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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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09/07/2012 23:29
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Vaticano/ Capitolo generale Lefebvriani,cresce tensione con Roma


Neoprefetto Dottrina fede accusato di eresia. "Stupidaggini"


Città del Vaticano, 9 lug. (TMNews)


Inizia oggi a Econe, in Svizzera, il capitolo generale dei Lefebvriani, che durerà fino a sabato, sullo sfondo di un inasprimento dei rapporti con la Santa Sede. L'incontro cade a metà mandato del superiore Bernard Fellay, eletto per 12 anni sei anni fa nel ruolo che fu del fondatore Marcel Lefebvre, responsabile dello scisma che Papa Ratzinger ha tentato di superare.
L'incontro, che vede raccolti nel quartier generale dei tradizionalisti i responsabili delle comunità lefebvriane in giro per il mondo, sarà monopolizzato dal tema dei negoziati dottrinali con Roma per rientrare, o meno, nella Chiesa cattolica. Su questa prospettiva i quattro vescovi lefebvriani - oltre al superiore, De Gallareta, De Mallerais e Williamson - si sono spaccati con uno scambio di missive che, per una fuga di notizia, è stato pubblicato su alcuni blog ultra-tradizionalisti. Fellay è più incline ad una conciliazione con Roma mentre gli altri tre (in particolare De Mallerais e Williamson) sarebbero pronti a rimanere scismatici.
Lo stesso Fellay, in realtà, alla festa dei santi Pietro e Paolo del 29 giugno ha affermato che il rapporto con il Vaticano è ad un "punto morto" perché la trattativa dottrinale "è tornata al punto di partenza" e nella Chiesa "alcuni tirano, vogliono andare ancora più in là verso il progressismo e verso le sue conseguenze, altri che cercano di fare correzioni, e siamo in mezzo come una pallina di ping pong che tutti colpiscono".
Negli ultimi giorni, poi, i rapporti con la Santa Sede sembrano andati in crisi per alcune nomine volute dal Papa prima di andare a Castel Gandolfo Prima Benedetto XVI ha creato la nuova posizione di vicepresidente della Pontificia commissione Ecclesia dei, responsabile dei rapporti con i lefebvriani e gli altri gruppi tradizionalisti, e ha nominato per l'incarico il domenicano statunitense Augustine Di Noia. Uomo di sicura dottrina che - ha sottolineato una nota del dicastero vaticano - gode di "ampio rispetto" nella comunità ebraica, cosa che non si può dire per i lefebvriani e, in particolare, per il britannico Williamson, noto per le sue dichiarazioni negazioniste della Shoah. Ratzinger ha poni nominato il vescovo inglese Arthur Roche come nuovo segretario della congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti ("tristemente noto per la sua avversione alla diffusione della messa tradizionale", hanno commentato i lefebvriani italiani).
E, soprattutto, ha nominato nuovo prefetto della congregazione per la Dottrina della fede il vescovo tedesco Gerhard Ludwig Mueller. Il quale, appena nominato, ha rilasciato diverse interviste per sottolineare l'importanza del Concilio vaticano II (poco amato dai lefebvriani), puntualizzare che ""bisogna aprirsi alla tradizione vivente, che non si interrompe a un certo punto - ad esempio nel 1950 - ma prosegue oltre". I negoziati con i Lefebrviani "non sono un negoziato tra due parti. Nessuna fraternità sacerdotale imporra le sue condizioni alla Chiesa". Per Mueller, "alla fine sta arrivando un 'point of no return' e devono decidere: vogliono l'unità della Chiesa? Questo include l'accettazione della forma e del contesto del Concilio vaticano II". I lefebvriani non hanno atteso molto, e - tanto i tedeschi che gli italiani - hanno accusato Mueller niente meno che di "eresia" per alcune idee espresse nel corso degli anni. Risposta di Mueller: "Ich muss nicht auf jede Dummheit eine Antwort geben", "Non devo rispondere a ogni stupidaggine".


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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16/07/2012

Fellay: «Non vogliamo costruire una Chiesa parallela»

Il superiore lefebvriano commenta i lavori del capitolo generale senza rivelare la sua risposta al Vaticano. Critiche a Müller e all’influenza «modernista e liberale» nel dopo Concilio

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO


«Non siamo mai noi che rompiamo con Roma eterna, maestra di saggezza e verità», ma sarebbe «poco realista negare l’influenza modernista e liberale presente nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II e le riforme che ne sono scaturite». Lo dice il vescovo Bernard Fellay, nell’intervista pubblicata sul bollettino della Fraternità San Pio X (DICI.org) a conclusione del capitolo generale del gruppo lefebvriano che si è tenuto a Econe nei giorni scorsi.


Fellay non parla del contenuto della risposta che sta per inviare a Roma sull’ultima versione del preambolo dottrinale, anche se nelle scorse settimane aveva fatto intendere di non poter firmare la stesura presentatagli dal cardinale William Levada lo scorso 13 giugno. Fellay spiega innanzitutto che la Fraternità ha ritrovato l’unità dopo le recenti polemiche interne e dice di aver presentato al Capitolo l’insieme dei testi che il superiore ha scambiato con la Santa Sede negli ultimi mesi. «Questa esposizione ha permesso una discussione franca che ha chiarito i dubbi e dissipato le incomprensioni», e ha favorito «l’unità dei cuori».


«Noi faremo arrivare a Roma la posizione del Capitolo che ci ha dato la possibilità di precisare la nostra rotta», insistendo nella «conservazione della nostra identità, il solo mezzo efficace per aiutare la Chiesa a restaurare la Cristianità». Fellay ha aggiunto: «Noi non possiamo conservare il silenzio di fronte alla perdita generalizzata della fede, né davanti alla caduta vertiginosa delle vocazioni e della pratica religiosa. Non possiamo tacere di fronte all’ “apostasia silenziosa” e alle sue cause».


Il superiore lefebvriano spiega poi come la Fraternità intenda ispirarsi a monsignor Lefebvre non soltanto per ciò che riguarda la sua «fermezza dottrinale», ma anche per la sua «carità pastorale». «La Chiesa ha sempre considerato che la migliore testimonianza per la verità è stata donata dall’unione dei primi cristiani nella preghiera e nella carità».


Fellay prende «con forza» le distanze da «tutti quelli che hanno voluto approfittare della situazione per seminare la zizzania, nell’opporre gli uni agli altri i membri della Fraternità». «Noi siamo cattolici – assicura il superiore lefebvriano – riconosciamo il Papa e i vescovi, ma dobbiamo innanzitutto conservare inalterata la fede… Ciò comporta la conseguenza di evitare tutto ciò che la potrebbe mettere in pericolo». Ma senza volersi sostituire alla «Chiesa cattolica, apostolica e romana». «Lungi da noi l’idea di costituire una Chiesa parallela, esercitando un magistero parallelo».


«Noi difendiamo la fede nel primato del Pontefice romano – continua Fellay – e nella Chiesa fondata da Pietro, però rifiutiamo tutto ciò che contribuisce all’ “autodistruzione della Chiesa” riconosciuta dallo stesso Paolo VI nel 1968».


Nell’intervista Fellay dedica parole taglienti al nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il vescovo Gerhard Müller. «Dopo che Benedetto XVI ha compiuto l’atto coraggioso in nostro favore nel 2009» (la revoca della scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988 da Lefebvre, ndr), Müller «non è sembrato voler collaborare nello stesso senso, e ci ha trattati come dei paria! È lui ad aver dichiarato che i nostri seminari dovrebbero essere chiusi… e che i quattro vescovi della Fraternità dovevano dare le dimissioni (Zeitonline, 8 maggio 2009)».


Il superiore lefebvriano definisce poi «più importante e inquietante» il ruolo che Müller deve assumere in difesa della fede, combattendo «gli errori dottrinali e le eresie». Fellay cita gli ormai noti passi delle opere del nuovo Prefetto sulla transustanziazione, sulla verginità di Maria e sull’ecumenismo definendoli «più che discutibili» e affermando che in altri tempi lo stesso Müller «senza alcun dubbio sarebbe stato oggetto di un intervento del Sant’Uffizio».


L’intervista va letta in filigrana: Fellay ha ricompattato la Fraternità, e ha isolato Williamson. Non dice nulla in proposito, ma si sa che considera non sottoscrivibile l’ultima versione del preambolo dottrinale, che lo ha sorpreso non poco in quanto non sono state accolte le sue proposte e le richieste di modifica che aveva avanzato dopo aver ottenuto – sembra di capire – qualche avallo ufficioso anche nelle stanze romane. Ma la risposta che sta per inviare a Roma non è da intendersi come la chiusura definitiva del dialogo e più di un passaggio dell’intervista sottolinea il riconoscimento dell’autorità del Papa come pure la volontà di non far nascere una Chiesa parallela.


