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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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Regole
Iter veloci per lo stato laicale

Dal Papa giro di vite sui preti «concubini»

CITTÀ DEL VATICANO

«Il figlio di un prete ha il diritto di avere un padre che sia in una situazione corretta agli occhi di Dio e con la sua stessa coscienza».
Non capita spesso che un cardinale dica una cosa così. Ma il problema esiste. E il cardinale Claudio Hummes, prefetto per la Congregazione del clero, lo ha spiegato ieri al Catholic News Service, l’agenzia dei vescovi Usa. La novità è importante: Benedetto XVI ha concesso alla Congregazione — e ai vescovi — nuovi poteri per rendere «più rapido» il passaggio allo stato laicale dei sacerdoti che vivono con una donna, hanno abbandonato il loro ministero da più di cinque anni o sono stati coinvolti in «gravi scandali» (ma gli abusi sui minori non c’entrano e restano di competenza dell’ex Sant’Uffizio).
La lettera del cardinale è stata spedita a tutti i vescovi del mondo.
La questione non riguarda i sacerdoti che scoprono di volere una famiglia e chiedono al vescovo la dispensa dal celibato. Il problema sono quelli che non la chiedono.
«Se colui che lascia il suo ministero non è interessato a regolarizzare la situazione, il bene della Chiesa e il bene del prete che ha lasciato è che sia dispensato in modo da trovarsi in una situazione corretta, soprattutto se ha dei bambini». Hummes spiega che il codice di diritto canonico non dava strumenti efficaci: «Alcuni lasciano, si sposano con matrimonio civile, hanno figli» mentre i vescovi «non hanno modo di procedere». E i processi vaticani hanno tempi geologici.
Con le nuove regole, ferma restando l’inchiesta e il «diritto di difesa», il passaggio allo stato laicale diventa invece più facile. Specie quando ci sono di mezzo dei figli. «Aiutare queste persone è una delle ragioni per cui ci sono le nuove procedure. In questi casi, l’iniziativa parte dal vescovo».
Di là da casi noti come Milingo, anche di recente la Chiesa ha dovuto affrontare problemi simili.
A fine maggio il Papa ha accettato le dimissioni di Paulin Pomodino, arcivescovo di Bangui, nella Repubblica Centroafricana: un’indagine vaticana aveva rivelato che molti sacerdoti della diocesi avevano mogli e figli.
G. G. V.

© Copyright Corriere della sera, 4 giugno 2009


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Cardinal Cipriani: il relativismo dentro e fuori della Chiesa

Intervista all’Arcivescovo di Lima

di Carmen Elena Villa

CITTÀ DEL VATICANO, giovedì, 4 giugno 2009 (ZENIT.org).

Il Cardinale Juan Luis Cipriani, Arcivescovo di Lima, ha espresso grande preoccupazione per il grado di relativismo morale presente in America Latina, sia all’interno che all’esterno della Chiesa.
Intervistato da ZENIT, al termine della visita “ad limina apostolorum” dei Vescovi del Perù, il porporato ha raccontato la sua esperienza decennale di servizio episcopale nell’Arcidiocesi di Lima.

Come è andato l’incontro che i Vescovi del Perù hanno avuto il 18 maggio con il Papa Benedetto XVI?

Cardinale Juan Luis Cipriani: Abbiamo trovato il Papa, come sempre, pieno di gioia e con una grande pace interiore. Personalmente, ciò che mi ha colpito di più è come sia riuscito a confermarci nella bellezza del messaggio di Cristo.
Essere chiari nell’annunciare Cristo ha una bellezza e un entusiasmo che il Papa in questa sua giovinezza spirituale ci ha trasmesso. Ci ha accolto come un padre con uno spirito e un entusiasmo molto fresco, nonostante fosse appena tornato dal viaggio in Terra Santa.

Si sta per concludere l’Anno paolino e i Vescovi del Perù hanno avuto l’opportunità di celebrare l’Eucaristia nella Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma. Che cosa può insegnare al mondo di oggi l’Apostolo delle genti?

