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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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07/05/2009 16:43
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Domani inizia il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Mons. Franco: una speranza di pace e giustizia per il Medio Oriente


Domani Benedetto XVI inizierà il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il Papa partirà dall'aeroporto di Roma-Fiumicino alle 9.30 alla volta di Amman, in Giordania, dove arriverà alle 13.30, ora italiana. La prima visita sarà dedicata ai disabili del Centro "Regina Pacis"; poi l'incontro con il Re e la Regina di Giordania. Il 9 maggio il Papa si recherà all'antica Basilica del Memoriale di Mosè, sul Monte Nebo, e visiterà la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman. Il 10 maggio la Messa all'International Stadium della capitale giordana e la visita al sito del Battesimo sulle rive del Giordano. Dall'11 al 15 maggio Benedetto XVI sarà in Israele e nei Territori palestinesi. Ma diamo subito al linea al nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini:

A 45 anni dallo storico viaggio di Paolo VI ed a 9 da quello di Giovanni Paolo II, un altro Papa ritorna come pellegrino sui luoghi resi santi dalla vita di Gesù. Lo fa in un momento di forte tensione per la tormentata Terra Santa dove la tregua, dopo il conflitto a Gaza, è solo un surrogato della pace vera. E Benedetto XVI viene - come ha detto alla vigilia della sua partenza - per pregare per "il dono della pace e dell'unità". Il clima di forte speranza socio-politica che aveva fatto da sfondo alla visita di Papa Wojtyla nel 2000, sembra svanito; nella gente c'è molta rassegnazione. Eppure sembrano svanite anche le polemiche su Ratisbona, da parte musulmana, e sul caso Williamson sul fronte ebraico.


Nei Territori Autonomi Palestinesi lo attendono le autorità politiche, lacerate dopo la spaccatura con Hamas a Gaza, ed i profughi del Campo di Aida, che dal 1948 vivono in condizioni di estrema povertà: un gesto per manifestare la vicinanza del Papa alle sofferenze del popolo palestinese. Da Gaza oltre 200 arabi cristiani non hanno ricevuto il permesso di entrare in Israele per le Messe a Gerusalemme e Betlemme. Diverso trattamento per i cristiani di Cisgiordania: su 15 mila richieste, ne sono state accolte 11 mila. In questa Terra dove Gesù ha compiuto la sua missione, il Papa dovrà ridare speranza ai cristiani locali: nella sola Gerusalemme al tempo della creazione dello Stato d'Israele erano 24 mila, ora poco meno di sei mila. Cristiani che emigrano a causa della mancanza di alloggi, per l'incertezza del lavoro, il precario futuro dei figli, in una società spesso a loro ostile.


A tutto questo si deve aggiungere lo smembramento di molte famiglie causato dal muro di separazione costruito da Israele, che ha diviso quelle coppie che avevano la residenza nei Territori palestinesi. Le autorità israeliane attribuiscono al viaggio un'importanza altissima ed hanno stanziato 10 milioni di euro per l'organizzazione; altri 10 milioni di dollari per le 44 scuole cattoliche in modo che possano preparare alla visita i loro 24 mila studenti, cristiani e musulmani. Il presidente Peres parla di “evento toccante e di importanza primaria dal quale spira un'aria di pace e di speranza”. I giornali indugiano più sulla preparazione che sui commenti mentre la radio statale continua a mandare in onda spot con gli appuntamenti della visita. Il programma a Gerusalemme prevede anche la tappa allo Yad Vashem, il memoriale dell'Olocausto, per una cerimonia in ricordo delle vittime della Shoah. Ma il Pontefice non entrerà nella sala del Museo che contiene una didascalia offensiva contro Pio XII. Benedetto XVI si farà quindi pellegrino di pace per riaffermare - come ha detto nel Messaggio di Pasqua - che "Cristo ha bisogno di uomini e donne, che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell'amore.


Sull'attesa del Papa ascoltiamo mons. Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Palestina e Gerusalemme, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – C’è grande attesa proprio per il messaggio del Papa. Veramente, si spera che egli, con la sua parola, possa riattivare quell’impegno per la ricerca di soluzioni a questa situazione che oramai si trascina da decenni.


D. – Eccellenza, questo viaggio ha un carattere spirituale e religioso. Lei crede che si possa dare una lettura politica? C’è il rischio di strumentalizzazioni?


R. – Distinguerei tra lettura politica e strumentalizzazioni, cioè: anche il messaggio religioso che si cala in una realtà sociale in un certo senso è un messaggio anche un po’ politico, intendendo la politica nel senso vero, originario della parola – la ‘polis’, quello che riguarda la vita della società. Strumentalizzazione: ecco, io ho cercato in tutti i modi di far capire e di scongiurare una qualsiasi velleità di poter usare il Santo Padre per uno scopo ritenuto nobile da una parte ma che poi sarebbe risentito dall’altra parte, e spero veramente che sia stato capito, questo mio messaggio. Mi pare che la stampa l’abbia capito …


D. – Che significato dare alla visita del Papa al Memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem, che ancora presenta sotto una luce negativa Pio XII?


R. – Questa è una domanda che mi hanno fatto tutti, in questi giorni, e io ho precisato molto bene che la visita è una visita per rendere omaggio e per pregare per le vittime dell’Olocausto: è una realtà storica che deve anche essere per noi monito di riflessione. E quindi, da questo punto di vista, il significato è questo. Chiaramente, c’è l’altro aspetto: l’altro aspetto, lei sa bene che noi stiamo cercando di farlo evolvere, di trattare, di stabilire dei ponti per potersi incontrare, poter riflettere insieme, poter leggere insieme tutta la documentazione che riguarda la Seconda Guerra Mondiale. Oramai, siamo già in una fase in cui si può parlare di uno studio storico-critico. Le emozioni, anche se sono ancora molto vive, già il tempo ci distanzia un poco e io sono fiducioso che questo lavoro possa continuare e sono sicuro che porterà frutti. Ci vuole un po’ di pazienza, ma sono convinto che questo porterà frutto: magari, creare una nuova mentalità ci farà guardare al futuro, perché noi dobbiamo costruire qualcosa in cui quei fenomeni non si verifichino più nel mondo.


D. – Mons. Franco, ci sono ancora difficoltà per i permessi ai cristiani di Gaza che vogliono partecipare alla Messa del Papa a Betlemme?


R. – Personalmente, sono convinto che i permessi ci saranno: forse non per Gerusalemme, ma per Betlemme forse arriveranno all’ultimo momento ma io sono fiducioso che questo ci sarà, perché altrimenti sarebbe un colpo anche per Israele. Perché la stampa internazionale sta tutta pronta ad aspettare questo evento.


D. – Cosa si aspetta da questa visita che giunge in un momento di forte tensione per il Paese?


R. – Mi aspetto proprio, come prima cosa, che questa faccia un poco – come dire – smorzare le tensioni e dia un respiro nuovo, dia un poco di ossigeno per riprendere forza e per continuare nella ricerca e nell’impegno di costruire la pace in questa terra. Per me è una grande gioia ed una grande attesa, questa visita, e chiaramente siamo tutti un po’ emozionati, perché il Papa starà un po’ con noi. Ma io ho una grande speranza: che il Signore, attraverso Benedetto, voglia dire una Parola oggi e voglia compiere qualcuno dei Suoi prodigi per rimettere in modo tutta la macchina che deve portare ad una pace giusta e duratura, come ha detto il Papa stesso. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Il nunzio in Giordania: un pellegrinaggio per la pace e il dialogo, di grande incoraggiamento per i cristiani della Terra Santa


La Giordania sarà dunque la prima tappa del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Ieri pomeriggio, ad Amman, ne hanno parlato in conferenza stampa il vicario patriarcale latino per la Giordania, il vescovo Salim Sayegh, il vescovo di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti, mons. Yaser Ayyash, insieme al nunzio apostolico in Giordania, l’arcivescovo Francis Assisi Chullikat. Il servizio del nostro inviato Pietro Cocco.

Parlando a nome dei vescovi della Giordania, il vicario patriarcale latino Sayegh ha voluto sottolineare come i vescovi siano cittadini giordani cristiani, quale segno di piena partecipazione dell’intero Paese alla gioia dell’arrivo di Benedetto XVI. Mons. Sayegh ha quindi sintetizzato in tre aspetti l’importanza di questa visita.


Il primo, pastorale: il Papa viene a visitare i suoi figli, prima di tutto quelli più poveri, che incontrerà subito dopo la cerimonia di benvenuto, recandosi al Centro ‘Regina Pacis’, dedicato alla riabilitazione dei portatori di handicap e al loro reinserimento sociale. Poi i giovani giordani, che saranno presenti con una rappresentanza al Centro Regina Pacis; essi sono la speranza ed il futuro della Chiesa in Giordania. Il vicario della Chiesa latina ha poi definito una grande grazia la Messa che il Papa celebrerà nello Stadio di Amman, domenica mattina. Benedetto XVI pregherà per noi e con noi, ha aggiunto, lui che è il successore di Pietro, su cui si edifica la Chiesa. E ha aggiunto: questa dimensione pastorale è anche un sostegno ed un incoraggiamento ai cristiani a rimanere qui insieme agli altri.


Il secondo aspetto della visita è la dimensione del pelleginaggio: la Giordania è stata infatti per gli ultimi tre Papi, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la porta di ingresso alla Terra Santa. In questo Paese si trovano il sito del Battesimo e il ‘Memoriale di Mosè’ sul Monte Nebo, dove si recherà Benedetto XVI, e anche il Santuario di Elia e Mukawir, il luogo dove è stato decapitato San Giovanni Battista.


Infine, il terzo aspetto, il dialogo interreligioso. Il vescovo Sayegh ha ricordato la lunga tradizione di convivenza pacifica tra la maggioranza musulmana e le comunità arabe cristiane in Giordania. Il Papa, che entrerà nella Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman e incontrerà i Capi religiosi musulmani, desidera confermare e incoraggiare tale dialogo.


Sull'importanza del viaggio del Papa in Terra Santa ascoltiamo il nunzio apostolico in Giordania, mons. Francis Assisi Chullikat, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ importantissima questa visita che tutta la Chiesa, in Terra Santa, stava aspettando da un bel po’ di tempo. Infatti, dall’inizio del Pontificato di Benedetto XVI, tutta la Chiesa in Terra Santa stava aspettando la Chiesa Madre. In più, i cristiani della Chiesa della Terra Santa stanno attraversando un tempo abbastanza difficile. In questo momento hanno bisogno di una parola di incoraggiamento e di un messaggio di speranza da parte del Santo Padre e stanno aspettando questo messaggio ansiosamente. Loro sono consapevoli che le parole del Santo Padre porteranno molti frutti e avranno anche una grande eco, non solo a livello della Terra Santa ma anche a livello regionale. Quindi, è importantissima questa visita del Santo Padre anche per dare un messaggio di pace e di unità, come egli stesso ha ripetuto varie volte adesso, in vista di questo viaggio apostolico che lui ha qualificato come pellegrinaggio. Sarà allora un viaggio nutrito da una preghiera intensa, prima di tutto per la Chiesa in Terra Santa affinché possa superare questo momento difficile che tutti i fedeli della Terra Santa stanno vivendo e, allo stesso tempo, possono dare, da parte loro, una testimonianza di coraggio e di fede che, in tutti questi secoli, dall’inizio della vita della Chiesa, hanno offerto a tutto il mondo.


D. – La Chiesa e la comunità cristiana in Giordania, godono di una situazione più tranquilla. Che cosa possono portare in una regione in cui, invece, i conflitti segnano ancora così dolorosamente la vita di tante famiglie?


R. – La Giordania, in questo senso, ha un ruolo molto importante perché il governo giordano sta cercando di promuovere la pace in Medio Oriente, specialmente nel conflitto israelo-palestinese. Anche in questo, la Chiesa in Giordania sta svolgendo un ruolo molto attivo e, la coesistenza pacifica, che è molto evidente qui in Giordania, può anche essere un segnale di speranza ed incoraggiamento per tutte le comunità cristiane a livello regionale. Infatti, per venire in Giordania, coloro che provengono dal Medio Oriente, non hanno alcuna difficoltà; ci sono anche molte riunioni internazionali promosse dalla Chiesa qui. Anche per questo, la Giordania accoglie tutte le fedi e cerca di venire incontro alle loro esigenze. Recentemente, è stato costituito un Consiglio dei capi cristiani in Giordania per dare riconoscimento ufficiale alle Chiese più importanti che sono qui. Quindi, sono dei gesti positivi che il governo sta dimostrando verso tutte le comunità cristiane che esistono in Giordania e che può, eventualmente, diventare un modello anche per altri Paesi della regione.



Duecento rabbini danno il benvenuto al Papa sul quotidiano “Haaretz”

In occasione del viaggio del Papa in Terra Santa duecento rabbini delle varie denominazioni firmeranno un messaggio che verrà pubblicato su una pagina del quotidiano israeliano “Haaretz” per dare il benvenuto a Benedetto XVI in Terra Santa e promuovere il dialogo tra ebrei e cristiani. E' un'iniziativa promossa dal rabbino Jack Bemporad, direttore del Center for Interreligious Understanding (CIU) del New Jersey e docente di Studi Interreligiosi presso l'Angelicum di Roma, che lunedì 11 maggio su invito di Oded Wiener, direttore generale del Gran Rabbinato d’Israele, accoglierà il Papa nell’Auditorium Notre Dame di Gerusalemme per l’incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso. Il messaggio dei rabbini è intitolato “United in our age”, ispirandosi alla Nostra Aetate, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II pubblicata il 28 ottobre 1965 che ha costituito una svolta per le relazioni tra ebrei e cattolici. In particolare, i rabbini citano il numero 4 del documento, che afferma: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”. Rivolgendosi direttamente al Papa, la pagina pubblicata da “Haaretz” spiegherà: “In questo spirito, noi – rabbini e leader ebraici – diamo un caldo benvenuto a lei e alla sua missione di pace in Israele. Con una sola voce, siamo uniti nel nostro impegno per il dialogo interreligioso ad aprire più sentieri per una maggiore comprensione, e a riconoscere e a rafforzare continuamente l'importante rapporto tra cattolici ed ebrei in tutto il mondo”. “E quale posto migliore per riaffermare questo impegno della Terra Santa di Israele, un luogo che entrambe le religioni custodiscono come parte di un'eredità condivisa?”, aggiunge il testo firmato dai rabbini, che termina augurando "Peace be with you, B’shalom". (A cura di Isabella Piro)


[Radio Vaticana]



Israele: in vendita i primi francobolli dedicati alla visita papale
Con immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici



TEL AVIV, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Società Postale di Israele vende da questa settimana fino al 15 maggio sulla sua pagina web la prima delle due serie speciali di dodici francobolli ciascuna, emessa dal Servizio Filatelico di Israele in occasione dell'imminente visita di Papa Benedetto XVI in Terra Santa.

La prima serie, in diecimila copie, mostra immagini dei Luoghi Santi e riferimenti biblici.

E' realizzata dal giornalista e scrittore cattolico Peter Jennings, membro della Società Filatelica Reale di Londra.

La seconda serie verrà emessa subito dopo la visita e si realizzerà con fotografie scattate durante il soggiorno del Papa in Terra Santa e la frase “Israele dà il benvenuto a Benedetto XVI”.

Ogni foglio della serie chiamata “Il mio francobollo della visita papale” viene venduto in un pacchetto ricordo speciale che include i francobolli e un opuscolo informativo.

L'opuscolo segnala che “Benedetto XVI ha dato un nuovo impulso alla speranza, alla comprensione, alla riconciliazione e alla pace tra le popolazioni e le religioni in Terra Santa. La sua visita promuoverà i pellegrinaggi e il turismo in Israele”.

Viene venduto anche un francobollo commemorativo in tre serie di cinque cartoline postali ciascuna. Ogni cartolina ha il francobollo adesivo già attaccato.

I francobolli adesivi della visita del Papa verranno diffusi dai distribuiti automatici di Nazareth e Gerusalemme fino al 17 maggio.

Ci sono infine quattro emissioni speciali: una di Nazareth, per lunedì scorso, 4 maggio; un'altra del primo giorno di visita a Gerusalemme, l'11 maggio; la terza di Gerusalemme il giorno successivo e l'ultima di Nazareth, il 14 maggio.

07/05/2009 22:26
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Breve vademecum per spiegare il vocabolario del “pellegrinaggio” che Benedetto XVI farà tra Giordania, Israele e Anp

La difficoltà del viaggio in Terra santa è perfino semantica

Roma. In fatto di parole questa volta non si può proprio sbagliare. La visita papale che avrà inizio venerdì non è un viaggio in Giordania, Israele e Territori palestinesi. Sin dall’annuncio, avvenuto a marzo, la Santa Sede ha sempre parlato di “viaggio apostolico in Terra Santa”. Che è tutta un’altra cosa.
Di polemiche intorno alle parole uscite di bocca a Benedetto XVI (e a tutti gli esponenti della chiesa che hanno liberamente deciso di dire la loro) ce ne sono state parecchie, ma in occasione di un viaggio così delicato la chiesa non vuole incappare in fraintendimenti inutili.
L’attenzione all’aspetto semantico è tale che ai giornalisti è stato consegnato anche un vademecum, curato dalla Radio Vaticana, che puntualizza sulle definizioni. Perché se ogni parola del Papa sarà opportunamente soppesata, la Santa Sede confida che tutti facciano altrettanto.
Parlare di Terra Santa, prima di tutto, non equivale a dire Israele. Non soltanto per i confini geografici che non combaciano, ma anche per il valore: religioso nel primo caso, politico nel secondo. Mentre lo stato di Israele è nato dopo la Seconda guerra mondiale, quella terra che inizia a ovest del Mar Morto e del Giordano e arriva sino alle coste del Mediterraneo è sacra per tutte e tre le religioni abramitiche. Per i musulmani Gerusalemme è il luogo in cui Maometto è stato rapito dall’angelo ed è asceso ai Cieli. Per la religione ebraica è Heretz Israel, la Terra Promessa, quella che Dio mostrò a Mosè dall’alto del monte, “dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate”, come è scritto nella Genesi. E’ il luogo del Tempio, quello a cui gli ebrei sognano di ritornare sin dall’inizio della diaspora ogni volta che si salutano con: “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Mentre per i cristiani la Terra Santa è dove è nato, morto e risorto Gesù Cristo. E per tutte e tre le religioni Gerusalemme (e la valle di Josafat) è anche il luogo del giudizio finale.
Ma le distinzioni sono ben più elaborate. Il vademecum vaticano si addentra nella spiegazione delle differenze fra “ebreo”, “ebraico”, “israelita” e “sionista”. Una persona ebrea può non professare la religione ebraica, per esempio, così come un israeliano (ovvero chi nasce o è cittadino dello stato di Israele) non è necessariamente un israelita (chi professa l’ebraismo). Per “sionismo” invece si intende la concezione di Theodor Herzl secondo la quale gli ebrei devono tornare alla loro terra e lì stabilire la loro patria.
Altro capitolo sensibile è quello che riguarda le relazioni burrascose fra cristiani ed ebrei, occidente e israeliti, e non bisogna fare confusione: l’antigiudaismo, l’antisemitismo e l’antisionismo sono tre concetti molto diversi.
“L’antigiudaismo è una questione esclusivamente religiosa e teologica, che ha certamente contrassegnato il cristianesimo – dice al Foglio Vittorio Messori – Per l’antigiudaismo un ebreo era visto come una persona da convertire e non certo da sterminare. L’antisemitismo, invece, nasce nell’Ottocento ed è una questione razziale che il cristianesimo ha sempre combattuto”. Lo stesso Benedetto XVI ha definito la Shoah “un crimine contro Dio”.
“L’antisionismo invece – spiega Messori – è una questione politica. Molti ebrei sono antisionisti: a ‘destra’ lo sono molti ebrei osservanti, che giudicano blasfemo un ritorno in Terra Santa senza il Messia, e a ‘sinistra’ molti ebrei integrati nella cultura occidentale, che pensano che le libertà assicurate dall’occidente bastino e non esigano la costruzione di uno stato ebraico”.

