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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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27/06/2009 16:25
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SABATO 27 GIUGNO 2009

Intervista al superiore tedesco dei lefebvriani: Roma considera per noi una sorta di prelatura personale

L’intervista è stata rilasciata a KNA - Katholische Nachrichten-Agentur, Agenzia di stampa cattolica, da Pater Franz Schmidberger, già Superiore generale della FSSPX e ora Superiore del Distretto tedesco della Fraternità. La traiamo da Rorate Caeli.


KNA: Herr Schmidberger, lei è un prete della Chiesa cattolica?

Naturalmente. Sono stato ordinato nel 1975 dall’arcivescovo Marcel Lefebvre a Econe.

KNA: Lo dice senza specificare?

Sì. Io vivo e lavoro nel cuore della Chiesa

KNA: Che cosa significa per lei il Concilio Vaticano II?

Non c’è dubbio che è stato un concilio ecumenico, ma tra i 21 concilii possiede un carattere unico come concilio pastorale. Entrambi i papi del concilio hanno dichiarato che non volevano definire nuovi dogmi. Perciò, il Concilio Vaticano II non ha lo stesso status degli altri concilii.

KNA: Che cosa pensa del suo contenuto?

Lo spirito del Concilio è stato descritto come un cattivo spirito, persino da Papa Benedetto XVI. Ci sono affermazioni ambigue nei documenti, e molte altre che non collimano con la dottrina tradizionale.

KNA: Come dovrebbe essere il dialogo teologico tra la fraternità e Roma circa il concilio?

Per quanto concerne la forma esteriore, potrebbe essere orale o scritto, ma principalmente dovrebbe essere scritto. Abbiamo scelto i nostri rappresentanti e Roma anche ha scelto i suoi. Le discussioni riguarderanno: che cosa è ambiguo nel Concilio? Che cosa contraddice la dottrina tradizionale della Chiesa?

KNA: Francamente, crede che vecchio e nuovo rito possano continuare a coesistere a lungo termine.

Beh, vedremo come le cose si sviluppano. Ci sono profonde differenze tra i due riti; per esempio, l'orientamento della celebrazione. Il vecchio rito è teocentrico. Quello nuovo è antropocentrico. Molti gesti, simboli, e rituali, sono stati cambiati nelle fondamenta. Oggi, il vecchio rito è come una solida roccia tra le onde scatenate, che deve restare invariato. Il nuovo rito richiede un radicale rifacimento in modo che la natura sacrificale sia di nuovo esplicitamente espressa.

KNA: Che cosa pensa la Fraternità del Decreto conciliare sull’Ecumenismo [Unitatis Redintegratio]?

Dice che le altre denominazioni [cristiane] sono mezzi di salvezza. Se quello è vero, allora non c’è più alcuno scopo ad impegnarsi in attività missionaria. Questo necessita d’esser chiarito.

KNA: Che ne pensa di Nostra Aetate, che concerne il rapporto con gli Ebrei?

Non solo gli Ebrei, riguarda anche Islam, Induismo e Buddismo. Queste religioni non cristiane sono coperte di lodi. Questo ha incoraggiato l’espansione dell’Islam, per esempio. Oggi ci sono 4,3 milioni di mussulmani in Germania. La Chiesa ha un mandato di adoperarsi per la loro conversione, ma io non conosco di un solo vescovo tedesco che abbia fatto progetti per farlo. Circa la relazione con gli Ebrei, le affermazioni del Concilio non possono essere criticate nella loro essenza. Ma, dopo il Concilio, si fa strada l’idea che gli Ebrei abbiano la loro propria strada per la salvezza. Questo è completamente opposto al comandamento missionario di Gesù Cristo.

KNA: E avete anche problemi con la descrizione degli Ebrei da parte di Papa Giovanni Paolo II come fratelli maggiori dei cristiani.

Certamente Abramo, Isacco, Giacobbe e i profeti lo sono. Ma gli Ebrei di oggi no, perché non riconoscono Gesù Cristo come l’unico e solo redentore. Come potrebbero essere i fratelli maggiori [per vero lo stesso mons. Fellay ha usato tale espressione in riferimento agli Ebrei di oggi: “Gli Ebrei sono i “nostri fratelli maggiori”, nel senso che abbiamo un qualcosa in comune, cioè l’antica Alleanza. Certo, ci separa l’aver riconosciuto il Cristo quando lui è venuto”: clicca qui]

KNA: E’ corretta l’impressione che voi, con le vostre posizioni, volete imporre un prezzo per l’unione con la Chiesa cattolica?

Noi vogliamo che la verità trionfi. Non ha niente a che vedere con le opinioni soggettive, riguarda interamente la verità.

KNA: Come voi la definite!

No, noi leggiamo tutte le precedenti affermazioni dei Concilii e dei Papi. Papa Pio IX ha parlato contro la libertà religiosa, ad esempio. La domanda è: queste false religioni hanno diritti di natura? Il Concilio Vaticano II risponde diversamente da Pio IX. Quella è una rottura.

KNA: Il diritto canonico richiede ai preti di sottomettersi al vescovo locale. Perché questo è difficile per voi?

Non è per niente difficile. Ma noi siamo la nostra Fraternità, che fu perfino lodata da Roma nel 1971. In seguito, abbiamo sviluppato la nostra propria vita. Poi le tensioni si sono sviluppate perché rifiutammo di partecipare alle distruttive riforme protestantizzanti. Abbiamo domande sulla fede della Chiesa e i vescovi rispondono solo domandando obbedienza. Ma la Fede è superiore all’obbedienza.

KNA: In seguito allo scandalo Williamson, Papa Benedetto XVI ha accusato la FSSPX di arroganza e vi ha ingiunto di astenervi dalle provocazioni. Ma è successo il contrario. Come può aiutare a rimettere insieme i cocci?

Naturalmente, ogni uomo ha le sue debolezze e cose infelici sono state dette. Ma noi vogliamo vivere insieme in pace. Ho scritto una lettera privata personale al presidente della Conferenza episcopale, l’Arcivescovo Zollitsch, ma i vescovi non intendono iniziare un dialogo. Rifiutano ogni colloquio con noi. Perché chiedono che noi obbediamo al diritto canonico alla lettera mentre allo stesso tempo affermano che noi siamo fuori della Chiesa?

KNA: Nel 2005 c’è stata una conversazione a Castel Gandolfo in cui, oltre al Papa, al cardinale di Curia Dario Castrillon Hoyos, e al vescovo tradizionalista Bernard Fellay, c’era anche lei. Che cosa è stato deciso quella volta?

Abbiamo discusso l’intera situazione con la Fraternità e convenuto sul cammino che ora stiamo seguendo Il Motu Proprio del 2007 e la revoca delle scomuniche erano i primi passi. Ora viene il dialogo teologico. Dopo, dobbiamo trovare una struttura canonica per la Fraternità con i suoi 500 preti. Siamo soddisfatti della soluzione che Roma sta considerando.

KNA: Quale è?

In direzione di una prelatura personale

KNA: Simile all’Opus Dei?

In qualche modo.

KNA: Altre ordinazioni sono previste per il prossimo fine settimana, benché Roma abbia detto che sono illecite. Perché insistete con queste ordinazioni?

La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. I fedeli hanno un diritto alla celebrazione della forma tradizionale della Messa. Il punto è ordinare preti che desiderano rendere disponibile il Vangelo. Le ordinazioni non intendono essere un affronto ad alcuno. Sono fatte in realtà per aiutare il Papa e i vescovi. Ma è come trattare con pazienti che non vedono quello che la medicina fa per la loro salute.

KNA: E così pretende avere il ruolo di medico.

Sì, è vero. La Tradizione è la sola guida per portare la Chiesa fuori della presente crisi. Nel 1950, 13 milioni di cattolici andavano alla Messa domenicale. Oggi è appena meno di 2 milioni. Questa è un crollo dell’85%. In dieci anni, tutte le chiese saranno vuote. E’ questo che vogliono i vescovi? Che cosa succederà ai nostri figli? Si tratta della preservazione del cristianesimo in Occidente.


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
28/06/2009 17:05
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"L'atto del Papa è sempre valido"

GIACOMO GALEAZZI

«Si può discutere l’opportunità della revoca della scomunica, ma essa, senza dubbio, è tecnicamente valida».

Riconosce che «le difficoltà individuate dal bravo canonista Hunermann sono canonicamente fondate», l’arcivescovo canonista Velasio De Paolis, attuale ministro vaticano delle Finanze, ex segretario della Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e decano della facoltà di diritto canonico della pontificia università Urbaniana. Però, canoni alla mano, contesta la conclusione che i quatto vescovi lefebvbriani «graziati» da Benedetto siano ancora scomunicati.

Nonostante l’avvertimento del Vaticano, i lefebvriani hanno ordinato in Baviera nuovi sacerdoti. La revoca della scomunica vale anche se non si è pentiti?

«Oggi non si può dire che i quattro vescovi rimangano scomunicati. La revoca è valida, però non sono neppure né in comunione con la Chiesa né a posto in coscienza. Ci sono diversi livelli e la scomunica è l’ultimo, puramente positivo, pur fondato sulla teologia. Revocando la scomunica, il Papa, come lui stesso dice, ha compiuto un gesto di misericordia. Se abbia fatto bene o male non spetta a noi dirlo. E’ lui che ha sindacato giusto agire così. La revoca è valida e, canonicamente, è un atto autonomo. Anche qualora i vescovi lefebvriani non avessero promesso quel poco che hanno promesso, il Papa poteva comunque togliere la scomunica, senza con ciò legittimare il loro atto di disobbedienza. Comunque, non essere più scomunicati non significa automaticamente essere a posto con la coscienza o poter accedere ai sacramenti».

E le ordinazioni lefebvriane dei nuovi sacerdoti?

«Esistono diversi livelli di vita ecclesiale.
Se i quattro vescovi “graziati” hanno ordinato sacerdoti ciò è valido, ma illecito, illegittimo.
Cioè sono preti ma non conformi alle leggi ecclesiastiche: sono contro l’obbedienza alla Chiesa, quindi non possono esercitare il loro ministero. Un conto è l’ordinazione, un altro è la liceità del ministero. Nella Chiesa un prete può esercitare il suo ministero solo se è incardinato in una diocesi. La scomunica suppone un delitto, la revoca è un atto di perdono e di riammissione. Negare validità alla revoca implica una valutazione di opportunità che appartiene solo al Papa».

Su cosa poggia la validità della revoca?

«Il Papa, teoricamente, potrebbe pure abolire il canone che scomunica chi consacra un vescovo contro la volontà della Chiesa. Anzi in origine queste censure non erano ben regolate. Certo, senza pene ecclesiastiche si avrebbe confusione dottrinale, ma qui non parliamo di problemi morali, bensì di una scomunica che è privazione di alcuni effetti, come ricevere i sacramenti o esercitare alcuni diritti nella vita della Chiesa. Il Papa che toglie una scomunica non è come il prete in confessionale che assolve un penitente».