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Lefebvriani/ Vaticano: Attendiamo risposta per continuare dialogo


Prendiamo atto dichiarazione Capitolo ma ancora documento interno


Città del Vaticano, 19 lug. (TMNews)


La Santa Sede sollecita ai Lefebvriani un' ulteriore presa di posizione pubblica e ufficiale. "Il Capitolo Generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, concluso nei giorni scorsi, ha pubblicato una Dichiarazione a proposito della possibile normalizzazione canonica della relazione fra la Fraternità e la Santa Sede.
Pur essendo stata resa pubblica - è scritto in una dichiarazione diffusa dalla Santa Sede- tale Dichiarazione rimane anzitutto un documento interno, per lo studio e la discussione fra i membri della Fraternità.
La Santa Sede ha preso atto di questa Dichiarazione, ma resta in attesa della annunciata Comunicazione ufficiale da parte della Fraternità Sacerdotale, per la continuazione del dialogo fra la Fraternità e la Commissione 'Ecclesia Dei'".


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LEFEBVRIANI: S. SEDE, ATTESA RISPOSTA PER CONTINUARE DIALOGO


Salvatore Izzo


(AGI) - CdV, 19 lug.


"La Santa Sede resta in attesa della annunciata comunicazione ufficiale da parte della Fraternita' Sacerdotale, per la continuazione del dialogo fra la Fraternita' e la Commissione Ecclesia Dei".
Lo afferma una nota diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede, che commenta la dichiarazione dei lefebvriani "a proposito della possibile normalizzazione canonica della relazione fra la Fraternita' e la Santa Sede".
Di tale dichiarazione, spiega il Vaticano, si e' peso atto ma "rimane anzitutto un documento interno, per lo studio e la discussione fra i membri della Fraternita'".
In merito alle aperture contenute dalla dichiarazione sulla possibile normalizzazione canonica, resa pubblica oggi dal capitolo generale dei lefebvriani, il portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, e' stato molto cauto: questa dichiarazione, ha chiarito, "noi non la consideriamo, e non e', la risposta ufficiale che la Fraternita' Sacerdotale San Pio X doveva dare alla Santa Sede".
"Noi aspettiamo che tale risposta arrivi e nell' attesa di quella non commentiamo la dichiarazione di oggi", ha spiegato il gesuita. Come e' noto dopo l'invio di una seconda risposta dei lefebvriani riguardo al "preambolo dottrinale" che la Santa Sede riteneva un importante passo in avanti, ci sono stati irrigidimenti da entrambe le parti e la situazione sembra ora piu' complessa.
Ma resta chiara la volonta' di Benedetto XVI di tendere la mano ai tradizionalisti che nel 1988 seguirono monsignor Marcel Lefebvre nel suo scisma. Come in quell'occasione pero' a favorire la rottura ci sono oggi le posizioni contrarie al dialogo con i lefebvriani di molti episcopati, che hanno avuto eco evidentemente anche nella recente riunione alla Congregazione della Dottrina della Fede che ha determinato l'attuale rallentamento mentre il rientro sembrava ormai in dirittura d'arrivo.


© Copyright (AGI)


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23/07/2012

Le tre «condizioni» dei lefebvriani

Pubblicata sul web una lettera del segretario generale della Fraternità: «Dobbiamo essere liberi di criticare e correggere gli errori del Concilio»

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

Il capitolo generale dei lefebvriani si è concluso da alcuni giorni, la Santa Sede aveva sollecitato una risposta da parte del gruppo tradizionalista, chiamato a sottoscrivere il preambolo dottrinale che avrebbe portato al riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X e alla piena comunione con Roma. Ma il percorso appare ancora in alto mare. Con una lettera datata 18 luglio, il segretario generale della Fraternità, don Christian Thouvenot, ha inviato a tutti i superiori dei distretti un riassunto della situazione dei rapporti con il Vaticano, mettendo nero su bianco quelle che sono considerate le condizioni irrinunciabili («sine qua non) che la Fraternità ha stabilito e che richiede alle autorità romane prima del riconoscimento canonico.


La prima condizione: «Libertà di custodire, trasmettere e insegnare la sana dottrina del Magistero costante della Chiesa e la verità immutabile della Tradizione divina; la libertà di difendere, correggere, riprendere, anche pubblicamente, i fautori di errori o delle novità del modernismo, del liberalismo, del Concilio Vaticano II e delle loro conseguenze».


La seconda condizione: «L’uso esclusivo della liturgia del 1962. Custodire la pratica sacramentale che noi abbiamo attualmente (e incluso: ordinazioni, cresime, matrimoni). La terza condizione, «la garanzia di almeno un vescovo».


Nella lettera sono citate anche altre tre condizioni, considerate però non vincolanti: la possibilità di avere tribunali ecclesiastici propri di prima istanza; l’esenzione delle case della Fraternità dal rapporto con i vescovi diocesani, una commissione pontificia per la Tradizione dipendente dal Papa, con la maggioranza dei membri e il presidente favorevoli alla Tradizione.


Per quanto riguarda le tre condizioni considerate irrinunciabili, si comprende immediatamente come tutti i problemi siano rappresentati dalla prima. Dopo il motu proprio Summorum Pontificum è chiaro che i lefebvriani potrebbero continuare a celebrare con il vecchio rito, ed è anche evidente che – nel caso di regolarizzazione – non farebbe difficoltà la nomina di un nuovo vescovo.


Sia in questa lettera che è stata divulgata ma non era destinata alla pubblicazione, sia nel comunicato conclusivo del capitolo generale, si parla di errori del modernismo e dello stesso Concilio Ecumenico Vaticano II. Nell’ultima versione del preambolo, che lo scorso 13 giugno l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale William Levada, aveva consegnato nelle mani del superiore lefebvriano Bernard Fellay, si chiedeva alla Fraternità di non criticare la nuova messa riconoscendone la validità e la liceità; di accettare il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica; di leggere non soltanto il Vaticano II alla luce della tradizione precedente, ma anche la tradizione precedente alla luca del Vaticano II.


Nel lungo colloquio avuto nel palazzo del Sant’Uffizio con Levada, Fellay già il 13 giugno aveva detto alle autorità romane che avrebbe avuto difficoltà a sottoscrivere il preambolo. La Fraternità ne ha discusso al capitolo generale (dal quale è stato escluso l’oltranzista e negazionista Richard Williamson) e Fellay ha potuto ricompattare la sua comunità dove era emerso negli ultimi mesi un dissenso interno contrario all’accordo. Nella risposta alle autorità romane, i lefebvriani non intendono chiudere la porta al dialogo, ma chiederanno altro tempo, nuovi contatti, ulteriori chiarimenti per arrivare a modificare il testo della dichiarazione dottrinale. Nel comunicato diffuso dalla Sala Stampa vaticana la scorsa settimana si parlava dell’attesa per la risposta in vista della continuazione del dialogo. Ma non è facile immaginare che un testo discusso dai cardinali della Congregazione per la dottrina della fede, attentamente esaminato e poi approvato da Benedetto XVI, possa essere oggetto di nuove discussioni e di cambiamenti.


«Il Concilio vaticano II è vincolante», ha affermato in un’intervista il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Müller. «Si può discutere della dichiarazione sul rapporto con i media, ma le affermazioni sugli ebrei, sulla libertà di religione, sui diritti umani hanno delle implicazioni dogmatiche. Quelle non si possono rifiutare senza pregiudicare la fede cattolica».


Nella lettera inviata ai vescovi dopo il caso Williamson, nel 2009, Papa Ratzinger aveva scritto: «Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive». È l’ermeneutica della riforma nella continuità nella lettura del Vaticano II, che Benedetto XVI ha cercato di proporre subito dopo l’elezione. Rimanendo, al momento, inascoltato.


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25/07/2012

Lefebvriani, decisione dopo l’estate


La risposta di Fellay non è ancora arrivata. Ma sulle tre «condizioni» della Fraternità potrebbero aprirsi spiragli…

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO



La risposta del superiore della Fraternità San Pio X al preambolo dottrinale che gli è stato consegnato il 13 giugno non è ancora arrivata a Roma. E quand’anche arrivasse nelle prossime settimane, non potrà essere esaminata, perché il Prefetto della Congregazione, Gerhard Müller parte per le vacanze, lo stesso fanno vice-presidente e segretario della Pontificia commissione Ecclesia Dei. Anche se il capitolo generale dei lefebvriani si è concluso, è possibile che Fellay si prenda ancora qualche tempo prima di inviare la sua risposta.


