Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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Paparatzifan
00sabato 10 novembre 2012 22:19
Dal blog di Lella...

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA, 10.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Italiana Santa Cecilia e ha loro rivolto il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi accolgo, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Associazione Italiana Santa Cecilia, alla quale va anzitutto il mio plauso, con il saluto cordiale al Presidente, che ringrazio per le cortesi parole, e a tutti i collaboratori.
Con affetto saluto voi, appartenenti a numerose Scholae Cantorum di ogni parte d’Italia! Sono molto lieto di incontrarvi, e anche di sapere - come è stato ricordato - che domani parteciperete nella Basilica di San Pietro alla celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Arciprete Angelo Comastri, offrendo naturalmente il servizio della lode con il canto.
Questo vostro convegno si colloca intenzionalmente nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
E con piacere ho visto che l’Associazione Santa Cecilia ha inteso così riproporre alla vostra attenzione l’insegnamento della Costituzione conciliare sulla liturgia, in particolare là dove – nel capitolo sesto – tratta della musica sacra. In tale ricorrenza, come sapete bene, ho voluto per tutta la Chiesa uno speciale Anno della fede, al fine di promuovere l’approfondimento della fede in tutti i battezzati e il comune impegno per la nuova evangelizzazione. Perciò, incontrandovi, vorrei sottolineare brevemente come la musica sacra può, anzitutto, favorire la fede e, inoltre, cooperare alla nuova evangelizzazione.
Circa la fede, viene spontaneo pensare alla vicenda personale di Sant’Agostino - uno dei grandi Padri della Chiesa, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo - alla cui conversione contribuì certamente e in modo rilevante l’ascolto del canto dei salmi e degli inni, nelle liturgie presiedute da Sant’Ambrogio. Se infatti sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore – non c’è dubbio che la musica e soprattutto il canto può conferire alla recita dei salmi e dei cantici biblici maggiore forza comunicativa. Tra i carismi di Sant’Ambrogio vi era proprio quello di una spiccata sensibilità e capacità musicale, ed egli, una volta ordinato Vescovo di Milano, mise questo dono al servizio della fede e dell’evangelizzazione. La testimonianza di Agostino al riguardo è molto significativa. Nel decimo libro delle Confessioni egli scrive: «Quando mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica» (33, 50). L’esperienza degli inni ambrosiani fu talmente forte, che Agostino li portò impressi nella memoria e li citò spesso nelle sue opere; anzi, scrisse un’opera proprio sulla musica, il De Musica.
Egli afferma di non approvare, durante le liturgie cantate, la ricerca del mero piacere sensibile, ma riconosce che la musica e il canto ben fatti possono aiutare ad accogliere la Parola di Dio e a provare una salutare commozione.
Questa testimonianza di Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il fatto che la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegni che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (n. 112). Perché «necessaria ed integrante»? Non certo per motivi estetici, ma perché coopera a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra (cfr ibid.). Proprio per questo vorrei ringraziarvi per il prezioso servizio che prestate: la musica che eseguite non è un accessorio o un abbellimento della liturgia, ma è essa stessa liturgia. Voi aiutate l’intera Assemblea a lodare Dio, a far scendere nel profondo del cuore la sua Parola: con il canto voi pregate e fate pregare, e partecipate al canto e alla preghiera della liturgia che abbraccia l’intera creazione nel glorificare il Creatore.
Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra può avere e di fatto ha un compito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede. Pensiamo alla celebre esperienza di Paul Claudel, che si convertì ascoltando il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi: «In quel momento – egli scrive – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla». Ma, senza scomodare personaggi illustri, pensiamo a quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra; e ancora di più a quanti si sono sentiti nuovamente attirati verso Dio dalla bellezza della musica liturgica come Claudel. E qui, cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 116).
E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica liturgica. Voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche.
Cari amici, auguro che in Italia la musica liturgica tenda sempre più in alto, per lodare degnamente il Signore e per mostrare come la Chiesa sia il luogo in cui la bellezza è di casa. Grazie ancora a tutti per questo incontro!

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Paparatzifan
00domenica 11 novembre 2012 18:58
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 11.11.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

La Liturgia della Parola di questa domenica ci presenta come modelli di fede le figure di due vedove. Ce le presenta in parallelo: una nel Primo Libro dei Re (17,10-16), l’altra nel Vangelo di Marco (12,41-44). Entrambe queste donne sono molto povere, e proprio in tale loro condizione dimostrano una grande fede in Dio. La prima compare nel ciclo dei racconti sul profeta Elia. Costui, durante un tempo di carestia, riceve dal Signore l’ordine di recarsi nei pressi di Sidone, dunque fuori d’Israele, in territorio pagano. Là incontra questa vedova e le chiede dell’acqua da bere e un po’ di pane.
La donna replica che le resta solo un pugno di farina e un goccio d’olio, ma, poiché il profeta insiste e le promette che, se lo ascolterà, farina e olio non mancheranno, lo esaudisce e viene ricompensata. La seconda vedova, quella del Vangelo, viene notata da Gesù nel tempio di Gerusalemme, precisamente presso il tesoro, dove la gente metteva le offerte. Gesù vede che questa donna getta nel tesoro due monetine; allora chiama i discepoli e spiega che il suo obolo è maggiore di quello dei ricchi, perché, mentre questi danno del loro superfluo, la vedova ha offerto «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).
Da questi due episodi biblici, sapientemente accostati, si può ricavare un prezioso insegnamento sulla fede. Essa appare come l’atteggiamento interiore di chi fonda la propria vita su Dio, sulla sua Parola, e confida totalmente in Lui. Quella della vedova, nell’antichità, costituiva di per sé una condizione di grave bisogno. Per questo, nella Bibbia, le vedove e gli orfani sono persone di cui Dio si prende cura in modo speciale: hanno perso l’appoggio terreno, ma Dio rimane il loro Sposo, il loro Genitore. Tuttavia la Scrittura dice che la condizione oggettiva di bisogno, in questo caso il fatto di essere vedova, non è sufficiente: Dio chiede sempre la nostra libera adesione di fede, che si esprime nell’amore per Lui e per il prossimo. Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa. E infatti entrambe le nostre vedove di oggi dimostrano la loro fede compiendo un gesto di carità: l’una verso il profeta e l’altra facendo l’elemosina. Così attestano l’unità inscindibile tra fede e carità, come pure tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo – come ci ricordava il Vangelo di domenica scorsa. Il Papa San Leone Magno, di cui ieri abbiamo celebrato la memoria, così afferma: «Sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensì il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi. Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto» (Sermo de jejunio dec. mens., 90, 3).
La Vergine Maria è esempio perfetto di chi offre tutto se stesso confidando in Dio; con questa fede ella disse all’Angelo il suo «Eccomi» e accolse la volontà del Signore. Maria aiuti anche ciascuno di noi, in questo Anno della fede, a rafforzare la fiducia in Dio e nella sua Parola.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, a Spoleto, è stata proclamata Beata Maria Luisa Prosperi, vissuta nella prima metà del secolo XIX, monaca e abbadessa del monastero benedettino di Trevi. Insieme con tutta la Famiglia benedettina e la Comunità diocesana di Spoleto-Norcia, rendiamo lode al Signore per questa sua figlia, che ha voluto associare in modo singolare alla Passione di Cristo.

