoscenza.
«Grazie, Santità, per queste altre settimane che ci sta donando», gli ho detto nell'accoglierlo all'eliporto delle Ville Pontificie. «Questo è molto bello» mi ha risposto il Papa e ha soggiunto: «Sento il suono delle vostre campane». «Quelle che sente, sono le campane della Cattedrale -- gli ho risposto a mia volta -- ma in tutta la Chiesa di Albano le campane suonano per dirle che le vogliamo bene, che le siamo grati per tutto, che preghiamo per lei, che non la dimentichiamo».
Ogni incontro col Papa è sempre “unico” e io stesso ho potuto constatarlo le tante volte che l'avevo accolto in diocesi per i suoi brevi riposi a Castello. Nell'ultimo incontro l'8 febbraio scorso per oltre un'ora, insieme con alcuni vescovi del Lazio, in occasione della visita ad limina, era stato attento e sollecito. Anche ora rimane nel mio animo il suo atteggiamento sereno, sorridente, quasi incoraggiante.
Mi ha commosso, in particolare, il consueto cenno degli occhi e il rapido saluto con la mano con cui anche ieri sera, come tante altre volte a Castel Gandolfo, mi ha salutato prima di rientrare dalla loggia. Nella folla, non dimentica i volti: una grande ricchezza di Benedetto XVI.
C'è stato, poi, l'abbraccio dei fedeli a Castel Gandolfo, convenuti a migliaia dall'intera Diocesi. L'avevano atteso in preghiera e ora, finalmente, potevano ancora una volta salutarlo e raccogliere nel proprio cuore le ultime parole di un padre, che intende «con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell'umanità».
A Castel Gandolfo, come al mattino ai cardinali, il Papa ha ancora lasciato “un pensiero sulla Chiesa” e sul suo mistero, «che costituisce per tutti noi la ragione e la passione della vita». Il pensiero l'ha attinto, questa volta, dal concilio Vaticano II. «Sono semplicemente un pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra».
L'immagine della Chiesa pellegrina sulla terra pervade l'intero capitolo settimo della Lumen gentium ed è entrata pure nella liturgia. M'è parso che con queste sue parole il Papa abbia inteso, per un'ultima volta, esprimerci tutta la sua vicinanza, quasi a dirci: «Io cammino insieme con voi. Non me ne sto come alla finestra a guardarvi, ma procedo con voi».
Mi sono rimaste in mente quelle parole dell'ultima udienza generale: «Non porto più la potestà dell'officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro».
Ancora un pensiero sulla Chiesa, dunque. Che il Papa abbia voluto confidarlo alla Chiesa di Albano e che abbia concluso dicendo: «Mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme», ci fa sentire figli amati e ci riempie di gioia.

*Vescovo di Albano

(©L'Osservatore Romano 2 marzo 2013)


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03/03/2013 09:05
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Da "TM News.it"...

La canonizzazione di Wojtyla si bloccò con rinuncia Ratzinger

Il concistoro, le pressioni di Dziwisz, il nodo infallibililità

Città del Vaticano, 2 mar. (TMNews) - C'è una storia nella storia delle dimissioni di Benedetto XVI al soglio di Pietro. E riguarda il suo venerato predecessore Giovanni Paolo II. La storia si svolge in tre scene. La prima è l'11 febbraio, Papa Ratzinger incontra i cardinali del Concistoro ordinario pubblico in Vaticano. In programma c'è - come poi effettivamente avvenuto - la canonizzazione dei martiri di Otranto, uccisi dai musulmani nel 1480 in odio alla fede cristiana. Ma qualcuno, in Vaticano e in Polonia, spera che, come già accaduto per l'avvio del processo di beatificazione di Pio XII, all'ultimo momento il prefetto della congregazione per la Causa dei Santi Angelo Amato sottoponga alla firma di Ratzinger un documento nascosto, quello del decreto di canonizzazione di Karol Wojtyla. L'attesa è nell'aria, tanto che quando nel Palazzo apostolico si diffonde la notizia che il Papa ha preso una decisione eclatante, più di uno pensa a Wojtyla santo. Benedetto XVI, invece, si era dimesso.

La bomba delle dimissioni fa il giro del mondo. I cardinali di ogni paese sono sotto choc. Uno, in particolare, è amareggiato. Si chiama Stanislaw Dziwisz, è arcivescovo di Cracovia, per quasi quarant'anni è stato segretario personale di Wojtyla, prima da cardinale poi da Romano Pontefice. E' stato l'ombra del Papa polacco, ne custodisce ora la memoria. In quelle ore convulse, a quanto ricostruisto da 'Tmnews', Dziwisz avrebbe contattato l'entourage di Benedetto XVI per chiedere che il Papa ancora regnante sbloccasse la canonizzazione di Giovanni Paolo II. Ma da Joseph Ratzinger arriva un fermo diniego. Non certo perché non veneri il suo predecessore, come ha ampiamente dimostrato prima tagliando il tempo d'attesa di cinque anni che solitamente bisogna attendere per l'avvio della causa dal momento della morte, poi beatificandolo in piazza San Pietro il primo maggio del 2011. Ratzinger è convinto - e lo ha fatto capire più volte - della santità di Wojtyla. Ma non è nella fretta che si può prendere una decisione così importante, tanto più che una canonizzazione è atto 'infallibile' del Pontefice e Benedetto XVI si apprestava, lasciando il trono di Pietro, a dismettere anche la prerogativa dell'infallibilità.

Terza scena, il 28 febbraio, ultimo giorno del Pontificato. Benedetto XVI si congeda nella Sala Clementina da 144 cardinali, i residenti a Roma e diversi 'stranieri' già giunti nella città-sede della cattolicità. Tra gli ultimi che saluta, Stanislaw Dziwisz. Le telecamere restituiscono un breve colloquio freddo. E' il Papa che prende la parola per primo, cosa che non ha fatto con gli altri 143 poporati. Guarda il porporato polacco con sguardo gentile ma severo. Dziwisz scuote la testa. I due si lasciano senza sorrisi. Molti osservatori, in quel momento, pensano allo 'scontro a distanza' che è avvenuto tra Ratzinger e Dzwisiz. Il polacco, memore di un Wojtyla che non si dimise, commenta la rinuncia del Papa alla radio polacca con la frase "non si scende dalla croce". Poi la rettifica, ma intanto la bordata è partita. E, nell'ultima udienza in piazza San Pietro, Benedetto XVI scandisce: "Non scendo dalla croce". In quei pochi attimi in cui si sono accomiatati i due, al riparo dai microfoni, avranno forse riparlato del senso delle dimissioni e della "croce". Ma forse hanno anche parlato della canonizzazione di Giovanni Paolo II. Voluta strenuamente da Dziwisz, lasciata da Benedetto XVI al suo successore.



W IL PAPA CHE NON SI E' LASCIATO SUBIRE DELLE PRESSIONI QUESTA VOLTA!!!!!

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Dal blog di Bruno Mastroianni...

GIOVEDÌ 28 FEBBRAIO 2013

Da un giornalista (anonimo) a Benedetto XVI

Alle ore 20.00 di oggi, 28 febbraio 2013, in coincidenza con la fine del pontificato di Benedetto XVI ho ricevuto questo messaggio anonimo firmato semplicemente: "un giornalista". Lo pubblico qui di seguito:


Caro Benedetto XVI,

hai iniziato il pontificato come "umile operaio" nella vigna del Signore e lo finisci come "semplice pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra", dandoci una (ultima?) grandissima lezione.

Ti abbiamo chiamato pastore tedesco, panzerkardinal, papa teologo, timido, isolato, abbiamo detto: "non è come il predecessore". Ti abbiamo accusato, abbiamo commentato ogni tua scelta come se avessimo saputo cosa fosse meglio fare. Ci siamo sbagliati molte volte.

In molti ci siamo anche sforzati di raccontarti nel modo che meritavi ma non era facile con quel clima di concorrenza e di crisi del sistema. Siamo stati spesso superbi, superficiali, increduli. Non ti abbiamo letto fino in fondo, abbiamo fatto titoli avventati. Abbiamo cercato nei tuoi capolavori di catechesi qualcosa ad effetto, qualcosa da "stirare" sui giornali. Ti abbiamo dato del "freddo", del "debole", del "malaticcio". Abbiamo toppato un sacco di volte. Qualche altra ci abbiamo anche preso.

E tu come ci ha ripagato? Come solo un padre sa fare con dei figli adolescenti (questo siamo, soprattutto noi giornalisti) che sa tacere, perdonare, scusare, passare oltre, paziente.

Ora non è più nostro compito occuparci di te. Ora se ne occuperà la Storia. Si inizierà a far luce sull'enorme Papa che sei stato. Si ricomincerà a leggerti senza la foga del take d'agenzia, senza la pressione di trovare qualche notizia. Inizieremo a realizzare che eravamo di fronte a uno dei più grandi Papi degli ultimi secoli.

