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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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19/03/2009 22:21
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Da "Rinascimento Sacro"...

GIOVEDÌ 19 MARZO 2009

Ma il Popolo di Dio è con il Papa

Una sorprendente lettera di alcuni giovani della parrocchia di Rio Saliceto (RE) commenta con lucida vitalità le parole del Santo Padre sulla remissione della scomunica lefebvriana. «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. " (Mt 11,25)

Subito dopo l’elezione del card. Ratzinger a Papa, si era avvertito malumore tra il “basso” e “l’alto” clero, un gran “mal di pancia”, con annessi e connessi. La scusa immediata consisteva nel fatto che Papa Ratzinger non era carismatico come Giovanni Paolo II oppure che era un tedesco, duro e schematico. La verità era che si temeva mettesse ordine nella Chiesa, dove, lui stesso, nella famosa via Crucis del 2005, aveva affermato che c’era sporcizia.

Di fatto è accaduto che tutti fossero spiazzati dalla sua affabilità quasi timida e dalla forza delle sue parole profonde, vere, ma così semplici che l’umile popolo di Dio avvertiva alla sua portata e per il suo cuore. Lui, il teologo, descritto dai “chierici” come caustico, aveva il dono di essere, nello stesso tempo, alto, profondo e semplice. A dire il vero, si era già capito da tempo e in particolare nei discorsi ai funerali di don Giussani, a quelli di Giovanni Paolo II, e nell’omelia tenuta ai cardinali prima del Conclave che tempra d’uomo fosse e che vescovo teologo e pastore si nascondesse in quella persona.

I teologi, gli esegeti, gli esperti nelle dottrine ecclesiastiche, i liturgisti di mestiere, gli studiosi del Concilio Vaticano II si sono trovati di fronte a uno che la sapeva lunga più di loro, ma che, in più, era innamorato di Cristo e della sua Chiesa e sapeva trasmettere in maniera più autentica ed efficace il calore e la semplicità del Vangelo.

La piazza di S. Pietro, la sala Nervi sempre più affollate, le giornate della gioventù piene della sua inaspettata paternità e di una sapienza che rendeva più giovane il cuore dei giovani facevano ricredere dai preconcetti costruiti ad arte su di lui. Per questo suo impatto simpatetico, per la stima che man mano acquistava anche da parte di tanti laici qualificati e non cattolici, molti, nel mondo cattolico, si sentivano a disagio perché, al fondo, amorevolmente sbugiardati. Così, ogni volta che si poteva trovare un appiglio, una probabile occasione di critica, non avevano remore nel contestargli parole e gesti come inopportuni o non in linea, secondo loro, con il Concilio.

Poi è arrivato il Motu proprio “Summorum Pontificum”: un piatto inaspettatamente provvidenziale. A cominciare dai liturgisti, arroccati nelle loro posizioni progressiste, le uniche, secondo il loro sentenziare, conformi allo spirito del Concilio, fino a eminenti vescovi e cardinali, si sono elevate proteste, dissensi, perfino proibizioni a mettere in atto ciò che il Motu proprio permetteva. Permetteva, non obbligava. Il Papa “tradizionalista” permetteva; i progressisti, autodefinitisi democratici e liberali, proibivano, ostracizzavano. Il Motu proprio veniva tacciato per “Motu improprio”: una grande ilarità clericale! Persino il Battesimo di Magdi Allam da insegnanti di seminario è stato velenosamente dichiarato un atto di violenza.

Non ci restava che togliere la scomunica ai lefebvriani! I suddetti chierici, spesso pauperisti, lassisti su questioni sessuali, democratici e aperti a tutte le religioni, non potevano accettare che il Papa tentasse un cammino di perdono e riconciliazione con una parte di cristiani certo non facili, ma convinti e fin troppo “ortodossi”. Per loro, questi cristiani di serie b sarebbero irrecuperabili, la peste della Chiesa. A tutti: ladri, assassini, bestemmiatori, pedofili, atei, pagani, conviventi, stupratori ecc… assoluto perdono anche se non pentiti. Ai lefebvriani: per sempre chiuse le porte della Chiesa.

Loro, i chierici “d.o.c.”, sono sempre nel giusto, non sbagliano mai, non hanno bisogno di fare esperienze di misericordia, pertanto non la immaginano nemmeno per gli altri. Gli altri hanno sbagliato perché non hanno aderito supinamente alle loro sacre invenzioni, alle tiritere borsose delle loro liturgie o alle loro impostazioni pastorali dove c’è posto per tutto meno che per Cristo e il magistero papale: per questo scomunica eterna. E poi, insomma, dicono sempre costoro: “Dov’è la collegialità? Il Papa non è il Vescovo di Roma? Faccia il Vescovo a Roma. Se vuol parlare pubblicamente deve assoggettarsi al parere degli altri vescovi, altrimenti dove sono la democrazia e la collegialità?”

Ha proprio ragione il card. Ruini: è andata persa la coscienza dell’appartenenza alla Chiesa Cattolica. La diocesi è la Chiesa Cattolica in un territorio. Parlare di diocesanità senza partire da questa coscienza è un ridicolo e rischioso inganno, come ci testimonia il protestantesimo.

Noi siamo obbedienti ai vescovi perché siamo obbedienti al Papa. Ma se loro non obbediscono al Papa e non sono in comunione con lui, si scordino che noi obbediamo a loro!

***

Quia mitis sum et humilis corde

In quel tempo Gesù disse: « Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Mt 11, 25-30


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Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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