Il superiore della Fraternità, durante l’incontro di giugno, aveva «promesso di far conoscere la sua risposta in tempi ragionevoli». Ma le autorità romane conoscono bene la situazione interna ai lefebvriani e il compito delicato che svolge Fellay. Per questo non sono intenzionate a mettere fretta. Di certo l’ultima versione del preambolo dottrinale – discussa dai cardinali dell’ex Sant’Uffizio e approvata dal Papa – viene considerata dalla Santa Sede definitiva e non suscettibile di significativi cambiamenti. In Vaticano si fa notare come non corrisponda al vero quanto affermato da chi ritiene che con il preambolo del 13 giugno si sia sostanzialmente tornati al primo testo, preparato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel settembre 2011, senza tenere dunque conto delle proposte della Fraternità. «L’ultima versione – conferma una fonte a Vatican Insider – ha recepito diverse proposte e suggerimenti formulati da monsignor Fellay».


Due punti nel preambolo sono stati ripristinati per volere del Papa e della Congregazione per la dottrina della fede: il primo riguarda la messa secondo il Novus Ordo, cioè il rito post-conciliare. Ai lefebvriani viene chiesto di riconoscere non solo la validità della nuova messa, ma anche la sua legittimità. Ciò non significa che non si possano criticare gli abusi liturgici o discutere della riforma liturgica post-conciliare e della sua applicazione.


L’altro punto riguarda il Concilio e il suo magistero. La Santa Sede non può accettare che si attribuiscano ai documenti del Vaticano II degli «errori», e chiede alla Fraternità di distinguere i tra testi del Concilio e l’interpretazione dei testi del Concilio, accettando il fatto che il magistero non può essere giudicato da un’altra istanza – in questo caso la stessa Fraternità – che finirebbe per diventare una sorta di «super-magistero».

«Lo scopo del dialogo è quello di superare le difficoltà di interpretazione del Concilio Vaticano II, ma non possiamo negoziare sulla fede rivelata, questo è impossibile. Un Concilio ecumenico, secondo la fede cattolica, è sempre il supremo magistero della Chiesa», ha dichiarato il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Müller, intervistato da «Ewtn News». «L’affermazione che gli insegnamenti autentici del Vaticano II - ha aggiunto - siano formalmente in contrasto con la tradizione della Chiesa, è falsa».

In Vaticano, in attesa della risposta di Fellay, si è guardato con molta attenzione alla lettera circolare – riservata, ma finita come al solito sul web – che la segreteria generale della Fraternità San Pio X ha inviato ai vari distretti riassumendo la posizione emersa dai lavori del recente capitolo. Le tre condizioni irrinunciabili («sine qua non») per un accordo con Roma sono state formulate in un modo che lascia aperti degli spiragli: ad esempio si ribadisce la richiesta di usare esclusivamente la liturgia del 1962, ma non si dice nulla riguardo la legittimità della nuova messa.

E anche alla rivendicazione della libertà di critica anche pubblica nei confronti dei «fautori di errori o delle novità del modernismo, del liberalismo, del Concilio Vaticano II e delle loro conseguenze» potrebbe alla fine essere data un’interpretazione meno aspra di quel che sembra. «Tutto dipenderà – ripetono in Vaticano – dalla risposta che monsignor Fellay invierà a Roma».


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24/07/2012

"Con i lefebvriani il dialogo continua, ma il Concilio non si tocca"

Il neo prefetto Muller ha parlato del confronto con il gruppo tradizionalista con il network «Ewtn News»

REDAZIONE
ROMA

«Lo scopo del dialogo è quello di superare le difficoltà di interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II , ma non possiamo negoziare sulla fede rivelata, questo è impossibile. L'assise ecumenica, secondo la fede cattolica, è sempre il supremo magistero della Chiesa».

È questo il pensiero sul rapporto fra Santa Sede e lefebvriani di Gerhard Ludwig Muller, nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede di recente nominato dal Papa.

In effetti in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’Arcivescovo Muller è anche presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», l’organismo vaticano responsabile del dialogo con la Fraternità San Pio X.

La commissione, come ha precisato ancora nei giorni scorsi il direttore della Sala stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi, è ancora in attesa di una risposta ufficiale da parte della Fraternità di San Pio X in riferimento a un’offerta di riconciliazione proveniente dal Papa che darebbe al gruppo tradizionalista lo status di Prelatura personale all’interno della Chiesa. In cambio la Fraternità avrebbe dovuto accettare un «preambolo dottrinale» che conteneva fra le altre cose la richiesta di piena adesione al Concilio Vaticano II.


«Tutto ciò che è dogmatico non può mai essere negoziato» ha spiegato monsignor Muller, «l’affermazione che gli insegnamenti autentici del Vaticano II - ha aggiunto - siano formalmente in contrasto con la tradizione della Chiesa, è falsa». Da parte vaticana si insiste invece su un punto: si può discutere su ciò che il Concilio ha realmente detto e le interpretazioni che ne sono state date.

In questo senso Benedetto XVI ha parlato di ermeneutica della continuità in contrasto con chi legge il Vaticano II come un episodio di rottura nei confronti della tradizione precedente.


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Intervista all'agenzia Apic-Kipa


Il cardinale Koch sul Vaticano II


«Il concetto secondo il quale un concilio può anche essere in errore risale dopo tutto a Martin Lutero.
Già solo considerando questo, i tradizionalisti dovrebbero domandarsi dove effettivamente si pongono».
È un passaggio dell'intervista che il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha rilasciato all'agenzia Apic-Kipa.
Il porporato ha espresso questa considerazione rispondendo a una domanda circa la possibilità di una riconciliazione con la Fraternità sacerdotale San Pio X, i cui membri in parte manifestano posizioni critiche riguardo al concilio Vaticano II. Il cardinale, nel corso dell'intervista, ha toccato anche il tema della diversa percezione dei tradizionalisti riguardo al carattere stringente dei principi del concilio: «Il Vaticano II -- ha detto -- ha adottato quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. In termini puramente formali, voi potete fare una differenza tra questi tre generi. Ma poi sorge un problema se si considera che il concilio di Trento (1545-1563) non ha pubblicato che dei decreti e nessuna costituzione. Non verrebbe a nessuno l'idea di affermare che il concilio di Trento sia stato di un livello inferiore. Dunque, dal punto di vista puramente formale, è possibile trovare delle differenze, ma non si può realmente accettare che si facciano delle differenze nel carattere stringente del contenuto di questi documenti». Il porporato ha ricordato anche che il decreto conciliare sull'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio, trae i suoi principi dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen gentium: «Paolo VI ha fermamente insistito, al momento della promulgazione del decreto, sul fatto che esso interpreta e spiega la costituzione dogmatica sulla Chiesa».
Riguardo all'ecumenismo, il porporato ha sottolineato che «non è un tema secondario bensì centrale del concilio, come ha ricordato una volta Giovanni Paolo II. È per questo che oggi deve essere un tema centrale della Chiesa. Inoltre, anche la dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, in particolare l'ebraismo, la Nostra aetate, trova le sue basi nella costituzione dogmatica sulla Chiesa».
Il cardinale Koch ha anche spiegato che, in occasione delle celebrazioni, nel 2017, dei cinquecento anni della Riforma, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani sta preparando una dichiarazione comune con la Federazione Luterana Mondiale. Inoltre, dovrebbero esserci iniziative locali, la cui organizzazione sarà di competenza delle locali Conferenze episcopali.


(©L'Osservatore Romano 3 agosto 2012)


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Vaticano: Don Lorenzi,Papa Luciani voleva evitare scisma con Lefebvriani

25 Agosto 2012 - 14:01

(ASCA) - Roma, 25 ago - Papa Giovanni Paolo I gia' pensava ad una ricucitura con la Fraternita' Sacerdotale San Pio X, fondata da Mons. Marcel Lefebvre. Lo rivela il segretario personale di Papa Luciani, Don Diego Lorenzi, intervistato da Dino Boffo in occasione dello speciale ''Il mio Papa Luciani'' che andra' in onda domenica 26 agosto alle ore 18,30.

''Il problema di mons. Marcel Lefebvre - ha detto don Diego Lorenzi rispondendo alle domande del Direttore di Tv2000 - che e' ancora oggi all'ordine del giorno era gia' nei pensieri e nelle preoccupazioni di Giovanni Paolo I. Per Papa Luciani era un cruccio e me ne rendeva partecipe. Era una situazione gia' allora emergente.