E la cosa sarà pubblica, si diffonderà, sarà inarrestabile, travolgente. Attraverserà la Chiesa, il mondo, l'umanità intera. Molti riscopriranno il senso del Concilio Vaticano II, l'amore per il catechismo, la fedeltà al Vangelo, al Romano Pontefice. Il rapporto con Gesù, la Verità, il dialogo con Dio, la devozione alla Madonna. Tutte quelle cose che credevamo ormai perse per strada e che invece sono, ora e per il futuro, la vera vita della Chiesa. Torneremo ad avere una grande voglia di confessarci. Torneremo ad avere voglia di innamorarci di Dio, tutti, più che mai. Torneremo a convertirci.

E se a quel punto qualcuno, magari con fare esperto, ancora dirà: "Benedetto XVI non riuscì a fare la riforma della Chiesa", avrà bucato la più grande notizia della storia. Perché quella riforma è in atto già da un pezzo, si tratterà solo di saperne scorgere i frutti nel futuro. Saremo cronisti abbastanza svegli?

Grazie Benedetto XVI che invece di stare appresso a noi - sempre un po' succubi dell'ultima attualità - hai rivolto i tuoi sforzi prima di tutto verso il bene dell'umanità e della Chiesa.

un giornalista


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03/03/2013 21:49
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IL FILO ROSSO

Profeta e purificatore

Il Pontefice teologo ha posto come specifico della sua missione la purificazione della Chiesa. Il suo appello alla vita nuova dei cristiani lo mette a fianco dei grandi profeti dell'Antico Testamento e a quelli della storia della Chiesa, da Domenico a Francesco, da Ignazio di Loyola ad Antonio Maria Zaccaria, da Padre Pio a Teresa di Calcutta

Vincenzo Rini

“Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”.
Era il Venerdì Santo 2005 quando, nella Via Crucis al Colosseo, il cardinale Ratzinger dichiarava pubblicamente la miseria e il male presente anche nella Chiesa di Dio. Una consapevolezza, la sua, che lo portava ad aggiungere: “Signore... anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”. Quando mancavano pochi giorni alla morte di Giovanni Paolo II e alla successiva elezione di Ratzinger a Sommo Pontefice, il futuro Benedetto XVI indicava profeticamente quella che sarebbe stata una linea portante del suo ministero petrino: la conversione della Chiesa, l’appello a vita nuova dei cristiani.
Come non pensare, ora, al termine del suo ministero di Sommo Pontefice, ad altre parole, pronunciate tanti secoli fa da uomini inviati da Dio a chiamare il suo popolo a conversione? Come non ricordare Isaia che gridava: “Come mai la città fedele è diventata una prostituta? Era piena di rettitudine, vi dimorava la giustizia, ora invece è piena di assassini... Essi ostentano il loro peccato come Sodoma: non lo nascondono neppure” (Is 1,21;3,9). E anche le forti parole di Geremia: “Tra il mio popolo si trovano malvagi... oltrepassano i limiti del male” (Ger 5,26.28); “Nessuno si pente della sua malizia... Ognuno prosegue la sua colpa senza voltarsi...” (Ger 8,6.12).
Dall’inizio del suo pontificato Benedetto XVI si è presentato non come il Pontefice glorioso, ma come il servo sofferente, che vuole curare i mali del suo gregge senza incertezze, incurante del fatto che la sua dura condanna del male presente nella Chiesa potesse essere considerata da alcuni quasi un cedimento alle accuse dei nemici.
Il Pontefice teologo, che nelle sue encicliche ci ha aiutato a leggere il volto di Dio nella carità e nella speranza, proprio a partire dal proprio magistero su Dio, la Chiesa e la vita cristiana, ha posto come specifico della sua missione la purificazione della Chiesa. Il suo grande amore a Dio si è così manifestato come amore indissolubile al popolo di Dio sempre peccatore, ma, ancor più, sempre chiamato a conversione. Il suo appello alla vita nuova dei cristiani lo mette a fianco dei grandi profeti dell’Antico Testamento e a quelli della storia della Chiesa, da Domenico a Francesco, da Ignazio di Loyola ad Antonio Maria Zaccaria, da Padre Pio a Teresa di Calcutta.
Un Papa profeta, un sofferente che porta su di sé il peccato del suo popolo.
Si può ben dire che proprio questo sia il filo rosso che attraversa il pontificato di Benedetto XVI: un amore totale alla Chiesa che lo porta a un impegno senza tregua per purificarla.
Molti sono gli scandali che negli anni del suo pontificato egli ha combattuto con forza. Uno fra i tanti, in particolare, ricordiamo qui: quello della pedofilia, per il quale ha emanato norme severe per purificare la Chiesa da questo peccato che è, allo stesso tempo, un delitto.
Nella consapevolezza che “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori”, ma “nasce dal peccato” dentro la Chiesa. E, nella lettera ai cattolici d’Irlanda, in seguito agli scandali là avvenuti, accusa con forza: “Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti”.
Così il Papa teologo si è fatto profeta, impegnato a costruire per il popolo di Dio l’epoca nuova della purificazione. Una profezia che lo ha manifestato come il Papa dei grandi dolori, delle profonde sofferenze, immagine di quel Gesù che si è sacrificato per i peccati della sua gente.
Una battaglia condotta senza interruzioni, fino al giorno della rinuncia al pontificato. È proprio per il bene del popolo che Dio gli ha affidato che ha deciso di lasciare il ministero petrino, senza rinunciare a quello della preghiera per la conversione dei cristiani. Leggendo i suoi interventi dopo l’annuncio della rinuncia, appare, ancora una volta, la sua vocazione di purificatore della Chiesa, sottolineando la continua tentazione “di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio”. Aggiungendo che “quel ‘ritornate a me con tutto il cuore’ è un richiamo che coinvolge non solo il singolo, ma la comunità”. Notando come “il volto della Chiesa... venga, a volte, deturpato”; aggiungendo: “Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale”. E non dimentica di denunciare “l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione”.
Ora Benedetto il “purificatore”, lascia il passo ad altri, rendendo noto, però, ai fedeli di Cristo, che non si tratta di una fuga, ma di un’ulteriore scelta di responsabilità per il bene del popolo di Dio; lo ha affermato domenica 24 febbraio all’Angelus: “Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo, è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”.
Ecco così la sua nuova/antica vocazione: servire la Chiesa, la sua purificazione, percorrendo un’altra strada. Non disimpegno, ma volontà di non compromettere, a motivo della malferma salute e della vecchiaia, il suo servizio di teologo, maestro, profeta, purificatore.

© Copyright Sir


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Il giorno dopo

''Mentre il portone si chiudeva - confida commosso il parroco di Castel Gandolfo - abbiamo avuto la sensazione che si scriveva e si metteva la firma ad una pagina di storia''. Il sogno del Sindaco: conferire a Benedetto la cittadinanza onoraria

Maria Chiara Biagioni

Castel Gandolfo il giorno dopo. Sulla piazza della Libertà su cui si affaccia il Palazzo Pontificio, passeggiano ancora incuriositi giornalisti, anche stranieri, e troupe televisive che stazionano in città alla caccia di emozioni e notizie. Segno che qualcosa di storico è avvenuto in questa piccola cittadina che si affaccia sul lago di Albano. Per le strade, è ancora forte l’emozione vissuta ieri alla chiusura del portone dietro il quale si è “nascosto” al mondo Benedetto XVI, Papa emerito. “È come un velo di tristezza che è sceso sulla città”, dice al Sir don Pietro Diletti, parroco della parrocchia pontificia San Tommaso da Villanova. “Mentre il portone si chiudeva - aggiunge commosso - abbiamo tutti avuto la sensazione che si scriveva e si metteva la firma a una pagina di storia”. Alla morte di un Papa, viene per consuetudine snodata una catena di ferro lungo il portone, tra le due colonnine di pietra che lo circondano. La catena oggi invece è rimasta annodata. “Segno - spiega il parroco - di una rinuncia e non di una morte”.

La parrocchia. Il parroco questa mattina ha celebrato una Messa speciale per Benedetto XVI, alla quale ha partecipato anche il sindaco di Castel Gandolfo, Milvia Monachesi. “Benedetto XVI - ha detto nell’omelia don Diletti - ci ha dato un esempio di umiltà e di rapporto intenso con Dio nella preghiera dalla quale ha preso poi la decisione irrevocabile di ritirarsi dal ministero petrino. Decisione che è un atto di amore per la Chiesa, capito da tutto il mondo”. E ha aggiunto: “Benedetto XVI non è fuggito, non è sceso dalla Croce: è più presente di prima”. Alla preghiera dei fedeli, i cittadini di Castel Gandolfo hanno pregato per “Sua Santità Benedetto XVI, perché il Signore lo custodisca e gli dia giorni sereni”. “Gli vogliamo bene - dice poi don Pietro -. Poteva andare da qualsiasi parte e, invece, ha scelto Castel Gandolfo, segno che lui ama questa città e si trova bene in questi posti”. Lo aveva detto il Papa qualche anno fa, incontrando nel luglio del 2011 l’amministrazione comunale e le sue parole ora campeggiano su una targa posta a fianco del municipio: “Qui mi trovo bene: montagna, lago e vedo persino il mare e gente buona”.

