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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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25/09/2009 21:17
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VENERDÌ 25 SETTEMBRE 2009

CASTRILLON: QUELLA DI ARBORELIUS E' UNA "CALUNNIA"

di Francesco Colafemmina

Come volevasi dimostrare il Cardinal Castrillon si rivela un vero Cardinale, ossia un uomo che (a differenza di altri omuncoli) veste color porpora per ricordare il sangue che egli è disposto a versare per la Chiesa di Cristo. Oltretutto il Cardinale non è uno sprovveduto e nonostante l'età (80 anni) è uomo esperto di software e computer (magari non così tanto da mandare emails ai giornalisti...).
Castrillon afferma al Suddeutsche Zeitung in una lunga intervista la sua posizione. Quella di Anders Arborelius la bolla - come riporta anche la Wiener Zeitung il cui originale trovate a questo link - come una "calunnia". E aggiunge: "Mi dispiace ma questa dichiarazione è molto dubbia, perché è sbagliato (...) noi archiviamo tutti i documenti che abbiamo ricevuto in forma digitale. Il Vescovo Arborelius dovrebbe dire, come, chi e quando ha comunicato questa informativa, e se ciò è accaduto per via scritta o orale".
Come già detto sarà opportuno cercare i responsabili nell'ufficio preposto alle relazioni con i Nunzi Apostolici: Prima Sezione per gli Affari Generali della Segreteria di Stato! In quale cassetto di quell'ufficio si è smarrito il report sull'affaire Williamson inviato da Arborelius?
Aggiunge poi Castrillon sulle sue relazioni con Benedetto XVI: "Abbiamo sempre lavorato gomito a gomito. Il papa è un teologo eccellente, un campione della fede, un amico che ha sempre fiducia in me". Leggere anche questa intervista pubblicata da Pontifex.

L'intervista a Castrillon non è disponibile integralmente sul sito on line della rivista. Grazie ad un amico lettore siamo riusciti a fornire la traduzione della maggiorparte dell'intervista che in sostanza chiarisce la posizione che la Chiesa di Cristo deve avere in merito alla questione.

In un'intervista al Süddeutsche Zeitung il Cardinal Castrillon Hoyos prende posizione:

SZ: Lei ha affermato di non essere a conoscenza dell'intervista di Williamson. Cosa avrebbe fatto il Papa se lo avesse saputo?

Hoyos: Non vorrei accampare ipotesi riguardo a quello che il Papa avrebbe potuto fare. Mi riferisco solo a ciò che egli sapeva, al momento in cui la revoca della scomunica è stata resa pubblica. In quel momento nessuno di noi conosceva minimamente le affermazioni di Williamson. Nessuno di noi! E nessuno aveva il dovere di conoscerle!

SZ: lei non ne sapeva nulla neanche nel 2009?

Castrillón: Sapevo soltanto che la SVT lo aveva intervistato in occasione dell'ordinazione di un diacono. Ed ho appreso solo il 5 febbraio ciò che egli vi aveva affermato. La Nunziatura mi ha gato l'informazione in una busta sigillata.

Sz: Adesso il Vescovo di Stoccolma A,nders Arborelius, afferma di aver informato la Nunziatura di Stoccolma sin dal Novembre 2008.

Castrillón: Deploro molto questa affermazione inaffidabile (in tedesco: inseriös) poichè è falsa. E' una calunnia (ted.: Verleumdung) diffondere questo tipo di informazioni. Noi salviamo tutti i documenti in formato digitale. Il Vescovo Arborelius avrebbe dovuto dire come, a chi e quando egli ha fornito l'informativa e se l'ha passata in forma scritta o orale.

(Ecco il testo originale: SZ: Jetzt behauptet der Stockholmer Bischof Anders Arborelius, er habe shon im November 2008 die Stockholmer Nuntiatur über Williamsons Holocaust-Leugnung informiert.
Hoyos: Ich bedauere diese unseriöse Äußerung sehr, denn sie ist falsh. Diese Information zu verbreiten, ist eine Verleumdung. Wir speichern alle Dokumente, die wir bekommen, in digitaler Form. Bischof Arborelius sollte also sagen, wie, wem, und wann er das mitgeteilt hat, und ob das schriftlich oder mündlich geschah.)

SZ: Il Magazin Der Spiegel ha riportato l'intervista di Williamson nel 2008. Nessuno l'ha letta in Vaticano?

Castrillón: E' possibile che il dipartimento Tedesco della Segreteria di Stato conoscesse questo report. Ma io no.

SZ: Padre Fellay, il Generale della FSSPX, potrebbe aver già saputo il contenuto dell'intervista a Williamson, se dobbiamo credere alla lettera che egli inviò alla SVT il 21 Gennaio, per prevenirne la trasmissione.

Castrillón: Non ne so nulla.

SZ: Williamson, dice di averlo conosciuto durante un pranzo?

Castrillón: In quel tempo ero appena divenuto Presidente di Ecclesia Dei. E lì ho osservato in piena estate un gruppo di persone in abito talare, perciò ho chiesto al mio segretario chi fossero. Lui mi ha detto che erano Lefebvriani. Così li ho invitati a pranzo.

SZ: Che inpressione le hanno fatto?

Castrillón: L'impressione che sono brava gente, ma talvolta un po' troppo fissata sull'idea che tutto il male del mondo ha la sua fonte nella riforma del Concilio. Così cercai di rilassare l'atmosfera e scherzai dicendo che se avessi voluto scegliere una lingua per la Messa avrei preferito l'Aramaico, la lingua di Cristo, dal momento che non sapevo chi avesse avuto la cattiva idea di cambiare la lingua del Signore con quella dei Suoi persecutori. Loro la trovarono una pessima battuta. Dopo questo incontro è arrivato il dialogo con Giovanni Paolo II e poi un altro dialogo ad Agosto del 2005 con Papa Benedetto.

SZ: Ci può fare una descrizione di Richard Williamson?

Castrillón: E' un uomo onesto, in qualche modo eccentrico. Non sciocco, ma ossessivo e testardo.

SZ: Un uomo onesto?

Castrillón: Lui dice quello che pensa. Williamson mi sembra non uno di quelli che vogliono ingannarti. Piuttosto è una persona disinibita che mantiene posizioni estremiste: ma con una semplice ed onesta convinzione.

SZ: Lei condivide le posizioni della FSSPX?

Hoyos: La FSSPX pensa che loro stiano difendendo la verità sulla tradizione sacra e che non possono essere scomunicati per questo. Ciò può essere compreso, sebbene non condivida tali opinioni. Quanto a questo è indiscutibile che loro abbiano spezzato una legge fondamentale della Chiesa.

SZ: Lei si è mai domandato se le vostre decisioni potevano avere delle conseguenze politiche?

Hoyos: La scomunica di quattro vescovi non è un atto politico. E' un atto di misericordia. E' quindi un problema pastorale e teologico, non una interferenza della Chiesa nella sfera politica. Perciò non mi preoccupo. Il mio lavoro non è quello di giudicare un mio fratello vescovo. Questo è il compito della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per la Dottrina della Fede.

SZ: Ma la Chiesa cattolica ha una sua opinione su antisemitismo ed olocausto.

Hoyos: Il rigetto da parte della Chiesa di ogni violenza ingiusta subita dal Popolo Ebraico è piuttosto chiara. Tale tippo di genocidio razziale è un crimine immorale contro l'umanità.

SZ: Perchè allora non ha bloccato la revoca della scomunica ad un negatore dell'Olocausto?

Hoyos: Williamson è stato scomunicato per la sua ordinazione episcopale illegittima non per le sue teorie, giudizi o affermazioni sull'Olocausto. Guardare i problemi in un altro senso è un tipico errore tedesco!

SZ: Il Cardinal Re si è sentito ingannato da lei.

Castrillón: Per quanto ne so, non ha mai detto ciò. Ma so bene che ha detto qualche incauta parola su di me alla stampa. Perciò gli ho scritto una lettera nella quale gli ho detto che se qualcuno avesse saputo anticipatamente dell'intervista sull'Olocausto di Williamson, sarebbe dovuto essere soltanto lui.
Lui ha lavorato per molti anni in Segreteria di Stato. Oggi è a capo della Congregazione per i Vescovi. E' suo compito monitorare i Vescovi.

SZ: Questo scandalo ha mutato le sue relazioni con il Papa?

Castrillón: Si, in meglio! Noi abbiamo lavorato gomito a gomito, non solo perchè lui è il Vicario di Cristo, ma anche perchè è un teologo di prima classe, un difensore della Fede, e ha sempre fiducia in me. Ciò non è mutato.

SZ: Si è sentito urtato dai media?

Castrillón: Ho avuto una notevole esperienza con i media ed ora ho ci ho fatto il callo. Non ho mai chiesto rettifiche, perchè è inutile. La verità troverà da sola la sua strada. E l'unica verità è quella che le ho appena detto.

PUBBLICATO DA FRANCESCO COLAFEMMINA A 0.47


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Da "Pontifex.roma.it"...
I lefebvriani non sono scismatici

Lefebvre sbagliò, ma fu uomo di chiesa, mai dimenticare le cose buone. Giusta la revoca della scomunica ai vescovi tradizionalisti, criticata fuori e dentro la Chiesa. Meglio la comunione in ginocchio

Venerdì 25 Settembre 2009 00:00

“ Lo dico con franchezza: i Lefebvriani non sono affatto scismatici”: affermazione del Cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, Presidente Emerito della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Il porporato precisa: “ quando faccio questa affermazione non mi riferisco ai Vescovi che vennero ordinati senza l’autorizzazione del Papa. Quello fu un fatto in violazione delle regole canoniche e dunque meritevole della scomunica. Ma quando invece affermo che i tradizionalisti e i lefebvriani non sono scismatici,mi riferisco alle centinaia di fedeli tradizionalisti amanti della Chiesa tradizionale, al quella Chiesa legati e che nella dottrina sono in piena comunione. Ecco la ragione per cui affermo che i lefebvriani non si possono definire tutti scismatici, un errore di generalizzazione”.

