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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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13/03/2009 21:39
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Lefebvriani/ Card.Canizares: Amarezza per sofferenza recata a Papa

Solidarietà e adesione filiale al Pontefice

Città del Vaticano, 13 mar. (Apcom)

Il cardinale Antonio Canizares, prefetto della Congregazione per il Culto divino, esprime "amarezza" per la "sofferenza" recata al Papa sul caso della revoca della scomunica ai 4 vescovi lefebvriani, e conferma la solidarietà al Pontefice.

"Abbiamo ricevuto, letto e approfondito la lettera" che "ha inviato a tutto l'episcopato cattolico circa la remissione della scomunica" ai vescovi lefebvriani, ha detto il cardinale Canizares, che questa mattina è stato ricevuto in Vaticano dal Papa, in occasione dell'udienza ai membri della Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti.

"Condividiamo l'amarezza della sofferenza recata a vostra Santità - dice Canizares - e mi faccio portavoce dell'unanime adesione di tutti i membri della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, a quanto espresso con chiarezza e fermezza dalla Santità vostra.

Anche noi - ha concluso - vogliamo riaffermare con franchezza e vigore" la "filiale collaborazione" al Pontefice. Il cardinale ha dunque espresso "la più sincera e profonda vicinanza e amorevole solidarietà soprattutto in questo particolare momento".

© Copyright Apcom


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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LETTERA SUI LEFEBVRIANI: IL RINGRAZIAMENTO DEI VESCOVI BELGI E INGLESI

Il “grazie” dei vescovi belgi e inglesi al Papa per la lettera scritta riguardo alla remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani.
Lettera riproposta oggi sui siti ufficiali delle Conferenze episcopali europee nelle diverse lingue.
In una breve nota scritta, i vescovi del Belgio parlano di una lettera “al tempo stesso umile e forte”. Ed aggiungono: “Il suo contenuto mostra chiaramente che la remissione delle scomuniche dei 4 vescovi tradizionalisti vuole essere un gesto di riconciliazione e non una rimessa in discussione del Concilio Vaticano II”.
In una dichiarazione, la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles parla di “un atto collegiale” e di una lettera “profondamente umile”.
I vescovi inglesi sottolineano il “forte” impegno del Papa “per il dialogo interreligioso, soprattutto con gli ebrei, e per il dialogo ecumenico con gli altri cristiani. Egli rivela la sua passione per la riconciliazione e invitando tutti nella Chiesa a dare una migliore testimonianza, il Papa sottolinea che la priorità fondamentale della Chiesa è quello di condurre gli uomini e le donne a Dio". "Essenziale a questo compito – aggiungono i vescovi - è la necessità di unità e l'ufficio petrino è il centro e il promotore dell'unità della Chiesa e, come tale, una voce profetica”.

Sir


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I VESCOVI TEDESCHI

Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, arcivescovo Zollitsch, ha ringraziato il Pontefice «a nome di tutti i Vescovi tedeschi» e ha definito la lettera «un’espressione di apertura e chiarezza», «grandiosa e insolitamente personale». «Ho l’impressione - ha proseguito Zollitsch - che il Papa nelle ultime settimane abbia sofferto molto».

Giornale di Brescia


Con quanta velocità abbiamo dimenticato che siamo stati una delle cause della profonda amarezza inferta al Papa, vero Zollitsch
? [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

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Da "Libero"...

Preti contro preti

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Da "Messainlatino.it"...

SABATO 14 MARZO 2009

La Messa tridentina è roba da giovani. Cool!

Ora cominciano ad accorgersene anche i progressisti. Che si inquietano.

Che siano più i giovani che gli anziani a provare interesse per la Tradizione della Chiesa e in particolare per la liturgia antica, noi lo sappiamo e lo si va ripetendo e constatando da più parti. Anche nella lettera di accompagnamento al motu proprio (leggila qui) il Papa ha scritto: "Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia".

Ma si sa, finché lo diciamo noi... O se lo dice quell’anziano vestito di bianco, anche lui filotradizionale, che vive relegato a Roma, senza contatto col "territorio". Facciamolo dunque dire a persone di opposta tendenza e sensibilità. Vale molto di più!

Da un articolo de La Croix del 27.1.09, quotidiano semiufficiale della Conferenza Episcopale Francese (tutt’altro che entusiasta dei tradizionalisti), riportiamo uno estratto dall’articolo intitolato "Questi vescovi sono in una situazione aberrante", con questo scambio tra l’intervistato, lo storico Emile Poulat, e il giornalista
- Lei pensa che dei fedeli abbandoneranno la Chiesa [in conseguenza della riconciliazione coi lefebvriani]?
Non credo che, nell’immediato, le cose cambieranno molto nelle parrocchie. I negoziati continueranno. Ma alcuni dei cattolici più militanti potrebbero effettivamente essere tentati di andarsene...

- ...E questi qui non avranno certo 500 preti in saccoccia per negoziare il loro ritorno.
E’ il problema dei progressisti cristiani. Non hanno posterità. Questo cattolicesimo militante, fondato sulla promozione del laicato, non si è preoccupato della promozione del clero. Si è quindi condannato a deperire.


Da un articolo del prestigioso quotidiano di sinistra Le Monde del 26.1.09, intitolato "Lo scetticismo dei cattolici dopo la reintegrazione dei vescovi integristi":


il movimento creato da Mons. Lefebvre non ha buona stampa in seno a una parte dell’episcopato, del clero e dei fedeli più anziani

[..]

Dinamici e militanti, gli integristi della Fraternità attirano vocazioni, e formano 180 seminaristi.

Da Swissinfo, intervista al Padre provinciale svizzero dei Gesuiti (e come tale avversario giurato della Tradizione), dal titolo eloquentissimo: "Benedetto XVI s’è fatto fregare":


- Benedetto XVI è stato dunque ingannato [in riferimento alle dichiarazioni di Williamson]?
Come si dice, il papa si è fatto fregare. Il portavoce del Vaticano, Federico Lombardi, si è d’altronde chiaramente smarcato da quelle affermazioni. Ciò detto, non sono sicuro che Benedetto XVI reagirà a quelle frasi negazioniste, visto che uno dei suoi predecessori, Pio XII, ha avuto un’attitudine criticabile verso gli Ebrei prima e durante la Seconda Guerra Mondiale [ricordiamo che chi parla è Padre Albert Longchamp, Provinciale dei Gesuiti in Svizzera. No comment!]. I rapporti tra Chiesa cattolica e Ebrei restano in effetti molto delicati. Ciò detto, le affermazioni negazioniste del vescovo Richard Williamson e l’operazione di Benedetto XVI non hanno niente a che fare.
[..]
- Questa volontà di riavvicinamento con Ecône si iscrive nel ricentramento a destra della Chiesa cattolica?
Nei paesi occidentali, c’è una tendenza a un ritorno alla tradizione, in opposizione all’innovazione. La revoca delle scomuniche si iscrive bene in una corrente che è assai forte in seno alla Chiesa cattolica, in particolare presso i giovani, che siano seminaristi o preti.
Diverse correnti attraversano la Chiesa cattolica. Difficile sapere dove questa ebollizione condurrà i cattolici
.

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Re: Da "Messainlatino.it"...

Paparatzifan, 14/03/2009 18.18:


SABATO 14 MARZO 2009

La Messa tridentina è roba da giovani. Cool!




Anche a me è successo così, perciò non mi stupisco! [SM=g8431]

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Lefebvriani. Il sacrificio di Ratzinger

Gennaro Acquaviva

È certamente la prima volta che un Papa dichiara pubblicamente di essere «sinceramente rammaricato» del fatto che alcuni suoi collaboratori non hanno ritenuto di consultare Internet prima di rendere pubblica una decisione della Santa Sede.
Ma accanto a questo indubbio primato, la lettera di Benedetto XVI ai «cari confratelli nel ministero episcopale» sollecita molte questioni, anche di grande rilievo. Proviamo ad estrarne almeno tre.
La prima è del tutto contingente ma, se assolta, poteva addirittura rendere inutili le varie spiegazioni che il Pontefice si è sentito in dovere di dare pubblicamente circa i comportamenti seguiti nella vicenda della remissione della scomunica ai quattro vescovi lefrebviani.
Sarebbe infatti bastata la comunicazione di uno o più avvicendamenti nell’incarico per quei prelati dimostratisi così inefficienti o maldestri da aver fatto apparire il Papa tedesco quasi un negazionista.

Se il Papa non ha ritenuto di seguire questa via (diventa, certamente, con precedenti e comunque più semplice rispetto alla stesura di una lettera impegnativa), ci saranno state delle ragioni.

E queste ci conducono alla seconda questione: l’amarezza (e anche la durezza) che pervade molta parte della missiva. Papa Benedetto usa San Paolo per rivolgersi ai suoi confratelli: ma dire, senza mezze misure, che nella Chiesa esiste tuttora l’abitudine «di mordere e divorare» «come espressione di una libertà mal interpretata» è comunicare una convinzione profonda.
Una convinzione che ci dà vivido segnale dei suoi sentimenti e anche della sua sofferenza. Perché il Papa è così dispiaciuto? Si è sentito chiamato direttamente in causa, lui così profondamente tedesco, dal montare violento della contestazione contro la supposta negazione della Shoah mossa anche dai suoi confratelli del Nord Europa? Oppure un riacutizzarsi della polemica «conciliare», tema preferito dai suoi tradizionali detrattori che si sono autocollocati alla sinistra di Dio, lo ha vi è più confermato nel suo convincimento che l’esperienza conciliare non debba essere stravolta, e che occorra tenere ben ferma la barra della nave di Pietro? È probabile che l’insieme di queste preoccupazioni sia l’origine dei complessi sentimenti che oggi il Papa vuole rendere espliciti a tutti. Ma ad essi aggiungerei una terza, e finale conclusione: di fronte al mondo che si allontana da Dio, Benedetto XVI ritiene che ci sia assoluto bisogno di una compattezza cristiana, che va richiamata alla sua responsabilità ed omogeneità, sia nella direzione che nella guida. La questione non è naturalmente limitata ai numeri della comunità lefrebviana, anche se essi, non a caso, vengono puntigliosamente elencati dal Papa fin nei decimali; piuttosto va ricercata nelle caratteristiche storiche della tradizione della Chiesa, che ha sempre cercato di costruire l’appartenenza e ha voluto fortemente l’inclusione.