© Copyright La Stampa, 28 giugno 2009


Papa Ratzi Superstar









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“Lefebvriani, niente grazia”

Il teologo: Ratzinger non poteva revocare la scomunica ai tradizionalisti

GIACOMO GALEAZZI

ROMA

Peter Hünermann, teologo di fama mondiale e ordinario di Dogmatica alla Facoltà Teologica cattolica dell’Università di Tubinga, presiede la società europea di Teologia cattolica. Anticipiamo un brano del saggio pubblicato sul numero 3/2009 della rivista "il Mulino", in uscita giovedì prossimo.
Un giudizio teologico della crisi attuale nella Chiesa cattolica, causata dalla remissione della scomunica dei quattro vescovi della fraternità sacerdotale San Pio X, può basarsi su pochi punti di riferimento.
Gli eventi dolorosi e la storia mutevole di questa vicenda appaiono segnati da un alto grado di costanza, in base al quale è possibile formulare un giudizio teologico. Già dopo la richiesta di chiudere il seminario svizzero di Ecône (nel 1974), l’arcivescovo Lefebvre denuncia pubblicamente il fatto che papa e vescovi seguirebbero nel Concilio Vaticano II e nelle riforme una tendenza neo-modernista e neo-protestante che sarebbe in contraddizione con la tradizione cattolica.
Scrive Lefebvre in una professione di fede personale del 21 novembre di quell’anno: «Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa da diciannove secoli».
Nonostante i numerosi sforzi romani, Lefebvre si irrigidisce nel suo rifiuto della libertà di coscienza e religiosa, del dialogo ecumenico ed ebraico-cristiano così come della riforma liturgica.
A dispetto dei pressanti avvertimenti romani, egli conferma questo rifiuto con l’ordinazione sacerdotale illegittima del 29 giugno 1976 e la conseguente sospensione «a divinis». Poi il 30 giugno 1988 consacra quattro vescovi e, insieme a loro, viene scomunicato.
Il 24 gennaio 2009 Benedetto XVI dispone la remissione della scomunica dei quattro vescovi della fraternità sacerdotale San Pio X.
Ciò rappresenta un errore d’ufficio che suscita scandalo. Fondamentalmente, quest’atto concede ai vescovi che governano la fraternità la comunione ecclesiale senza i presupposti canonici e senza aver stabilito più dettagliatamente quale «status» avranno nella Chiesa. La sospensione dall’ufficio rimane per il momento valida. Questo errore d’ufficio è grave, perché significa dispensare dalla piena accettazione del Concilio Vaticano II.
Esso è indirizzato contro la fede e i costumi, la cui conservazione è affidata in modo speciale, per tutta la Chiesa, al successore di Pietro.
La remissione della scomunica è pertanto, a mio parere, nulla.
La lettera di Benedetto XVI, pubblicata l’11 marzo 2009, conferma la problematicità della questione: «La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità.
A vent’anni dalle ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto». Quando il Papa poi constata nella sua lettera: «La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno», e poi aggiunge: «Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio», questa conclusione è semplicemente incomprensibile.
La lettera prosegue: «La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa».
Ci si domanda non arbitrariamente come si possa qui dividere in modo così netto la scomunica dall’ambito dottrinale complessivo, risultando chiaro che essa è stata inflitta a causa dell’ordinazione episcopale e per motivi dottrinari. La lettera di Benedetto XVI non entra nel merito del collegamento tra questi due aspetti. Ecco il motivo per cui la Chiesa si trova davanti a una questione particolarmente grave. Nella sua storia situazioni così complicate sono state per lo più straordinariamente difficili da risolvere.

© Copyright La Stampa, 28 giugno 2009


Parole uscite dalla bocca di chi le pronuncia... [SM=g7707] Il Papa è perfettamente consapevole di ciò che ha fatto.Punto e basta!!!!
[SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

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LUNEDÌ 29 GIUGNO 2009

SULLA FOTO DI LEFEBVRE CON PADRE PIO E IL SACRIFICIO DELL'EUCARISTIA

di Francesco Colafemmina

Una precisazione riguardo alla foto di Padre Pio con Lefebvre: la foto fu scattata durante il brevissimo incontro fra i due che avvenne dopo la Pasqua del 1967. Citiamo le parole dello stesso Mons. Lefebvre in una sua lettera dell'8 Agosto 1990: "l'incontro ebbe luogo dopo la Pasqua del 1967 e durò due minuti. Ero accompagnato da Padre Barbara da un Frate dello Spirito Santo, frate Felin. Ho incontrato Padre Pio in un corridoio, mentre si dirigeva verso il confessionale, accompagnato da due cappuccini. Gli ho detto in poche parole lo scopo della mia visita: che lui benedicesse la Congregazione dello Spirito Santo che doveva svolgere un capitolo generale straordinario, come tutte le società religiose, per un aggiornamento, incontro che temevo avrebbe condotto a dei problemi. Allora Padre Pio gridò: 'Me, benedire un Arcivescovo, no, no, è lei che dovrebbe benedire me!' E si chinò, per ricevere la benedizione. Io lo benedissi, lui baciò il mio anello e continuò il suo cammino verso il confessionale... Questo è stato tutto l'incontro, né più né meno. Per inventare un resoconto come quello che mi avete inviato ci vuole una fantasia satanica e menzognera. L'autore è un figlio del padre della menzogna!".
Il riferimento di Lefebvre era al resoconto in base al quale Padre Pio avrebbe ammonito l'Arcivescovo a restare obbediente al Papa ed alla Chiesa ed a non prendere iniziative che rompessero l'obbedienza. Questa leggenda nata - evidentemente - in data successiva al 1967 è stata utilizzata per dipingere da un lato il solito Lefebvre ribelle e scismatico e dall'altro un Padre Pio "conciliare" e contrariato dall'atto di indisciplina di Lefebvre.
Il giudizio su Lefebvre non viene intaccato o modificato dalla presenza di Padre Pio. Infatti il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha scomunicato per il mancato rispetto dell'obbedienza e specificamente per l'illecita ordinazione episcopale di quattro vescovi. Un atteggiamento che mal si concilia con quella silenziosa sopportazione che ha caratterizzato l'intera travagliata esistenza di San Pio.
Però, non allo stesso modo, si può affermare che San Pio fosse in grado di testimoniare con la sua esistenza e la sua essenza cristiana una Chiesa rinnovata dal Concilio Vaticano II. Anzi, anche i recenti tentativi da noi smascherati, di recuperare un Padre Pio conciliare e devoto al Novus Ordo, fanno parte di una sorta di "angoscia anti-tradizionale" che persiste nella Chiesa e che ultimamente a seguito della lenta "rinascita liturgica" promossa da Papa Benedetto si manifesta ancora più rabbiosa e preoccupata. Tutto ci sembra legato ad un aspetto letteralmente vissuto da San Pio nella liturgia eucaristica: la dimensione sacrificale dell'Eucaristia. Questo grande tabù della liturgia postconciliare - sebbene non estraneo allo "spirtito del Concilio" - resta uno scoglio tremendo sul quale inciampano tutti coloro che cercano di conciliare l'idea "comunitaria" del Novus Ordo, con la prassi liturgica del grande Santo di Pietrelcina. Nell'ambito dell'ermeneutica della continuità e della positiva discussione sul tema mi piace citare quanto affermato da un grande uomo diventato Papa: Joseph Ratzinger nel suo intervento del 2001 al Convegno di Fontgombault. Questo estratto del suo saggio ci spiega chiaramente perchè è considerato ancora "scandaloso" e "strumentalizzabile" il fatto che Padre Pio celebrasse la Santa Messa secondo il Messale del 1962.


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14/07/2009 21:34
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VENERDÌ 10 LUGLIO 2009

Il delirio di Williamson


Il vescovo Williamson non pare ancora sazio del male e del danno che ha causato alla Chiesa e alla sua stessa Fraternità. Evidentemente non è solo il Vaticano ad aver sbagliato ogni tanto nella scelta dei suoi vescovi. Anche Lefebvre...


Roma, 9 lug. (Apcom) - Il Concilio vaticano II è una "torta avvelenata" che va buttata nella "pattumiera", secondo il vescovo lefebvriano Richard Williamson, che, nonostante il silenzio impostogli dal suo superiore dopo le note dichiarazioni negazioniste sulla shoah, rilascia un'intervista al sito internet 'True Restoration' (la vera restaurazione). E si dice convinto che i tradizionalisti, alla fine, non firmeranno un "accordo sbagliato" con il Vaticano. Il Papa ha appena riordinato la Curia romana in vista dei colloqui con i lefebvriani, sollevando dall'incarico della pontificia commissione Ecclesia dei (il dicastero vaticano responsabile dei rapporti con i tradizionalisti) il cardinale Dario Castrillon Hoyos, principale consigliere della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. In vista dei negoziati sul Concilio vaticano II tra Santa Sede e Econe, Benedetto XVI ha stabilito, con un Motu proprio intitolato 'Ecclesiam unitatem' firmato il 2 luglio e presentato ieri, l'assorbimento di questa struttura nella Congregazione per la dottrina della fede del cardinale William Joseph Levada, sottolineando che, fintantoché le divergenze dottrinali non saranno "chiarite", la Fraternità sacerdotale San Pio X "non ha uno statuto canonico nella Chiesa". Per Williamson, tuttavia, il Concilio vaticano II va abbandonato. "E' come una torta avvelenata. Se dai una torta avvelenata ad una madre pensi che lei ne darebbe una fetta al proprio bambino? Ovviamente no. L'intera torta deve andare nella pattumiera", afferma il vescovo nominato da Lefebvre negli anni Ottanta dopo essersi convertito al cattolicesimo dall'anglicanesimo. "Il Concilio deve essere essenzialmente abbandonato. Come le autorità della Chiesa possano abbandonare i sedici documenti del Concilio senza minare alla base la loro autorità è effettivamente un problema per il futuro. Un problema amministrativo. Non so come faranno, ma dovranno farlo". Secondo Williamson, il concilio voluto da Papa Giovanni XXIII e concluso da Paolo VI "è stato cattolico nella convocazione, perché è stato il Papa che ha convocato tutti i vescovi del mondo, ma non è cattolico né nel suo contenuto, né nel suo funzionamento". I documenti finali dell'assise sono scritti in modo "non cattolico" perché contengono "profonde ambiguità", mentre "il Vangelo chiede di parlare 'sì sì, no, no'". Accettare il Concilio come chiede il Vaticano, per Williamson, sarebbe siglare un "accordo sbagliato". "Vogliono riportarci nella Chiesa 'mainstream', che è la Chiesa del Concilio. Ma se noi tornassimo al conciliarismo, tradiremmo la fede. Comprometteremmo la difesa della fede e della tradizione cattolica". La conclusione che Williamson trae da queste considerazioni è netta: i lefebvriani, alla fine, non firmeranno un accordo con Roma, propedeutico al pieno reintegro della fraternità integrista nella Chiesa cattolica. "Conosco gli altri leader della Società e conosco molti preti della Società. La maggior parte non vuole un accordo sbagliato con Roma. Non penso che lo faranno. Penso che neppure il superiore, seppure lo volesse, lo farebbe". In questo senso, anche il protocollo firmato il 5 maggio del 1988 dall'allora cardinale Ratzinger e da monsignor Lefebvre citato nell'ultimo Motu proprio di Ratzinger, "rischiava di essere un accordo sbagliato: per questo alla fine monsignor Lefebvre ha ritirato la sua firma". Nell'intervista, più specificamente, Williamson sostiene che gli altri tre vescovi nominati da Lefebvre sono "ampiamente" d'accordo con le sue idee. Con un discorso che, se non fa emergere una spaccatura in seno alla Fraternità San Pio X, certo mette in evidenza una differenza di vedute, Williamson cita recenti dichiarazioni di Tissier de Mallerais (il Concilio va "cancellato") e di Alfonso de Gallareta (non c'è "molto da salvare" del Concilio). Quanto al superiore, Bernard Fellay, quando disse che il "novantacinque per cento" del Concilio era accettabile "intendeva dire - secondo Williamson - che se non si scava troppo a fondo, la superficie di molti documenti va bene. E' quello che fanno molti cattolici conservatori. Lo ha detto per essere gentili con i giornalisti con cui parlava, per essere carino con la Chiesa conciliarista. Ma non credo che lo ripeterebbe". Il successore di Lefebvre, secondo il suo confratello britannico, "è sempre diplomatico e incline a parlare nel modo in cui si attendono i suoi interlocutori. Non vuole offendere, vuole costruire ponti con Roma, piuttosto che farli esplodere. Ma penso che veda perfettamente i problemi di fondo e quindi non penso che la sua posizione sia sostanzialmente differente". E lei, Eccellenza, si diverte a far saltare i ponti?, domanda l'intervistatore di 'True Restoration'. "Non parto con l'idea di creare problemi, ma con l'idea di ricordare a tutti qual è la realtà. Altrimenti viviamo nell'illusione. A volte dico cose che risultano problematiche, ma sono vere".


Fonte Apcom


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Dal blog "Senza peli sulla lingua"...

LUNEDÌ 27 LUGLIO 2009

Lettera aperta a Mons. Fellay

Eccellenza Reverendissima,

Non so se questa "lettera aperta" giungerà mai nelle Sue mani. Io l'affido agli angeli, perché Gliela recapitino personalmente. Già altra volta avevo scritto un articolo avendo in mente la vostra Fraternità; lo pubblicai su questo blog (fu il mio primo post), ed esso giunse miracolosamente a destinazione: fu ripreso dai vostri siti e definito "molto interessante".