Dai Lefebvriani alla figura,controversa di Monsignor Marcel Lefebvre. Che giudizio ne da?

“Egli fu un grande uomo di chiesa e negarlo sarebbe sbagliato e certamente antistorico, contro la verità. Indubbiamente, commise un grave atto di disubbidienza contro il Papa che gli costò una necessaria scomunica e commise un errore anche grave. Ma,per essere intellettualmente onesti, bisogna saper riconoscere che accanto a quell’errore Lefebvre ebbe e nutrì un grande amore per la Chiesa cattolica e compì cose buone delle quali bisogna tener conto. In sostanza, dico, senza timore di smentita, che Lefebvre fu un buon cattolico la cui vita va studiata,approfondita e in certi lati anche rivalutata”.

Eminenza,pensa che prima o poi si arriverà alla piena comunione tra Roma e i lefebvriani?

“Io penso e sono convinto di sì. Certamente non sarà un cammino facile, ma le parti sono bene intenzionate e marciano sulla via giusta. In fondo, i Lefrebvriani non sono così tanto lontani dalle verità del cattolicesimo e noi dobbiamo cercare quello che ci unisce, sia pur nella diversità”.

Capitolo della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Ha suscitato un vespaio di polemiche, lei era consenziente?

“Certo. Il Papa ha fatto non bene,ma molto bene. Spesso sul tema ho sentito cose assurde. Bene, la revoca non era un atto di indirizzo teologico,ma solo un rimedio di diritto canonico, una misura di misericordia e di perdono e come tale andava visto. Ma non è stato compreso nella sua entità. In sostanza il Papa ha eliminato tecnicamente la causa della scomunica,ma non ha operato alcuna scelta teologica. Questo ha dato fastidio ad ambienti ostili fuori ed anche,duole dirlo, dentro la chiesa”.

Dunque lei pensa che la revoca della scomunica sia stata giusta?

“Sì,lo è stata”.

Veniamo al altro tema. Quale pensa che sia la posizione più conveniente per amministrare il sacramento della comunione?

“Le due posizioni prevalenti sono quella in piedi e quella in ginocchio. Entrambe valide. Ma le due hanno bisogno senza ombra di dubbio, di un momento di compunzione, di sapere chi realmente vado a ricevere. Anche in quella in piedi è necessario un momento di adorazione e di meditazione. Io penso,ma la mia è una opinione personale, che la forma che meglio corrisponda alla sacralità della comunione, al senso di stupore e adorazione,sia quella in ginocchio”.

Abusi liturgici, ritiene che sia bene celebrare ad oriente?

“La mia idea è che mentre la liturgia della Parola possa essere proclamata di faccia ai fedeli, non sarebbe male, recitare parti della messa verso oriente, ossia verso Cristo. In tal modo i fedeli e non la parola assemblea, guarderebbe non al sacerdote,che mai è protagonista,ma a Cristo”.

Come fare per abolire nei limiti del possibile gli abusi liturgici?

“La sua è una domanda troppo facile, ma anche troppo difficile. Penso che i sacerdoti la debbano finire di svolgere il compito di protagonisti e capire che la liturgia non è proprietà loro,ma della Chiesa. Spiacevolmente, e dopo certe interpretazioni del post concilio, si è avuta la sensazione di sacerdoti che credono di essere dei presentatori televisivi e neppure di buon livello”.

Bruno Volpe


[Modificato da Paparatzifan 25/09/2009 21:29]
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Da Zenit.org

LA VERA INTERVISTA DEL CARDINALE CASTRILLÓN SUL CASO WILLIAMSON

Non negò mai la veridicità delle dichiarazioni del Vescovo di Stoccolma

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 2 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La traduzione e l'adattamento di un'intervista concessa a un quotidiano tedesco dal Cardinale Darío Castrillón Hoyos sul caso del Vescovo negazionista Richard Williamson, membro della Fraternità San Pio X, hanno provocato interpretazioni contraddittorie da parte dei mezzi di comunicazione di tutto il mondo.
Secondo quanto riferito a ZENIT dallo stesso Cardinale Castrillón, che fino a poco tempo fa era presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, egli non ha mai rilasciato alcune dichiarazioni riportate dagli organi informativi dopo aver letto e mal interpretato l'intervista pubblicata dal Sueddeutsche Zeitung il 25 settembre.
Alcuni giornali, ad esempio, hanno affermato che il porporato contraddiceva il Vescovo cattolico di Stoccolma, monsignor Anders Arborelius, O.C.D., che in un comunicato e in un'intervista aveva rivelato di aver informato la Santa Sede sulle posizioni negazioniste di Williamson.
Il Cardinale Castrillón non ha mai negato questi fatti durante l'intervista, segnalando semplicemente di non aver ricevuto questa segnalazione, che era passata per altri canali.
L'ex presidente di "Ecclesia Dei" ed ex prefetto della Congregazione per il Clero ha condiviso con ZENIT il testo originale della trascrizione dell'intervista in spagnolo, in cui rivela dettagli sull'impegno portato avanti dal Papa nel cercare di promuovere la comunione nella Chiesa, evitando le polemiche.
Il porporato conferma che Papa Giovanni Paolo II ha convocato nel 2001 un concistoro in cui “tutti i Cardinali presenti hanno accettato il processo per l'entrata in comunione con i lefebvriani”.
“Nella presentazione del concistoro, basandosi su una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è detto che i fratelli scomunicati non avevano un carattere eretico o scismatico. Erano il prodotto di un'azione scismatica. Quanto al rapporto con il Concilio Vaticano II, sono state espresse le difficoltà relative al testo di alcuni documenti e soprattutto per alcune interpretazioni del Concilio. Le difficoltà maggiori si riferivano al decreto sulla libertà religiosa e l'ecumenismo”, ha spiegato.
“E' poi arrivato un momento in cui, per avanzare nel processo, i lefebvriani hanno posto due condizioni: la prima, che si riconoscesse a tutti i sacerdoti del mondo il diritto di celebrare la Messa nel rito di San Pio V; la seconda, che si sollevasse la scomunica. Erano condizioni per accedere a dialoghi successivi, soprattutto di carattere dottrinale”.
“Con il parere affemativo dei Cardinali in un concistoro, il Papa ha deciso di sollevare la scomunica a questi Vescovi per un'unica ragione fondamentale: un atto di carità per consolidare l'unione della Chiesa. Qualunque altra cosa si dica è un errore che contraddice la verità!”, ha dichiarato.
Per questo, il Cardinale osserva che alla Commissione "Ecclesia Dei" non spettava il giudizio sulle posizioni negazioniste di Williamson. “Il mio lavoro non era giudicare un fratello Vescovo; questo è un compito della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa deve decidere se qualcuno sta affermando cose che non sono conformi alla fede cattolica per come è interpretata dalla Chiesa”.
In questo senso, sottolinea, non ci sono dubbi sulla posizione della Chiesa nei confronti dell'antisemitismo o dell'Olocausto: “Il rifiuto da parte della Chiesa della violenza sommamente ingiusta alla quale fu sottoposto il popolo ebraico è assolutamente chiaro. E questo rifiuto si basa senza dubbio su un aspetto morale. L'atroce genocidio razzista è un attentato immorale contro l'umanità”.

L'intervista originale può essere letta all'indirizzo: www.zenit.org/article-32673?l=spanish


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LEFEBVRIANI: FELLAY, D'ACCORDO COL PAPA SU CONTINUITA'

di Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 12 ott.

Da parte della Santa Sede ''la realta' della crisi e' ammessa, ma non i rimedi.
Noi diciamo, e lo si prova con i fatti, che la soluzione della crisi e' un ritorno al passato. Benedetto XVI dice la stessa cosa''.
Lo afferma il superiore generale della Fraternita' San Pio X, mons. Bernard Fellay, in un'intervista rilasciata a ''Roodepoort Sudafrica'' alla vigilia dell'inizio del dialogo che, nelle intenzioni di Papa Ratzinger, dovrebbe riportare i lefebvriani nella piena comunione della Chiesa Cattolica, dopo la revoca della scomunica decisa lo scorso gennaio.
''Benedetto XVI - riconosce mons. Fellay - sottolinea l'importanza di non tagliare con il passato, l'ermeneutica della continuita', ma intende mantenere le novita' del Concilio, considerando che non sono una rottura con il passato. Secondo lui sono nell'errore e nella rottura con il passato solo quelli che vanno oltre il Concilio''.
Secondo il superiore dei lefebvriani, ''questa e' una questione delle piu' delicate''. ''La Fraternita' San Pio X - ricorda il vescovo - seguendo il suo fondatore mons. Lefebvre, ha obiezioni serie sul Concilio Vaticano II. E ci auguriamo - aggiunge - che le discussioni permetteranno di dissipare gli errori o le gravi ambiguita' che da allora sono state diffuse a piene mani nella Chiesa Cattolica, come lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto''.
''Non ho idea - dice mons. Fellay - del tempo che prenderanno queste discussioni. Questo certamente dipendera' anche dalle aspettative di Roma. Esse possono prendere un tempo alquanto lungo. E questo, perche' i temi sono vasti. Le nostre principali obiezioni sul Concilio, come la liberta' religiosa, l'ecumenismo, la collegialita', sono ben noti.
Ma - elenca il capo dei lefebvriani - altre obiezioni potrebbero essere poste, come l'influenza della filosofia moderna, le novita' liturgiche, lo spirito del mondo e la sua influenza sul pensiero moderno che imperversa nella Chiesa''.
Secondo il presule tradizionalista, infatti, ''la crisi che colpisce la Chiesa tocca tutti gli aspetti della vita cristiana: uscire da questa situazione - prevede - richiedera' piu' di una generazione di impegni costanti nella giusta direzione. Forse un secolo''.
Quanto alle polemiche seguite alla revoca della scomunica ai presuli illecitamente consacrati da Lefebvre, causate delle dichiarazioni negazioniste di uno di loro, mons. Richard Williamson, che hanno provocato una sorta di cortocircuito, costringendo il Pontefice a scrivere una lettera di chiarimento ai vescovi di tutto il mondo, Fellay osserva che ''l'autorita' del Papa e' davvero stata scossa dal tumulto di inizio anno''. E questo, rileva, ''non puo' essere considerato come un fatto positivo se non per l'effetto opposto che cio' dovrebbe generare a Roma, e che permette di capire chi ama la Chiesa e lavora per la sua edificazione e chi no''.
In ogni caso per Fellay la revoca delle scomuniche e la riforma della Commissione Ecclesia Dei in vista dell'avvio dei colloqui volute da Benedetto XVI ''sono davvero decisioni sue proprie''. ''C'e' un modo vero - conclude il capo dei lefebvriani - per comprendere la collegialita': Paolo VI ha aggiunto una 'Nota praevia' per il documento sulla Chiesa, 'Lumen Gentium', in modo che la collegialita; fosse capita bene. Il problema e' che questa nota e' come dimenticata''.