Nel confronto con la modernità Ratzinger sa che può ancora contare sulla fede di un grande popolo; assai meno sul contributo e la fedeltà delle élite.

E sa che questa è una questione che rischia di costituire una gigantesca frattura storica nell’Occidente; egli e la sua Chiesa vogliono dunque continuare ad impegnarsi affinché la religione non sia ridotta obbligatoriamente a un mero fatto privato ma continui a rappresentare un senso di appartenenza realmente collettivo.

Forse proprio per questo un Papa che viene dal cuore dell’Europa ha deciso di svelare pubblicamente una parte di se stesso, facendoci entrare, almeno per il tempo di una lettera, nelle pieghe più intime del suo animo profondo.

© Copyright Il Mattino, 13 marzo 2009


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Il retroscena

Le Alte gerarchie e l' indagine interna. Nel mirino gli «oppositori storici»

Fuga di notizie, caccia al «servo di mezza tacca»

Gian Guido Vecchi

CITTA' DEL VATICANO

Il problema è trovare la falla. Stabilire chi sia il responsabile di quelle «fughe di notizie» che, nelle parole dell' Osservatore Romano, «si fatica a non definire miserande».
Un nome, per ora, non c' è.
Non lo sanno in Segreteria di Stato. Non lo sa il Segretario di Stato. «Ma lo stanno cercando», si fa sapere ai piani alti del Vaticano.
Una ricerca all' interno della Curia, ovvio: quell' organismo che «ha un dovere di esemplarità», ammoniva il quotidiano della Santa Sede.
«Tutti i più vicini collaboratori sono lealmente fedeli al pontefice», garantisce il cardinale Bertone. Ma anche lui sa, spiegano in Vaticano, che «basta un servo infedele di mezza tacca» a combinare guai. Magari per interesse o spinto da «mandanti».
Chi? Ci sono gli oppositori «storici» di Ratzinger. Ma ci sono anche, sul fronte filolefebvriano, quelli che considerano il Papa - a ragione - un uomo del Concilio. Il grande teologo che legge le assise in «continuità» con la tradizione e per questo è avversato dagli opposti estremisti. La questione è seria perché «strumentalizzazioni e manipolazioni», favorite dalle «cosiddette fughe di notizie», hanno danneggiato seriamente Benedetto XVI. Che ha meditato alcune delle pagine più importanti del suo pontificato.
Una lettera bella, personale, priva di veli. Un documento che ci si preparava a presentare al mondo con cura, perché fosse studiato e compreso, ma che alla vigilia è filtrato dalla Santa Sede.
Anticipazioni, testi in italiano e tedesco in Rete. Col rischio di alterare l' interpretazione o di far prevalere la polemica mediatica sul contenuto. Proprio com' è accaduto all' inizio, con la revoca della scomunica ai lefebvriani. Fino a danneggiare, paradossalmente, anche chi all' interno della Fraternità desidera sinceramente la comunione con Roma.

© Copyright Corriere della sera, 14 marzo 2009


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LA MISSIONE DI PIETRO

«Benedetto XVI, volto di una paternità amabile»

Manfred Lütz, teologo e psichiatra: ferito dalle polemiche, ha risposto con stile di pastore

DI ANDREA GALLI

Saggista di successo – dal bestseller Il pia cere della vita all’ultimo Dio. Una piccola storia del più Grande –, teologo e psichia tra, Manfred Lütz è una delle più autorevoli vo ci del laicato cattolico in Germania.
Ha preso parte al dibattito sul caso «Fraternità San Pio X» e alle reazioni di questi giorni all’ultima lettera di Benedetto XVI – rivolta ai vescovi e dedicata alla remissione della scomunica ai quattro ve scovi lefebvriani –, in prima linea, tra passaggi televisivi e commenti sulla stampa. È membro del Pontificio Consiglio per i laici e della Ponti ficia Accademia per la vita.

Dottor Lütz, tutti manifestano la loro vicinan za al Papa dopo la sua lettera, anche i vescovi che fino a tre giorni fa lo hanno attaccato sen za remore. Prodigi dello Spirito Santo o ipocri sia?

«Non si deve escludere l’a zione dello Spirito Santo, la conversione è una categoria cristiana molto importante. Credo che la lettera del Papa abbia fatto una grande im pressione. Non è stata la let tera di un funzionario, ma di un uomo che ha detto con molta franchezza, tra l’altro, di essere stato ferito. E questo ha colpito molto».

Un Papa mite, che ha senti to sulla sua pelle l’intolle ranza dei sedicenti tolleran ti. Paradossale, no?

«Come psichiatra e psicote rapeuta so bene cos’è l’intol leranza dei tolleranti. Ci so no persone che si ritengono tolleranti e non vedono la propria intolleranza, che è e sclusa dal loro modo di con cepirsi. Questa psicologia si è vista prepotentemente in questo caso. Anche quando venivano portati chiarimen ti inequivocabili.
È stato fat to notare più volte, per e sempio, come il Papa abbia tolto la scomunica non solo ai lefebvriani ma anche ai ve scovi legati al partito comu nista cinese.
E comprensibil mente, perché tra i compiti di un Pontefice, servitore e garante dell’unità della Chie sa, c’è quello di sanare divi sioni che durano nel tempo».

Le resistenze, anche da par te episcopale, si erano già vi ste con l’applicazione del motu proprio «Summorum Pontificum». Come se ci fosse un’insofferenza diffusa a tutti quegli atti che ricordano che la Tradizione della Chiesa non inizia con il Con cilio Vaticano II.

«I progressisti radicali e la Fraternità San Pio X usano entrambi lo stesso paradigma nell’inter pretazione del Concilio. Entrambi leggono il Va ticano II come una rottura, in senso negativo o positivo. Un paradigma che non è cattolico. Quello cattolico riconosce una tradizione che non si interrompe ed è viva.
Benedetto XVI ha operato per riaffermare questa visione toccan do un nervo scoperto e suscitando reazioni ag gressive da parte tradizionalista e da parte pro gressista. Quest’ultima, in questo senso, è del tutto simile alla Fraternità San Pio X».

Ci si morde e ci si divora» scrive Benedetto X VI nella sua lettera...

«In Germania, una volta c’era tensione fra cat tolici e protestanti. Oggi c’è un buon clima. Ma l’aggressività tra cattolici e protestanti è passa ta all’interno del cattolicesimo stesso, tra con servatori e progressisti. Anche all’interno del mondo riformato è avvenuta una cosa simile, con la divisione tra protestanti ed evangelici. Con alleanze inedite: i progressisti cattolici e i protestanti hanno contestato il Papa, mentre u na delle difese decisive di Benedetto XVI è ve nuta da Idea, la rivista più importante del mon do evangelico».

Alle volte viene da pensare che da parte di qual cuno ci sia un’insofferenza o un odio del Papa in quanto tale, ogni qualvolta si permette di e sercitare la propria autorità petrina.

«È vero. Usando una chiave di lettura psicolo gica, nella nostra società senza padre, come l’ha definita Alexander Mitscherlich, la Chiesa cat tolica (quella governata appunto da un Santo Padre) è pressoché l’unica istituzione contro cui si può protestare. Essa attira su di sé l’aggressi vità di coloro che non hanno più un padre con tro cui scagliarsi.
Ma la paternità di Benedetto XVI è, in verità, tutto fuorché autoritaria.
Con il suo stile amabile e misericordioso, questo Pa pa è l’esatto contrario di un 'Panzerkardinal', come amavano chiamarlo, tra l’altro, proprio coloro che oggi godrebbero nel vedere dei cri stiani scomunicati».

Il Papa è solo, come tanti dicono?

«Penso che come ogni uomo che è stato ferito, in questo momento si possa sentire solo. Ma è anche vero che un uomo che reagisce come ha fatto nella sua lettera, e mi riferisco anche al l’attenzione che ha avuto nel ringraziare chi lo ha sostenuto, dimostra di saper bene di non es sere solo.
Va poi definitivamente sfatata l’idea secondo cui Benedetto XVI sarebbe estraneo al mondo di oggi. Mentre è un teologo che ha pas­sato tutta la vita ad analizzare, con una sensibi lità impressionante, la cultura contemporanea».

Perché non è stato così aperto, si lamenta qual cuno, verso i teologi della liberazione?

«Qui si riscontra spesso l’ignoranza della stam pa laica, che sa cos’è una fatwa ma non sa più cosa sia una scomunica.

Per quanto riguarda la teologia della liberazione, ci sono state delle pre se di posizione di carattere dottrinale e disci plinare nei confronti dei singoli teologi, ma nes suno è stato scomunicato.

Ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X è stata tolta una sco munica, ma, come è chiaro nella lettera, resta no anche per loro dei problemi dottrinali e di sciplinari da risolvere. I progressisti che chie dono di usare subito la scomunica per sanzio nare una visione teologica o storico-politica, vo gliono tornare implicitamente al Medioevo. Del nefasto uso 'politico' della scomunica e della necessità, per un Papa che sia conscio del suo mandato spirituale, di revocarla di fronte a un penitente che lo chiede, abbiamo un esempio famoso nel passato: quello di Gregorio VII che a Canossa, contro i suoi vantaggi personali e politici, decise di perdonare il penitente Enrico IV. Di fronte alla domanda di Enrico: 'sei un re gnante o un sacerdote?', Gregorio VII e Bene detto XVI hanno dato una ri sposta comune. Il Papa è in nanzitutto sacerdote».

Cosa succederà dopo questa lettera?