Cardinale Juan Luis Cipriani: San Paolo è un uomo la cui credibilità è proporzionale al suo martirio. San Paolo cresce fra i gentili eppure è una delle colonne della Chiesa.
Credo che oggi ciò che manca nella Chiesa sia il martirio della fede: avere l’audacia e il coraggio di vivere una fede che ci porti a quel morire ai capricci personali, alla superbia personale, alla sensualità. Dobbiamo arrivare a morire a quell’insieme del relativismo che vorrebbe che tutte le posizioni fossero uguali; dobbiamo vincerlo. Dobbiamo avere il coraggio di proporre Cristo vivo e, pertanto, di vivere quel rispetto e quella riverenza al Corpo di Cristo nell’Eucaristia, ricevendolo degnamente, abbandonando le posizioni tiepide e timorose che in molti settori della Chiesa stanno creando un enorme problema di tiepidezza, ovvero una sorta di religione “à la carte” a scelta del consumatore, o come una ONG impegnata nella tutela dell’ambiente.
Ci manca il sapore proprio di una Teresa di Calcutta, di un Josemaría Escrivà o, certamente, di un san Paolo. È la via del martirio, la via della contemplazione. Se lasciamo da parte la contemplazione, questa esperienza dell’incontro con Cristo, alla quale ci invita Benedetto XVI nella sua prima enciclica, per vedere realmente con gli occhi di Cristo, parlare con le sue parole, soffrire con le sue sofferenze, se lasciamo da parte il martirio e la contemplazione, rimaniamo senza resurrezione, allora la gioia di questa fede diventa il peso delle contraddizioni, la via del compromesso. Alla fine, il messaggio cristiano si dissolve in una mera chiamata alla buona volontà di alcuni.
Credo che Papa Benedetto XVI, così come Giovanni Paolo II, entrambi in modo diverso, stanno chiamando tutti – cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e certamente i laici – a non temere di lanciarsi verso questo martirio della croce: la croce di chi non ha paura ad affermare la verità, nel lavoro, nella politica, nell’economia; il martirio che implica che il sacerdote celebri la Messa rispettando le norme del Magistero, che i religiosi pieni di entusiasmo leggano una e mille volte la vita dei loro santi fondatori e non abbiano paura di donarsi senza limiti: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gàlati 2,20).
Per questo San Paolo ci porta ad una proposta di conversione che per me è una chiamata a cui si spera possiamo avere il coraggio di rispondere, perché di belle parole ne abbiamo avute abbastanza: abbiamo bisogno di santi, che camminando per le strade e guidando le proprie famiglie, e facendo i lavori più umili o essendo grandi economisti o politici, irradino una luce così forte, abbiano un sale così saporito, da farci tornare a vedere quella primavera di cui ci parlava Giovanni Paolo II, nella famiglia, nelle scuole. Non è un’utopia, è una possibilità, quella di raggiungere la santità. Se non prendiamo la decisione di essere santi, non capiremo mai il messaggio di San Paolo.

Come vede concretamente in America latina quel relativismo, quella tiepidezza di cui parla?

Cardinale Juan Luis Cipriani: Si parla tanto dei diritti umani..., ma poi ci confrontiamo con quei bambini denutriti, abbandonati dai genitori, che non hanno quella famiglia che dovrebbero avere, quella scuola che emana il calore, il rispetto e la testimonianza degli insegnanti. Questo rappresenta una enorme violazione dei diritti umani di quei giovani e di quei bambini. La legislazione dovrebbe tutelare quei bambini, appoggiando le famiglie numerose, dando possibilità di accesso alle madri di famiglia quando hanno altri figli, aiutando a ridurre quel dilagante fenomeno dei figli naturali.
Un altro modo molto concreto sono i seminari. Nei seminari penso che si stanno facendo progressi interessanti, ma bisogna continuare ad impegnarsi perché questi giovani, che si stanno preparando per essere alter Christus, possano avere il sapore che ha un buon momento di preghiera davanti al Santissimo, che hanno le ore di studio ben programmate, che ha quell’autodisciplina che consente di distinguere ciò che è pornografia nella televisione, in Internet, nelle e-mail, e così poter essere persone mature, che si mettono al servizio degli altri, avendo avuto quella libertà e quella esperienza di contemplazione e di studio serio. Bisogna promuovere in loro una personalità umana matura, che non era nascosta, ma che ha maturato per potersi dare agli altri, e in questo modo poter andare per le strade senza quella superficialità di una mancanza di maturità affettiva che poi genera problemi.
In qualsiasi ambito potremmo parlare di politica. La politica deve essere più coerente con la verità. Questa crisi finanziaria internazionale, come abbiamo visto, deriva principalmente da una sfiducia dovuta alla mancanza di etica e di morale, e agli abusi. Manca quel rispetto delle norme giuridiche, politiche; non abusare della posizione che uno ricopre. Evidentemente tutte queste strutture che cercano di unire di più sarebbero utili, ma che dire delle Nazioni Unite, una struttura puramente economica, vuota di contenuti etici e morali? E di tutte quelle organizzazioni internazionali che, focalizzando unicamente su questioni puramente esteriori, non cercano di creare un clima di maggiore formazione morale, spirituale, etica? La tiepidezza ha invaso il sistema mondiale e questa tiepidezza genera spiriti indecisi, molte volte disonesti. In questo modo, hanno successo gli operatori dell’inganno e della menzogna, i potenti della corruzione. Può essere forte quello che dico, ma non credo che il vuoto in cui viviamo abbia un rimedio facile. Credo che bisognerebbe assumere medicine più efficaci.

In che modo i problemi che lei ha citato toccano la realtà ecclesiale dell’America latina?