Il sindaco e le forze dell’ordine. “Ho lasciato una lettera sulla sua scrivania - confida al Sir il sindaco Milvia Monachesi - per esprimergli la vicinanza, la gratitudine e la comunione nella preghiera a nome di tutta la comunità. E poi ho un sogno. So che lui ha detto di voler sparire in un certo senso alla vita pubblica, ma noi vorremmo conferirgli la cittadinanza onoraria come segno del nostro desiderio di mantenere vivo questo legame di affetto con Benedetto XVI che sentiamo come nostro cittadino. Lui ha sempre dimostrato tanto affetto per Castel Gandolfo e lo ha dimostrato ancora di più con questo gesto di dare l’ultimo saluto proprio da qui. E questo ci lega orma a lui per sempre in maniera fortissima”. Benedetto XVI - conferma il sindaco - rimarrà a Castel Gandolfo per 3 mesi e “questo ci fa molto piacere: cercheremo di garantirgli la più serena permanenza. Cercheremo di non fare nulla di chiassoso, nulla in contrasto con il suo desiderio di tranquillità e di riserbo”. Castel Gandolfo è abituata ad accogliere nei periodi estivi i pontefici e quindi a provvedere a un adeguato sistema di sicurezza. “Ma - dicono al Sir le forze dell’ordine - quello che si sta vivendo in questi giorni ha una portata storica. I mezzi di comunicazione stanno giustamente richiamando l’attenzione della gente in tutto il mondo. È chiaro quindi che le forze di sicurezza sono state necessariamente rafforzate”.

Il direttore delle Ville Pontificie. È stato Saverio Petrillo, direttore delle Ville Pontificie, a dare il comando alle Guardie Svizzere di chiudere il portone del Palazzo dove ora risiede Benedetto XVI, papa emerito. “È stata - dice oggi - una profonda emozione, conscio di vivere un avvenimento eccezionale e, in qualche modo, imprevedibile nella mia lunga carriera in Vaticano”. Ed aggiunge: “Tristezza certamente sì, ma preoccupazione no perché il Santo Padre è colui che in questi momenti dà conforto a tutti. Lui ha preso questa decisione di fronte a Dio e vedere allora la sua serenità è un incoraggiamento per tutti noi. Veniva in mente quel brano del Vangelo quando Nostro Signore dice a Pietro che non si voleva far lavare i piedi da lui, ‘tu ora non capisci, lo capirai più tardi’. Ecco, io sono in quello stesso atteggiamento di fede. Il nostro augurio è che il Santo Padre possa finalmente godere delle meraviglie del Creato come ha detto lui ieri quando si è affacciato dal balcone”.

Il centro Mariapoli. All’interno dei giardini vaticani, dal 1986 è attivo il Centro Mariapoli, donato da papa Giovanni Paolo II al Movimento dei Focolari e oggi luogo di formazione dove ogni anno transitano circa 20mila persone. Ieri, in piazza della Libertà, a salutare Benedetto XVI c’erano anche 1.300 aderenti al Movimento arrivati da vari Paesi del mondo (anche dalla Siria) per un incontro di famiglie. Il centro è gestito da un gruppo di 34 focolarine. “Abbiamo vissuto la chiusura del portone - dice Nunziatina Cilento, responsabile del centro Mariapoli - con profonda commozione e anche con un po’ di nostalgia: pareva che si chiudesse un tempo e dovessimo adesso aprirci a quello che Dio vorrà. Ci trovavamo lì tutte prese dalla figura di questo Papa con il desiderio forte di unirci alla sua preghiera e alla preghiera di tutti i fedeli del mondo perché abbia la grazia, la salute e la serenità d’animo per affrontare questo momento”. Al Papa ieri sono arrivati dal Centro Mariapoli fiori e un quadro opera dell’artista Mario Franceschini. Le focolarine promettono che troveranno “tutte le occasioni per farsi presenti con fiori e un biglietto. E poi sappiamo che il Papa ama molto la crostata...”. L’augurio? “Un grande riposo, dopo questo periodo anche difficile che ha vissuto. Un riposo fisico ma anche morale perché tanti pensieri si risolvono e si affidino alla misericordia di Dio. E che possa quindi godere di quella serenità che viene dallo Spirito Santo, che viene dal Cielo e quindi pregna di tanti doni”.

© Copyright Sir


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Coerenza di un pontificato

Il lavoratore divenuto pellegrino

Pubblichiamo, quasi integralmente, un articolo uscito sul quotidiano spagnolo «La Razón» di oggi, venerdì 1, dell'addetto ecclesiastico dell'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, che da oltre un trentennio è corrispondente dal Vaticano per diverse testate.

di Antonio Pelayo

Dal balcone della sua residenza di Castel Gandolfo Benedetto XVI, ancora Papa per qualche ora, si è definito come un «pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra». Mi sono tornate in mente altre parole, che egli pronunciò appena eletto Successore dell'apostolo Pietro dalla loggia della basilica Vaticana: sono «un umile lavoratore della vigna del Signore».
Tra queste due frasi ci sono quasi otto anni di un pontificato caratterizzato dalla solidità del magistero e dalla coerenza con una fede personale vissuta in comunione con una Chiesa che ha attraversato momenti difficili, scossa da tensioni molto forti.
Avendo avuto il privilegio di accompagnare Joseph Ratzinger in questi anni, mi sento in dovere di testimoniare la mia ammirazione per la sua persona, che non ha nulla a che vedere con la papolatria.
A differenza di quello che ci attende, il conclave che lo elesse nell'aprile del 2005 si aprì con una candidatura molto solida -- la sua -- in quanto il collegio dei cardinali non aveva nessuno che potesse competere, umanamente parlando, con lui. Bastarono in effetti quattro votazioni perché si raggiungesse la maggioranza.
Cosa videro i cardinali in Ratzinger? Una fede solida, ancorata non nel fideismo ma nella convinzione che fede e ragione non sono dissociabili bensì unite nella ricerca della verità che, per i credenti, non è altro che la persona di Gesù Cristo. A questa virtù teologale incarnata nella sua figura si univa una personalità grottescamente definita da alcuni media come quella del “panzer cardinale” o del “pastore tedesco”.
Caricatura che non ha retto all'analisi e che è perdurata solo perché alimentata dai pregiudizi e dalla chiusura mentale.
Ratzinger in realtà è molto diverso: è un uomo affabile, aperto al dialogo, disposto a comprendere le ragioni opposte alla sue idee, convinto che persino nell'errore possono esserci semi di verità, capace di ascoltare e di non imporre nulla a nessuno con la forza.
L'analisi e la riflessione sui suoi anni di pontificato costituiscono una questione molto complessa perché è stato un periodo della storia ecclesiale per niente facile. Chi può negare la sua inflessibilità dinanzi alla scandalo della pedofilia di alcuni settori -- minoritari -- del clero cattolico? Non ha forse dato prova di volere trasparenza nella gestione delle finanze ecclesiastiche e delle istituzioni legate alla Santa Sede? Come spiegare, per esempio, che in questi anni siano stati costretti a dimettersi diverse decine di vescovi dai comportamenti ingiustificabili? È intellettualmente ammissibile che sia stato presentato come un uomo solitario, scontroso, privo di emozioni e di affabilità nei rapporti con gli altri, cristiani o non cristiani, religiosi o atei?
Nella sua ultima visita a Milano ha avuto un incontro molto affettuoso con il cardinale Carlo Maria Martini, già molto malato. Entrambi hanno parlato con franchezza e hanno convenuto sul fatto che la Chiesa di domani, di quel domani che si forgia già oggi, dovrebbe essere più evangelica, più pura, più vicina ai poveri e a quanti soffrono, caratterizzata dalla comunione e dal servizio.
Sono i cesti di vimini che Ratzinger lascia al suo successore affinché li utilizzi come ha fatto «l'umile lavoratore della vigna del Signore», che trascorrerà il suo pellegrinaggio terreno vicino a Gesù Cristo nel ritiro e nella preghiera.