Si celebra oggi in Italia la «Giornata del Ringraziamento». Nel contesto dell’Anno della fede, il tema della Giornata – «Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra» (Sal 37,3) – richiama la necessità di uno stile di vita radicato nella fede, per riconoscere con animo grato la mano creatrice e provvidente di Dio che nutre i suoi figli. Un saluto e un augurio a tutti gli agricoltori!

Chers pèlerins francophones, Jésus nous invite à poser comme lui, un regard bon et juste sur les personnes et sur les événements. Souvent, nous nous laissons impressionner et conditionner par les apparences et les slogans qui dénaturent les choses. Cherchons à voir, au-delà de ce qui paraît, l’étincelle de bonté qui y est déposée, et qui pourra éclairer notre jugement. Alors notre relation avec Dieu et avec les autres sera plus vraie, et nos choix seront plus libres. L’humilité nous apprend que nous ne valons que ce que nous sommes devant Dieu ! Sur ce chemin que la Vierge Marie soit notre modèle ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present at this Angelus prayer. In today’s Gospel, the poor widow gives everything she possesses to the Temple. May her unconditional offering inspire us to rely on God alone, while attributing to everything else its due place and proper worth. Upon you and your families I invoke God’s abundant blessings!

Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im heutigen Sonntagsevangelium weist Jesus auf eine arme Witwe hin, die alles, was sie hat, für Gott hergibt. Der Herr lobt ihre Bereitschaft, sich ganz Gott anzuvertrauen. Sie weiß sich in Gott geborgen. Sie gibt Gott alles, weil sie alles von ihm erwarten darf. Der Herr selbst ist ihr Lebensunterhalt. Ihm geht es wirklich um den Menschen. Das ist die Gerechtigkeit Gottes, die so ganz anders ist als unser menschliches Berechnen. Bitten wir den Herrn, ihm mit Vertrauen stets auf dem Weg der Barmherzigkeit zu folgen. Euch und euern Familien wünsche ich trotz des schlechten Wetters einen schönen und gesegneten Sonntag.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española, en particular a los peregrinos de la Parroquia San José Obrero, de San Boi de Llobregat, y de la Asociación de Padres del Colegio El Prado, de Madrid. En la liturgia de este domingo, el gesto de dos viudas, la del Evangelio, al igual que la del Antiguo Testamento, nos lleva a reconocer el valor fundamental que tiene la entrega completa de la propia vida al Señor y al prójimo. Estas dos mujeres lo dan todo, se dan a sí mismas, y se ponen en las manos de Dios por el bien de los demás. Que estos elocuentes ejemplos de desprendimiento y confianza sin límites en la Providencia divina iluminen cada día nuestro seguimiento de Cristo. Muchas gracias.

Serdecznie pozdrawiam Polaków, a szczególnie grupę pielgrzymów z Bułgarii. Święto Niepodległości, które dzisiaj obchodzicie w Polsce, przypomina o wierze waszych Ojców, o historii, o mocy ducha minionych pokoleń. Na tym fundamencie budujcie pomyślność waszej Ojczyzny. Dzisiaj również wspieram wasze modlitwy, jakie z inicjatywy Dzieła Pomoc Kościołowi w Potrzebie zanosicie za chrześcijan w Egipcie, w ramach Dnia Solidarności z Kościołem Prześladowanym. Wszystkim wam z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi e in modo particolare il gruppo di pellegrini provenienti dalla Bulgaria. La Festa dell’Indipendenza che oggi si celebra in Polonia ricorda la fede dei vostri Padri, la storia, la forza dello spirito delle recenti generazioni. Su questo fondamento edificate la prosperità della vostra Patria. Oggi inoltre sostengo le vostre preghiere che – per iniziativa dell’Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre – offrite per i cristiani in Egitto, in occasione della Giornata della solidarietà con la Chiesa perseguitata. Tutti vi benedico di cuore.]

Sono lieto di salutare i partecipanti al convegno sul Padre Teilhard de Chardin, tenutosi in questi giorni alla «Gregoriana».

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i gruppi parrocchiali venuti da Alice Bel Colle e Ricaldone (Diocesi di Acqui Terme), da Palermo, Caccamo e Randazzo, e da San Luca Evangelista in Roma. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per l’attenzione. Buona domenica.

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Paparatzifan
00lunedì 12 novembre 2012 21:59
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VISITA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CASA-FAMIGLIA "VIVA GLI ANZIANI" DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO, 12.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita alla Casa-Famiglia "Viva gli Anziani" della Comunità di Sant’Egidio, al Gianicolo, in occasione dell’Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni.
Al Suo arrivo, il Papa, dopo una breve visita alla struttura residenziale, si reca nel giardino della Casa-Famiglia dove incontra gli ospiti auto-sufficienti, i volontari e i membri della Comunità di Sant’Egidio. Quindi pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e care sorelle,