© Copyright (AGI)


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Da "Messainlatino.it"...

Intervista a mons. Fellay sugli incipienti colloqui dottrinali

Dal sito ufficiale della Fraternità San Pio X, DICI, questa intervista a mons. Fellay rilasciata a Roodepoort, Sudafrica, tradotta a nostra cura. 

- Con la revoca del decreto di scomunica, inizieranno le discussioni dottrinali tra Roma e la Fraternità S. Pio X. Qual è lo scopo di queste discussioni?

L'obiettivo che si cerca di raggiungere con queste discussioni dottrinali è un importante chiarimento nell'insegnamento della Chiesa negli ultimi anni. In effetti, la Fraternità San Pio X, seguendo il suo fondatore Mons. Lefebvre, ha obiezioni serie sul Concilio Vaticano II. E ci auguriamo che le discussioni permetteranno di dissipare gli errori o le gravi ambiguità che da allora sono state diffuse a piene mani nella Chiesa cattolica, come lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto.

- Quanto tempo queste discussioni dureranno? Quali saranno i punti principali che saranno trattati e come lo saranno?

Non ho idea del tempo che prenderanno queste discussioni. Questo certamente dipenderà anche dalle aspettative di Roma. Esse possono prendere un tempo alquanto lungo.
E questo, perché i temi sono vasti. Le nostre principali obiezioni sul Concilio, come la libertà religiosa, l’ecumenismo, la collegialità, sono ben noti. Ma altre obiezioni potrebbero essere poste, come l'influenza della filosofia moderna, le novità liturgiche, lo spirito del mondo e la sua influenza sul pensiero moderno che imperversa nella Chiesa.

- Le due crociate del rosario hanno dato i loro frutti. Con riferimento al Motu Proprio del luglio 2007, quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti dei sacerdoti che ora celebrano la Messa tradizionale, anche se non esclusivamente perché dicono pur sempre la Messa nuova?

Fondamentalmente, ogni volta che un prete vuole tornare alla Messa di sempre, abbiamo il dovere di avvicinarlo con un atteggiamento positivo; dovremmo gioirne e sperare che la Messa produca da sé i suoi frutti. Si vede già che questo avviene la maggior parte delle volte. Ci sono anche, naturalmente, dei sacerdoti che rimarranno indifferenti al rito antico. Il tempo ci mostrerà chi è serio in questo campo e chi non lo è

- Quali consigli può dare ai fedeli riguardanti questi sacerdoti? Quale dovrebbe essere l'approccio dei laici nei loro confronti?

I fedeli devono restare molto prudenti e non mettersi in situazioni troppo imbarazzanti. Devono consultare i nostri preti prima di rivolgersi a questi sacerdoti. Le circostanze sono così diverse: ogni sacerdote è diverso, e fino a quando non è chiaro che il ravvicinamento del sacerdote verso la Messa è autentico, i fedeli dovrebbero rimanere ben disposti, ma mantenendo un atteggiamento cauto.

- A sua conoscenza, c’è ora un più gran numero di preti che celebrano esclusivamente la Messa di sempre?

È difficile dare una risposta esatta, perché non c'è nessun rapporto ufficiale in proposito e perché molti di coloro che vorrebbero celebrare la Messa antica non osano. C’è in molti paesi una forte pressione dalla gerarchia per evitare questo ritorno. Molti preti devono dirla in segreto a causa di questa paura. Ritengo tuttavia che questo numero crescente rimanga ancora modesto.

-La crisi della Chiesa è una crisi di fede. Ci vorrà tempo perché tutti i sacerdoti dicano esclusivamente ‘l’antica’ Messa. È corretto dire che, se anche se attraverso le discussioni dottrinali Roma tornasse alla pienezza della verità, ci sarebbe sempre una grande opposizione sulla Messa e sul Vaticano II?

Occorre restare realisti. Il ritorno, la restaurazione della Chiesa richiederà tempo. La crisi che colpisce la Chiesa tocca tutti gli aspetti della vita cristiana. Uscire da questa situazione richiederà più di una generazione di impegni costanti nella giusta direzione. Forse un secolo. E questo significa che ci si deve attendere dell'opposizione. Ma speriamo che il peggio sia passato e che i segni di guarigione che si intravvedono oggi siano germi di realtà e non solo un sogno...

- La collegialità è un disastro per la Chiesa. Non si può vedere nonostante tutto una lieve "crepa nel muro della collegialità" con il motu proprio del Papa Benedetto XVI e più recentemente con la revoca del decreto di scomunica?

Infatti, queste decisioni sono davvero sue proprie. C'è un modo vero per comprendere la collegialità; Paolo VI ha aggiunto una "Nota praevia" per il documento sulla Chiesa, Lumen Gentium, in modo che la collegialità fosse capita bene. Il problema è che questa nota è come dimenticata. L'idea generale che si è diffusa e che pretende di ridurre sensibilmente il potere del Sommo Pontefice è un pericolo reale per la Chiesa e renderebbe impossibile il governo. Pertanto, i diversi atti presi "motu proprio" dal Papa sono buoni segnali di una volontà di governare personalmente e non collegialmente la Chiesa.

- Ci sono state molte reazioni - per o contro – le decisioni del Papa, a tal punto che è stato costretto a scrivere una lettera di spiegazione per i Vescovi. E’ un fatto positivo che il Papa si sia trovato come "spalle al muro", per così dire?

In realtà dipende sul punto di vista. L'autorità del Papa è davvero stata scossa dal tumulto di inizio anno. Non può essere considerato come un fatto positivo se non per l’effetto opposto che ciò dovrebbe generare a Roma, e che permette di capire chi ama la Chiesa e lavora per la sua edificazione e chi no.

- Per la prima volta da quarant'anni vediamo l’autorità suprema della Chiesa rendersi conto che ci sono problemi d’ordine teologico, dottrinale. Il Papa non si rende conto che la "Chiesa conciliare" (per citare il cardinale-Benelli) e le sue riforme sono condannate e che è necessario un ritorno alla tradizione?

Non sono ancora sicuro che tutti considerino le discussioni dottrinali in tale modo. Direi che per la maggior parte della gerarchia, queste discussioni sono necessarie, non per la Chiesa, ma per noi e il nostro "ritorno alla piena comunione", in modo che si adottino le novità. In effetti, ho l'impressione che ci troviamo di fronte ad una situazione molto delicata. La realtà della crisi è ammessa, ma non i rimedi. Noi diciamo, e lo si prova con i fatti, che la soluzione della crisi è un ritorno al passato. Benedetto XVI dice la stessa cosa: sottolinea l'importanza di non tagliare con il passato (ermeneutica della continuità), ma intende mantenere le novità del Concilio, considerando che non sono una rottura con il passato. Secondo lui sono nell’errore e nella rottura con il passato solo quelli che vanno oltre il Concilio. Questa è una questione delle più delicate.

- La posizione del Papa sull’ecumenismo non ha l’aria di essere così entusiasta come quella del suo predecessore. Questo è dovuto al fatto che vede l’ecumenismo sotto un aspetto più teologico, opposto all’"ut unum sint" dalle conseguenze così disastrose per la Chiesa?

Non credo che il Papa ritenga l’ecumenismo come un male. Egli ha caro il fatto che la Chiesa continui in questa direzione e ha persino affermato che era irreversibile... ma mi sembra voler far bene la differenza tra le diverse confessioni e favorire quelli più vicini come gli ortodossi anziché i protestanti.

- Quest'anno stiamo celebrando i 25 anni della presenza della Fraternità in Africa e più precisamente al Priorato N.S. dei Dolori a Johannesburg. Quali consigli o incoraggiamenti può dare ai nostri parrocchiani a a tutti i fedeli del distretto d’Africa?

Grazie a Dio per questo giubileo meraviglioso. In questi giorni di crisi, 25 anni è un grande risultato per il quale occorre rendere grazie. Ciò dimostra anche una grande fedeltà da parte dei fedeli. La fedeltà è una vera gloria. Essa implica ad un tempo la preservazione della fede e la fermezza, la perseveranza nella battaglia. Quindi, il migliore augurio che possa indirizzare loro - e a noi tutti anche - sarebbe ch’essi siano più che mai fedeli.

dal blog Messainlatino.it


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LEFEBVRIANI: MONS. DE GALARRETA GUIDERA' COLLOQUI CON VATICANO

(ASCA) - Roma, 15 ott

In una nota, la lefebvriana Fraternita' Sacerdotale San Pio X conferma l'inizio dei colloqui dottrinali, il 26 ottobre prossimo, annunciato oggi dal portavoce vaticano, p. Federico Lombardi. ''I lavori - si legge nel testo - cominceranno nella seconda meta' di ottobre e richiederanno la discrezione necessaria a uno scambio sereno sulle questioni dottrinali che presentano difficolta'''.
Il superiore dei lefebvriani, mons. Bernard Fellay, ha nominato come rappresentanti della fraternita' sacerdotale San Pio X mons.
Alfonso de Galarreta, direttore del Seminario Nuestra Senora Corredentora de La Reja (Argentina), don Benoit de Jorna, direttore del Seminario San Pio X di Econe (Svizzera), don Jean-Michel Gleize, professore di ecclesiologia al seminario di Econe e don Patrick de La Rocque, priore del Priorato San Luigi di Nantes (Francia).
Mons. de Galarreta era gia' presidente della commissione che, all'interno della Fraternita', era incaricata alla preparazione di questi colloqui dal mese di aprile 2009.