(©L'Osservatore Romano 2 marzo 2013)


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Conquistati di nuovo dalla promessa antica

Marina Corradi

​Non abbandono la Croce, ma resto in modo diverso presso il Signore crocifisso». Un grande applauso, di tutti il più commosso, riempie piazza San Pietro, a queste parole di Benedetto XVI.
Non abbandono, ma resto, sotto alla Croce, accanto a voi. E la gente venuta da lontano, partita nella notte, stanca, infreddolita dall’alba invernale, ha da queste parole il cuore come colmato. Perché in fondo siamo venuti qui per questo: per sentirci dire che questo non è un addio, ma un rimanere assieme in un altro, e più profondo modo.
Il modo della preghiera: che è invisibile, che per il mondo è solo pia intenzione, o non esiste. Ma la faccia di Benedetto XVI testimonia tutta un’altra certezza, granitica: «Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio». In un tempo dunque che non è il nostro, affannato, sfuggente, tempo che erode e corrompe, ma è tempo di Dio, in cui tutto è vivo, per sempre. E noi in piazza, e soprattutto i più anziani, confortati; portati dentro all’orizzonte infinito testimoniato dal Papa, paradossalmente, nel giorno in cui lascia il soglio di Pietro.
Cosa è successo, cosa sta accadendo, ci chiediamo fra noi; e com’è possibile che un addio si trasformi oggi, sotto a un cielo di un azzurro perfetto, invece, in una promessa? Stamattina si tocca con la mano come il ritirarsi del Papa sia iscritto dentro a un bene più grande; dentro alla libertà assoluta che un uomo ha, nell’affidarsi totalmente a Dio. Benedetto XVI testimonia che la barca della Chiesa non è nemmeno del Papa, ma di Cristo: che non la lascia affondare. Solo dentro a questa libertà estrema è stato possibile che un uomo anziano, nel sentire le sue forze scemare, abbia chiesto a Dio «con insistenza» di fargli capire cosa doveva fare, per il bene della Chiesa. E infine abbia scelto, «con profonda serenità d’animo».
Ma, andandosene, il Papa rimane dentro il «per sempre» di Pietro. Lo dice espressamente: la mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo «per sempre». Resta, spiega, «nel servizio della preghiera», nell’esempio di san Benedetto, che ha mostrato la via per una vita di totale appartenenza a Dio.
E a noi qui in piazza, scaldati finalmente da un sole che si alza e sa di primavera, si allarga il cuore; è come se quella stretta di smarrimento e confusione che ci ha preso all’annuncio dell’11 febbraio, in queste parole e in questo sole si sciogliesse. Non è sconfitta o resa, quella di Benedetto XVI; è, nella lucide coscienza delle forze che vengono meno, un gettare il cuore audacemente, più in là.
Dentro a una ampia, pacificata fiducia che la mite voce di quest’uomo contagia: occorre «affidarci come bambini nelle braccia di Dio». Insomma tutto ciò che anche tra molti di noi credenti è, sì, speranza, ma non ancora certezza; desiderio, ma non ancora fede su cui giocarsi la vita, in Benedetto XVI ha invece subìto questa metamorfosi. L’acqua del pozzo della Samaritana in lui, realmente, è diventata acqua viva.
E chi di noi era arrivato partecipe, ma dolente, e con affetto, ma come andando a un lutto, se ne esce dalla piazza come interiormente riedificato. Credevamo di venire per un addio, e invece quest’uomo ci ha mostrato che è possibile osare un abbandono totale.
Che un vecchio, anche se è il Papa, può lasciare la gestione della Chiesa eppure restarle dentro, profondamente, come un cuore pulsante. Benedetto XVI ha osato il salto assoluto di cui è capace solo chi non dubita delle braccia di Dio. E noi venuti qui stamani, partiti nel fondo di una notte invernale, ce ne usciamo dalla piazza commossi e un po’ sbalorditi: un grande testimone ci ha credibilmente detto che è vera, è tutta vera, la promessa antica.

© Copyright Avvenire, 28 febbraio 2013


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Castel Gandolfo: l'affetto dei fedeli radunati davanti alla residenza pontificia

Tanti fedeli si sono radunati oggi davanti alla residenza pontificia di Castel Gandolfo, dove Benedetto XVI si è trasferito temporaneamente come Papa emerito, prima di ritirarsi in preghiera nel Monastero “Mater Ecclesiae” in Vaticano, una volta restaurato. I pellegrini vengono qui per pregare per lui e per la Chiesa, come ci riferisce il parroco di Castel Gandolfo, don Pietro Diletti, al microfono di Federico Piana:

R. - Certo, oggi, di domenica, con tutte le Messe che abbiamo, non diciamo più - purtroppo - “per il nostro Papa”. Certamente però tutti noi abbiamo una preghiera particolare per Benedetto XVI.

D. - Naturalmente non cambierà nulla per Castel Gandolfo? A parte il fatto di avere questo grande Papa, anche se emerito, lì tra voi….

R. - E’ una grande gioia sapere che è qui, come lo è per lui. Ha detto subito: “Che piacere essere in mezzo a voi”. Quindi ha messo in risalto questo sentimento che anche noi abbiamo nei suoi confronti. Noi speriamo - certo è un sogno - di poterlo incontrare in qualche modo… Non sappiamo ancora come si potranno svolgere le cose, ma certamente è un desiderio di tutti: anche oggi lo hanno espresso molti parrocchiani.

D. - Don Pietro, lei ha anche dei ricordi personali con il Papa: ce li vuole raccontare?

R. - Credo che non siano soltanto dei fatti, ma rivelano quello che lui stesso ha rivelato, parlando la mattina ai cardinali e parlando la sera a noi: la sua ricca umanità. Una volta, eravamo insieme a colazione e lui mi ha fatto parlare per tutto il tempo: mi ha fatto domande su tutto, anche sulle cose più particolari e non soltanto teologiche. Voleva sapere come la gente si comportava, se seguiva le mie cure pastorali, se partecipavano, come fosse il nuovo consiglio pastorale. Ho parlato tanto e alla fine ho detto: “Santità, come don Bosco, io ho chiesto il dono della parola nella prima Messa…”. Il Papa si è fermato, mi ha guardato e ha detto: “Sì, il Signore gliela ha concesso!”, perché avevo parlato molto a lungo. Un’altra volta, mi ha preso le mani, me le stringeva e mi ha detto: “Ecco il nostro caro parroco”. Io gli ho risposto: “Ecco il mio caro parrocchiano, che non sempre frequenta…”. Sono due fatti che rivelano questa attenzione, questa delicatezza, questo suo modo di parlare e questa sua umanità, che è venuta fuori pienamente in questi ultimi giorni.

© Copyright Radio Vaticana


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Prima domenica senza l'Angelus di Benedetto XVI, in otto anni recitato 455 volte con milioni di fedeli

Dopo la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI e l’inizio della Sede vacante, oggi è la prima domenica senza la recita dell’Angelus. Dal primo Regina Caeli del primo maggio 2005, all’ultimo Angelus dello scorso 24 febbraio, si contano a milioni le persone che ogni domenica, in Piazza San Pietro e qualche volta altrove, hanno atteso Benedetto XVI per ascoltarlo e recitare con lui la preghiera mariana di mezzogiorno. In otto anni, per 455 volte, quel momento è diventato un’occasione privilegiata per il Papa, ora emerito, di accostarsi ai fedeli come maestro di fede solido e comprensibile. Un guida che fin da subito ha chiarito su quali fondamenta avrebbe poggiato il suo magistero. Alessandro De Carolis lo ricorda in questo servizio:

“La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: Dio è amore”.

È domenica 22 maggio 2005 quando Benedetto XVI pronuncia questa frase, nel suo primo Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico vaticano. In realtà, dalla sua elezione, è la quarta volta che ripete quel gesto – definito al suo primo apparire “un’amabile consuetudine” – ma nelle tre volte precedenti si è trattato di un Regina Caeli, la preghiera che nel periodo di Pasqua sostituisce l’Angelus, e in quei casi le sue brevi considerazioni sono state dedicate a temi contingenti, come la Festa del lavoro, la Giornata delle comunicazioni sociali e così via.
È soprattutto in quel 22 maggio che comincia invece a prendere forma la funzione e il valore che Benedetto XVI attribuisce a quei 10 minuti di mezzogiorno: offrire una piccola “omelia” sulla liturgia del giorno, la lectio divina in forma breve con cui ogni domenica, nella chiesa a cielo aperto di Piazza San Pietro, il Papa teologo si fa “parroco” per chi si ferma ad ascoltarlo giù tra la folla o davanti alla tv, dalla radio o in streaming via web. In quell’Angelus-“pilota” del 22 maggio 2005, Solennità della Santissima Trinità, il nuovo maestro mette subito in luce il nucleo della fede cristiana e insieme – e lo dimostrerà anche la sua prima Enciclica Deus caritas est – il fulcro della sua stessa spiritualità:

“La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: ‘Dio è amore’; e l’amore è sempre un mistero, una realtà che supera la ragione senza contraddirla, anzi, esaltandone le potenzialità”.

“Dio Amore”, fede e ragione a confronto: c’è già in questa affermazione l’essenza del magistero che si svilupperà negli anni a venire. Le parole successive sul mistero trinitario – “Gesù ci ha rivelato il mistero di Dio: Lui, il Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre che è nei Cieli, e ci ha donato lo Spirito Santo, l’Amore del Padre e del Figlio” – potrebbero essere ascoltate in un’aula di catechismo. Non la considerazione che segue, che dimostra un’altra dote che i fedeli impareranno ad apprezzare di Benedetto XVI, indiscusso maestro nel saper portare i vertici e gli abissi dello spirito al livello dell’anima più semplice:

“La teologia cristiana sintetizza la verità su Dio con questa espressione: un'unica sostanza in tre Persone. Dio non è solitudine, ma perfetta comunione. Per questo la persona umana, immagine di Dio, si realizza nell’amore, che è dono sincero di sé”.