Questa volta mi rivolgo a Lei, perché so che sono in corso i preparativi dei colloqui dottrinali con la Santa Sede, da voi a lungo richiesti e finalmente, con la remissione della scomunica, accordati da Papa Benedetto XVI. A quanto mi risulta, Lei è già stato a Roma per prendere i primi contatti con la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Personalmente, sono sempre stato del parere che non ci sia bisogno di "colloqui" per la riammissione nella comunione della Chiesa cattolica. L'unica cosa necessaria, a parer mio, dovrebbe essere la professione di fede prevista dai sacri canoni. Una volta che condividiamo la stessa fede, dovremmo essere in piena comunione. Sul resto, che non è compreso in quella professione di fede, ritengo che sia sempre possibile discutere liberamente, ma stando all'interno, non all'esterno della Chiesa. L'accettazione di un Concilio, che si è autodefinito "pastorale", non dovrebbe, secondo me, essere una condizione per la riammissione nella comunione ecclesiastica. Sono d'accordo che sia quanto mai urgente una riflessione sul valore e l'interpretazione del Vaticano II; ma non mi sembra che questo debba essere oggetto di una trattativa fra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X; mi sembra piuttosto un problema che riguarda l'intera Chiesa. È per questo motivo che ho proposto piú volte da questo blog che il prossimo Sinodo dei Vescovi sia dedicato all'interpretazione del Concilio.

Ma tant'è: a quanto pare, sia da parte vostra, sia da parte della Sede Apostolica un chiarimento sul Vaticano II è considerato come una condizione previa a qualsiasi altro tipo di accordo. Di qui la necessità di "colloqui dottrinali". Orbene, visto che tali colloqui dottrinali ci saranno, mi permetta di darLe qualche consiglio. Non perché pretenda di saperne piú di Lei, ma solo per esprimerLe, in spirito di fraterna carità, quel che sento in questo delicato momento.

Innanzi tutto, quando verrà a Roma per discutere con la CDF, non venga nella veste di colui che contesta o, peggio, rifiuta il Concilio. Questo significherebbe il fallimento immediato di qualsiasi dialogo. Venga piuttosto come uno che accetta il Vaticano II per quello che esso ha voluto essere, ed è effettivamente stato, cioè un concilio pastorale. Dica pure al Card. Levada che l'unica cosa che voi rifiutate — e su questo siamo tutti d'accordo — è l'assolutizzazione e l'ideologizzazione del Concilio, non il Concilio in quanto tale. Gli dica pure che voi trovate nei documenti del Vaticano II alcuni testi ambigui. Anche su questo, il Card. Levada dovrebbe convenire con Lei. Lo stesso Paolo VI trovò ambigua la trattazione della collegialità episcopale fatta dalla Lumen gentium, tanto è vero che sentí il bisogno di allegare a quella costituzione una "Nota praevia". Aggiunga che, essendoci delle ambiguità nei testi conciliari, si rende necessaria un'opera di interpretazione. Ma, per favore, non si presenti con la pretesa di essere Lei o la Sua Fraternità gli interpreti autorevoli del Concilio. Chieda piuttosto che sia la Sede Apostolica a dare un'interpretazione autentica dei passi piú oscuri. Qualcosa è stato già fatto (la detta "Nota praevia"; la spiegazione del significato dell'espressione "subsistit in"), ma molto rimane ancora da fare. Il criterio generale di tale interpretazione è stato già indicato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: l'ermeneutica della riforma in contrapposizione all'ermeneutica della discontinuità e della rottura. E gli dica che voi, su questo, non solo siete pienamente d'accordo col Santo Padre, ma volete mettervi a sua completa disposizione per aiutarlo in quest'opera di rilettura del Concilio nel solco della ininterrotta tradizione della Chiesa.

Eccellenza Reverendissima, sono sicuro che su quanto ho scritto finora Lei si trovi in buona misura d'accordo. Mi pare di percepirlo dal tono dei Suoi ultimi interventi, molto piú concilianti e possibilisti di un tempo. Ma so pure che deve fare i conti, all'interno della Fraternità, con posizioni piú massimaliste, che La mettono in guardia dall'essere troppo arrendevole nei confronti della Santa Sede. A mio modesto parere, dovrebbe far capire a questi Suoi confratelli che non c'è nulla da guadagnare, in questo momento, a irrigidirsi su posizioni intransigenti. Il Santo Padre ha già fatto molti passi verso di voi; ora sta a voi fare qualche passo verso di lui.

Questo non significa cedere sui vostri principi; perché, se veramente avete a cuore le sorti della Chiesa, non c'è luogo migliore, per far valere quei principi, che la Chiesa stessa. Rimanendone fuori, voi lascerete la Chiesa in balia di quelle forze distruttive che la stanno a poco a poco portando alla rovina. Finché voi continuerete a rifiutare il Concilio, queste forze avranno buon gioco a dire: "Vedete? Loro sono fuori della Chiesa, perché rifiutano il Concilio; noi siamo la vera Chiesa, perché accettiamo, difendiamo e attuiamo il Concilio". Se anche voi accettate il Concilio, rimarranno spiazzati; e a quel punto si rivelerà chi è veramente cattolico e chi non lo è; chi interpreta il Concilio alla luce della tradizione e chi lo interpreta ideologicamente, appellandosi a un suo preteso "spirito".

Questo non significa neppure tradire l'eredità dell'Arcivescovo Lefebvre. Lei sa meglio di me che il vostro Fondatore partecipò al Concilio, dando un notevole contributo alle discussioni e all'elaborazione dei suoi documenti, che approvò e firmò nella loro totalità. Come mai? Non si rendeva conto delle ambiguità in essi contenute? Evidentemente sperava che se ne potesse dare un'interpretazione ortodossa. Fu solo quando vide che l'interpretazione e l'applicazione del Concilio era diventata monopolio dei modernisti che irrigidì le sue posizioni. Sono convinto che, se avesse visto che c'era spazio nella Chiesa per continuare le sue battaglie dall'interno, non sarebbe mai giunto a una rottura con la Sede Apostolica. Ora che questo spazio esiste, ed è lo stesso Sommo Pontefice a offrirvelo, mi sembrerebbe sciocco non sfruttare questa occasione irripetibile. Si tratta di scegliere se rimanere nel seno della Chiesa e di lí svolgere un ruolo, certamente difficile, ma prezioso per la salvaguardia della tradizione e la rivitalizzazione della Chiesa stessa; oppure preferire di rimanere ai margini o addirittura fuori della Chiesa, col rischio di trasformarsi nel tralcio separato dalla vite, destinato a seccare.

Eccellenza, mi scusi se mi sono permesso di intervenire su tali delicate questioni. La posso assicurare che, da parte mia, non c'è alcuna pretesa e alcun interesse, c'è solo il desiderio di vedere il ristabilimento della piena comunione nella Chiesa. La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa.

Colgo l'occasione per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell'Eccellenza Vostra Rev.ma

dev.mo

Giovanni Scalese, CRSP


Stupenda!!!!! Magari possa arrivare a Mons. Fellay!
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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
31/07/2009 18:07
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Lefebvriani: Gli ebrei ci lascino in pace, superare il Concilio

Apcom intervista Mons.Fellay: Pressioni contro di noi su S.Sede

L'inizio dei colloqui con il Vaticano in autunno, una forte critica agli ebrei ('ci lascino in pace'), e l'impressione che la comunità ebraica condizioni pesantemente la Santa Sede.
E ancora: il Concilio che va 'superato' e la speranza di avere presto una 'prelatura'; le divisioni che esistono anche all'interno della Chiesa di Roma e l'annuncio che monsignor Richard Williamson non verrà espulso.
Non manca un attacco all''Osservatore Romano' che non si deve occupare di temi come Michael Jackson, Calvino o Harry Potter, accanto a una impressione molto positiva di Papa Benedetto XVI, 'persona integra e attenta al bene della Chiesa'.
Intervista a tutto campo quella che monsignor Bernard Fellay, superiore dei lefebvriani, concede ad Apcom, nella casa generalizia della Fraternità San Pio X a Menzingen, in provincia di Zug (a pochi km da Zurigo), uno dei 26 cantoni della Svizzera. Completamente immersa nel verde della campagna svizzera, tra le mucche e il suono delle campane della chiesa di paese, il quartier generale dei lefebvriani si presenta con la scritta: 'Priester Bruderschaft St. Pius X - Generalhaus'.
Nella stanza che ospita monsignor Fellay una foto di Marcel Lefebvre e una del Papa. 'Certamente c'è anche la foto del Papa, siamo cattolici anche noi', esclama il superiore alla nostra sorpresa di vedere un'immagine del Pontefice.

D:Il Papa si trova in Valle d'Aosta per trascorrere un periodo di vacanze. Vi trovate a due passi da lui. Avete avuto qualche contatto, o c'è stato qualche tipo di collegamento tra il suo entourage e voi?

R: No, assolutamente no. Non c'è stato alcun contatto. Durante le vacanze dobbiamo lasciare il Papa in pace. Le cose proseguono con il Vaticano, con le persone incaricate per i colloqui. Ma non abbiamo disturbato il Papa. Sono le sue vacanze.

D:Monsignor Fellay, è previsto un suo viaggio a Roma prossimamente? E' stato fissata la data d'inizio dei colloqui? E la vostra commissione, avete già pensato da chi sarà composta? Quante persone la formano?

R: Non c'è ancora una data fissata per l'inizio del dialogo, ma possiamo presumere che sarà in autunno. Verrò a Roma per quel periodo, ma non c'è ancora niente di preciso. La Commissione è già formata da 3-4 persone, ma non possiamo ancora fornire i nomi, anche per evitare qualsiasi pressione.

D:Ritiene che in Vaticano ci sia una sensibilità eccessiva nei confronti delle aspettative del mondo ebraico, sul 'caso Williamson' così come sulla preghiera del venerdì santo?

R: Sì, lo penso. Io stesso sono imbarazzato - tranne ciò che è successo sul caso di monsignor Williamson - quando vedo ebrei che si occupano degli affari della chiesa cattolica. Non è la loro religione. Ci lascino in pace. Sono questioni che riguardano la chiesa cattolica. Se noi vogliamo pregare per gli ebrei, pregheremo per gli ebrei, nel modo che vogliamo. Non so se loro pregano per noi, ma direi che è un problema loro.

D: Dunque, il Papa e il Vaticano subiscono pressioni del mondo ebraico?

R: Certo. È un tema estremamente delicato e caldo e penso che dobbiamo uscire da questo clima che non è buono. C'è stata una sfortunata concomitanza di eventi che che non dovrebbe mai accadere. In questo contesto si può capire l'ira degli ebrei io la capisco e deploro quello che è successo.

D: Nel motu proprio 'Unitatem ecclesiam' il Papa ritiene che 'le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero'. Cosa ne pensa?

R: Penso che non ci sia granchè di cambiato. Quello che è cambiato è che questa nuova disposizione concentrerà le nostre relazioni sulle questioni dottrinali. Ma non è un cambiamento, è un processo che va avanti e che avevamo già chiesto nel 2000; il cammino va avanti. Ciò che scrive il Papa sta nella linea del discorso abituale di Roma, dal '76, quindi non è nuovo. Noi abbiamo una posizione chiara che portiamo avanti da tempo e che manteniamo anche se siamo in contrasto con questa legge, ci sono ragioni serie che giustificano il fatto di esercitare legittimamente questo ministero. Sono le circostanze nelle quali si trova la chiesa che noi chiamiamo 'stato di necessità'. Per esempio quando una grande catastrofe colpisce un paese, mette fuori uso la struttura ordinaria, va in crisi il sistema, e allora tutti coloro che possono aiutare, aiutano. E quindi non è la nostra personale volontà, ma il bisogno dei fedeli che necessita l'aiuto di tutti coloro che possono aiutare. E questo stato di necessità è abbastanza generalizzato nella chiesa - ci sono certamente alcune eccezioni - per potere assicurare, consapevolmente, l'esercizio legittimo dell'aspostolato.

D: Quale status giuridico auspicate per la Fraternità San Pio X? Una prelatura, una società di vita apostolica, o cosa?

R: Dipenderà da Roma, ovviamente, che è l'autorità che decide di questa struttura. La loro prospettiva è la volontà di rispettare al massimo la realtà concreta che noi rappresentiamo. La mia speranza è che siamo sufficientemente protetti nell'esercitare l'apostolato per potere fare del bene, senza essere sempre impediti nell'azione da ragioni giuridiche. L'auspicio è una prelatura, anche se non ho una preferenza. Sulla tempistica non posso esprimermi, dipende tutto da Roma.

