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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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17/05/2009 21:45
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Gioia ed affetto accolgono il Papa a Betlemme

CTS Notizie

Mercoledì 13 maggio 2009: E’ cominciata presto, questa giornata che ieri aveva sommato emozioni e stanchezza: il Papa è giunto a Betlemme poco prima delle 8.00 e, nel piazzale antistante il Palazzo presidenziale, è stato accolto dal presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas).
Gerusalemme e Betlemme distano pochi chilometri l’una dall’altra, eppure il Papa ha attraversato un mondo, e se il Muro di separazione è quanto di più evidente Betlemme offre agli occhi di ogni pellegrino, è tutta la realtà di un popolo che il Presidente ha illustrato davanti al Santo Padre. In modi diversi, con differenti passioni, le sofferenze del popolo palestinese sono presentate al Papa forse non solo perché è legittimo e comprensibile che i figli chiedano al padre ascolto e conforto, ma per l’urgenza di cogliere il momento perché il mondo ascolti e presti attenzione.
Il Papa ha risposto con un discorso che dimostra che ben conosce, anche nei dettagli della vita delle persone, la situazione delle città chiuse dal muro, e le sofferenze causate da un conflitto lungo e logorante. Il testo del discorso è a disposizione e merita di essere letto integralmente. Da sottolineare c’è l’aperta consapevolezza che le sue parole sono oggetto di attenzione (vengono vivisezionate dalla stampa locale!) da parte di una popolazione in maggioranza giovane e quindi li chiama in causa direttamente: “Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo”.
Ma noi, quando il Papa era ormai entrato a Betlemme, vagavamo per stradine che finivano nel nulla alla ricerca di un passaggio per raggiungerla.
Lunedì pomeriggio il Papa è stato accolto dai soldati che pattugliavano le strade di una Gerusalemme completamente deserta; ieri la maggior parte dei pellegrini che ha raggiunto la Valle del Getsemani ha fatto esperienza di sbarramenti dei quali oggi si parla tra incredulità e ironia; questa mattina, finalmente, la Città del Pane!
Grande Betlemme: un’accoglienza serena, gentile, dove la gente – certo i cristiani sono una piccola minoranza – sorrideva ai nostri berrettini bianchi e gialli.
L’arrivo nel grande piazzale dove, di fronte al Peace Center, era eretto l’altare, davanti alla Piazza della Mangiatoia è stato una gioia: finalmente l’allegria, la piazza piena, l’attesa condivisa, le bandiere (non solo palestinesi, ma oggi erano la maggioranza): qui il Papa è arrivato con un po’ di gente che l’ha atteso lungo le strade, qui è stato accolto con un calore davvero grande, gioioso, coloratissimo. La Santa Messa è iniziata in orario: come già ieri, il clima è stato di grande raccoglimento, e il controllo dell’ordine non rigidissimo ha permesso una partecipazione più serena, non turbata da distrazioni. Dopo il saluto d’introduzione di Sua Beatitudine il Patriarca mons. Fouad Twal, la Liturgia della Parola con la seconda Lettura cantata secondo la melodia bizantina, l’acclamazione al Vangelo in rito siriaco (che bellezza la Liturgia della Terra Santa che sa amalgamare i riti ed esaltare la convivialità delle differenze!), ecco l’omelia del Papa. Attesa e subito interrotta da un fremito di commozione perché dopo poche righe dice: “Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra…”. Ha davanti a se, stipate accanto ai Cavalieri del Santo Sepolcro, in prima fila, un gruppo di donne che tengono alzate le fotografie dei loro familiari uccisi. Su di esse si puntano adesso le macchine fotografiche… Gran parte della sua omelia è dedicata alla speranza cristiana, alla gioia che pure si deve sottolineare a Betlemme, che ha esultato per la venuta del Salvatore che qui è nato e che la rende “associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà.”
Il sole splende su Betlemme, e fa caldo. Ma la partecipazione commossa a questo abbraccio del popolo al Papa è davvero una forza che scalda il cuore. Siamo tutti molto contenti. Siamo contenti perché il Papa ha potuto, finalmente, sentire che anche qui gli vogliamo bene. Quanto dura la Messa? Il tempo scorre veloce, e subito dopo la benedizione finale i frati francescani percorrono veloci il piazzale trasportando nella sacrestia della chiesa di Santa Caterina gli arredi sacri. Il Papa, con il suo seguito, passa osannato dirigendosi a Casa Nova, dove pranzerà. E’ festa per cuochi e operai del Casa Nova oggi: saluteranno il Papa alla sua entrata in Refettorio, e a fine pranzo staranno ancora con lui per una fotografia ricordo.
Dopo un breve riposo, il Santo Padre si è recato per un momento di preghiera privato nella Grotta della Natività. Attorniato poi da tutti i frati, e insieme al padre Custode e al Ministro Generale, fra J.M. Carballo, è poi sostato nella chiesa di Santa Caterina per una fotografia con loro. Lo attendono al Baby Caritas Hospital e al Campo profughi di Ayda: buon proseguimento del suo viaggio, Santità.

Irene B.

www.custodia.org/spip.php?article5822


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All’aeroporto

Il Pontefice e la carta d’imbarco

DAL NOSTRO INVIATO

G. G. V.

TEL AVIV — Bagagli e passaporto non glieli hanno controllati, almeno questo no, va bene la sicurezza ma il personaggio è noto e si può fare uno strappo alla regola. Però l’organizzazio ne israeliana è stata così meticolosa che Benedetto XVI ha ricevuto la sua re­golare carta d’imbarco per l’aereo papa le.
Con l’indicazione del volo El Al LY2009 e il nome del passeggero: «Sua Santità Benedetto XVI». L’aereo è più che confortevole, il servizio squisito, la precisione assoluta: e vicino al Pon tefice restano tutti stupiti e divertiti quando vengono riconsegnate le carte d’imbarco.
Un inedito nella storia dell’aviazione. Ricevono le loro carte anche i membri del seguito papale, a cominciare dal cardinale Tarcisio Bertone, Segreta rio di Stato. E anche loro, spiegano du rante il volo, non le avevano mai viste.

© Copyright Corriere della sera, 16 maggio 2009


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TERRA SANTA - Continuare il cammino

Il nunzio in Israele dopo la visita di Benedetto XVI

Si è concluso venerdì 15 maggio il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Giordania, Israele e Territori palestinesi.
Una visita che nelle intenzioni del Pontefice, voleva essere, innanzitutto un pellegrinaggio per venerare Luoghi Santi che “che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia biblica”, per incontrare le comunità cristiane locali e pregare per la pace.
Tutti gli interventi, discorsi ed omelie del Papa hanno richiamato a valori come solidarietà, dialogo, giustizia, riconciliazione. Di questo pellegrinaggio ne abbiamo parlato con il nunzio in Israele e delegato apostolico per Gerusalemme e la Palestina, mons. Antonio Franco.

Al termine del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Giordania, Israele e Territori palestinesi, c’è un’immagine, un ricordo, che più di ogni altro le è rimasto vivo nella memoria?

“Il Papa ha lasciato ricordi bellissimi di questo tempo passato in Terra Santa, giorni vissuti intensamente, sia nei momenti un po’ più di tensione sia in quelli di partecipazione e commozione spirituale, più rilassati e sereni. È stato un viaggio dal bilancio estremamente positivo”.

L’arrivo di Benedetto XVI era stato segnato da qualche perplessità da parte dei cristiani locali, preoccupati che questa visita potesse essere una vetrina per Israele. Il Papa è riuscito a spazzare via i dubbi della vigilia?

“Benedetto XVI ha vissuto tutte le realtà della Terra Santa, lo ha fatto nella genuinità, nella realtà di quello che si vive giorno per giorno. Ha vissuto tutta la fatica, la difficoltà e anche la tensione di Gerusalemme, il clima più disteso a Betlemme e poi è stato a Nazareth nella semplicità e nella bellezza della famiglia, in un clima familiare.
Certamente sono cadute tante perplessità e tante difficoltà della vigilia, si è creato un clima di comunicazione profonda, nonostante non vi sia stato un incontro personale con ciascuno. Ma si è sentito il cuore del Papa vicino alle realtà della Terra Santa e questo tutti i nostri cristiani lo hanno avvertito in modo meraviglioso”.