Altre sei righe e un’altra colonna portante. Dall’altare della sua finestra sul mondo, il Papa maestro cede il passo al Papa custode della fede. Non quell’arcigno guardiano fin lì troppo spesso descritto, in modo prevenuto, da una vulgata mediatica che ama pontificare sul Pontefice senza conoscerlo, ma il difensore gentile che invita con ferma lucidità i cristiani a non farsi contagiare nella pratica religiosa dal relativismo montante:

“Ogni parrocchia è chiamata a riscoprire la bellezza della Domenica, Giorno del Signore, in cui i discepoli di Cristo rinnovano nell’Eucaristia la comunione con Colui che dà senso alle gioie e alle fatiche di ogni giorno. ‘Senza la Domenica non possiamo vivere’: così professavano i primi cristiani, anche a costo della vita, e così siamo chiamati a ripetere noi oggi”.

Per 455 volte, dal 2005 al 2013, Benedetto XVI, maestro umile e custode illuminante, appare da dietro la tenda della sua finestra – o talvolta stando sull’altare alla fine di una Messa solenne, o durante un viaggio apostolico, o circondato dai monti durante il riposo estivo – per spiegare e insegnare la “gioia dell’essere cristiani” e concludere con l’“Angelus nunziavit Mariae”. Nel giorno in cui la finestra resta chiusa e il mezzogiorno rintocca senza sottofondo di applausi, tra le colonne del Bernini – dove alla fine lo avranno ascoltato in più di 10 milioni – resta il riverbero di tanti pensieri profondi, dipanati in modo compiuto già da quel 22 maggio 2005. E resta l’eco dell’ultimo commiato, dell’umile maestro di fede che anche oggi avrà sostenuto la Chiesa con la forza di un Angelus, pregato di nascosto al mondo ma non a Dio:

“Vi ringrazio per l’affetto e per la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo momento particolare per la mia persona e per la Chiesa. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie! In preghiera siamo sempre vicini. Grazie a voi tutti! Angelus nunziavit Mariae…”

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Le parole del cuore

Benedetto ha aperto, in piazza San Pietro, una pagina del suo diario dell'anima

Domenico Delle Foglie

Sono le parole del cuore a traghettare Benedetto XVI tra le rive scoscese e ardue della fede e della ragione nel giorno del saluto più intimo e più pubblico.
Il Papa teologo, il Papa tedesco, il Papa di Ratisbona e Gerusalemme, di Colonia e di Erfurt, della Westmister Hall e del Collegio des Bernardin, del Reichstag e di Ground Zero, di Sidney e di Madrid, ha aperto il suo cuore come una pagina del diario dell’anima, secondo la migliore tradizione dei mistici cristiani. Che non possono dimenticare le date più importanti della propria vita (il 19 aprile del 2005), ma hanno profonda consapevolezza che sono altre le domande e le certezze che accompagnano l’uomo che affida tutto se stesso a Dio.
“Signore che cosa mi chiedi?”. La domanda che ha guidato Benedetto nel suo cammino e che solennemente ha voluto sillabare in piazza San Pietro, risuona e vibra nelle coscienze di tutti i cristiani. È la domanda più esigente per Pietro e Giovanni, ma anche per ogni singolo credente in ogni angolo del mondo, senza distinzioni di condizione sociale, di orizzonte culturale, di convinzione politica, di dimensione antropologica. Una domanda a cui ciascun credente deve trovare risposta, ma nella certezza che “la Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto”.
Ma nel diario dell’anima c’è anche la pagina della fede “bambina” che si abbandona nelle braccia di Dio. È bello oggi, sperimentare con Benedetto l’accoccolarci nelle braccia del nostro Dio con quella preghiera che dovremmo tornare a recitare al mattino con la fiducia dei bambini nei confronti del Padre. “Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano...”. Parole strappate alla contemplazione e restituite a un cristianesimo esigente, “adulto” ci ha detto il Concilio, che non rinuncia alla sfida dell’evangelizzazione e della missione. E perciò stesso destinato all’incomprensione e sempre più spesso al martirio. Ma sarà sempre quell’amore certo di Dio a illuminare il cuore limpido del credente, a cui viene chiesto di andare incontro alla storia senza paura.
Benedetto ha abbracciato “tutta la Chiesa sparsa nel mondo”, ha allargato “il cuore al mondo intero”. Poi ha toccato con mano la Chiesa, “non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo che ci unisce tutti”. Questa certezza l’abbiamo letta nello sguardo grato e commosso del Papa che ci accompagnerà nei giorni a venire.
È difficile trovare le parole giuste per ringraziare un Papa. Da umili cronisti forse basta un semplice “grazie”.
Da credenti, osiamo: “Santo Padre, non sarà mai solo. Mai. E dalla sua finestra, ci benedica ancora”.

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Addio a Benedetto XVI

Il 28 febbraio il 265mo Pontefice della Chiesa cattolica, il Papa Benedetto XVI, ha ufficialmente lasciato la Santa Sede. Fino all’ultimo momento molte persone non riuscivano a credere che il Papa si sarebbe davvero dimesso. Parlando per l’ultima volta ai fedeli Benedetto XVI ha detto: “Non lascio la barca di Pietro”.
In varie parti del mondo la gente ha seguito con fiato sospeso la partenza di Benedetto XVI, ormai “Papa emerito”, dal Vaticano a bordo dell’elicottero bianco. E’ stato un momento di tristezza anche per i cattolici della Russia. “Le dimissioni del Papa – ci ha detto il belga Jean-Francois Thiry, direttore del Centro culturale e spirituale “Pokrovskie vorota” di Mosca – sono per noi una lezione molto importante”.
Questa lezione ci viene data dall’uomo che rimane sempre con Dio, che ha visto la propria debolezza fisica come un’altra possibilita’ di compiere la volonta’ del Signore. E’ per questo che ha preso la decisione che ha colto di sorpresa tutti i cattolici. Certo, ne siamo rattristati, ma questo per noi e’ anche una dimostrazione di come devono essere i nostri rapporti con Dio, dimistrazione di umilta’ con cui dobbiamo valutare tutte le circostanze della nostra vita.

Anche gli ortodossi hanno accolto la decisione di Benedetto XVI con profondo rispetto. Il Patriarca della Chiesa russa Kirill ha inviato il Papa emerito un messaggio che per la nostra emittente e’ stato letto dal portavoce del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, diacono Aleksandr Volkov.

Santita’! In questi giorni cosi’ speciali per Lei vorrei esprimerLe i sentimenti di fraterno amore in Cristo e di rispetto. Ci e’ sempre stata vicina la Sua posizione di coerenza che non dava spazio ai compromessi in questioni di fede e seguiva rigorosamente la tradizione viva della Chiesa. All’epoca in cui l’ideologia di permissivismo e di relativismo morale cerca di espellere dalla vita dell’uomo i valori tradizionali, Lei, coraggiosamente, alzava la Sua voce in difesa degli ideali evangelici, dell’alta dignita’ dell’uomo e della sua vocazione: quella di essere libero dal peccato.

italian.ruvr.ru/2013_03_03/Addio-a-Benedetto-XVI/


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Ha scritto la storia

Nel gesto di Benedetto XVI un messaggio forte al suo successore e alla Chiesa

Stefan Vesper - segretario generale del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (Zdk)

