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I libri che parlano di lui...

Ultimo Aggiornamento: 13/04/2014 13:33
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«Colpito perché dice cose scomode»

di Andrea Tornielli | 02 setembre 2010

Valli sottolinea bene l'ostilità alle parole su relativismo morale e ingiustizia sociale. Ma per noi c'è anche una «questione Curia» da non sottovalutare

La verità del Papa (Lindau, pp. 184, 14 euro) è un bel libro del vaticanista del Tg1 Aldo Maria Valli che rivela nel sottotitolo - «Perché lo attaccano, perché va ascoltato» - il suo obiettivo: presentare il cuore del messaggio di Benedetto XVI, mettendo in luce come questo sia osteggiato da chi non perdona al Papa di dire ciò che dice. Valli mostra di condividere l’analisi di George Weigel e non crede all’esistenza di un complotto organizzato con un’unica regia, ma ritiene che gli scandali sollevati dagli abusi sessuali commessi da preti e religiosi sia stato strumentalizzato «al fine di realizzare una delle più imponenti operazioni anticattoliche mai condotte, con l’obiettivo di screditare non solo la Chiesa ma anche e soprattutto l’attuale Papa, Benedetto XVI».

All’origine dell’attacco contro Ratzinger, spiega il vaticanista del Tg1, c’è una «battaglia» intrapresa da Benedetto «contro il relativismo, che è entrato anche nella Chiesa e che rende gli uomini incapaci di riconoscere il bene e il male, il bello e il brutto, ciò che è buono e doveroso da ciò che è cattivo e da evitare. E nasce qui la sua proposta fatta alla cultura contemporanea, anche a quella di ispirazione atea, di ancorarsi a un principio condiviso di verità nel quale riconoscersi in quanto uomini. Altra sfida tremenda, ma portata avanti con assoluta serenità e coerenza». L’«aggressione», spiega Valli, è determinata dalla «volontà di colpire» il Papa per due motivi: «Perché dice che una verità esiste e perché fa appello alla giustizia sociale. Il primo è un fronte filosofico, il secondo è economico-sociale. Ma entrambi concorrono a fare del pontefice un punto di riferimento che ostacola le manovre di chi invece campa sul relativismo morale e sull’ingiustizia sociale. Di qui gli attacchi nei suoi confronti».

Il libro, che non è un excursus attraverso i singoli attacchi ma cerca piuttosto di offrirne una chiave di lettura unitaria legata al messaggio scomodo del Pontefice, contiene pagine illuminanti, come quella dedicata alle critiche rivolte dall’arcivescovo di New York Timothy Dolan al «New York Times», accusato dal prelato di usare due pesi e due misure: attacco frontale e diretto al Papa e alla Chiesa cattolica per il modo in cui sono stati trattati i casi di pedofilia del clero, con richiesta di pressante di pulizia e trasparenza, massima cautela, invece, quando sotto accusa per lo stesso crimine era stato un rabbino. «Le parole di Dolan – scrive Valli – sono state aspramente condannate, anche in Italia, come sintomo di antisemitismo strisciante, ma nessuno si è premurato di verificare in che cosa consista il riferimento al “rabbino newyorkese”. La vicenda – continua il vaticanista – è sconvolgente. Tutto nasce dalla denuncia fatta da sei uomini, ora adulti, nei confronti del rabbino Yehuda Kolko, docente alla Yeshiva Torah Temimah di Brooklyn, accusato di aver abusato di loro quando erano bambini. Il fatto singolare è che i sei si sono rivolti a un avvocato,
Michael Dowd, divenuto famoso per aver intentato cause per miliardi di dollari contro la Chiesa cattolica come legale delle vittime di abusi commessi da sacerdoti. Proprio i successi di Dowd – si legge ancora nel libro di Valli – hanno convinto i sei a rompere gli indugi, ma nel caso in questione all’avvocato è andata male, perché il rabbino, ben protetto dalla comunità, si è licenziato dalla scuola e ha patteggiato evitando risarcimenti onerosi. Dowd in ogni caso ha deciso di non mollare la presa. Secondo lui gli abusi sessuali sono avvenuti e avvengono non solo nelle scuole rabbiniche, ma anche nelle case degli ebrei ortodossi, coinvolgendo figli e figlie. Come fonte, Dowd cita Dov Hikind, che nel corso di una trasmissione dell’emittente radiofonica WMCA avrebbe ricevuto in pochi minuti centinaia di telefonate da parte di vittime di abusi avvenuti in scuole e case. Dowd ha chiesto di rendere noti i nomi dei responsabili degli abusi, ma Hikind ha risposto: “Piuttosto che parlare mi faccio dieci anni di galera”. Negli ambienti dell’ebraismo ortodosso denunciare certi fatti ai non ebrei è considerata la più alta forma di tradimento. È proprio questo vaso che l’arcivescovo Dolan ha chiesto di scoperchiare».

Pagine di cronaca molto interessanti per comprendere come funzioni un certo circuito mediatico, anche se, proprio su questo, Benedetto XVI, al contrario di molti suoi collaboratori, non ha mai difeso se stesso o la Chiesa cattolica nascondendosi dietro le statistiche e invitando a guardare le colpe altrui, come se un mal comune fosse un mezzo gaudio e il fatto che le depravazioni interessassero ampiamente altri gruppi professionali o religiosi potesse rappresentare un’attenuante per i preti macchiatisi di questi gravi delitti. Valli ricorda, a questo proposito, come Ratzinger, proprio nel giorno della manifestazione di sostegno al Papa organizzata dal laicato cattolico in piazza San Pietro, abbia detto: «Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo, dice il Signore, ma non siamo del mondo, anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio».

Mi permetto di fare solo un piccolo appunto al libro di Aldo Maria. Valli scrive che «nei mass media come nelle centrali finanziarie, nei governi come nei gruppi di pressione di vario tipo e ispirazione, il Papa, al di là di un rispetto formale, è visto spesso come un fastidioso bastone inserito fra le ruote della macchina impegnata a costruire il consenso e a formare coscienze. Tanto più è credibile, tanto più il capo della Chiesa cattolica va colpito. E se Benedetto XVI è tanto colpito è proprio perché è molto credibile e le sue parole hanno efficacia». Ma nelle pagine del suo volume non si mettono in evidenza eventuali inadempienze o sottovalutazioni della macchina di governo curiale chiamata a sostenere e aiutare il Papa come «cinghia di trasmissione» del suo messaggio. Sono convinto, ad esempio, che la lectio di Regensburg si sia trasformata in una possibilità di dialogo sincero con molti intellettuali islamici, ma se per quindici volte, dopo quel discorso, il Papa ha ripetuto che la citazione di Manuele II Paleologo non esprimeva il suo pensiero, forse sta a significare che ciò non era così chiaro ed evidente nel testo iniziale, pur essendo indubitabile la strumentalizzazione mediatica.


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