Nel suo discorso di congedo, prima di rientrare in Italia, il Pontefice, ricordando di essere venuto “da amico degli Israeliani e del Popolo Palestinese” ha lanciato l’appello: “Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo il circolo vizioso della violenza”. Un messaggio che riassume tutti gli altri lanciati nei giorni precedenti e che ora chiede di essere messo in pratica...

“Benedetto XVI ha dato messaggi chiari e inequivocabili. Adesso tocca a noi, ed intendo in senso ampio anche i Governi, la Comunità internazionale, la Chiesa stessa, fare in modo che ci sia un seguito, che ci possa essere magari una svolta o un piccolo passo avanti in questo difficile e faticoso cammino verso la pace in Medio Oriente”.

Una delle istantanee più significative di questo viaggio è quella che ritrae il Pontefice che prende per mano un imam ed un rabbino, quasi in un filo unico di preghiera. Possiamo assumere questa immagine come simbolo del futuro del dialogo interreligioso in Medio Oriente?

“Sono i segni e i messaggi. Adesso è il tempo dell’impegno. Niente si fa con un tocco magico.
I segni e i messaggi vanno tradotti in realtà, va data loro concretezza, devono essere trasformati in esperienza quotidiana giorno dopo giorno.
Tocca a noi cristiani e ai fedeli delle altre religioni; tocca a tutti compiere un rinnovato sforzo di andare avanti, nonostante le difficoltà e di cercare di vivere quello che stiamo cercando di assimilare come ideale di vita, la solidarietà, la riconciliazione, la fraternità e la collaborazione. Questi valori rappresentano per il Medio Oriente l’acqua necessaria per far germogliare la vita”.

© Copyright Sir


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Benedetto XVI li ha salutati a Nazaret evidenziando come siano «un richiamo alle radici ebraiche della nostra fede»

Dai cattolici di lingua ebraica una testimonianza di unità

La sfida per la Chiesa della Terra Santa, formata da una maggioranza araba, da stranieri e da un piccolo gregge di lingua ebraica, è di dare la testimonianza di un corpo di Gesù unico e unito.
Ne è convinto padre David Neuhaus, vicario del patriarca latino di Gerusalemme per le comunità cattoliche di espressione ebraica. Nominato poco più di un mese fa, questo gesuita quarantasettenne di origini tedesche, convertitosi dall'ebraismo, ha accolto con gioia l'affettuoso saluto rivolto ai "suoi" fedeli da Benedetto XVI durante i vespri celebrati giovedì scorso, 14 maggio, nella basilica dell'Annunciazione a Nazaret. Nel "luogo dove Gesù stesso crebbe fino alla maturità e imparò la lingua ebraica", il Papa aveva infatti evidenziato come queste piccole comunità cattoliche siano per tutta la Chiesa "un richiamo alle radici ebraiche della nostra fede".
Si tratta di comunità nate dalla confluenza di tre elementi: il primo è rappresentato da quegli ebrei venuti durante la grande emigrazione dall'Europa, che portarono anche i famigliari cattolici: coppie miste, formate in prevalenza da un uomo laico ebreo e da una donna cattolica. Il secondo da quei cattolici di origine ebraica che hanno scoperto la loro appartenenza al popolo ebraico in seguito alla Shoah. Infine, quello costituito da quei cattolici che, dopo l'Olocausto, hanno visto quanto fosse importante essere solidali con il popolo ebreo.
Nel 1995 alcuni di essi hanno dato vita all'opera di San Giacomo, con sacerdoti, religiose e laici per creare, prorio in Israele, una Chiesa nel cuore della società ebraica. La loro vita infatti è scandita dalla cultura della società locale, anche la liturgia è in ebraico, come la musica e il rispetto del calendario ebraico.
In tale contesto assume particolare importanza il rapporto con la maggioranza assoluta dei cristiani in Terra Santa, che sono arabi. Entrambe queste realtà, infatti, fanno riferimento al patriarcato latino di Gerusalemme. "È molto importante - commenta padre Neuhaus - che i capi della Chiesa diano segni di unità, perché nella vita quotidiana non ci sono tante opportunità di incontrarci e nelle occasioni come quella del viaggio del Papa si deve dare una testimonianza dell'unità alla nostra società che è molto divisa".
Del resto - come ha ricordato Benedetto XVI parlando domenica scorsa al Regina caeli del recente pellegrinaggio - la Terra Santa costituisce un "microcosmo che riassume in sé il faticoso cammino dell'umanità verso il Regno di giustizia, di amore e di pace"; un luogo che è diventato un ""quinto Vangelo", perché qui" è possibile "vedere, anzi toccare la realtà della storia che Dio ha realizzato con gli uomini".
Il Papa ha anche spiegato che oltre a essere un servizio all'unità dei cristiani, al dialogo con ebrei e musulmani, e alla costruzione della pace, la sua è stata soprattutto "una visita pastorale ai fedeli che vivono là".
In Israele e nei Territori palestinesi la Chiesa è costituita dal patriarcato latino di Gerusalemme, dall'assemblea degli ordinari di Terra Santa - con le Chiese orientali greco-melkita, maronita, armena, sira e caldea - e dalla custodia francescana: un piccolo ma dinamico gregge, se si considera che su poco più di sette milioni di abitanti, i cattolici sono solo 130 mila, l'1,81 per cento del totale.
La cura d'anime è ripartita tra nove circoscrizioni ecclesiastiche, con 78 parrocchie e tre centri pastorali. Undici sono i vescovi, 89 i sacerdoti diocesani e 317 quelli religiosi, per un totale di 406 preti. Cinque diaconi permanenti, 203 religiosi non sacerdoti, 968 religiose professe e un solo missionario laico completano il quadro delle persone impegnate in attività pastorali. A queste vanno aggiunti quattordici seminaristi minori e 110 seminaristi maggiori.
Le scuole materne e primarie affidate alla Chiesa sono 140, con oltre trentacinquemila iscritti; 42 quelle inferiori e secondarie, con quasi 4.500 alunni; dieci gli istituti superiori e le università, con poco meno di quattromila allievi. La Chiesa gestisce infine undici ospedali, dieci ambulatori, nove case per anziani, invalidi e minorati, undici asili nido, quattro centri speciali di rieducazione. (gianluca biccini)

(©L'Osservatore Romano - 20 maggio 2009)


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E la regina fa il diario su Twitter

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Assaggi i frutti della nostra terra

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Viaggio in Terra Santa: fondazione interreligiosa ringrazia il Papa

La "Pave the Way Foundation" lamenta le critiche di alcuni settori

NEW YORK, martedì, 19 maggio 2009 (ZENIT.org).

La fondazione interreligiosa "Pave the Way Foundation" ha ringraziato con una lettera per “il coraggio e la forza” che Benedetto XVI ha manifestato nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, dall'8 al 15 maggio.
Il testo, firmato dal fondatore e presidente dell'istituzione, Gary L. Krupp, ebreo, lamenta allo stesso tempo le critiche che si sono levate da vari settori contro il Santo Padre, spiegando che in realtà di tratta di persone o istituzioni con “agende opposte”.
“Desidero esprimerle la mia sincera e sentita gratitudine per aver iniziato e completato il suo pellegrinaggio di grande successo in Terra Santa”, spiega il fondatore della "Pave the Way Foundation".
“In una regione divisa da differenze politiche, religiose e culturali, percorrere una linea sottile per portare il messaggio di pace di Dio a tutti quanti lo ricercano, richiede enorme coraggio e forza”.
“Solo chi cerca di mettersi nei panni di un altro riesce a capire veramente le necessità, le paure, e può identificarsi con il dolore di tutti i popoli della regione. Purtroppo, c'è chi ha agende opposte ed è pronto a criticare e a minare i suoi preziosi sforzi nel nome della pace”.
“Memore di questo, per favore prenda forza dalla voce di coloro che le hanno parlato in musica al suo arrivo in Israele e dall'apprezzamento di quanti vedono attraverso le critiche e l'ostilità e la negatività di alcuni commentatori”.
“Possa Dio darle la forza di continuare il suo pontificato per molti anni, e ricche benedizioni di successo nel suo sforzo di portare la pace di Dio nel nostro mondo travagliato”, termina la lettera, riconoscendo il lavoro del Papa “per porre fine all'uso errato del santo nome di Dio”.
La “Pave the Way Foundation”, come spiega la sua pagina web, “è dedita al raggiungimento della pace colmando le differenze con la tolleranza, l'educazione e le relazioni pratiche tra le religioni, mediante scambi culturali, tecnologici e intellettuali”.
L'organizzazione “cerca di eliminare l'uso della religione come strumento storicamente utilizzato da alcuni per raggiungere i propri interessi personali e provocare conflitti”.