Siamo rimasti tutti esterrefatti. Nel Rheinland, dove vivo, il lunedì grasso si festeggia carnevale in maniera molto festosa. Ma improvvisamente è arrivata la notizia. All’inizio si stentava addirittura a credere, poi velocemente è arrivata la conferma che la notizia era vera: papa Benedetto ha presentato la rinuncia al ministero di vescovo di Roma, successore di Pietro.
La decisione del Papa ci riempie di rispetto e gratitudine. Il Papa, il cattolico tedesco Joseph Ratzinger, con tutta la sua esistenza ha servito in modo straordinario il messaggio di Gesù Cristo e la Chiesa. Questo servizio per il bene della Chiesa è sicuramente anche il motivo della sua decisione attuale. Papa Benedetto parla spesso delle sue forze che diminuiscono, di sofferenza e d’incapacità nel portare avanti in maniera adeguata il compito affidatogli. La sua dichiarazione, mi pare, è una commovente testimonianza della grandezza umana. Egli ha deciso di presentare la rinuncia, perché sente profondamente la responsabilità per la nostra Chiesa. È un passo dettato dall’amore per la Chiesa, in perfetta coerenza con ciò che egli ha fatto nella sua vita. Il nostro presidente Alois Glück dice: “Il passo è stupefacente ed è un taglio netto per tutti noi. Ringraziamo papa Benedetto per il suo grande servizio e per il suo esempio di servitore della fede e della Chiesa”.
Diversi giornali ed emittenti mi hanno chiesto di rilasciare interviste. La domanda è sempre quella di fare “subito” un bilancio del pontificato, di sapere i motivi di questa decisione, di fare congetture sul futuro e di sapere chi sarà il successore e che cosa potrà fare di meglio. Io, in tutte le interviste, ho innanzitutto invitato al rispetto per il nostro Papa, per papa Benedetto, il cui pontificato continua ancora e che si è meritato la nostra stima!
Nel trarre il bilancio del suo pontificato, quando avremo capito la portata della sua decisione di lunedì scorso, e quando il pontificato sarà concluso, concorreranno molti elementi: le encicliche, i viaggi, i discorsi, le azioni e le decisioni. Papa Benedetto non dovrebbe essere messo a confronto con il suo predecessore, ma i parametri sono le sfide, che gli si sono presentate in questi otto anni e che egli ha affrontato con tutte le sue forze fisiche e spirituali.
La sua decisione è sovrana, è storica, scrive la storia. Se non vincolerà, comunque sia, influenzerà anche il prossimo Papa. È una decisione per il bene della Chiesa. È un contributo affinché il governo della Chiesa diventi più moderno, adatto ai tempi. Molto giustamente dice Benedetto: “Il mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti è agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede”. Il mondo richiede in ogni tempo una guida della Chiesa che sia capace di agire, coraggiosa, decisiva. Il Papa attuale si mette da parte e in questo modo pone parametri per il futuro.
Posso ancora ripetere un’altra proposta oppure è già stata esposta spesso? I governi moderni utilizzano in maniera conseguente il principio della collegialità. Dappertutto, i capi di governo e i ministri convocano almeno una volta la settimana i loro gabinetti per confrontarsi e discutere tutte le questioni più importanti. Queste consultazioni non sono vincolanti per il capo di governo, che resta la persona che in definitiva deve decidere e deve dare le linee guida. Il consiglio e la consulenza in un contesto collegiale, tuttavia, migliorano la sua decisione. Esiste la possibilità di arricchire, di equilibrare, di stabilire priorità, anche di contraddire in maniera fondata, in ogni caso di portare conoscenze, esperienze, nuovi aspetti. Non sarebbe una cosa positiva se il prossimo Papa convocasse regolarmente i cardinali della Curia e anche riunioni più numerose di vescovi? Non si dovrebbero riunire ogni anno i presidenti delle Conferenze episcopali sotto la sua guida per confrontarsi sulle domande che li coinvolgono? Osserviamo come andrà avanti la Chiesa e ringraziamo con tutto il cuore papa Benedetto XVI.

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Cosa prova un Papa nella sua interiorità


Marzo 4, 2013 Pippo Corigliano

Quando a Milano, nell’incontro delle famiglie, la bambina vietnamita gli ha chiesto com’era lui da piccolo, Benedetto ha aperto uno spiraglio nell’abituale velo di riserbo circa la sua persona
Nel fiume di parole che sono scorse impetuose da quando il Papa ha annunciato la sua rinuncia non ho trovato un accenno all’interiorità del Santo Padre. Si è parlato, nel migliore dei casi, di umiltà e di coraggio ma senza inoltrarsi nell’atmosfera dei suoi sentimenti.
Quando a Milano, nell’incontro delle famiglie, la bambina vietnamita gli ha chiesto com’era lui da piccolo, Benedetto ha aperto uno spiraglio nell’abituale velo di riserbo circa la sua persona. Per una volta non ha esposto con la solita nitidezza il panorama così chiaro del suo pensiero teologico ma ci ha fatto entrare nel suo cuore. Abbiamo visto una famiglia cristiana che fin dal sabato si preparava alle letture della Messa del giorno seguente. La sensibilità musicale era elevata (Mozart, Schubert, Haydn) e il piccolo Joseph vedeva aprirsi il cielo ascoltando il Kyrie così ben cantato. Anche in famiglia si cantava e i piccoli segni di affetto procuravano gioia (anzi “cioia” come lui dice amabilmente).
La bontà di Dio si rifletteva nell’amore reciproco. Le camminate nei boschi, le piccole avventure… tutto costituiva un anticipo di Paradiso, infatti «penso di andare a casa andando verso l’altra parte del mondo».
Dolcissimo Joseph. Sembra che il nostro mondo brutale non ti abbia capito, ma non è vero. L’affetto con cui i pellegrini ti hanno salutato negli ultimi giorni di pontificato sta a significare che la gente ti ha compreso. Ora prega per noi come tu sai fare e continuerai ad essere una guida per noi.


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"Ciò che vale non si vede"

Il sociologo Franco Ferrarotti: "È questa la lezione di Benedetto XVI". "C'è nella folla di oggi un estremo bisogno di valori finali e di trascendenza"

“Una folla sterminata, meravigliosa, stranamente festante”. “Non un addio né un arrivederci. Ma una compresenza diversa e profonda”. “Abbiamo assistito a un fatto al tempo stesso straordinario e paradossale anche per la mentalità laica e non credente. Abbiamo assistito allo splendore della sconfitta apparente, la virtù della rinuncia. Un messaggio dirompente”. Sono emozioni a caldo quelle che il sociologo Franco Ferrarotti esprime, “da laico e agnostico”, al Sir subito dopo aver seguito in tv l’ultima udienza di papa Benedetto XVI. Maria Chiara Biagioni lo ha intervistato.

Che impressione le ha fatto oggi piazza San Pietro?

“Una folla sterminata, meravigliosa e stranamente festante visto che tanti potevano attendersi una folla piuttosto mogia. E invece abbiamo visto una folla gioiosa che ha dato uno spettacolo edificante. Una folla numerosa che ha riempito letteralmente piazza San Pietro, e poi tutta via della Conciliazione, le vie laterali di Borgo Pio fino a Castel Sant’Angelo”.

Come si spiega questa partecipazione?

“Tutto il mondo si è reso conto che questo Papa, con la sua decisione, ha dato corpo a un fenomeno di portata storica. Credo anche che non possa lasciare indifferenti. A che cosa abbiamo assistito? Abbiamo assistito a un fatto al tempo stesso straordinario e paradossale anche per la mentalità laica e non credente. Abbiamo assistito allo splendore della sconfitta apparente, la virtù della rinuncia. Un messaggio dirompente per i nostri uomini e le nostre donne di potere: il Papa ha mostrato che cosa è il potere come servizio. Non un potere solitario di colui che comanda, ma un’autorità autorevole che fa crescere. Il potere schiaccia, l’autorità fa crescere. E poi c’è una seconda lezione, ancora più importante”.

Quale?

“La rivalutazione della preghiera. Che oggi sembra estranea persino ai credenti. La preghiera non è solo una richiesta. È un colloquio con Dio ma anche con se stessi. E quindi la preghiera come un richiamo dell’interiorità. Debbo dire che papa Benedetto XVI con la sua natura di professore, di studioso, con il suo bisogno di privacy che è venuto fuori anche da quello che ha detto stamane, richiama all’interiorità: mentre oggi tutto sembra esteriorizzato, ci rivela la preghiera come un momento umile che non si esaurisce nella richiesta del favore a Dio, ai Santi, ai Padroni, ma diventa un dialogo con le realtà trascendenti e con se stessi. Trovo in questo richiamo alla riservatezza, al momento del dialogo con se stessi per poter dialogare con gli altri, una lezione di straordinaria importanza”.

Quale ricaduta ha questo messaggio al mondo di oggi?
“Mi riempie di ammirazione e mi tocca personalmente: più nessuno oggi si vuole dimettere, tutti sono abbarbicati al potere anche quando non hanno nulla da dare e da dire. Si ricerca la visibilità a tutti costi: è straordinario invece che un uomo che è anche vicario di Dio, decida di nascondersi al mondo. Che cosa vuol dire, qual è il messaggio? Che ci sono realtà che non si esauriscono nello spettacolo, che ci sono valori finali e strumentali che non si esauriscono nella chiacchiera o nella presenza. Ci sono delle assenze più importanti di molte presenze”.

Oggi, in piazza San Pietro, abbiamo visto una folla sterminata. Eppure Benedetto XVI è un uomo di studio e lancia messaggi talvolta anche esigenti, difficilmente popolari. Lei che lettura dà invece a questo fenomeno delle piazze che si riempiono per lui?

“C’è nella folla di oggi un estremo bisogno di valori finali e di trascendenza. Questo è un mondo che muore perché è mosso da uno spasimo di successo, che in fondo non risolve alcun problema se non la piccola vanità di anime minime. E la lezione, credo, di questo Papa è che ciò che vale non si vede. I mezzi di comunicazione, seppur meravigliosi, schiacciano sull’immediato e sul presente ed esteriorizzano la capacità introspettiva”.

Dunque anche la folla oggi ha lanciato un messaggio. Quale?