«Sono uno psicoterapeuta e come tale sono abituato a chiedermi qual è il bene che si può trarre dal male. In que sto caso, direi innanzitutto che in Germania non si è mai parlato tanto del Concilio Vaticano II come nelle ultime setti mane. Non abbia mo mai parlato tan to del dialogo tra e brei e cristiani e del la Nostra Aetate.
Il ruolo del Papa è sta to percepito come pastorale e discreto, anche se questo per alcuni è irritante. Infine, per quanto ri guarda la Fraternità di San Pio X, che ha mostrato molta ar roganza fino a poco tempo fa, il fatto che l’affaire William son abbia fatto soffrire visi­bilmente Benedetto XVI, li ha indubbiamente colpiti. Lo si è visto nelle reazioni di Fellay e degli altri leader.
E questo li ha portati a una moderazione di toni inedita. La sofferenza, per i cristiani, può avere frut ti salvifici».

© Copyright Avvenire, 15 marzo 2009


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A proposito della lettera di Benedetto XVI ai vescovi

Il pastore non abbandona nessuno
Il teologo spiega perché


di Manuel Nin

Il 12 marzo 2009 Papa Benedetto XVI pubblica una sua lettera "fraterna" ai vescovi della Chiesa Cattolica "riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre". Infatti il giorno 21 gennaio 2009 Papa Benedetto aveva provveduto a togliere la scomunica ai quattro vescovi che erano stati ordinati nel 1988 senza il mandato della Santa Sede.

Si tratta di un testo papale che non ha né il carattere di enciclica, neppure quello di esortazione apostolica, ma direi che semplicemente e niente di meno è una lettera fraterna indirizzata ai vescovi.

Si tratta di un testo molto diretto, scritto con schiettezza da un fratello ai fratelli; testo che ha quattro caratteristiche a partire dalle quali vorrei leggerlo: serenità, sincerità, lucidità e umiltà.

Serenità in quanto si tratta di un testo non aggressivo né accusatorio; allo stesso tempo è sincero e chiaro in quanto manifesta quello che Benedetto XVI sente e vive in questa vicenda; lucido in quanto non nasconde le difficoltà del momento ecclesiale presente, umile perché riconosce gli sbagli fatti nella procedura e nell'informazione sui fatti accaduti. Il testo della lettera può articolarsi in diverse parti.
In primo luogo, si tratta di una lettera indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica; l'argomento trattato non tocca soltanto alcuni episcopati che potrebbero essere più coinvolti nel tema, neanche è indirizzata agli episcopati magari più contrari e critici verso il provvedimento e verso il Papa stesso, ma è indirizzato a tutto l'episcopato cattolico. Dall'inizio Benedetto XVI situa il problema trattato nella lettera: cioè la perplessità che all'interno e fuori della Chiesa ha suscitato la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, perplessità manifestatasi con "una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata", e con delle accuse ben precise dirette al Papa stesso, cioè "di voler tornare indietro, a prima del Concilio". Da partecipante e coinvolto fino in fondo nel Vaticano ii, il Papa si sente particolarmente ferito da quest'accusa. Lungo tutto il suo magistero come vescovo di Roma ha manifestato la sua continuità filiale e dottrinale col Vaticano ii. Poi per quanto riguarda la perplessità degli stessi vescovi, Benedetto XVI ne elenca due: da una parte il loro sì alla riconciliazione coi lefebvriani, ma senza dimenticare i problemi più urgenti che la Chiesa dovrebbe affrontare; dall'altra gli attacchi contro il Papa stesso vengono visti come un far venire a superficie vecchie ferite, "una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento". Nella lettera il Papa risponde soprattutto alla prima delle perplessità; la seconda invece, un argomento in qualche modo più ad hominem viene lasciato da parte.
In secondo luogo Benedetto XVI mette direttamente sul tavolo della discussione il "caso Williamson". Il fatto di affrontarlo subito indica come questa "conseguenza" all'interno del processo non sia per niente minimizzata neppure secondaria. La remissione della scomunica è stata "un gesto discreto di misericordia"; e questa sarà in fondo la linea portante di tutta la lettera, cioè la remissione della scomunica non tanto vista come un fatto canonico ma un fatto che va visto e vissuto all'interno del ministero di misericordia e di riconciliazione del vescovo di Roma, di qualsiasi vescovo della Chiesa. Il Papa manifesta la sua perplessità per il fatto che quello che doveva essere un invito alla riconciliazione si è trasformato nel suo contrario, letto anche in chiave di opposizione al dialogo con gli ebrei. Un fatto che il Papa deplora profondamente perché questo dialogo è frutto sì di un cammino ecclesiale che risale al Vaticano ii e al pontificato di Giovanni Paolo II, ma anche del suo "personale lavoro teologico". Interessante notare questo doppio collegamento che il Papa teologo fa nel dialogo con gli ebrei, sia a livello ecclesiale, sia anche a livello di ricerca teologica. In questo secondo punto è importante far notare la schiettezza di Benedetto XVI nell'indicare l'utilità di internet e anche la mancanza di un uso largo e completo di esso che avrebbe facilitato la conoscenza dei fatti; il Papa ne prende atto direi con umiltà e realismo.

Comunque con la stessa chiarezza che segna tutta la lettera Benedetto XVI si presenta ai suoi fratelli nell'episcopato "ferito dall'ostilità di alcuni", "grato alla fiducia di altri".

Un terzo argomento trattato dal Papa nella lettera, e da lui stesso riconosciuto come uno sbaglio palese, è il fatto della disinformazione al momento della remissione delle scomuniche: "La portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione". E qui Benedetto XVI da buon professore trae spunto dal suddetto sbaglio e spiega cos'è la scomunica: essa è un provvedimento ecclesiale che colpisce persone, che cerca di evitare nei limiti del possibile uno scisma, infine è una "punizione dura" che dovrebbe servire a richiamare al pentimento e al ritorno alla piena comunione. Quindi per il Papa la scomunica è più una pedagogia verso la piena comunione che non una lacerazione nella comunione ecclesiale. Fu alla prima udienza generale dopo la remissione delle scomuniche che Benedetto XVI diede dei chiarimenti sulla portata ecclesiale e dottrinale dei fatti avvenuti; lui stesso in quell'udienza cercò di colmare i vuoti informativi dei giorni precedenti. Nella lettera il Papa distingue chiaramente tra disciplina ecclesiale e dottrina, sottolineando la centralità e importanza sia della persona sia della dottrina della Chiesa. In questa parte della lettera vengono fuori l'imprescindibile doppia figura di pastore e di teologo di Papa Ratzinger: "La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale".
Come diretta conseguenza del terzo argomento ve n'è un quarto, ovvero il collegamento che dovrà avvenire tra la commissione Ecclesia Dei e la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Portando il problema lefebvriano a livello dottrinale, il Papa ha pertanto agito proprio in maniera contraria rispetto a quanto affermato da una certa lettura dei fatti "come se niente fosse...", anzi arriva a un vero e proprio "c'è molto in gioco".

Troviamo in questa parte forse il punto più importante della lettera, che segna tutto il magistero di Papa Ratzinger nei suoi grandi documenti: "Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità San Pio X. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano ii porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa".
Un quinto argomento (e qui il Papa teologo fa ritorno al Papa pastore) mette in luce i veri problemi della Chiesa. Non si tratta di una giustificazione.
Si è trattato piuttosto di dire in modo schietto che il problema lefebvriano (e il boom mediatico che ha suscitato la remissione della scomunica) non lo distolgono nel suo ministero pastorale rispetto a quelli che sono i veri problemi e priorità che la Chiesa deve affrontare. Priorità legate al suo ministero di vescovo di Roma e alla chiamata all'evangelizzazione ricevuta dai vescovi, da tutti i cristiani.
Questo è direi lo scopo di tutto il pontificato di Benedetto XVI, dall'omelia ad eligendum fatta ancora da cardinale alla vigilia del conclave del 2005, all'omelia all'inizio di pontificato fino alle catechesi settimanali.
Di nuovo ancora da teologo, Benedetto XVI dà due definizioni che saranno fondamentali per capire tanti momenti del suo pontificato, quella di dialogo ecumenico e quella di dialogo interreligioso: "Lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - ecumenismo - è incluso nella priorità suprema (...) la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace".
Tornando al punto iniziale della lettera, Benedetto XVI si interroga sul perché un atto che doveva essere di riconciliazione ha fatto tanto chiasso; un atto che il Papa stesso mette a un livello prettamente evangelico. La riconciliazione per il Papa è veramente necessaria: non è lecito abbandonare la pecora smarrita; mai Benedetto XVI nega che si tratti di pecore smarrite; ed è per questo che agisce da buon pastore.
A questo punto, avviandosi verso la fine della lettera, Benedetto XVI apre il cuore di pastore grato e allo stesso tempo ferito, e riconosce in tutte le situazioni ecclesiali le cose buone e allo stesso tempo quelle che sono fuori posto: "le cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi".
A conclusione della lettera, Benedetto XVI collega sia la lettera sia soprattutto i fatti - remissione della scomunica, reazioni suscitate e la stessa presente lettera - alla lectio da lui stesso fatta del testo di Galati, 5, 13-15 al Seminario Romano per la festa della Madonna della Fiducia a metà febbraio di quest'anno: ""Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!". Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore?".
I fatti che hanno suscitato la presente lettera sono analizzati lucidamente e schiettamente da Papa Ratzinger, e lui stesso ne prende atto, nelle cose buone e negli sbagli commessi e sicuramente evitabili, per fare che il governo collegiale della Chiesa col vescovo di Roma - a cominciare dagli episcopati mondiali fino agli organismi della Santa Sede a Roma - siano strumenti di collaborazione per il bene di tutta la Chiesa.
Queste righe sono nate da una lettura della lettera di Benedetto XVI, un testo a cuore aperto di un fratello ai fratelli. Siamo di fronte a un testo che ci manifesta quei quattro aspetti sì di Joseph Ratzinger, ma soprattutto di Benedetto XVI nel suo ministero come vescovo di Roma, aspetti a cui facevamo riferimento all'inizio di queste righe: serenità, sincerità, lucidità ed umiltà.
Siamo di fronte a uno dei grandi testi del magistero pontificio di Papa Ratzinger, Papa pastore, Papa teologo, Papa da un cuore umano e umile capace di rallegrarsi e di soffrire con e per i suoi fratelli e i suoi figli.