© Copyright Il Foglio, 7 maggio 2009


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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i precedenti

La quarta volta nei luoghi santi

Nel 1964 la prima visita di Ratzinger, che tornò poi nel 1992 e nel 1994

Matteo Liut

Era il 1994 quando l’allora car dinale Joseph Ratzinger, pre fetto della Congregazione per la dottrina della fede, si recò pellegrino in Terra Santa per l’ulti ma volta prima dell’elezione a Pon tefice. Una visita compiuta in com pagnia del suo segretario perso nale di allora, monsignor Josef Cle mens.
Furono giorni in cui Ratzin ger si mescolò discretamente agli altri pellegrini; un ministro ordi nato come tanti altri che si reca là dove il suo stesso ministero affon da le proprie radici.
Era il terzo pel legrinaggio: quello che si aprirà ve nerdì, quindi, sarà il suo quarto viaggio in Terra Santa, anche se questa volta ci tornerà come Pon tefice.
Ma questo viaggio, che richiederà un volo di 4.600 chilometri tra an data e ritorno, sarà anche il dodi cesimo nell’elenco delle visite a­postoliche compiute da Benedet to XVI al di fuori dei confini dell’Italia, dopo Germania, Po lonia, Spagna, anco ra Germania, Tur chia, Brasile, Austria, Stati Uniti, Australia, Francia, Camerun e Angola.
È, invece, al 125° posto nella lista dei viaggi in ternazionali dei Papi nell’era mo derna. Un elenco, quest’ultimo, a perto proprio dal viaggio di Paolo VI nel 1964 in Terra Santa.
Sempre nel 1964 il sacerdote Jo seph Ratzinger, allora docente di teologia a Münster, visitava per la prima volta i luoghi dove si è con­sumata la vicenda di Gesù di Na zareth.
Ordinato tre dici anni prima, Rat zinger aveva 37 anni. Il secondo pellegri naggio, invece, si svolse nel 1992, in occasione del suo 65° compleanno.
Come ricordava il cardina le Bernardin Gantin, in un’intervi sta rilasciata ad «Avvenire» nel 2005, il viaggio del 1992 si svolse in compagnia dello stesso Gantin e del cardinale Jozef Tomko. Due an ni dopo, nel 1994, Ratzinger si tro vava in Terra Santa poco dopo il ri­conoscimento ufficiale da parte della Santa Sede di Israele.
Per l’oc casione a Gerusalemme, ospite dell’«Intenational jewish-christian conference», tenne un discorso su «Israele, la Chiesa e il mondo. I lo ro rapporti e il loro compito se condo il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992», in cui espresse il suo «personale sostegno alle re lazioni Israele-Vaticano».
Da venerdì Benedetto XVI sarà il terzo Pontefice a visitare la Terra Santa dopo Paolo VI, nel 1964, e Giovanni Paolo II, nel 2000.

© Copyright Avvenire, 5 maggio 2009


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PAPA IN MO: IN GIORDANIA LA PRIMA TAPPA SARA' CON DISABILI

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 6 mag.

"La cosa piu' bella di questo viaggio e' che appena lasciato l'aereoporto, il Papa la sua prima visita la fara' ai piu' poveri dei poveri: gli handicappati del centro Regina Pacis".
Lo afferma il vicario per la Giordania del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Salim Sayegh, in un'intervista a Terrasanta.net.
Nel Centro, spiega il prelato, Benedetto XVI incontrera' i giovani che "sono il futuro della patria e della stessa Chiesa".
"I giovani - racconta mons. Sayegh - in queste settimane hanno preparato una lettera per lui e gliela consegneranno. Proprio loro hanno avuto un ruolo fondamentale in questa visita: ben 314 giovani si sono impegnati nell'organizzazione, ciascuno secondo le sue attitudini. Sempre per i giovani il Papa fara' un'altra cosa molto importante: benedira' la prima pietra dell'universita' di Madaba, la prima universita' cattolica della Giordania che, siamo sicuri, aiutera' a costruire una societa' piu' accogliente e capace di dialogo: avra' 7 facolta' e circa 40 specializzazioni, scientifiche e non.
Questa universita' la volle e la benedisse gia' Giovanni Paolo II e questo Pontefice continua l'opera". Secondo mons. Sayegh, "non e' possibile immaginare un viaggio del Papa in Terra Santa senza la Giordania: dispiace un po' - afferma - che i media non lo capiscano e guardino di piu' alla seconda parte del viaggio senza forse considerare a dovere la prima. Tanti luoghi della Bibbia si trovano in Giordania, tante pagine dell'Antico Testamento non si possono capire senza la Giordania" per non parlare del Nuovo Testamento.
Giovanni il Battista battezzava al di la' del Giordano, e il luogo di Betania in Transgiordania per noi e' il luogo cristiano per eccellenza. Non si puo' davvero immaginare la visita del Pontefice conclude il delegato di mons. Twal per la Giordania - senza partire dal sito del battesimo".

© Copyright (AGI)


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La visita del Papa in Terra Santa suscita "molte speranze"
Afferma la caposezione di ACS di ritorno dalla regione



KÖNIGSTEIN, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'imminente visita di Benedetto XVI in Terra Santa suscita "molte speranze", "forse anche troppe", ha affermato Marie-Ange Siebrecht, caposezione dell'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), tornata domenica scorsa da un viaggio in Israele e nei Territori palestinesi.

In un'intervista ad ACS, la Siebrecht ha affermato che "le varie Chiese sono molto occupate con i preparativi" per il viaggio papale. "Com'è ovvio, l'arrivo del Santo Padre suscita allegria nei cristiani, e ne sono prova, ad esempio, i numerosi cartelloni esposti nelle strade per annunciare la sua visita".

"A Nazareth si sta anche costruendo un anfiteatro per celebrarvi la Messa con il Santo Padre. Anche a Betlemme, nel campo di rifugiati di Aida, è stata avviata un'iniziativa simile, ma alla fine i responsabili hanno pensato che la tribuna fosse troppo vicina al muro che divide la Terra Santa, per cui hanno cambiato la posizione".

Anche se ci sono "ancora molti piccoli problemi", quindi, "la gente continua a lavorare nella speranza che la visita papale sia un successo".

"Il Papa non potrà risolvere tutti i problemi", ha riconosciuto la Siebrecht, osservando che Benedetto XVI "può solo dare una dimostrazione di buona volontà e cercare di parlare con i responsabili politici ed ecclesiali".

"La sua intenzione principale è recarsi come pellegrino in Terra Santa e dire alla gente: 'Sono con voi!'", ha aggiunto.

Anche se "con la sua visita non riuscirà a far sì che venga abbattuto quel terribile muro", "il semplice fatto di andare lì è già un segno importante".

La Siebrecht ha quindi parlato della situazione dei cristiani nella regione. In Galilea, ha confessato, "è molto migliore che in Cisgiordania, ma ad ogni modo in Israele sono considerati persone di seconda classe, ovvero che non godono della stessa libertà che hanno gli altri israeliani. Ad esempio, non possono spostarsi come fanno altri cittadini".

Nonostante questo, la comunità cristiana è viva: in Galilea ci sono ancora 73.000 cristiani greco-cattolici e le parrocchie sono "piene di vita, perché la gente contribuisce attivamente al loro mantenimento".

I cristiani locali "non si limitano a chiedere": aspettano aiuti, ma "sono anche disposti a mettere qualcosa di proprio, perché questi aiuti diano frutto".

La situazione peggiore tra quelle verificate dalla Siebrecht riguarda Betlemme, dove "a causa del muro la gente vive come in un carcere: non può entrare né uscire. Si sente prigioniera, e lo è realmente!".

Risentono di questa situazione difficile soprattutto le giovani coppie cristiane, ha constatato la caposezione di ACS, citando il caso di un ragazzo che ha un documento di identità per Gerusalemme e può andare a lavorare lì, mentre la moglie non può lasciare Betlemme per vivere con il marito, al quale dal canto suo non è permesso di risiedere a Betlemme.

"Come risultato, tutti tentano di risolvere i problemi con documenti falsi", dichiara la Siebrecht, ricordando che "questa gente vive immersa nella paura, perché non sa se una sera non potrà tornare a casa, o se non potranno farlo i familiari quando finiscono di lavorare o tornano da una visita".

In questo contesto drammatico, si spera che il Papa affronti la questione, così come quella della regolamentazione dei visti per le congregazioni cattoliche.

Attualmente si dibatte inoltre sulla possibilità che lo Stato di Israele chieda imposte alla Chiesa. Vari ebrei hanno detto alla Siebrecht: "Il nostro nuovo Governo è razzista".

Nel corso della sua visita, la caposezione di ACS ha visitato alcuni progetti che l'organizzazione porta avanti in Terra Santa, come un centro pastorale per la Chiesa maronita e alcune sale parrocchiali per la Chiesa melchita, fondamentali "perché fa parte della mentalità dei fedeli riunirsi in esse per celebrare battesimi, comunioni, nozze e anche funerali".

Allo stesso modo, si finanziano alcuni progetti di borse di studio per studenti di Teologia e futuri sacerdoti, la ricostruzione e il restauro di chiese e conventi, l'ampliamento del fondo della biblioteca universitaria di Betlemme. Si aiutano anche i cristiani di Betlemme a rendersi economicamente indipendenti attraverso la produzione di articoli in legno d'ulivo. Grazie a questo tipo di aiuto, "siamo riusciti a persuadere molti cristiani a non emigrare dalla Terra Santa".

"I cristiani di Terra Santa ci chiedono soprattutto preghiere", ha confessato la Siebrecht. "La preghiera è il contributo più importante che possiamo offrire da lontano".

"Chi si reca in Terra Santa - ha concluso - non dovrebbe limitarsi a visitare i Luoghi Santi, ma anche le 'pietre vive', perché per queste persone è una grande gioia vedere che altri cristiani condividono la loro sofferenza".







7.000 giovani neocatecumenali accompagnano il Papa in Israele


MADRID, giovedì, 7 maggio 2009 (ZENIT.org).- Più di 7.000 giovani europei appartenenti al Cammino Neocatecumenale accompagneranno Papa Benedetto XVI nel suo prossimo viaggio in Israele, secondo quanto ha confermato in una nota il loro portavoce in Spagna, Álvaro de Juana.

E' previsto che i giovani si rechino in pellegrinaggio in Terra Santa negli otto giorni della visita papale e che partecipino alle celebrazioni programmate, soprattutto a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth.

Incontreranno anche gli iniziatori di questa realtà ecclesiale - Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi - nella "Domus Galilaeae", la casa di ritiri legata al Cammino Neocatecumenale, sulla Montagna delle Beatitudini.

In questi giorni è anche previsto che i pellegrini visitino varie parrocchie dell'Alta Galilea e che si svolgano incontri ecumenici con giovani locali, soprattutto ortodossi, greco-cattolici e maroniti.

Già nel pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000, i responsabili internazionali del Cammino Neocatecumenale avevano organizzato un pellegrinaggio simile per accompagnare il Papa. In quell'occasione, il 24 marzo, il Papa polacco visitò la "Domus Galilaeae" e celebrò un incontro con le migliaia di giovani presenti.

08/05/2009 13:06
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Pellegrino di pace

Il coraggio di andare dove c'è il rischio

Luigi Geninazzi

Il cuore oltre tutti gli ostacoli.
Il cuore è quello grande e paterno di Benedetto XVI che oggi inizia il suo pellegrinaggio in Terra Santa, attraversando confini e varcando muri in una regione tormentata e in un momento particolarmente difficile. Gli ostacoli sono tanti.
Ai vecchi odi e rancori si sono aggiun te le recenti ferite della sanguinosa guerra di Gaza, mentre il processo di pace si è fermato, il nuovo gover no israeliano ha scelto la via del l’intransigenza e i palestinesi sono sempre più divisi e sfiduciati. Infat ti molti si domandano: ma perché il Papa va ad infilarsi in questo gi nepraio, tanto più insidioso per il capo di un’istituzione come la Chie sa cattolica che sta ancora nego ziando con Israele il proprio status giuridico ed è oggetto di aspre po lemiche storiche su Pio XII? La risposta è molto semplice: Papa Ratzinger compie questo viaggio per le stesse ragioni che spingono qualunque altro cristiano a recarsi in Terra Santa.
Il suo è il pellegri naggio del successore di Pietro che intende ripercorrere i luoghi dove si è realizzata la storia della salvez za, non dunque il viaggio di un lea der impegnato nell’ennesima me diazione politica. «Pellegrino di pa ce » , come lui stesso si è definito, non già perché ha in tasca un pro getto da sottoporre alle parti in con flitto ma in forza di un’autorità mo rale che sa parlare a tutti. Non sono poi molte le personalità internazio nali che a Gerusalemme possono permettersi di visitare la spianata delle moschee e subito dopo il Mu ro del pianto, di recarsi a Yad Va shem per rendere omaggio agli e brei vittime della Shoah e poi di en trare nel campo profughi di Aida a Betlemme dove i palestinesi vivono come rifugiati da tre generazioni.
Questo farà il Papa ed il mondo non potrà non tenerne conto. Ma lo scopo principale di questo suo viaggio, la preoccupazione che sarà al centro dei suoi numerosi in terventi pubblici così come dei suoi colloqui privati, è una sola: ridare coraggio e speranza ai cristiani di Terra Santa confermandoli nella fe de. Già nella sua prima tappa in Giordania affronterà il tema della Chiesa in Medio Oriente dove la presenza dei cristiani continua drammaticamente a ridursi. E, co me ha già preannunciato domeni ca scorsa in piazza San Pietro, si farà vicino al popolo palestinese che sopporta « grandi sofferenze e pri vazioni » . C’è chi teme che la visita possa servire a migliorare l’imma gine d’Israele e, involontariamen te, a minimizzare le difficoltà dei pa lestinesi.
Di fatto sia gli uni che gli altri s’aspettano di trarre qualche vantaggio dalla presenza del Papa. Ogni sua parola sarà esaminata, soppesata e valutata con estrema attenzione dalle diverse e contrap poste sensibilità. Ma Benedetto X VI ci ha già dato prova in molte oc­casioni di non preoccuparsi delle strumentalizzazioni politiche o i deologiche. Questo Papa teologo ha il dono della parola che s’accom­pagna sempre alla delicatezza e al l’umiltà rompendo schemi preco stituiti. Ai cristiani di Terra Santa già qualche tempo fa aveva rivolto un messaggio: « Non è saggio spende re tempo a domandarsi chi abbia sofferto di più facendo il conto dei torti ricevuti ed elencando le ragio ni a favore della propria tesi» .
Per questo il viaggio che oggi intra prende Benedetto XVI ha il sapore della sfida più difficile, quella di chi chiede ed è pronto a ricevere il per dono. Una sfida che è l’essenza del cri stianesimo in questi tempi di odio e di violenza.

© Copyright Avvenire, 8 maggio 2009


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08/05/2009 14:25
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Benedetto XVI in Giordania "Nonostante i malintesi dialoghiamo con gli ebrei"

Amman

Il Papa è convinto che il dialogo con gli ebrei "nonostante i malintesi, faccia progressi e questo aiuterà la pace e il cammino reciproco". Lo ha detto Benedetto XVI in volo verso Amman, spiegando che i malintesi sono inevitabili quando per "2mila anni si è stati distinti, anzi separati". Quindi il Pontefice incoraggia "i cristiani della Terrasanta e del Medioriente a restare nelle loro terre" di cui sono "componente importante", e chiede per loro "cose concrete" come "scuole e ospedali".

Pace in Mediorente

La Chiesa e il Papa appoggiano "posizioni realmente ragionevoli" per il processo di pace in Medioriente. "Questo abbiamo già fatto e vogliamo fare in futuro" ha detto il Papa a bordo dell’aereo che lo ha portato ad Amman, in Giordania, precisando che la Chiesa può svolgere questo ruolo perché "non è un potere politico, ma una forza spirituale".

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08/05/2009 14:30
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TERRA SANTA/ 2. La scuola che educa cristiani e musulmani: il Papa ha scelto di partire da qui

Redazione venerdì 8 maggio 2009

Sarà la prima visita del Santo Padre nel suo lungo e intenso viaggio in Terra Santa. Appena arrivato nella capitale giordana di Amman, Benedetto XVI si recherà oggi stesso presso il centro “Nostra Signora della Pace”: un luogo che accoglie persone disabili, sostenuto dall’organizzazione non governativa Avsi attraverso la formazione degli educatori e del personale che vi lavora.

Perché mai questa visita? Che cos’ha di importante un centro come questo da meritare questa attenzione da parte del Papa? Lo spiega a ilsussidiario.net Simon Suweis, giordano di origine e ora rappresentante di Avsi in Giordania: «Il centro “Nostra Regina della Pace” è una realtà non solo di accoglienza per i disabili, ma è un vero e proprio luogo di pace e di carità, creato dai cristiani e aperto a tantissimi musulmani».