“Una folla meravigliosa che mi ha sorpreso. Mi ha fatto capire che, al di là delle frequenze e dei sacramenti, al di là a dei comportamenti rituali esterni, c’è un enorme bisogno di sacro e di religioso. Viviamo nel paradosso secondo cui proprio nelle società più tecnicizzate, in quelle che si pensano e si autodefiniscono del tutto razionali, in cui si crede che il sacro sia eclissato, proprio queste società sono sensibili al richiamo del sacro. E questa folla lo esprimeva: non macerazione o tristezza. Bensì un nuovo misticismo che è quello di colui che predica sui tetti e si riconosce nell’offrire il proprio sforzo a servizio degli altri, del prossimo”.

Perché la folla era festante? In fin dei conti doveva essere il giorno dell’addio, della nostalgia.

“Perché non è stato un addio o un arrivederci. Ma una compresenza diversa e profonda. Questo Papa ci riporta ai principi fondamentali del cristianesimo che non sono la trattativa commerciale, il successo, la ricchezza materiale. Ma l’apertura alla grande esperienza del Divino nel quotidiano”.

Come vede il futuro della Chiesa?

“Sono certo di un fatto: che il risultato di questo Conclave sarà il risultato migliore che la Chiesa come istituzione, nelle circostanze determinate, potrà dare. Forse in pochi hanno capito che l’elezione del Papa è certamente frutto di una democrazia, ma integrata e compensata dalla conoscenza e dall’esperienza”.

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Il teologo Javier Prades ripercorre il pontificato di Joseph Ratzinger

Coerente dall'inizio alla fine

di Davide Perillo

L'inizio e la fine. Certo, si specchiano già a prima vista. Difficile non vedere nell'umiltà con cui ha rinunciato al Soglio pontificio lo stesso tratto con cui Benedetto XVI si era presentato al popolo di Dio, il 19 aprile di otto anni fa: «Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Ma ora che il lavoro si conclude, ed è tempo di bilanci, si capisce che c'è qualcosa di più nel legame che unisce quei due gesti. «C'è una testimonianza che abbraccia tutto il resto -- dice Javier Prades, 52 anni, teologo e rettore dell'università San Dámaso di Madrid -- in come il cardinale Ratzinger aveva accettato la carica c'era già, in nuce, il cuore di quello che è venuto dopo: la prima iniziativa è di Dio, non nostra. Benedetto XVI lo ha mostrato a tutti con grande chiarezza. È un uomo libero. E lo si è visto bene, in questi anni».

Quali sono stati i tratti salienti di questo Pontificato?

Subito, addirittura a ridosso dell'elezione, nella messa Pro eligendo Pontifice, Ratzinger aveva già disegnato una comprensione profonda del mistero della vita cristiana e dei bisogni della Chiesa. È quello che ha detto dopo, nella prima omelia da Papa: non ripone la sua speranza nei programmi, ma nella volontà di rispettare l'iniziativa del Mistero. La conseguenza è stata una novità di vita che ha portato a creare una realtà inaspettata. Ecco, questa preminenza del Mistero è sicuramente uno degli assi portanti. Ma ce ne sono altri.

Quali?

Per esempio, la strenua difesa della ragione umana.
Si vede bene nell'intervento a Regensburg, dove emerge quell'affermazione paradigmatica: ciò che va contro la ragione va contro la natura di Dio. La rivendicazione dell'ampiezza della ragione è diventata una costante del Pontificato.
Basta pensare anche al discorso non pronunciato alla Sapienza, quando gli impedirono di intervenire, o all'immagine del bunker usata davanti al Bundestag tedesco, nel 2011. E più a monte c'è l'affermazione dei tratti essenziali della fede cristiana, della sua specificità: la risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio nella storia è il riconoscimento di un avvenimento. In questo senso, le prime righe della Deus caritas est, la sua prima enciclica, sono decisive. «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Per Benedetto XVI è il riconoscimento di Cristo che consente di spiegare gli altri elementi: la sovranità di Dio e la dignità dell'uomo. Questo Papa non arriva a Cristo dopo, come derivazione: è partendo da Lui che coglie questa dimensione incondizionata di Dio, non subordinata a niente, come sorgente della dignità dell'uomo. Dio è sempre prima.

Quali sono i momenti nei quali è emersa con più chiarezza questa centralità?

Il Pontificato è ricchissimo di questa consapevolezza. Le esortazioni Sacramentum caritatis e Verbum Domini di fatto sono un canto a Cristo, Verbo incarnato, reso presente agli uomini nell'Eucaristia e nella Parola di Dio. Fino ad arrivare alle catechesi dell'Anno della fede. Ma questo primato, nei suoi testi, è una costante. Questa sensibilità si è espressa anche in certi gesti educativi, le giornate della gioventù per esempio. Sono momenti rivolti al mondo intero, in cui il Papa ha orientato lo sguardo di tutti verso l'essenziale: Cristo.

Man mano è diventato sempre più evidente che parte essenziale del magistero di Benedetto XVI era la sua testimonianza personale. In qualche modo ha mostrato anche con la vita la verità di ciò che indicava nell'insegnamento: il momento della rinuncia, in questo senso, è stato imponente, ma anche occasioni come la Gmg di Madrid, o l'atteggiamento davanti alle vittime della pedofilia. Quanto è stato importante questo aspetto? Quanto il Papa ci ha aiutato a capire che il cristianesimo è anzitutto qualcosa che accade e si conosce per testimonianza?

È decisivo. Nei suoi confronti c'era -- e per tanti versi permane -- un cliché: «È un Papa teologo, un professore». È vero. È un grandissimo teologo e professore, ma lo è in forza della sua capacità testimoniale. È un testimone di Cristo. Nel libro su Gesù di Nazaret ci consegna una sua riflessione essenziale, quasi una sorta di testamento dottrinale. E la inizia dicendo che si sottopone alla libera discussione, perché questo libro non è un gesto magisteriale in senso proprio. Ecco, a mio parere in quel gesto forza testimoniale e contenuto coincidono. Il libro comunica in maniera molto forte il fatto che la fede in Cristo è il punto di partenza e di destinazione dell'intera esistenza, e ne presenta le ragioni per una discussione aperta.

È stato veramente un «umile operaio nella vigna del Signore», quindi.

In Benedetto XVI le parole e i gesti si accompagnano. Anche quando ci sono state fatiche non piccole, o addirittura difficoltà molto gravi, se n'è fatto carico in prima persona. Se da una parte corregge e giudica, offrendone le ragioni, dall'altra accetta il dialogo e le riflessioni che gli vengono proposte.

Quanto ha inciso davvero il magistero di Benedetto XVI sulla Chiesa e sul mondo?

Profondamente, anche se c'è ancora molto da assimilare nella vita della Chiesa.
Questo Papa si è esposto, sia ad intra che ad extra. Dovunque si è messo davanti a tutti, ha ottenuto di fatto l'allargamento della ragione: chi ascoltava e si paragonava, scopriva domande e poteva accogliere le evidenze della ragione e la certezza della fede. C'è ancora una lunga strada per far passare nel tessuto ecclesiale questo atteggiamento. Pensiamo alla sua preoccupazione sulla vera interpretazione del concilio Vaticano II. Benedetto XVI lega l'interpretazione a questa intelligenza profonda della tradizione cristiana, che è sempre in grado di riformarsi nella continuità del soggetto-Chiesa. Anche su questo dovremo riflettere molto.

E fuori dalla Chiesa?

Pensiamo alla visita in Inghilterra. In una società che poteva avere tutti i pregiudizi possibili verso il Papa di Roma, lui riesce a generare un atteggiamento che David Cameron, il premier, ha sintetizzato bene: «Ha sfidato l'intero Paese a sedersi e pensare». E potremmo dire qualcosa di simile anche per le visite in Francia, all'Onu, nella Repubblica Ceca. O per l'impatto delle Gmg.

Lei c'era a Madrid?

Sì, e anche lì ho visto superare uno stereotipo: «È un Papa anziano, che non sa incontrare i giovani». Invece si è visto un Pontefice che ha fatto dei gesti essenziali, centrati tutti sui misteri nucleari della fede: l'Eucaristia, la Croce, l'annuncio di Gesù a tutti, la carità. E che, così facendo, non solo ha trascinato una folla come non si era mai vista a Madrid, ma ha ottenuto dai ragazzi una serietà e una profondità che a volte neanche loro riconoscono a se stessi.

C'è un elemento potente di quei giorni, che ritroviamo in altri momenti o nelle stesse catechesi di quest'Anno della fede: Benedetto XVI valorizza molto l'aspetto affettivo, il desiderio, ma lo fa sottolineandone sempre il legame intrinseco con la ragione, l'unità dell'io. Quanto è stata importante questa «ricentratura»? E come aiuta a sottrarre la fede al terreno del sentimentalismo?

Nelle encicliche affezione e desiderio sono un fattore portante: ragione e libertà sono tenuti come un valore, come un bene. Già nella Deus caritas est Benedetto XVI fa un percorso che parte dalla dinamica dell'eros, e quindi del desiderio affettivo, senza contrapporlo all'agape, alla carità. Sono testi di una ricchezza eccezionale. Ma anche nel messaggio indirizzato al Meeting 2012 c'è una valorizzazione della dinamica del desiderio proprio perché intimamente legato alle domande ultime della ragione. Per questo non è un impeto sentimentale: ha a che fare con la piena intelligenza del reale, e non solo con l'inclinazione o la pulsione.