sono davvero lieto di essere con voi in questa casa-famiglia della Comunità di Sant'Egidio dedicata agli anziani. Ringrazio il vostro Presidente, prof. Marco Impagliazzo, per le calorose parole che mi ha rivolto. Con lui, saluto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità. Ringrazio della loro presenza il Vescovo ausiliare del Centro storico, Mons. Matteo Zuppi, il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia Mons. Vincenzo Paglia, e tutti gli amici della Comunità di Sant'Egidio.
Vengo tra di voi come Vescovo di Roma, ma anche come anziano in visita ai suoi coetanei. Conosco bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età, e so che queste difficoltà, per molti, sono aggravate dalla crisi economica.
Talvolta, a una certa età, capita di volgersi al passato, rimpiangendo quando si era giovani, si godeva di energie fresche, si facevano progetti per il futuro. Così lo sguardo, a volte, si vela di tristezza, considerando questa fase della vita come il tempo del tramonto.
Questa mattina, rivolgendomi idealmente a tutti gli anziani, pur nella consapevolezza delle difficoltà che la nostra età comporta, vorrei dirvi con profonda convinzione: è bello essere anziani! In ogni età bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene. Non bisogna mai farsi imprigionare dalla tristezza! Abbiamo ricevuto il dono di una vita lunga. Vivere è bello anche alla nostra età, nonostante qualche "acciacco" e qualche limitazione. Nel nostro volto ci sia sempre la gioia di sentirci amati da Dio, mai la tristezza.
Nella Bibbia, la longevità è considerata una benedizione di Dio; oggi questa benedizione si è diffusa e deve essere vista come un dono da apprezzare e valorizzare. Eppure spesso la società, dominata dalla logica dell'efficienza e del profitto, non lo accoglie come tale; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili. Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case. La sapienza di vita di cui sono portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune. Chi fa spazio agli anziani fa spazio alla vita! Chi accoglie gli anziani accoglie la vita!
La Comunità di Sant'Egidio, fin dal suo inizio, ha sorretto il cammino di tanti anziani, aiutandoli a restare nei loro ambienti di vita, aprendo varie case-famiglia a Roma e nel mondo. Mediante la solidarietà tra giovani e anziani, ha aiutato a far comprendere come la Chiesa sia effettivamente famiglia di tutte le generazioni, in cui ognuno deve sentirsi "a casa" e dove non regna la logica del profitto o dell’avere, ma quella della gratuità e dell’amore. Quando la vita diventa fragile, negli anni della vecchiaia, non perde mai il suo valore e la sua dignità: ognuno di noi, in qualunque tappa dell’esistenza, è voluto, amato da Dio, ognuno è importante e necessario (cfr Omelia per l’inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005).
L'odierna visita si colloca nell'anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni. E proprio in questo contesto desidero ribadire che gli anziani sono un valore per la società, soprattutto per i giovani. Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita.
Cari amici, alla nostra età facciamo spesso l'esperienza del bisogno dell'aiuto degli altri; e questo avviene anche per il Papa. Nel Vangelo leggiamo che Gesù disse all'apostolo Pietro: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti poterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18). Il Signore si riferiva al modo in cui l'Apostolo avrebbe testimoniato la sua fede fino al martirio, ma questa frase ci fa riflettere sul fatto che il bisogno di aiuto è una condizione dell’anziano. Vorrei invitarvi a vedere anche in questo un dono del Signore, perché è una grazia essere sostenuti e accompagnati, sentire l’affetto degli altri! Questo è importante in ogni fase della vita: nessuno può vivere solo e senza aiuto; l’essere umano è relazionale. E in questa casa vedo, con piacere, che quanti aiutano e quanto sono aiutati formano un'unica famiglia, che ha come linfa vitale l’amore.
Cari sorelle e fratelli anziani, talvolta le giornate sembrano lunghe e vuote, con difficoltà, pochi impegni e incontri; non scoraggiatevi mai: voi siete una ricchezza per la società, anche nella sofferenza e nella malattia. E questa fase della vita è un dono anche per approfondire il rapporto con Dio.
L’esempio del Beato Giovanni Paolo II è stato ed è tuttora illuminante per tutti. Non dimenticate che tra le risorse preziose che avete c’è quella essenziale della preghiera: diventate intercessori presso Dio, pregando con fede e con costanza.
Pregate per la Chiesa, anche per me, per i bisogni del mondo, per i poveri, perché nel mondo non ci sia più violenza. La preghiera degli anziani può proteggere il mondo, aiutandolo forse in modo più incisivo che l'affannarsi di tanti. Vorrei affidare oggi alla vostra preghiera il bene della Chiesa e la pace del mondo. Il Papa vi ama e conta su tutti voi! Sentitevi amati da Dio e sappiate portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista un raggio dell’amore di Dio. E Dio sarà sempre con voi e con quanti vi sostengono con il loro affetto e con il loro aiuto.
Vi affido tutti alla materna intercessione della Vergine Maria, che accompagna sempre il nostro cammino con il suo amore materno, e volentieri imparto a ciascuno la mia Benedizione. Grazie a tutti!

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Paparatzifan
00mercoledì 14 novembre 2012 22:27
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 14.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.Nel discorso in lingua italiana il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. Le vie che portano alla conoscenza di Dio

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso abbiamo riflettuto sul desiderio di Dio che l’essere umano porta nel profondo di se stesso. Oggi vorrei continuare ad approfondire questo aspetto meditando brevemente con voi su alcune vie per arrivare alla conoscenza di Dio.
Vorrei ricordare, però, che l’iniziativa di Dio precede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede.
Tuttavia ci sono delle vie che possono aprire il cuore dell’uomo alla conoscenza di Dio, ci sono dei segni che conducono verso Dio. Certo, spesso rischiamo di essere abbagliati dai luccichii della mondanità, che ci rendono meno capaci di percorrere tali vie o di leggere tali segni. Dio, però, non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama. E’ questa una certezza che ci deve accompagnare ogni giorno, anche se certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo. Questa, però, è la nostra missione, è la missione della Chiesa e ogni credente deve viverla gioiosamente, sentendola come propria, attraverso un’esistenza animata veramente dalla fede, segnata dalla carità, dal servizio a Dio e agli altri, e capace di irradiare speranza. Questa missione splende soprattutto nella santità a cui tutti siamo chiamati.
Oggi, lo sappiamo, non mancano le difficoltà e le prove per la fede, spesso poco compresa, contestata, rifiutata. San Pietro diceva ai suoi cristiani: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori» (1 Pt 3,15).
Nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui ci si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede.
Il beato Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Fides et ratio, sottolineava come la fede sia messa alla prova anche nell’epoca contemporanea, attraversata da forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico (cfr nn. 46-47). Dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni.
Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo, considerato come misura e artefice della realtà, ma impoverito del suo essere creatura «a immagine e somiglianza di Dio». Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, «pratico», nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale e si vive «come se Dio non esistesse» (etsi Deus non daretur). Alla fine, però, questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e la questione di Dio.
In realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli. Le tentazioni che Gesù ha affrontato nel deserto prima della sua missione pubblica, rappresentano bene quali «idoli» affascinano l’uomo, quando non va oltre se stesso. Se Dio perde la centralità, l’uomo perde il suo giusto posto, non trova più la sua collocazione nel creato, nelle relazioni con gli altri. Non è tramontato ciò che la saggezza antica evoca con il mito di Prometeo: l’uomo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte.
Di fronte a questo quadro, la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, non cessa mai di affermare la verità sull’uomo e sul suo destino. Il Concilio Vaticano II afferma sinteticamente: «La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (Cost. Gaudium et spes, 19).
Quali risposte, allora è chiamata a dare la fede, con «dolcezza e rispetto», all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull'esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui?
Vorrei accennare ad alcune vie, che derivano sia dalla riflessione naturale, sia dalla stessa forza della fede. Le vorrei molto sinteticamente riassumere in tre parole: il mondo, l’uomo, la fede.
La prima: il mondo. Sant’Agostino, che nella sua vita ha cercato lungamente la Verità ed è stato afferrato dalla Verità, ha una bellissima e celebre pagina, in cui afferma: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134).
Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice. Albert Einstein disse che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005).
Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione.
La seconda parola: l’uomo.
Sempre sant’Agostino, poi, ha una celebre frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39, 72). Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere questa sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio» (n. 33).
La terza parola: la fede. Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro. La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo.
Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli al progetto di Dio che ci ha amati per primo, costituiscono una via privilegiata per quanti sono nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione. Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più trasparente la propria testimonianza di fede, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo.
Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù.
Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è l’avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.

Grazie.

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Paparatzifan
00giovedì 15 novembre 2012 19:52
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, 15.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle!