All’origine di questa e di altre opere di accoglienza c’è la forte volontà di Sua Eccellenza Mons. Saleem El Sayegh, vescovo di Giordania. Come spiega ancora Simon, «Sua Eccellenza ha voluto con tutto il cuore che nascessero queste opere di carità. E soprattutto ha voluto che qui si esercitasse l’accoglienza attraverso l’opera educativa».

Perché è così importante l’aspetto educativo, e che valore aggiunto dà a realtà come questa in cui si sperimenta la convivenza tra cristiani e musulmani? «L’educazione – ci dice Simon – è l’aspetto fondamentale perché nasca e cresca una vera convivenza. In centri di accoglienza, di formazione, in scuole come queste dove i bambini, cristiani e musulmani, crescono insieme e condividono fin da piccoli lo stesso banco, il tipo di rapporto che nasce e matura fra di loro è molto intenso e libero. Non c’è più il problema di dire “non ti conosco”; e così il pregiudizio viene tagliato alla radice».

«Quindi – continua Simon – è molto bello e importante il fatto che il Papa incominci da qui: da un’opera di carità fatta da cristiani, e i cui destinatari sono per lo più musulmani di famiglie povere. Inoltre il centro non è solo adibito all’accoglienza dei disabili, ma è anche un luogo dove si svolgono ritiri spirituali, e dove i giovani si ritrovano. Insomma: è una grande famiglia, e questa famiglia darà con gioia il suo benvenuto al Papa».

Per chi vive in prima persona l’esperienza dell’educazione e della carità che si respira in un centro come questo, deve essere dunque una grandissima gioia poter accogliere l’arrivo del Papa. Ma il resto della società, i giordani come si apprestano a questo evento? «C’è molto interesse per questo arrivo – racconta Simon –. Da una parte la Chiesa sta lavorando moltissimo e sta organizzando in modo molto accurato l’evento. Dall’altra i mezzi di comunicazione parlano molto di questo viaggio, e spesso anche in modo positivo. E questo crea grande sensibilizzazione e grande attesa. Un’altra cosa molto interessante è poi il fatto che si preparano ad arrivare molte persone anche da altri paesi arabi, tutti con l’intento di venire qui a salutare il Papa: arriverà gente dal Libano, gente dall’Egitto, e da altri Paesi ancora. Insomma: si vede chiaramente che c’è molta attesa per l’arrivo di un grande uomo».

Un arrivo che è anche una grande speranza, per tutti coloro che lavorano quotidianamente per una pace e una convivenza che può sembrare solo un lontano miraggio. Con quale sguardo e con quale speranza attendere questo evento? «Per me personalmente – risponde Simon – si tratta di un avvenimento grandissimo, che mi riempie di gioia e di attesa. In particolare è bello il fatto che questo viaggio chiarirà molte cose che si sono dette su questo Papa, soprattutto dopo il discorso di Ratisbona. Molte critiche in realtà si erano già rivelate del tutto false, come si è poi visto in occasione dell’incontro a Roma con la delegazione di intellettuali islamici. Ma ora tutto questo sarà ancora più evidente, e porterà ancora di più il dialogo e la pace». Una pace che ha poi un fondamento molto chiaro e preciso: «Questa – conclude Simon – è la terra del fiume Giordano, la terra da dove è iniziata la missione di Gesù. Anche questa è Terra Santa. Da qui dunque inizierà questa viaggio. Sarà una cosa grande, e sono certo che non deluderà».

© Copyright Il Sussidiario, 8 maggio 2009


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Ad Amman subito la lettera dei 138

di Giorgio Bernardelli

Ore 14,30: il documento sul dialogo tra cristiani e musulmani citato fin dalle prime parole

Benedetto XVI è appena atterrato ad Amman e subito si conferma quanto questa prima tappa in Giordania sia tutt'altro che un aperitivo al resto del pellegrinaggio in Terra Santa.

Ho seguito tanti viaggi del Papa: non ricordo di avere mai sentito discorsi all'aeroporto tanto pieni di contenuti.
Di solito l'accoglienza è una semplice espressione di auspici sul viaggio. Qui - invece - sia il re giordano Abdallah II, sia Benedetto XVI hanno già detto cose molto importanti. Del resto nell'incontro che avranno stasera al palazzo reale non sono previsti discorsi.
Innanzi tutto il re giordano: più che al Papa ha parlato al mondo musulmano mettendo sul piatto tutto il peso del suo titolo di «Custode della Spianata delle Moschee a Gerusalemme».
È stato un discorso ambizioso, il suo: ha proposto la Giordania come un modello. E ha subito citato la lettera A Common Word, il documento sul dialogo tra cristiani e musulmani scritto alla fine del Ramadan 2007 (clicca qui per leggere da missionline.org gli approfondimenti su questo testo).
Di quel documento ha citato il messaggio centrale: la comunanza dei due comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. Ma oggi ha fatto anche un passo ulteriore: ha detto che questa verità è comune a «cristiani, ebrei e musulmani». Anche gli ebrei devono essere parte di questo dialogo, dice il re discendente del Profeta Muhammad. Una frase che avrà fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo musulmano. Infine Abdallah II ha citato subito il Baptism site, la località di Betania oltre il Giordano che la Giordania punta a far diventare una grande meta di pellegrinaggi cristiani: geopolitica interna musulmana, dunque, ma anche marketing turistico.

Il discorso del Papa, subito dopo, è stato non meno significativo. Soprattutto perché Benedetto XVI ha usato parole significative d'appoggio rispetto al percorso avviato dalla monarchia giordana. Anche lui ha citato indirettamente la lettera dei 138, ricordando l'incontro del novembre scorso a Roma con il Forum cattolico-islamico che proprio a partire da quell'iniziativa si è costituito.
Ha dato ormai per assodato che il Baptism site è il luogo di cui parla il Vangelo di Giovanni quando racconta il Battesimo di Gesù (e questo non sarà piaciuto molto al ministero del Turismo israeliano). Ma soprattutto Benedetto XVI ha detto anche lui una cosa importante rivolta a tutto il mondo musulmano: ha lodato il fatto che domenica a Betania oltre il Giordano potrà benedire la prima pietra di due nuove chiese. L'ha definito un «segno del rispetto di questo Paese per le religioni».
Aggiungendo ancora una volta che «il rispetto della libertà religiosa è un diritto fondamentale non solo in Medio Oriente ma in ogni parte del mondo».
In conclusione: questi tre giorni in Giordania saranno importantissimi sul fronte del dialogo con il mondo musulmano. E forse - prima dell'incontro della tarda mattinata di domani in moschea - sarà bene andare a rileggersi qualcosa sulla lettera dei 138.
Il traduttore della Rai, quando re Abdallah l'ha citata, ha tradotto il titolo Un mondo comune al posto di Una parola comune. Un errore veniale, che dice però quanto poco di questo testo così importante si sia parlato in Italia. Forse sarebbe ora di correre ai ripari.

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PAPA IN TERRASANTA: CONTINUA DIALOGO CON EBREI E ISLAM

L'aereo papale diretto in Giordania, con a bordo Benedetto XVI, è atterrato ad Amman alle 13:25 ora italiana (14:25 locali). Ad attenderlo in aeroporto, autorità giordane, ecclesiastici e forze di sicurezza.
Affermare e "difendere" la "libertà religiosa" e i "diritti umani inalienabili" anche in Medio Oriente.
Lo ha chiesto il Papa nel suo discorso all'aeroporto di Amman.
Ha anche apprezzato il fatto che in Giordania i cristiani possano edificare liberamente i propri luoghi di culto.
"La libertà religiosa - ha detto il papa - è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga a essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo".
Il papa apprezza che la Giordania sia "in prima linea" nel sostenere "gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto israelo-palestinese".
Benedetto XVI ha apprezzato l'accoglienza giordana ai rifugiati dell'Iraq e il tentativo giordano di "tenere a freno l'estremismo".

Il primo discorso di papa Benedetto XVI ad Amman è stato trasmesso in diretta anche dalla televisione satellitare araba Al Jazira.

La chiesa e il papa appoggiano "posizioni realmente ragionevoli" per il processo di pace in Medio Oriente. "Questo abbiamo già fatto e vogliamo fare in futuro", ha detto il papa a bordo dell'aereo che lo ha portato ad Amman, in Giordania, precisando che la chiesa può svolgere questo ruolo perché "non è un potere politico ma una forza spirituale".
Papa Ratzinger, che rispondeva a una domanda sul contributo del suo viaggio al processo di pace alla vigilia dell'incontro dei leader israeliani e palestinesi con il presidente Usa Barack Obama, ha ricordato che la Chiesa può contribuire a tre livelli: con la preghiera che "apre a Dio e può agire nella storia e può portare alla pace"; con la "formazione delle coscienze" per evitare che siano "ostacolate da interessi particolari"; con la "ragione: non essendo parte politica più facilmente possiamo aiutare a vedere i criteri veri e ciò che serve realmente alla pace".
Il papa è convinto che il dialogo con gli ebrei "nonostante i malintesi", faccia "progressi e questo aiuterà la pace e il cammino reciproco". Lo ha detto Benedetto XVI in volo verso Amman, spiegando che i malintesi sono inevitabili quando per "duemila anni si è stati distinti, anzi separati".
E' "importante - ha detto il papa - che ebrei e cristiani abbiamo la stessa radice nella bibbia e gli stessi libri dell'Antico testamento, che sono libri di liberazione: naturalmente dove per duemila anni si è stati distinti, anzi separati, non c'é da meravigliarsi che ci siano malintesi; c'é un cosmo semantico diverso sicché le stesse parole significano cose diverse". "Dobbiamo fare di tutto - ha concluso - per imparare gli uni dagli altri, facciamo grandi progressi e ci sono grandi possibilità".
Il papa incoraggia "i cristiani della Terrasanta e del Medio Oriente a restare nelle loro terre" di cui sono "componente importante, e chiede per loro "cose concrete" come "scuole e ospedali". Lo ha detto il pontefice rispondendo a una domanda sulla estinzione della presenza cristiana in Medio Oriente.
"Con aiuti concreti - ha aggiunto il papa - spero i cristiani siano incoraggiati a rimanere, spero realmente possano trovare il coraggio, l'umiltà e la pazienza per restare in questi Paesi ed offrire il loro contributo per il futuro di pace di questi Paesi". Papa Ratzinger ha anche sottolineato l'importanza di scuole e università che formino "giovani arabi e una elite di cristiani preparati a lavorare per la pace", e ha citato l'università di Madaba in Giordania della quale benedirà la prima pietra durante questo suo viaggio.
Il papa considera "importante un dialogo trilaterale tra le tre religioni monoteiste". Benedetto XVI ricorda di essere stato personalmente "cofondatore di una fondazione trilaterale" che ha tra l'altro curato una edizione comune di bibbia ebraica, bibbia cristiana e corano.
Il dialogo trilaterale, ha commentato Benedetto XVI, "é importantissimo per la pace e per vivere ognuno bene la propria religione".

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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (I)



LA PARTENZA DA ROMA

Ha inizio questa mattina il 12° Viaggio internazionale del Santo Padre Benedetto XVI, che lo porta pellegrino in Terra Santa.

L’aereo con a bordo il Santo Padre - un Airbus 320 dell’Alitalia - è partito dall’aeroporto di Fiumicino (Roma) alle ore 9.50 ed è giunto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman poco prima delle ore 14.30 locali (le 13.30 ora di Roma).



TELEGRAMMI A CAPI DI STATO

Nel momento di lasciare il territorio italiano, e nel sorvolare poi gli spazi aerei di Grecia, Cipro, Libano e Siria, il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto pervenire ai rispettivi Capi di Stato i seguenti messaggi telegrafici:

A SUA ECCELLENZA IL DOTTOR GIORGIO NAPOLITANO
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
PALAZZO DEL QUIRINALE
00187 ROMA

NEL MOMENTO IN CUI MI ACCINGO A COMPIERE IL MIO PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA CHE SARÀ PER ME OCCASIONE PROVVIDENZIALE PER RICALCARE LE ORME DEL DIVINO MAESTRO COME PURE PER INCONTRARE FRATELLI E SORELLE NELLA FEDE CONDIVIDENDO CON LORO MOMENTI DI FORTE SPIRITUALITÀ PREGARE PER LA GIUSTIZIA E LA PACE ED INCORAGGIARE IL DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO MI È CARO RIVOLGERE A LEI SIGNOR PRESIDENTE E AL POPOLO ITALIANO IL MIO CORDIALE SALUTO CHE ACCOMPAGNO CON FERVIDI AUSPICI PER IL PROGRESSO SPIRITUALE CIVILE E SOCIALE DELLA DILETTA ITALIA

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE MONSIEUR KAROLOS PAPOULIAS
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE HELLÉNIQUE
ATHENES

ME RENDANT EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE JE SUIS HEUREUX DE SALUER VOTRE EXCELLENCE AU MOMENT OÙ JE SURVOLE LE TERRITOIRE DE LA RÉPUBLIQUE HELLÉNIQUE ET JE LUI EXPRIME MES VŒUX CORDIAUX POUR SA PERSONNE ET POUR SES COMPATRIOTES(.) JE PRIE DIEU D’ACCOMPAGNER LA NATION DANS SES EFFORTS POUR CONSTRUIRE UNE SOCIÉTÉ TOUJOURS PLUS CONVIVIALE ET J’INVOQUE SUR LE PEUPLE GREC TOUT ENTIER L’ABONDANCE DES BÉNÉDICTIONS DU SEIGNEUR.

BENEDICTUS PP. XVI




HIS EXCELLENCY DEMETRIS CHRISTOFIAS
PRESIDENT OF THE REPUBLIC OF CYPRUS
NICOSIA

AS I FLY OVER CYPRUS ON MY PILGRIMAGE TO THE HOLY LAND I OFFER GREETINGS TO YOUR EXCELLENCY AND CORDIALLY INVOKE UPON THE PEOPLE OF THE NATION GOD’S CHOICEST BLESSINGS OF PROSPERITY AND PEACE.

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE LE GÉNÉRAL MICHEL SLEIMAN
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE DU LIBAN
BEYROUTH

AU MOMENT D’EMPRUNTER L’ESPACE AÉRIEN DE LA RÉPUBLIQUE LIBANAISE POUR ME RENDRE EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE IL M’EST AGRÉABLE DE SALUER VOTRE EXCELLENCE ET DE LUI EXPRIMER LES VŒUX CORDIAUX QUE JE FORME POUR TOUS LES LIBANAIS AFIN QU’ILS TROUVENT FORCE ET COURAGE POUR CONSTRUIRE UNE NATION UNIE ET SOLIDAIRE DANS LE RESPECT DE TOUTES SES COMPOSANTES (.) QUE DIEU BÉNISSE VOTRE PERSONNE ET TOUS LES HABITANTS DU LIBAN.

BENEDICTUS PP. XVI




SON EXCELLENCE MONSIEUR BACHAR EL ASSAD
PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE ARABE SYRIENNE
DAMAS

EMPRUNTANT L’ESPACE AÉRIEN DE LA RÉPUBLIQUE ARABE SYRIENNE POUR ME RENDRE EN PÈLERINAGE EN TERRE SAINTE, JE TIENS À PRÉSENTER MES SALUTATIONS À VOTRE EXCELLENCE ET À L’ENSEMBLE DE SES CONCITOYENS TOUT EN FORMANT DES VŒUX ARDENTS POUR LA PAIX ET LA PROSPÉRITÉ DE LA NATION ET EN IMPLORANT SUR LE PEUPLE SYRIEN TOUT ENTIER L’ABONDANCE DES BÉNÉDICTIONS DIVINES.

BENEDICTUS PP. XVI




Il colloquio del Papa con i giornalisti durante il volo per Amman. Intervista con padre Lombardi

I cristiani della Terra Santa e del Medio Oriente devono rimanere nelle loro terre. E’ stata questa una delle affermazioni rese dal Papa durante la consueta conferenza stampa che si è svolta a bordo dell’aereo papale. Benedetto XVI ha risposto durante il volo ad alcune domande dei giornalisti presenti a bordo, spiegando quali siano i sentimenti spirituali e pastorali che lo accompagneranno durante questo suo pellegrinaggio. Lo riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, contattato subito dopo l’atterraggio del volo ad Amman da Alessandro De Carolis:

R. - Il Papa ha risposto ad alcune domande che riguardano naturalmente i temi principali che sono d’attualità in questo viaggio. Il primo è quello del servizio della pace. L’interrogativo era come pensa concretamente il Papa di poter servire la pace in questo viaggio. Ed egli ha detto che ci sono tre vie per servirla, in particolare la preghiera, che vedrà anche tutto il popolo cristiano unito a lui nel domandare a Dio il dono della pace. C’è poi la grande via della formazione delle coscienze, sui veri valori e sul valore della convivenza pacifica, nel rispetto reciproco tra le persone e i popoli. E poi, molto significativo, anche il tema della ragione, ovvero l’appello a tutti ad essere ragionevoli e a seguire i dettami che una sana ragione indica a tutti gli uomini per vivere nel rispetto reciproco e nella pace. E questo mi sembra un tema piuttosto importante di questo Pontificato e che probabilmente il Papa affronterà in questi giorni.

D. - Si è parlato anche della condizione dei cristiani di Terra Santa?

R. - Sì, il Santo Padre ha detto che, naturalmente, ci sono molte iniziative per sostenerli. In particolare, ha fatto riferimento a tutta l'attività scolastica ed all'attività sanitaria: gli ospedali, le case nelle quali si presta assistenza alle persone in difficoltà, agli emarginati e ai malati. E quindi il Santo Padre ha parlato della vitalità della Chiesa, che si sente unita a questi cristiani, ed anche dello scopo di questo viaggio, che pure ha - tra le sue principali finalità - quella di manifestare la vicinanza del pastore universale, e di tutta la Chiesa con lui, a queste comunità cristiane, affinchè possano essere ancora piene di speranza per il futuro.

D. - Ci sono stati altri temi che sono emersi dalle domande dei giornalisti?

R. - Gli altri temi principali erano quelli che riguardavano il dialogo, sia con l'ebraismo, sia con l'islam, ed anche gli elementi comuni delle tre religioni che fanno capo ad Abramo. Il Santo Padre ha ricordato che egli stesso è stato tra i membri fondatori di una istituzione dedicata proprio al dialogo fra le tre grandi religioni che si appellano ad Abramo: una fondazione culturale che ha fatto anche delle pubblicazioni di testi importanti per le diverse religioni, e che ha preso iniziative concrete per facilitare il dialogo. Si tratta, dunque, di trovare un linguaggio comune, dei punti di riferimento comuni: anche il valore dell'amore di Dio e del prossimo sono certamente punti assolutamente focali di questo dialogo, che deve vedere le tre religioni collaborare insieme anche per la pace nel mondo.