© Copyright Asca


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Il progetto dei lefebvriani: diventare come l’Opus Dei

di Andrea Tornielli

Roma
È un appunto di lavoro di poche pagine quello che è stato predisposto per l’inizio dei colloqui fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X fondata da Lefebvre. Un appunto che elenca alcuni dei temi considerati più controversi dai lefebvriani – la collegialità episcopale, la libertà religiosa, l’ecumenismo e il rapporto con le religioni non cristiane – proponendo un’interpretazione dei testi del Concilio Vaticano II alla luce della tradizione, secondo quella che Benedetto XVI ha definito «l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità».
Una lettura di tutt’altro segno rispetto a quell’«ermeneutica della discontinuità», che secondo il Papa ha avuto la meglio nei mass media e in parte della teologia moderna, e che presenta il Vaticano II come un evento di totale rottura con il passato affermando la necessità di spingersi oltre gli stessi documenti conciliari in nome dello «spirito del Concilio».
Il primo incontro tra le due delegazioni avverrà la mattina di lunedì 26 ottobre nel palazzo del Sant’Uffizio. Vi prenderanno parte, per la Santa Sede, monsignor Guido Pozzo, segretario della commissione «Ecclesia Dei»; il segretario della Congregazione per la dottrina della fede, l’arcivescovo Luis Ladaria Ferrer; padre Charles Morerod, segretario della Commissione teologica internazionale, uno degli autori del libro «Vatican II. Renewal with Tradition»; Fernando Ocariz, vicario generale dell’Opus Dei e il gesuita Karl Josef Becker. La delegazione della Fraternità, che ha ottenuto il permesso di celebrare la messa antica in Vaticano prima dell’inizio dei lavori, sarà guidata dal vescovo Alfonso de Gallareta, direttore del seminario dell’Argentina.
Due erano le condizioni previe che la Fraternità aveva posto al Vaticano: la liberalizzazione del messale preconciliare e la revoca della scomunica per i quattro vescovi consacrati illecitamente. Benedetto XVI, con grande magnanimità, ha acconsentito ad entrambe le richieste. Ora si entra nel vivo del confronto.
«Nessuno vuole tornare indietro o cancellare il Concilio – spiegano al Giornale autorevoli fonti vaticane –.
Si tratta invece di leggerlo e interpretarlo correttamente, come è già stato fatto nel Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel 1992».
Il percorso non sarà breve. I lefebvriani, comunità piccola ma diffusa in vari Paesi, puntano a ottenere dal Vaticano lo status di «prelatura personale», fino ad oggi riconosciuto soltanto all’Opus Dei.

© Copyright Il Giornale, 17 ottobre 2009


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LEFEBVRIANI: MONS.FELLAY, PROBABILE SOLUZIONE 'PRELATURA PERSONALE'

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 22 ott

C'e' ''molto di certo'' nelle voci che prevedono una soluzione 'stile Opus Dei', con la creazione di una Prelatura Personale, per la lefebvriana Fraternita' Sacerdotale San Pio X, al termine dei colloqui dottrinali con la Santa Sede che inizieranno lunedi' in Vaticano.
A dirlo, in un'intervista al quotidiano cileno El Mercurio dello scorso 18 ottobre, e' il superiore della Fraternita', mons. Bernard Fellay. ''Credo che il Vaticano si stia indirizzando verso questa soluzione canonica'', afferma il vescovo tradizionalista.
Fellay nega anche che la sua comunita' sia mai stata in condizione di ''scisma'' con la Chiesa di Roma: ''Ci sono lotte, cosi' come un certo rifiuto di una parte della Chiesa, ma questo non significa separazione. Non c'e' mai stata una dichiarazione di scisma da parte della Chiesa nei nostri confronti. Si parlo' per un certo periodo della scomunica dei vescovi, pero' mai di una separazione''. Quanto al caso Williamson - il vescovo lefebvriano che ha negato l'Olocausto in una intervista tv - per mons. Fellay si e' trattato di un ''attacco molto ben pianificato non contro la Fraternita', ma direttamente contro la persona di papa Benedetto XVI, per macchiare la sua gestione''.
''Ma - conclude il prelato lefebvriano - il papa e' molto piu' aperto di alcuni vescovi della Chiesa cattolica''.

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Da "Messainlatino.it"...

Fellay: credo che la Fraternità sarà una prelatura personale

Intervista rilasciata da mons. Fellay il 18 ottobre al periodico cileno El Mercurio

-Quale eredità ha ricevuto la Sua congregazione da parte della Chiesa cattolica?

Abbiamo ricevuto tutto ciò che è cattolico. E per questo noi vogliamo rimanere fedeli alla Chiesa del nostro battesimo.

-Secondo lei, che cosa più vi unisce alla Chiesa cattolica?

Abbiamo tutto ciò che è necessario per essere membri della Chiesa cattolica. Prima di tutto, la fede, che abbiamo ricevuto dalla Chiesa e vogliamo mantenere fino alla morte, perché senza fede è impossibile esser graditi a Dio. La seconda, la grazia, la preghiera e la liturgia che ci vengono dalla Chiesa, come molto ben espresso dal Papa nel Motu Proprio quando afferma che l'antico rituale della massa non è mai stato abolito. E, infine, anche se potrebbe sembrare contraddittorio, lo stesso Papa e la gerarchia della Chiesa. Il capo della Chiesa, il Vicario di Cristo è l'autorità che riconosciamo.

-Questo significa che tra i tradizionalisti e la Chiesa va tutto bene?

No. Ci sono problemi, ma questi problemi non significano che abbiamo perso tale relazione di sottomissione all'autorità del S. Padre.

-Si può dire che avete vissuto separati dalla Chiesa?

Mai. Ci sono lotte, come un certo rifiuto di una parte della Chiesa, ma ciò non significa separazione. Non vi è mai stato una dichiarazione di scisma della Chiesa verso di noi. Si è parlato per un certo tempo della dei vescovi, ma mai di una separazione.

-E' necessario questo tipo di separazione?

Il problema non è nostro. Noi, come gruppo, siamo come il sintomo di un problema all'interno della Chiesa. C'è una separazione reale, sebbene non definitiva, tra quelli che noi chiamiamo «progressisti» e i «conservatori». Noi siamo una specie di termometro della situazione, che rivela che esiste un problema serio nella Chiesa. Lo stesso Papa attuale, Benedetto XVI, ha condannato l'opinione che il Concilio Vaticano II e la riforma che ne è seguita costituiscano una rottura con il passato, e che la Chiesa ha dovuto cambiare".

-Molto si è speculato che la fraternità S. Pio X potrebbe essere elevata a prelatura personale come l'Opus dei. Che cosa c'è di certo in tutto questo?

C'è molto di certo. Credo che il Vaticano stia camminando verso tale soluzione canonica.

- Il vescovo Williamson ha escluso alcuni mesi fa, in un'intervista con una tv svedese, la possibilità che sei milioni di ebrei siano morti per mano dei nazisti durante la seconda guerra mondiale e stimato al massimo "tra 200.000 e 300.000 morti nei campi di concentramento, ma nessuno in camere a gas". Che cosa pensa di tutti questo?

Penso che questo è stato un attacco molto ben pianificato, non contro la Fraternità, ma direttamente contro la persona di Papa Benedetto XVI, per offuscare la sua gestione.
Il Papa Benedetto XVI è molto più aperto di alcuni Vescovi della Chiesa cattolica.


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Anglicani e lefebvriani verso Roma

PRIMO PIANO

Di Marco Bertoncini

Entra nel vivo la strategia di Benedetto XVI, favorevole all'accoglienza degli scismatici