D: Per Williamson il Concilio vaticano II è una 'torta avvelenata' che va buttata nella 'pattumiera', per Tissier de Mallerais il Concilio va 'cancellato' e per Alfonso de Gallareta non c'è 'molto da salvare' del Concilio: c'è una spaccatura all'interno della Fraternità San Pio X? Come pensa di risolverla? Il Vaticano sostiene che all'interno della Fraternità ci siano delle divisioni.

R: Mi permetto di dire che non vedo unione nemmeno in Vaticano. Il problema nella chiesa di oggi non siamo noi. Noi diventiamo un problema solo perchè diciamo che c'è un problema. Inoltre, anche se possiamo avere l'impressione di dichiarazioni opposte o anche contraddittorie, non ci sono fratture al nostro interno. Per esempio sul Concilio, possiamo dire che c'è quasi tutto da respingere. Ma si puo dall'altre parte anché dire di provare a salvare quello che è possibile. Ma non potremo mai dire tutti la stessa cosa. Il Concilio è un misto: c'è del buono e del cattivo. Anche il Papa quando sostiene che ci vuole un'ermeneutica di continuità, che non ci vuole una rottura, rifiuta il Concilio interpretato come rottura.

D: Monsignor Williamson è un problema?

R: È un problema totalmente marginale. Quello che lui ha detto non ha niente a che vedere con la crisi della chiesa, con il problema di fondo che noi trattiamo da 30 anni dopo il Concilio, è una questione storica. La questione di sapere quanti e come gli ebrei sono morti non è una questione di fede, neanche una questione religiosa, è una questione storica. Ovviamente sono convinto che lui non abbia trattato questo tema come avrebbe dovuto e prendiamo le distanze. Ma sulle posizioni religiose della Fraternità rispetto al Concilio non vedo nessun problema con Williamson.

D: Williamson dice che il Concilio è una 'torta avvelenata' da buttare nella 'pattumiera'. Non le sembra una frase un po' forte? Lei è d'accordo?

R: È una frase polemica, ma non le condanno. Tante dichiarazioni oggi sono fatte in chiave polemica, è una provocazione per tentare di far riflettere la gente. Direi il concetto in un altro modo, ma non lo so se non sono d'accordo. Direi il concetto in un altro modo, direi che dobbiamo superare il Concilio per ritornare a quello che la chiesa ha sempre insegnato e di cui la chiesa non può separarsi e a un certo momento dovremo superare il Concilio che si è voluto pastorale ma non dottrinale. Che ha voluto occuparsi della situazione contingente della chiesa. Ma le cose cambiano e tante cose nel Concilio sono già superate.

D: Il vescovo Williamson aveva promesso di rimanere in silenzio e continua a parlare: verrà sanzionato? se continua a sostenere che non è possibile un compromesso con Roma sul Concilio, verrà espluso?

R: Non è vero che Williamson parla spesso. È rarissimo...una volta ha detto qualcosa...e poi non gli abbiamo chiesto di tacere su tutte le cose. Il campo su cui gli abbiamo chiesto il silenzio era molto limitato. La sua è stata un'uscita momentanea. La minimizzo al massimo...è poca roba... al momento non vedo alcuna ragione di espulsione. Dipende da lui, dalle situazioni nelle quali siè messo. Per il momento c'è un processo in corso, ha seriamente danneggiato la reputazione, non immagino adesso niente di più della situazione in cui sta già. Dipenderà da quello che dirà. E' già sufficientemente punito, messo ai margini, senza nessun incarico.

D: E sul Concilio, accetterete il compromesso con Roma?

R: Non dobbiamo fare alcun compromesso sul Concilio. Non ho nessuna intenzione di fare un compromesso. La verità non sopporta il compromesso. Non vogliamo un compromesso, chiediamo chiarezza sul Concilio.

D: Le recenti ordinazioni dei preti sono state viste come una provocazione: non era meglio evitare, in questo momento delicato?

R: Non è stata una provocazione. Alcuni vescovi hanno approfittato dell'occasione per gridare alla provocazione. Ma nè per Roma nè per noi è stata una provocazione. È come togliere il respiro a una persona. Noi siamo una società sacerdotale il cui l'obiettivo è formare sacerdoti. E quindi impedire l'atto ultimo di formazione che è l'ordinazione è come impedire a qualcuno di respirare. D'altra parte è stato sempre previsto e abbiamo sempre saputo che revocando la scomunica si è formata una situazione nuova che è migliore della precedente ma non perfetta. Per noi è normale andare avanti con le nostre attività, e quindi anche con le ordinazioni.

D: L'Osservatore Romano ha parlato di Calvino, Michael Jackson, Harry Potter, Oscar Wilde. Cosa ne pensa?

R: Mi chiedo: è veramente il ruolo dell''Osservatore Romano' occuparsi di queste cose? Questa è una prima domanda. E la seconda domanda è: Quello che dicono su queste persone è veramente la cosa giusta? Ho uno sguardo piuttosto critico su queste presentazioni.

D: Pensa che con questo Papa si possa finalmente giungere a una conclusione nell'annosa questione dei lefebvriani?

R: Credo che ci sia certamente una buona speranza. Penso che dobbiamo pregare tanto, sono questioni molto delicate. Sono 40 anni che siamo in questa condizione e non per questioni personali, ma veramente per cose serie che toccano la fede e il futuro della chiesa. Vediamo certamente nel Papa una autentica volontà di volere andare fino in fondo al problema e questo lo accogliamo con tanta soddisfazione. Preghiamo e speriamo che con la grazia del buon Dio arriveremo a qualcosa di buono per la chiesa e per noi.

D: Cosa pensa di Benedetto XVI?

R: E' una persona integra, che prende la situazione e la vita della chiesa molto seriamente.

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21/08/2009 13:15
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La lettera inedita del Papa che accoglie i tradizionalisti

Martino Cervo

A pochi mesi dal “colpo” editoriale con la pubblicazione di alcuni scritti di Karol Wojtyla, Cantagalli manda in stampa due inediti di Joseph Ratzinger.
I testi sono compresi nel volume Davanti al protagonista (228 pagine), che la casa toscana presenterà al Meeting di Comunione e Liberazione che si apre a Rimini questa domenica, e fanno parte di una serie di interventi di Benedetto XVI sul tema della liturgia.
La posizione ratzingeriana sul delicato argomento permette di affrontare con chiave nuova le contrapposizioni legate al Concilio, che molto spesso riducono la Chiesa a un equilibrio di comodi contrasti fra tradizionalisti e progressisti, destra e sinistra.
L’inedito più interessante e qui pubblicato è la lettera al tradizionalista Heinz-Lothar Barth, datata 23 giugno 2003 (meno di due anni prima della morte di Giovanni Paolo II), per la prima volta tradotta e pubblicata in italiano. L’allora cardinale risponde a una missiva sul cosiddetto vecchio rito, poi “riabilitato” da Ratzinger con il motu proprio ai vescovi sulla messa in latino.

La scomunica

In realtà, dalle righe del futuro pontefice si evince la chiarezza di giudizio che lo avrebbe portato, mesi dopo, a revocare la scomunica ai lefebvriani.
«Lei mi chiede di attivarmi per una più ampia disponibilità del rito romano antico», scrive il vecchio capo dell’ex Sant’Uffizio. «In effetti, lei sa da sé che non sono sordo a tale richiesta. Nel contempo, il mio lavoro a favore di questa causa è ben noto».
La frase chiave del futuro pontefice è questa: «A lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano». Ancora prevale il desiderio di unità, che supera ogni schematismo in forza della coscienza della liturgia, che non può essere «terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche» poiché «trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi ne facciamo».
Non c’è traccia di tradizionalismo, piuttosto - come emerge dagli altri scritti opportunamente disposti da Cantagalli - il richiamo potente alla natura della liturgia e del cristianesimo, come partecipazione personale al mistero di Cristo morto e risorto.
Senza questa illuminazione non si capirebbe neppure il contestato atto di misericordia portato dal Papa nei confronti dei seguaci di Lefebvre, accompagnato da forti polemiche per le posizioni di Richardson, il prelato che si era abbandonato ad affermazioni antisemite.
La lettera inedita svela in tempi non sospetti la reale preoccupazione di Ratzinger: tenere insieme nell’unica liturgia romana tutti coloro che vedono Cristo come risposta al cuore dell’uomo. Liturgia che è immutabile perché costante è la pretesa del cristianesimo. Eppure generatrice di una «compagnia sempre riformanda» (così il Papa etichettato come conservatore definisce la Chiesa).

Con buona dose di profezia, nella chiusa della lettera Ratzinger si lascia sfuggire un auspicio che pare già quasi diretto a se stesso, pensando agli strali che si sarebbe attirato: «Qua e là desidererei ancora più carità e comprensione verso il magistero del Papa e dei vescovi. Possa il seme da lei seminato germinare e portare molto frutto per la rinnovata vita della Chiesa la cui sorgente e culmine, davvero il suo vero cuore, è e deve rimanere la liturgia».
Prima che una preoccupazione teologica, tale intuizione pare sostenuta da una antropologia, tutta tomistica e cristianamente realista, che emerge nell’altro notevole inedito rappresentato dal capitolo “La teologia della liturgia”.
Il testo è tratto da una conferenza del luglio 2001. Così come con i lefebvriani o con la messa in latino non si tratta di “sterzare a destra”, la riforma della Chiesa e della liturgia non può consistere in una “revisione” progressista utile a renderla adatta ai tempi.

Riforma personale

Piuttosto, con la lezione di San Bonaventura di Bagnoregio, Ratzinger suggerisce una ablatio, una sottrazione che riduca al vero per esaltarlo, a Cristo che si dà all’uomo dentro la compagnia e la storia che ha scelto.
Questa è l’unica riforma, personale e nel rapporto con l’Incarnazione, che può e deve animare la Chiesa. Una conversione, prima che una formula; un avvenimento, prima che una teoria. Per questo, anche di fronte al mistero pasquale Ratzinger cancella i dualismi: Cristo in croce è storia e fede, avvenimento di carne e Dio sulla terra, sacrificio e redenzione. Ma il pensiero contemporaneo è come scisso: «La nostra immagine di Dio», dice il testo, «è impallidita. Si è avvicinata al deismo. Non ci si può immaginare che l’errore umano possa ferire Dio e ancor meno che debba avere bisogno di un’espiazione». Qui il Papa vede l’abisso tanto con le religioni non abramitiche quanto con le derive platoniste: sorprendentemente, non è un passo dogmatico ma anzitutto di approccio al reale. La fede, scrive, «non vede il finito come negazione ma come creazione». Riecheggia Tommaso d’Aquino, con la sua fiducia nei sensi e nelle cose, la realtà percepita, seguendo la Genesi, come “cosa buona”. E si spalanca una fede che, attraverso la liturgia, rivela e compie questo passaggio della ragione, prima ancora che della teologia.

© Copyright Libero, 21 agosto 2009


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Mons. de Galarreta nominato presidente della Commissione teologica della FSSPX

Traduciamo dal sito sudamericano Panorama Catòlico Internacional:

Il vescovo ispano-argentino mons. Alfonso de Galarreta è stato nominato presidente della Commisione di teologi della Fraternità S. Pio x con l’incarico delle discussioni dottrinali con Roma. Suo compito sarà coordinare e dirigere gli incontri con la Commissione designata dalla Santa Sede. Poiché attualmente egli è rettore del seminario di Nostra Signora Corredentrice di La Reja, in Argentina [dopo che mons. Williamson, precedente rettore, è stato sollevato dall’incarico], dovrà dividersi tra tale incarico e in viaggi in Europa per assolvere al nuovo compito.

Di profilo discreto, si sa che sostiene posizioni dottrinali dure; tratta poco, quasi nulla con la stampa e ha uno stile pastorale che gli ha guadagnato il rispetto di clero e fedeli in tutta la Fraternità, specie per la sua abilità come persona di consiglio e per la chiarezza nell’esposizione e nel pensiero. Sebbene la sua intransigenza dottrinale sia fuori discussione, si caratterizza per le sue attitudini ragionevoli e di sperimentato realismo.