(©L'Osservatore Romano - 16 - 17 marzo 2009)


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17/03/2009 17:51
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LA MISSIONE DI PIETRO

DA MILANO

PAOLO LAMBRUSCHI

Una lettera diventata una testimonianza. Che dimostra forza e non debolezza e che ribadisce che il Papa non è mai solo.

Debitori del Concilio Vaticano II che ha valorizzato il ruolo del laicato, le associazioni di ispirazione cristiana intervengono sulla lettera di papa Joseph Ratzinger ai vescovi cattolici del mondo – resa nota giovedì scorso – dedicata alla remissione della scomunica ai presuli consacrati illecitamente nel 1988 dall’arcivescovo Marcel Lefebvre.

Alberto Fantuzzo, presidente Agesci

«Senza entrare nel merito della remissione della scomunica ai lefebvriani, il Santo Padre per noi ha dato una grande testimonianza. Noi scout sosteniamo che, per educare, a volte, vale più un gesto di tanti discorsi. E lui, con questa lettera, si è dimostrato un grande educatore. Ha ribadito che la Chiesa vuole spiegare e dialogare. In secondo luogo, ha affrontato con questa lettera una difficoltà comunicativa tipica del nostro tempo, nel quale i mass media con le loro tante e legittime interpretazioni di un evento, creano flussi di informazioni contrastanti che rischiano di confondere. Il Papa porta chiarezza in un momento non facile, riconosce le difficoltà della Chiesa. Ma davanti a queste non si ritrae, anzi » .

Andrea Olivero, presidente Acli

«A noi sono piaciuti i contenuti della lettera e il fatto che sia stata scritta. Il testo rilancia infatti l’ecclesialità e il metodo mette in evidenza il valore della fraternità. Benedetto sa sorprenderci, prende carta e penna per spiegare ai vescovi del mondo, ai suoi confratelli e quindi a tutti noi, perché ha preso certe decisioni. Mi pare che il testo delinei un progetto ecclesiale preciso. E da questa lettera non emerge certo la solitudine tratteggiata da certe analisi, anzi. Il Papa ricorda a tutti la propria umanità, il peso enorme che deve portare chi siede sul soglio di Pietro. Ma dimostra di non essere mai solo, ha sempre accanto a sé i vescovi e la Chiesa che lo aiutano a confermarci nella fede in Cristo » .

Carlo Costalli, presidente Mcl

«Già lo scorso 21 gennaio il nostro movimento apprezzò l’iniziativa del Pontefice verso i lefebvriani perché in questi tempi così difficili egli si è dimostrato capace di un coraggioso gesto di pace e di riconciliazione tra cristiani. Ora più che mai viene spontaneo dimostrare al Pontefice tutta la solidarietà del Movimento cristiano lavoratori. In questi giorni ho avuto modo di sentire l’apprezzamento per il suo gesto soprattutto da parte della gente comune, colpita da un Papa che riesce a riconoscere eventuali errori commessi dalla Chiesa dimostrando grande umanità e umiltà. Dopo questa lettera cresceranno ulteriormente il rispetto e l’apprezzamento per Benedetto anche da parte di tanti laici non credenti » .

Sergio Marini, presidente Coldiretti

«Una lettera condivisa e un gesto toccante. Colpisce un Papa che sa riconoscere quando sono stati commessi degli errori. Certo non ha sbagliato il Santo Padre, eppure ha dichiarato che in fondo la Chiesa è fatta di uomini. Ha dimostrato con l’umiltà del suo gesto che la comunità ecclesiale sa parlare a tutta l’umanità e vuole accompagnarla. Il suo gesto non esprime certo debolezza, come qualcuno ha insinuato, ma tutta la forza del Papa e della Chiesa cattolica » .

Giovanni Paolo Ramonda, responsabile Comunità Papa Giovanni XXIII

«In questo momento siamo particolarmente vicini a Sua Santità. Abbiamo apprezzato la sua grande generosità e il suo coraggio.
Esprimiamo pertanto sentimenti di profondo rispetto, edificati dal suo esempio di umiltà e sofferenza per il bene della Chiesa. Preghiamo per lui con intensità e profondo affetto filiale affinché tutti possano cogliere il significato profondo del suo gesto e si adoperino per riportare unità e pace nella Casa del Signore » .

Forum Internazionale delle università

«I partecipanti al Forum internazionale delle Università, provenienti a Roma da tutto il mondo per il Giubileo Paolino, desiderano manifestare i sentimenti di filiale e convinta adesione alla indicazione del Magistero papale.
Tornando nelle Chiese e nelle università desideriamo impegnarci a testimoniare la fecondità storica del Vangelo, consapevoli che l’attuale situazione socio- culturale sollecita i credenti ad esercitare con coraggio e creatività quella singolare esperienza che è la carità intellettuale » .

© Copyright Avvenire, 15 marzo 2009


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COMUNIONE E LIBERAZIONE

CARRÓN: «UNA MISERICORDIA CHE CI SFIDA»

La prima cosa che colpisce è il fatto che il Papa abbia sentito il bisogno di scrivere una lettera così: piena di dolore davanti all’incomprensione non tanto degli estranei, quanto dei cattolici. Caso insolito nella storia recente, da quanto ricordi, e segno del fatto che non capiamo un gesto che, come dimostra la lettera, è pieno di ragionevolezza.
Nella sua semplicità, è stato un gesto di misericordia per una parte di fedeli affidati alla sua paternità di pastore universale della Chiesa, che acquista tutta la sua portata davanti agli irrigidimenti di coloro che lo criticano, inclusi quelli a cui era rivolto. Questo gesto pone davanti a tutti lo scandalo cristiano. È difficile, infatti, che leggendo la lettera non vengano alla mente le parole di Gesù: 'Beato colui che non si scandalizza di me', rivolte a chi si arrabbiava perché mangiava coi pubblicani e i peccatori. La misericordia, gesto inequivocabile del divino, continua a scandalizzare come il primo giorno.
Peccato che questo succeda anche tra chi appartiene al popolo dei redenti, vale a dire, tra chi per primo è stato oggetto di una sconfinata misericordia.
Diversamente da quanti pensano che Benedetto XVI confermi i destinatari nella loro posizione, il suo gesto costituisce la sfida più grande davanti alla quale si siano mai trovati. Soltanto la misericordia sfida come nessun altro richiamo la nostra testardaggine. A chi molto viene perdonato, molto ama, dice Gesù. A nessun altro gesto è sensibile l’uomo come alla misericordia, tanto è vero che è stato il metodo di Gesù, come ci ricorda San Paolo: 'Quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi'. Quella del Papa è una risposta alla 'priorità che sta al di sopra di tutte, rendere Dio presente in questo mondo', un Dio incarnato il cui nome è 'misericordia', che si manifesta attraverso 'l’unità dei credenti'.
Questa lettera ha un 'respiro' di cui non possiamo non ringraziare il Papa, tanto più quanto più aumentano gli irrigidimenti di coloro che riducono la vita cristiana a un moralismo soffocante. Niente più di una lettera così mi fa sentire orgoglioso della mia appartenenza ecclesiale, pieno di fiducia che il giorno in cui io dovessi sbagliare sarei trattato con altrettanta misericordia.

Julián Carrón presidente della Fraternità di Cl

AZIONE CATTOLICA

MIANO: «DOBBIAMO IMPARARE LA PRIORITÀ SUPREMA, L’AMORE»

«La lettera che Benedetto XVI ha inviato ai vescovi della Chiesa cattolica in merito alla 'remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre' è per noi un dono». Lo sottolinea il presidente dell’Azione Cattolica Franco Miano commentando la missiva diffusa giovedì scorso, in cui Benedetto XVI esprime anche la sua amarezza per come un gesto di misericordia sia stato trasformato in pretesto per tensioni anche all’interno della Chiesa. La lettera, sottolinea in proposito Miano, «fa chiarezza innanzitutto nei confronti di quanti hanno voluto strumentalmente vedere, in quello che è 'un gesto discreto di misericordia verso quattro pastori' (per usare le stesse parole del Pontefice) un cambiamento di rotta, mai deciso e mai voluto, nel lungo cammino di dialogo e amicizia con gli ebrei». Come associazione – prosegue il presidente di Ac – «facciamo nostro il rammarico e la tristezza di Benedetto XVI per l’atteggiamento di coloro che hanno voluto intendere la revoca della scomunica come un riconoscimento delle posizioni dei lefebvriani sulla Shoah. Dimenticando troppo facilmente quanto tutta la Chiesa e lo stesso papa Ratzinger hanno fatto negli ultimi decenni per consentire un riavvicinamento tra cattolici ed ebrei». Nelle parole di Miano la volontà di essere a fianco di Benedetto XVI, nel credere «in una Chiesa che ha il dovere di essere misericordiosa, 'nella consapevolezza del lungo respiro che possiede'. Come scrive il Papa 'esser buoni educatori significa essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone». Con il Papa – conclude il presidente di Ac – «crediamo che sia necessario 'ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura', e con il Papa stesso ribadiamo che 'di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore».

RINNOVAMENTO

MARTINEZ: « LA FORZA MITE DELLA RICONCILIAZIONE »

È una vicinanza devota e affettuosa al Papa quella che esprime Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo, dopo aver letto la lettera di Benedetto XVI. « Tutto il movimento – dice Martinez – esprime sincero e convinto amore a Benedetto XVI perché se Pietro soffre per i lacci dell’orgoglio che incatenano il Vangelo, tutta la Chiesa è in sofferenza. Al contempo desideriamo confortare il cuore del Vicario di Cristo con l’affetto di decine di migliaia di fedeli appartenenti al Rinnovamento che ferialmente intercedono per il suo ministero petrino.
Il disagio interiore che il Pontefice attesta in questa sua accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo è lo specchio di un tempo che si ostina a relativizzare il bene, la verità, la virtù dell’obbedienza.
Un limite al quale possono anche non sfuggire coloro che hanno una responsabilità nella Chiesa » . « La lettera del Pontefice – aggiunge il presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo – non solo contribuisce a portare la pace nella Chiesa, ma ripropone all’attenzione dei Pastori la forza mite e sempre crocifissa del dialogo, della riconciliazione, della comunione nella Chiesa » . « Il cuore intelligente e umile del Papa – conclude – si è svelato in tutta la sua bellezza e provoca noi credenti ad accogliere la sfida dell’amore, che non elude i conflitti, ma li assume nella carità verso gli ultimi e i deboli » .