© Copyright Zenit


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Benoît XVI, le pape théologien nous donne une leçon

18 maggio 2009 - da Eucharistie Sacrement de la Miséricorde –

La mattina di sabato 16 maggio, ho chiamato un’amica religiosa palestinese per dirle che ero viva, pur dopo una settimana memorabile e incredibile: 20 ore di sonno in una settimana, 3 pasti frettolosi in cinque giorni, giornate di 22 ore di lavoro (conto come lavorative le ore passate pazientando per cortesia secondo i voleri della sicurezza israeliana ma anche di quella palestinese – à Betlemme, i Palestinesi hanno voluto dimostrare di non essere da meno degli Israeliani).

Mi ascolta, ma ciò che le brucia di dirmi è: “Gli ho baciato la mano al Santo Sepolcro.”

Resto scioccata. Prima della visita, mi aveva detto con un fare secco che non avevo mai sentito prima da lei: “Resti a casa sua!” All’altro capo del telefono, la sento così felice… E non è l’unica a esprimermi questa felicità, l’orgoglio di poter dire: « C’ero ». Conosco un buon numero di religiosi europei che vivono qui, molto scettici su ciò che dice o fa Benedetto XVI, tra loro ci sono fior di intellettuali, anche loro si sono arresi e gli rendono omaggio… Anch’io gli avrei baciato le mani … ma non ci sono riuscita proprio.

Anche alcuni miei vicini che appartengono ad una piccola chiesa protestante evangelica mi chiedono continuamente e con interesse « Allora, allora ? ». Sanno che l’ho visto molto da vicino. Mi hanno visto in televisione.

Il freddo Benedetto XVI venerato! Si, freddo, e non è mancanza di rispetto! Al mio arrivo in sala stampa, giovedì sera, dopo la giornata a Nazareth, i vaticanisti sono al settimo cielo: «Il Papa era veramente felice, ha cantato, ha alzato le braccia». Guardate il video, quando Benedetto XVI è al colmo della gioia resta comunque molto, molto… controllato.

Che cosa è successo allora? Che cosa ha detto ? Quello che stupisce di più è la rivoluzione dei cuori e delle anime che è avvenuta lungo la settimana nella comunità cristiana araba avvenuta senza che la maggioranza avesse avuto una conoscenza reale dei propositi del Papa.

I discorsi non sono stati letti scrupolosamente. Ci si è accontentati di piccoli pezzi rubacchiati qua e là. Ci sono state alcune immagini molto forti in Giordania e qui. Ma tutto è avvenuto grazie al molto efficace e puntuale passa parola telefonico arabo. Devo proprio lasciar riposare le mie orecchie nei prossimi giorni. Ma so, e sento già che i cristiani locali hanno l’entusiasmo nel cuore… Si sono sentiti compresi, rispettati, riconosciuti e amati.

Il Papa, inoltre, ha incontrato ebrei e mussulmani e agli uni come agli altri ha mostrato rispetto. A tutti ha lanciato un messaggio a favore della giustizia, l’uguaglianza e la convivenza pacifica. E la piccola comunità cristiana ha apprezzato questi appelli, proprio lei che si sente relegata in un angolo, schiacciata tra i due. E poi i numerosi appelli alla creazione di uno stato palestinese e alla caduta del Muro.

Da parte mia, anche se non ho visto tutto, ho letto tutti i discorsi, ho visto e capito. Bisognerà comunque che li rilegga, i discorsi, quelli del Santo Padre, quelli dei vari ospiti, ma sono profondamente segnata prima di tutto dall’intensità della preghiera del Papa della quale sono stata testimone nella grotta dell’Annunciazione a Nazareth e ancora più davanti alla profondità intima davanti al Santo Sacramento del Santo Sepolcro. Ne ho pianto per l’emozione. E’ veramente venuto, da pellegrino, per pregare.

Ho pianto di tristezza al Getsemani. Spero che i cristiani palestinesi che non si sono degnati di andare alla messa per ragioni di comodità – bisognava arrivare troppo in anticipo e sedersi per terra – faranno il loro esame di coscienza.
Spero che quelli che non hanno potuto andarci a causa dei controlli di sicurezza crederanno ancora alla possibilità di vivere ancora amichevolmente con gli ebrei.
Ho pianto di gioia a Nazareth, sul Monte del Precipizio godendo quello che proprio mi aspettavo, una manifestazione dell’«orgoglio cristiano» degli arabi.

Ho gioito di quelle messe largamente celebrate in lingua araba, ma che hanno lasciato un po’ di posto per quella ebraica, la lingua dei cristiani di israele.
Mi è molto piaciuto che il Papa salutasse questa comunità di lingua ebraica che vive, ogni giorno, un’altra situazione, ben lontana dall’essere facile. Sarebbe bellissimo che queste due comunità lanciassero ponti tra di loro, anticipo dei ponti da gettare tra Israeliani e Palestinesi.

Al campo di Aïda, ho sentito l’emozione del capo del campo che diceva al Papa: «Grazie per aver rinunciato a visitare alcuni luoghi santi per venire a visitarci».
Ho visto la silhouette bianca del Papa staccarsi sul grigiore dl muro.
Questo muro, la più triste esperienza del suo viaggio, ha detto il Papa alla partenza.

Da un muro all’altro, il Papa mi è sembrato felice di poter pregare davanti al Muro occidentale.
Mi ritornano tante di quelle immagini. Scrivo, e sono le 10h37 di domenica, sento la mia vicina che sta sotto, siriaca ortodossa, che ascolta una messa cattolica… mi precipito a vedere. E’ la messa di Nazareth che è ritrasmessa alla televisione maronita libanese Télélumière! Non abbiamo ancora finito di misurare la portata di questo viaggio, meno mediatico e meno facile di quello di Papa Giovanni Paolo II. Ho l’impressione che possa portare maggiori frutti.

Penso a questa settimana, a questo Monte del Precipizio, alla sua storia, Gesù vi aveva pregato, nella sinagoga. Non era piaciuto, avrebbero voluto scaraventarlo giù, dalla cima di quel monte. Ho veramente temuto che Benedetto che su questo nostro campo potesse saltare all’aria, che per una ragione qualsiasi, anche casuale, potesse essere crocifisso… E’ venuto, ha predicato e come Gesù in mezzo ai suoi detrattori «passando in mezzo a loro, se ne è andato. » Il Papa teologo ci ha dato una lezione : il tempo e il progetto di Dio vanno oltre le nostre corte vedute. Ci precede e ci trascina e Dio ci attira a Lui infallibilmente, in Lui non ci saranno più nè ebrei, ne cristiani, nè mussulmani, finiremo per essere Uno in Lui.

Marie-Armelle Beaulieu

eucharistiemisericor.free.fr/index.php?page=1805091_mab


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Il viaggio del Papa in Terra Santa, “una lezione di realismo”
Per il Cardinale Scola, una lezione di umiltà e coraggio per i potenti



ROMA, mercoledì, 20 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è stata “una lezione di realismo”. E' quanto afferma il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, in un editoriale apparso sul settimanale Tempi.

Il Papa, spiega il porporato, “ha rischiato in prima persona, senza calcoli mondani di successo o insuccesso”.

“Il suo viaggio era a-priori 'politicamente scorretto'”, perché è “la pretesa universale di Cristo che conduce la fede cristiana al paragone con ogni religione, con ogni visione del reale”.

In Terra Santa, Benedetto XVI come “pellegrino dall'umile, intelligente coraggio [...] ha voluto essere il protagonista petrino della Chiesa tutta”.

Allo Yad Vashem, sottolinea, “ha coinvolto da subito, nel suo dolore, la 'Chiesa cattolica, vincolata agli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l'amore per ogni persona' che 'prova profonda compassione per le vittime qui ricordate'”.

“La forza del suo silenzio in quella voragine di dolore e la sua struggente invocazione perché il nome di nessuna vittima dell'abominevole sterminio nazista vada perduto non ha voluto essere solo quella di Josef Ratzinger – continua – , ma ben più potentemente quella di tutti i cristiani chiamati, al di là dei loro limiti, alla fraterna solidarietà con il popolo eletto”.

Il Papa, aggiunge il porporato, è riuscito a trattare il delicato tema della sicurezza, che sta molto a cuore ad Israele, partendo dalla prospettiva delle Sacre Scritture.