Riferendosi alla vicenda di mons. Lefebvre Papa Luciani mi diceva: ''La tunica intonsa della Chiesa Cattolica romana ha uno squarcio' e agognava che questa cucitura venisse ricomposta al piu' presto. Gli stava a cuore immensamente la compattezza del gregge, l'unita' della Chiesa, piu' di altre cose di cui si interessava la stampa''.

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25/8/2012

Luciani e Lefebvre

Attorno alla morte improvvisa di Giovanni Paolo I è sorto un giallo che nel tempo ha continuato ad alimentare interrogativi.«Dopo 33 giorni aveva finito il suo compito.Aveva problemi di cuore",afferma il vicepostulatore della causa di beatificazione

Giacomo Galeazzi
VATICANISTA DE LA STAMPA

Beatificazione più vicina per papa Albino Luciani. Mentre fervono le celebrazioni nel paese che ha dato i natali al "papa breve" - Canale d'Agordo - in occasione dell'anniversario della sua elezione al soglio di Pietro, don Giorgio Lise, il vicepostulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I che ha seguito tutta la fase diocesana del processo, parla della devozione attorno al papa del sorriso, e dei passi che sta facendo la causa di beatificazione. «In occasione del centenario dalla nascita di papa Luciani - spiega don Lise - sarà consegnata al prefetto della Congregazione per la causa dei santi - la 'positiò su Giovanni Paolo I, vale a dire l'incartamento nel quale sono state esaminate le 'virtù eroiche di Luciani».

«Giovanni Paolo I pensava ad una ricucitura con la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre», rivela il segretario personale di Papa Luciani, don Diego Lorenzi, intervistato da Dino Boffo in occasione dello speciale «Il mio Papa Luciani» che andrà in onda domenica prossima su Tv2000, l'emittente promossa dalla Cei. «Il problema di monsignor Marcel Lefebvre , ha detto don Diego Lorenzi rispondendo alle domande del direttore di Tv2000- che è ancora oggi all'ordine del giorno era già nei pensieri e nelle preoccupazioni di Giovanni Paolo I. Per Papa Luciani era un cruccio e me ne rendeva partecipe. Era una situazione già allora emergente. Riferendosi alla vicenda di monsignor Lefebvre Papa Luciani mi diceva: 'La tunica intonsa della Chiesa Cattolica romana ha uno squarciò e agognava che questa cucitura venisse ricomposta al più presto. Gli stava a cuore immensamente la compattezza del gregge, l'unità della Chiesa, più di altre cose di cui si interessava la stampa». Alla fine del Pontificato di Papa Montini, da parte di Lefebvre non era ancora stato consumato lo scisma vero e proprio, che è seguito alla consacrazione dei quattro vescovi nel 1988, cioè dieci anni dopo la morte di Paolo VI. Ma il presule francese aveva già iniziato a ordinare sacerdoti contro le disposizioni della Santa Sede.

Trentaquattro anni dall'elezione del Papa «dei 33 giorni». Era il 26 agosto 1978, infatti, a venti giorni dalla morte di Paolo VI, quando dopo un rapidissimo Conclave - due giorni e quattro vocazioni - veniva eletto al soglio di Pietro l'allora patriarca di Venezia Albino Luciani, che in onore dei suoi due predecessori prese il nome di Giovanni Paolo I. Un Papa che «fu davvero una meteora che illuminò il cielo buio dei suoi tempi, faticosi e intrisi di paure», scrive sull'Osservatore Romano di domani mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzare-Squillace. E un pontificato, quello di Luciani, ricordato anche come il «Papa del sorriso» per l'umiltà e la semplicità dei modi e dell'eloquenza, che rimane uno dei più brevi della storia Sono passati 33 anni: la sua morte avvenne infatti dopo soli 33 giorni dall'elezione, il 28 settembre, in circostanze che negli anni seguenti suscitarono più di un interrogativo, ma dovuta ufficialmente a un infarto.

Quest'anno peraltro di Luciani, nato a Canale d'Agordo (Belluno) il 17 ottobre 1912, ricorre anche il centenario della nascita, di cui nei luoghi natali sono già iniziati i festeggiamenti, con mostre d'arte sacra e rassegne rievocative. Per mons. Bertolone, che sull'Osservatore Romano ripercorre i pochi discorsi e udienze di un pontificato così breve (tra gli altri testi viene ripubblicata anche una «Lettera a Gesù» dello stesso Luciani scritta per il Messaggero di Sant'Antonio quand'era patriarca di Venezia), «il suo vissuto di fede tuttora suscita ammirazione e risulta particolarmente incisivo in vista dell'ormai imminente inizio dell'Anno della fede. È un vissuto di fede intelligente, quello di Luciani, che - pur senza divenire una esposizione o una elaborazione teologica sistematica - fa sulle verità che contempla una riflessione originale: sapida o saporosa, ne assimila il senso profondo e lo cala nel concreto esistenziale e operativo». Ma un ulteriore aggancio all'oggi del pontificato dei 33 giorni - seguito da quello di un gigante della fede come papa Wojtyla - è la rivelazione fatta dal segretario personale di Giovanni Paolo I, don Diego Lorenzi, secondo cui Luciani già pensava a una ricucitura con la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da mons. Marcel Lefebvre, ribellatosi alle riforme conciliari e poi scomunicato nel 1988 da Wojtyla per aver ordinato quattro vescovi. Don Diego Lorenzi ne parla in un'intervista a Dino Boffo per lo speciale «Il mio Papa Luciani», in onda domani su Tv2000.

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12/09/2012

Cartellino rosso per il vescovo Williamson

Secondo il sito tedesco kreuz.net potrebbe essere espulso dalla Fraternità San Pio X perché ha disobbedito al superiore Fellay

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

Richard Williamson, il vescovo lefebvriano che aveva negato l’esistenza delle camere a gas, potrebbe essere espulso dalla San Pio X. Il superiore della Fraternità, Bernard Fellay, lo scorso luglio aveva precluso a Williamson la partecipazione al capitolo generale dei lefebvriani dedicato alle trattative con la Santa Sede. Ma ora nei confronti del vescovo negazionista potrebbe scattare una sanzione ben maggiore. Lo sostiene il sito tedesco kreuz.net, (http://www.kreuz.net/article.15846.html ) presentando anche i motivi che potrebbero portare a questa decisione.

Lo stesso sito tedesco, nel luglio di quest’anno, aveva diffuso un video nel quale Williamson manifestava la speranza e il «sogno» che il capitolo generale della Fraternità potesse esprimersi contro il superiore Fellay destituendolo.

Lo scorso agosto Williamson ha celebrato una messa amministrando il sacramento della cresima presso un monastero benedettino legato alla San Pio X in Brasile, nonostante il divieto impostogli da Fellay: un atto criticato dal superiore della Fraternità in Sudamerica, padre Christian Bouchacourt. Secondo lo statuto della San Pio X, infatti, i vescovi possono impartire le cresime solo se autorizzati dal superiore generale, cioè Fellay. Un altro motivo per il provvedimento, secondo kreuz.net sarebbe rappresentato dalla mancata obbedienza del vescovo all’ordine dei superiori di sospendere la newsletter settimanale da lui curata.

Per il portale tedesco, Williamson sarebbe intenzionato a raccogliere attorno a sé un nuovo gruppo tradizionalista con altri sacerdoti fuoriusciti dalla Fraternità San Pio X e persino a ordinare nuovi vescovi. È evidente che in quest’ultimo caso sarebbe nuovamente e automaticamente scomunicato.

Come si ricorderà, un’intervista televisiva di Williamson che negava l’esistenza delle camere a gas, divulgata in occasione della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani da parte di Benedetto XVI nel gennaio 2009, aveva provocato notevoli polemiche anche con il mondo ebraico. Polemiche rientrate dopo che Papa Ratzinger aveva scritto un’intensa lettera ai vescovi di tutto il mondo, spiegando le motivazioni del suo gesto verso i lefebvriani.

Williamson è stato in questi mesi il più critico nei confronti del cammino di riconciliazione della Fraternità in vista di un suo rientro nella comunione con Roma. Anche se non si deve dimenticare che una lettera contraria all’avvicinamento alla Santa Sede portato avanti da Fellay era stata firmata non dal solo Williamson, ma anche dagli altri due vescovi, Alfonso de Gallareta e Bernard Tissier de Mallerais. In particolare anche quest’ultimo, sebbene in maniera meno plateale rispetto a Williamson, è decisamente contrario all’accordo con Roma. La Santa Sede aveva peraltro stabilito che le posizioni dei singoli vescovi venissero trattate separatamente.