FOCOLARI

MARIA VOCE: «CI HA APERTO BRACCIA E CUORE»

È l’ansia di contribuire alla pace nella Chiesa, che si legge nella lettera del Papa, a colpire il Movimento dei Focolari. «È straordinaria – sottolinea la presidente Maria Voce – l’apertura con cui comunica il dolore per il fatto paradossale che un invito alla riconciliazione si sia trasformato nel suo contrario. Impressiona la grande umiltà del Papa nel riconoscere gli 'sbagli' e nel trarne i correttivi.
Condividiamo profondamente il suo dolore e apprezziamo l’amore con cui apre braccia e cuore a figli della Chiesa per sanare una ferita ancora aperta. La sua fedeltà al Concilio e alla ricca tradizione della Chiesa sono per noi uno stimolo ed una guida sicura». Nel suo intervento, la prima presidente del movimento dopo Chiara Lubich (morta esattamente un anno fa) sottolinea che «tocchiamo con mano la verità di quelle parole di san Paolo che rivelano l’amore di un Padre che volge al bene ogni cosa, per coloro che amano Dio.
Sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema, l’amore, ricorda il Papa. Proprio oggi, a un anno dalla conclusione del viaggio terreno di Chiara, sentiamo con forza risuonare le sue parole: 'Non temete di cedere tutto all’unità! Senza amare oltre ogni misura, senza perdere il giudizio proprio non saremo mai uno! L’unità innanzitutto!
Poco contano le discussioni, le questioni anche più sante, se non diamo vita a Gesù fra noi'. I frutti di luce, amore e pace che l’alto ministero del Papa è chiamato a portare nella Chiesa e nel mondo saranno commisurati all’unità con lui di tutti noi».

OPUS DEI

NORBEDO: « PATERNITÀ CHE ACCOGLIE TUTTI »

L’intera vicenda della scomunica e poi della revoca del provvedimento da parte di Benedetto XVI ricorda, a monsignor Lucio Norbedo, vicario per l’Italia della Prelatura dell’Opus Dei, la parabola del figliol prodigo. « Sono parole – dice – che coniugano la pacatezza e la commozione di una paternità che vuole abbracciare tutti i figli della Chiesa, aiutandoli a superare rigide contrapposizioni. Da un lato, si avverte il palpitare del cuore misericordioso del Buon Pastore, che non si rassegna a perdere nessuna delle sue pecore; dall’altro, il richiamo, sempre pastorale, a vagliare i giudizi troppo perentori alla luce del ' veritatem facientes in caritate' di san Paolo » . « Ne deriva – aggiunge monsignor Norbedo – una profonda gratitudine verso il Vicario di Cristo, ' il dolce Cristo in terra', come diceva santa Caterina e amava ripetere san Josemaría, fondatore dell’Opus Dei » .
«Quanto a certi attacchi scomposti – conclude –, penso che la reazione spontanea sia far sentire al Santo Padre il sostegno di un’orazione ancora più intensa per la sua persona e le sue intenzioni » .

NEOCATECUMENALI

DONNINI: « CI HA DONATO VERITÀ E CARITÀ »

«Un corpo solo nello Spirito di Dio » , così Giampiero Donnini, responsabile della prima Comunità Neocatecumenale della parrocchia dei Martiri Canadesi di Roma, esprime la vicinanza al Papa. « Il Santo Padre – spiega Donnini – ha sempre avuto il merito di parlare chiaro e senza ambiguità, anche a rischio di tante critiche, a partire dai discorsi della Via Crucis con Giovanni Paolo II fino alle omelie prima del conclave. Alla verità, Benedetto XVI ha unito la carità verso tutti, in particolare i fratelli separati cristiani, i nostri fratelli ebrei, gli ultimi e i peccatori. Ha sempre a cuore l’ansia per l’annuncio del Vangelo e per la ricerca dell’Unità come segno per essere credibili nell’annuncio del Kerygma: ' Siate Uno perché il mondo creda!'.
Pur essendo accusato di voler ritornare al passato e ignorare il Concilio – continua Donnini –, per quanto riguarda la Liturgia, noi del Cammino Neocatecumenale riteniamo che nell’approvazione definitiva degli Statuti ha voluto salvaguardare la prassi in atto che vede nella Veglia di Pasqua il massimo fulgore dell’Amore di Dio che si spezza per noi e risorge regalandoci la vita eterna » .

SANT’EGIDIO

IMPAGLIAZZO: «RIVELA GRANDEZZA D’ANIMO»

È un gesto di pace. Oltretevere, nella Comunità di Sant’Egidio, così interpretano la lettera del Pontefice, e lo sottolinea efficacemente il presidente Marco Impagliazzo. «La lettera di Benedetto XVI – dice – è un atto di umile sincerità e di grandezza d’animo, che suggerisce un modo di comunicare nella Chiesa. Abbiamo colto, fin dall’inizio di questa vicenda, il disegno del Papa di evitare che una parte, pur piccola, del mondo cristiano cadesse in una deriva settaria, ma ritrovasse, con misericordia e chiarezza, la via della grande Chiesa del Concilio». «La ricerca dell’unità – sottolinea Impagliazzo – è nel cuore del ministero del Papa e nella vocazione della Chiesa. A questo si ispirano l’ecumenismo e, per altro verso, i gesti verso i tradizionalisti. Solo più uniti i cristiani potranno rendere 'Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio'. Si tratta di liberarsi da una cultura del nemico in un mondo dominato dall’estemporaneità che identifica facili bersagli.
Questo riguarda anche i cristiani, talvolta prigionieri di una visione 'politica', incapaci di muoversi nella logica della comunione e di aspirare a cose grandi».

© Copyright Avvenire, 15 marzo 2009


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Se questo è un Papa debole

GIANNI BAGET BOZZO

Un Papa che ammonisce una vasta corrente episcopale accusandola di essere motivata dall’odio non è un Papa debole. Esercita in pienezza il carisma petrino e ricorda le parole sulla «sporcizia» della Chiesa, che da cardinale indicò nella cerimonia penitenziale romana negli ultimi giorni di Giovanni Paolo II.
Ora accusa dei vescovi d’«avere bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza, contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio». Significa che una parte dell’episcopato ha visto la comunità di Econe un capro espiatorio contro cui affermare la propria identità. E Benedetto ha visto se stesso oggetto di quest’odio. Se qualcuno osa avvicinarsi a Econe, anche se è il Papa, «perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo». Non si può chiamare debole un Papa che rivolge l’accusa di avere l’odio come mezzo d’identità a grandi correnti episcopali e teologiche, a una cultura cattolica dominante.

Non lo si può descrivere con l’immagine di un teologo raccolto nei libri e inteso a scrivere la vita di Gesù.

Benedetto non è un Papa teologo, è un Papa spirituale che usa radicalmente il carisma di Papa come potere profetico rivolto alla Chiesa universale.

Ma la cosa più grave che il Papa ha detto è d’aver avuto soccorso dagli amici ebrei che l’«hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e fiducia» verso una persona il cui lavoro teologico era stato rivolto fin dall’inizio con un ruolo di protagonista a promuovere «tutti i passi di riconciliazione per cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio». Un aiuto che non è giunto al Papa dall’Israele spirituale, la Chiesa, gli è giunto dall’Israele carnale, le autorità dell’ebraismo e dello Stato d’Israele. È singolare questa congiunzione che si è posta tra il mondo ebraico e l’autorità spirituale del Papa romano. Ciò dà un quadro nuovo al lungo pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, in cui i temi del rapporto tra Israele e la Chiesa saranno posti in piena luce. Ma la forza di papa Benedetto verso coloro che vedono il Vaticano II una rivoluzione nella Chiesa tesa a recepire il moderno come rifondazione dell’esistenza storica del cattolicesimo sino ad annullare il concetto stesso di cattolicesimo, sta nel fatto che la congiuntura intesa come il «segno dei tempi» da Giovanni XXIII è crollata nei fondamenti ed è rimossa dalla realtà. La grande abdicazione della Chiesa di fronte alla modernità ha situato la corrente progressista modernista fuori dai nuovi segni dei tempi: l’avvento della tecnica, la via del razionalismo, l’eclissi della filosofia moderna, la società mondiale, l’emersione dell’Islam e delle potenze dell’Asia.
Il Vaticano II si muoveva nella società eurocentrica nel secondo millennio, il terzo millennio vede altri tempi.

Se la Chiesa d’oggi s’inginocchiasse dinanzi al mondo non troverebbe alcun mondo disposto a raccogliere l’omaggio. Il riallacciamento della Chiesa postconciliare con la Chiesa dei millenni è la condizione per cui la Chiesa può fondarsi in Dio e non sull’egemonia delle opinioni.

Non è finita la storia, ma la storia del ‘900 è sicuramente finita. Per questo il Papa pone a tutta la Chiesa, e anche a Econe, di fare un gesto di fiducia in lui, che ha espresso da teologo, da cardinale e da Papa, la continua fondazione della Chiesa nella Tradizione e nella sua fedeltà al Cristo vivente in essa. I colloqui tra Roma ed Econe continueranno e il Papa spera di coglierne il frutto.

Se questo è presentato come un Papa debole, vorremmo sapere cosa dovrebbe fare un Papa forte. Se forte vuol dire essere veramente Papa.