Gli scogli da superare sono molti ma il Vaticano non dispera

Gli anglicani, dunque, sia pure in numero limitato, ritornano a Roma, come si è appreso dall'annuncio ufficiale dell'imminente e specifica costituzione apostolica, che regolerà le complesse e innovative norme per immettere nell'alveo cattolico non più singoli fedeli, bensì interi gruppi.
E i tradizionalisti cattolici, i seguaci di mons. Lefebvre raccolti nella Fraternità s. Pio X? Il loro turno forse sta per venire. Certo, si avviano passi concreti, e in parte proprio l'accoglienza riservata agli anglicani dissidenti fa pensare che vi siano più possibilità di prima, per il papa, di sanare lo scisma. Infatti lunedì prossimo s'inizieranno i colloqui fra le due delegazioni della S. Sede e della Fraternità.
Fra i rappresentanti vaticani figurano il segretario della commissione Ecclesia Dei (una struttura creata per recuperare i tradizionalisti, da poche settimane passata sotto l'egida della congregazione per la Dottrina della fede), mons. Guido Pozzo, e il gesuita mons. Luis Ladaria Ferrer, segretario della stessa congregazione. Personaggi dunque di primo piano nell'organigramma d'Oltretevere, che saranno affiancati da autorevoli consultori della medesima congregazione.
Da parte dei lefebvriani, il capo delegazione sarà uno dei quattro vescovi ordinati dal defunto Lefebvre, mons. Alfonso de Galarreta. I punti caldi saranno la libertà religiosa, l'ecumenismo, la collegialità, il rinnova-mento liturgico e l'influsso della filosofia moderna e in generale del mondo con-temporaneo sulla Chiesa. Argomenti d'indubbia difficoltà, viste le posizioni fino-ra assunte dalla Fraternità; ma nella S. Sede non si dispera.
Certo, i passi già compiuti dall'odierno pontefice qualcosa significano: la revoca della scomunica ai quattro vescovi scismatici e le disposizioni contenute nel motu proprio Summorum Pontificum (che ha liberalizzato il messale romano del 1962, sostanzialmente quello di s. Pio V) sono la massima apertura concepibile da parte di un papa.
Difficilmente un altro pontefice avrebbe agito come Benedetto XVI, con tanta palese disponibilità verso gli scismatici: certo né Paolo VI né lo stesso Giovanni Paolo II mai avrebbero mostrato tanta benevolenza.
Quindi i lefebvriani hanno questa grande occasione.
Perché i gesti compiuti verso gli anglicani che intendono passare al cattolicesimo possono giovare alla causa dei tradizionalisti? Perché non avrebbe molto senso accogliere degli scismatici di mezzo millennio addietro e respingere scismatici di tre decenni fa.
Perché sarebbe contraddittorio accogliere gruppi di acattolici, serbandone i peculiari riti e tradizioni, e respingere cattolici legati a riti, liturgie, tradizioni, che per secoli sono stati propri dell'intera Chiesa cattolica. Perché la strada seguita concretamente per accogliere gli anglicani può essere ripercorsa nel caso dei tradizionalisti; anzi, vi potrebbero essere consistenti diversità a vantaggio di questi ultimi. Sembra infatti di capire (non si dispone della nuova costituzione apostolica, che sarà resa pubblica fra un paio di settimane; in compenso, come si diceva all'inizio, l'annuncio è stato dato, in una conferenza stampa che si dovrebbe definire grottesca, posto che si è illustrato un documento ancora non emanato e non diffuso) che, in deroga delle norme canoniche, saranno istituite parrocchie e altresì diocesi personali riservate agli ex anglicani, con propri seminari e propri pastori, anche di clero uxorato, cioè sposato.
Nel caso dei lefebvriani, invece, la proposta sarebbe più consistente: una «prelatura personale», come l'Opus Dei, per intenderci, quindi una struttura che giornalisticamente potremmo definire planetaria, autonoma, centralizzata.
La soluzione era già stata prospettata; se ne è arrivati a un'applicazione parzia-le, molto parziale, con l'istituzione di una «amministrazione apostolica personale» (un unicum di cui non si trova cenno nell'intero codice di diritto canonico) all'interno della diocesi brasiliana di Campos, per raggrupparvi i fedeli che se-guirono il locale vescovo mons. Antonio de Castro Meyer, figura poco conosciuta rispetto a mons. Lefebvre, ma anch'egli esponente del tradizionalismo cattolico.
I colloqui saranno lunghi, difficili, spesso al limite della rottura. Una cosa è certa: se quest'occasione sarà persa, lo scisma non verrà ricucito per chissà quanti anni (o decenni?) ancora.

© Copyright Italia Oggi, 23 ottobre 2009


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Da "La Naciòn"...

Entrevista exclusiva / Habla monseñor Bernard Fellay

Los lefebvristas, más cerca del Papa

Pasado mañana retomarán el diálogo en el Vaticano, interrumpido por el escándalo del obispo Williamson

Silvina Premat
LA NACION

Pasado mañana, cinco días después de difundirse que los anglicanos podrían volver al seno de la Iglesia Católica, los lefebvristas retomarán en Roma el diálogo que podrían concluir con igual final y que fue interrumpido en enero tras el escándalo provocado por la destitución de uno de ellos, Richard Williamson, que negó el Holocausto.

Ayer, el sucesor de Marcel Lefebvre en la conducción del grupo de católicos que produjo el gran cisma del siglo XX, monseñor Bernard Fellay, dijo que la entrevista a Williamson fue un "episodio infeliz" que se usó "con intención maligna" para atacar al Papa y a la Fraternidad San Pío X, que reúne a los lefebvristas.

De paso por el país, Fellay, uno de los cuatro obispos a los que el Papa levantó la excomunión junto con Williamson, dialogó en exclusiva con LA NACION. En perfecto castellano, denunció peleas internas en el Vaticano y dijo que Williamson, que dirigió durante cinco años el seminario que tienen en La Reja, provincia de Buenos Aires, ahora está retirado en Londres donde estudia y reza.

-¿ Cuánto tiempo estiman que durará el diálogo con el Vaticano?
-Es difícil decir... En el Vaticano hablan de un año, por lo menos.
Entonces, significa un largo tiempo.

-¿ El resultado de este proceso puede llegar a ser la integración definitiva de la Fraternidad a la Iglesia?
-Hay que distinguir la discusión de temas doctrinales de lo que usted llama integración. Son dos cosas paralelas. Sin embargo, en el Vaticano mismo dicen que esta integración no se dará antes de la aclaración de los puntos doctrinales que para nosotros son muy importantes porque hay hoy mucha confusión. Para mantener la unidad de la Iglesia, se necesita esta clarificación.

-En estos días que estuvo en Salta, ¿usted dijo que ciertos sectores progresistas de la Iglesia estarían impidiendo el acercamiento de la Fraternidad a la Santa Sede?
-Así es. Un ejemplo es que el presidente de la Conferencia Episcopal alemana dijo a un grupo de diputados que antes del fin de este año la Fraternidad estará de nuevo fuera de la Iglesia. Esto manifiesta muy claramente una intención más que hostil. Nuestro problema es un poco complicado porque hay peleas en el Vaticano. Entonces, ¿cuál es nuestro interlocutor? ¿Los progresistas y conservadores, o sólo uno de ellos? Es muy difícil de saber porque no es claro... En la Iglesia intentan mantener cierta unidad a pesar de estas divisiones.

-¿Y el Papa qué hace ante esto?
-Está más o menos en el medio. Quiere ser el papa de todos. Es muy difícil.

- Ustedes denunciaron que la difusión de la entrevista a Williamson, en la fecha en que se comunicó el levantamiento de la excomunión de los cuatro obispos lefebvristas, fue manipulada también por esos sectores.
-Sí; también en el Vaticano circuló un estudio que mostraba la posibilidad muy grande de una instrumentalización abusiva del caso. Solamente el hecho de que se difundiera a mediados de enero una entrevista que se había hecho a principios de noviembre ya es muy raro. Además, esa entrevista fue usada antes de ser difundida masivamente para impedirnos el uso de varios templos en Suecia. Se la mostraron a los que administran esos templos. Esto significa que había una intención maligna.

-¿Quién está detrás de esta instrumentalización?
-Están, por cierto, los progresistas, también la izquierda política y probablemente los masones. Usaron este episodio para golpearnos a nosotros y mucho más al Papa mismo. Esto es lo trágico de la historia. Ven un papa que poco a poco intenta hacer correcciones a algunas reformas, y no les gusta. Por eso, usaron este episodio infeliz como un bastón de oro para golpear a la Iglesia.

-En ese momento, usted aclaró que la posición de Williamson era personal. ¿Cuál es su situación ahora?
-La posición de monseñor Williamson es personal. Jamás fue para nosotros un problema este tema. El ahora está retirado, en uno de nuestros prioratos de Londres, donde reza y estudia.


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Domani...

... iniziano i colloqui con i lefevbriani...

IL SIGNORE ILLUMINI I CUORI E LE MENTI DI TUTTE LE PARTI CHE PRENDERANNO PARTE A QUESTI COLLOQUI...


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Dallo scisma alla remissione della scomunica

Il rifiuto del Concilio, la nascita della Fraternità «San Pio X», l’ordinazione di sacerdoti e nel 1988 di quattro vescovi da parte di Lefebvre.

Storia di una frattura dolorosa e dell’inesausta volontà della Chiesa di ricomporre l’unità nella verità

DI GIACOMO GAMBASSI

Un «invito alla riconciliazio ne con un gruppo ecclesia le implicato in un processo di separazione» che ha 491 sacer doti, 215 seminaristi, 88 scuole e mi gliaia di fedeli.
Lo scorso marzo Be nedetto XVI spiegava così, nella sua lettera di chiarimento, il «gesto di misericordia» del 21 gennaio 2009 verso i quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Marcel- François Lefebvre il 30 giugno 1988 senza il mandato della Santa Sede.
A di stanza di ventuno anni papa Rat zinger – che da prefetto della Con gregazione per la dottrina della fe de aveva compiuto risoluti tentati­vi di riconciliazione prima che si consumasse lo scisma – ha rimosso la scomunica in cui erano incorsi i pastori e il fondatore del movimen to tradizionalista che, secondo il Pa pa, hanno congelato «l’autorità ma gisteriale della Chiesa al 1962».

Quei «no» al Vaticano II.
Proprio dal l’anno di apertura del Concilio Vati cano II occorre partire per comprendere l’impostazione lefebvria na. All’assise conciliare il presule che era stato arcivescovo di Dakar, in Se negal e vescovo di Tulle, in Francia, partecipa come superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo. Ha 57 anni ed è vescovo dal 1947. Durante i lavori assume un at teggiamento critico sulla libertà re­ligiosa, la collegialità episcopale, l’e cumenismo e la riforma liturgica che diventerà un vessillo del movimen to. Questioni che, per l’arcivescovo francese, sono introdotte nella Chie sa da un «Colpo da maestro di Sata na », stando al titolo del volume pub blicato in Italia nel 1978.
La costante a cui si richiama è la tra dizione secondo una nozione che, però, è «incompleta perché non tie ne sufficientemente conto del suo carattere vivo» e «contraddittoria» in quanto «si oppone al magistero u niversale della Chiesa», scrive Gio vanni Paolo II nel motu proprio «Ec clesia Dei» del 1988 all’indomani del le ordinazioni episcopali illegittime.