Nel discorso pronunciato nel giardino interno del Palazzo presidenziale di Gerusalemme per la visita di cortesia al Presidente Shimon Peres, il Papa ha infatti ricordato che “secondo il linguaggio ebraico, sicurezza – batah – deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza”.

Il Patriarca di Venezia indica poi i due capisaldi con cui il Papa ha affrontato la bruciante questione del dialogo interreligioso.

“Tornando sul rapporto tra ragione e religione, Benedetto XVI ha fortemente rimarcato la necessità per ognuna di farsi purificare dall'altra”, afferma.

“La religione – spiega il Patriarca – deve lasciarsi interrogare dalla ragione, per non cadere nella superstizione o nella strumentalizzazione da parte del potere politico, ma anche la ragione deve sapersi aprire alla dimensione dell'Assoluto”.

In secondo luogo, prosegue, “Benedetto XVI ha ribadito che il contributo particolare delle religioni 'nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio. Nostro è il compito di proclamare e testimoniare che l'Onnipotente è presente e conoscibile anche quando sembra nascosto alla nostra vista'”.

Il Cardinale evidenzia poi il messaggio di speranza affidato da Benedetto XVI agli abitanti della Terra Santa, specialmente durante la Messa celebrata a Betlemme, quando ha detto: “Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!”.

“Il volto delicato ed intenso con cui il Papa, in ginocchio davanti alla fenditura in cui fu conficcata la croce di Gesù, più che chiudere questo pellegrinaggio, apre per tutti gli uomini di buona volontà una strada efficace per sciogliere il nodo mediorientale”, scrive poi.

“I semplici la sapranno certo trovare. I potenti di questo mondo vorranno imparare dalla mite energia costruttiva di Benedetto XVI?”, si chiede infine il Cardinale Scola.

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La Terra Santa raccolga i frutti della visita papale
Bilancio del Patriarca latino di Gerusalemme e del Nunzio Apostolico



GERUSALEMME, giovedì, 21 maggio 2009 (ZENIT.org).- Nel corso di una conferenza stampa celebrata presso il Centro Notre Dame questo mercoledì, Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, e il Nunzio Apostolico in Israele e delegato apostolico per Gerusalemme e la Palestina, l'Arcivescovo Antonio Franco, hanno definito il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa "un successo per oltre il 90%".

Secondo quanto rende noto Marie-Armelle Beaulieu sul portale della Custodia Francescana di Terra Santa (www.custodia.org), interpellato sul 10% che si direbbe meno positivo, Sua Beatitudine Twal ha risposto con un proverbio arabo: "La perfezione spetta a Dio soltanto".

Di fronte all'insistenza dei giornalisti, ha aggiunto che la sicurezza israeliana si è dimostrata "più papista che il Papa stesso", almeno in termini di sicurezza, e questo ha provocato alcune difficoltà, soprattutto - ha aggiunto durante il seguito dell'intervista con i giornalisti - per quanto ha riguardato la partecipazione alla Messa celebrata a Gerusalemme il 12 maggio nella Valle del Cedron.

In seguito, sia il Patriarca che il Nunzio hanno ampiamente sottolineato gli aspetti positivi di questa visita.

Giungendo come pellegrino, il Santo Padre ha sottolineato l'importanza dei Luoghi Santi come i luoghi di un ritorno alle origini. In questo modo, "ha voluto incoraggiare i cristiani del mondo intero a seguire il suo esempio, e a venire in pellegrinaggio in Terra Santa, per pregare, per entrare in contatto con le comunità locali, in modo da pregare per noi e con noi, e di pregare insieme per la pace e per tutti gli abitanti della regione", ha affermato monsignor Twal.

Come pastore, il Pontefice si è rivolto alla comunità cristiana locale. "Si è fermato ad ascoltarci, e ci ha rivolto il suo messaggio. Tocca a noi, adesso, riprendere in mano i suoi discorsi e le sue omelie, con calma, per poterli assorbire, e per poterli vivere pienamente".

In qualità di Capo di Stato, il Pontefice è stato estremamente chiaro sulla posizione della Chiesa, spronando verso la soluzione dei due Stati. "Il Santo Padre ha ricordato molto chiaramente il diritto di Israele a vivere in sicurezza nel proprio Paese. Si riconosca il diritto di Israele e si riconosca il diritto dei palestinesi ad avere una patria, uno Stato, in modo che si giunga a una pace stabile in questa parte di mondo", ha proseguito il Nunzio Apostolico.

Nel complesso, i due presuli hanno insistito sul tempo di decantazione e maturazione del viaggio: "Dobbiamo prenderci del tempo per rileggere i discorsi, per comprendere il messaggio che il Papa ha voluto lasciarci", ha affermato il Patriarca.

"I risultati non saranno totalmente visibili oggi, e nemmeno domani: abbiamo bisogno di più tempo. Date tempo al tempo, date tempo alla Provvidenza", ha aggiunto, "ma questo messaggio di dialogo, di pace, di riconciliazione porterà i suoi frutti".

"Il messaggio deve essere recepito, studiato, e dovrà essere sicuramente trasformato in azione. Di certo questo dipenderà dalla buona volontà di ognuno di noi di ascoltarlo veramente, e di confrontare i nostri propri atteggiamenti con le indicazioni positive lasciateci dal Santo Padre", ha insistito monsignor Franco.

Interpellato sul ruolo della Chiesa nella soluzione del conflitto israelo-palestinese, il Nunzio ha risposto che "il ruolo della Chiesa non è certamente un ruolo diretto, ma ad essa spetta di formare, di educare alla pace e al rispetto. Le spetta di rendere le persone capaci di accettarsi a vicenda, di perdonarsi, di creare delle nuove possibilità, in modo da creare le precondizioni alla pace, sostenendo gli sforzi positivi e tentando di vincere la rassegnazione e la passività".

Quanto al dialogo interreligioso ed ecumenico, monsignor Twal ha detto che il Santo Padre "è stato felice di constatare che esiste una volontà di dialogo tra tutte le religioni, è stato contento di trovare una buona disposizione". "Per il Papa, una cosa è leggere dei rapporti, un'altra è vedere la realtà nella sua concretezza", ha sottolineato.

Circa la polemica sorta dopo i discorsi dello Yad Vashem, il Nunzio Apostolico ha affermato che molti si aspettavano che il Papa recitasse un copione già scritto, "ma io vi invito a riprendere le parole del Papa nel loro insieme, e specialmente quelle pronunciate al suo arrivo all'aeroporto, allo Yad Vashem, e poi il suo discorso conclusivo. Se mettiamo insieme i tre momenti, se ci addentriamo veramente nel pensiero del Papa, non possiamo desiderare di più del messaggio che egli ci ha lasciato sulla Shoah".

"Ha detto 'Mai più'. La sua riflessione sul nome, allo Yad Vashem, è la più bella riflessione che poteva fare per parlarci del dovere della memoria".

Quando è stato chiesto a monsignor Twal quale immagine resterà più impressa nella sua memoria, ha risposto: "Non voglio che rimanga un'immagine sola, vorrei un intero album fotografico di tutti questi momenti magnifici, tanto in Giordania quanto in Israele e Palestina!".

"Abbiamo ricevuto una grazia e un dono del Signore, e abbiamo visto la mano di Dio. Questo viaggio è stato un successo persino nelle difficoltà, poiché il Santo Padre ha così potuto fare esperienza della realtà concreta nella quale viviamo, qui in Terra Santa" ha concluso monsignor Franco.

25/05/2009 16:23
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Il grazie del Congresso Ebraico Mondiale per la visita in Terra Santa
Udienza con il Cardinal Bertone in Vaticano



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 maggio 2009 (ZENIT.org).- I più alti rappresentanti del Congresso Ebraico Mondiale hanno visitato questo venerdì il Vaticano per ringraziare Benedetto XVI per il pellegrinaggio che ha compiuto in Terra Santa dall'8 al 15 maggio.

Il ringraziamento è stato presentato dal presidente dell'istituzione, Ronald S. Lauder, in un'udienza che gli ha concesso il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato.

Secondo quanto spiega il Congresso in un comunicato, “pur essendo stato un viaggio complicato, è stato positivo e ha rappresentato una pietra angolare per rafforzare la comprensione reciproca tra cristiani ed ebrei”.