© Copyright La Stampa, 17 marzo 2009


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Perché il Papa difende la tradizione

di Redazione

Papa Benedetto ha posto la lettera ai vescovi cattolici sotto l’insegna dell’invito di San Paolo nella lettera a Galati a «non mordere se stessi».
È un documento singolare perché non è né dottrinale né disciplinare e si rivolge ai vescovi non come istituzioni ma come persone. Li invita a non fare dell’odio lo strumento della motivazione del loro compito nella vita della Chiesa.
Secondo il Papa la comunità di Econe è diventata un capro espiatorio, l’indicazione di ciò che va rimosso per garantire la purezza della Chiesa conciliare nella sua rinnovata identità. Ciò indica la presenza della tendenza a intendere il Vaticano II come un nuovo inizio della Chiesa, la rivoluzione della modernità compiuta oltre le istituzioni della controriforma. Significa annettere alla Chiesa il concetto moderno di rivoluzione, cioè quello di una identità ritrovata mediante la negazione e la rimozione della Tradizione, per cui il passato diviene, per usare l’espressione di Hans Kung, la «cattiva essenza» della Chiesa.
Che tale sia stata la lettura del Concilio nel mondo cattolico appare evidente. Lo apparve soprattutto negli anni di Paolo VI, in cui il Papa venne visto come la limitazione e la sconfessione della grande scelta di Giovanni XXIII di mutare radicalmente l’esistenza della Chiesa cattolica. Che tale non fosse l’intenzione di Papa Roncalli questo è evidente: e la beatificazione con cui è stato onorato indica che per la Chiesa di Roma la rottura della tradizione non era ciò che Giovanni XXIII intendeva per aggiornamento.
Roncalli esprimeva quello che potremmo chiamare modernismo moderato evitando le radicalizzazioni compiute dalle due parti sotto il Pontificato di San Pio X. Eppure che San Pio X non avesse avuto tutti i torti è apparso proprio dal fatto che il modernismo moderato di Papa Roncalli ha determinato una rivoluzione nel mondo cattolico e fatto del moderno la categoria a cui tutto va conformato.
Ciò comporta la negazione della Tradizione come fonte di verità nella Chiesa e soprattutto la rimozione del Papato come autorità suprema nella Chiesa fondata sul carisma petrino.
La fine del comunismo ha tolto di mezzo la grande provocazione che l’idea di rivoluzione suscitava nel mondo cattolico. Esso accettò di declinarsi, in forme molto diverse, con l’idea di una rottura rivoluzionaria con l’Occidente e il capitalismo, facendo del popolo di Dio il nuovo esercito dei sanculotti. Ma qualcosa di quell’idea rivoluzionaria è rimasta. E quando Papa Benedetto riporta l’idea di Tradizione e del carisma petrino come fondamento della Chiesa formalmente al centro del magistero suscita una contraddizione impotente perché non alternativa, non capace di indicare un’altra linea, ma appunto per questo più carica di odio. La modesta realtà della fraternità di San Pio X viene vista come un corpo maligno.
Benedetto offre la fraternità, la comprensione del carattere perenne della liturgia tradizionale e quindi l’occasione di compiere un grande gesto: cioè quello di confermare che l’interpretazione di Papa Ratzinger del Concilio come continuità è capace di estinguere lo scisma che l’idea del Concilio come rivoluzione aveva suscitato. Ciò comporta il riconoscimento non solo e non tanto della fraternità San Pio X, quanto di quella vasta e prevalente parte del mondo cattolico che aveva sentito il monopolio dei teologi progressisti nella interpretazione del Vaticano II come qualcosa che toglieva a loro la dimensione ecclesiale della loro fede cattolica. Questa visione del Concilio come rivoluzione ha avuto sede in molte parti della Chiesa. E in Italia opera la scuola di Bologna, fondata da don Giuseppe Dossetti, che si fonda come idea fondamentale sul concetto che Paolo VI ha deformato e svuotato l’idea di riforma ecclesiale della Chiesa iniziata da Giovanni XXIII e che vi è una contraddizione vivente tra il fondatore Giovanni e il deformatore Paolo.
Giuseppe Alberigo nella sua storia del Vaticano II ha costruito l’informazione sul Concilio alla luce della grande rottura tra Giovanni e Paolo ed è quindi l’espressione dell’odio teologico nei confronti dell’opera di Benedetto di interpretare il Concilio come un Concilio che ha riespresso alcuni ripensamenti del linguaggio, ma ha mantenuto il pieno valore della struttura dogmatica e dottrinale della Chiesa cattolica dei due millenni. La scuola di Bologna, potenziata dalla forma teologica del san Raffaele di Milano, è il cuore di questo sentimento di rigetto anche in Italia e nell’Episcopato italiano. Nei mezzi di informazione come nella Chiesa. Ciò opera soprattutto nelle edizioni paoline. La sua realtà ha avuto dimensioni anche politiche ma proprio in politica è stata battuta. Ma anche in politica ha portato quel carisma dell’odio che la contraddistingue.

© Copyright Il Giornale, 17 marzo 2009


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Il metodo di Benedetto XVI. Pietro De Marco commenta la lettera del papa

Niente di più ottuso del giudizio ritornante [da ultimo con Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” del 15 marzo] che addita già nella lezione di Ratisbona un incidente da colpevole imprudenza – in quel caso nei confronti del mondo islamico –, il primo di una serie di incidenti di percorso del pontificato di Benedetto XVI, l’ultimo dei quali sarebbe ravvisabile nella remissione della scomunica ai vescovi della Fraternità di San Pio X.

Un recente articolo del medievista tedesco Kurt Flasch rappresenta un bell’esempio di arrogante superficialità in questa direzione, anche in quanto proviene dall’intelligencija accademica cattolica. Per Flasch le responsabilità di un pontificato intessuto di errori andrebbero, addirittura, equamente divise tra l’autoisolamento di Joseph Ratzinger e i limiti stessi della svolta conciliare, colpevole di non aver intaccato il primato petrino. Una lettura estrinseca, e una assoluta incomprensione.

Già allora era evidente come vi fosse una linea inconfondibile nella importante lezione di Benedetto XVI nell’aula magna dell’università di Ratisbona: la decisione di non evitare la “pars” critica entro un disegno dialogico. La profonda visione strategica di papa Benedetto sembrava operare ad integrazione del magistero di Giovanni Paolo II, usando quel delicato e fermo discernimento sui temi della verità e della ragione che Joseph Ratzinger cardinale aveva esercitato, come prefetto della congregazione per la dottrina della fede, sui disastri teologici maturati entro la Chiesa postconciliare.
Un’opera difficile, poiché derive e squilibri nell’intelletto cattolico avevano indotto errori antagonistici, ad esempio nell’ampia e differenziata area delle reazioni “tradizionalistiche”.

Che il discernimento e la sanzione dell’eccesso dovessero essere intesi come leale, fattiva, premessa all’incontro è risultato dagli atti successivi di Benedetto. Poiché la storia cattolica precedente il Concilio Vaticano è il vitale orizzonte dello “spirito” del Concilio stesso e della sua realizzazione – realizzazione che molti estremismi hanno vissuto invece come incompatibile col passato – gli atti di pace iniziano necessariamente da quelle aree di sofferente ortodossia “tradizionale”, anche se troppo esibita, che si richiamano alla storia preconciliare.

Solo un uso politico del Concilio, non la sua dottrina, ha declassato sotto il pretesto della “rottura” conciliare, e respinto ai margini della vita cattolica, i secoli di vitale, autentica Tradizione cui i tradizionalisti cattolici si richiamano.

Dico subito che, come la sollecitudine per l’integrità della storia liturgica, anche la nuova apertura alla Fraternità di San Pio X è, in Benedetto, ordinata a ricondurre la vita cattolica alla sua essenziale natura di “complexio”.

La riabilitazione di stili, sensibilità e forme della storia cristiana intende agire come paradigma stabilizzatore delle derive centrifughe, della frammentazione soggettivistica, che operano non solo nelle sperimentazioni avanzate, ma anche nella pastorale corrente.

La stabilizzazione esige, però, che quello che ho chiamato “uso politico” del Concilio divenga consapevole del proprio eccesso squilibrante, della propria parzialità; e ne tragga conseguenze autocritiche. Così l’obiettivo della riconciliazione nel seno della Chiesa diviene parte di un più ampio intervento medicinale per la Chiesa universale.

Già le stesse violente reazioni negative al motu proprio “Summorum pontificum” confermavano senza volerlo l’urgenza dell’azione medicinale di papa Benedetto.
Nelle pazienti pagine di chiarimento degli intenti del “Summorum pontificum” si affermava che il rito latino non è un altro rito, che la sua presenza nel popolo cristiano è memoria costruttiva, e la sua celebrazione legittima e opportuna. La ricchezza longitudinale, per dire così, storico-tradizionale della “complexio” è, dunque, il dato primario cui attingere; e così deve intendersi di conseguenza la “moderatio sacrae liturgiae” esercitata dal vescovo-liturgo. E il vescovo non dovrà ignorare che la nuova libertà delle comunità “tradizionali” opera da correttivo, se non da risarcimento, di un’indebita frattura pratica e, prima ancora e più gravemente, ideologica spesso consumata nel Novecento contro la stessa costituzione “Sacrosanctum Concilium”, con la cancellazione di fatto dello spirito liturgico, quasi lasciando intendere ch’esso fosse o fosse diventato inadeguato sia come “lex orandi” sia come “lex credendi”.

L’azione riformatrice del pontefice si conferma, dunque, rivolta contro una lettura ideologica e sostanzialmente “rivoluzionaria” del Concilio che è stata data da élite teologiche e pastoralistiche cattoliche ed è lentamente penetrata nei laicati parrocchiali. Slittamenti che hanno una preoccupante incidenza sulla fede.

Si tratterà sempre, per Benedetto XVI, di assumere il rischio di indicare “opportune et importune” l’eccesso, quando dottrine e condotte oltrepassano soglie estreme di tollerabilità. In effetti lo spazio di tolleranza, implicito nella ricerca e nella condotta dialogica, ha i suoi confini teorici e pratici, richiesti dalla logica stessa del confronto aperto.