Sono lieto di incontrare tutti voi, Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in occasione della Plenaria. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, in particolare al Presidente, il Cardinale Kurt Koch - che ringrazio per le cortesi parole con le quali ha interpretato i comuni sentimenti - al Segretario ed ai Collaboratori del Dicastero, con l’apprezzamento per il loro lavoro al servizio di una causa così decisiva per la vita della Chiesa.
Quest’anno la vostra Plenaria focalizza l’attenzione sul tema: «L’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione». Con tale scelta vi ponete opportunamente in continuità con quanto è stato preso in esame durante la recente Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, e, in un certo senso, intendete dare una forma concreta, secondo la particolare prospettiva del Dicastero, a quanto è emerso in quell’Assise. Inoltre, la riflessione che state conducendo si inserisce molto bene nel contesto dell’Anno della fede che ho voluto come momento propizio per riproporre a tutti il dono della fede in Cristo risorto, nell’anno in cui celebriamo il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. Come è noto, i Padri conciliari hanno inteso sottolineare lo strettissimo legame che esiste tra il compito dell’evangelizzazione e il superamento delle divisioni esistenti tra i cristiani. «Tale divisione - si afferma all’inizio del Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio - contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo a ogni creatura» (n. 1).
L’affermazione del Decreto conciliare riecheggia la “preghiera sacerdotale” di Gesù, quando, rivolgendosi al Padre, Egli chiede che i suoi discepoli «siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). In questa grande preghiera ben quattro volte invoca l’unità per i discepoli di allora e per quelli del futuro, e due volte indica come scopo di tale unità che il mondo creda, che Lo «riconosca» come mandato dal Padre. C’è dunque uno stretto legame tra la sorte dell’evangelizzazione e la testimonianza dell’unità tra i cristiani.
Un autentico cammino ecumenico non può essere perseguito ignorando la crisi di fede che stanno attraversando vaste regioni del pianeta, tra cui quelle che per prime accolsero l’annuncio del Vangelo e dove la vita cristiana è stata per secoli fiorente. D’altra parte, non possono essere ignorati i numerosi segni che attestano il permanere di un bisogno di spiritualità, che si manifesta in diversi modi.
La povertà spirituale di molti dei nostri contemporanei, che non percepiscono più come privazione l’assenza di Dio dalla loro vita, rappresenta una sfida per tutti i cristiani. In questo contesto, a noi credenti in Cristo viene chiesto di ritornare all’essenziale, al cuore della nostra fede, per rendere insieme testimonianza al mondo del Dio vivente, cioè di un Dio che ci conosce e che ci ama, nel cui sguardo viviamo; di un Dio che aspetta la risposta del nostro amore nella vita di ogni giorno.
E’ dunque motivo di speranza l’impegno di Chiese e Comunità ecclesiali per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo. Dare infatti testimonianza del Dio vivente, che si è fatto vicino in Cristo, è l’imperativo più urgente per tutti i cristiani, ed è anche un imperativo che ci unisce, malgrado l’incompleta comunione ecclesiale che tutt’ora sperimentiamo. Non dobbiamo dimenticare ciò che ci unisce, cioè la fede in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica. Questa è la fede del Battesimo che abbiamo ricevuto ed è la fede che, nella speranza e nella carità, possiamo insieme professare. Alla luce della priorità della fede si comprende anche l’importanza dei dialoghi teologici e delle conversazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali in cui la Chiesa cattolica è impegnata. Anche quando non si intravede, in un immediato futuro, la possibilità del ristabilimento della piena comunione, essi permettono di cogliere, insieme a resistenze e ostacoli, anche ricchezze di esperienze, di vita spirituale e di riflessioni teologiche, che diventano stimolo per una sempre più profonda testimonianza.
Non dobbiamo, però dimenticare che la meta dell’ecumenismo è l’unità visibile tra i cristiani divisi. Questa unità non è un’opera che possiamo semplicemente realizzare noi uomini.
Noi dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, ma dobbiamo anche riconoscere che, in ultima analisi, questa unità è dono di Dio, può venire solamente dal Padre mediante il Figlio, perché la Chiesa è la sua Chiesa. In questa prospettiva, appare l’importanza di invocare l’unità visibile dal Signore, ma emerge anche come la ricerca di tale meta sia rilevante per la nuova evangelizzazione. Il fatto di camminare insieme verso questo traguardo è una realtà positiva, a condizione, però, che le Chiese e Comunità ecclesiali non si fermino lungo la strada, accettando le diversità contraddittorie come qualcosa di normale o come il meglio che si possa ottenere. E’ invece nella piena comunione nella fede, nei sacramenti e nel ministero, che si renderà evidente in modo concreto la forza presente ed operante di Dio nel mondo. Attraverso l’unità visibile dei discepoli di Gesù, unità umanamente inspiegabile, si renderà riconoscibile l’agire di Dio che supera la tendenza del mondo alla disgregazione.
Cari amici, voglio augurare che l’Anno della fede contribuisca anche al progresso del cammino ecumenico. L’unità è, da un lato, frutto della fede e, dall’altro, un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Il vero ecumenismo, riconoscendo il primato dell’azione divina, esige innanzitutto pazienza, umiltà, abbandono alla volontà del Signore. Alla fine, ecumenismo e nuova evangelizzazione richiedono entrambi il dinamismo della conversione, inteso come sincera volontà di seguire Cristo e di aderire pienamente alla volontà del Padre. Ringraziandovi ancora una volta, invoco volentieri su tutti la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 17 novembre 2012 22:10
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA XXVII CONFERENZA INTERNAZIONALE ORGANIZZATA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) (15-17 NOVEMBRE 2012), 17.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla XXVII Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) sul tema: "L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale" (15-17 novembre 2012).
Sono presenti all’Udienza anche i partecipanti al XXV Congresso congiunto dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani e della Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche che, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno riflettuto sul tema "Bioetica ed Europa cristiana"; membri dell’UNITALSI e di altre associazioni, studenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie.
Dopo l’indirizzo di omaggio di S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Vi do il mio caloroso benvenuto! Ringrazio il Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Mons. Zygmunt Zimowski, per le cortesi parole; saluto gli illustri relatori e tutti i presenti. Il tema della vostra Conferenza - «L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale» - mi offre l’occasione di estendere il mio saluto a tutti gli operatori sanitari, in particolare ai membri dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani e della Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche, che, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno riflettuto sul tema «Bioetica ed Europa cristiana». Saluto inoltre i malati presenti, i loro familiari, i cappellani e i volontari, i membri delle associazioni, in particolare dell’UNITALSI, gli studenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie.
La Chiesa si rivolge sempre con lo stesso spirito di fraterna condivisione a quanti vivono l’esperienza del dolore, animata dallo Spirito di Colui che, con la potenza dell’amore, ha ridato senso e dignità al mistero della sofferenza. A queste persone il Concilio Vaticano II ha detto: non siete «né abbandonati, né inutili», perché, uniti alla Croce di Cristo, contribuite alla sua opera salvifica (cfr Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti, 8 dicembre 1965). E con gli stessi accenti di speranza, la Chiesa interpella anche i professionisti e i volontari della sanità. La vostra è una singolare vocazione, che necessita di studio, di sensibilità e di esperienza. Tuttavia, a chi sceglie di lavorare nel mondo della sofferenza vivendo la propria attività come una «missione umana e spirituale» è richiesta una competenza ulteriore, che va al di là dei titoli accademici. Si tratta della «scienza cristiana della sofferenza», indicata esplicitamente dal Concilio come «la sola verità capace di rispondere al mistero della sofferenza» e di arrecare a chi è nella malattia «un sollievo senza illusioni»: «Non è in nostro potere – dice il Concilio – procurarvi la salute corporale, né la diminuzione dei vostri dolori fisici... Abbiamo però qualche cosa di più prezioso e di più profondo da darvi... Il Cristo non ha soppresso la sofferenza; non ha neppure voluto svelarcene interamente il mistero: l’ha presa su di sé, e questo basta perché ne comprendiamo tutto il valore» (ibid.). Di questa «scienza cristiana della sofferenza» siate degli esperti qualificati! Il vostro essere cattolici, senza timore, vi dà una maggiore responsabilità nell’ambito della società e della Chiesa: si tratta di una vera vocazione, come recentemente testimoniato da figure esemplari quali San Giuseppe Moscati, San Riccardo Pampuri, Santa Gianna Beretta Molla, Santa Anna Schäffer e il Servo di Dio Jérôme Lejeune.
È questo un impegno di nuova evangelizzazione anche in tempi di crisi economica che sottrae risorse alla tutela della salute. Proprio in tale contesto, ospedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice «merce» sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi. Non può essere mai dimenticata l’attenzione particolare dovuta alla dignità della persona sofferente, applicando anche nell’ambito delle politiche sanitarie il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà (cfr Enc. Caritas in veritate, 58). Oggi, se da un lato, a motivo dei progressi nel campo tecnico-scientifico, aumenta la capacità di guarire fisicamente chi è malato, dall’altro appare indebolirsi la capacità di «prendersi cura» della persona sofferente, considerata nella sua integralità e unicità. Sembrano quindi offuscarsi gli orizzonti etici della scienza medica, che rischia di dimenticare come la sua vocazione sia servire ogni uomo e tutto l’uomo, nelle diverse fasi della sua esistenza. E’ auspicabile che il linguaggio della «scienza cristiana della sofferenza» - cui appartengono la compassione, la solidarietà, la condivisione, l’abnegazione, la gratuità, il dono di sé - diventi il lessico universale di quanti operano nel campo dell’assistenza sanitaria. È il linguaggio del Buon Samaritano della parabola evangelica, che può essere considerata - secondo il Beato Papa Giovanni Paolo II - «una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana» (Lett. ap. Salvifici doloris, 29). In questa prospettiva gli ospedali vanno considerati come luogo privilegiato di evangelizzazione, perché dove la Chiesa si fa «veicolo della presenza di Dio» diventa al tempo stesso «strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo» (Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, 9).
Solo avendo ben chiaro che al centro dell’attività medica e assistenziale c’è il benessere dell’uomo nella sua condizione più fragile e indifesa, dell’uomo alla ricerca di senso dinanzi al mistero insondabile del dolore, si può concepire l’ospedale come «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo» (Discorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, 3 maggio 2012).
Cari amici, questa assistenza sanante ed evangelizzatrice è il compito che sempre vi attende. Ora più che mai la nostra società ha bisogno di «buoni samaritani» dal cuore generoso e dalle braccia spalancate a tutti, nella consapevolezza che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente» (Enc. Spe salvi, 38).
Questo «andare oltre» l’approccio clinico vi apre alla dimensione della trascendenza, verso la quale un ruolo fondamentale è svolto dai cappellani e dagli assistenti religiosi. A loro compete in primo luogo di far trasparire nel variegato panorama sanitario, anche nel mistero della sofferenza, la gloria del Crocifisso Risorto.
Un’ultima parola desidero riservare a voi, cari malati. La vostra silenziosa testimonianza è un efficace segno e strumento di evangelizzazione per le persone che vi curano e per le vostre famiglie, nella certezza che «nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio» (Angelus, 1° febbraio 2009). Voi «siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo!» (Conc. Vat. II, Messaggio).
Mentre affido voi tutti alla Vergine Maria, Salus Infirmorum, perché guidi i vostri passi e vi renda sempre testimoni operosi e instancabili della scienza cristiana della sofferenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 17 novembre 2012 22:15
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE DEL CORTILE DEI GENTILI IN PORTOGALLO (GUIMARÃES E BRAGA, 16-17 NOVEMBRE 2012) , 16.11.2012