D. - Un'impressione a caldo sul benvenuto che il re di Giordania ha riservato al Papa...

R. - Il discorso del re di Giordania è stato un discorso molto notevole: spontaneo, caloroso, cordiale. Si vede - come ha detto anche il Papa nel suo discorso - che qui c'è una tradizione consolidata di dialogo e si cerca veramente di condurre uno sviluppo della cultura islamica verso valori comuni, condivisi, anche con altri popoli, altre culture. Il re ha fatto riferimento a quelle stesse grandi iniziative alle quali anche il Papa si riferisce - cioè il messaggio interreligioso di Amman - che hanno dato luogo, anche recentemente, ad alcuni tra i momenti più promettenti del dialogo fra islam e cristianesimo, compreso il Forum che si è svolto a Roma recentemente, i cui partecipanti sono stati ricevuti dal Papa e che si è concluso con una dichiarazione comune piuttosto significativa. Quindi, direi che ci troviamo in un contesto in cui il dialogo tra cristianesimo ed islam mostra di poter fare dei passi avanti, di poter essere veramente fruttuoso.





Il Papa ad Amman: vengo come pellegrino per venerare i luoghi santi. Si promuova la pace in Medio Oriente, la libertà religiosa e l'alleanza tra occidente e mondo musulmano


“Vengo in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi”: con queste parole, pronunciate durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto di Amman, Benedetto XVI ha iniziato il suo pellegrinaggio in Terra Santa, che dall’11 al 15 maggio lo vedrà in Israele e Territori palestinesi. L’aereo papale è atterrato nell’aeroporto della capitale giordana alle 13.24 ora italiana. Ad accogliere Benedetto XVI, il Re Abdallah II, accompagnato dalla Regina Rania, e i Patriarchi e vescovi della Giordania e della Terra Santa. Il Papa ha parlato della libertà religiosa come diritto umano fondamentale, della promozione di una pace durevole e di una vera giustizia in Medio Oriente, dell’alleanza di civiltà tra mondo occidentale e quello musulmano a smentire i profeti della inevitabilità del conflitto tra le culture. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman, Pietro Cocco:
E’ un benvenuto, quello tra il Re e il Papa, che ha guardato subito alle questioni cruciali di questa visita alla Terra Santa, a partire dalla Giordania. Benedetto XVI sente di venire in una terra ricca di storia, patria di antiche civiltà,profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani:

“I come to Jordan as a pilgrim, to venerate holy places …
Vengo in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia biblica” come il Monte Nebo, con il Memoriale di Mosè, e Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni Battista “predicò e rese testimonianza a Gesù”.

Al tempo stesso, il Papa ha elogiato il regno haschemita per il suo impegno per la pace in Medio Oriente:

“Indeed the Kingdom of Jordan has long been at the forefront of initiative …
In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l’estremismo”.

Possano questi sforzi, ha aggiunto il Papa, portare “frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.”

Altrettanto caloroso e attento alle dimensioni religiose e politiche, il discorso di saluto del Re di Giordania, Abdullah II. Il Re ha voluto salutare in Benedetto XVI prima di tutto un pellegrino di pace, definendo la sua presenza in Giordania come un momento storico. “Si senta a casa, le porte sono aperte”. “La coesistenza e l’armonia fra musulmani e cristiani – ha detto – sono un tema urgente nel mondo. Oggi insieme siamo impegnati nel mutuo rispetto. Qui ed ora è il momento di un dialogo globale”. “L’armonia tra noi – ha ancora proseguito il Re giordano – il dialogo, hanno la loro base nella nostra fede in un unico Dio”. Il Re ha poi espresso l’impegno suo e del suo Paese perché sia riconosciuto il diritto dei palestinesi ad uno Stato e quello di Israele alla sicurezza, così come il rispetto del carattere religioso dei Luoghi Santi di Gerusalemme.

Da parte sua, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l’importanza del ruolo svolto dal Re giordano “nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’Islam. Impegno che si è concretizzato in iniziative che hanno favorito “un’alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto”.

A riprova di questo, il Papa ha poi espresso la gioia di poter benedire nei prossimi giorni le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore. La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione:

“On their behalf I want to say how much this openness is appreciated…
A nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura. La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo”.

Per questi motivi, Benedetto XVI ha voluto ribadire come da parte sua vi sia un profondo rispetto per la comunità musulmana: “Spero vivamente, ha concluso, che questa visita e, in realtà, tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra cristiani e musulmani, possano aiutarci a crescere nell’amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole.”

Come da tradizione, Benedetto XVI ha inviato durante il viaggio aereo una serie di telegrammi indirizzati ai Paesi sorvolati, ovvero Italia, Grecia, Cipro, Libano e Siria. Col presidente della Repubblica italiana, in particolare, il Papa definisce nel telegramma “provvidenziale” la sua opportunità di “ricalcare le orme del Divino Maestro” in Terra Santa, dove ribadisce di andare per “pregare per la giustizia e per la pace” e per “incoraggiare il dialogo ecumenico e interreligioso”. “Sono certo - scrive in risposta il capo di Stato italiano - che il suo messaggio di pace e di speranza troverà terreno fertile in tutti gli uomini di buona volontà che si impegnano affinché quei luoghi diventino il simbolo di una ritrovata e pacifica convivenza fra tutti i ‘popoli del libro’”.





Discorso del Papa all’aeroporto Queen Alia di Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI in occasione della cerimonia di benvenuto svoltasi al suo arrivo all’aeroporto Queen Alia di Amman, dove è stato accolto dal Re di Giordania, Abdallah II Bin Al-Hussein, e dalla Regina Rania.
* * *

Maestà,

Eccellenze,

Cari Fratelli Vescovi,

Cari Amici,

è con gioia che saluto tutti voi qui presenti, mentre inizio la mia prima visita in Medio Oriente dalla mia elezione alla Sede Apostolica, e sono lieto di posare i piedi sul suolo del Regno Ascemita di Giordania, una terra tanto ricca di storia, patria di così numerose antiche civiltà, e profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani. Ringrazio Sua Maestà il re Abdullah II per le sue cortesi parole di benvenuto e Gli porgo le mie particolari congratulazioni in questo anno che segna il decimo anniversario della sua ascesa al trono. Nel salutare Sua Maestà, estendo di cuore i migliori auguri a tutti i membri della Famiglia Reale e del Governo, e a tutto il popolo del Regno. Saluto i Vescovi qui presenti, specialmente quelli con responsabilità pastorali in Giordania. Mi dispongo con gioia a celebrare la liturgia nella Cattedrale di San Giorgio domani sera e nello Stadio Internazionale domenica insieme con Voi, cari Vescovi, e con così numerosi fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

Sono venuto in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia Biblica. Sul Monte Nebo, Mosè condusse la sua gente per gettare lo sguardo entro la terra che sarebbe diventata la loro casa, e qui morì e fu sepolto. A Betania al di là del Giordano, Giovanni Battista predicò e rese testimonianza a Gesù, che egli stesso battezzò nelle acque del fiume che dà a questa terra il nome. Nei prossimi giorni visiterò entrambi questi luoghi santi e avrò la gioia di benedire le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore. La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione e a nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura. La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo.

La mia visita in Giordania mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità Musulmana e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da Sua Maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’Islam. Ora che sono passati alcuni anni dalla pubblicazione del Messaggio di Amman e del Messaggio Interreligioso di Amman, possiamo dire che queste nobili iniziative hanno ottenuto buoni risultati nel favorire un’alleanza di civiltà tra il mondo Occidentale e quello Musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto. In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto Israeliano-Palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l’estremismo. Non posso lasciare passare questa opportunità senza richiamare alla mente gli sforzi d’avanguardia a favore della pace nella regione fatti dal precedente re Hussein. Come appare opportuno che il mio incontro di domani con i leader religiosi musulmani, il corpo diplomatico e i rettori dell’Università abbia luogo nella moschea che porta il suo nome. Possa il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione continuare a portar frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.

Cari Amici, nel Seminario tenutosi a Roma lo scorso autunno presso il Foro Cattolico-Musulmano, i partecipanti hanno esaminato il ruolo centrale svolto, nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dal comandamento dell’amore. Spero vivamente che questa visita e in realtà tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra Cristiani e Musulmani, possano aiutarci a crescere nell’amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole. Grazie per la vostra accoglienza, Grazie per la vostra cortesia. Che Dio conceda alle loro Maestà felicità e lunga vita! Che Egli benedica la Giordania con la prosperità e la pace!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




Discorso del Papa al Centro "Regina Pacis" di Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Lasciato l’aeroporto Quenn Alia, Benedetto XVI si è recato al Centro "Regina Pacis" di Amman, dove è stato accolto da mons. Salim Sayegh, Vicario Patriarcale latino per la Giordania e fondatore del Centro di riabilitazione dei portatori di handicap.
Qui il Santo Padre ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

* * *

Beatitudini,

Eccellenze,

Cari Amici,

sono molto contento di essere oggi qui con voi e di salutare ciascuno di voi, come anche i membri delle vostre famiglie, dovunque essi possano essere. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le gentili parole di saluto e in modo speciale desidero prendere atto della presenza fra noi del Vescovo Selim Sayegh, i cui progetti e lavori per questo Centro, insieme con quelli di Sua Beatitudine il Patriarca emerito Michel Sabbah, sono oggi onorati dalla benedizione dei nuovi ampliamenti appena terminati. Desidero anche salutare con grande affetto i membri del Comitato Centrale, le Suore Comboniane e il personale laico impegnato, inclusi coloro che lavorano nelle varie branche ed unità comunitarie del Centro. La stima per la vostra notevole competenza professionale, la cura compassionevole e la risoluta promozione del giusto posto nella società di coloro che hanno necessità speciali è ben conosciuta qui e in tutto il regno. Ringrazio i giovani presenti per il loro commovente benvenuto. È una grande gioia per me essere qui con voi.

Come sapete, la mia visita al Centro Nostra Signora della Pace qui in Amman è la prima tappa del mio pellegrinaggio. Come per innumerevoli migliaia di pellegrini prima di me, è ora il mio turno di soddisfare quel profondo desiderio di toccare, di trarre conforto dai luoghi dove Gesù visse e che furono santificati dalla sua presenza e di venerarli. Dai tempi apostolici, Gerusalemme è stata il principale luogo di pellegrinaggio per i Cristiani, ma ancora prima, nell’antico Vicino Oriente, i popoli Semitici costruirono luoghi sacri per indicare e commemorare una presenza o un’azione divina. E la gente comune soleva recarsi in questi centri portando una parte dei frutti della loro terra e del loro bestiame per farne offerta come atto di omaggio e di gratitudine.

Cari Amici, ognuno di noi è un pellegrino. Siamo tutti proiettati in avanti, risolutamente, sulla via di Dio. Naturalmente, tendiamo poi a volgere lo sguardo indietro al percorso della vita – talvolta con rimpianti o recriminazioni, spesso con gratitudine ed apprezzamento – ma guardiamo anche avanti - a volte con trepidazione o ansia, sempre con attesa e speranza, sapendo che ci sono anche altri ad incoraggiarci lungo la strada. So che i viaggi che hanno condotto molti di voi al Centro Regina Pacis sono stati segnati da sofferenza o prove. Alcuni di voi lottano coraggiosamente con forme di invalidità, altri hanno sopportato il rifiuto, ed alcuni di voi sono stati attratti a questo luogo di pace semplicemente per cercare incoraggiamento ed appoggio. Di particolare importanza, lo so bene, è il grande successo del Centro nel promuovere il giusto posto dell'invalido nella società e nell’assicurare che un adeguato esercizio e strumentazione siano forniti per facilitare una simile integrazione. Per questa lungimiranza e determinazione tutti voi meritate grande elogio ed incoraggiamento!

A volte è difficile trovare una ragione per ciò che appare solo come un ostacolo da superare o anche come prova – fisica o emotiva – da sopportare. Ma la fede e la ragione ci aiutano a vedere un orizzonte oltre noi stessi per immaginare la vita come Dio la vuole. L'amore incondizionato di Dio, che dà la vita ad ogni individuo umano, mira ad un significato e ad uno scopo per ogni vita umana. Il suo è un amore che salva (cfr Gv 12,32). Come i cristiani professano, è attraverso la Croce, che Gesù di fatto ci introduce nella vita eterna e nel fare ciò ci indica la strada verso il futuro – la via della speranza che guida ogni passo che facciamo lungo la strada, così che noi pure diveniamo portatori di tale speranza e carità per gli altri.

Amici, diversamente dai pellegrini d’un tempo, io non vengo portando regali od offerte. Io vengo semplicemente con un'intenzione, una speranza: pregare per il regalo prezioso dell’unità e della pace, più specificamente per il Medio Oriente. La pace per gli individui, per i genitori e i figli, per le comunità, pace per Gerusalemme, per la Terra Santa, per la regione, pace per l’intera famiglia umana; la pace durevole generata dalla giustizia, dall’integrità e dalla compassione, la pace che sorge dall'umiltà, dal perdono e dal profondo desiderio di vivere in armonia come un’unica realtà.

La preghiera è speranza in azione. Ed infatti la vera ragione è contenuta nella preghiera: noi entriamo in contatto amoroso con l’unico Dio, il Creatore universale, e nel fare così giungiamo a renderci conto della futilità delle divisioni umane e dei pregiudizi e avvertiamo le meravigliose possibilità che si aprono davanti a noi quando i nostri cuori sono convertiti alla verità di Dio, al suo progetto per ognuno di noi e per il nostro mondo.

Cari giovani amici, a voi in particolare desidero dire che stando in mezzo a voi io sento la forza che proviene da Dio. La vostra esperienza del dolore, la vostra testimonianza in favore della compassione, la vostra determinazione nel superare gli ostacoli che incontrate, mi incoraggiano a credere che la sofferenza può determinare un cambiamento in meglio. Nelle nostre personali prove, e stando accanto agli altri nelle loro sofferenze, cogliamo l'essenza della nostra umanità, diventiamo, per così dire, più umani. E incominciamo ad imparare che, su un altro piano, anche i cuori induriti dal cinismo o dall’ingiustizia o dalla riluttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d’azione di Dio, possono essere sempre aperti ad un nuovo modo di essere, ad una visione di pace.

Vi esorto tutti a pregare ogni giorno per il nostro mondo. Ed oggi voglio chiedervi di assumervi uno specifico compito: pregate, per favore, per me ogni giorno del mio pellegrinaggio; per il mio spirituale rinnovamento nel Signore e per la conversione dei cuori al modo di perdonare e di solidarizzare che è proprio di Dio, così che la mia speranza - la nostra speranza – per l’unità e la pace nel mondo porti frutti abbondanti.

Che Dio benedica ognuno di voi e le vostre famiglie, e gli insegnanti, gli infermieri, gli amministratori e i benefattori di questo Centro. Che Nostra Signora Regina della Pace vi protegga e vi guidi lungo il pellegrinaggio del Figlio suo, il Buon Pastore.





[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]



Le speranze della comunità cristiana in Giordania



Sull’arrivo del Papa ad Amman ascoltiamo, al microfono di Pietro Cocco, mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania e fondatore del Centro Regina Pacis per la riabilitazione dei disabili, prima tappa della visita di Benedetto XVI nel Paese:

R. – E’ un sentimento di gioia veramente. Siamo felici di ricevere il Santo Padre perché per noi significa ricevere San Pietro.


D. – Il Papa viene anche come ospite del Re...


R. – Questo suo essere ospite del Re ci riempie di gioia, perché il Re ci rappresenta tutti.


D. – Il Papa si fermerà qui in Giordania quattro giorni, una visita molto articolata. Quali sono gli aspetti principali, a suo giudizio, degli appuntamenti che il Papa ha qui ad Amman?


R. – Prima di tutto incontrerà i poveri dei poveri della Giordania, i portatori di handicap nel Centro Nostra Signora della Pace, ed avrà una parola da dire loro. Lì incontrerà anche i giovani, perché il Centro è sia per i disabili che per i giovani. I nostri giovani in Giordania si sentono molto felici, perchè loro che partecipano alla Giornata Mondiale della Gioventù sono coscienti che è il Santo Padre a venire da loro e non loro ad andare da lui. Hanno preparato una bella lettera da presentare al Santo Padre.


D. – Ci sarà anche una visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman e un incontro con i capi religiosi musulmani...


R. – La visita alla Moschea riflette quel che vive la Giordania: una vita pacifica. Viviamo insieme ai fratelli musulmani da centinaia di anni. La visita del Santo Padre riflette anche il suo desiderio che tutti vivano in pace nella diversità e nell’accettazione gli uni degli altri.


D. – La Giordania in questi anni è stata molto accogliente nei confronti dei profughi, dei rifugiati, con un impegno in prima fila anche della Caritas della Giordania...


R. – Quando c’è stata la guerra in Palestina, nel 1947-1948, è la Giordania che ha ricevuto i profughi. E adesso in Giordania ci sono tanti campi di profughi palestinesi, che rimangono lì, aspettando una soluzione pacifica giusta e legale per la loro questione. Ci sono anche iracheni, che sono non meno di 600-700 mila, e tra di loro ci sono non meno di 25-30 mila cristiani.


D. – Mons. Sayegh, quali le preoccupazioni, le attese per il futuro, principali della comunità cristiana?


R. – Per la comunità cristiana della Giordania la prima cosa è educare cristianamente i giovani, la gioventù, perché loro riflettono la Chiesa del futuro. Noi oggi non possiamo educare i giovani come siamo stati educati 40-50 anni fa, altrimenti la nostra educazione rimarrà esteriore e non toccherà veramente l’anima. Quindi, dobbiamo portarli alla convinzione della loro fede, della loro missione, in questo mondo musulmano, per dare veramente la bella testimonianza di Gesù Cristo.


Sulle principali sfide per la comunità cristiana giordana, Pietro Cocco ha intervistato Adelheid Durk, responsabile di uno dei progetti umanitari della Caritas Giordania:

R. – Penso che sia il lato economico senz’altro ma anche, soprattutto, la pace perché, essendo una minoranza, rimane sempre un po’ la paura che un domani vada via il re e che vengano gli integralisti. E dopo, cosa ne sarebbe di noi? Questo è sempre un grande interrogativo però c’è sempre anche la speranza, senz’altro, che continui anche il lavoro di creare questi rapporti anche con gli altri perché bisogna convivere, non si può rimanere per sempre gli uni contro gli altri.