Secondo fonti vicine alla FSSPX, resterebbe destinato all’Argentina finché l’andamento delle discussioni determinino se le sue funzioni in Europa assorbano più del tempo necessario a seguire il seminario.
[..]
La attuale impossibilità pratica di mons. Williamson di svolgere incarichi di apostolato, dato il polverone mediatico e la sua situazione legale, ha provocato un maggior carico di lavoro agli altri tre vescovi coadiutori della FSSPX.
Le discussioni dottrinali cominceranno presumibilmente dopo l’estate europea, senza tuttavia data fissa definitiva.

***

Per avere un'idea più precisa circa l'attitudine di mons. de Galarreta in merito agli incipienti colloqui, è utile riportare di seguito alcuni estratti di una intervista apparsa il 21 maggio scorso su un periodico lefebvriano e ripresa e tradotta dal sito Unavox, ove troverete il testo integrale:

[..]

- Molti si chiedono per quale motivo il Papa ha pubblicato il decreto del 21 gennaio. Alcuni parlano della volontà di assorbire la Fraternità Sacerdotale San Pio X e ridurla al silenzio. Altri parlano di un semplice atto di benevolenza da parte del Papa. Lei cosa ne pensa?

È difficile conoscere le intenzioni, tuttavia, per ciò che si può dedurre dagli atti, probabilmente esistono varie distinte ragioni. A me sembra indiscutibile che da parte del Papa esista la sicura volontà di ripristino della giustizia e della benevolenza. Però, è altrettanto indubitabile che a Roma sperano che tali misure e i contatti che seguiranno permetteranno loro di incorporarci nella “dinamica ecclesiale”, e che noi smusseremo gli spigoli che secondo loro presentiamo, per esempio, nell’essere così rigidi e intransigenti, come dicono, a riguardo della dottrina. Ossia, sperano di “moderarci” un poco, incorporando anche alcune della nostre cose positive. Altro aspetto importante è la volontà di Benedetto XVI di dimostrare la continuità del Concilio Vaticano II con la Tradizione: se si vuole provare che vi è continuità, basta lasciarci esistere e vivere entro il perimetro della Chiesa ufficiale. Indubbiamente questa visione delle cose e di noi costituisce il maggior pericolo per i contatti a venire.

- Possiamo parlare di un Papa tradizionalista?

No. Disgraziatamente, no. Benedetto XVI si è preoccupato di smentire esplicitamente questa affermazione. Egli si identifica pienamente e teologicamente col Concilio Vaticano II. Il suo insegnamento e il suo governo della Chiesa si iscrivono direttamente nello spirito del Concilio. La prova sta nel fatto che vuole incorporarci nella Chiesa ufficiale, però secondo una concezione ecumenica. Egli sta praticando l’ecumenismo con noi.
Tuttavia, contemporaneamente vi è un cambio di atteggiamento rispetto alla Tradizione: non si tratta più di persecuzione, ma, fino ad un certo punto, di accettazione. Questo cambio di attitudine, oggi più chiara, più aperta rispetto alla Tradizione, ci serve da base per affrontare i colloqui con Roma.
Il buono, il nuovo, del Papa attuale è questo cambio di attitudine e l’accettazione che il Concilio e il magistero debbono mantenersi in continuità con la Tradizione. Questo è un punto di partenza che ci permette di discutere.

- Nella sua lettera ai vescovi del mondo, del 12 marzo, il Papa dice che «i problemi che ora debbono essere affrontati sono di natura essenzialmente dottrinale, e si riferiscono soprattutto all’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi». Quali sono i problemi dottrinali di cui parla Benedetto XVI ?

Sono precisamente le novità ispirate ai principi liberali, neomodernisti, come per esempio la libertà religiosa, la libertà di coscienza, l’ecumenismo, il democratismo introdotto nella Chiesa con la visione della “Chiesa comunione”, “Chiesa del popolo di Dio”, che, attraverso la collegialità, limita l’autorità del Papa e dei vescovi. Insomma, si tratta della svolta antropocentrica, dell’umanesimo e il personalismo che sono penetrati nella Chiesa e hanno operato una rivoluzione copernicana. Siamo passati da una visione cristocentrica, teocentrica, ad una specie di culto dell’uomo, come ebbe a rivendicarlo il Papa Paolo VI.

- Secondo il decreto del 21 gennaio si dovranno iniziare colloqui dottrinali tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X e il Vaticano. Nella Fraternità San Pio X si è detto più volte che si vuole “studiare il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione”. Come intendere questa espressione ?

Questa espressione richiede una certa precisione. Essa intende affermare chiaramente che per noi il criterio di spiegazione di qualsivoglia dottrina nella Chiesa è la sua conformità con la Tradizione. Quindi, studiare il Concilio alla luce della Tradizione vuol dire rifiutare tutto quello che è in contraddizione con l’insegnamento e il magistero tradizionali, e accettare tutto quello che è conforme e in armonia con ciò che si è sempre creduto, ovunque e da tutti, che è la definizione della Tradizione.

- Allora si può dire che questi colloqui hanno lo scopo di “convertire Roma”? Tale desiderio non le sembra una manifestazione di superbia? Un’illusione?

L’espressione “convertire Roma” non è corretta. Si tratta piuttosto di un ritorno, di una riconversione. Peraltro è Dio che può illuminare le intelligenze e muovere i cuori perché si possa attuare questo ritorno della Chiesa alla Tradizione. Superbia sarebbe se noi, in base a idee nostre, nuove, ci erigessimo a giudici della dottrina della Chiesa. Invece si tratta proprio del contrario; di giudicare una serie di novità alla luce di ciò che si è sempre creduto e vissuto nella Chiesa. Allora in questo caso vi è fedeltà, non superbia. La superbia è giustamente l’attitudine di chi disprezza l’insegnamento di duemila anni della Chiesa sulla base di giudizi personali e propri del tutto contrari alla fede. Illusione? No. Perché non andiamo con false aspettative, cioè non abbiamo un’aspettativa fissata. Ci sembra che sia nostro dovere dare testimonianza della fede cattolica, difenderla e condannare gli errori contrari, però non sappiamo quanti frutti deriveranno da questi colloqui. Non sappiamo se poco, molto o niente. Non sappiamo se appena iniziati questi colloqui se ne pentiranno o se noi potremo continuarli. Abbiamo l’obbligo di farlo, è nostro dovere, ma è Dio che dà i frutti. Niente, trenta per cento, sessanta, cento per cento? Solo Dio lo sa e provvederà, perché a Dio niente è impossibile.

[..]

- Che prospettive vede per la Fraternità San Pio X nel futuro? Un accordo con Roma? Un riconoscimento canonico?

No, assolutamente, né in un futuro prossimo né lontano. Precisamente noi escludiamo questa possibilità. Sappiamo che fintanto che non vi sarà un ritorno alla Tradizione da parte di Roma, qualsiasi accordo pratico o canonico è incompatibile con la confessione e la difesa pubblica della fede, sarebbe la nostra morte. Nel migliore dei casi, parlando umanamente, avremo diversi anni di colloqui.

da Messainlatino.it


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LEFEBVRIANI: CARD.LEHMANN, SONO FRUSTRATI E DELUSI MA NO NUOVA SCOMUNICA

(ASCA) - Roma, 26 ago

La lefebvriana Fraternita' Sacerdotale San Pio X e' un ''bacino di raccolta per tutti i possibili delusi e frustrati'' ma nei loro confronti, anche se continueranno nelle provocazioni contro il papa e il Vaticano, non bisognera' ricorrere nuovamente alla scomunica.
A dirlo, in un'intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau, e' il card. Karl Lehmann, arcivescovo di Magonza ed ex-presidente della Conferenza episcopale tedesca.
''Se i lefebvriani si continueranno a comportare sconsideratamente e continueranno a giocare con il papa e con la Curia, bisognera' davvero dire che non appartengono alla nostra comunita'. Ma certo non con i vecchi strumenti'', ha affermato il cardinale, aggiungendo che la scomunica e' oggi considerata quanto di piu' oscuro e arretrato ci possa essere. ''Eppure - osserva Lehmann - quando alcune persone, come i lefebvriani, non rientrano nello schema, subito si alza la richiesta di scomunica'' e una ''nuova Inquisizione'' non sembra piu' una cosa cosi' cattiva. Il pontefice pero', per il cardinale, non ha certo questo stile e agisce ''da sommo pastore che compie il suo dovere'', rispondendo positivamente alle ripetute richieste di riconciliazione dei lefebvriani.
Questo non toglie, pero', che la Fraternita' sia ''un bacino di raccolta per tutti i possibili delusi e frustrati: ''Ci sono quelli che non vanno d'accordo con la modernita', quegli altri che non accettano la Rivoluzione francese, altri ancora che sono contrari alla liberta' di religione o alla riforma liturgica degli anni '60''. Molti pero', secondo Lehmann, sono alla fine riconciliabili con la Chiesa anche se questo non toglie che ci siano degli ''irriformabili'', come il negatore dell'Olocausto mons. Williamson: ''Forse - osserva il cardinale - si sarebbe dovuto distinguere prima e con piu' chiarezza'' tra questi e quelli, per evitare il dolore e gli abbandoni della Chiesa cattolica in Germania seguiti alla revoca della scomunica dei vescovi lefebvriani.

© Copyright Asca


Non so se ridere o piangere!!! Prendiamo queste dichiarazioni come una battuta essendo consapevoli da quale bocca provengono!
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Le discussioni tra la Santa Sede e la FSSPX

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Colloqui Roma-FSSPX: a ottobre, e segretati

Informa un articolo del Figaro, che le discussioni tra Roma e la Fraternità S. Pio X cominceranno non prima di metà ottobre, stando a "fonti autorizzate, tanto a Roma che a Ecône (Svizzera)", quartier generale della FSSPX, "e non tra qualche giorno, come ha lasciato intendere lo scorso fine settimana il card. Schoenborn, arcivescovo di Vienna"
La composizione delle due delegazioni della commissione di dialogo non è ancora determinata, secondo Le Figaro. In realtà sappiamo già da autorevoli indiscrezioni chi comporrà la delegazione vaticana (v. qui), mentre dall'altra parte sappiamo solo che, dall'esterno e senza farne parte, coordinerà i lavori della delegazione lefebvriana il vescovo Alfonso de Galarreta (v. qui).
Noi aggiungeremmo che convitato di pietra di questi colloqui sarà mons. Brunero Gherardini, il cui testo da poco pubblicato (Concilio Ecumenico Vaticano II, Un discorso da fare), affronta precisamente i puncti dolentes e invoca una soluzione magisteriale dei tanti passaggi ambigui, oscuri o problematici dei documenti conciliari; e non al solo fine della riconciliazione con i lefebvriani, ma nel più generale interesse della Chiesa che, dopo 40 anni, deve poter uscire dalla paralizzante secca della crisi gravissima in cui l'evento Concilio, e quel che ne è seguito, l'ha cacciata.
Il Papa è ben cosciente che la posta in gioco non è soltanto la ricucitura di uno "scisma" vero o presunto, ma che con l'occasione (non diremo il pretesto!) di questi colloqui, che solo con molta leggerezza e superficialità si potrebbero definire di tipo "ecumenico", si profila la possibilità di un chiarimento dottrinale magisteriale, che serva finalmente a chiudere l'era infausta del postconcilio postsessantottino.
Allo stesso modo, in campo liturgico, il motu proprio ha avuto il medesimo intento duale ed anfibologico: da un lato la mano tesa alla FSSPX, dall'altro lo strumento per iniziare il raddrizzamento nella lex orandi di tutta la Chiesa.
Informa infine il quotidiano parigino che le discussioni teologiche, che riguardano il disaccordo di fondo a proposito dell'interpretazione del Concilio Vaticano II, si svolgeranno in un "quadro strettamente confidenziale".
Le Figaro, come accennato, esplicitamente si preoccupa di smentire e contraddire il cardinale arcivescovo di Vienna (nella foto in basso, in una delle sue tipiche liturgie). Questi, in un'intervista al Passauer Neue Presse (v. qui), aveva affermato che i colloqui sarebbero iniziati "nei prossimi giorni"; nell'intervista il porporato aggiungeva poi, con un tono tra il minatorio e il farisaico cui i vescovi teutonici ci hanno ormai abituato, che Roma non darà ai lefebvriani un via libera, ma imporrà loro certi principi non negoziabili, ossia la posizione della Chiesa verso la religione ebraica, le religioni non cristiane e le altre confessioni cristiane, nonché la libertà religiosa come diritto umano fondamentale.
Non sono certo toni propizi all'inizio di difficili colloqui (ve l'immaginate se una tornata di dialoghi con, ad esempio, gli ortodossi, fosse preceduta dalle affermazioni di un cardinale che intimasse loro di accettare punti non negoziabili come l'infallibilità del Papa e il filioque...). Certo, Schoenborn deve accarezzare un'opinione pubblica ecclesiale estremamente modernista; ma le sue affermazioni appaiono in certa misura velleitarie e male informate (se appunto ha ragione Le Figaro circa l'inizio dei lavori): segno, insieme ad altre analoghe sparate di Lehmann e Zollitsch (ex presidente e presidente in carica della conf. episcopale tedesca), che il riottoso episcopato della GroßGermanien è tenuto da parte in questa faccenda e si sfoga così come può, nel tentativo di imporre dall'esterno, per via mediatica, paletti e condizioni.