L’eventuale espulsione di Williamson, con la conseguente nascita di una nuova «costola» a destra dei lefebvriani che finirebbe nel variegato e frantumato panorama dell’ultra-tradizionalismo, potrebbe rendere meno difficile l’avvicinamento della San Pio X alla Santa Sede. La pontificia commissione Ecclesia Dei attende ancora la risposta di Fellay all’ultima versione del preambolo dottrinale consegnato lo scorso giugno.

In ogni caso, al di là delle anticipazioni di kreuz.net, dalla Casa generalizia dei lefebvriani non giungono conferme e anche se negli ambienti della Fraternità sono in molti ad aspettarsi che qualche sanzione venga presa nei confronti di Williamson, questa non sarebbe imminente.



Perfetto!!! Chi non va d'accordo con la Santa Chiesa Cattolica SE NE VADA e si faccia i fatti suoi come vuole!
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27/09/2012

Il Papa ha scritto a Fellay: «Per rientrare accettate il Concilio»

L’esistenza della lettera di Benedetto XVI rivelata durante una conferenza dal vescovo lefebvriano Tissier de Mallerais, che ha dato come impossibile l’accordo con la Santa Sede

Andrea Tornielli
Città del Vaticano


Il 30 giugno scorso, a pochi giorni dall’inizio del capitolo generale della Fraternità San Pio X, Benedetto XVI ha scritto una lettera al superiore lefebvriano, il vescovo Bernard Fellay. L’esistenza della missiva è stata rivelata da monsignor Bernard Tissier de Mallerais, uno dei quattro vescovi della Fraternità, notoriamente su posizioni contrarie all’accordo con Roma, nel corso di una conferenza tenuta il 16 settembre in Francia, al Priorato St. Louis-Marie Grignon de Monfort. qui tradotta in italiano

Ecco quanto ha detto il prelato: «Il 30 giugno 2012 – è un segreto che vi rivelo, ma che sarà reso pubblico – il Papa ha scritto di suo pugno una lettera al nostro superiore generale, monsignor Fellay: “Le confermo effettivamente che per essere veramente reintegrati nella Chiesa occorre veramente accettare il concilio Vaticano II e il magistero post-conciliare”».

«Si tratta propriamente – ha commentato Tissier de Mallerais – di un punto d’arresto, poiché per noi non è accettabile, e non possiamo firmare una cosa così. Si possono fare delle precisazioni, perché il Concilio è così ampio che vi si possono trovare delle cose buone, ma non è questo l’essenziale del Concilio».

Il vescovo lefebvriano nel corso della conferenza ha pronunciato parole molto dure: «Non si possono cedere le armi in piena battaglia, non cercheremo l’armistizio mentre la guerra infuria: con Assisi 3 o 4 l’anno scorso; con la beatificazione di un falso beato, il Papa Giovanni Paolo II. Una cosa falsa, una falsa beatificazione. E con l’esigenza, ricordata continuamente da Benedetto XVI, di accettare il Concilio e le riforme del magistero post-conciliare».

Tissier de Mallerais ha anche detto che «la collegialità, che distrugge il potere del Papa, che non osa più resistere alle conferenze episcopali»; distrugge «il potere dei vescovi, che non osano più resistere ai consigli episcopali». Ha aggiunto che l’ecumenismo «fa rispettare i valori di salvezza delle false religioni e del protestantesimo, delle cose false», mentre la libertà religiosa «lascia volentieri costruire liberamente delle moschee nei nostri paesi».

«Evidentemente – ha aggiunto il vescovo lefebvriano – noi questo non possiamo firmarlo. Su questo punto non c’è accordo e non ci sarà accordo». E nonostante le insistenze della «Roma modernista», Tissier assicura: «Personalmente, non firmerò mai delle cose così, è chiaro. Mai accetterò di dire che la nuova Messa è legittima o lecita, io dirò che essa è spesso invalida, come diceva monsignor Lefebvre. Mai accetterò di dire: “Il Concilio, se lo si interpreta bene, forse lo si potrebbe far corrispondere con la Tradizione, si potrebbe trovare un significato accettabile”».

Dopo aver definito «menzognero» il testo del preambolo dottrinale sottoposto il 12 giugno dal cardinale William Levada a Fellay, il vescovo lefebvriano ha detto che il capitolo generale della Fraternità riunitosi lo scorso luglio ha preso delle «decisioni molto dolci, morbide», in modo da «presentare a Roma degli ostacoli tali che Roma non osi più importunarci», ponendo «delle condizioni praticamente irrealizzabili per impedire che ci facciano delle nuove proposte. Ma il demonio è maligno, e io penso che essi ritorneranno all’attacco e io mi preparo delicatamente anche a difenderci e la Fraternità si difenderà».


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24/10/2012

La Fraternità espelle Williamson, ma con Roma l'accordo «si allontana»

Fellay mette fuori dalla San Pio X il vescovo negazionista. Un altro presule lefebvriano, de Gallareta fa il punto sui rapporti con la Santa Sede: «Alle condizioni di Roma abbiamo risposto con le nostre condizioni irrinunciabili»

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

Richard Williamson, il vescovo che nel novembre 2008 in un’intervista televisiva disse di non credere all’esistenza delle camere a gas naziste e che ha sempre rappresentato l’ala più oltranzista della Fraternità San Pio X fondata da Lefebvre, non ne farebbe più parte. Dopo settimane di indiscrezioni, già riportate da Vatican Insider, la decisione sarebbe diventata operativa, a quanto riferiscono da fonti indipendenti due diversi siti – Rorate coeli e Le Salon beige

- solitamente bene informati sulle vicende interne del mondo tradizionalista. Una scelta destinata a pesare sui destini del gruppo lefebvriano, che certamente non dispiace alle autorità vaticane. Ma i rapporti della Fraternità con la Santa Sede appaiono sempre in alto mare. «Ovviamente la possibilità di un accordo si allontana, ma soprattutto è stato definitivamente rimosso, per questa volta, il rischio di un cattivo accordo», ha detto Alfonso de Gallareta, uno dei quattro vescovi della Fraternità San Pio X consacrato senza il mandato del Papa da Lefebvre nel 1988. De Gallareta è stato colui che ha guidato la delegazione lefebvriana nei colloqui dottrinali con le autorità vaticane. Lo scorso 13 ottobre, il vescovo ha partecipato alle «Giornate della Tradizione» a Villepreux, in Francia, dove ha tenuto una conferenza facendo il punto sui rapporti con la Santa Sede.

De Gallareta ha innanzitutto ricordato le tre condizioni contenute nel preambolo dottrinale che il cardinale William Levada ha consegnato nelle mani del superiore della Fraternità, il vescovo Bernard Fellay, lo scorso giugno: «Riconoscere che il Magistero vivente è l’interprete autentico della tradizione; riconoscere che il Concilio Vaticano II è in perfetto accordo con la Tradizione ed è necessario accettarlo; accettare la validità e la liceità della Messa nuova».

De Gallareta ha quindi spiegato perché i lefebvriani non ritengono di poter accogliere queste indicazioni, ad esempio per quanto riguarda la messa, perché contesta la «legittimità della riforma liturgica e della nuova Messa», in quanto «è in contrasto con la fede e con essa si sta demolendo la fede».

Il vescovo ha quindi confermato che Fellay, di fronte all’ultima stesura del preambolo dottrinale, dopo aver ricevuto segnali diversi da Roma, ha scritto a Benedetto XVI chiedendogli se quell’ultima versione era stata approvata da lui e corrispondeva al suo pensiero. Proprio alla vigilia del capitolo generale della Fraternità dello scorso luglio, è arrivata la risposta del Papa: «Eravamo a tavola, di domenica, al termine del ritiro che ha preceduto il Capitolo, e il superiore ci ha detto di aver ricevuto la lettera con la quale il Papa conferma che la risposta della Congregazione per la dottrina della fede è la sua risposta e che lui l’ha approvata. E ricorda le tre condizioni irrinunciabili per un riconoscimento canonico».