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti alla sessione del Cortile dei Gentili (Átrio dos Gentios) che ha luogo a Guimarães e a Braga (Portogallo), rispettivamente capitali europee della cultura e della gioventù per l’anno 2012, nei giorni 16 e 17 novembre 2012:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


Cari amici,

con viva gratitudine e con affetto, saluto tutti i partecipanti al «Cortile dei gentili», che s'inaugura in Portogallo il 16 e 17 novembre 2012 e che riunisce credenti e non credenti attorno all'aspirazione comune di affermare il valore della vita umana sulla crescente ondata della cultura della morte.
In realtà, la consapevolezza della sacralità della vita che ci è stata affidata, non come qualcosa di cui si possa disporre liberamente, ma come un dono da custodire fedelmente, appartiene all'eredità morale dell'umanità. «Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine» (Enciclica Evangelium vitae, n. 2). Non siamo un prodotto casuale dell'evoluzione, ma ognuno di noi è frutto di un pensiero di Dio: siamo amati da Lui.
Però, se la ragione può cogliere questo valore della vita, perché chiamare in causa Dio? Rispondo citando un'esperienza umana.
La morte della persona amata è, per chi l'ama, l'evento più assurdo che si possa immaginare: lei è incondizionatamente degna di vivere, è buono e bello che esista (l'essere, il bene, il bello, come direbbe un metafisico, si equivalgono trascendentalmente). Parimenti, la morte di questa stessa persona appare, agli occhi di chi non ama, come un evento naturale, logico (non assurdo).
Chi ha ragione? Colui che ama («la morte di questa persona è assurda») o colui che non ama («la morte di questa persona è logica»)?
La prima posizione è difendibile solo se ogni persona è amata da un Potere infinito; e questo è il motivo per cui è stato necessario appellarsi a Dio. Di fatto, chi ama non vuole che la persona amata muoia; e, se potesse, lo impedirebbe sempre. Se potesse... L'amore finito è impotente; l'Amore infinito è onnipotente. Ebbene, è questa la certezza che la Chiesa annuncia: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Sì! Dio ama ogni persona che, perciò, è incondizionatamente degna di vivere. «Il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell'amore del Padre, manifesta come l'uomo sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore della sua vita». (Enciclica Evangelium vitae, n. 25).
Nell'epoca moderna, l'uomo ha però voluto sottrarsi allo sguardo creatore e redentore del Padre (cfr. Gv 4, 14), fondandosi su se stesso e non sul Potere divino. Quasi come succede negli edifici di cemento armato senza finestre, dove è l'uomo che provvede all'areazione e alla luce; e, ugualmente, persino in un tale mondo auto-costruito, si attinge alle «risorse» di Dio, che sono trasformate in nostri prodotti. Che dire allora?
È necessario riaprire le finestre, vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra, e imparare a usare tutto ciò in modo giusto. Di fatto, il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere «come se Dio esistesse». Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita. Colui che si apre a Dio non si allontana dal mondo e dagli uomini, ma trova fratelli: in Dio cadono i nostri muri di separazione, siamo tutti fratelli, facciamo parte gli uni degli altri.
Amici miei, vorrei concludere con queste parole del concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza: «Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri» (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questi sono lo spirito e la ragion d'essere del «Cortile dei gentili». A voi impegnati in diversi modi in questa significativa iniziativa, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più sentito incoraggiamento. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnino oggi e in futuro.
Dal Vaticano, 13 novembre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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Paparatzifan
00sabato 17 novembre 2012 22:16
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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (2° GRUPPO), 17.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (2° gruppo: province ecclesiastiche di Lille, Reims, Paris, Besançon e Dijon; diocesi di Strasbourg e Metz; Ordinariato militare e Ordinariato dei cattolici delle Chiese orientali residenti in Francia), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