Da ciò, ogni volta, arrivano degli “scandala”, previsti e non previsti, ma opportuni nel disegno di Dio.

Che si tratti dell’intenso confronto con l’islam, o della dedizione al dialogo con gli ebrei (una riconciliazione nella chiarezza del peculiare compimento della storia sacra in Cristo), o della cura per l’unità della Chiesa nell’unità della tradizione vivente, i contingenti “scandala” e il loro sofferto superamento portano a coscienza, nelle parti in causa, proprio le soglie critiche che il cammino di Pietro, e la sollecitudine di Roma, attraversano.

Questo cammino di Pietro è a vantaggio di tutti. Vana e un po’ indecente, rispetto al movimento profondo del pontificato, è la “sprungbereite Feindseligkeit” che la lettera del 10 marzo denuncia, quel gusto di inimicizia e piacere di aggredire Roma, che attendono solo l’occasione per manifestarsi senza responsabilità e, davvero, senza intelligenza.

Il percorso di reintegrazione dei vescovi della Fraternità di San Pio X nella comunione ecclesiale costituisce, alla luce di quanto detto, un ulteriore profondo e coraggioso atto sovrano, complementare al “Summorum pontificum”.

La speranza che mi sembra di cogliere dalla decisione di Benedetto XVI è quella di essere, di persona e costantemente, la prova della essenziale presenza della Tradizione tra noi, presenza che valga da medicina al contemporaneo disorientamento, pastorale e dottrinale, delle comunità cristiane; disorientamento non infecondo, ma non per questo meno bisognoso di una amorosa, ferma guida. E non vi è dubbio che procedere in questa direzione sia importante e urgente. Di più urgente, dirà la lettera, di prioritario, per il successore di Pietro vi è il “confirma fratres tuos” (Luca 22, 32), che ha un contenuto sovrano: “aprire agli uomini l’accesso a Dio, non a un qualsiasi dio, ma quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto fino alla fine in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

Basti pensare che la non-accettazione del magistero del Concilio, o la più contingente disapprovazione degli atti ecumenici di Benedetto XVI, da parte dei membri della Fraternità, sono almeno simmetriche per gravità alle recezioni discontinuistiche del Concilio, quando esse si pongono come eversive della tradizione dei Concili antichi: ad esempio il serpeggiante anticalcedonismo delle scuole teologiche, o l’antagonismo alla cristologia dei Concili nel biblicismo cattolico riduzionista.

Colpiscono, non positivamente, i modi della reazione di alcuni episcopati alla revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità.

Viene da chiedere: di fronte a quali loro indiscutibili ricchezze certi episcopati pensano che si possa “lasciare andare alla deriva” il patrimonio di fervore, carismi e probabilmente santità, “quell’amore per Cristo e volontà di annunciare Lui, e con Lui il Dio vivente”, racchiuso (magari a rischio di restarvi congelato) negli uomini e nelle donne della Fraternità di San Pio X?

Si deve dire con franchezza che alcune gerarchie nazionali meglio farebbero ad analizzare le proprie drammatiche incapacità di affrontare il presente: la loro tolleranza, o impotenza, verso teologie devianti e programmatici abusi disciplinari e liturgici, come verso la permeabilità di cleri e laicati qualificati a ideologie e politiche secolarizzanti.

È forse la difficoltà, la dolorosità, di questa analisi per molte élite cattoliche mondiali che le spinge, con un meccanismo tipico dell’intelligencija di ogni epoca, a isolare un gruppo come la Fraternità “al quale – scrive il papa – non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter scagliarsi tranquillamente (ruhig) con odio”. Un capro espiatorio tabuizzato, che non può essere avvicinato, neppure dal papa, senza divenire immondi agli occhi di quella stessa intelligencija.

La domanda provocatoria, elevata dai critici contro Joseph Ratzinger: “Ci dica il papa se dobbiamo ancora seguire il Concilio o ritornare alla Chiesa del passato”, è una conferma di questa “vittimizzazione” (nel senso di René Girard) del preconcilio e dei suoi difensori. Ma che i segni preferenziali per la selezione della vittima espiatoria siano il catechismo di Pio X o la messa tridentina, indica quanta falsa scienza sottende la violenza e il disprezzo di cui sono stati fatti oggetto i membri della Fraternità. Girard sostiene, infatti, che il meccanismo del capro espiatorio funziona come “una falsa scienza, una grande scoperta, una rivelazione”.

Nella recente vicenda il disprezzo vittimizzatore ha trovato un pretesto da manuale nella “deformità odiosa” oggettivamente riscontrabile su alcuni, il “negazionismo”. Su questo solo una glossa: sarà istruttivo vedere come reagiranno da ora in poi i protagonisti del “crucifige” contro il vescovo Williamson di fronte al negazionismo strisciante, e neppur tanto nascosto, dell’intelligencija mondiale anti-israeliana.

Leggo un passo decisivo della lettera di Benedetto XVI ai vescovi del 10 marzo scorso: “Non si può congelare (einfrieren) l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962: ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità [di San Pio X]. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori (Verteidiger) del Concilio, deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale (Lehrgeschichte) della Chiesa. Chi vuole essere obbediente (gehorsam sein) al Concilio deve accettare la fede professata nel corso dei secoli (den Glauben der Jahrhunderte, la fede dei secoli) e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.

Priorità suprema della Chiesa e del successore di Pietro è dunque “condurre gli uomini verso il Dio che parla nella Bibbia”, non un dio qualsiasi. Si è subito provveduto, in Italia, [con Enzo Bianchi su “La Stampa” di domenica 15 marzo,] a dare benevolmente dei contenuti innocui e riduttivi alla sollecitudine petrina per questa fede “professata nei secoli”. Essa dovrebbe promuovere, si è scritto, non “inimicizia verso l’umanità di oggi, ma il desiderio di impegnarsi giorno dopo giorno per migliorare la convivenza civile, combattere l’idolatria sempre rinascente, frenare il decadimento nella barbarie, favorire la pace e la giustizia”. Quando invece si sa che la diagnosi ratzingeriana della contemporanea “Orientierungslosigkeit”, mancanza di orientamento, esprime proprio amicizia, non inimicizia per l’uomo.

Certo, non si vede a che serva “l’intera storia dottrinale” della Chiesa se, a coronamento di tutto, si risolvono l’assiduità con la Parola di Dio e la differenza cristiana in istanze di ordinaria moralità pubblica, buone a tutti gli usi, anche a contingente polemica politica. Basterebbe a costoro il residuo cristiano della religione civile di Rousseau, magari equivocata con il messaggio traente e rivoluzionario del Concilio.

Pietro De Marco

Firenze, 17 marzo 2009

© Copyright Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister


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Da "Rinascimento Sacro"...

GIOVEDÌ 19 MARZO 2009

Ma il Popolo di Dio è con il Papa

Una sorprendente lettera di alcuni giovani della parrocchia di Rio Saliceto (RE) commenta con lucida vitalità le parole del Santo Padre sulla remissione della scomunica lefebvriana. «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. " (Mt 11,25)

Subito dopo l’elezione del card. Ratzinger a Papa, si era avvertito malumore tra il “basso” e “l’alto” clero, un gran “mal di pancia”, con annessi e connessi. La scusa immediata consisteva nel fatto che Papa Ratzinger non era carismatico come Giovanni Paolo II oppure che era un tedesco, duro e schematico. La verità era che si temeva mettesse ordine nella Chiesa, dove, lui stesso, nella famosa via Crucis del 2005, aveva affermato che c’era sporcizia.

Di fatto è accaduto che tutti fossero spiazzati dalla sua affabilità quasi timida e dalla forza delle sue parole profonde, vere, ma così semplici che l’umile popolo di Dio avvertiva alla sua portata e per il suo cuore. Lui, il teologo, descritto dai “chierici” come caustico, aveva il dono di essere, nello stesso tempo, alto, profondo e semplice. A dire il vero, si era già capito da tempo e in particolare nei discorsi ai funerali di don Giussani, a quelli di Giovanni Paolo II, e nell’omelia tenuta ai cardinali prima del Conclave che tempra d’uomo fosse e che vescovo teologo e pastore si nascondesse in quella persona.

I teologi, gli esegeti, gli esperti nelle dottrine ecclesiastiche, i liturgisti di mestiere, gli studiosi del Concilio Vaticano II si sono trovati di fronte a uno che la sapeva lunga più di loro, ma che, in più, era innamorato di Cristo e della sua Chiesa e sapeva trasmettere in maniera più autentica ed efficace il calore e la semplicità del Vangelo.

La piazza di S. Pietro, la sala Nervi sempre più affollate, le giornate della gioventù piene della sua inaspettata paternità e di una sapienza che rendeva più giovane il cuore dei giovani facevano ricredere dai preconcetti costruiti ad arte su di lui. Per questo suo impatto simpatetico, per la stima che man mano acquistava anche da parte di tanti laici qualificati e non cattolici, molti, nel mondo cattolico, si sentivano a disagio perché, al fondo, amorevolmente sbugiardati. Così, ogni volta che si poteva trovare un appiglio, una probabile occasione di critica, non avevano remore nel contestargli parole e gesti come inopportuni o non in linea, secondo loro, con il Concilio.

Poi è arrivato il Motu proprio “Summorum Pontificum”: un piatto inaspettatamente provvidenziale. A cominciare dai liturgisti, arroccati nelle loro posizioni progressiste, le uniche, secondo il loro sentenziare, conformi allo spirito del Concilio, fino a eminenti vescovi e cardinali, si sono elevate proteste, dissensi, perfino proibizioni a mettere in atto ciò che il Motu proprio permetteva. Permetteva, non obbligava. Il Papa “tradizionalista” permetteva; i progressisti, autodefinitisi democratici e liberali, proibivano, ostracizzavano. Il Motu proprio veniva tacciato per “Motu improprio”: una grande ilarità clericale! Persino il Battesimo di Magdi Allam da insegnanti di seminario è stato velenosamente dichiarato un atto di violenza.