Il presidente sostiene che ogni affermazione sulla “sensibile questione dell'Olocausto deve compiersi con grande attenzione”.

Rispondendo ai leader ebraici, constata il testo del Congresso Ebraico Mondiale, il Cardinal Bertone ha affermato che la Chiesa “ha riconosciuto il carattere unico dell'Olocausto”.

Allo stesso tempo, il porporato ha dichiarato chiaramente che “nelle istituzioni della Chiesa non c'è posto per quanti negano l'Olocausto, come nel caso del Vescovo [Richard] Williamson”.

Il Segretario di Stato ha invitato i leader del Congresso Ebraico Mondiale e gli studiosi a cooperare nell'esame degli archivi privati di Pio XII sul periodo precedente l'anno 1939 e ha rivelato che il Vaticano ha compiuto progressi perché sia possibile l'accesso degli storici ai documenti su Pio XII relativi al periodo tra il 1939 e il 1945.

Il Cardinal Bertone, secondo il comunicato, ha affermato che la Santa Sede cerca di “rendere più saldi i legami tra l'ebraismo e la Chiesa”.

I leader ebraici hanno ribadito che le sfide future si potranno affrontare solo se si rafforza il dialogo interreligioso e se i suoi benefici verranno comunicati correttamente al mondo.

“Dobbiamo lavorare insieme per assicurare che la libertà religiosa sia rispettata ovunque e che la religione non sia utilizzata per giustificare l'estremismo e il terrore”, ha detto Lauder.

Il Congresso Ebraico Mondiale è la federazione internazionale che riunisce e rappresenta le comunità e le organizzazioni ebraiche del mondo.

“Fondato a Ginevra nel 1936 per unire gli ebrei e mobilitare il mondo contro l'avanzata nazista, il Congresso agisce come braccio diplomatico del popolo ebraico di fronte ai Governi e alle istituzioni internazionali, lottando per la dignità del popolo ebraico, combattendo l'antisemitismo, rafforzando i vincoli con altri credo e sostenendo lo Stato di Israele”, spiega la sua pagina web.

Il principio centrale del Congresso è che tutti gli ebrei sono responsabili gli uni per gli altri, tutti uniti nella diversità. In questo senso, è composto da più di 80 comunità organizzate in 5 strutture regionali: Nordamerica, America Latina, Europa, Eurasia e Israele.

25/05/2009 18:14
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«Noi cristiani di Nazareth non ci sentiamo più soli»

Susanna Pesenti

Violette Khoury, cristiana melchita, farmacista a Nazareth, è la fondatrice del movimento ecumenico «Sabil» (in arabo significa contemporaneamente «ruscello» e «sentiero»), che raccorda le diverse confessioni cristiane in Terrasanta.

Dottoressa Khoury, i cristiani di Terrasanta sono delusi o soddisfatti della visita del Papa?

«Possiamo dire che ha colmato tutte le nostre aspettative. Alla vigilia c'erano molti dubbi, alcuni temevano che la visita del Papa, dopo Gaza, sarebbe stata strumentalizzata, invece no. Benedetto XVI ha affrontato tutti i nodi, ha tenuto sempre presente il problema della giustizia. È stata una sorpresa: data la situazione, temevamo una visita molto formale, con le verità scomode messe da parte; invece è stato detto tutto con chiarezza».

Ma il Papa non è andato a Gaza.

«Non è stato possibile, la tensione era molto alta e solo una piccola delegazione di cittadini di Gaza ha potuto incontrarlo. Però il messaggio è passato».

Quindi aveva ragione il patriarca latino monsignor Fouad Twal, che voleva fortemente che la visita del Papa non fosse posticipata?

«Sì, ha avuto ragione, proviamo tutti un sentimento di illuminazione molto forte. Qui a Nazareth, la Messa celebrata sulla montagna mi ha riportato alla mente la Trasfigurazione. Ecco, è come se tutti avessimo guardato alla situazione, ai nostri problemi, da un punto di vista diverso e più profondo. Questo è il dono che ci ha fatto Benedetto XVI. Ora non ci sentiamo più soli».

In che senso?

«Noi cristiani di Palestina abbiamo un'identità tormentata, siamo la minoranza della minoranza e questo ha effetti profondi sulla percezione di noi stessi in un Paese dove la religione diventa la nazione. Per di più, nella Chiesa ci sentiamo coloro "dei quali si parla" piuttosto che interlocutori diretti e alla pari.
Ecco, Benedetto XVI ci ha ridato l'autostima. Ci siamo sentiti apprezzati, compresi, appoggiati. Abbiamo capito quale è il nostro ruolo e la nostra dignità.
La Chiesa ha una grande forza, che non è quella delle armi, e noi sentiamo ora di farne parte».

Questa sensazione di unità riguarda però solo i cristiani...

«Non credo. Certo i cristiani sono euforici dopo tanta tristezza, ma in questi giorni in città si respira un'aria di pace. Parlando con amici musulmani ed ebrei mi è sembrato di cogliere in tutti un senso di rispetto che il Papa si è guadagnato sul campo, in modo per molti inaspettato».

Che cosa succederà ora?

«Il discorso fatto all'aeroporto è stato molto forte. Non siamo ingenui, sappiamo che i problemi restano tutti, ma ripartiamo con la convinzione che un sentiero per la pace si può trovare. Qui a Nazareth c'è anche una questione pratica che è diventata una sorta di simbolo. La località dove si è svolta la Messa era un posto desolato e nessuno avrebbe scommesso che sarebbe diventato accogliente. Invece la città ce l'ha fatta e questo significa che quando c'è la volontà politica, cioè di fare qualcosa insieme come cittadini, si riesce. Adesso dobbiamo abbattere ogni tipo di muro tra noi, che ci isola in celle invece di farci lavorare tutti per la pace. Tuttavia, continuiamo ad avere bisogno della collaborazione di tutti, dell'opinione pubblica internazionale soprattutto».

La lettera dei cristiani di Gerusalemme è stata consegnata a Benedetto XVI da un'aderente a Sabil, una lettera molto chiara che invoca tra l'altro la fine dell'occupazione e lo statuto internazionale per la città.

«La lettera richiama la realtà di Gerusalemme come mosaico di popoli, religioni, tradizioni spirituali che l'occupazione ha sconvolto. È quello che i novemila cristiani di Gerusalemme, ma anche i musulmani e molti ebrei sentono».

© Copyright Eco di Bergamo, 25 maggio 2009


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Da Zenit.org

IL GRAZIE DEL CONGRESSO EBRAICO MONDIALE PER LA VISITA IN TERRA SANTA

Udienza con il Cardinal Bertone in Vaticano

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 maggio 2009 (ZENIT.org).- I più alti rappresentanti del Congresso Ebraico Mondiale hanno visitato questo venerdì il Vaticano per ringraziare Benedetto XVI per il pellegrinaggio che ha compiuto in Terra Santa dall'8 al 15 maggio.
Il ringraziamento è stato presentato dal presidente dell'istituzione, Ronald S. Lauder, in un'udienza che gli ha concesso il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato.
Secondo quanto spiega il Congresso in un comunicato, “pur essendo stato un viaggio complicato, è stato positivo e ha rappresentato una pietra angolare per rafforzare la comprensione reciproca tra cristiani ed ebrei”.
Il presidente sostiene che ogni affermazione sulla “sensibile questione dell'Olocausto deve compiersi con grande attenzione”.
Rispondendo ai leader ebraici, constata il testo del Congresso Ebraico Mondiale, il Cardinal Bertone ha affermato che la Chiesa “ha riconosciuto il carattere unico dell'Olocausto”.
Allo stesso tempo, il porporato ha dichiarato chiaramente che “nelle istituzioni della Chiesa non c'è posto per quanti negano l'Olocausto, come nel caso del Vescovo [Richard] Williamson”.
Il Segretario di Stato ha invitato i leader del Congresso Ebraico Mondiale e gli studiosi a cooperare nell'esame degli archivi privati di Pio XII sul periodo precedente l'anno 1939 e ha rivelato che il Vaticano ha compiuto progressi perché sia possibile l'accesso degli storici ai documenti su Pio XII relativi al periodo tra il 1939 e il 1945.
Il Cardinal Bertone, secondo il comunicato, ha affermato che la Santa Sede cerca di “rendere più saldi i legami tra l'ebraismo e la Chiesa”.
I leader ebraici hanno ribadito che le sfide future si potranno affrontare solo se si rafforza il dialogo interreligioso e se i suoi benefici verranno comunicati correttamente al mondo.
“Dobbiamo lavorare insieme per assicurare che la libertà religiosa sia rispettata ovunque e che la religione non sia utilizzata per giustificare l'estremismo e il terrore”, ha detto Lauder.
Il Congresso Ebraico Mondiale è la federazione internazionale che riunisce e rappresenta le comunità e le organizzazioni ebraiche del mondo.
“Fondato a Ginevra nel 1936 per unire gli ebrei e mobilitare il mondo contro l'avanzata nazista, il Congresso agisce come braccio diplomatico del popolo ebraico di fronte ai Governi e alle istituzioni internazionali, lottando per la dignità del popolo ebraico, combattendo l'antisemitismo, rafforzando i vincoli con altri credo e sostenendo lo Stato di Israele”, spiega la sua pagina web.
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Il Papa in Terra Santa, sostegno prezioso per la Chiesa locale
Il Cardinale Leonardo Sandri commenta il pellegrinaggio papale



CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 maggio 2009 (ZENIT.org).- "L'indimenticabile pellegrinaggio" che Benedetto XVI ha compiuto in Terra Santa dall'8 al 15 maggio ha rappresentato un prezioso sostegno per l'esigua comunità cattolica locale.