«Senza il consenso di Roma».
La scelta di «ricorrere alla integrità fe conda di quel Missale Romanum di san Pio V» (secondo le parole del «Breve esame critico del 'Novus Or do Missae'» presentato nel 1969 a Paolo VI) spinge Lefebvre a dare vi ta nel 1970 alla «Fraternità sacerdo tale internazionale San Pio X» a Fri burgo. L’anno successivo benedice la prima pietra della casa di forma zione di Ecône, in Svizzera. L’impo stazione del seminario provoca il ri tiro del riconoscimento canonico e l’ordine di chiusura che Lefebvre di sattende insieme al divieto di ordi nare sacerdoti. E nel 1976 viene so speso a divinis.
Negli anni non vengono mai meno gli sforzi per assicurare la piena co munione con la Chiesa alla Frater nità.
Snodo di questo percorso è il protocollo firmato il 5 maggio 1988 dall’allora cardinale Joseph Ratzin ger e dall’arcivescovo francese che, però, già il giorno successivo lo stes so Lefebvre sconfessa quando, con una lettera, annuncia che il 30 giu gno avrebbe provveduto a una con sacrazione episcopale «anche sen za il consenso di Roma». E così av viene.

«Ecclesia Dei», riparte il dialogo.
Il cammino non si interrompe con la scomunica e con la morte di Lefeb vre nel 1991. Proprio papa Wojtyla i stituisce nel 1988 la Pontificia Com missione «Ecclesia Dei» per favorire il dialogo con sacerdoti, seminaristi e religiosi legati a Lefebvre. E il 28 di cembre 2008 uno dei quattro vesco vi ordinati venti anni prima, Bernard Fellay, scrive al presidente della Commissione, il cardinale Dario Ca strillón Hoyos, per indicare la loro «volontà di rimanere cattolici» no nostante i problemi dottrinali anco ra aperti.
Il mese successivo il pre fetto della Congregazione per i ve scovi, il cardinale Giovanni Battista Re, firma il decreto di remissione del la scomunica come «segno per arri vare a togliere lo scandalo della di visione».

© Copyright Avvenire, 25 ottobre 2009


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Dialogo con i lefebvriani, al via i colloqui dottrinali

DI GIANNI CARDINALE

Vent’anni dopo ricominciano i colloqui dottrinali tra Santa Sede e comunità le febvriana.
Nel 1988 non ebbero un e sito felice, questa volta c’è la forte speranza da ambo le parti che i risultati possano essere po sitivi.
Domattina, nell’austero palazzo del Sant’Uffi zio, dove ha sede la Pontificia Commissione Ec clesia Dei, si incontreranno le due delegazioni. Da parte vaticana ci saranno l’arcivescovo Luis Francisco Ladaria, gesuita, segretario della Con gregazione per la dottrina della fede (Cdf), il pa dre Karl I. Becker, anche lui gesuita, professore emerito della Gregoriana, padre Charles More rod, domenicano, rettore dell’Angelicum e se gretario della Pontificia Commissione teologi ca internazionale, monsignor Fernando Oca riz, vicario generale dell’Opus Dei. Tutti e tre questi ecclesiastici sono consultori della Cdf, e sono noti per non avere preclusioni 'ideologi che' nei confronti della controparte, anche se coscienti della complessità dei problemi che verranno trattati.
Da parte della Fraternità sa cerdotale di san Pio X ci saranno invece il ve scovo Alfonso de Galarreta, direttore del semi nario argentino della Fraternità e i sacerdoti Pa trick de La Rocque, Jean-Michel Gleize e Benoit de Jorna.
Quest’ultimo è autore di alcuni scrit ti dai toni piuttosto accesi, ma questo non do vrebbe essere un problema se un certo estre mismo sarà circoscritto al linguaggio e non ai contenuti. Comunque la presenza di Galarreta dovrebbe, almeno nelle intenzioni, essere ga ranzia di equilibrio e misura.
I sei partecipanti al dialogo saranno moderati da monsignor Gui do Pozzo, segretario di Ecclesia Dei.
I temi dei colloqui, come annunciato dallo stes so Benedetto XVI nella lettera del 10 marzo scor so in cui ne aveva preannunciato l’inizio, sono «di natura essenzialmente dottrinale e riguar dano soprattutto l’accettazione del Concilio Va ticano II e del magistero post-conciliare dei Pa pi». In discussione quindi non c’è l’ultimo Con cilio.
E in questo senso hanno suscitato una buo na impressione le recenti dichiarazioni del su periore dei lefebvriani, il vescovo Bernard Fel lay, per il quale le «serie obiezioni» della Frater nità sono «circa» e quindi non «sul» Concilio in sé.
Il dialogo quindi potrà esserci solo sull’in terpretazione autentica del Concilio e di alcuni suoi documenti in particolare, come quelli riguardanti la collegialità episcopale, la libertà re ligiosa, l’ecumenismo e i rapporti con le altre re ligioni.
A questo riguardo hanno suscitato una impressione meno positiva le dichiarazioni di Fellay, che sembravano auspicare un allarga mento dei temi di dialogo a questioni inerenti, ad esempio, «l’influenza della filosofia moder na » nella Chiesa del post-Concilio.
Temi inte ressanti che però non dovrebbero costituire di per sé oggetto di discussione dirimente per l’ac coglimento dei lefebvriani e che rischiano di al lungare indefinitamente i tempi dei colloqui.
In sostanza si tratterà di vedere se la Frater nità fondata da monsignor Marcel Lefebvre è disposta ad accettare il Concilio Vaticano II al la luce di tre principi. Innanzitutto nel segno dell’ « ermeneutica della continuità » e non di «rottura» con la tradizione come affermato da Benedetto XVI nel celebre discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi del 2005.
Det to questo per la Santa Sede è imprescindibile il fatto che il deposito della fede sia conside rato «un tutto», nella sua integrità e organicità, e che non è possibile estrapolarvi arbitraria mente dottrine gradite a scapito di altre che non piacciono. In questo caso il testo di riferi mento sarà il Catechismo della Chiesa catto lica. Questo secondo principio sarà forse quel lo su cui potrebbero registrarsi le maggiori dif ficoltà, poiché in campo lefebvriano si tende a volte a non dare il giusto peso ai diversi gra di di importanza dei pronunciamenti magi steriali (ad esempio la dottrina dello 'stato cat tolico', ancorché teoricamente legittima, non può essere invocata come l’unica vincolante per la Chiesa...).
Terzo principio che guiderà i colloqui sarà quello di discutere della lettera au tentica del Concilio e non delle di scutibili interpretazioni, anche nel caso godessero di un certo seguito all’interno della Chiesa cattolica.
Come si noterà di materia da discu tere ce n’è in abbondanza. E per non allungare troppo i tempi si prevede che le discussioni proseguiranno a scadenze ravvicinate. Quanti mesi occorreranno è ancora presto per dirlo. E comunque alla fine le con clusioni dovranno essere sottopo ste alle istanze superiori ( Congre gazione per la dottrina della fede e Papa per la Santa Sede, Fellay e Ca pitolo della Fraternità per i lefeb vriani). Solo dopo potrà essere cer tificata la piena comunione. Le mo dalità canoniche con cui questo po trà avvenire (prelatura personale o altro) è un’altra storia.

© Copyright Avvenire, 25 ottobre 2009


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LEFEBVRIANI: LOMBARDI, CLIMA FIDUCIOSO, SI VA AVANTI SPEDITI

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 26 ott.

Il primo incontro ufficiale tra la Santa Sede e la Fraternita' Sacerdotale San Pio X si e' svolto "in un clima cordiale, rispettoso e costruttivo si sono evidenziate le maggiori questioni di carattere dottrinale che saranno trattate e discusse nel corso dei colloqui che proseguiranno nei prossimi mesi probabilmente a scadenza bimensile".
Lo afferma una nota della Sala Stampa della Santa Sede, presentata ai giornalisti dal portavoce Federico Lombardi che ha sottolineato come i tre aggettivi che descrivono il clima di oggi diano il senso di un "atteggiamento fiducioso" e la scadenza quindicinale fissata per gli incontri quello di una volonta' di procedere speditamente.
Il terzo elemento contenuto nella nota di oggi e sottolineato da padre Lombardi riguarda l'identificazione dei temi: "in particolare - recita il comunicato - si esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI, all'interpretazione del Concilio Vaticano II in continuita' con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell'unita' della Chiesa e dei principi cattolici dell'ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della liberta' religiosa".
Un dettaglio significativo rivelato da padre Lombardi e' che i quattro esponenti della Fraternita' San Pio X, che sono guidati dal vescovo mons. de Gallareta, sono giunti in Vaticano ieri sera e hanno potuto risiedere questa notte nella Casa Santa Marta, la residenza per ecclesiastici che ospito' lo stesso Ratzinger e gli altri cardinali in occasioen del Conclave del 2005.
Padre Lombardi non ha nemmeno escluso che i lefebvriani abbiano potuto anche celebrarvi secondo il vecchio rito, peraltro liberalizzato da Benedetto XVI con il motu proprio "Summorum Pontificum".
Significativo, per padre Lombardi, e' stato anche il luogo dell'incontro di oggi, durato 3 ore: l'edificio dell'ex Sant'Uffizio, dove Ratzinger ha lavorato ogni giorno per piu' di venti anni.
Oggi e' sede non solo della Congregazione per la Dottrina della Fede ma anche della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, che coordina il dialogo avviato oggi, che il comunicato identifica come una "Commissione di studio, formata da esperti della medesima Commissione e della Fraternita' Sacerdotale S. Pio X, allo scopo di esaminare le difficolta' dottrinali che ancora sussistono tra la Fraternita' e la Sede Apostolica".
Lombardi ha ricordato in proposito che la delegazione vaticana e' guidata a sua volta da un vescovo, mons. Luis F. Ladaria il gesuita nominato l'anno scorso segretario della Congregazione della Dottrina della Fede e che alla Gregoriana ha formato intere generazioni di teologi. "Finalmente - ha tenuto a rilevare il portavoce vaticano - c'e' stata l'identificazione dei grandi temi dottrinali e la novita' e' che finalmente si e' cominciato a discutere da persone competenti e rappresentative delle due parti". Siamo dunque, ha osservato, "a una fase nuova, aperta dalla decisione di Benedetto XVI di togliere la scomunica" che ha consentito l'odierno "senso di fiducia che ha accompagnato l'incontro e le prostettive che esso puo' aprire".