Poi, ha affermato ancora de Gallareta, c’è stata la nomina dell’arcivescovo Gerhard Müller a Prefetto dell’ex Sant’Uffizio e a presidente della Commissione Ecclesia Dei. «Oltre al fatto che ha messo in discussione molte verità della fede», ha detto il prelato lefebvriano, noi «avevamo già avuto difficoltà e scontri con lui», quando Müller era vescovo di Regensburg: «Tre anni ha minacciato di scomunicare il vescovo che stava per fare delle ordinazioni nel nostro seminario di Zaitzkofen, che in quella occasione ero io… E ha già detto che i vescovi della Fraternità hanno una sola cosa da fare: inviare le loro rinunce dall’episcopato al Papa e rinchiudersi in un monastero»

De Gallareta ha quindi diffusamente descritto il capitolo generale della Fraternità, che si è tenuto dal 9 al 14 luglio, ricordando quali sono invece le condizioni irrinunciabili per i lefebvriani in vista di una regolarizzazione canonica. la «libertà di conservare, trasmettere e insegnare la dottrina sacra del Magistero costante della Chiesa e della verità immutabile della Tradizione divina» e dunque la libertà di «correggere, riprendere, anche pubblicamente, i fautori di errori o delle novità del modernismo, del liberalismo, del Concilio Vaticano II e delle loro conseguenze». La seconda riguarda «l’uso esclusivo della liturgia del 1962»; la terza, «la garanzia di almeno un vescovo».

«Si è inoltre deciso in questo Capitolo – ha detto ancora De Gallareta – che, se mai la Casa Generalizia sia arrivata a qualcosa di prezioso e interessante rispetto a queste condizioni, ci sarà un Capitolo deliberativo, il che significa che la sua decisione è necessariamente vincolante per i membri della Società. Quando vi è un Capitolo consultivo, l’autorità chiede consigli, ma poi decide liberamente. Un Capitolo deliberativo significa invece che la decisione viene presa dalla maggioranza assoluta».


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Vaticano/ Santa Sede: Pazienza e fiducia con i Lefebvriani

Nota di commissione Ecclesia dei dopo espulsione Williamson

Città del Vaticano, 27 ott. (TMNews)

I lefebvriani hanno indicato alla Santa Sede di aver bisogno di "ulteriore tempo di riflessione e studio, per preparare la propria risposta" alla Santa Sede in vista di un rientro nella Chiesa cattolica e Roma è attualmente "in attesa della risposta ufficiale". Ma "dopo trent'anni di seperazione, è comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato" dei "recenti sviluppi" segnati da un negoziato dottrinale bilaterale.
Lo afferma la pontificia commissione Ecclesia dei, responsabile in Vaticano per i tradizionalisti, che, in una nota diffusa oggi, a pochi giorni dall'espulsione del controverso vescovo britannico Richard Williamson dai lefebvriani, aggiunge: "Mentre il nostro Santo Padre Benedetto XVI cerca di promuovere e preservare l'unità della Chiesa mediante la realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro - una potente manifestazione del munus Petrinum all'opera - sono necessarie pazienza, serenità, perseveranza e fiducia".
La Pontificia commissione Ecclesia Dei "coglie l'occasione", si legge nella nota, "per annunciare che, nella sua più recente comunicazione (6 settembre 2012) la Fraternità sacerdotale di S. Pio X ha indicato di aver bisogno per parte sua di ulteriore tempo di riflessione e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime iniziative della Santa Sede. Lo stadio attuale delle discussioni in corso fra la Santa Sede e la Fraternità sacerdotale - ricorda la nota - è frutto di tre anni di dialoghi dottrinali e teologici, durante i quali una commissione congiunta si è riunita otto volte per studiare e discutere, fra le altre questioni, alcuni punti controversi nell'interpretazione di certi documenti del Concilio Vaticano II. Quando tali dialoghi dottrinali si conclusero, fu possibile procedere ad una fase di discussione più direttamente focalizzata sul grande desiderio di riconciliazione della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro".
"Altri passi fondamentali in questo processo positivo di graduale reintegrazione - sottolinea ancora la pontificia commissione Ecclesia dei - erano stati intrapresi dalla Santa Sede nel 2007 mediante l'estensione alla Chiesa universale della Forma Straordinaria del Rito Romano con il Motu Proprio Summorum Pontificum e, nel 2009, con l'abolizione delle scomuniche. Solo alcuni mesi orsono in questo cammino difficile fu raggiunto un punto fondamentale quando, il 13 giugno 2012, la Pontificia Commissione ha presentato alla Fraternità sacerdotale di S. Pio X una dichiarazione dottrinale unitamente ad una proposta per la normalizzazione canonica del proprio stato all'interno della Chiesa cattolica".
"Attualmente la Santa Sede è in attesa della risposta ufficiale dei Superiori della Fraternità sacerdotale a questi due documenti. Dopo trent'anni di separazione, è comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato di questi recenti sviluppi. Mentre il nostro Santo Padre Benedetto XVI cerca di promuovere e preservare l'unità della Chiesa mediante la realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro - una potente manifestazione del munus Petrinum all'opera - sono necessarie pazienza, serenità, perseveranza e fiducia".

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Lefebvriani, la partita è aperta

Andrea Tornielli
31/10/12

Il comunicato con cui, nei giorni scorsi, la Pontificia commissione Ecclesia Dei ha annunciato che la Fraternità San Pio X ha chiesto ancora tempo prima di inviare la sua risposta alla Santa Sede sta a indicare che Roma non ha fretta. E soprattutto che in Vaticano ci si rende conto del travaglio interno alla Fraternità, che ha portato anche alla clamorosa espulsione del vescovo Richard Williamson.

Nonostante le pubbliche dichiarazioni negative – basti pensare alle conferenze e ai discorsi dei vescovi lefebvriani Tissier de Mallerais e de Gallareta – come pure a certi accenti contenuti nelle interviste del neo-Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, Gerhard Mueller (in passato non certo tenero con la Fraternità San Pio X, aspramente criticato dagli esponenti lefebvriani che gli hanno contestato alcune affermazioni contenute nei suoi scritti teologici), la delicata partita non è dunque ancora chiusa.

C’è molta attesa per il ruolo che potrà svolgere l’arcivescovo domenicano Augustine Di Noia, nominato da Benedetto XVI vicepresidente di Ecclesia Dei. Ma permangono anche le difficoltà, come si può ben percepire dal comunicato su Williamson diffuso dal Distretto italiano della Fraternità San Pio X, che vale la pena di riportare per intero:

“In occasione della dolorosa esclusione di Mons. Williamson dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, il Distretto italiano ribadisce che questa è stata giustificata da motivi puramente disciplinari, che duravano da più anni. Voler collegare questo triste avvenimento ad una volontà di cedimento dottrinale nei confronti della “chiesa conciliare” è puramente arbitrario, calunnioso ed ingiustificabile alla luce della dichiarazione dell’ultimo Capitolo Generale e dei recenti avvenimenti, come anche il futuro dimostrerà in maniera inequivocabile”.

Colpisce quel riferimento al “cedimento dottrinale” nei confronti della “chiesa conciliare” (ma Chiesa non si scriveva con la maiuscola?), quasi a mettere le mani avanti sul fatto che il fossato tra Roma ed Econe rimane invariato e larghissimo. Del resto, secondo alcune indiscrezioni provenienti dall’interno della Fraternità, lo stesso superiore Bernard Fellay avrebbe chiesto ad alcuni sacerdoti di non seguire Williamson dando loro garanzie in merito al fatto che l’accordo con la Santa Sede non ci sarebbe stato. Ma se l’indiscrezione fosse vera e confermata, non si capisce perché chiedere ancora tempo quando si è deciso di rispondere negativamente e dunque di non poter firmare il preambolo dottrinale. C’è bisogno dunque ancora di tempo per capire che cosa accadrà del delicato dossier che sta particolarmente a cuore a Benedetto XVI.

Quanto al destino di Williamson, il vescovo, che oggi vive in “una mansarda” (è lui stesso a raccontarlo nella lettera che ha inviato a Fellay) a Londra, difficilmente diventerà il leader di un nuovo gruppo più oltranzista.


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PAPA: POZZO LASCIA ECCLESIA DEI PER DIVENTARE ELEMOSINIERE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 3 nov.