D. – Anche la visita del Papa va in questa direzione, proprio della cooperazione, della convivenza pacifica; verrà anche a confermare il cammino del dialogo interreligioso...


R. – Sì. Comunque la Giordania è un Paese molto aperto. Anche il re e tutta la famiglia reale sono molto aperti e molto pro-cristiani e si sente l’importanza dei cristiani, considerati il “lievito nella pasta”. I cristiani sono molto richiesti anche nei lavori perché sanno che lavorano bene e con coscienza. Certo ci sono un po’ di problemi ma sono cose che capitano. In generale però, è un Paese aperto in cui veramente convivono pacificamente cristiani e musulmani. (Montaggio a cura di Maria Brigini)






Aiutare i cristiani di Gerusalemme a rimanere in Terra Santa: intervista al parroco di Gerusalemme padre Faltas


Il muro che divide Israele dai Territori palestinesi e che “spezza” troppe famiglie, le case a prezzi insostenibili, un lavoro che non sempre garantisce il necessario per vivere. Sono i problemi quotidiani che pesano sui cristiani di Terra Santa, i quali sperano che la visita del Papa possa contribuire a risolverli. In questo scenario di precarietà, non fa eccezione la realtà di Gerusalemme, come spiega padre Ibrahim Faltas, parroco di San Salvatore, l’unica parrocchia latina della Città Santa, intervistato dal nostro inviato, Roberto Piermarini:

R. – Noi lo aspettiamo a braccia aperte, con entusiasmo. La gente è contenta: vuole essere incoraggiata, in questo periodo, perché ci sono tanti, tanti problemi. C’è il problema della casa, il problema del rinnovo della carta d’identità, della cittadinanza qui a Gerusalemme, il problema del Muro, il problema della disoccupazione … ma soprattutto, poter rimanere qui, a Gerusalemme. Prima dell’erezione del Muro, si sono celebrati molti matrimoni misti: il marito di Gerusalemme e la moglie di Betlemme o viceversa. Adesso, purtroppo, non possono stare insieme perché dopo l’erezione del Muro, chi non è di Gerusalemme deve stare a Betlemme, deve tornare in Cisgiordania. Noi chiediamo un permesso per questa gente, affinché possa rimanere qui.


D. – Padre Faltas, alla vigilia del viaggio del Papa, quali sono stati i commenti della stampa araba e di quella israeliana?


R. – Tutti si stanno preparando bene per la visita del Papa, sia la stampa araba, sia quella israeliana. Anche nelle scuole – sia arabe, sia israeliane – sono state tenute tante, tante lezioni per informare su chi è il Papa, chi è Benedetto XVI … Ogni giorno, nella stampa araba e in quella israeliana, appare una notizia sul Papa …


D. – La Custodia di Terra Santa si sta adoperando per frenare l’esodo dei cristiani dalla Terra Santa …


R. – Il 90 per cento dei cristiani di Gerusalemme non sono proprietari, non hanno terreni, non hanno case e quindi prendono case in affitto. L’affitto più basso ammonta a mille dollari al mese, per arrivare a duemila, tremila, anche di più! La Custodia sta facendo progetti di case per far rimanere la gente qui.


D. – La ripresa del pellegrinaggio in Terra Santa è una risorsa per i cristiani …


R. – Certo: la maggior parte dei cristiani di Terra Santa – oltre l’85 per cento – lavora nel settore del turismo. Se non ci sono pellegrini, la gente non ha casa, non ha terreno, non ha lavoro e quindi, cosa sta a fare, qui? E’ molto facile scappare …


D. – Padre Faltas, questa visita del Papa può ridare speranza?


R. – Penso che la visita del Papa porterà frutti, perché sicuramente il Papa chiederà di risolvere tutti i nostri problemi di cristiani. E questa è la nostra speranza e quella di tutta la gente: è veramente una sfida, vivere a Gerusalemme in questi tempi!





Il Papa in Medio Oriente come fratello dei musulmani e degli ebrei
Intervista al Vicario dei cattolici di lingua ebraica in Israele
di Karna Swanson



GERUSALEMME, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Una delle sfide più grandi legate alla visita di Benedetto XVI in Terra Santa, è quella di riuscire a mostrare ad ebrei e musulmani il volto di Cristo, secondo padre David Neuhaus.

Padre Neuhaus, Patriarca Vicario delle comunità cattoliche di lingua ebraica (www.catholic.co.il) nel Patriarcato latino di Gerusalemme, ha parlato con ZENIT in vista del viaggio del Papa in Giordania, Israele e nei territori dell’Autorità nazionale palestinese, in programma dall’8 al 15 maggio.

In questa intervista il gesuita spiega come Israele si stia preparando alla visita e parla delle principali sfide con cui si confronterà il Santo Padre in questo viaggio, e della storica importanza di questo evento.

In che modo Israele si sta preparando alla visita di Benedetto XVI? E in particolare, come si stanno preparando i cattolici di lingua ebraica in Israele?

Padre Neuhaus: Israele, come nazione, si sta preparando ad accogliere un ospite molto illustre. La bandiera del Vaticano già sventola per le strade che il Santo Padre dovrà percorrere. Le misure di sicurezza sono già visibili nei luoghi della sua visita. La stampa è piena di notizie su Papa Benedetto, sul suo programma per la visita, sugli aspetti della vita della Chiesa, e soprattutto sulla Chiesa locale che riceve generalmente scarsa attenzione in un Paese in cui i cristiani rappresentano solo il 2% o il 3% della popolazione.

Ciò nonostante, la comunità cattolica di lingua ebraica, così come quella di lingua araba, si sta preparando anzitutto ad accogliere il nostro Pastore con gioia ed entusiasmo. Ci stiamo preparando ad ascoltare e a guardare, ad imparare e ad aprire i nostri cuori. Abbiamo grande speranza di ricevere dal Papa incoraggiamento e aiuto nel comprende più profondamente la nostra vocazione ad essere una “piccola oasi” in questa terra ormai da troppo tempo caratterizzata dal conflitto. Siamo molto fieri che il Papa Benedetto abbia voluto insistere per visitare anzitutto noi e per stare con noi.

Il Santo Padre ha chiesto ripetutamente preghiere per questo suo pellegrinaggio e il suo portavoce lo ha definito un viaggio “decisamente coraggioso”. Crede che ci possano essere dei rischi particolari in un viaggio in Terra Santa oggi?

Padre Neuhaus: È effettivamente un viaggio coraggioso perché i rischi sono molteplici. Viviamo in mezzo a un conflitto politico-nazionale, e tutte le parti in causa sono pronte a sfruttare la visita del Santo Padre a proprio vantaggio. Lui si confronterà non solo con la realtà della vita religiosa in Terra Santa, ma incontrerà anche i rappresentanti ufficiali di Israele e dell’Autorità palestinese.

Li incontrerà peraltro in un contesto tra i più significativi: durante la visita a Yad Vashem (il memoriale alle vittime della Shoah) e a Aida Camp (un campo di rifugiati palestinesi della guerra del 1948). I rischi sono evidenti, sebbene il Papa venga come pellegrino in preghiera per la pace e l’unità. Molti si aspettano di sentire da lui parole a sostegno della propria causa. Ma il Papa viene come pastore. Molti cercheranno di analizzare ogni singola parola e ogni suo movimento per trarne un significato politico.

La visita dovrà essere coordinata con grande abilità, in modo da preservare le intenzioni del Santo Padre in un contesto in cui molti cercheranno di tirarlo nel pantano del conflitto e degli interessi di parte. Il Papa avrà bisogno del coraggio degli antichi profeti che si confrontarono con i potenti del loro tempo, per poter esprimere la sua parola di verità e portare a compimento la sua visita in questa terra come pellegrino della pace, dell’unità e dell’amore. Che le preghiere di Giovanni Paolo II possano dare forza a Papa Benedetto mentre cammina sul sentiero del suo predecessore. Che questo pellegrinaggio possa edificarsi e ampliarsi sulle fondamenta del meraviglioso pellegrinaggio del suo predecessore.

Il cardinale Leonardo Sandri ha rivelato questa settimana che il viaggio in Terra Santa è stato voluto dal Papa sin dall’inizio del suo pontificato. Perché è così importante?

Padre Neuhaus: L’importanza di questa visita si esprime a diversi livelli. Anzitutto, il Santo Padre arriva nella terra che è stata teatro della storia della nostra salvezza: la terra dei patriarchi, dei profeti e dei saggi dell’Antico Testamento; la terra di Gesù Nostro Signore e dei discepoli ed apostoli del Nuovo Testamento. Egli viene per ricordarci dell’importanza di questi luoghi sacri per la nostra identità come cristiani, perché rappresentano un memoriale permanente della fedeltà di Dio per noi.

In secondo luogo, egli viene per incoraggiarci e sostenere la madre Chiesa di Gerusalemme. In queste settimane – dalla Pasqua alla Pentecoste – stiamo leggendo gli Atti degli apostoli, in cui Gerusalemme e la sua Chiesa rappresentano un costante punto di riferimento. Dobbiamo rafforzare la Chiesa di Gerusalemme come costante punto di riferimento delle nostre origini e perché dare testimonianza di Gesù nella terra in cui lui ha vissuto è essenziale.

In terzo luogo, il Papa viene nel cuore di una zona in agitazione, per mostrare il volto della Chiesa come promotrice di giustizia, di pace e soprattutto di perdono e compassione. Abbiamo bisogno di questa visita in modo speciale per promuovere il perdono, così assente dai nostri discorsi sul conflitto locale.

In quarto luogo, il Papa viene per promuovere il dialogo, sia con gli ebrei, sia con i musulmani.

Questo viaggio sarà un’opportunità di incontro fra cattolici, musulmani ed ebrei. Cosa può fare il Papa per evitare incomprensioni con le religioni ebraica e islamica, come è avvenuto qualche mese fa dopo la remissione della scomunica del vescovo Richard Williamson, o con il discorso di Ratisbona all’inizio del suo pontificato?

Padre Neuhaus: L’incontro con le autorità ebraiche e islamiche è un elemento importante di questo viaggio. Il Santo Padre si recherà anche nei luoghi più importanti per queste due tradizioni religiose: Haram al-Sharif (dove visiterà la Cupola della Roccia) e il Muro occidentale (il Muro del pianto). Tutto ciò sarà preceduto da un raduno interreligioso in cui il Papa si rivolgerà a centinaia di ebrei, cristiani e musulmani, attivi nel dialogo interreligioso, nell’educazione, nel volontariato, nei diritti umani, nella democrazia e nella tolleranza: alle persone che lavorano come operatori di pace e promotori della giustizia e della riconciliazione.

Sia gli ebrei che i musulmani si attendono parole e gesti di riconciliazione, considerati i precedenti episodi di tensione. A tal fine, i momenti importanti non saranno solo le visite alle autorità religiose e ai luoghi sacri per le tradizioni ebraica e musulmana, ma anche gli incontri con la gente sofferente della regione. Questi incontri saranno a loro volta occasione per il Santo Padre di mostrare ai nostri fratelli ebrei e musulmani il volto di un fratello che rivolge a loro parole di saggezza e di amore e che compie gesti di rispetto e compassione.

Il Papa ha detto che va come “Pellegrino di pace” in Terra Santa. Come può il capo della Chiesa cattolica rappresentare una forza di pace in questa regione?

Padre Neuhaus: Si tratta di una sfida enorme, in una regione che troppo spesso sembra non volere intraprendere il cammino della pace. Il Papa non viene come leader politico, ma come leader spirituale e religioso in pellegrinaggio. Questo significa che ha la libertà dello Spirito e può tentare di trasformare la visione di chi in questa regione non riesce a vedere oltre il conflitto e lo scontro.

È poco probabile che il Santo Padre possa proporre un nuova formula ai leader politici, ma non ho alcun dubbio che egli potrà sottolineare quegli elementi che sono essenziali per un processo di pace e che tuttavia vengono raramente citati nei discorsi politici che dominano la nostra regione. Il perdono e la compassione sono due di questi elementi che il Papa, nei suoi incontri con israeliani e palestinesi, certamente vorrà sottolineare.

Il Papa viene non come un re, ma come un profeta e un saggio. Questo gli conferisce un certo grado di libertà dagli imperativi del potere e della politica, per poter considerare la nostra triste condizione con parole di verità e di amore. Se egli riuscisse anche solo ad aprire la nostra visione per farci vedere ciò che non riusciamo a vedere – ovvero che l’altro è un nostro fratello e non un nostro nemico – allora ci avrà aiutato ad esorcizzare i demoni della paura, del sospetto e dell’odio che hanno colonizzato le nostre menti e i nostri cuori.

Per coloro che seguono il viaggio del Papa dall’estero, può individuare alcuni dei principali elementi del contesto culturale di cui tenere conto?

Padre Neuhaus: Forse, semplicemente, coloro che seguono l’evento dovranno capire che il Papa si reca in luoghi che non sono cattolici, ma che sono di tradizione, storia e identità ebraica (Israele), e di tradizione, storia e identità araba musulmana (la Giordania e i territori dell’Autorità nazionale palestinese). Per la maggior parte della gente il Papa non è l’amato pastore, ma un illustre straniero che rappresenta anche parte delle sofferenze e delle difficoltà che hanno caratterizzato i rapporti fra ebrei e cattolici, e fra musulmani e cattolici.

Dobbiamo pregare, tutti noi, che questa visita possa essere un importante momento di trasformazione, in cui israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani, possano vedere nel volto del Papa Benedetto XVI il volto di Gesù Cristo, umile, compassionevole e servo dei suoi fratelli e sorelle. È questa in definitiva la più grande sfida di questo viaggio.





Un video per accompagnare la visita del Papa in Terra Santa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- In occasione del viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI l'editore cattolico HDH Communications distribuisce "Le Città Sante", un cofanetto da collezione da 3 DVD, un pellegrinaggio attraverso le città di Gerusalemme, Roma e Assisi.


"La terra di Cristo, la casa di Pietro, la dimora di San Francesco sono i luoghi sacri che racchiudono i valori della spiritualità cristiana. Questa serie di documentari vuole essere un percorso geografico e spirituale alla ricerca delle nostre radici cristiane", sottolinea Francesco Robatto, presidente di HDH Communications, distributore esclusivo mondiale del Centro Televisivo Vaticano.

Il cofanetto in edizione da collezione è disponibile in versione italiana, inglese e spagnola ed è proposto con uno sconto speciale del 25% sul sito www.hdhcommunications.com per tutto il mese di maggio.




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Il papa verso la Terra Santa: i 102 del volo papale
Scritto da Salvatore Scolozzi


Giovedì 07 Maggio 2009 23:51

Viaggio suggestivo e ricco di significati per Benedetto XVI, in Terra Santa. E’ il suo dodicesimo viaggio internazionale, per essere “pellegrino di pace nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti” nei luoghi dove è nato e vissuto Gesù, e per testimoniare “l’impegno della Chiesa cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco”.

Alle ore 9:30 dell’8 maggio la partenza dell’Airbus A321 dell’Alitalia dall’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino. Nel volo AZ 4000 con destinazione Amman, in Giordania, viaggerà il Santo Padre Benedetto XVI, il seguito papale (30 persone), i giornalisti ammessi al volo (70), un funzionario della Sala stampa vaticana e uno dell’Alitalia. In tutto, oltre al personale di volo, viaggeranno con il Santo Padre 102 persone.

Del seguito papale, come comunicato dalla Segreteria di Stato, faranno parte 4 cardinali, 1 vescovo, 7 sacerdoti e 18 laici. Guida il Segretario di Stato, S.Em. Card. Tarcisio Bertone. Gli altri cardinali saranno il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, S.Em. Card. Leonardo Sandri, il presidente del Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani e commissione per i rapporti con il giudaismo, S.Em. Card. Walter Kasper, e il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, S.Em. Card. Paul Tauran.

Unico vescovo, il sostituto alla Segreteria di Stato, S.E.R. Mons. Fernando Filoni. Saranno del seguito, inoltre, Mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, Mons. Georg Gänswein, segretario particolare del papa, coadiuvato da Mons. Alfred Xuereb. Per la Segreteria di Stato, inoltre, sarà presente Mons. Peter B. Wells.

Faranno parte del seguito anche i coadiutori liturgici di mons. Marini, Mons. Enrico Vigano e William Millea. A curare i rapporti con i tanti media del mondo che seguiranno la visita, il direttore della Sala Stampa vaticana, del CTV e della Radio vaticana, P. Federico Lombardi, S.J. e il funzionario della Sala Stampa, Vik van Brantegem, veterano dei viaggi papali.

Guida il gruppo dei laici, il dott. Alberto Gasbarri, responsabile dell’organizzazione del viaggio, coadiuvato dal dott. Paolo Corvini e il Prof. Giovanni Maria Vian, direttore de L'Osservatore Romano. Del seguito, ovviamente, anche il medico personale del papa e direttore dei servizi sanitari dello Stato Città del Vaticano, dott. Renato Buzzonetti, coadiuvato dal dott. Patrizio Polisca, della direzione per la Sanità e l’Igiene del Vaticano. Presente anche Paolo Gabriele, assistente di camera del papa.

La sicurezza del Santo Padre sarà garantita dai 5 della gendarmeria vaticana, guidati dal dott. Domenico Giani, oltre che dal Ten. Col. Jean Daniel Pittelloud e dal Cap. Christoph Graf. della Guardia Svizzera pontificia.

Tra i media della Santa Sede, faranno parte del seguito il fotografo dell’Osservatore Romano, Francesco Sforza, due operatori del CTV e due della Radio vaticana. L’assistente dall’Alitalia è Stefania Izzo, responsabile per i trasferimenti aerei.

70 i giornalisti accreditati che viaggiano con Benedetto XVI. 25 fanno riferimento a testate italiane e 5 ai media del vaticano. Tra questi ultimi, ci saranno Alessandro Di Bussolo e Santo Messina per il CTV, Gianluca Biccini e Simone Risoluti per L’Osservatore Romano e Sean Patrick Lovett per la Radio vaticana.

Gli altri 40 giornalisti rappresentano le più importanti testate giornalistiche mondiali. Tra i 70, 6 sono photoreporter: Pier Paolo Cito per l’agenzia AP, Ettore Ferrari per l’AFP, Ettore Ferrari per l’Ansa, Antonio Gentile per la Reuters, Alessia Giuliani per Catholic Press Photo e Gregorz Galazka per la SIPA.