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Dal blog di Andrea Tornielli:

Partenza positiva per il dialogo tra lefebvriani e Santa Sede

Cari amici, sul Giornale di oggi pubblico una beve nota dedicata al primo incontro tra la delegazione vaticana e quella della Fraternità San Pio X, che si è svolto ieri mattina (dalle 9.30 alle 12.30) nel palazzo del Sant’Uffizio e si è concluso con un pranzo in comune.
L’incontro, informa la Sala Stampa della Santa Sede, è stato cordiale: si è preso in esame un testo di lavoro, che la Commissione Ecclesia Dei aveva già da settimane inviato ai lefebvriani; si è deciso come proseguire, fissando incontri a scadenza bimestrale: il prossimo si terrà dopo Natale, ma nel frattempo le due delegazioni continueranno a lavorare e a scambiarsi opinioni e pareri attraverso l’email. L’intenzione è di arrivare al prossimo appuntamento con già qualche punto concordato. Questi i temi da affrontare, dei quali si è cominciato a discutere ieri: “le questioni relative al concetto di Tradizione, al messale di Paolo VI, all’interpretazione del Concilio Vaticano II in continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell’unità della Chiesa e dei principi cattolici dell’ecumenismo, del rapporto tra il Cristianesimo e le religioni non cristiane e della libertà religiosa”. I lefebvriani sostengono che in alcuni passaggi dei documenti Conciliari rappresentano una rottura con la tradizione cattolica; i componenti della delegazione vaticana, guidati dal segretario di Ecclesia Dei, monsignor Guido Pozzo, sostengono invece che tutti i testi del Vaticano II vadano letti e interpretati alla luce della tradizione, secono quella che Benedetto XVI ha definito ermeneutica della riforma della continuità. Esiste un esempio concreto dell’applicazione di questa ermeneutica: è il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992 da Giovanni Paolo II e redatto sotto la direzione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. L’inizio del dialogo è stato positivo e tutto fa sperare che possa continuare bene.

blog.ilgiornale.it/tornielli/2009/10/27/partenza-positiva-per-il-dialogo-tra-lefebvriani-e-san...


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LEFEBVRIANI: LOMBARDI, PROSSIMA RIUNIONE SOLO A GENNAIO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 26 ott.

''Nel comunicato della Commissione Ecclesia Dei di oggi si diceva che i colloqui proseguiranno a scadenza probabilmente a scadenza bimensile', invece bisogna leggere 'probabilmente a scadenza bimestrale', cioe' circa ogni due mesi''.
Lo precisa il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. ''In particolare - aggiunge - la prossima riunione e' prevedibile nel mese di gennaio, dopo l'avvento e il periodo natalizio''.


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Mons. Fellay parla nuovamente. E ipotizza soluzioni giuridiche

Mons. Fellay, dopo aver rilasciato un'intervista in Cile e un'altra in Argentina, ha pensato questa volta al Brasile. Domenica 25 ottobre, trovandosi a San Paolo del Brasile per l'inaugurazione di una cappella della Fraternità, ha avuto questo scambio sugli aspetti canonistici della sperata riconciliazione (ns. traduz. dal portoghese):

- I giornalisti spesso chiedono quale sarà la forma preferita dalla fraternità: Amministrazione apostolica come Campos, una Prelatura personale come l'Opus dei o un ordinariato personale come gli anglicani?
Il Vaticano ha detto molto chiaramente che non farà nessuna erezione canonica della FSSPX prima dei colloqui dottrinali. Siccome non c'è niente di ufficiale e niente di noto, non posso dire nulla. L'unica cosa che posso dire è che Roma vuole stabilire per noi qualcosa di utile per la Fraternità.

- Si dice che la Santa sede potrebbe riconoscere pubblicamente facoltà per tutti i sacramenti celebrati dalla FSSPX. Eccellenza, ritiene che ciò possa avvenire in tempi brevi?
Non ne ho idea. Semplicemente non si sa.

- E un'ultima questione è se la Fraternità accetterebbe temporaneamente una struttura canonica provvisoria nel corso della discussione dottrinale.
C'è questa idea, ma è un problema all'interno della Chiesa. Ci sono molti, molti vescovi che davvero ci odiano. Nemici della FSSPX, davvero. E farebbero tutto il possibile per distruggerci. E questo accordo temporaneo non risolverebbe il problema dei sacerdoti e dei fedeli. I vescovi porrebbero immensi ostacoli e sarebbe un caos. Quindi una soluzione canonica deve essere definitiva. Potrebbero essere fatte solo piccole cose. Ad esempio, riconoscere i sacramenti della Fraternità, cose di questo genere.

Fonte: Veritatis splendor


L'interesse di questa intervista è che mons. Fellay abborda gli aspetti giuridici di una futura, auspicata riconciliazione. Sappiamo che il problema si porrà solo una volta definite le divergenze dottrinali; ma siamo ottimisti e pensiamo già al dopo. Anche perché l'aspetto dei diritti e dei doveri di una Fraternità riconciliata attira, riconosciamolo, più interesse di complesse disquisizioni teologiche.

Inevitabilmente la Fraternità, dal giorno del suo rientro, non godrà più di una indipendenza assoluta. Anche nei confronti dei vescovi diocesani. O meglio: se è pur vero (e lo vedremo) che sono possibili soluzioni canoniche che le consentano di operare liberamente senza l’impiccio malevolente dei vescovi, è anche vero che insorgeranno obblighi, se non altro di bon ton, che al momento non la astringono. Ora, se la Fraternità vuole aprire una cappella, un priorato, un seminario, non chiede niente a nessuno. Domani, per quanto libera sarà la situazione canonica, almeno una visita di cortesia al vescovo del luogo dovrà farla. E si sa come funzionano queste cose in una struttura come la Chiesa: il vescovo si lamenta, il nunzio interviene, il cardinale raccomanda e chiede il favore...
 
Ma vediamo dunque quale potrebbe essere la soluzione canonica adottabile. Il termine "ordinariato", di recente proposto agli anglicani, di per sé non vuol dire molto, a parte il richiamo agli ordinariati castrensi (ossia militari), che peraltro hanno regole proprie, spesso concordatarie; l'elemento comune è che si tratta di giurisdizione determinata su base personale e non territoriale. Ma il codice di diritto canonico non prevede quell'istituto (infatti è disciplinato, per quanto concerne i militari, da una costituzione apostolica extracodicistica, la Spirituali militum cura di Giovanni Paolo II), sicché volendo restare nel diritto comune non restano che le figure di cui ora si dirà.

Nei giornali si fa gran parlare di una Prelatura personale e si osserva come al momento ne esista una soltanto, quella dell’Opus Dei (che, si aggiunge pure, m non vediamo su quali basi, vedrebbe di cattivo occhio la perdita dell’uso esclusivo di questo strumento giuridico). Chi ha maggior dimestichezza col diritto canonico menziona invece la figura dell’amministrazione apostolica come più adatta al caso, anche in forza di un precedente (i tradizionalisti della diocesi di Campos, in Brasile, eretti in Amministrazione apostolica S. Giovanni Vianney, con vescovo proprio: sicché nella stessa diocesi v’è il vescovo ‘territoriale’ come dappertutto e l’altro vescovo tradizionalista, con proprio clero, parrocchie e fedeli di rito tridentino) e del fatto che, anni addietro, mons. Fellay fece riferimento a tale soluzione, propostagli da Roma, dicendo che sarebbe stata una "Rolls Royce" ma che nondimeno non poteva accettarsi finché fossero rimasti i problemi dottrinali di fondo.

Vediamo allora, nel sistema del diritto canonico, come funzionano i due istituti.

Il can 368 c.j.c. equipara la "amministrazione apostolica eretta stabilmente" alle altre chiese particolari, che sono le diocesi (innanzitutto), le prelature ed abbazie territoriali, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica.

Il can. 371 § 2 c.j.c. così definisce l'istituto: "L'amministrazione apostolica è una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice".

Il can. 372 c.j.c., dopo aver al primo par. stabilito che "di regola" la chiesa particolare deve avere una circoscrizione territoriale, aggiunge al § 2: "Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della chiesa, sentite le Conferenze episcopali interessate (auditis Episcoporum conferentiis quarum interest), l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi".

L’Amministrazione apostolica territoriale, quindi, non è altro che una diocesi con un altro nome (e, magari, con alla guida un presule non ordinato vescovo): vi si ricorre allorché difficoltà politiche sconsigliano la creazione di una vera diocesi, oppure in caso di assenza di strutture o di un numero congruo di fedeli, ecc. Ma quel che interessa è invece quanto previsto al secondo paragrafo del can. 372, ossia l’Amministrazione apostolica creata su base personale che dà origine, sullo stesso territorio, a chiese particolari distinte per ragioni di rito o similari (può ben rientrare tra queste "ragioni similari" l’uso esclusivo della forma straordinaria del rito romano). L’istituto giuridico consente dunque la creazione di strutture parallele sullo stesso territorio, qualcosa che si avvicina non poco alla coesistenza di differenti "chiese sorelle" pur dipendenti egualmente dal Papa (come si verifica laddove la chiesa latina convive con quelle cattoliche-orientali: le quale non sono Amministrazioni apostoliche bensì strutture sui iuris aventi un livello ancor maggiore di indipendenza, tanto da non soggiacere nemmeno al codice di diritto canonico dei latini bensì all’apposito codice per le chiese orientali).