Monsignor Guido Pozzo, finora segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", e' stato nominato oggi dal Papa nuovo elemosiniere pontificio ed elevato in pari tempo alla Sede Arcivescovile titolare di Bagnoregio. Sostituisce il diplomatico spagnolo Felix del Blanco Prieto, dimissionario per raggiunti limiti d'eta'.
Nato a Trieste 61 anni fa, monsignor Pozzo ha studiato alla Pontificia Universita' Gregoriana ed era in servizio presso la Congregazione per la Dottrina della Fede dal maggio 1987. Era segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" dal luglio 2009.
Alcune dichiarazioni rilasciate dopo la sua nomina dal nuovo prefetto della Congregazione della Fede e presidente di Ecclesia Dei, monsignor Gerhard Muller, che sembrava volesse chiudere la porta al possibile rientro dei Lefebvriani - indicando un tempo molto breve per la risposta definitiva e escludendo nuovi colloqui e modifiche della dichiarazione dottrinaria e d'impegni sottoposta al successore di Lefebvre, monsignor Bernard Fellay - erano apparse divergenti rispetto alla linea seguita fin qui da monsignor Pozzo e dal predecessore di Muller, cardinale Joseph William Levada. Ma questa difformita' non giustifica l'ipotesi che la nomina del prelato triestina ad elemosiniere pontificio rappresenti una sorta di "promoveautur ut amoveatur", in quanto una nota ispirata dal Papa nei giorni scorsi esclude qualunque ultimatum alla Fraternita' San Pio X.
"La Santa Sede e' in attesa della risposta ufficiale dei superiori della Fraternita' San Pio X. Dopo trent'annni di separazione, e' comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato di questi recenti sviluppi", ha chiarito infatti una nota della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
L'importante dichiarazione vaticana ha ribadito soprattutto che "il nostro Santo Padre Benedetto XVI cerca di promuovere e preservare l'unita' della Chiesa mediante la realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternita' sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro, sono necessarie pazienza, serenita', perseveranza e fiducia".
Ed e' il Papa in persona, che ha annoverato oggi monsignor Pozzo nella famiglia Pontificia, ad aver deciso di concedere piu' tempo ai seguaci di monsignor Lefebvre e al loro capo Fellay. Quest'ultimo del resto proprio nei giorni scorsi ha compiuto un atto oggettivamente di apertura al rientro fortemente auspicato dal Pontefice con la decisione di espellere il negazionista Richard Williamson, le cui assurde dichiarazioni sulla Shoa' avevano creato grande scandalo e imbarazzo anche nella Chiesa Cattolica, visto che il Papa aveva deciso di perdonare le disobbedienze dei lefebvriani. Dunque non verranno sepolte con l'uscita di Pozzo da Ecclaesia Dei (dove peraltro si e' gia' insediato un vicepresidente nella persona di monsignor Augustin Di Noia, arcivescovo domenicano di origine statunitense e storico collaboratore del cardinale Ratzinger nell'ex Sant'Uffizio) le speranze di un rientro dei seguaci di Lefebvre nella piena comunione cattolica.
"Quando i dialoghi dottrinali si conclusero, fu possibile - ha ricostruito il recente comunicato vaticano - procedere ad una fase di discussione piu' direttamente focalizzata sul grande desiderio di riconciliazione della Fraternita' sacerdotale di San Pio X con la Sede di Pietro.
Altri passi fondamentali in questo processo positivo di graduale reintegrazione erano stati intrapresi dalla Santa Sede nel 2007 mediante l'estensione alla Chiesa universale della Forma Straordinaria del Rito Romano con il Motu Proprio Summorum Pontificum e, nel 2009, con l'abolizione delle scomuniche".
Secondo la nota ispirata dal Papa tedesco, infine, "solo alcuni mesi or sono in questo cammino difficile fu raggiunto un punto fondamentale quando, il 13 giugno 2012, la Pontificia Commissione ha presentato alla Fraternita' sacerdotale di S. Pio X una dichiarazione dottrinale unitamente ad una proposta per la normalizzazione canonica del proprio stato all'interno della Chiesa cattolica". Per questo, dunque, viene accolta la richiesta dello scorso 6 settembre, con la quale "la Fraternita' sacerdotale di S. Pio X ha indicato di aver bisogno per parte sua di ulteriore tempo di riflessione e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime iniziative della Santa Sede". E la Chiesa Cattolica resta "in attesa della risposta ufficiale dei Superiori della Fraternita' sacerdotale".

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15/11/2012

La porta chiusa di Fellay

Il superiore della Fraternità spiega: la situazione «è bloccata», si è tornati al punto di partenza. Definisce «cattiva» la nuova messa e parla di vescovi e cardinali che «benedicono le vie che portano all’inferno»

ANDREA TORNIELLI

CITTÀ DEL VATICANO

Lo scorso 6 settembre con una lettera alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei il superiore della Fraternità San Pio X, il vescovo Bernard Fellay, aveva chiesto tempo prima di rispondere alla proposta della Santa Sede, che nel giugno di quest’anno aveva sottoposto ai lefebvriani l’ultima versione del preambolo dottrinale insieme a una proposta di ordinamento canonico (prelatura personale).

Ora per la prima volta lo stesso Fellay risponde in maniera esplicita e pubblica ricostruendo la storia degli ultimi mesi delle relazioni con Roma. Il vescovo ha parlato nell’omelia della messa celebrata a Parigi, nella chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, lo scorso 11 novembre.

Un’omelia per descrivere i mesi di «sofferenze» interne alla Fraternità e affermare: «Siamo allo stesso punto in cui era monsignor Lefebvre nel 1974».

Fellay, dopo aver spiegato che l’espulsione del vescovo Richard Williamson non è stata determinata dai rapporti con la Santa Sede ma è stato il risultato di «un problema che durava da più tempo», si è chiesto come Roma possa vedere la continuità del Concilio Vaticano II con la tradizione precedente nel caso della riunione interreligiosa di Assisi o nel bacio del Corano (il riferimento è un gesto compiuto da Giovanni Paolo II).

Il superiore lefebvriano ha parlato esplicitamente di una «contraddizione» della Santa Sede e delle persone della Santa Sede, parlando di una «spaccatura» nell’esercizio dell’autorità e di «sabotaggio» nel caso di decisioni prese in favore dei tradizionalisti. Fellay ha ricordato che i dialoghi dottrinali si sono conclusi con un mancato accordo. Ma che il Papa «ha proposto una soluzione canonica». E ha parlato di messaggi ufficiali – il testo del preambolo da firmare, le condizioni – che si affiancano a messaggi ufficiosi, provenienti da persone di Ecclesia Dei e anche da un cardinale, che parlavano invece del fatto che Benedetto XVI avrebbe riconosciuto la Fraternità San Pio X senza chiedere a questa di cambiare posizione. Negli ultimi mesi, secondo il vescovo, si sarebbero dunque accavallati messaggi ufficiali e ufficiosi circa la volontà del Papa di concludere l’accordo.

Fellay ha spiegato di aver voluto verificare quale delle due linee fosse quella vera. Così, di fronte alla richiesta contenuta nel preambolo di accettare il Concilio Vaticano II, ha scritto direttamente al Pontefice. La risposta, com’è noto, è arrivata e non è piaciuta. Benedetto XVI ha richiamato le condizioni necessarie per l’accordo. La prima è l’accettazione del fatto che il magistero della Chiesa a stabilire ciò che appartiene alla tradizione. La seconda è l’accettazione del Concilio Vaticano II come appartenente a questa tradizione. La terza è l’accettazione della validità e della legittimità della messa Novus Ordo.

Citando la nuova messa, Fellay ha parlato di «devastazioni» che questa avrebbe provocato, citando «la perdita della fede» e «le chiese vuote». «Non parliamo nemmeno di legittimità, diciamo semplicemente che la messa è cattiva, e questo basta». Per questo, il superiore della San Pio X afferma che «le cose sono bloccate, si è tornati al punto di partenza, siamo esattamente allo stesso punto in cui era monsignor Lefebvre nel 1974. E così continuiamo la nostra lotta».

Per Fellay la crisi è attuale «è probabilmente la più terribile che la Chiesa abbia mai sofferto», perché ci sono «vescovi e cardinali che non conducono più le anime al Cielo, ma benedicono le vie che portano all’inferno». E ha concluso l’omelia citando le apparizioni di La Salette e di Fatima, le cui profezie annunciano «un tempo doloroso, terribile», con Roma che diventerà «la sede dell’Anticristo e perderà la fede».


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7/01/2013

Fellay: ebrei, massoni e modernisti contro l’accordo con Roma

Il superiore lefebvriano elenca i «nemici della Chiesa» che avrebbero contrastato il riconoscimento della Fraternità

Andrea TOrnielli
Città del Vaticano

Il vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X, il gruppo tradizionalista fondato da monsignor Lefebvre, è tornato a parlare delle relazioni con la Santa Sede negli ultimi due anni, individuando i «nemici della Chiesa» che si sono opposti al riconoscimento da parte di Roma.