Da Messainlatino.it


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La mission impossible dei tre teologi incaricati di ricucire coi ribelli di Econe

di Paolo Rodari

set 16, 2009 il Foglio

Roma. Oltre al segretario della commissione Ecclesia Dei, monsignor Guido Pozzo, sono tre i teologi che il Papa ha scelto per formare la delegazione vaticana incaricata di condurre il dialogo teologico con i tradizionalisti della fraternità sacerdotale San Pio X che ha sede a Econe.
Un dialogo che inizierà a metà ottobre e che dovrebbe portare – anche se nessuno a oggi sa dire come e soprattutto quando – alla piena comunione degli scismatici fondati da Marcel Lefebvre con Roma.
Benedetto XVI ha scelto i tre sentendo il parere del cardinale William Joseph Levada, prefetto della dottrina della fede e presidente di Ecclesia Dei.
Un compito non facile quello affidato ai tre e a Pozzo: perché “piena comunione” vuol dire sanare tutte quelle questioni dottrinali ancora non chiarite, questioni che, a oggi, non consentono alla fraternità di godere di uno statuto canonico nella Chiesa e ai suoi ministri di esercitare in modo legittimo alcun ministero.
Coi lefebvriani, quando si parla di questioni dottrinali, si pensa principalmente, e legittimamente, a una cosa: all’interpretazione che questi danno del Concilio Vaticano II.
In sostanza, e molto semplificando, la loro lettura dei lavori conciliari è opposta a quella della rottura stigmatizzata da Ratzinger dal discorso del 22 dicembre del 2005 in poi.
Per loro, insomma, il concilio non rappresenta un momento di novità perché di rottura col passato, ma più semplicemente un momento da dimenticare perché non in linea con la Tradizione precedente.
Guido Pozzo, per conto di Levada, dirige Ecclesia Dei con equilibrio e discrezione. Non appartengono al suo gergo, insomma, toni eccessivamente trionfalistici e nemmeno il contrario. E queste caratteristiche sono le medesime che formano la personalità dei tre teologi scelti da Ratzinger: il domenicano svizzero padre Charles Morerod, da poco segretario della commissione teologica internazionale; il gesuita tedesco padre Karl Josef Becker, ex docente di teologia all’università gregoriana; il vicario generale dell’Opus Dei, ovvero lo spagnolo padre Fernando Ocariz Brana. Tre teologi di peso, inclini a leggere il Vaticano II in linea con Ratzinger, e che dovranno confrontarsi con una delegazione, quella lefebvriana, della quale al momento si conosce soltanto il nome di colui che la coordinerà: monsignor Alfonso De Galarreta, uno dei quatto vescovi a cui Benedetto XVI ha tolto la scomunica lo scorso inverno.
Charles Morerod, è decano della facoltà di filosofia all’università San Tommaso d’Aquino, l’Angelico, e scrive sull’edizione francese della rivista Nova et Vetera. Per la dottrina della fede ha dedicato parecchi studi all’anglicanesimo e coi lefebvriani ha rapporti avviati: anche lui, infatti, ha partecipato a degli incontri preliminari con esponenti della fraternità. La sua idea di ecumenismo è precisa e ben spiegata in “Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’?cuménisme”: i motori dello sforzo ecumenico sono il dogma cattolico e quello dell’infallibilità pontificia.
Karl Josef Becker, ha insegnato teologia sacramentale in Gregoriana.
A lui l’Osservatore Romano ha affidato il 5 dicembre del 2006 (e non a caso) un articolo di approfondimento del discorso papale sull’ermeneutica del concilio del 22 dicembre 2005. Infine, Fernando Ocáriz: vicario generale dell’Opus Dei, ha insegnato alla Santa Croce ed è autore di numerosissime pubblicazioni. E’ nei suoi scritti che si è dedicato alla questione dell’interpretazione omogenea della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae, a proposito del punto più sensibile, ovvero l’apparente sostituzione della teologia della tolleranza con quella della libertà in materia di diritto pubblico della Chiesa.

Pubblicato sul Foglio mercoledì 16 settembre 2009


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22/09/2009 12:10
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MARTEDÌ 22 SETTEMBRE 2009

Programmi della serata: mercoledì, attacco frontale al Papa


Informa Rorate Caeli che mercoledì 23 settembre, la televisione pubblica svedese SVT, già nota per aver trasmesso a gennaio quell'intervista a mons. Williamson che tanta polemica ha provocato, manderà in onda una seconda parte sulla vicenda.

Questa volta, l'attacco non è nemmeno più obliquo ed indiretto, ma prende di mira direttamente il Vaticano, e quindi il Papa, accusandoli di aver mentito nel sostenere di non sapere delle opinioni di Williamson.

Ecco che cosa dice il trailer pubblicitario del programma (riportato sopra, per chi sa lo svedese):
Vescovo Williamson: "No, non credo siano esistite cose come le camere a gas"

Voce femminile fuori campo: Lo scorso inverno la Chiesa cattolica è stata scossa dall'intervista fatta da Uppdrag granskning [il nome del programma] con il vescovo Richard Williamson. Il Papa e i cardinali incaricati assicurarono il mondo di non aver saputo dell'intervista, ma questo non è vero.

Vescovo (cattolico) di Stoccolma, Arborelius: “Dal canto nostro abbiamo passato l'informazione. Ossia, nel modo solito, la chiesa locale passa informazioni importanti inerenti la Chiesa al rappresentante del Papa".

Voce femminile fuori campo: Che cosa sapeva il Vaticano del vescovo negazionista?

Il programma comprenderà pure un'intervista al card. Walter Kasper, effettuata durante la sua visita al festival di corali Pueri Cantores a Stoccolma, nel luglio scorso. Il Cardinale chiaramente spiega che, subito prima della revoca della scomunica, non aveva ricevuto alcuna informazione interna dal Vaticano, ma che egli aveva conoscenza in generale delle simpatie del vescovo Williamson. Aggiunge pure nell'intervista che pensava che ciò fosse largamente noto, e si stupì invece di apprendere che la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ne fosse all'oscuro.

La diocesi cattolica di Stoccolma aveva inoltre già allertato il parroco anglicano locale, che aveva prestato la sua chiesa al vescovo Williamson nel giugno 2008, circa l'estremismo di quest'ultimo. Nonostante il fatto che il vescovo Arborelius abbia detto immediatamente dopo il programma di gennaio che la FSSPX non fa parte della Chiesa cattolica, il suo ufficio è stato molto impegnato per la presenza della Fraternità in Svezia. Perfino una lettera confidenziale mandata all'ufficio della diocesi è stata sciorinata nell'ormai famoso programma TV di gennaio, per provare che erano state prese misure della diocesi per fermare la FSSPX.

La diocesi ha anche cooperato con la TV svedese nel preparare il documentario con l'intervista a Williamson. I reporters furono perfino invitati a cena in vescovado, come è stato notato nel blog di uno dei giornalisti. (vedi qui e qui).

Questa volta il vescovo Arborelius sarà anche intervistato su quello che ha fatto prima che l'intervista a Williamson fosse trasmessa. Infatti a suo dire, in risposta a una domanda fatta dalla Nunziatura, ben prima del programma di gennaio, il vescovo aveva mandato informazioni al Vaticano inerenti i contenuti dell'intervista a Richard Williamson.

Nel programma televisivo, vi saranno anche domande in proposito al Nuncio per i paesi scandinavi, l'Arcivescovo Emil Paul Tscherrig.

Dobbiamo quindi prepararci ad un altro attacco, diretto questa volta non tanto alla FSSPX quanto alla Santa Sede e al Papa, con un'altra ondata di calunnie volte a mettere in sospetto la Chiesa per opinioni politiche estremistiche.

La TV svedese ha in precedenza spiegato che questo argomento è di poco interesse per gli svedesi, solo l'1% dei quali è cattolico. Questo non esclude che la TV di Stato spa chenda parecchio tempo e danaro su tali temi, e proprio in coincidenza con l'inizio dei colloqui dottrinali tra Vaticano e FSSPX.

Ma soprattutto: è da chiedersi a quale gioco stiano giocando il vescovo Arborelius e il cardinale Kasper. Sanno certo benissimo che le loro dichiarazioni (senza le quali, non ci sarebbe nessun nuovo programma televisivo) avranno l'effetto di mettere di nuovo in grave difficoltà la Santa Sede, la quale aveva cercato di sopire l'enorme polemica, protestando di non essere al corrente delle discutibili opinioni del vescovo lefebvriano. Il Papa nella lettera ai vescovi del marzo scorso (vedila qui) ha definito la vicenda una “disavventura per me imprevedibile”, aggiungendo poi: “Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema”. Il Papa, quindi, ha dichiarato di non saperne nulla; ed ora un suo cardinale e stretto collaboratore dice invece che la cosa era in pratica di dominio pubblico, tanto da stupirsi che non lo si sapesse (e in pratica sollevando ben più che semplici dubbi circa il fatto che quella “ignoranza” sia solo simulata e strumentale); mentre un vescovo ribadisce perfino di aver più volte passato informazioni dettagliate.

Il momento è grave. E il gioco sporco. Non ci piaccion le mezze parole e noi, una cosa del genere, la definiremmo fellonìa. Ma aspettiamo di vedere la trasmissione svedese.


Ho l'impressione che si voglia far affondare i colloqui con la FSSPX...
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In Svezia manovre contro il Papa: «Ha mentito»

Andrea Tornielli

Roma
Dalla Svezia riesplode il caso Williamson e questa volta nel mirino dell’attacco finisce direttamente Benedetto XVI, accusato nientemeno di «aver mentito».
L’ennesima bordata contro Papa Ratzinger è programmata sul canale televisivo pubblico svedese Svt per questa sera. L’emittente era la stessa che lo scorso gennaio, a pochi giorni dalla pubblicazione del decreto con il quale la Santa Sede revocava la scomunica comminata nel 1988 ai nuovi vescovi consacrati da monsignor Marcel Lefebvre senza il mandato pontificio, aveva trasmesso l’ormai tristemente famosa intervista a Richard Williamson, il prelato lefebvriano negazionista sulle camere a gas naziste. Ora Svt ha annunciato un seguito della storia, alzando il tiro e prendendo di mira direttamente il Pontefice, sostenendo, sulla base delle dichiarazioni di un cardinale e del vescovo di Stoccolma, che Ratzinger in realtà non poteva non sapere. Nel trailer che annuncia il programma, una voce femminile fuori campo commenta: «Lo scorso inverno la Chiesa cattolica è stata scossa dall'intervista fatta con il vescovo Richard Williamson. Il Papa e i cardinali incaricati assicurarono il mondo di non aver saputo dell’intervista, ma questo non è vero». E subito rilancia un passaggio delle dichiarazioni rilasciate all’emittente dal vescovo cattolico di Stoccolma, Anders Arborelius, il quale assicura di aver avvisato il Vaticano delle parole negazioniste: «Da parte nostra, abbiamo passato l’informazione al rappresentante del Papa». Il riferimento del vescovo Arborelius è al nunzio apostolico Emil Paul Tscherrig.
Il programma, informa il sito Rorate Caeli, comprenderà pure un’intervista al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, effettuata durante la sua visita al festival di corali «Pueri Cantores» a Stoccolma, nel luglio scorso. Kasper avrebbe spiegato che, subito prima della revoca della scomunica, non aveva ricevuto alcuna informazione interna dal Vaticano in merito al provvedimento, ma che egli stesso era a conoscenza delle posizioni estremiste del vescovo Williamson.
È evidente che questa volta l’obbiettivo delle critiche non è più la Fraternità San Pio X né la revoca della scomunica. Nel mirino c’è la Santa Sede e in particolare la persona del Papa. In una nota della Segreteria di Stato, pubblicata il 4 febbraio 2009, si affermava che le parole negazioniste di Williamson non erano «conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica».
Benedetto XVI, nella lettera da lui inviata ai vescovi di tutto il mondo, riguardante questo caso Williamson, aveva scritto: «Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica».
E aveva aggiunto: «Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie».
Con la lettera, sincera e coraggiosa, Benedetto XVI, che non era stato avvisato dell’intervista sulle camere a gas rilasciata da Williamson, si era assunto tutte le responsabilità del caso che sarebbero dovute ricadere sui suoi collaboratori.
Ma ora la tv svedese, secondo quanto annunciato nel trailer, lo accusa di aver mentito. «Il Papa ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’intervista al momento della revoca della scomunica, è ovvio che ha detto la pura verità», spiega al Giornale il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi.
Due giorni prima della pubblicazione del decreto di revoca, e un giorno dopo la messa in onda dell’intervista, i cui contenuti erano stati anticipati dal tedesco Der Spiegel, alle 17.30 del 22 gennaio in Segreteria di Stato si erano riuniti per discutere il caso i cardinali Tarcisio Bertone, Giovanni Battista Re, William Levada, Claudio Hummes, insieme all’arcivescovo Coccopalmerio e al Sostituto Filoni.
In quella sede fu deciso che il decreto non andava presentato alla stampa in quanto «di per sé sufficientemente chiaro».