La ringrazio, Eminenza, per le sue parole; conservo un ricordo molto vivo del mio soggiorno a Parigi nel 2008, che ha permesso intensi momenti di fede e un incontro con il mondo della cultura. Nel messaggio che le ho rivolto in occasione del raduno a Lourdes che lei ha organizzato lo scorso marzo, ho ricordato che «il concilio Vaticano II è stato e rimane un autentico segno di Dio per il nostro tempo».
Ciò è particolarmente vero nell'ambito del dialogo tra la Chiesa e il mondo, questo mondo «con il quale vive e agisce» (cfr. Gaudium et spes, n. 40 § 1) e sul quale vuole diffondere la luce che la vita divina irradia (Ibidem, § 2). Come lei sa, più la Chiesa è consapevole del suo essere e della sua missione, più è capace di amare questo mondo, di volgere su di esso uno sguardo fiducioso, ispirato da quello di Gesù, senza cedere alla tentazione dello sconforto o del ripiegamento. E «la Chiesa, compiendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile» (Ibidem, n. 58, 4), dice il concilio.
La vostra nazione è ricca di una lunga storia cristiana che non può essere ignorata o sminuita, e che testimonia con eloquenza questa verità, che configura ancora oggi la sua singolare vocazione. Non solo i fedeli delle vostre diocesi, ma i fedeli di tutto il mondo, si aspettano molto, siatene certi, dalla Chiesa che è in Francia. Come pastori, noi siamo naturalmente consapevoli dei nostri limiti; ma, confidando nella forza di Cristo, sappiamo anche che spetta a noi essere «gli araldi della fede» (Lumen gentium, n. 50), che devono, con i sacerdoti e i fedeli, testimoniare il messaggio di Cristo «in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo» (Gaudium et spes, n. 43 § 5).
L'Anno della fede ci permette di accrescere la nostra fiducia nella forza e nella ricchezza intrinseche del messaggio evangelico. In quante occasioni abbiamo constatato che sono le parole della fede, parole semplici e dirette, cariche della linfa della Parola divina, a toccare meglio i cuori e le menti e ad apportare le luci più decisive? Non dobbiamo quindi aver paura di parlare con un vigore tutto apostolico del mistero di Dio e del mistero dell'uomo, e di mostrare instancabilmente le ricchezze della dottrina cristiana. In essa ci sono parole e realtà, convinzioni fondamentali e modi di ragionare che sono i soli a poter portare la speranza di cui il mondo ha sete.
Nei dibattiti sociali importanti, la voce della Chiesa deve farsi sentire senza posa e con determinazione. E lo fa nel rispetto della tradizione francese in materia di distinzione tra le sfere di competenza della Chiesa e quelle di competenza dello Stato. In tale contesto, proprio l'armonia che esiste tra la fede e la ragione vi dà una certezza particolare: il messaggio di Cristo e della sua Chiesa non è solo portatore di un'identità religiosa che esigerebbe di essere rispettata come tale; esso contiene anche una saggezza che permette di esaminare con rettitudine le risposte concrete alle questioni pressanti, e talvolta angoscianti, del tempo presente. Continuando a esercitare, come voi fate, la dimensione profetica del vostro ministero episcopale, portate in questi dibattiti una parola indispensabile di verità, che rende liberi e apre i cuori alla speranza. Questa parola, ne sono convinto, è attesa. Essa trova sempre un'accoglienza favorevole quando viene presentata con carità, non come il frutto delle nostre riflessioni, ma prima di tutto come la parola che Dio vuole rivolgere a ogni uomo.
A tale proposito, mi torna in mente l'incontro che ha avuto luogo nel Collège des Bernardins. La Francia può fregiarsi di annoverare tra i suoi figli e le sue figlie numerosi intellettuali di alto livello, alcuni dei quali guardano alla Chiesa con benevolenza e rispetto. Credenti o non credenti, essi sono consapevoli delle immense sfide della nostra epoca, in cui il messaggio cristiano è un punto di riferimento insostituibile. Può essere che altre tradizioni intellettuali o filosofiche si esauriscano, ma la Chiesa trova nella sua missione divina la sicurezza e il coraggio di predicare, in ogni occasione opportuna e non opportuna, la chiamata universale alla Salvezza, la grandezza del disegno divino per l'umanità, la responsabilità dell'uomo, la sua dignità e la sua libertà, -- e malgrado la ferita del peccato -- la sua capacità di discernere in coscienza ciò che è vero e ciò che è buono, e la sua disponibilità alla grazia divina. Nel Collège des Bernardins ho voluto ricordare che la vita monastica, interamente orientata alla ricerca di Dio, il quaerere Deum, risulta fonte di rinnovamento e di progresso per la cultura. Le comunità religiose, e soprattutto quelle monastiche, del vostro Paese, che conosco bene, possono contare sulla vostra stima e sulla vostra attenta sollecitudine, nel rispetto del carisma proprio di ciascuna. La vita religiosa, al servizio esclusivo dell'opera di Dio, alla quale nulla può essere preferito (cfr. Regola di san Benedetto), è un tesoro nelle vostre diocesi. Essa offre una testimonianza radicale sul modo in cui l'esistenza umana, proprio quando si pone interamente nella sequela di Cristo, realizza appieno la vocazione umana alla vita beata. L'intera società, e non solo la Chiesa, viene profondamente arricchita da tale testimonianza. Offerta nell'umiltà, nella dolcezza e nel silenzio, essa apporta per così dire la prova che nell'uomo c'è di più dell'uomo stesso.
Come ricorda il Concilio, l'azione liturgica della Chiesa fa anche parte del suo contributo all'opera civilizzatrice (cfr. Gaudium et spes, n. 58, 4). La liturgia è in effetti la celebrazione dell'evento centrale della storia umana, il sacrificio redentore di Cristo. Per questo testimonia l'amore con il quale Dio ama l'umanità, testimonia che la vita dell'uomo ha un senso e che egli è per vocazione chiamato a condividere la vita gloriosa della Trinità. L'umanità ha bisogno di questa testimonianza. Ha bisogno di percepire, attraverso le celebrazioni liturgiche, la consapevolezza che la Chiesa ha della signoria di Dio e della dignità dell'uomo. Ha diritto di poter discernere, al di là dei limiti che segneranno sempre i suoi riti e le sue cerimonie, che Cristo «è presente nel sacrificio della Messa, e nella persona del ministro» (cfr. Sacrosanctum concilium, n. 7). Conoscendo le cure di cui cercate di circondare le vostre celebrazioni liturgiche, v'incoraggio a coltivare l'arte di celebrare, ad aiutare i vostri sacerdoti in tal senso, e di lavorare senza posa alla formazione liturgica dei seminaristi e dei fedeli. Il rispetto delle norme stabilite esprime l'amore e la fedeltà alla fede della Chiesa, al tesoro di grazia che essa custodisce e trasmette; la bellezza delle celebrazioni, molto più delle innovazioni e degli accomodamenti soggettivi, fa opera duratura ed efficace di evangelizzazione.