Come si ricorderà, un accordo sembrava ormai quasi raggiunto, ma dalla scorsa estate, da quando ai lefebvriani è stata proposta la versione finale del preambolo dottrinale da sottoscrivere, le posizioni sembrano tornate distanti. Il nuovo vice-presidente della commissione Ecclesia Dei, l’arcivescovo statunitense Augustin Di Noia, sta cercando di non dissipare il lavoro svolto nei colloqui dottrinali con gli esponenti della Fraternità, mentre sono risuonate quasi come una pietra tombale sul possibile accordo le dure parole pronunciate dal nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, che ha definito «eretiche» certe posizioni dei lefebvriani.

Lo scorso 28 dicembre Fellay ha tenuto una conferenza di due ore in Ontario, Canada, durante la quale ha detto: «Chi, durante questo tempo, si è maggiormente opposto al fatto che la Chiesa potesse riconoscere la Fraternità San Pio X? I nemici della Chiesa. Gli ebrei, i massoni, i modernisti…».

Un comunicato stampa del Distretto statunitense della Fraternità è corso ai ripari, spiegando che la parola «nemici» usata dal vescovo Fellay è «ovviamente un concetto religioso e si riferisce a qualsiasi gruppo o setta religiosa che si oppone alla missione della Chiesa cattolica e ai suoi sforzi di raggiungere il suo scopo: la salvezza delle anime».

Tale contesto «religioso», continua il comunicato, è basato sulle parole di Gesù riportate nel vangelo di Matteo: «Chi non è con me è contro di me…». E il riferimento agli ebrei, cerca di puntualizzare il comunicato, era indirizzato ai leader delle organizzazioni ebraiche, e non al popolo ebraico, come invece è stato interpretato dai giornalisti. La Fraternità San Pio X denuncia il ripetersi di «false accuse» di antisemitismo o di «parole di odio», fatte nel tentativo di «ridurre al silenzio il suo messaggio».

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19/01/2013

Lefebvriani, una mano tesa per otto pagine

L’arcivescovo Di Noia, vicepresidente di Ecclesia Dei, ha scritto a Fellay e ai preti della Fraternità San Pio X. Per riprendere il dialogo

andrea tornielli
roma


Nuova mossa della Santa Sede verso la Fraternità San Pio X: il vicepresidente di Ecclesia Dei Augustin Di Noia, nelle cui mani da pochi mesi Benedetto XVI ha affidato lo scottante dossier lefebvriano, ha scritto al vescovo Bernard Fellay. E attraverso di lui si è rivolto a tutti i sacerdoti della Fraternità, indicando un percorso per riannodare i fili di un dialogo interrotto dallo scorso giugno.

Come si ricorderà, dopo anni di discussioni dottrinali, nel giugno 2012 la Congregazione per la dottrina della fede aveva consegnato al superiore lefebvriano un preambolo dottrinale approvato da Ratzinger la cui sottoscrizione era premessa per l’accordo e la sistemazione canonica che avrebbe riportato la Fraternità alla piena comunione con Roma. La Santa Sede attendeva una risposta nel giro di alcune settimane. Ma la risposta non è mai arrivata. I lefebvriani hanno studiato la proposta vaticana, ci sono state tensioni interne – per cause preesistenti – che hanno portato all’espulsione di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre nel 1988, tristemente famoso per le sue dichiarazioni negazioniste sulle camere a gas. Il cammino intrapreso è sembrato però interrotto, e le dichiarazioni dalle due parti non sono apparse concilianti: il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gehrard Müller ha criticato in modo aspro le posizioni lefebvriane, mentre stanno facendo ancora discutere le controverse dichiarazioni di Fellay sui «nemici della Chiesa» che si sarebbero opposti all’accordo con Roma, tra i quali il vescovo lefebvriano ha inserito anche gli «ebrei».

La mossa di Di Noia rappresenta una novità. L’arcivescovo statunitense, domenicano, è un teologo preparato e realista. Nella lettera che ha inviato a Fellay prima di Natale, chiedendo al superiore della San Pio X di farla arrivare a tutti i preti della Fraternità, Di Noia propone un metodo per riprendere il dialogo, compiendo così un ultimo tentativo di fronte allo stallo e a difficoltà che sembrano oggettivamente difficili da superare. Secondo l’autorevole vaticanista francese Jean Marie Guenois, l’ispiratore della missiva sarebbe lo stesso Benedetto XVI, che l’avrebbe riletta e autorizzata. Nella missiva, informa Guenois, si parla del forte desiderio di «superare le tensioni» esistenti. Nel documento, di otto pagine, vengono toccati tre punti essenziali: lo stato attuale dei rapporti, lo spirito di questi rapporti e il metodo per riprendere il dialogo interrotto. A proposito dell’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, uno dei punti più controversi del dialogo, Di Noia ritiene che le relazioni siano ancora «aperte» e «piene di speranza», nonostante certe recenti dichiarazioni di parte lefebvriana. Il vicepresidente di Ecclesia Dei sancisce forse per la prima volta così autorevolmente l’esistenza, nei rapporti con la San Pio X, di un «impasse» di fondo e l’assenza di passi in avanti sull’interpretazione del Concilio.

Nella seconda parte del documento si sottolinea l’importanza dell’unità della Chiesa e dunque la necessità di evitare «l’orgoglio, la collera, l’impazienza». Il «disaccordo su dei punti fondamentali» non deve escludere di dibattere delle questioni controverse con uno «spirito di apertura». Infine, la terza parte della lettera, propone due vie d’uscita per uscire dallo stallo attuale. La prima è il riconoscimento del carisma di monsignor Lefebvre, e dell’opera da lui fondata, che era quello della «formazione di preti» e non quello della «retorica controproducente», né quello di «giudicare e correggere la teologia» o ancora di «correggere pubblicamente gli altri nella Chiesa». La seconda – presente nel documento Donum Veritatis pubblicato nel 1990 a proposito della dissidenza dei teologi progressisti – consiste nel considerare legittime, nella Chiesa cattolica le «divergenze» teologiche, ricordando però che le obiezioni devono essere espresse internamente, non pubblicamente, per «stimolare il magistero» a formulare meglio i suoi insegnamenti. E non devono dunque mai prendere la forma di un «magistero parallelo».

A Roma ora di attende una risposta. Sperando che questa volta sia positiva.


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2/02/2013

«I lefebvriani sono sospesi a divinis, non possono celebrare nelle chiese cattoliche»

Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo firma un decreto che vieta ai preti della Fraternità l'uso delle cappelle nella sua diocesi

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

La sua è una presa di posizione significativa e indicativa: il vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo Charles Morerod - teologo domenicano, già rettore dell'Angelicum e segretario della Commissione teologica internazionale nonché membro della delegazione della Congregazione per la dottrina della fede nei dialoghi con la Fraternità San Pio X - ha pubblicato un decreto vietando ai preti lefebvriani di celebrare la messa nelle chiese e nelle cappelle della sua diocesi. E ha ribadito che i preti della Fraternità sono sospesi «a divinis».


Il documento, firmato lo scorso 20 gennaio, riguarda «l'ammissione delle altre religioni, confessioni o gruppi religiosi, come pure della Fraternità San Pio X e dei "teologi indipendenti" nelle chiese e nelle cappelle romano cattoliche». Monsignor Morerod, un prelato che Ratzinger conosce bene, nel documento spiega che le comunità appartenenti a religioni non cristiane otterranno una risposta negativa se chiedono l'uso di una chiesa cattolica. Per quanto riguarda invece le comunità e confessioni cristiane, sulla base del «Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo» del 1993, il vescovo spiega che il permesso può essere accordato «per ragioni di necessità pastorale». «Se questa necessità pastorale si presenta, le chiese e le cappelle possono essere messe a disposizione solo per comunità di fede cattolico-cristiana, evangelico-riformata, ortodossa e anglicana».


I sacerdoti della Fraternità San Pio X, secondo quanto si legge nel decreto, non rientrano in queste categorie. Morerod infatti dedica tre brevi paragrafi ai lefebvriani, ricordando innanzitutto che la scomunica comminata dalla Santa Sede a Lefebvre e ai vescovi da lui ordinati nel 1988 «è stata tolta per decreto della Congregazione dei vescovi il 21 gennaio 2009». Quindi cita un passo della lettera del 10 marzo 2009 inviata da Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo dopo la bufera del caso Williamson: «Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa». Morerod ribadisce dunque l'esistenza della sospensione «a divinis», cioè del divieto di celebrare. «Per queste ragioni - conclude il vescovo svizzero - è vietato ai preti della Fraternità sacerdotale San Pio X l'uso delle chiese e delle cappelle cattoliche per qualsiasi servizio sacerdotale e in particolare per l'amministrazione dei sacramenti».


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