Per le televisioni ammessi 20 giornalisti. Tra i corrispondenti, Giuseppe De Carli, direttore della Struttura Rai Vaticano, Vincenzo Romeo, TG2, Barbara Piga Serra per Al Jazeera, Cristiana Caricato di Sat 2000, Mons. Guido Todeschini di Telepace, e 1 giornalista rispettivamente per Televisiva, ZDF, France 2, TF1, TVP-Telewizja Polska, Fox News ed ABC News.

Sempre per le televisioni saranno presenti 1 tecnico e 1 producer, oltre a 6 cameramen (altri 5 si aggregano all’arrivo). Rappresentate le agenzie EU Pool TV (Stefano Belardini), AP-Reuters pool TV (Gianfranco Stara), VSN-Vatican Service News (Jaroslaw Cielecki), Telepace (Giovanni Brutti), Fanes Film (Ciro Cappellari) e Televisiva.

I redattori di giornali, agenzie e periodici saranno 38. Per i quotidiani italiani saranno presenti Giacomo Galeazzi (La Stampa), Franca Giansoldati (Il Messaggero), Carlo Marroni (Il Sole 24 Ore), Salvatore Mazza (Avvenire), Marco Politi (La Repubblica), Andrea Tornelli (Il Giornale) e Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera). Per i quotidiani stranieri Isabelle De Gaulimyn Sallè (La Croix), Jaen Marie Guénois (Le Figaro), Stéphanie Le Bars (Le Monde), Rachel atonia Donadio The New York Times), Juan Vincente Gonzalez Boo (Abc), Shinya Minamishima (The Asahi Shimbun), Stefan Ulrich (Suddeutsche Zeitung).

Tra gli inviati delle agenzie di stampa, per la Reuters ci sarà Philip Pullella, per l’Ansa, Giovanna Chirri e per l’ApCom, Iacopo Scaramuzzi. Tra le altre agenzie, segnaliamo la Itar-Tass, la EFE, l’Alex Sprinter Verlag, la I.Media, Kiodo News Service, la CIC, DPA, AFP, AP e CNS. Per i periodici, invece, i giornalisti saranno Alberto Bobbio (Famiglia Cristiana), Ignazio Ingrao (Panorama), e i redattori di National Catholic Reporter, Time, Die Zeit, Der Spiegel e Sankt Ulrich Verlag.

Tra i quattro giornalisti radiofonici abbiamo Raffaele Luise (Rai – Gr) e gli inviati di Cadena Cope, RCN e Radio Renascença. Per la stampa internet ci sarà Franco Pisano di Asianews.it

Dopo un volo di 3 ore, e 2365 km percorsi, il volo papale atterrerà alle ore 14.30 all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, dopo aver attraversato Italia, Grecia, Cipro, Libano, Siria e Giordania. Il trasferimento di lunedì 11 maggio, tra Amman e Tel Aviv, avverrà con l’Airbus A321 della Royal Jordaniana Airlines. Partenza alle 10.30 (11.30 in Italia) e arrivo all’aeroporto internazionale Ban Gurion di Tel Aviv, dopo 30 minuti di volo. Durante questo trasferimento faranno parte del volo papale S.B. Fuad Twal, patriarca di Gerusalemme dei latini e p. Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa.

Per il trasferimento tra Tel Aviv e Gerusalemme, il Santo Padre e il seguito utilizzeranno tre elicotteri. Per il rientro a Roma del 15 maggio, verrà utilizzato il B777 El – LY2009. Partenza prevista alle 14 (ora locale) dall’aeroporto di Tel Aviv per raggiungere l’aeroporto di Ciampino a Roma dopo 3 ore e 50’ di volo, percorrendo 2.250 km. Arrivo alle ore 16:50 italiane, dopo aver sorvolato Israele, Cipro, Grecia e Italia.

Numerosi giornalisti italiani e stranieri hanno già raggiunto la Terra Santa con un volo dell’Opera Romana Pellegrinaggi, e si accoderanno alla stampa ammessa al volo papale e alla numerosissima stampa locale nei luoghi del pellegrinaggio.


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Da "Il Giornale"...

giovedì 07 maggio 2009, 13:07

Il Pontefice volerà con un nuovo aereo Alitalia

di Redazione
Roma - Sarà un aereo Alitalia ad accompagnare domani Benedetto XVI nel viaggio da Roma ad Amman, prima tappa del pellegrinaggio in Terrasanta. "Alitalia - informa una nota della compagnia - è onorata di essere stata prescelta dalla Santa Sede e di mettere a servizio della delegazione pontificia il nuovo e moderno Airbus A320 Dante Alighieri, uno dei nuovi aerei entrati di recente nella flotta della Compagnia". A bordo dell’Airbus Alitalia saranno presenti, oltre a Benedetto XVI e alla delegazione pontificia, rappresentanti dei media di tutto il mondo. Il volo speciale, AZ 4000, decollerà dall’aeroporto di Fiumicino alle 9.30 ed arriverà all’aeroporto Queen Alia di Amman alle 14.30 locali.

L'emozione dell'equipaggio L’equipaggio del volo è composto da 3 comandanti e 6 assistenti di volo, "scelti tra quanti si sono distinti per professionalità e impegno nel corso della loro carriera professionale". Coordinatore del volo è il comandante Roberto Germano, direttore operazioni Volo Alitalia. Il comandante titolare è Giacomo Belloni con 10.500 ore di volo all’attivo. "L’equipaggio - conclude la nota Alitalia - ha espresso emozione e viva soddisfazione per la partecipazione al primo volo di Benedetto XVI in Terra Santa".


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La pace che Benedetto XVI porta in Terra Santa
Commento di padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI porta in Terra Santa un annuncio biblico di pace radicato nella Bibbia, ha spiegato a ZENIT padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede, che sta seguendo l'itinerario del Papa in Giordania, Israele e Territori palestinesi.

Secondo il sacerdote di origine ghanese, questo pellegrinaggio è fondamentale “perché arriva in un momento in cui questa terra sta cercando di trovare un modo di vivere nella pace tra i vari popoli, e il Papa giunge davvero come un pellegrino di pace”.

“Egli stesso lo ha definito un pellegrinaggio di pace – ha aggiunto –. E' giunto per chiamare tutti i popoli che credono nell'unico Dio a questa vocazione innata all'identità presente nella rivelazione che Dio ha voluto dare agli uomini perché possiamo cercare la pace in Dio e nel rispetto degli uni per gli altri”.

In questo senso, non è un caso che il Papa abbia iniziato il suo pellegrinaggio in Giordania, terra importante sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento.

“Il profeta Isaia ci presenta il Messia come 'il principe della pace', colui che porterà la pace sulla terra. E questo è ciò che vogliamo realmente: la pace. La pace che cerchiamo è lo 'shalom' biblico; non è solo una questione di smettere di lottare dal punto di vista strettamente bellico”.

“Stiamo cercando una pace più profonda: vuol dire che l'uomo vive in armonia con Dio, con se stesso e con il prossimo. Questo è un dono di Dio e bisogna chiederlo nella preghiera, non lo possiamo ottenere solo attraverso negoziati politici”, ha osservato il sacerdote.

Compiendo un bilancio del primo giorno della visita, che ha visto la calda accoglienza che la Giordania ha offerto al Papa, padre Atuire ha constatato che “questo viaggio è iniziato molto bene, con grande serenità. Come accade sempre prima di qualsiasi viaggio del Papa ci sono molti timori, molte polemiche, che alcune persone vogliono lanciare”.

“Ciò che abbiamo visto, però, è che il Papa è arrivato davvero come un messaggero di pace, è stato accolto dal popolo, dai musulmani, dal re che è musulmano, dalla sua famiglia”.

Il Pontefice “ha voluto anche iniziare la sua visita visitando i poveri, i più emarginati della società. Credo che questo abbia dato un inizio molto positivo al viaggio, e in questi giorni vedremo come si svilupperà”, ha concluso padre Atuire riferendosi alla visita al centro per giovani handicappati Regina Pacis di Amman.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



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Risposte del Papa ai giornalisti sul volo per Amman


AMMAN, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la trascrizione fatta dalla Radio Vaticana della conferenza stampa, tenuta questo venerdì da Benedetto XVI, in presenza dei giornalisti ammessi al volo papale diretto ad Amman, in Giordania.

* * *

Padre Federico Lombardi:

Santità, noi la ringraziamo molto di darci anche questa volta un’occasione di un incontro con lei all’inizio di un viaggio così importante e impegnativo. Tra l’altro, ci dà anche modo di farle gli auguri di buon viaggio e di dirle che collaboreremo a diffondere i messaggi che lei cercherà di darci. Come al solito, le domande che ora pongo sono il risultato di una raccolta di domande tra i colleghi qui presenti. Le pongo io per motivi di facilità logistica, ma in realtà sono il frutto del lavoro comune.

D. – Santità, questo viaggio avviene in un periodo molto delicato per il Medio Oriente: vi sono forti tensioni - in occasione della crisi di Gaza, si era anche pensato che Lei forse vi rinunciasse. Allo stesso tempo, pochi giorni dopo il suo viaggio, i principali responsabili politici di Israele e dell’Autorità palestinese, incontreranno anche il presidente Obama. Lei pensa di poter dare un contributo al processo di pace che ora sembra arenato?

R. - Buongiorno! Vorrei anzitutto ringraziare per il lavoro che fate e ci auguriamo tutti insieme un buon viaggio, un buon pellegrinaggio, un buon ritorno. Quanto alla domanda, certamente cerco di contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel processo di pace. Vedo tre livelli: da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza. Apre il mondo a Dio: siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace. Secondo punto: noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze. La coscienza è la capacità dell’Uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire più alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e liberarci da interessi particolari. E così – terzo punto – parliamo anche – è proprio così! – alla ragione: proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli. E questo lo abbiamo già fatto e vogliamo farlo anche adesso e in futuro.

D. – Grazie, Santità. La seconda domanda. Lei, come teologo, ha riflettuto in particolare sulla radice unica che accomuna cristiani ed ebrei. Come mai, nonostante sforzi di dialogo, si presentano spesso occasioni di malintesi? Come vede il futuro del dialogo tra le due comunità?

R. – Importante è che in realtà abbiamo la stessa radice, gli stessi Libri dell’Antico Testamento che sono – sia per gli ebrei, sia per noi – Libro della Rivelazione. Ma, naturalmente, dopo duemila anni di storie distinte, anzi, separate, non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi, perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio, di pensiero molto diverse, per così dire un “cosmo semantico” molto diverso, così che le stesse parole nelle due parti significano cose diverse; e con questo uso di parole che, nel corso della storia hanno formato significati diversi, nascono ovviamente malintesi. Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro, e mi sembra che facciamo grandi progressi. Oggi abbiamo la possibilità che i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possono studiare a Gerusalemme, nell’Università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi: così c’è un incontro di questi “cosmi semantici” diversi. Impariamo vicendevolmente e andiamo avanti nella strada del vero dialogo, impariamo l’uno dall’altro e sono sicuro e convinto che facciamo progressi. E questo aiuterà anche la pace, anzi, l’amore reciproco.

D. - Santità questo viaggio ha due dimensioni essenziali di dialogo intereligioso, con l’islam e con l’ebraismo. Sono due direzioni completamente separate fra loro o vi sarà anche un messaggio comune che riguarda le tre religioni che si richiamano ad Abramo?

R. – Certo esiste anche un messaggio comune e sarà occasione di farlo e nonostante la diversità delle origini abbiamo radici comuni perché, come già ha detto, il cristianesimo nasce dall’Antico Testamento e la scrittura del Nuovo Testamento senza l’Antico non esisterebbe, perché si riferisce in permanenza alla Scrittura, cioè all’Antico Testamento, ma anche l’Islam è nato in un ambiente dove era presente sia l’ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo, giudeo-cristianesimo, cristianesimo-antiocheno bizantino, e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica così che abbiamo tanto in comune dalle origini e nella fede nell’unico Dio, perciò è importante da una parte avere i dialoghi a due parti – con gli ebrei e con l’Islam – e poi anche il dialogo trilaterale. Io stesso sono stato cofondatore di una fondazione per il dialogo tra le tre religioni dove personalità come il metropolita Damaskinos e il Gran Rabbino di Francia René Samuel Sirat, ecc. eravamo insieme e questa fondazione ha fatto anche un’edizione dei libri delle tre religioni: il Corano, il Nuovo Testamento e l’Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche – diciamo – per vivere bene la propria religione.

D. – Un’ultima domanda. Santità lei ha richiamato spesso il problema della diminuzione dei cristiani in Medio Oriente e anche in particolare nella Terra Santa. E’ un fenomeno con diverse ragioni di carattere politico, economico e sociale. Che cosa si può fare concretamente per aiutare la presenza cristiana nella regione. Quale contributo spera di dare con il suo viaggio? Ci sono speranze per questi cristiani nel futuro? Avrà un messaggio particolare anche per i cristiani di Gaza che verranno ad incontrarla a Betlemme?

R. – Certamente ci sono speranze perché è un momento adesso, come lei ha detto, difficile ma anche un momento di speranza di un nuovo inizio, di un nuovo slancio nella via verso la pace e vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere, a dare il loro contributo nei Paesi delle loro origini: sono una componente importante della vita di queste regioni. In concreto la Chiesa, oltre a parole di incoraggiamento, alla preghiera comune, ha soprattutto scuole e ospedali. In questo senso abbiamo la presenza di realtà molto concrete. Le nostre scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita di oggi, nella vita pubblica. Stiamo creando questa Università cattolica in Giordania, mi sembra questa una grande prospettiva dove giovani – sia musulmani sia cristiani – si incontrano, imparano insieme dove si forma un’élite cristiana che è preparata proprio per lavorare per la pace. Ma generalmente le nostre scuole sono un momento molto importante per aprire un futuro ai cristiani e gli ospedali mostrano la nostra presenza. Inoltre ci sono molte associazioni cristiane che aiutano in diversi modi i cristiani e con aiuti concreti incoraggiano a rimanere, così spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà, la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi.

Padre Lombardi:

Grazie Santità, con queste risposte ci ha aiutato ad ambientare il nostro viaggio da un punto spirituale, da un punto di vista culturale e rinnovo gli auguri, anche da parte di tutti i colleghi che sono su questo volo, e anche gli altri che sono in volo verso la Terra Santa in queste ore, proprio per partecipare e aiutare anche da un punto di vista informativo un buon risultato di questa sua missione così impegnativa. Buon viaggio a lei e a tutti i suoi collaboratori e buon lavoro anche ai colleghi.

09/05/2009 15:54
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Il Papa in Giordania

In moschea il secondo atto di Ratisbona

di Giorgio Bernardelli

Ore 15: Quel dialogo franco in moschea

Il discorso di Ratisbona era il grande fantasma che aleggiava sulla vigilia dell'incontro di questa mattina in moschea ad Amman. E puntualmente si è materializzato.
Sia nelle parole del principe Ghazi bin Talal, sia - pur senza nominarlo - nel discorso di Benedetto XVI.

È stato dunque un dialogo estremamente franco, di quelli che piacciono a Joseph Ratzinger.

Quello del promotore della lettera dei 138 non è stato un saluto, ma un discorso vero e proprio.
Ed è stato molto franco: ci ha tenuto a mettere i puntini sulle i su un paio di cose. Ha detto esplicitamente che la lettura del profeta Muhammad offerta nella citazione utilizzata da Benedetto XVI a Ratisbona è sbagliata, riconoscendo però che il Papa ha mostrato in più di un'occasione il suo rispetto per i musulmani. Poi - dopo aver magnificato il modello giordano di convivenza tra cristiani e islamici - non ha mancato di far notare che ci sono alcuni posti dove i cristiani sono maggioranza e le cose non vanno nello stesso modo.
In particolare ha citato il caso di Mindanao, nelle Filippine.

Detto questo, però, ha anche aggiunto un elogio sul Papa su cui forse molti cristiani dovrebbero riflettere: ha detto che la forza di Benedetto XVI sta nella sua capacità di parlare secondo la propria coscienza, senza preoccuparsi di rincorrere le mode.

Poi è toccato al Papa.
E qui la cosa più interessante è che nell'ultima parte del discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) Benedetto XVI ha ripetuto quello che era il cuore del discorso di Ratisbona.
E cioè che «quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti».
Dunque la ragione non è nemica della fede. Ed è in forza della ragione che cristiani e musulmani sono «sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto». Come pure è la ragione che ci permette di smascherare chi manipola a fini politici la religione per farne «il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società».
Provate a rileggere a questo link il discorso di Ratisbona del 2006: vi accorgerete che - al di là della citazione contestata di Manuele II il Paleologo - proprio questo era il centro del messaggio.

Oggi, dunque, Benedetto XVI ha spiegato il discorso di Ratisbona ai musulmani. Il problema, però, è che nel 2006 non fu solo il mondo islamico a non comprendere.

Ne abbiamo avuto la conferma questa mattina leggendo sul Corriere della Sera l'intervista a Daniel Pipes, che si dice deluso dalle parole del Papa sull'islam (in sostanza dice che è diventato «buonista») e auspica un'enciclica in cui venga fuori il Ratzinger vero (che è poi quello che piace a lui).
Quanto non era vero nel 2006 che per il Papa l'islam fosse una religione irrecuperabile, tanto oggi Benedetto XVI non è convinto che bastino un po' di strette di mano per risolvere incomprensioni vecchie di secoli.
Il dialogo vero ha bisogno di una ragione aperta all'Assoluto. Vale per i musulmani, ma anche per i guru del pensiero neocon.