Lo afferma il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che in un articolo pubblicato su "L'Osservatore Romano" osserva che "sostenere quelle comunità significa garantire a tutta la Terra Santa un bene prezioso, forse indispensabile per il suo cammino nel presente e nel futuro".

"Offrire ai loro componenti, specialmente ai giovani che guardano al domani con preoccupazione, adeguate condizioni di abitazione, formazione, lavoro e di movimento personale e familiare, vuol dire difendere non a parole ma nei fatti la dignità di tutti", dichiara il porporato argentino.

Sono proprio queste comunità, del resto, "che ora dovranno coltivare il seme buono affidato dal Papa a quella Terra".

Se la benedizione di Dio "darà incremento alla generosa seminagione", "l'abbondanza del raccolto dipenderà anche dalla loro fedeltà".

Il Cardinale Sandri ammette che "dovrà essere la comunità internazionale a cimentarsi nell'avventura della pace, che è sempre e comunque possibile, anche a Gaza, credendo alla solidarietà tra le genti e lottando contro ogni ingiusta discriminazione", ma ricorda che un ruolo importante spetta anche ai fedeli della Chiesa.

"Le comunità cattoliche non dovranno mai stancarsi di chiedere il bene di una reale libertà religiosa, contribuendo con tutte le loro forze al suo perseguimento, che è garanzia dei diritti insopprimibili di ogni persona", osserva. "Il Signore non le lascerà sole là dove per la prima volta è risuonato il suo santo nome".

La Chiesa della Terra Santa, prosegue il porporato, è importante anche per il futuro della Chiesa universale, che dipende proprio "dal legame con la Chiesa delle origini".

Il "pusillus grex", il piccolissimo gregge che rimane in Terra Santa, ha un "significato vitale per la Chiesa intera" e ha ringraziato il Papa "per l'incoraggiamento, la consolazione e la speranza" che gli ha offerto, così come "per la preghiera condivisa in alcuni Luoghi santi nei diversi riti" e per aver esortato i suoi membri "a rimanere quali pietre vive là dove tutto parla del passaggio storico del Redentore".

"Non potranno le vicissitudini del passato, le guerre e le distruzioni del presente, e nemmeno i conflitti tra i cristiani, fermare la Chiesa che è sospinta dallo Spirito del Risorto - osserva il Cardinale -. Poiché il Crocifisso è stato glorificato, la sua opera continuerà. Ne siamo certi".

"Secondo l'insegnamento di San Paolo, nella croce Cristo ha abbattuto il muro della separazione. Perciò è inesorabilmente destinato a svanire ogni ostacolo alla ricomposizione dell'unità del genere umano che il Crocifisso risorto persegue. Il sostegno del Papa alla comunità cristiana porta con sé un impulso a questa missione di unità e di pace che le è propria".

Una visita ecumenica e interreligiosa

Ogni tappa della visita di Benedetto XVI in Terra Santa "ha rivelato la dimensione ecumenica e interreligiosa del viaggio", prosegue il Cardinale Sandri.

"Il successore di Pietro si presentava come capo e padre della comunità affidatagli dal Signore. Era tutta la Chiesa che lo accompagnava, ma essa si mostrava concretamente nella comunità locale".

"A nome della Chiesa egli ha confermato la volontà di dialogo e collaborazione con le grandi religione monoteiste, che scorgono in Gerusalemme una insopprimibile profezia di pace".

"Ora toccherà alla comunità locale lo sforzo di realizzare giorno per giorno tale proposito. E lo farà con tutta se stessa a cominciare dalla celebrazione liturgica del mistero pasquale, fonte e culmine della sua vita e della sua missione".

Il dialogo "possibile e perciò doveroso" rilanciato dal Papa "troverà attuazione nella testimonianza quotidiana e nel servizio ordinario di quella Chiesa particolare, nella sua perseverante fedeltà a Dio e agli uomini".

Il porporato ricorda che alcune voci hanno invitato a non enfatizzate il dialogo e riconosce che pur se questo "è un mezzo e non il punto di arrivo definitivo" "attesta il nostro essere sulla stessa via; esalta una visione comune, magari non pienamente elaborata, ma avvertita e desiderata; alimenta un'attesa, fin d'ora condivisa".

Il dialogo, dichiara, "tradisce per fortuna di tutti un segreto comune convincimento: l'appartenenza ad un'unica famiglia amata dall'unico Dio, Padre di tutti".

In questo senso, "ogni momento di incontro è sempre un apprezzabile traguardo e mai una illusione. L'incontro già avvenuto non autorizza a fermare i nostri passi. Piuttosto, li conforta e li rende più spediti".

26/05/2009 22:37
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Papa/ Kasper: Chi lo ha criticato in Israele non lo ha capito

A Yad Vashem non è andato da tedesco. Non è politicamente corretto

APCOM

Non è "nello stile di questo Papa preoccuparsi di parole che potrebbero apparire provocatorie e di rendere giustizia al politicamente corretto".
E' per questo motivo, secondo il cardinale Walter Kasper, responsabile vaticano dei rapporti con gli ebrei, che ha sbagliato chi, in Israele, ha polemizzato con Benedetto XVI per la sua visita al memoriale della shoah dello Yad Vashem, dove Ratzinger non ha citato il nazismo o le colpe storiche dei tedeschi.
"Benedetto XVI non è venuto - come molti erroneamente ritenevano - come Papa tedesco, con il ben noto peso della storia tedesca", afferma il porporato, anch'egli tedesco.
"Ciò che ha da dire in merito, lo ha già detto a Colonia e ad Auschwitz. Egli è venuto - cosa che dal punto di vista meramente politico è molto più importante - come capo della Chiesa cattolica universale per esprimere nuovamente al popolo ebraico il suo affetto personale, come quello della Chiesa cattolica". Così, per Kasper, "quasi tutto ciò che secondo molti rappresentanti ebraici e mass media israeliani è mancato nel suo discorso nel memoriale di Yad Vashem era già stato detto. Come se la semplice ripetizione delle stesse affermazioni, invece di rafforzarle, non le banalizzasse! Giustamente, non è nello stile di questo Papa preoccuparsi di parole che potrebbero apparire provocatorie e di rendere giustizia al politicamente corretto".
Sottolineando l'importanza di non dimenticare i nomi delle vittime della Shoah, Papa Ratzinger - ricorda Kasper in un intervento sull''Osservatore romano' - "ha spiegato che corrisponde alla dignità dell'uomo possedere un nome e che questo nome è scritto in modo indelebile dalla mano di Dio. Quindi - aggiunge - anche se i carnefici nazisti hanno privato le vittime del loro nome riducendole a meri numeri, pensando in tal modo di poterne cancellare per sempre il ricordo, secondo la fede sia ebraica sia cristiana la loro memoria si conserva in eterno e anche noi dobbiamo serbarne il ricordo.
Che cosa si potrebbe dire di più profondo sulla dignità indistruttibile delle vittime e gli abissi del crimine della Shoah?".

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L'aspetto geopolitico della visita del Papa in Terra Santa
Intervista a Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”

di Roberta Sciamplicotti


ROMA, mercoledì, 27 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Terra Santa, dall'8 al 15 maggio scorsi, è stata importante per dare coraggio alla comunità cristiana locale, diventata ormai “quasi una specie protetta” vista la sua esiguità.