© Copyright Il Giornale, 23 settembre 2009


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Il ritorno del "caso Wiliamson": il comunicato del vescovo Arborelius

postato da angelambrogetti [23/09/2009 10:33]

Mentre il cardinale Bagnasco, grazie alla mediazione di Sant' Egidio, ricuce con gli ebrei italiani che confermano la partecipazione alla giornata di preghiera comune del 17 gennaio, dalla Svezia arrivano nuovi dettagli sul caso Williamson. E non tanto dal programma che questa sera Svt trasmetterà anche via internet con una serie di interviste che portano a pensare che la comunicazione in Curia non funziona. Le informazioni arrivano direttamente dalla diocesi di Stoccolma.
Al di là di fantomatiche e assurde idee di complotti, è appunto lo sfilacciamento del sistema di comunicazione interna alla Chiesa, o la superficialità a creare dei veri e propri attacchi.
E' sottile il confine tra complotto e sciatteria.
Ecco allora il testo del comunicato stampa che il vescovo Anders Arborelius ha pubblicato sul sito diocesano.

"Questo inverno la Chiesa ha attraversato un periodo molto duro quando il papa ha revocato la scomunica dei vescovi della fraternità sacerdotale di S. Pio X solo pochi giorni dopo che uno di loro, Richard Williamson, aveva negato la Shoah nel programma televisivo "Uppdrag granskning".

Molti, sia dentro che fuori la Chiesa, quella volta sono giunti ad una conclusione sbagliata, cioè che la Chiesa approvava opinioni antisemitiche e rinnegava la chiara affermazione da parte del Concilio Vaticano II su libertà religiosa, ecumenismo e dialogo interreligioso.

Il papa stesso ha chiarito che le cose non stavano così in una lettera ai vescovi cattolici a marzo.

Per essere del tutto riconciliata con la Chiesa cattolica, SSPX deve prendere le distanze dalle affermazioni di Williamson e accettare il magistero della Chiesa così come è stato annunciato dal Concilio Vaticano II e da tutti i papi dopo il Concilio.

Il 23 settembre, "Uppdrag granskning" trasmetterà un programma in cui si racconta cosa è successo da questo inverno, e cosa si sapeva in Vaticano prima della revoca della scomunica.

Nel programma si vedrà che noi alla diocesi cattolica di Stoccolma, come facciamo sempre, abbiamo inoltrato le informazioni in nostro possesso su SSPX e Richard Williamson, e anche il contenuto dell'intervista di Uppdrag granskning con lui, ai rappresentanti del Vaticano.

Tengo a sottolineare che abitualmente inviamo informazioni su questioni che riguardano la Chiesa al Vaticano, e che non si tratta di nulla di eccezionale in questo caso.

Voglio anche sottolineare la mia convinzione, che una cosa positiva emersa questa primavera, è che ognuno di noi ha dovuto chiarire la propria posizione.

Il papa e il Vaticano hanno chiesto che Richard Williamson e SSPX con chiarezza e forza prendano le distanze dal negazionismo e chiedano perdono per aver negato la Shoah. Questo non è ancora successo, almeno non per quanto riguarda Williamson.

Né abbiamo visto nei rappresentanti di SSPX quella apertura e umiltà che sono necessarie per i colloqui che si terranno a ottobre in vista di una riconciliazione. Purtroppo il loro superiore generale, il vescovo Bernard Fellay ha detto a luglio che non ritengono di dover venire incontro o dimostrare disponibilità al compromesso quando si tratta delle differenze centrali tra le posizioni della gerarchia della Chiesa cattolica e SSPX. www.cfnews.org/bishopfellay-090731.htm

Dobbiamo tutti pregare e chiedere che lo Spirito Santo ci guidi, e ricordare che Cristo non abbandonerà mai la sua Chiesa.

+ Anders Arborelius OCD

www.angelambrogetti.org/

[Modificato da Paparatzifan 23/09/2009 11:39]
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Lefebvriani/ Vaticano: Papa non conosceva posizioni di Williamson

Crea confusione riaprire caso del vescovo negazionista

"E' assolutamente senza fondamento affermare o anche solo insinuare che il Papa fosse stato antecedentemente informato sulle posizioni di Williamson". È quanto chiarisce il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in merito all'annuncio della trasmissione della televisione svedese che questa sera dedica una nuova puntata al 'caso Williamson', il vescovo negazionista dei lefebvriani.
"Rilanciare il 'caso Williamson' - prosegue padre Lombardi - non può servire ad altro che a continuare a creare confusione senza motivo". Il Papa, insomma, non sapeva. "Ciò è stato negato chiaramente nella Nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio - dice il portavoce vaticano - che esprime anche nel modo più netto la radicale dissociazione del Papa e della Chiesa cattolica nei confronti di ogni posizione antisemita o negazionista dell'Olocausto. Inoltre la lettera del Papa ai vescovi del 10 marzo scorso, ha messo un punto fermo su tutta la questione e non vi è quindi motivo di riaprirla. Il Papa - aggiunge padre Lombardi - ha spiegato il senso della remissione della scomunica come gesto per favorire l'unità della chiesa e allo stesso tempo ha mostrato la totale infondatezza delle accuse a lui dirette di mancanza di rispetto per il popolo ebraico; ha anche riconosciuto con semplicità i limiti nella comunicazione vaticana interna ed esterna, e ha provveduto a un nuovo status della Commissione Ecclesia Dei, proprio per garantire un migliore e più sicuro modo di procedere nelle questioni relative ai rapporti con i tradizionalisti".

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Da "Fides et forma"...

MERCOLEDÌ 23 SETTEMBRE 2009

C'E' DEL MARCIO IN SVEZIA... E NEL VATICANO

Ecco la traduzione di un comunicato appena apparso sul sito della TV Svedese: da brivido!

Uppdrag granskning rivela che il Vaticano era realmente a conoscenza dell'intervista ormai nota in tutto il mondo con il negatore dell'Olocausto Vescovo Richard Williamson, quando la decisione di rimuovere la scomunica fu presa - nonostante precedenti dichiarazioni in senso contrario.

L'intervista con l'allora scomunicato Mons. Williamson, membro della Società Tradizionalista Cattolica di San Pio X (la SSPX), trasmessa nel programma di giornalismo investigativo della TV Svedese Uppdrag granskning nel gennaio 2009, ha scatenato la più severa crisi tra Cattolici ed Ebrei nei tempi recenti. Nell'intervista, Williamson negava l'esistenza dell'Olocausto. "Credo che non siano esistite camere a gas" è una delle sue numerose affermazioni in merito. Solo tre giorni dopo la decisione del Papa e del Vaticano di rimuovere la scomunica ventennale al Vescovo, viene annunciata, suscitando onde di stupore attraverso il mondo. Israele ha reagito chiedendo di irrigidire tutti i legami diplomatici con il Vaticano, un membro del Congresso Americano ha inviato una lettera di protesta al Papa e ministri di varie nazioni europee hanno apertamente criticato il perdono del Vaticano.Il Vaticano ha ribadito che non vi era alcuna conoscenza dell'intervista con Williamson quando la decisione della revoca della scomunica era stata presa. Uppdrag granskning è ora in grado di rivelare che il Vaticano era realmente a conoscenza delle affermazioni di Williamson ben prima della decisione e che uno dei più stretti collaboratori del Papa, il Cardinal Castrillón Hoyos era stato informato.

L'informativa era inclusa in un report interno scritto dalla Diocesi Cattolica di Stoccolma, in Svezia, nel Novembre 2008, non molto dopo l'intervista di Uppdrag granskning a Williamson in Germania. Questo report include alcune affermazioni fatte da Williamson che esprimono le sue vedute riguardo all'inesistenza dell'Olocausto ed altre affermazioni che sono considerate un crimine in Germania.

La Diocesi Cattolica di Stoccolma asserisce che questo report è stato fornito all'emissario vaticano (il Nunzio) di Stoccolma. Secondo il Vescovo Anders Arborelius della Chiesa Cattolica Svedese "Lui (il rappresentante papale) fu molto turbato e cercò di inviare il report a Roma".

Il Rappresentante papale ha declinato l'intervista, ma ha confermato di aver immediatamente inviato il report. In aggiunta a ciò ha anche contattato numerosi funzionari in Vaticano - incluso il Cardinal Castrillón Hoyos,che, assieme al Papa, ha negato la conoscenza dell'intervista televisiva.
Per otto anni, il Cardinal Hoyos è stato il più stretto collaboratore del Papa nelle negoziazioni con la SSPX. Il Cardinale ha attualmente 80 anni ed è in pensione. Il Vaticano continua a sostenere che il Papa non era a conoscenza degli eventi. In una e-mail inviata a Uppdrag granskning, il portavoce vaticano Padre Federico Lombardi ci assicura di essere "certo che il Papa stia dicendo la verità".

Ma non è pazzesco che il Vaticano smentisca le questioni sollevate dalla TV Svedese con una mail??? E non è pazzesco che Arborelius riveli tutta questa storia ora e proprio alla TV Svedese??? Ma che Vescovi sono questi???

P.s. alle 21.00 sarà possibile chattare con Ali Fegan (il giornalista di origini turche autore del reportage) sul sito della TV Svedese. Chi può e vuole può comunicare con lui in inglese e chiedergli magari perchè non è andato in Germania a testimoniare contro Williamson? Anche lui ha i suoi scheletri nell'armadio infatti, assieme al produttore Nils Hanson.

