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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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12/05/2009 07:30
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IL PAPA E L’ISLAM, LA FORZA DI UNA SCELTA

Un dialogo senza ambiguità

Angelo Panebianco

Benedetto XVI è giunto oggi a Tel Aviv dopo la sua prima tappa in Giordania.
Questo lungo viaggio in Terra santa del Papa avrà certamente an cora molti momenti sa lienti ma un primo bilan cio è reso possibile dal l’accoglienza che gli è sta ta fin qui riservata e dalle parole, forti e inequivoca bili, che egli ha già pro nunciato sui rapporti fra il cristianesimo, l'ebrai smo e l'islam.
Il viaggio del Papa è di estrema delicatezza. Non solo perché si svolge nei luoghi che sono, oggi co me mille anni fa, il terre no di incontro/scontro fra le tre religioni mono teiste.
E non solo perché è proprio lì, in Medio Oriente, che si addensa no, si sovrappongono e si intrecciano i più gravi ele menti di conflitto che mi naccino oggi la stabilità mondiale. E' di estrema delicatezza anche perché il Papa vi è giunto prece duto da una lunga scia di polemiche e incompren sioni che hanno fin qui se gnato i suoi rapporti sia con l'ebraismo che con l'islam.
Sul Monte Nebo, in Giordania, Benedetto XVI ha colto l'occasione per ri badire con solennità quanto ha peraltro già detto e scritto in molte oc casioni.
Ha affermato con enfasi quanto speciale sia il rapporto fra cristianesi mo e ebraismo, quanto «inseparabile» sia il vin colo che li unisce. Forse non tutte le incompren sioni spariranno di colpo ma sono state poste le ba si per un loro superamen to. Benedetto XVI ha par lato così agli ebrei ma an che, contestualmente, ai cristiani. Ha voluto dire agli uni e agli altri che an che gli ultimi detriti so­pravvissuti dell'antico an tigiudaismo cristiano de vono essere spazzati via senza indugio dalle co scienze. Inoltre, la sua presenza in Israele oggi, nella condizione presen te, vale più di mille rico noscimenti diplomatici. E' un'implicita affermazio ne del diritto all'esistenza dello Stato di Israele con tro coloro che vorrebbero cancellarlo.
Altrettanto delicato, e forse anche più delicato, è il rapporto con l'islam. E non solo a causa degli eventi che seguirono il di scorso di Ratisbona. E' più delicato anche per ché il Papa è impegnato in una assai difficile e complessa operazione che investe, al tempo stes­so, la sfera religiosa e quella mondana. Una ope razione complessa che na sce dal riconoscimento, più volte ribadito da Bene detto XVI, che il rapporto fra il cristianesimo e l'islam è di natura diversa da quello che lega il cri stianesimo e l'ebraismo. Quella relazione speciale che c'è, e va riconosciuta, fra cristianesimo ed ebrai smo, non c'è, non ci può essere, fra cristianesimo e islam.
Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, al l’epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e an che in occasione del viag gio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulma no, in modo da renderlo davvero proficuo sgom brando il campo dai ma lintesi.
Ciò che il Papa vuol fare è di chiarire che fra cristianesimo e islam non ci può essere dialogo religioso (le due fedi sono, su questo terreno, inconciliabili) ma ci deve essere invece, fra cristiani e musulmani, un incontro inter-culturale e civile (un dialogo che potremmo anche definire laico).
Anche per ribadire questo il Pontefice è rimasto in meditazione ma non ha pregato durante la sua visita alla moschea Hussein.
E' un mo do, l'unico modo, per spazzare via equivoci e ipocrisie rendendo possibile il rispetto reciproco e un dialogo forse foriero di buone conseguenze per le persone, cristiani e musulmani, coinvolte.
In Giordania, per lo meno, il senso della presenza del Papa sembra essere stato compre so dagli islamici che lo hanno accolto. Così come sono state comprese le parole che il Papa ha dedicato alla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi. Benedet to XVI, naturalmente, è stato attento a non mettere a carico del solo mondo islamico (oltre a tutto, ciò non sarebbe stato nemmeno veritiero) la tentazione e la pratica della violenza. Ma è certo che le sue parole sulla violenza (così come quelle rivolte ai cristia ni del Medio Oriente sul ruolo delle donne) rappresentano una sponda che il capo della cristianità ha offerto a quella parte del mondo islamico che patisce la violenza dei fondamentalisti ancor più di quanto la patiscano gli occidentali.
La presenza del Papa, e i suoi atti e le sue parole, sono assai dispiaciute ai fondamentalisti, nonché a quei personaggi ambigui, di confine (il più celebre dei quali è Tariq Ramadan), che circola no e predicano in Occidente. Ed è un bene che sia così. Il viaggio del Papa può aiutare l'azione degli uomini, musulmani, ebrei o cristiani, alla ricerca di una pacifica convi venza proprio perché ricorda a tutti quanta mistificazione ci sia nell'uso a scopi politici della religione e nella violenza che quell'uso porta sempre con sé.

© Copyright Corriere della sera, 11 maggio 2009


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