Grande è oggi la vostra preoccupazione per la trasmissione della fede alle giovani generazioni. Molte famiglie nel vostro Paese continuano a garantirla. Benedico e incoraggio di tutto cuore le iniziative che prendete per sostenere queste famiglie, per circondarle della vostra sollecitudine, per favorire la loro assunzione di responsabilità nell'ambito educativo. La responsabilità dei genitori in questo ambito è un bene prezioso, che la Chiesa difende e promuove sia come una dimensione inalienabile e fondamentale del bene comune di tutta la società, sia come un'esigenza della dignità della persona e della famiglia. Sapete anche che in questo ambito le sfide non mancano: siano esse la difficoltà legata alla trasmissione della fede ricevuta, -- familiare, sociale -- quella della fede accolta personalmente alla soglia dell'età adulta, o ancora, la difficoltà costituita da una vera rottura nella trasmissione, quando si succedono diverse generazioni ormai allontanatesi dalla fede viva. C'è anche l'enorme sfida di vivere in una società che non sempre condivide gli insegnamenti di Cristo, e che a volte cerca di ridicolizzare o di emarginare la Chiesa, volendo confinarla nella sola sfera privata. Per accogliere queste immense sfide, la Chiesa ha bisogno di testimoni credibili. La testimonianza cristiana radicata in Cristo e vissuta nella coerenza di vita e con autenticità, è multiforme, senza alcun schema preconcetto. Nasce e si rinnova incessantemente sotto l'azione dello Spirito Santo. A sostegno di questa testimonianza, il Catechismo della Chiesa cattolica è uno strumento molto utile, perché mostra la forza e la bellezza della fede. V'incoraggio a farlo ampiamente conoscere, in particolare in questo anno in cui celebriamo il ventesimo anniversario della sua pubblicazione.
Nel posto che vi corrisponde, voi rendete altresì testimonianza attraverso la vostra dedizione, la vostra semplicità di vita, la vostra sollecitudine pastorale, e al di sopra di tutto, attraverso l'unione tra di voi e con il Successore dell'Apostolo Pietro. Consapevoli della forza dell'esempio, saprete così trovare le parole e i gesti per incoraggiare i fedeli a incarnare questa «unità di vita». Essi devono sentire che la loro fede li impegna, che è per loro una liberazione e non un fardello, che la coerenza è fonte di gioia e di fecondità (cfr. Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 17). Ciò vale sia per il loro attaccamento e la loro fedeltà all'insegnamento morale della Chiesa, sia, ad esempio, per il coraggio di manifestare le loro convinzioni cristiane, senza arroganza ma con rispetto, nei diversi ambiti in cui operano. Quelli fra loro che sono impegnati nella vita pubblica hanno una responsabilità particolare in questo ambito. Con i Vescovi, avranno a cuore di prestare attenzione ai progetti di leggi civili che possono attentare alla tutela del matrimonio tra un uomo e una donna, alla salvaguardia della vita umana dal concepimento fino alla morte, e al giusto orientamento della bioetica in fedeltà ai documenti del Magistero. È più che mai necessario che siano in molti i cristiani che intraprendano il cammino del servizio al bene comune, approfondendo in particolare la Dottrina sociale della Chiesa.
Potete contare sulla mia preghiera affinché i vostri sforzi in questo ambito rechino frutti abbondanti. Per concludere, invoco la benedizione del Signore su di voi, sui vostri sacerdoti e i vostri diaconi, sui religiosi e le religiose, sulle altre persone consacrate che operano nelle vostre diocesi, e sui vostri fedeli. Che Dio vi accompagni sempre! Grazie.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00domenica 18 novembre 2012 21:19
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PAROLE DEL SANTO PADRE ALLA RECITA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa penultima domenica dell’anno liturgico, viene proclamata, nella redazione di San Marco, una parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi (cfr Mc 13,24-32). Questo discorso si trova, con alcune varianti, anche in Matteo e Luca, ed è probabilmente il testo più difficile dei Vangeli. Tale difficoltà deriva sia dal contenuto sia dal linguaggio: si parla infatti di un avvenire che supera le nostre categorie, e per questo Gesù utilizza immagini e parole riprese dall’Antico Testamento, ma soprattutto inserisce un nuovo centro, che è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione.
Anche il brano odierno si apre con alcune immagini cosmiche di genere apocalittico: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte» (v. 24-25); ma questo elemento viene relativizzato da ciò che segue: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria» (v. 26).
Il «Figlio dell’uomo» è Gesù stesso, che collega il presente e il futuro; le antiche parole dei profeti hanno trovato finalmente un centro nella persona del Messia nazareno: è Lui il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile.
A conferma di questo sta un’altra espressione del Vangelo di oggi. Gesù afferma: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (v. 31). In effetti, sappiamo che nella Bibbia la Parola di Dio è all’origine della creazione: tutte le creature, a partire dagli elementi cosmici – sole, luna, firmamento – obbediscono alla Parola di Dio, esistono in quanto «chiamati» da essa. Questa potenza creatrice della Parola divina si è concentrata in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, e passa anche attraverso le sue parole umane, che sono il vero «firmamento» che orienta il pensiero e il cammino dell’uomo sulla terra. Per questo Gesù non descrive la fine del mondo, e quando usa immagini apocalittiche, non si comporta come un «veggente». Al contrario, Egli vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, e vuole invece dare loro una chiave di lettura profonda, essenziale, e soprattutto indicare la via giusta su cui camminare, oggi e domani, per entrare nella vita eterna. Tutto passa – ci ricorda il Signore –, ma la Parola di Dio non muta, e di fronte ad essa ciascuno di noi è responsabile del proprio comportamento. In base a questo saremo giudicati.
Cari amici, anche nei nostri tempi non mancano calamità naturali, e purtroppo nemmeno guerre e violenze. Anche oggi abbiamo bisogno di un fondamento stabile per la nostra vita e la nostra speranza, tanto più a causa del relativismo in cui siamo immersi. La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere questo centro nella Persona di Cristo e nella sua Parola.