E' quanto afferma Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, la rivista italiana di geopolitica, che ZENIT ha intervistato per conoscere le sue impressioni sul pellegrinaggio papale in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi.

Qual è l'importanza geopolitica del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa?

Lucio Caracciolo: Dal punto di vista della Santa Sede la priorità in Terra Santa è evidentemente la protezione dei cristiani locali, ormai un esiguo manipolo, quasi una specie protetta. Contemporaneamente si trattava di dare alle parti in causa, nella fattispecie israeliani e palestinesi, così come agli altri Paesi arabi della regione, il senso della presenza della Santa Sede nella zona e una spinta per una pace negoziata.

Benedetto XVI ha dovuto calibrare ogni singola virgola dei suoi discorsi per evitare di suscitare polemiche troppo acute, e ci è riuscito abbastanza bene, anche se la sua posizione non ha convinto molto soprattutto la stampa israeliana, che è stata piuttosto ingenerosa nei suoi confronti. Ad ogni modo, ha evitato gli incidenti diplomatici che alcuni avevano paventato se non auspicato.

La parte più importante del viaggio è stata l'evocazione dell'ombra del muro che taglia la Terra Santa, che dal punto di vista della Chiesa deve essere eliminato.

Quali erano le aspettative per questa visita? Crede che siano state soddisfatte?
Lucio Caracciolo: Le aspettative erano piuttosto basse sul fronte israeliano, maggiori su quello palestinese. Israele, ma direi il mondo ebraico in generale, ha avuto molte questioni di attrito con la Chiesa e con questo Papa in particolare. In questo contesto, la visita di Benedetto XVI era quasi una sorta di atto dovuto. Il Papa ha mostrato notevole cautela e un'adesione emotiva in occasione di certi eventi, particolarmente con la visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem.

Quanto ai palestinesi, non potendo contare su un grande supporto internazionale e avendo una minoranza cristiana non insignificante tra di loro speravano forse in qualcosa di più. La divisione interna tra l'islamismo di Hamas e Fatah indebolisce il fronte palestinese e il Papa non può fare troppo al riguardo. Il suo obiettivo è quello di sostenere la comunità cristiana, visto che la storica presenza cristiana nel mondo arabo è in via di scomparsa.

Pensa che il viaggio papale avrà delle ripercussioni sulla situazione mediorientale?

Lucio Caracciolo: Sinceramente no. Ritengo che la visita non abbia sostanzialmente toccato gli equilibri mediorientali, né lo poteva fare. Il Papa non ha una forza politica o strategica tale da alterare la situazione. Ha fatto ciò che poteva fare un'autorità spirituale e l'ha fatto con la cautela che la diplomazia imponeva e con l'invocazione della pace che il suo ruolo lo porta a lanciare.

A suo avviso qual è la soluzione migliore, o quella più praticabile, per raggiungere la pace in Terra Santa?

Lucio Caracciolo: Servirebbe una sorta di illuminazione divina che tocchi tutte le parti in causa. Al momento non credo ci siano le condizioni per una pace. La pace non è solo un trattato, è più una sorta di condivisione spirituale, e ora gli spiriti sono divisi e ostili. Nella migliore delle ipotesi, si potrà mantenere o status quo e cercare di migliorarlo, ma penso che sarà molto difficile raggiungere la pace.

“Limes” ha anche un'edizione on line, consultabile all'indirizzo temi.repubblica.it/limes/

01/06/2009 17:44
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Andare nella patria di Gesù è il senso più profondo del ministero petrino: così, il cardinale Leonardo Sandri sul pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa


Sono molteplici i frutti del pellegrinaggio che Benedetto XVI ha compiuto in Terra Santa dall’8 al 15 maggio scorsi. Il viaggio apostolico nei luoghi di Gesù si è rivelato, in particolare, un prezioso contributo per la comunità cristiana locale e per la missione della Chiesa di portare il Vangelo a tutti gli uomini. E’ quanto sottolinea, al microfono di Romilda Ferrauto, il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il cardinale Leonardo Sandri:

R. – Andare nella patria di Gesù per un Papa, il Successore di Pietro, che ha l’ufficio di pascere la Chiesa di Dio nel nome di Cristo, è il senso più profondo del ministero pastorale petrino. Paolo VI annunciò ai Padri sinodali il suo viaggio in Terra Santa, dicendo: “Voglio consegnare la Chiesa a Gesù Cristo”. In queste parole, io trovo che ogni Pontificato è un portare gli uomini e la Chiesa a Cristo, è portare Cristo a tutti gli uomini. Quindi, il senso del Pontificato lo trovo in una manifestazione concreta e fisica di quello che il Papa fa come pastore universale della Chiesa: annunciare Cristo a tutti gli uomini e far sì che tutti possano incontrarsi con Cristo e quindi con la Salvezza, con Dio, con la vera felicità. E in questo senso penso si possa parlare di un viaggio che dà senso al Pontificato.

D. – Nonostante le difficoltà e i rischi di cui si era tanto parlato prima della partenza del Santo Padre, dei rischi di strumentalizzazione, Benedetto XVI ha dimostrato una grande determinazione. Secondo lei, i timori della vigilia erano giustificati?

R. – Il problema è che si tratta di una terra nella quale ci sono tante divisioni religiose, politiche. Il rischio poteva essere proprio che qualcuna di queste parti potesse far sì che il viaggio del Papa perdesse la sua universalità, l’essere un dono per tutti, al di là di tutte le differenze, al di là di tutte le religioni. Ovviamente, il primo punto del viaggio del Papa era la comunità cattolica, quel piccolo gregge che vive nella terra di Gesù e che ancora manifesta lì la storia di Gesù, la storia di Cristo. E poi doveva essere un viaggio aperto anche ovviamente alle grandi religioni che vivono lì: agli ebrei in primo luogo e ai musulmani. Con gli ebrei abbiamo la Torah, abbiamo l’Antico Testamento. Loro sono i nostri fratelli maggiori. Con i musulmani, il Papa ha ribadito: “Adoriamo l’unico Dio”. E con tutti e due ci sono tanti campi di intesa, di collaborazione. Soprattutto è importante che queste grandi religioni monoteistiche, in primo luogo la Chiesa cattolica, diano testimonianza nella loro vita della presenza di Dio, del primato di Dio nel mondo. E' importante che, in questo, ci sia una grande convergenza nostra con gli ebrei e con i musulmani, per una testimonianza piena, perché non c’è senso nella vita umana se manca Dio. E in questo i nostri fratelli ebrei e musulmani possono camminare insieme con noi. Il Papa è stato vicino a tutti quelli che soffrono, a tutti quelli che devono subire una limitazione della loro libertà di movimento, di azione, a quelli che non possono manifestare pienamente la loro fede religiosa.

D. – L’obiettivo principale era di favorire la presenza dei cristiani in Medio Oriente, ma queste minoranze cristiane sono minacciate, divise, a volte si confrontano con delle rivalità, delle competizioni. Cosa si può fare per convincerli a rimanere, per aiutarli a rimanere?

R. – Più che di parole hanno bisogno di fatti, per restare. Hanno bisogno della pace, ma non della pace declamata. Rimarrebbero se ci fosse pace. Se c’è sicurezza, rispetto della dignità dell’uomo - e non che si debba vivere come una specie di esiliato nella propria patria, e non che si debba vivere sempre sotto la pressione della richiesta di permessi, di controlli - allora si può dire: “Io resto con la mia famiglia, perché qui vivo liberamente, la mia dignità umana è rispettata”. C’è un contributo che proviene dalle istanze locali, delle autorità di ognuna di queste realtà, e mi riferisco soprattutto ad Israele e alla Palestina, dove il problema è l’accesso ai luoghi santi, il poter vivere liberamente la propria vita religiosa. Queste istanze vanno poste alle autorità locali. C’è poi, certo, un’istanza internazionale che deve promuovere, favorire, aiutare queste parti a trovare il coraggio per fare questi passi che sono forse difficili ma che porteranno alla pace.(Montaggio a cura di Maria Brigini)



Radio Vaticana

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ISRAELE-SANTA SEDE: LEWY (AMBASCIATORE ISRAELE), “POPOLO EBRAICO NUTRE GRANDE STIMA PER IL PAPA”