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Discorsi incalzanti

Tirar fuori l'amore dal nucleo delle tre religioni

Elio Maraone

«A volte è difficile trovare una ra gione per ciò che appare solo come un ostacolo da superare o anche come prova... da sopportare. Ma la fede e la ragione ci aiutano a vedere un orizzonte oltre noi stessi per immaginare la vita co me Dio la vuole.
L’amore incondizionato di Dio... mira a un significato e a uno sco po per ogni vita umana. Il suo è un amo re che salva».
E ancora: «Ognuno di noi è un pellegrino. Siamo tutti proiettati in a vanti, risolutamente, sulla via di Dio. Na turalmente, tendiamo poi a volgere lo sguardo indietro al percorso della vita – talvolta con rimpianti e recriminazioni, spesso con gratitudine ed apprezzamen to – ma guardiamo anche avanti – a volte con trepidazione o ansia, sempre con at tesa e speranza, sapendo che ci sono an che altri ad incoraggiarci lungo la strada».
Sin da queste frasi pronunciate da Bene detto XVI nel toccante incontro con i giovani disabili accolti dalla Chiesa cattolica gior­dana nel Centro «Regina Pacis» di Amman, si avverte che con questo viaggio in Terra Santa tornano, incisivi, i giorni degli appas­sionati incontri e le notti della trepidazione (una parola questa che spesso ricorre nei discorsi papali, segno di un cuore indomi to e insieme incline alla tenerezza).
Già dalle prime battute traspare la trama sulla quale il Papa intende tessere, gior no a giorno, il proprio pellegrinaggio; al­l’instancabile invito alla pace basata su «posizioni realmente ragionevoli» e alla riconciliazione tra popoli e religioni di versi si aggiunge e si aggiungerà il pres sante proposito di incoraggiare la comu nità cattolica della regione e di ricordare alla Chiesa universale e al mondo intero che lì sono le radici della storia cristiana.
«Vengo in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi... e avrò la gioia di benedire le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore» è un passag gio del primo discorso di ieri, che allar gando l’orizzonte così prosegue: «La li bertà religiosa è certamente un diritto u mano fondamentale ed è mia fervida spe ranza e preghiera che il rispetto per i di ritti inalienabili e la dignità di ogni uomo ed ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Me dio Oriente». Ma la libertà religiosa, pur irrinunciabile, e fondamentale, è soltanto una parte del la desiderabile coesistenza pacifica tra i popoli.
E infatti Benedetto XVI, che già sul l’aereo che lo portava ad Amman aveva insistito con i giornalisti sull’importanza del «dialogo trilaterale tra le tre religioni monoteiste», giunto a terra esprime il suo «profondo rispetto per la comunità mu sulmana » e rende omaggio al «ruolo gui da » di re Abdallah II nel «promuovere u na migliore comprensione delle virtù pro clamate dall’Islam».
Ma non basta. Citan do il Messaggio di Amman (2004) dice che «queste nobili iniziative hanno ottenuto buoni risultati nel favorire un’alleanza di civiltà fra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le previsioni di coloro che considerano inevitabili la vio lenza e il conflitto».
Dunque, il Papa guarda, e invita tutti a guardare, in quello che può essere consi derato il passaggio più squillante del pri mo giorno in Terra Santa, al «ruolo cen trale svolto, nelle rispettive tradizioni re ligiose, dal comandamento dell’amore»; e spera vivamente che «questa visita e tut te le iniziative programmate per pro muovere buone relazioni fra cristiani e musulmani possano aiutarci a crescere nell’amore verso Dio Onnipotente e Mi sericordioso, come anche nel fraterno a more vicendevole». Si avverte una nota profetica in queste pa role del pellegrino che «diversamente da quelli di un tempo non porta regali od of ferte » ma «semplicemente un’intenzio ne, una speranza» di pace.
Ancora una volta egli prega e chiede la preghiera di tutti per «la conversione dei cuori». Per ché, parola di Papa, «anche quelli induri­ti dal cinismo o dall’ingiustizia o dalla ri luttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d’azione di Dio».

© Copyright Avvenire, 9 maggio 2009


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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IV)


VISITA ALL’ANTICA BASILICA DEL "MEMORIALE DI MOSÈ", SUL MONTE NEBO



Alle ore 8.30 di questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Monte Nebo dove visita l’antica Basilica del "Memoriale di Mosé", affidata alla Custodia Francescana di Terra Santa. In questo luogo, secondo la tradizione, il Signore mostrò a Mosè la Terra Promessa, al termine della prova del deserto, 40 anni dopo l’esodo dall’Egitto.

Al Suo arrivo, il Papa è accolto dal Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, P. José Rodríguez Carballo.

Dopo il saluto del Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Padre Ministro Generale,
Padre Custode,
Cari Amici,

in questo luogo santo, consacrato dalla memoria di Mosè, vi saluto tutti con affetto nel Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il P. José Rodríguez Carballo, per le cordiali parole di benvenuto. Colgo inoltre questa occasione per rinnovare l’espressione della mia gratitudine, e quella dell’intera Chiesa, ai Frati Minori della Custodia per la loro secolare presenza in queste terre, per la loro gioiosa fedeltà al carisma di san Francesco, come pure per la loro generosa sollecitudine per il benessere spirituale e materiale delle comunità cristiane locali e degli innumerevoli pellegrini che ogni anno visitano la Terra Santa. Qui desidero ricordare anche, con particolare gratitudine, il defunto P. Michele Piccirillo, che dedicò la sua vita allo studio delle antichità cristiane ed è sepolto in questo santuario che egli amò così intensamente.

È giusto che il mio pellegrinaggio abbia inizio su questa montagna, dove Mosè contemplò da lontano la Terra Promessa. Il magnifico scenario che ci si apre dinanzi dalla spianata di questo santuario ci invita a considerare come quella visione profetica abbracciava misteriosamente il grande piano della salvezza che Dio aveva preparato per il suo Popolo. Nella Valle del Giordano, infatti, che si snoda sotto di noi, nella pienezza dei tempi Giovanni Battista sarebbe venuto a preparare la via del Signore. Nelle acque del Giordano Gesù, dopo il battesimo ad opera di Giovanni, sarebbe stato rivelato come il Figlio diletto del Padre e, dopo essere stato unto di Spirito Santo, avrebbe inaugurato il proprio ministero pubblico. Fu ancora dal Giordano che il Vangelo si sarebbe diffuso, dapprima mediante la predicazione stessa e i miracoli di Cristo, e poi, dopo la sua risurrezione e l’effusione dello Spirito a Pentecoste, mediante l’opera dei suoi discepoli sino ai confini della terra.

Qui, sulle alture del Monte Nebo, la memoria di Mosè ci invita ad "innalzare gli occhi" per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino. Nelle acque del Battesimo siamo passati dalla schiavitù del peccato ad una nuova vita e ad una nuova speranza. Nella comunione della Chiesa, Corpo di Cristo, noi pregustiamo la visione della città celeste, la nuova Gerusalemme, nella quale Dio sarà tutto in tutti. Da questa santa montagna Mosè orienta il nostro sguardo verso l’alto, verso il compimento di tutte le promesse di Dio in Cristo.

Mosè contemplò la Terra Promessa da lontano, al termine del suo pellegrinaggio terreno. Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia. Sulle orme dei Profeti, degli Apostoli e dei Santi, siamo chiamati a portare avanti la missione del Signore, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio. Noi siamo chiamati ad accogliere la venuta del Regno di Cristo mediante la nostra carità, il nostro servizio ai poveri ed i nostri sforzi di essere lievito di riconciliazione, di perdono e di pace nel mondo che ci circonda. Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno. Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco (cfr Es 3,14), ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni.

Sin dai primi tempi i cristiani sono venuti in pellegrinaggio ai luoghi associati alla storia del Popolo eletto, agli eventi della vita di Cristo e della Chiesa nascente. Questa grande tradizione, che il mio odierno pellegrinaggio intende continuare e confermare, è basata sul desiderio di vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti. Qui, sulle orme degli innumerevoli pellegrini che ci hanno preceduto lungo i secoli, siamo spinti, quasi come in una sfida, ad apprezzare più pienamente il dono della nostra fede e a crescere in quella comunione che trascende ogni limite di lingua, di razza e di cultura.

L’antica tradizione del pellegrinaggio ai luoghi santi ci ricorda inoltre l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo. Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!

Cari Amici, riuniti in questo santo luogo, eleviamo gli occhi e i cuori al Padre. Mentre ci apprestiamo a recitare la preghiera insegnataci da Gesù, invochiamolo perché affretti la venuta del suo Regno, così che possiamo vedere il compimento del suo piano di salvezza e sperimentare, insieme con san Francesco e tutti i pellegrini che ci hanno preceduto segnati con il segno della fede, il dono dell’indicibile pace – pax et bonum – che ci attende nella Gerusalemme celeste.


Al termine della visita, il Santo Padre si trasferisce in auto all’Università del Patriarcato Latino di Gerusalemme a Madaba.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (V)


BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELL’UNIVERSITÀ DEL PATRIARCATO LATINO A MADABA


Alle ore 10.30 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI, dopo aver attraversato in auto il quartiere cristiano della città di Madaba, giunge nel luogo dove è in costruzione l’Università del Patriarcato Latino, per la Benedizione della prima Pietra.

Qui, alla presenza di alcune migliaia di persone, dopo l’indirizzo di omaggio del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Cari Amici,

è per me una grande gioia benedire la prima pietra dell’Università di Madaba. Ringrazio Sua Beatitudine l’Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le gentili parole di benvenuto. Desidero estendere uno speciale saluto di apprezzamento a Sua Beatitudine il Patriarca emerito, Michel Sabbah, alla cui iniziativa ed ai cui sforzi, unitamente a quelli del Vescovo Salim Sayegh, questa nuova istituzione tanto deve. Saluto inoltre le Autorità civili, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli, come pure quanti ci accompagnano in questa importante cerimonia.

Il Regno di Giordania ha giustamente dato priorità all’obiettivo di espandere e migliorare l’educazione. So che in questa nobile missione Sua Maestà la Regina Rania è particolarmente attiva e la sua dedizione è motivo di ispirazione per molti. Mentre plaudo agli sforzi delle persone di buona volontà impegnate nell’educazione, rilevo con soddisfazione la partecipazione competente e culturalmente qualificata delle istituzioni cristiane, specialmente cattoliche e ortodosse, in questo sforzo globale. È questo retroterra che ha condotto la Chiesa Cattolica, con il sostegno delle Autorità giordane, a porre in atto i propri sforzi nel promuovere l’educazione universitaria in questo Paese ed altrove. L’iniziativa risponde, inoltre, alla richiesta di molte famiglie che, soddisfatte per la formazione ricevuta nelle scuole rette da autorità religiose, chiedono di poter avere un’analoga opzione a livello universitario.

Plaudo ai promotori di questa nuova istituzione per la loro coraggiosa fiducia nella buona educazione quale primo passo per lo sviluppo personale e per la pace ed il progresso nella regione. In questo quadro l’università di Madaba saprà sicuramente tenere presenti tre importanti obiettivi. Nello sviluppare i talenti e le nobili predisposizioni delle successive generazioni di studenti, li preparerà a servire la comunità più ampia ed elevarne gli standard di vita. Trasmettendo conoscenza ed istillando negli studenti l’amore per la verità, promuoverà grandemente la loro adesione ai valori e la loro libertà personale. Da ultimo, questa stessa formazione intellettuale affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove. Il risultato di tale processo è un’università che non è soltanto una tribuna per consolidare l’adesione alla verità e ai valori di una specifica cultura, ma anche un luogo di comprensione e di dialogo. Mentre assimilano la loro eredità culturale, i giovani della Giordania e gli altri studenti della regione saranno condotti ad una più profonda conoscenza delle conquiste dell’umanità, e saranno arricchiti da altri punti di vista e formati alla comprensione, alla tolleranza e alla pace.

Questo tipo di educazione "più ampia" è ciò che ci si aspetta dalle istituzioni dell’educazione superiore e dal loro contesto culturale, sia esso secolare o religioso. In realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia. San Paolo esortava i primi cristiani ad aprire le proprie menti a tutto "quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode" (Fil 4,8). Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà. Il cuore umano può essere indurito da un ambiente ristretto, da interessi e da passioni. Ma ogni persona è anche chiamata alla saggezza e all’integrità, alla scelta basilare e più importante di tutte del bene sul male, della verità sulla disonestà, e può essere sostenuta in tale compito.

La chiamata all’integrità morale viene percepita dalla persona genuinamente religiosa dato che il Dio della verità, dell’amore e della bellezza non può essere servito in alcun altro modo. La fede matura in Dio serve grandemente per guidare l’acquisizione e la giusta applicazione della conoscenza. La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. Senza dubbio questa è una delle speranze di quanti promuovono questa Università, il cui motto è Sapientia et Scientia. Allo stesso tempo, la scienza ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. "La natura intellettuale della persona umana si completa e deve completarsi per mezzo della sapienza, che attira dolcemente la mente dell’uomo a cercare ed amare le cose vere e buone" (cfr Gaudium et spes, 15). L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica. Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento. Pertanto, la sapienza religiosa ed etica, rispondendo alle questioni sul senso e sul valore, giocano un ruolo centrale nella formazione professionale. Conseguentemente, quelle università dove la ricerca della verità va di pari passo con la ricerca di quanto è buono e nobile offrono un servizio indispensabile alla società.

Con tali pensieri in mente, incoraggio in maniera speciale gli studenti cristiani della Giordania e delle regioni vicine a dedicarsi responsabilmente ad una giusta formazione professionale e morale. Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito.

Cari Amici, desidero rinnovare le mie congratulazioni al Patriarcato Latino di Gerusalemme ed il mio incoraggiamento a quanti hanno preso a cuore questo progetto, insieme a quanti sono già impegnati nell’apostolato dell’educazione in questa Nazione. Il Signore vi benedica e vi sostenga. Prego affinché i vostri sogni diventino presto realtà, affinché possiate vedere generazioni di uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni, capaci di occupare il loro posto nella società, dotati di perizia professionale, bene informati nel loro campo ed educati ai valori della saggezza, dell’onestà, della tolleranza e della pace. Su di voi, sui tutti i vostri futuri studenti e sul personale di questa Università e sulle loro famiglie, invoco le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si reca in auto alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VI)



VISITA AL MUSEO HASHEMITA ED ALLA MOSCHEA "AL-HUSSEIN BIN TALAL" DI AMMAN


Alle ore 11.30 il Santo Padre Benedetto XVI arriva al Museo Hashemita. Qui viene accolto dal Direttore del Museo che lo accompagna all’interno per una breve visita.

Quindi si reca nella Moschea "Al-Hussein Bin Talal" dove viene accolto dall’Imam. Al termine della visita alla Moschea, il Papa si reca all’esterno del luogo di culto per l’incontro con i Capi religiosi musulmani.



INCONTRO CON I CAPI RELIGIOSI MUSULMANI, IL CORPO DIPLOMATICO ED I RETTORI DELLE UNIVERSITÀ GIORDANE, AD AMMAN

Alle ore 11.45, all’esterno della Moschea "Al-Hussein Bin Talal" di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Capi religiosi musulmani, il Corpo Diplomatico ed i Rettori delle Università giordane.

Dopo il saluto del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal - uno dei firmatari del Messaggio indirizzato, nell’ottobre 2007, da 138 dotti islamici al Papa e ai leader cristiani per promuovere la pace nel mondo - il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Altezza Reale,
Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,

è motivo per me di grande gioia incontrarvi questa mattina in questo splendido ambiente. Desidero ringraziare il Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal per le sue gentili parole di benvenuto. Le numerose iniziative di Vostra Altezza Reale per promuovere il dialogo e lo scambio inter-religioso ed inter-culturale sono apprezzate dai cittadini del Regno Hashemita ed ampiamente rispettate dalla comunità internazionale. Sono al corrente che tali sforzi ricevono il sostegno attivo di altri membri della Famiglia Reale come pure del Governo della Nazione e trovano vasta risonanza nelle molte iniziative di collaborazione fra i Giordani. Per tutto questo desidero manifestare la mia sincera ammirazione.

Luoghi di culto, come questa stupenda moschea di Al-Hussein Bin Talal intitolata al venerato Re defunto, si innalzano come gioielli sulla superficie della terra. Dall’antico al moderno, dallo splendido all’umile, tutti rimandano al divino, all’Unico Trascendente, all’Onnipotente. Ed attraverso i secoli questi santuari hanno attirato uomini e donne all’interno del loro spazio sacro per fare una pausa, per pregare e prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per riconoscere che noi tutti siamo sue creature.

Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è. Certamente, il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato. Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto. Musulmani e Cristiani, proprio a causa del peso della nostra storia comune così spesso segnata da incomprensioni, devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia.

La decisione degli educatori giordani come pure dei leader religiosi e civili di far sì che il volto pubblico della religione rifletta la sua vera natura è degna di plauso. L’esempio di individui e comunità, insieme con la provvista di corsi e programmi, manifestano il contributo costruttivo della religione ai settori educativo, culturale, sociale e ad altri settori caritativi della vostra società civile. Ho avuto anch’io la possibilità di constatare personalmente qualcosa di questo spirito. Ieri ho potuto prender contatto con la rinomata opera educativa e di riabilitazione presso il Centro Nostra Signora della Pace, dove Cristiani e Musulmani stanno trasformando le vite di intere famiglie, assistendole al fine di far sì che i loro figli disabili possano avere il posto che loro spetta nella società. All’inizio dell’odierna mattinata ho benedetto la prima pietra dell’Università di Madaba, dove giovani musulmani e cristiani, gli uni accanto agli altri, riceveranno i benefici di un’educazione superiore, che li abiliterà a contribuire validamente allo sviluppo sociale ed economico della loro Nazione. Di gran merito sono pure le numerose iniziative di dialogo inter-religioso sostenute dalla Famiglia Reale e dalla comunità diplomatica, talvolta intraprese in collegamento col Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso. Queste comprendono il continuo lavoro degli Istituti Reali per gli Studi Inter-religiosi e per il Pensiero Islamico, l’Amman Message del 2004, l’Amman Interfaith Message del 2005, e la più recente lettera Common Word, che faceva eco ad un tema simile a quello da me trattato nella mia prima Enciclica: il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione (cfr Deus caritas est, 16).

Chiaramente queste iniziative conducono ad una maggiore conoscenza reciproca e promuovono un crescente rispetto sia per quanto abbiamo in comune sia per ciò che comprendiamo in maniera differente. Pertanto, esse dovrebbero indurre Cristiani e Musulmani a sondare ancor più profondamente l’essenziale rapporto fra Dio ed il suo mondo, così che insieme possiamo darci da fare perché la società si accordi armoniosamente con l’ordine divino. A tale riguardo, la collaborazione realizzata qui in Giordania costituisce un esempio incoraggiante e persuasivo per la regione, in realtà anzi per il mondo, del contributo positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile.

Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all’insegnamento e alla ricerca scientifica, come pure al servizio alla società. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità a partecipare a questa Ragione e così ad agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità. E quali credenti nell’unico Dio, sappiamo che la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio. In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello.

Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali. Ci viene ricordato che proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile.

Questa mattina prima di lasciarvi, vorrei in special modo sottolineare la presenza tra noi di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Baghdad, che io saluto molto calorosamente. La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania. Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni. Esprimo il mio apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società. Ancora una volta, chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini.