Le Prelature personali sono invece definite così dal canone 294 c.j.c.: "Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse ragioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le conferenze dei Vescovi interessate (auditis quarum interest Episcoporum conferentiis)"

Il can. 295 c.j. prevede che la prelatura personale è retta da un Prelato come ordinario proprio, il quale ha diritto di erigere "nationale vel internationale seminarium necnon alumnos incardinare".


Il can. 297 poi statuisce: "Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui chiese particolari la prelatura esercita o intende esercitare, praevio consensu Episcopi diocesani, le sue opere pastorali o missionarie".

Ecco qui, tutto l’inghippo (il diavolo è nei cavilli, si sa): in quelle quattro parole del canone 297: per esercitare le sue opere pastorali o missionarie, la prelatura necessita del "previo consenso del vescovo diocesano". Il che basta, e avanza, ad escludere in radice l’utilizzabilità dello strumento per la Fraternità S. Pio X, che come noto è vista come una brutta malattia infettiva da un buon numero di vescovi all over the world.

La Prelatura personale, in altri termini, consente la massima indipendenza dai vescovi diocesani per quanto concerne l’organizzazione interna (ossia per i rapporti tra i chierici che ne fanno parte). Ma quando vuole assumere iniziative esterne di apostolato, deve passare per le forche caudine episcopali. Un po’ come gli Ordini monastici (di diritto pontificio): possono aprire case e conventi, ma per l’esercizio pubblico del culto devono pur sempre avere il placet dell’Ordinario.

Non solo: la Prelatura comprende solo presbiteri e diaconi secolari; resterebbero scoperti da quell’ombrello giuridico tutti i fedeli laici della FSSPX (suore comprese!) e perfino i chierici regolari, ossia i religiosi.
L’Amministrazione apostolica, invece, non prevede quelle limitazioni. Per questo appare l’unica accettabile per la Fraternità S. Pio X. Anche se, data la diffusione di questa, si dovrebbe avere una diffusione su scala mondiale, o quasi, dell’Amministrazione apostolica: cosa che avvicinerebbe ancor più la Fraternità ad una sorta di chiesa uniate come quelle orientali. Se invece si optasse per la Prelatura personale, essa dovrebbe avere necessariamente caretteri sui iuris, ossia in deroga al codice di diritto canonica: tanto da avere, della prelatura, soltanto il nome.

Come si è visto dai canoni, per costituire sia una Amministrazione apostolica non territoriale (e quindi personale), sia una Prelatura personale, il codice richiede di "sentire le Conferenze episcopali" interessate (rispettivamente ai canoni 372 e 294 c.j.c.). Ma questo è un vincolo che il codice pone alla Curia papale e il Papa può in tutta legalità decidere di derogare alla legge canonica (è il bello degli ordinamenti assolutistici, no?); oppure, se vuole rispettare il codice, questo gli chiede solo di raccogliere un parere non vincolante, e poi può fare di testa propria; ma visti gli umori episcopali in giro, si farebbe meglio a seguire l’altra strada: regola sempre valida allorché si vuole seguire una certa strada e si sa che i pareri che si otterrebbero sarebbero contrari; inoltre per i lefebvriani, diffusi ovunque, sarebbero troppo le conferenze episcopali da sentire.

Vi è infine, una ulteriore soluzione, interinale e provvisoria, cui mons. Fellay fa riferimento (ma si sa che poche cose sono altrettanto durature di quelle provvisorie e ad experimentum). Lasciare la Fraternità in uno stato di limbo giuridico, ma nondimeno riconoscere il carattere cattolico e la legittimazione ad amministrare tutti i sacramenti, togliendo ogni dubbio di sospensione a divinis dei suoi sacerdoti. Il riconoscimento comporterebbe anche il consolidamento e il riconoscimento de facto dello stato attuale (statuti, apostolati, comunità religiose connesse). Tutta l’attività della Fraternità perderebbe ogni carattere illecito dal punto di vista del diritto canonico, pur restando la stessa di fatto indipendente e non ancora inquadrata in una struttura canonica.

Si tratta, beninteso, di una forzatura al diritto canonico, sicché per giustificarla si parlerebbe di concessione di "facoltà temporanee" (sacramentali e disciplinari). La soluzione non obbligherebbe le parti in questione: né la Fraternità, che potrebbe continuare ad emettere le sue "riserve dottrinali" (evitando tra l’altro il rischio, almeno nell’immediato, di una scissione della sua ala più oltranzista e contraria ad accordi con Roma), né la Santa Sede, che potrebbe continuare a prendere le distanze dalla Fraternità, evitando così di esporre troppo il fianco agli alti lai dei progressisti.
La Fraternità resterebbe come è ora; ma liberata di ogni stigma di scomunica, di scisma, di illiceità, potrebbe con ben maggiore efficacia raggiungere fedeli finora restii proprio per quegli stigmi. E quindi rafforzarsi ulteriormente.


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Vaticano/ Portavoce Opus dei: Evitare confusione su lefebvriani

Corigliano: Prelatura personale non è come ordinariato militare

Il portavoce italiano dell'Opus dei, Pippo Corigliano, mette in dubbio la notizia che i lefebvriani vengano inquadrati nella Chiesa cattolica in una struttura giuridica analoga alla prelatura personale dei seguaci di Josemaria Escrivà de Balaguer. "A titolo personale - scrive Corigliano in una nota - vorrei chiarire un punto su cui c'è un po' di confusione. Leggo da varie parti che la prelatura personale dell'Opus Dei può servire da precedente o da modello per i Lefebvriani. Anche per il caso degli anglicani cattolici (non so esattamente come si chiameranno) si è parlato della prelatura personale come modello. In questi casi il modello già esistente è l'ordinariato militare. Cioé una diocesi a tutti gli effetti che provvede alla cura pastorale dei propri fedeli che vi aderiscono a titolo personale, come i militari in questo caso. Questa è una diocesi personale, non una prelatura personale. La diocesi territoriale, come quella di Bari o Napoli, invece conta i suoi fedeli in base al territorio". "Le prelature personali - prosegue Corigliano - sono state pensate dal Concilio come strutture che si creano per peculiari attività pastorali. Nel caso dell'Opus Dei questo scopo pastorale è l'aiuto spirituale per santificare il lavoro ordinario e la vita quotidiana. Esse sono compatibili con le diocesi territoriali e collaborano con esse. Ad esempio se marito e moglie sono dell'Opus Dei si sono sposati dal loro parroco che battezzerà i loro bambini. Vanno a messa in parrocchia e così via... Mentre i militari hanno un loro vescovo e un loro clero che provvede a tutte le loro necessità pastorali. Probabilmente dico cose già note ma ultimamente circolano inesattezze in crescendo".

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Card. Castrillòn: ci vorrebbe più uniformità nelle posizioni della FSSPX

Intervista realizzata da Bruno Volpe ed apparsa su Pontifex.Roma:

"Alla domanda che talvolta spesso mi pongono, se è meglio la messa antica o quella de Novus Ordo rispondo che è come il caso dei bimbi, ai quali si chiede se amano più il papà o la mamma": se la cava con una simpatica battuta il cardinale colombiano Dario Castrillon Hoyos, Presidente Emerito della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Eminenza che cosa bisogna fare per dare maggior senso del sacro alla messa?
"In questo caso, per spiegarlo, non basterebbero dieci interviste. Mi limito a fare un esempio".

Prego.
"esiste come lei sa, il canone romano".

Un poco lungo.
"vero. Ma cinque minuti in più nella celebrazione non sono certo una tragedia, se ne perdono tanti in cose innecessarie e talvolta antiliturgiche. Il canone romano esiste anche nel Novus Ordo e sicuramente dà alla messa maggior senso del sacro. Credo che sarebbe auspicabile un maggior utilizzo,ma spesso molti sacerdoti vanno di fretta".

Circola un luogo comune secondo il quale il Vaticano II avrebbe abolito il latino.
"una stupidaggine. Il Concilio ha lasciato il latino ed anzi ne suggerisce la utilizzazione. Ha soltanto aperto alla utilizzazione delle lingue locali come opzione. Segnalo, tanto per non fare polemica, che i padri conciliari hanno sempre celebrato la messa con i libri di San Pio V. Questo lo hanno fatto i padri conciliari".

Intanto sono cominciati a Roma i dialoghi dottrinali tra la Santa Sede e i tradizionalisti, che notizie ha?
"mi sembra che il Papa abbia fatto molto bene ad avviare questo tavolo di negoziato su questioni dogmatiche molto delicate e direi difficili. Ragion per cui ritengo che non si tratti di incontri facili e tanto meno destinati a durare poco. Mi pare opportuno che su questioni fondamentali vi siano posizioni chiare".

Le nota nella Fraternità?
"ecco, appunto. Io non conosco ancora la posizione ufficiale di tutta la Fraternità. Voglio dire che se da un lato si ascoltano discorsi accettabili e promettenti, ogni tanto se ne leggono in ordine sparso, altri meno concilianti e di tenore diverso. Sarebbe bene da questo punto di vista maggior uniformità anche nella Fraternità".

Da quanto le risulta in che clima si sono avviati questi incontri?
"io non vi ho preso parte, ma da quanto so il clima mi sembra disteso e sereno. Indubbiamente discutere con i nervi saldi aiuta e mi auguro che questa calma duri sempre durante tutto il negoziato. Una soluzione è auspicabile per la stessa unità della Chiesa che sta tanto a cuore al Papa".

Oggi si celebra la festa dei fedeli defunti, che significato ha?
"una esaltazione della vita e non della morte che mai prevarrà. Mentre termina la vita naturale, quella eterna non finisce. Il corpo è stato Tempio dello Spirito e dunque questa festa unisce con gioia cielo e terra, è il prolungamento della festa di tutti i Santi".

La Cei in Italia ha deciso per il no alla dispersione delle ceneri dei defunti.
"sono consenziente. Dal punto di vista del diritto canoninco non ci sono impedimenti alla cremazione, ma penso che le ceneri vadano conservate in luogo adatto ed ageguato al decoro che gli si deve".


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