Cardinale Juan Luis Cipriani: Io penso che c’è qualcosa di molto profondo dell’essere umano: il voler apparire, la vanità. Quando il responsabile, che sia sacerdote o vescovo, anziché essere un servitore, un tappeto che possa essere calpestato da suoi fratelli, l’ultimo dei suoi servitori..., pensa che la carica che ricopre gli conferisca benefici, comodità e potere, allora purtroppo questa scuola di vanità, di superficialità produce un percorso che non funziona. Molte volte vediamo che chi sta ai vertici di un’istituzione o che ha responsabilità, più che servire gli altri si serve degli altri. Penso che molte volte queste azioni abbiano un’etichetta di aiuto al prossimo, sotto la quale tuttavia si nasconde un contenuto ideologico-politico, come in qualsiasi altro gruppo.
I sacerdoti non possono servirsi della Chiesa per costruire uno scenario e poi trattarla male, con un’ipocrisia e un cinismo che veramente è ogni giorno più sconcertante. Questo si aggiusta con un pochino più di autorità e di rispetto delle norme stabilite.
Molti diranno che questo suona ad “autoritarismo medievale”, ma non possiamo lasciarci intimorire da simili critiche maliziose. Ogni essere umano ha bisogno di una guida e di un esempio. In ogni istituzione esistono norme e colui che non vi si attiene esce dall’istituzione.
Credo che manca, a molti livelli della Chiesa, una maggiore autorità e una maggiore obbedienza.
E credo che questo non sia né medievale, né moderno, né postmoderno. Così fu sin da Adamo ed Eva, e così sarà fino alla fine dei secoli.

© Copyright Zenit


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Ecco la lettera inedita di B-XVI a Shimon Peres

Dopo il viaggio in Terra Santa il Papa ha inviato al presidente israeliano una missiva privata. Il Foglio svela in esclusiva il contenuto

Undici giorni dopo la sua storica visita nella Terra Santa, Benedetto XVI ha scritto al presidente di Israele, Shimon Peres, una lettera personale di ringraziamento, ribadendo ancora una volta la posizione dalla Santa Sede su temi come l’antisemitismo, il ricordo della Shoah, la pace fra israeliani e palestinesi, e i rapporti bilaterali fra lo stato ebraico e la Santa Sede. Non è una lettera che corrisponde al protocollo. Non è consuetudine del Papa inviarne ai capi di stato dopo ogni visita che lo porta fuori dalle mura vaticane. La lettera serve a rafforzare le posizioni della Santa Sede e a confermare in maniera “inequivocabile” il pensiero e lo spirito del Papa rispetto al popolo ebraico e allo stato d’Israele. In esclusiva il testo integrale della lettera.

A sua Eccellenza Shimon Peres, presidente di Israele

Scrivo per ringraziare sua Eccellenza per il calore della sua accoglienza e la cordiale ospitalità che mi ha offerto in occasione della mia recente visita nello stato di Israele. Sono sommamente grato per i suoi numerosi doni e per le espressioni di amicizia, e apprezzo molto l’immenso lavoro svolto per organizzare la visita e facilitare i vari incontri che hanno avuto luogo in quei cinque giorni.
Abbiamo parlato in particolare dell’amicizia fra cristiani ed ebrei, un’amicizia che si è rinnovata e rafforzata nel corso della mia visita attraverso i molti incontri cordiali che hanno avuto luogo con i leader religiosi e altri. In questo contesto rinnovo a lei le mie assicurazioni di solidarietà dei cattolici nei confronti del popolo ebraico contro ogni antisemitismo, ideologia che la chiesa rifiuta fermamente e in modo inequivocabile. Questa solidarietà si estende al profondo orrore che tutti noi sperimentiamo in connessione allo sterminio di sei milioni di ebrei da parte del regime nazista. (segue dalla prima pagina) E’ stato profondamente commovente incontrare i sopravvissuti della Shoah, e insieme a loro onorare coloro che sono morti. Come le ho detto in occasione della mia partenza da Israele, la memoria di quello sconvolgente crimine contro l’umanità deve rafforzare la nostra determinazione nel costruire i ponti di un’amicizia salda e duratura, e per affermare che nessun popolo dovrebbe soffrire di nuovo ciò che gli ebrei hanno sofferto.
Presidente, lei mi ha parlato della pace che il suo stato ha raggiunto con l’Egitto e la Giordania, e dei vostri continui sforzi per costruire una pace stabile nella regione nel prossimo futuro. Come lei sa, la Santa Sede sostiene fermamente questi sforzi ed è ansiosa di vedere una rapida soluzione all’antico conflitto fra israeliani e palestinesi, una soluzione che garantisca la sicurezza e la dignità per entrambi i popoli, in modo da porre fine alla lotta e allo spargimento di sangue che hanno afflitto la regione così a lungo. La Santa Sede confida di concludere l’attuale tappa dei negoziati bilaterali con lo stato di Israele, descritta nel Fundamental Agreement, in modo che gli aspetti principali delle nostre relazioni possano essere costruiti su fondamenta salde e sicure, e questo comporti sicurezza per la chiesa in Israele, e quindi per relazioni bilaterali serene e amichevoli con la Santa Sede e con la chiesa cattolica in tutto il mondo.
Non mi rimane che rivolgere i miei migliori auguri a sua Eccellenza, a tutti i membri del governo e a tutti i popoli di Terra Santa. Possa l’Onnipotente concedere abbondanti benedizioni di pace e prosperità su tutti voi.

Dal Vaticano, 26 maggio 2009
Benedetto XVI

© Copyright Il Foglio, 8 luglio 2009


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