Distinti Amici, confido che i sentimenti da me espressi oggi ci lascino con una rinnovata speranza per il futuro. L’amore e il dovere davanti all’Onnipotente non si manifestano soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella preoccupazione per i bambini e i giovani – le vostre famiglie – e per tutti i cittadini della Giordania. È per loro che faticate e sono loro che vi motivano a porre al cuore delle istituzioni, delle leggi e delle funzioni della società il bene di ogni persona umana. Possa la ragione, nobilitata e resa umile dalla grandezza della verità di Dio, continuare a plasmare le vita e le istituzioni di questa Nazione, così che le famiglie possano fiorire e tutti possano vivere in pace, contribuendo e al tempo stesso attingendo alla cultura che unifica questo grande Regno! Grazie mille!


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica di Amman dove pranza con i Membri del Seguito.




La visita del Papa al Memoriale di Mosè sul Monte Nebo: Chiesa e popolo ebreo uniti da un "inseparabile legame"


Dall’alto del Monte Nebo, la Chiesa contempla il suo pellegrinaggio terreno verso la salvezza promessa da Cristo e ricorda il suo “inseparabile legame” con il popolo ebreo. Benedetto XVI lo ha affermato questa mattina, visitando l’antica Basilica del “Memoriale di Mosè”, prima tappa del suo secondo giorno in Terra Santa. Il Papa ha raggiunto di buon mattino in auto l’altura che dista una quarantina di km. da Amman, affacciandosi dalla terrazza del Santuario nel quale ha poi tenuto il suo discorso. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Lo stesso sguardo panoramico e commosso di Mosè, ad abbracciare da lontano le colline che circondano Amman e, più oltre, Betlemme e la Valle del Giordano, il rigoglio di una terra che l’antico Patriarca non toccò mai. Benedetto XVI lo ha sperimentato questa mattina, sul Monte Nebo, che la tradizione indica come luogo dal quale Mosè vide la Terra Promessa. Ma anche uno sguardo interiore, a ricordare che il “vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione i luoghi benedetti dalla presenza fisica” di Cristo comporta per i cristiani una duplice consapevolezza: di un’“esodo” dal deserto del peccato e dell’“inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo”:


“From the beginning, the Church in these lands…
Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!”

Questo auspicio del Papa ha suggellato un discorso iniziato in chiave spirituale sul significato che la vicenda di Mosè sul Monte Nebo assume per i cristiani contemporanei. “Lei oggi ha voluto farsi pellegrino, ricordandoci che questa è la condizione del popolo di Dio”, aveva detto nel suo indirizzo di saluto al Papa il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, padre Rodriguez Carballo, aggiungendo:


“In questo viaggio non è solo. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore”.

Benedetto XVI ha raccolto questo spunto pastorale, ricordando che “qui, sulle alture del Monte Nebo:


“The memory of Moses invites us…
La memoria di Mosè ci invita ad ‘innalzare gli occhi’ per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino”.

Un cammino che ha nel suo lungo peregrinare di Mosè nel deserto, conclusosi a pochi chilometri dalle valli promesse, ammirate e mai raggiunte, un modello e un simbolo per la Chiesa attuale:


“His example reminds us that we too are part…
Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia (...) Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore (...) Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco, ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni…”

Il Memoriale di Mosè è affidato alla Custodia francescana di Terra Santa sin dal 1932. Una presenza che ha un suo emblema nella figura di padre Michele Piccirillo, famoso archeologo francescano sepolto proprio nel Santuario sul Monte Nebo che - ricordato oggi dal Papa - “egli amò intensamente”. Sulla visita di Benedetto XVI, il nostro inviato della redazione polacca, padre Jozef Polak, ha sentito l’attuale responsabile dell’Istituto archeologico del Memoriale di Mosè, padre Carmelo Pappalardo:

R. - Lui, da qui, guarda la Terra Promessa e pochi giorni dopo vi andrà anche lui. E’ un momento di grande speranza e di grande gioia per chi, come noi Francescani, lavora per i cristiani e per la popolazione di questa terra che - come ben si sa - ha molti problemi, soprattutto politici, di integrazione per i cristiani. Quindi, la venuta del Papa è sicuramente un momento di grazia per tutti noi.


D. - Lei, come archeologo, sta restaurando i mosaici della Basilica, che adesso sono stati tolti. Potrebbe spiegare l’attuale situazione dei restauri?


R. - I nostri restauri si stanno svolgendo su due fronti: uno è la ricostruzione della copertura del tetto della chiesa, che era stata fatta nel 1964 e che necessitava di essere rifatta, per vari motivi. E quindi abbiamo approfittato di questo evento per fare un nuovo restauro di tutti i mosaici del pavimento della chiesa. Abbiamo rimosso i mosaici, che erano stati posati sul cemento: ora stiamo togliendo il cemento e quindi li rimetteremo su nuovi supporti per poi riposizionarli nella chiesa.


D. - Secondo lei, quali sono le speranze connesse a questo viaggio del Papa in Giordania, in Terra Santa?


R. - La cosa di cui si ha più bisogno è sicuramente la pace. Noi speriamo che la venuta del Papa apra i cuori di tutti, delle varie parti, soprattutto politiche, e dia una scossa vera per la pace in questa terra.


D. - Avete qualche segno di questa speranza? Sono i pellegrini che vengono qui, per esempio?


R. - Segni di questa speranza sono sicuramente i pellegrini. Nonostante le difficoltà dei primi anni seguenti al 2001, all’Intifada, durante i quali ne sono venuti pochi, ultimamente c’è una forte ripresa dei pellegrinaggi e questo sicuramente aiuta: aiuta i cristiani, aiuta la gente di qui. Un altro segno della speranza è certamente la continuità del nostro lavoro qui, fin dal 1200: da San Francesco in poi, abbiamo cercato di dare una voce alla speranza e alla pace per questi popoli, per questa terra.






Benedetto XVI alla Moschea di Amman. Amore e ragione a fondamento delle religioni: violenza e ignoranza le sfigurano


Seconda giornata di Benedetto XVI in Giordania. Il Papa ha compiuto stamani una storica visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, dove ha incontrato i capi religiosi musulmani sottolineando il contributo positivo che le religioni danno alla società se basate sull’amore di Dio e del prossimo e sul valore della ragione umana e se evitano ogni manipolazione ideologica. Poi ha rilevato che il diritto di libertà religiosa è più della libertà di culto. In precedenza il Papa aveva benedetto la prima pietra dell’Università del Patriarcato latino di Madaba affermando che la religione viene sfigurata quando è costretta a servire l’ignoranza, il pregiudizio e la violenza. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

Una calorosa e impegnativa accoglienza ufficiale e popolare è il carattere distintivo di questa seconda giornata del Papa in Gordania. E un’accoglienza calorosa, tutta speciale, è stata quella della comunità cristiana che a Madaba è particolarmente numerosa e si è riversata in strada per salutare il Papa lungo tutto il percorso attraverso la città, compiuto da Benedetto XVI in papamobile. Impegnativa perchè nei discorsi del Papa e del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, (cugino del Re e personalmente impegnato nel dialogo interreligioso), che ha accolto il Papa alla Moschea di Amman, si è avvertita tutta la consapevolezza di vivere momenti cruciali per il dialogo interreligioso e per la ricerca di nuovi equilibri di pace e di collaborazione nella regione del Medio Oriente e nel mondo.


Sia il Papa che il Principe Ghazi, nel suo ricco e articolato intervento, hanno mostrato quale dovrebbe essere l’impegno comune dei cristiani e dei musulmani per far crescere la comprensione e la collaborazione, ma anche il rispetto delle reciproche differenze. Il Principe Ghazi lo ha fatto anche con un convincente ed erudito riferimento agli equivoci e ai malintesi, ormai superati, legati al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Benedetto XVI ha indicato concretamente questo impegno nel sostenere il campo dell’educazione, anche accogliendo la luce che può portarvi la religione se non viene corrotta da interessi umani. La buona educazione, ha detto, è il primo passo per lo sviluppo personale e per la pace e il progresso nella regione. Di qui il valore delle istituzioni educative portate avanti in Giordania anche dalla comunità cristiana, ed ora nella fondazione di una nuova Università, aperta ai cristiani e ai musulmani. Questa università offrirà l’opportunità di arricchirsi di altri punti di vista e di formare gli studenti alla comprensione, alla tolleranza e alla pace:

“Religion is disfigured when pressed into the service of ignorance or prejudice,…
La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà”.

Altro elemento per uno sforzo comune di cristiani e musulmani, è stato indicato da Benedetto XVI nell’aprire gli orizzonti della ragione umana, e del progresso scientifico e tecnologico. L’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce della sapienza etica. Sapienza, ha osservato il Papa, che ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra e altri importanti codici internazionali. Si è quindi rivolto agli studenti cristiani della Giordania a Madaba:

“You are called to be builders of a just and peaceful society composed of peoples…
Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’Università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito”.

Ma è nell’incontro con i leaders religiosi musulmani ed i rettori delle università giordane alla Moschea Al Hussein di Amman, che Benedetto XVI ha espresso la sua preoccupazione, ed il suo richiamo a cristiani e musulmani, per il fatto che molti oggi considerino la religione necessariamente una causa di divisione nel mondo:

“For this reason we cannot fail to be concerned that today,…
Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio”.

Certamente, il contrasto le tensioni e le divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato, ha osservato il Papa, ma con altrettanta franchezza ha aggiunto:

“However, is it not also the case that often it is the ideological manipulation…
Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto”.

Inoltre, secondo Benedetto XVI, la consapevolezza di una storia comune spesso segnata da incomprensioni deve spingere cristiani e musulmani ad essere riconosciuti come adoratori di Dio, misericordiosi e compassionevoli, memori della comune origine e dignità di ogni persona umana.


In tal senso il Papa ha lodato le numerose iniziative nel dialogo interreligioso e interculturale sostenute dalla Famiglia reale della Giordania, anche in collaborazione con il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, tra cui il Messaggio di Amman e la recente lettera ‘Common World’, indirizzata da 138 esponenti religiosi musulmani ai capi delle Chiese cristiane. Lettera che ha in comune con l’enciclica di Benedetto XVI, ‘Deus Caritas est’, di indicare il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure “la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione”.


In questo spirito, il Papa ha concluso il suo discorso alla Moschea chiamando nuovamente cristiani e musulmani ad un compito comune: sviluppare il vasto potenziale della ragione umana, nel contesto della fede e della verità. La ragione infatti si eleva quando è illuminata dalla luce della verità di Dio, e in tal modo, viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo scopo di servire l’umanità. E così si amplia, piuttosto che essere manipolato o ristretto, il pubblico dibattito. Per questo Benedetto XVI ha concluso il suo discorso incoraggiandoo tutti a superare i propri interessi particolari, anche gli amministratori e i leaders sociali, che devono servire il bene comune di tutti:

“We are reminded that because it is our common human dignity which gives rise…
Proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile”.




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Martedì prossimo la Messa del Papa a Gerusalemme nella valle di Josafat


Se tutto il popolo della Giordania, e non solo la comunità cristiana, segue con grande partecipazione la visita di Benedetto XVI, cresce l'attesa in Israele dove il Papa arriverà nella mattinata di lunedì prossimo. Uno dei momenti più significativi del viaggio apostolico in Terra Santa sarà la Messa nella valle di Josafat a Gerusalemme su cui si sofferma, in questo servizio, il nostro inviato Roberto Piermarini:

La Messa nella valle di Josafat martedì prossimo, in un luogo carico di significati biblici e cristiani, sarà certamente uno dei momenti più suggestivi del pellegrinaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. E sarà anche la prima volta che un Papa celebrerà una Messa in uno spazio aperto nella Città Santa in quanto sia Paolo VI nel ’64 che Giovanni Paolo II nel 2000 avevano presieduto la solenne concelebrazione all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. C’e’ molta attesa nella comunità cristiana di Gerusalemme che vuole stringersi intorno al Papa, anche se ci sono timori che le imponenti misure di sicurezza israeliane possano costringere molti fedeli a rimanere nelle proprie case. Questo evento rimarrà certamente scolpito nella memoria di questo viaggio per via dello scenario mozzafiato che si presenterà ai seimila fedeli previsti per la celebrazione. Sullo sfondo infatti appaiono la sagoma dorata della Cupola musulmana della Roccia, le pietre bianche delle tombe del cimitero ebraico e quello cristiano, lo splendore della Basilica cristiana del Getsemani da un lato e le imponenti mura di Gerusalemme dall’altro. Il palco è stato posto in quel tratto della valle del Cedron stretto tra il Monte del Tempio ed il Monte degli Ulivi che – secondo la tradizione – è la valle di Josafat, cioè il posto – come afferma il profeta Gioele – dove alla fine dei tempi Dio “riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”. Per questo la valle del Cedron - che scende dal deserto di Giuda in quella che politicamente oggi è Gerusalemme Est – si ricorda per i grandi cimiteri: quello ebraico con le tombe bianche senza fiori ma solo pietre come è nella tradizione giudaica; quello musulmano e quello cristiano con le lapidi con incise delle croci rosse, che si confondono tra gli ulivi della valle. E’ qui che vogliono farsi seppellire gli abitanti di Gerusalemme perchè è qui che sarà il luogo del giudizio finale. Ma questa valle è molto cara ai cristiani perchè è qui che Gesù è passato la notte della Passione: prima di andare al Cenacolo per l’Ultima Cena e al Getsemani dove ha pregato il Padre prima di essere tradito, catturato e crocifisso. La Messa di Benedetto XVI al Cedron, sarà quindi il momento del pellegrinaggio in cui il Papa farà memoria della Passione del Signore. “Dio riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”, dice il profeta Gioele. Il Successore di Pietro riunirà al Cedron tutte le genti di Gerusalemme per annunciare loro il giudizio che in Cristo è la misericordia.

09/05/2009 16:06
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Il Papa: civiltà occidentale e musulmana si alleino

«Ho un profondo rispetto per la comunità, la cultura islamica e la tradizione coranica»

FRANCA GIANSOLDATI

dal nostro inviato

AMMAN – Non veste i panni del crociato, ma quelli dell’umile pellegrino. Sotto il grande tendone bianco allestito dal re di Giordania per proteggerlo dal sole, l’ottantenne Papa Ratzinger, al suo primo viaggio mediorientale, lancia messaggi di pace e conciliazione all’Islam moderato.
Il messaggio che affida ai sovrani hashemiti è conciliante e guarda lontano. Sa che arriverà anche oltre questi confini. Bisogna favorire, dice «una alleanza di civiltà tra il mondo Occidentale e quello Musulmano» smentendo così «le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto». Agli scontri tra la croce e la mezzaluna, secondo la filosofia di Hungtingon, Benedetto XVI non ci ha mai creduto.
Nel 2005, poco dopo le bombe nella metropolitana di Londra, ripeteva convinto che «non si trattava tanto di uno scontro tra culture ma solo di azioni di fanatici».
L’impegno dei sovrani giordani a favorire il dialogo non gli sfugge. Il riferimento che inserisce nel discorso di benvenuto pronunciato all’aeroporto riguarda l’iniziativa del principe Hassan che due anni fa ha raccolto l’adesione di 138 saggi musulmani per strutturare rapporti e collaborazioni col mondo cristiano subito dopo la crisi provocata dal discorso di Ratisbona. «La mia visita mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità musulmana, e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da sua maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’Islam».
Gettare ponti per emarginare i fanatismi e per contribuire a un mondo migliore è l’obiettivo che anima Benedetto XVI. Già sull’aereo, mentre sorvolava il Mediterraneo diretto ad Amman, il suo pensiero contemplava gli sforzi in atto per far decollare il dialogo inter religioso tra le grandi religioni abramitiche. «Nonostante le diversità delle origini abbiamo radici comuni, perché il cristianesimo nasce dall’Antico Testamento e la scrittura del Nuovo Testamento senza l’Antico non esisterebbe. Anche l’Islam – ha detto ai giornalisti – è nato in un ambiente dove erano presenti dalle origini sia l’ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica, così che abbiamo insieme tanto nelle origini e nella fede l’unico Dio».
Proprio per questo argomento, è importante avere dialoghi con ebrei e musulmani ma anche avere un «dialogo trilaterale». Un elemento che definisce importantissimo specie in questo scorcio di secolo, così segnato dalle strumentalizzazioni religiose, dai fanatismi ciechi, dalle azioni suicide dei martiri islamici.
La prima tappa nella capitale giordana inizia con la visita a un centro cattolico che ospita degli invalidi, dei giovani disadattati e senza famiglia. Uno di loro gli dona il copricapo giordano, la tradizionale kefia bianca e rossa che il Papa indossa sorridendo. Le suore che gestiscono la struttura con infinito amore non guardano tanto al credo religioso di chi bussa alla porta; in ogni individuo bisognoso, spiegano, vedono riflesso il Cristo sofferente ed è proprio questo quotidiano esempio di carità che contribuisce a creare un buon clima di convivenza e armonia.
«La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga a essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente ma in ogni parte del mondo». In Giordania la minoranza cattolica gode di una certa tranquillità e può operare senza troppi problemi. Può persino costruire nuove chiese. Sarà il Papa a porre la prima pietra: sorgeranno sul luogo tradizionale del battesimo del Signore, a Betania oltre il Giordano, per volere del Re che intende dare un nuovo impulso al turismo religioso sfruttando le opportunità di una zona carica di storia e di fede. «Desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura».

© Copyright Il Messaggero, 9 maggio 2009


Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
09/05/2009 16:09
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Papa/ Principe giordano loda suo "coraggio" con messa in latino

"Dà voce e tiene fede alla propria coscienza"

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Il principe giordano Ghazi Bin Talal loda il "coraggio" del Papa a prendere decisioni controcorrente come la liberalizzazione della messa in latino.
L'esponente della casa regnante hashemita ha accolto il Papa davanti alla moschea al-Hussein Bin Talal di Amman.
Dopo aver ringraziato Benedetto XVI per il "chiarimento" fornito dal Vaticano sulla controversa 'lectio' di Ratisbona ed aver puntualizzato che la figura di Maometto è "completamente e interamente differente" dall'immagine che ne ha dato la storiografia occidentale, il principe ha sottolineato che il pontificato di Ratzinger è stato "marcato dal coraggio morale di dar voce e tener fede alla propria coscienza, indipendentemente dalla moda del giorno".
Più specificamente, Ghazi Bin Talal ha ricordato che Benedetto XVI ha scritto "storiche" encicliche papali sulla carità e la speranza, ha promosso il dialogo interreligioso ed "che ha liberalizzato la tradizionale messa in latino per coloro che la seguono".

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