PUBBLICATO DA FRANCESCO COLAFEMMINA A 17.44


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Caso Williamson, chi sapeva e che cosa sapeva…

Andrea Tornielli

Sul Giornale di ieri ho pubblicato un articolo dedicato al nuovo attacco contro Benedetto XVI sul caso Williamson che arriva dalla Svezia, dov’è andata in onda una nuova puntata del programma televisivo che lo scorso gennaio aveva trasmesso l’ormai tristemente famosa intervista al vescovo lefebvriano che negava le camere a gas, alla vigilia della pubblicazione del decreto di revoca della scomunica.
Prima di scriverlo, avevo chiesto a padre Lombardi una battuta, che ho riportato. Oggi la notizia è ripresa da vari quotidiani, che citano la smentita ripetuta ieri da padre Lombardi.
Mi ha colpito molto il testo di un’email che lo stesso direttore della Sala Stampa vaticana ha spedito al programma svedese, che trovate tradotto nel sito Fides et Forma. Nell’email, Lombardi scrive: “Non sapevo che l’informativa su Williamson fosse stata inviata in Vaticano, e io non so chi l’abbia ricevuta e letta. Nessuno mi ha detto una parola su di essa“, aggiungendo anche che nulla in proposito gli disse il cardinale Castrillòn Hoyos.
E’ evidente l’intento strumentale da parte di chi intende coinvolgere il Papa, che era - purtroppo - all’oscuro di tutto.
Ma dall’email del portavoce vaticano emerge anche la volontà di smarcarsi rispetto alle responsabilità altrui.
Ricordo che il 22 gennaio, nel pomeriggio (due giorni prima della pubblicazione del decreto di scomunica, già peraltro consegnato con largo anticipo a mons. Fellay; e un giorno dopo la messa in onda dell’intervista negazionista di Williamson, anticipata da Der Spiegel) si svolse una riunione in Segreteria di Stato alla quale erano presenti i cardinali Bertone, Levada, Hummes, Re e Castrillòn, insieme al Sostituto Filoni e all’arcivescovo Coccopalmerio.
Alla riunione non era stato invitato padre Lombardi.
Durante l’incontro, da quanto risulta al sottoscritto, non si è parlato dell’intervista a Williamson, ma solo del significato della revoca della scomunica e se questa implicasse la piena comunione, etc. etc.
Inoltre, si era deciso che il decreto “già sufficientemente chiaro”, non andava presentato alla stampa.
In quel momento Fellay aveva già in mano il decreto di revoca, ma mancavano ancora due giorni alla sua pubblicazione e, dopo l’intervista a Williamson, si poteva ritirare oppure congelare in attesa di chiarimenti.
Le gravissime parole del vescovo lefebvriano sono state sottovalutate da chi sapeva: dalla trasmissione della Tv svedese emerge chiaramente che il vescovo di Stoccolma Arborelius comunicò al nunzio notizie sull’intervista già prima della fine del 2008.
Come e quando queste notizie sono state trasmesse in Vaticano? Chi le ha ricevute e come sono state utilizzate?
Com’è potuto accadere che un atto di misericordia e riconciliazione voluto dal Pontefice si trasformasse in un boomerang che ha portato tensioni nel rapporto con parte del mondo ebraico e contestazioni aspre nel mondo cristiano?
Di certo, pur essendo evidenti le sbavature e i ritardi nella gestione del caso anche dopo che era scoppiato, appare del tutto artificioso e strumentale il tentativo di coinvolgere Benedetto XVI, che ha voluto far sapere - attraverso il comunicato della Segreteria di Stato del 4 febbraio - di essere stato all’oscuro dell’intervista di Williamson.
Il caso, purtroppo non il solo, documentava i problemi di funzionamento della macchina curiale (non della macchina comunicativa, che avrà pure le sue pecche, ma in questo caso non ha responsabilità dirette), ma poteva dirsi assolutamente superato dopo la straordinaria lettera con la quale Papa Ratzinger aveva preso su di dé le responsabilità dei suoi collaboratori.
Nel caso Williamson-revoca della scomunica sono stati commessi gravi errori di valutazione, anche se appare indubbio che ci sia stato chi - anche dentro le mura vaticane - ha soffiato sul fuoco, talvolta con dichiarazione inopportune che hanno contribuito a dare l’immagine di una Curia allo sbando.
Ma Benedetto XVI, del tutto incolpevole, se ne è assunta coraggiosamente la responsabilità di fronte alla Chiesa e al mondo.
E non si capisce perché ora si voglia riaprire un caso doloroso, a meno di non volere, ancora una volta, mettere in difficoltà il Papa.

dal blog di Andrea Tornielli


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
24/09/2009 21:00
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GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2009

Un'opinione sul nuovo caso Williamson

L'intervista svedese è andata in onda. Per visionarla integralmente, cliccate qui. Poi tiriamo due somme.

Non ci può essere alcun dubbio, che questo è un attacco frontale alla Chiesa proveniente dal suo interno, non dall'esterno. Non è colpa dei giornalisti svedesi, quelli fanno il loro mestiere; e i loro toni sono stati in fondo più misurati di quanto ci si aspettasse. Il che non fa che rendere il loro reportage più micidiale: non populismo, ma fatti, contro i quali, si sa, non valet argumentum.

I traditori (nome meno forte e egualmente appropriato non ci viene) sono quelli che, pur sapendo benissimo quanto l'intera vicenda abbia già destabilizzato il Papa e la Chiesa, anzi proprio perché lo sanno, hanno fornito la benzina da gettare sul fuoco. Perché senza questi signori, stasera la TV svedese avrebbe trasmesso un documentario sui merluzzi...

Ecco i nostri eroi:
1) il fatuo, se non malevolo, card. Kasper, che con malcelata e puerile soddisfazione lascia intendere: “io conoscevo le opinioni di Williamson, ma non mi hanno consultato, hanno voluto scavalcarmi ed ecco il bel risultato. Strano che altri ne fossero all'oscuro visto che la cosa era di dominio pubblico. Meno male che c'ero io poi a mettere una pezza cogli Ebrei".
2) l'ineffabile vescovo Arborelius, il quale stupisce il mondo rivelando che aveva visto l'intervista a Williamson fin da novembre, ben prima che fosse trasmessa a gennaio (il che conferma i suoi rapporti molto sospetti con chi quella trasmissione andava preparando e teneva in caldo) e soprattutto che l'aveva trasmessa a Roma tramite il Nuncio. Qui non si tratta di un generico sentito dire delle opinioni balzane e pericolose di Williamson, come Kasper, qui si tratta di conoscenza diretta.
3) Il Nuncio in Scandinavia Tscherrig, il quale, dapprima reticente, pensa comunque a scagionare se stesso da ogni ipotetica accusa, affermando di aver mandato l'informativa in Vaticano; poi, a telecamere spente, racconta (bel diplomatico! a meno che sia in mala fede pure lui) di averne parlato con molti in Vaticano, e in particolare con il card. Castrillòn Hoyos.

A questo punto, siamo ad appena un gradino sotto il Papa. E la conclusione è evidente, come scritto in un comunicato sul sito della TV svedese:
Uppdratg granskning è ora in grado di rivelare che il Vaticano era, in effetti, a conoscenza delle affermazioni di Williamson ben prima che la decisione [di revoca delle scomuniche] fosse presa e che uno dei più stretti associati del Papa, il card. Castrillón Hoyos, era stato informato [..] Per otto anni il card. Hoyos è stato il più stretto collaboratore del Papa nei negoziati con la FSSPX.
Insomma, il Papa non poteva non sapere. E ha quindi mentito negandolo.

E' significativo che i tre felloni sopra nominati (sì, felloni, ché sarebbe bastato un loro “no comment” alle domande dei giornalisti, per evitar tutto questo) siano tutti di area progressista e che come tali siano percepiti perfino dai giornalisti svedesi, che pur si suppone abbian poca dimestichezza con le “correnti” della Chiesa cattolica. Scrive infatti Ali Fegan, il giornalista svedese, in risposta ad una domanda a certa Monica nella chat seguita alla trasmissione: “Abbiamo cercato personaggi cattolici con un approccio più conservatore, al fine di avere un buon dibattito, ma non hanno accettato. C'era comunque il vescovado”. Ossia: quelli che si son lasciati intervistare eran tutti a senso unico, progressisti (mettiamo nel gruppo anche l'ex prete Gennari, giornalista di Avvenire, che calca la mano contro Castrillòn pur salvando, bontà sua, il Papa); i conservatori invece non partecipano ad un programma che attacca la Chiesa.

Come si difende il Vaticano? Mette in campo il suo eroe senza macchia né paura, il maestro dell'informazione di massa del XXI secolo: il gesuita Lombardi! Considera che non c'è necessità di articolare una risposta nel merito della questione, rispondendo con fatti ai fatti, indicando responsabili, o smentendo garruli prelati scandinavi, o semplicemente indicando che viene aperta un'inchiesta interna, così da placare gli animi e prendere tempo (lo sanno tutti che, quando si vuole insabbiare un problema, si apre un'inchiesta!). Ritiene non serva nemmeno un comunicato per il bollettino della Sala Stampa: giusto due verba che volant nell'etere a Radio Vaticana, in cui ricorda che il Papa non è negazionista (del che nessuno dubita; ma così schiva la vera questione, che è se il Papa sapesse; o meglio, su quest'ultimo punto nega apoditticamente e senza articolare: ma chi gli crede più, dopo la perentoria sparata sulla Hitlerjugend e il Papa?).

Piuttosto, che cosa decide di fare il nostro eroe?
Scrive una e-mail. Sì, una letterina elettronica, informale informale. Ci mancano solo gli emoticons e le strizzatine d'occhio ;-) o le faccine tristi :-(
Così si esprime nel 2009 il portavoce del Vicario di Cristo! Magari, con un po' di sintesi, poteva fare un sms, e salutare con kisskiss... E a chi la manda la mail? Ma alla TV svedese, no?, cioè proprio al nemico. Come se si trattasse di convincere loro (cui, giustamente, nulla ne cale d'innocenza o colpevolezza, basta lo scoop) e non l'opinione pubblica disorientata o le associazioni ebraiche che già ricominciano a levare alti lai (OK, anche a quelle, o almeno ad alcune di loro, poco ne cale di innocenza o colpevolezza, basta attaccare la Chiesa...).

Ma è il testo che è un bijoux, anzi un biggiù. Leggiamolo nella traduzione che ne ha fatto Fides et forma, con la labile speranza che si tratti d'un falso confezionato dagli svedesi:
Caro signor Fegan,

l'unica cosa che posso dire è che non ho avuto alcuna conoscenza dell'intervista con il vescovo Williamson prima che fosse trasmessa [Ma chissenefrega di quello che sapeva Lombardi? Mica deve difender se stesso! E' il Papa e la Chiesa che ci si aspetterebbe ch'egli difenda].

Dopo di essa fui informato in proposito dai giornalisti e colleghi svedesi della Radio Vaticana. Il Card. Castrillon non mi disse alcuna parola su di essa prima della trasmissione dell'intervista. [Idem come sopra. Al mondo interessa non quello che sapeva il reverendo padre, ma quel che sapeva Castrillòn, e il Papa]

Non sapevo che l'informativa su Williamson fosse stata inviata in Vaticano, e io non so chi l'abbia ricevuta e letta. Nessuno mi ha detto una sola parola su di essa. [Idem come sopra. Ter]

Il Papa ha detto che non era stato informato quando ha approvato la la revoca delle scomuniche. Sono certo che il Papa dica la verità [e vorremmo vedere! Il Papa non mente per definizione]

Quando ho informato i miei Superiori sulla sua intervista con Williamson, ho riscontrato che la decisione circa la revoca delle scomuniche era già stata presa.

Quindi l'unica cosa che potevo fare, era quella di distinguere fortemente il senso e lo scopo della decisione della revoca della scomunica da parte del Papa, e l'assolutamente inaccettabile negazionismo di Williamson come una sua posizione personale, che non era collegata in alcun modo all'origine della scomunica. Questo è quello che ho ripetuto molte volte in quei tristi giorni.

Mi auguro che questa risposta sia chiara.

Grazie per la vostra attenzione.
Con i migliori saluti.

F. Lombardi

Questa lettera, come si vede, è tutta un'excusatio non petita e uno scaricare le responsabilità: il nostro uomo alla Sala Stampa, lui, non sapeva niente, nessuno gli ha detto niente, quando ha saputo non ha potuto far altro che...

Come se ne esce?

A questo punto, le accuse arrivano fino al card. Castrillòn Hoyos. Un fedele servitore della Chiesa, un integerrimo cristiano che sa qual è il suo dovere: proteggere il suo Pontefice. Le circostanze gli richiedono un grave sacrificio, ma siamo convinti che sia pronto a compierlo, a gloria sua e per il bene della Santa Chiesa: assumere come Nostro Signore il ruolo di agnello sacrificale, e di capro espiatorio.

E affermare che, sì, aveva avuto qualche relazione circa le affermazioni discutibili del vescovo Williamson, ma che non ritenne di farne menzione, magari sottovalutandole ma soprattutto non ritenendo che potessero ostacolare il cammino di riconciliazione. E ricordando a tutti alcune semplici verità, che si rischia di dimenticare: che le forsennate opinioni di Williamson non hanno nulla a che vedere con la scomunica; che il ritorno dei lefebvriani all'ovile, di cui la revoca della scomunica era precondizione, conta e contava più dei colpi di testa di un singolo perché, come ricorda il Papa nella lettera ai vescovi, “può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?”. E infine ricordare che non era comunque possibile una revoca della scomunica solo a tre dei vescovi lefebvriani, sia perché non l'avrebbero accettata, sia perché non si può giustificare la mancata revoca sulla base di affermazioni che, per quanto gravi e inaccettabili, non toccan la fede; sia infine perché non si può rischiare che il vescovo escluso consacrasse altri vescovi e creasse una chiesa scismatica.


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