Non ci restava che togliere la scomunica ai lefebvriani! I suddetti chierici, spesso pauperisti, lassisti su questioni sessuali, democratici e aperti a tutte le religioni, non potevano accettare che il Papa tentasse un cammino di perdono e riconciliazione con una parte di cristiani certo non facili, ma convinti e fin troppo “ortodossi”. Per loro, questi cristiani di serie b sarebbero irrecuperabili, la peste della Chiesa. A tutti: ladri, assassini, bestemmiatori, pedofili, atei, pagani, conviventi, stupratori ecc… assoluto perdono anche se non pentiti. Ai lefebvriani: per sempre chiuse le porte della Chiesa.

Loro, i chierici “d.o.c.”, sono sempre nel giusto, non sbagliano mai, non hanno bisogno di fare esperienze di misericordia, pertanto non la immaginano nemmeno per gli altri. Gli altri hanno sbagliato perché non hanno aderito supinamente alle loro sacre invenzioni, alle tiritere borsose delle loro liturgie o alle loro impostazioni pastorali dove c’è posto per tutto meno che per Cristo e il magistero papale: per questo scomunica eterna. E poi, insomma, dicono sempre costoro: “Dov’è la collegialità? Il Papa non è il Vescovo di Roma? Faccia il Vescovo a Roma. Se vuol parlare pubblicamente deve assoggettarsi al parere degli altri vescovi, altrimenti dove sono la democrazia e la collegialità?”

Ha proprio ragione il card. Ruini: è andata persa la coscienza dell’appartenenza alla Chiesa Cattolica. La diocesi è la Chiesa Cattolica in un territorio. Parlare di diocesanità senza partire da questa coscienza è un ridicolo e rischioso inganno, come ci testimonia il protestantesimo.

Noi siamo obbedienti ai vescovi perché siamo obbedienti al Papa. Ma se loro non obbediscono al Papa e non sono in comunione con lui, si scordino che noi obbediamo a loro!

***

Quia mitis sum et humilis corde

In quel tempo Gesù disse: « Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Mt 11, 25-30


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Intervista a Mons. Fellay- Il Foglio 20-03-2009

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LEFEBVRIANI/ Mons. Fellay: chi attacca il Papa è contro la tradizione

Il Papa è «il supremo custode della Tradizione» della Chiesa, e per questo è continuo bersaglio di attacchi da parte del «mondo progressista» uscito vincitore dal Concilio Vaticano II e «alleato con lo spirito moderno liberale». Lo ha detto il segretario generale della Fraternità lefebvriana di San Pio X, mons. Bernard Fellay, in una intervista al quotidiano Il Foglio.
Intervistato da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, già autori di un libro intervista dal titolo «La tradizione. Il vero volto», l'attuale capo dei lefebvriani torna a sottolineare l'esistenza di un «legame ontologico» fra il Papa e la tradizione, conferma la disponibilità dei lefebvriani, che definisce «cattolici normali», a confrontarsi con gli esiti del Concilio e con il post-concilio. Precisa poi che il Vaticano II «si è autodefinito concilio “pastorale e non dogmatico” e che i dubbi che permangono sulla sua corretta interpretazione lo confermano. Il problema tuttavia - sottolinea Fellay - non è solo dottrinale.«'Durante il Concilio si fronteggiarono due parti: una tradizionale, rappresentata soprattutto dalla Curia romana, e un'altra progressista. Fu quest'ultima a vincere - afferma nell'intervista - e mise fin da subito nel mirino il papato».
«Il mondo progressista, che si è alleato con lo spirito moderno liberale, appena vede la chiesa levare la sua voce forte e chiara per ristabilire la verità, reagisce attaccando il Papa». «La nostra vicenda - conclude il capo dei lefebvriani - è solo l'ultima in ordine di tempo».

© Copyright Il Sussidiario, 20 marzo 2009

Più chiaro di così!!!! [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] [SM=g7841] (Intervista completa qua.


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Lefebvriani/ Bagnasco: Attacchi pretestuosi a Papa e gerarchie

Specie dall'estero. Insolente chi gli fa dire quel che non dice

Roma, 23 mar. (Apcom)

Sul caso dei lefebvriani, Papa Benedetto XVI è stato investito da "un pesante lavorio di critica, dall'Italia e soprattutto dall'estero", che si è prolungato "oltre ogni buon senso" e che ha alimentato "comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia", secondo il cardinale Angelo Bagnasco, che punta il dito anche contro l'atteggiamento "un po' insolente" di chi, all'interno della Chiesa, vuole "far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice".
"Si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica - dall'Italia e soprattutto dall'estero - nei riguardi del nostro amatissimo Papa, a proposito dapprima della remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre nel 1988, e al caso Williamson che - ha sottolineato - imponderabilmente vi si è come sovrapposto", ha detto il presidente dei vescovi italiani aprendo il consiglio permanente della Cei (23-26 marzo). "Nessuno tuttavia poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio, cui ha inteso porre un punto fermo lo stesso Pontefice con l'ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica. Di proposito non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre", ha aggiunto Bagnasco, stigmatizzando, comunque, "atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia".
Quanto alla missiva del Papa, "la sua disanima, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi - ma, per analogia, anche di certe discutibili e ricorrenti prassi ecclesiali - ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa leproprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all'insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo".
In questo senso, Bagnasco ha fatto proprio l'appello di Benedetto XVI "alla riconciliazione più genuina e disarmata" nella Chiesa, "e questo naturalmente - ha tenuto ad aggiungere - esclude che si perpetuino letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice. Che è un modo discutibilissimo, persino un po' insolente, per costruirsi una posizione distinta dal corretto agire ecclesiale. Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente". Nei giorni scorsi il quotidiano 'Il Foglio' aveva criticato il priore della comunità di Bose Enzo Bianchi e lo storico Alberto Melloni con un articolo intitolato 'Catto-opinionisti fanno dire a Benedetto XVI quello che non dice'.

Apcom


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Pretendo il mea culpa da chi diceva che Benedetto XVI non è amico degli ebrei

La straodinaria lettera del Papa sul caso dei lefebvriani dà ragione a chi, per esempio Jacob Neusner, ha sempre sostenuto che è proprio grazie a uomini come Ratzinger che il dialogo fra ebrei e cristiani vive e prospera

di Giorgio Israel

È un documento davvero straordinario e destinato a passare alla storia la lettera di Benedetto XVI ai vescovi della Chiesa cattolica circa la remissione della scomunica ai quattro presuli consacrati dall’arcivescovo Lefebvre.
Lo è in primo luogo per la chiarezza assoluta con cui viene esaminato il caso in tutti i suoi risvolti, anche a costo di affrontare la polemica e pronunziare giudizi crudi. Non un dettaglio è trascurato (persino il ruolo di internet), non un aspetto è lasciato in ombra, in particolare per quel riguarda le implicazioni scandalose del caso Williamson derivanti dalle sciagurate dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Ma lo è soprattutto per il tono appassionato con cui il Papa ha messo a nudo il suo animo e le intenzioni che lo hanno guidato nell’affrontare questa vicenda. Ne discende che aveva ragione chi, nelle tempeste di questi ultimi mesi, ha sostenuto che i rapporti ebraico-cristiani non erano compromessi in alcun modo dalle scelte di Benedetto XVI.
Il rabbino Jacob Neusner, con le cui tesi il Papa aveva intessuto un dialogo teologico nel suo Gesù di Nazaret, ha sostenuto, al contrario, che è proprio grazie a uomini come lui che il dialogo ebraico-cristiano vive e prospera. Egli ha riconosciuto la bontà delle intenzioni del Papa, osservando che il nuovo corso iniziato con il Concilio «è stato riaffermato nella risposta che con cuore puro il Papa ha dato alla mia conversazione immaginaria inserita nel mio libro». È un corso che potrà avere intoppi, ha dichiarato Neusner, ma è irreversibile. E la stragrande maggioranza dell’ebraismo mondiale ha aderito a tesi simili riprendendo in pieno il cammino del dialogo.
È anche la tesi sostenuta ripetutamente da chi scrive, insieme ad altri ebrei italiani come Guido Guastalla, e che ci è costata una serie di nutriti lanci di pietre. Sarebbe preferibile non parlare di casi personali in una rubrica, ma ci sono circostanze in cui si ha diritto a togliersi dalle scarpe qualcuna di quelle pietre. Quando sostenemmo che la nuova preghiera del Venerdì santo non doveva essere intesa come un arretramento verso una logica di conversione forzata qualcuno ci trattò come “ebrei di corte”. Quando venne avanzata la proposta di interrompere il dialogo ebraico-cristiano manifestammo in modo pacato il nostro dissenso. Apriti cielo. Alcuni esponenti dell’ebraismo italiano, presumendo di avere un’autorità dogmatica, ci attaccarono in modo violento, nello stile “taci tu, ché soltanto io ho il diritto di parlare”. Poi venne il caso Williamson e fummo tra i primi a chiedere il massimo di chiarezza, certi che sarebbe venuta proprio dal Papa, proprio perché eravamo convinti della trasparenza delle sue intenzioni.
Allora è venuta una scarica di legnate da parte di alcuni cattolici convinti che per dimostrare di essere tali bisogna eccedere in zelo e mostrarsi fanatici: presuntuosi e arroganti ebrei che “attaccano” il Papa, è stato detto, proprio a chi lo aveva difeso da attacchi infondati.
Ora, dopo che proprio dal Papa è venuta la conferma più autorevole che era giusto quanto venivamo dicendo e che i fatti hanno dimostrato quanto fossero ingiuste e detestabili quelle scariche di pietre provenienti da entrambi i lati, sarebbe naturale ricevere delle sentite scuse. Ne è venuta una soltanto, e da una persona che ha avuto un ruolo secondario nei lanci. Troppo poco. Quantomeno ci si attenderebbe un decoroso silenzio. Ma, si sa, un bel tacer non fu mai scritto. Difatti, alcuni dei protagonisti di quelle incivili aggressioni si stanno attivando per proporsi come protagonisti del rinnovato dialogo ebraico-cristiano… No comment.

© Copyright Tempi, 24 marzo 2009


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