Accanto al richiamo a «uscire dal bunker» e «allargare la ragione» c'è stata pure un'insistenza continua sulla «gioia e la bellezza» dell'essere cristiani. Una «convenienza umana» totale, insomma. Anche qui, che novità ha portato il suo magistero?

Penso agli incontri con gli artisti. O alle sue parole alla Scala. Ma teniamo solo un esempio che ho visto da vicino: la sua interpretazione della Sagrada Família, a Barcellona. In quell'occasione il Papa ha fatto una catechesi sulla bellezza che indica ancora una volta una sensibilità imprescindibile per il cristianesimo in Europa: nel cammino dell'uomo, Dio emerge come la fonte di questa bellezza, così come lo è del bene e della verità. Il fascino che genera un'attrattiva resta il fattore iniziale della comunicazione della fede.

(©L'Osservatore Romano 4-5 marzo 2013)


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La purificazione deve continuare

di Lucetta Scaraffia

L’addio del Papa ai suoi fedeli è stato una cerimonia non solo commovente, ma anche carica di significato. In questo momento, e nelle ultime decisioni prese personalmente da Benedetto XVI, è emerso molto chiaramente il ruolo e il significato della figura del pontefice.
Il Papa come rappresentante di Cristo, come personificazione di quell’amore che Gesù prova per noi, un amore che deve essere capace di farsi sentire da tutti, che deve saper consolare solitudini e freddezze, confortare dubbi e rafforzare fedi vacillanti, con la sua sola esistenza, con la sua presenza per molti solo mediatica. Un ruolo così pesante da far gelare le vene ai polsi di qualsiasi essere umano, se non fosse confortato dalla certezza che lo Spirito Santo lo assiste e lo ispira.
L’affetto, il dolore per il distacco e la fiducia che spirava dai fedeli che hanno salutato il loro Papa, e che era condiviso da un vasto pubblico a casa, che lo seguiva per televisione, hanno fatto toccare con mano quanto Ratzinger abbia raggiunto questo obiettivo, quanto abbia saputo toccare il cuore dei fedeli e, in parte, anche di chi non si riconosce nella fede cattolica. E il nuovo Papa si dovrà misurare soprattutto con questo compito, ancora più essenziale del grande rispetto intellettuale che Benedetto XVI ha saputo suscitare negli intellettuali di tutto il mondo. Questo gran finale di pontificato ha anche confermato, ancora una volta, l’importanza del “romano pontefice” sulla scena del mondo. La Chiesa cattolica costituisce una felice eccezione rispetto alle altre religioni del mondo anche perché si esprime attraverso una voce unica e chiara, con un viso che le dà un’identità forte. Per questo è così conosciuta da tutti, per questo la sua voce è così ascoltata.
Il fatto che la Chiesa sia riconducibile a un volto e a un nome significa anche che c’è qualcuno che se ne assume tutte le responsabilità: sulle spalle del Papa infatti – e lo abbiamo visto tante volte, soprattutto in questo pontificato – pesa la responsabilità delle cattive azioni e degli errori che i membri della Chiesa commettono.
Il Papa è una sorta di parafulmine, su cui si vengono a scatenare aggressività e colpevolizzazioni.
E il Papa quindi può non solo incassare, ma anche rispondere: sia per chiedere scusa, che per negare la colpa, se questo è possibile. Non c’è credibilità maggiore di quella di un volto umano che, come si usa dire, «ci mette la faccia». E questa faccia può essere solo di una persona, non di un gruppo che fatalmente rivelerebbe modalità differenti nel rispondere alle questioni. È questa una risposta implicita a coloro che, da molti anni, chiedono che il ruolo del Papa venga ridimensionato da un organismo di potere collegiale: la Chiesa infatti non avrebbe più lo stesso impatto sul mondo, non potrebbe più con tanta certezza essere identificata con una linea di pensiero e di decisione.
Proprio pochi giorni fa il Papa ha chiuso la sua indagine sulla corruzione interna alla Curia: la commissione composta dai tre cardinali ultraottantenni ha deposto nelle sue mani il rapporto conclusivo. E Benedetto XVI ha annunciato che sarà nelle mani del prossimo pontefice, perché continui quel lavoro di purificazione della Chiesa da lui avviato con tenacia e convinzione. Questa non è la mossa di un Papa sconfitto dalla corruzione, depresso, come molti hanno scritto: è la scelta di un uomo che ha combattuto e vuole che la battaglia continui, passando le consegne al suo successore. Di un uomo che ha una grande fiducia nella scelta che farà il corpo cardinalizio, nel fatto che, illuminato dallo Spirito Santo, sceglierà un successore in grado di continuare il cammino che egli ha iniziato.
Non è questa l’unica questione urgente che deve affrontare il nuovo Papa: ce ne sono molte, già segnalate da Benedetto XVI, come il raffreddamento della fede, soprattutto nei Paesi europei, e la necessità di rivedere le modalità di insegnamento della tradizione cristiana. Ma in questi giorni una salta agli occhi di tutti, in particolare dei corrispondenti stranieri: la totale assenza di presenze femminili nelle riunioni che precedono il conclave. Le religiose costituiscono i due terzi dei religiosi, e con il loro lavoro tengono in piedi la Chiesa: ci sarà un modo per trovare spazio ai loro pareri e alle loro richieste in questa delicata fase di preparazione?

© Copyright Il Messaggero, 1° marzo 2013


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Domenica senza Angelus In gita a Castel Gandolfo

In piazza San Pietro un gruppo di giovani recita il rosario

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

«Per noi il Papa resterà sempre lui». A piazza San Pietro, Rino e Carla Capodieci sono arrivati da Fabriano con la figlia Gloria e il genero Lorenzo. Hanno in mano la foto scattata con Benedetto XVI durante il viaggio a Loreto e un cartellone: «In conclave, votate Ratzinger». Prima però di approdare alla basilica vaticana hanno voluto far tappa a Castel Gandolfo. «Lui è venuto da noi e adesso abbiamo ricambiato la sua visita». Vuoto, silenzio e attesa sono i sentimenti prevalenti nella prima domenica di sede vacante. Il parroco romano don Franco Cutrone non ha dubbi: «Il cuore della gente batte per Benedetto XVI». Interviene Gianni Borrelli, avvocato 70enne. «Dovevamo capire le sue intenzioni quando depose il proprio pallio sull’urna di Celestino V: al potere ha anteposto la fede perché non si era mai arreso alla logica mondana».Tutto intorno è un interminabile rito a cielo aperto. Recita «no stop» del rosario e Papa-boys in divisa da scout per esprimere fedeltà a Joseph Ratzinger e pregare sotto la finestra chiusa dell’appartamento papale. Dopo la rinuncia al ministero petrino, è stata la prima domenica senza la recita dell’Angelus da parte del Pontefice. In otto anni, per 455 volte, quel momento è stata l’occasione privilegiata per il Papa di accostarsi ai fedeli come maestro di fede solido e comprensibile. Don Giuseppe Blanda, sacerdote siciliano 75enne, definisce «ingiusto contrapporre la rinuncia di Benedetto XVI alla decisione di restare fino alla fine di Giovanni Paolo II». In quanto «Joseph Ratzinger non è sceso dalla croce, ha affidato la Chiesa a Cristo». Finestra chiusa alla Terza Loggia del Palazzo Apostolico. I fedeli in piazza San Pietro non possono fare a meno di alzare lo sguardo verso quelle persiane bianche. E alla messa, nelle chiese di Roma, non hanno pregato per il Papa che è anche il vescovo dell’Urbe e così l’assenza si è avvertita ancora più forte. Un curiale, che da un balcone contempla il via vai lungo via della Conciliazione, esprime a bassa voce una speranza: «Potesse esserci il nuovo Papa già domenica prossima». Intanto anche a Castel Gandolfo dominano preghiera e affetto. Tanti fedeli si sono radunati davanti alla residenza dove il Pontefice emerito si è trasferito temporaneamente prima di ritirarsi nel Monastero «Mater Ecclesiae» in Vaticano, una volta restaurato. Spiega don Pietro Diletti, parroco di Castel Gandolfo: «Purtroppo nelle messe non recitiamo più la formula “per il nostro Papa”, però tutti noi abbiamo pregato per Benedetto XVI». Il Conclave è dietro l’angolo ma l’umore più diffuso tra gli «irriducibili» di Ratzinger è che i cardinali abbiano fretta di chiudere, sia per non dare l’idea di una Chiesa divisa, sia perché ognuno deve tornare nelle rispettive diocesi per i riti di Pasqua. Il Vangelo della domenica ammonisce: «Se l’albero di fichi non darà frutti, verrà tagliato». La «purificazione» non finirà con la fumata bianca.

© Copyright La Stampa, 4 marzo 2013


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