“La visita di Benedetto XVI ha una portata storica per Israele e il popolo ebraico nutre grande stima per il Papa”.
Mordechay Lewy, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ha ricordato così la recente visita di papa Ratzinger in Giordania, Israele e Territori palestinesi. Intervenendo oggi all’incontro “Dopo il viaggio di Benedetto XVI – Israele: ebraismo e democrazia”, promosso dai “Cattolici amici di Israele”, dall’“Istituto italiano per l’Asia ed il Mediterraneo” e dall’“Ispro, Istituzioni e progetti”, Lewy ha affermato che “né l’operazione ‘Piombo fuso’, né le dichiarazioni di Williamson, né le divergenze su Pio XII, hanno inficiato la visita del Pontefice”.
“Il viaggio apostolico – ha aggiunto l’ambasciatore si è nel solco di quella di Giovanni Paolo II del 2000 che avvenne senza invito formale e che vide gesti significativi come la visita allo Yad Vashem e al Muro”.
“La visita di Benedetto XVI rappresenta un nutrimento per il rapporto bilaterale Israele-Santa Sede e un’implementazione delle relazioni future”.
“La situazione israeliana vive un momento delicato – ha detto Walter Montini dell’Ispro – il viaggio del Papa, difficile e fecondo spiritualmente, è stato importante anche per le prospettive di pace in Medio Oriente con la comunità internazionale sempre più coinvolta. Prospettive rafforzate dopo il discorso di Obama al Cairo di ieri”.

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Curie e Curiali Valzer di poltrone in Vaticano, guardando al successore di Giovanni Battista Re

PRIMO PIANO

Di Andrea Bevilacqua

Lo sblocco è arrivato tre giorni fa: Benedetto XVI ha nominato il nunzio a Parigi Fortunato Baldelli nuovo Penitenziere maggiore al posto del cardinale americano Stafford.
È questo il segnale che in molti attendevano. Mossosi da Parigi Baldelli, i nunzi della Santa Sede potranno finalmente cambiare di posto e permettere, in questo modo, che nella monolitica segreteria di Stato si smuovano dalle proprie poltrone alcuni uomini che sono da tempo in posti di comando: il sostituto Fernando Filoni, l'assessore Gabriele Caccia e il sottosegretario ai rapporti con gli Stati Pietro Parolin.
Tre nomi che contano in segreteria di Stato. Tre nomi ai quali viene imputato parte dello stallo nel quale la curia romana sembra essere incappata dopo la grande paura seguita al caso Richard Williamson.
Oltre a Filoni, Caccia e Parolin dovrebbero «partire» anche il cardinale Renato Raffaele Martino e il già settantacinquenne segretario della Congregazione per i vescovi, Francesco Monterisi. Questi in luglio, con la fine dell'anno paolino, prenderà il posto del cardinale Montezemolo, arciprete di San Paolo fuori le Mura. La partenza di Monterisi fa molto parlare. In particolare ci si domanda: chi prenderà il suo posto? Chi diverrà numero due di quella «fabbrica dei vescovi» (appunto la congregazione dei Vescovi), il cui prefetto, il cardinale Giovanni Battista Re, è già anch'egli settantacinquenne e, dunque, pensionabile? Sarà un italiano o no? Domanda non secondaria: se Benedetto XVI, infatti, metterà al posto di Monterisi un italiano, difficilmente il prossimo successore di Re potrà essere anch'egli italiano.
Se, invece, Benedetto XVI metterà colui che Re sta cercando di sponsorizzare, ovvero Pedro Lopez Quintana, oggi nunzio apostolico in India e Nepal, il successore di Re potrà essere più facilmente un italiano.
Già, il successore di Re.
C'era un tempo il cardinale Bernardin Gantin (negli anni Ottanta prefetto dei Vescovi) che sosteneva come il prefetto dei Vescovi dovesse dare l'esempio: cioè dovesse dimettersi al compimento dei settantacinque anni.
«Se non lascia lui, infatti», sosteneva Gantin», come si può persuadere i vescovi nel mondo a lasciare a tempo debito?». E, soprattutto, come si può convincere coloro che lavorano nella curia romana (coloro cioè che svolgendo, a differenza dei vescovi nel mondo, un servizio «d'ufficio» e non pastorale non dovrebbero avere nessun tipo di problema a lasciare a tempo debito) ad andare in pensione quando un ricambio è necessario? Re per ora sta «resistendo» al proprio posto.
Forte dei precedenti (mal digeriti dal segretario di Stato Tarcisio Bertone che sulla cosa non è potuto intervenire) che prendono il nome di Poletto e Tettamanzi, ovvero del cardinale arcivescovo di Torino e del cardinale arcivescovo di Milano i quali sono riusciti a farsi prolungare il proprio incarico per almeno due anni oltre il raggiungimento del settantacinquesimo anno di età, anche Re potrebbe avvalersi di questo «privilegio».
Del resto Papa Ratzinger è fatto così: anche se ha intenzione di cambiare qualche suo collaboratore all'interno della curia romana, se c'è chi avanza la richiesta di restare ancora al proprio posto, egli l'accontenta.
E così, di richiesta in richiesta, la curia non cambia mai. O comunque cambia poco.

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INDISCRETO A PALAZZO

di Andrea Tornielli

Roma

La crisi finanziaria che ha messo in ginocchio le economie mondiali sta impensierendo, e non poco, il Vaticano.
Non soltanto per le sue gravi implicazioni sulla vita quotidiana di milioni di persone: di questo parlerà l’attesa e ormai imminente enciclica sociale Caritas in veritate, che porterà la data del 29 giugno ed è stata riscritta alla luce dei più recenti negativi sviluppi dell’economia mondiale.
Ad impensierire gli inquilini che abitano nei sacri palazzi è anche lo stato delle finanze vaticane, la cui gestione è tornata da poco alla ribalta con la pubblicazione del libro di Gianluigi Nuzzi Vaticano Spa.
Il volume, basato sulla documentazione dell’archivio di monsignor Dardozzi, attesta come attraverso la banca vaticana, lo Ior, siano state compiute operazioni poco chiare anche in tempi non lontani, sotto la gestione dell’attuale presidente Angelo Caloia, dunque dopo l’uscita di scena di monsignor Paul Casimir Marcinkus e poi del suo numero due, il prelato Donato De Bonis.
Caloia, si legge nel libro di Nuzzi, ha continuato a denunciare con lettere inviate a Giovanni Paolo II i movimenti di denaro dubbi che avvenivano nei conti cifrati della banca da lui diretta, chiedendo al Papa di intervenire, senza avere evidentemente la possibilità di farlo personalmente, nonostante l’incarico ricoperto.
La pubblicazione dell’archivio Dardozzi rende evidente alle autorità vaticane la necessità di un ricambio ai vertici e di una ristrutturazione delle finanze, per farle diventare più trasparenti. Ma non sono solo le recenti rivelazioni sullo Ior a creare apprensione.
Nell’ultimo periodo il Governatorato della Città del Vaticano ha visto dimezzarsi il valore dei suoi investimenti, collocati sul mercato americano all’epoca della presidenza del cardinale statunitense Edmund Casimir Szoka, che al momento del suo ritiro, nel settembre 2006, aveva lasciato un attivo cospicuo e investimenti in prodotti Goldman Sachs.
L’aumento delle spese – ad esempio quelle per la sicurezza del Papa e del Vaticano – e soprattutto il tracollo dei mercati d’Oltreoceano hanno fatto svanire l’attivo e riportato anche i conti del Governatorato in profondo rosso.
Un accenno a questo argomento è stato fatto anche durante l’incontro di fine aprile a Castelgandolfo tra Benedetto XVI e i cardinali Bagnasco, Ruini, Scola e Schönborn.
Il patrimonio della Santa Sede è stato messo a dura prova dalle turbolenze finanziarie dei mercati internazionali e il bilancio 2008 è stato chiuso con un disavanzo netto di 9 milioni di euro. Va inoltre registrato il calo delle offerte dei fedeli, dovuto in parte ad alcuni scandali che hanno travolto la Chiesa negli Usa, e in parte alla generalizzata diminuzione dei redditi degli stessi fedeli per la crisi.
C’è dunque urgente bisogno di un nuovo modello di gestione delle finanze vaticane, più efficiente e trasparente, che permetta alla Santa Sede di continuare a sostenere le sue attività e l’aiuto alle Chiese dei Paesi poveri.

© Copyright Il Giornale, 5 giugno 2009


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