DOPO L'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, a Pergamino, in Argentina, è stata proclamata Beata María Crescencia Pérez, Religiosa, della Congregazione delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto. Vissuta nella prima parte del secolo scorso, è modello di dolcezza evangelica animata dalla fede. Lodiamo il Signore per la sua testimonianza!

Je salue cordialement les pèlerins francophones. En cherchant à voir autour de nous les signes de la présence de Dieu et à les accueillir, nous découvrirons le roc solide où s’enracine notre existence au-delà des changements qui nous atteignent. Par la foi, nous communions au dessein d’amour de Dieu sur l’humanité et sur chacun de nous. Dieu est fidèle ! À nous de le chercher ! Pour cela, je vous invite à participer régulièrement à la messe dominicale, nécessaire pour un chrétien. Que la Vierge Marie vous aide à comprendre l’importance de ce rendez-vous et la joie de le vivre en famille ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present for today’s Angelus. This Sunday, as the liturgical year draws to a close, Jesus tells us that although heaven and earth will pass away, his words will remain. Let us pledge ourselves to build our lives more and more on the solid foundation of his holy word, the true source of life and joy. May God bless all of you!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache, besonders die Reisegruppe des Bayerischen Rundfunks. Die liturgischen Lesungen zum Ende des Kirchenjahres rufen uns immer wieder die sogenannten letzten Dinge – Tod, Gericht, Hölle, Himmel – in Erinnerung. Die Zeit hat ein Ziel. Und wir wollen das richtige Ziel finden. Dazu lädt der Herr uns ein, wenn er sagt, wir sollen wachen und beten, damit wir einst hintreten können vor den Menschensohn (vgl. Lk 21,36). Möge der Herr stets unser Ziel sein in der Freude und Hoffnung auf „das Große, das er denen bereitet hat, die ihn lieben“ (1Kor 2,9). Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. En el Evangelio de hoy, Jesús advierte a sus discípulos, y a todos, que en la vida habrá que afrontar embaucadores, sufrir persecuciones y calamidades. Hoy se sabe esto muy bien. Pero con la esperanza perseverante en la victoria de la Cruz, el corazón humano encontrará siempre un suelo firme, la auténtica paz, en la presencia constante del Señor, verdadero fin de todas las cosas, y cuya ayuda nunca nos abandona. Confiemos a nuestra Madre del cielo nuestros desvelos, y que nos ayude también la intercesión de la Beata María Crescencia Pérez, que ayer ha sido elevada al honor de los altares en Argentina. Muchas gracias y feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam – uczestniczących w modlitwie „Anioł Pański” – Polaków. Ewangelia dzisiejszej Mszy świętej jest zapowiedzią Paruzji, czyli powtórnego przyjścia Chrystusa na ziemię. Wówczas, oświeceni Bożym światłem, uzyskamy odpowiedź na pytania dotyczące naszej egzystencji, a każdy nasz czyn i każda myśl zostaną osądzone. Niech perspektywa tego wydarzenia będzie dla nas przedmiotem szczególnej refleksji w tym Roku Wiary. Wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi partecipanti alla preghiera dell’Angelus. Il Vangelo della santa Messa odierna è l’annuncio della Parousia, della seconda venuta di Cristo sulla terra. Allora, illuminati dalla luce divina, riceveremo la risposta alle domande riguardanti la nostra esistenza, e ogni nostra azione e ogni nostro pensiero saranno giudicati. La prospettiva di questo evento sia per noi oggetto di particolare riflessione in quest’Anno della fede. A tutti imparto di cuore una benedizione.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le numerose Scholae Cantorum della Diocesi di Verona, accompagnate dal Vescovo – grazie per il canto che abbiamo sentito! Saluto i volontari del Banco Alimentare e incoraggio ogni iniziativa che educhi alla condivisione, come risposta alle difficoltà di tante famiglie. Saluto i fedeli venuti da Sezze, Tornareccio, Ischia Porto e Comiso, e anche da Malta, come pure i collaboratori laici dell’Istituto Ravasco e il gruppo di Scout dall’Ucraina. A tutti auguro una buona domenica. Grazie. Buona domenica, buona settimana. Arrivederci!

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Paparatzifan
00mercoledì 21 novembre 2012 22:45
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L’UDIENZA GENERALE, 21.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sulla ragionevolezza della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la pace tra gli Israeliani e i Palestinesi della Striscia di Gaza.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. La ragionevolezza della fede in Dio

Cari fratelli e sorelle,


avanziamo in quest’Anno della fede, portando nel nostro cuore la speranza di riscoprire quanta gioia c’è nel credere e di ritrovare l’entusiasmo di comunicare a tutti le verità della fede. Queste verità non sono un semplice messaggio su Dio, una particolare informazione su di Lui. Esprimono invece l’evento dell’incontro di Dio con gli uomini, incontro salvifico e liberante, che realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore. La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo. Accade così che, mentre Dio si rivela e si lascia conoscere, l’uomo viene a sapere chi è Dio e, conoscendolo, scopre se stesso, la propria origine, il proprio destino, la grandezza e la dignità della vita umana.
La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un “sàpere”, un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale, ma vitale. E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore.
L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze. La conoscenza di Dio è perciò esperienza di fede e implica, nel contempo, un cammino intellettuale e morale: toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, superiamo gli orizzonti dei nostri egoismi e ci apriamo ai veri valori dell’esistenza.
Oggi vorrei soffermarmi sulla ragionevolezza della fede in Dio.
La tradizione cattolica ha sin dall’inizio rigettato il fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero.
Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità.
Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso?; anzi, è la fonte della luce La fede permette di guardare il «sole» di Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio, riconoscendo il grande miracolo: Dio si è avvicinato all’uomo e si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cfr CONC. EC. VAT. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 13).
Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti. Per questo, la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai e mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà. E’ falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato. Sant’Agostino, prima della sua conversione, cerca con tanta inquietudine la verità, attraverso tutte le filosofie disponibili, trovandole tutte insoddisfacenti. La sua faticosa ricerca razionale è per lui una significativa pedagogia per l’incontro con la Verità di Cristo. Quando dice: «comprendi per credere e credi per comprendere» (Discorso 43, 9: PL 38, 258), è come se raccontasse la propria esperienza di vita. Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero. Sant’Agostino, insieme a tanti altri autori cristiani, è testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare. Su questa scia, Sant’Anselmo dirà nel suo Proslogion che la fede cattolica è fides quaerens intellectum, dove il cercare l’intelligenza è atto interiore al credere. Sarà soprattutto San Tommaso d’Aquino – forte di questa tradizione – a confrontarsi con la ragione dei filosofi, mostrando quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall’innesto dei principi e delle verità della fede cristiana.
La fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Dei Filius, ha affermato che la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere «facilmente, con assoluta certezza e senza errore» (DS 3005) le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia. La conoscenza della fede, inoltre, non è contro la retta ragione. Il Beato Papa Giovanni Paolo II, infatti, nell’Enciclica Fides et ratio, sintetizza così: «La ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole» (n. 43). Nell’irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé.
Questa dottrina è facilmente riconoscibile in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, sostiene: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,22-23). Dio, infatti, ha salvato il mondo non con un atto di potenza, ma mediante l’umiliazione del suo Figlio unigenito: secondo i parametri umani, l’insolita modalità attuata da Dio stride con le esigenze della sapienza greca. Eppure, la Croce di Cristo ha una sua ragione, che San Paolo chiama: ho lògos tou staurou, “la parola della croce” (1 Cor 1,18). I termine lògos indica tanto la parola quanto la ragione e, se allude alla parola, è perché esprime verbalmente ciò che la ragione elabora. Dunque, Paolo vede nella Croce non un avvenimento irrazionale, ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede. Allo stesso tempo, egli ha talmente fiducia nella ragione umana, al punto da meravigliarsi per il fatto che molti, pur vedendo la bellezza delle opere compiute da Dio, si ostinano a non credere in Lui: «Infatti – scrive nella Lettera ai Romani - le … perfezioni invisibili [di Dio], ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (1,20). Così, anche S. Pietro esorta i cristiani della diaspora ad adorare «il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). In un clima di persecuzione e di forte esigenza di testimoniare la fede, ai credenti viene chiesto di giustificare con motivazioni fondate la loro adesione alla parola del Vangelo; dDi dare le regioni della nostra speranza.
Su queste premesse circa il nesso fecondo tra comprendere e credere, si fonda anche il rapporto virtuoso fra scienza e fede. La ricerca scientifica porta alla conoscenza di verità sempre nuove sull’uomo e sul cosmo. Lo vediamo. Il vero bene dell’umanità, accessibile nella fede, apre l’orizzonte nel quale si deve muovere il suo cammino di scoperta. Vanno pertanto incoraggiate, ad esempio, le ricerche poste a servizio della vita e miranti a debellare le malattie.
Importanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella consapevolezza che l’uomo è al vertice della creazione non per sfruttarla insensatamente, ma per custodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso. Anche per questo è ragionevole credere: se la scienza è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo, la fede permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno.
Ecco perché è decisivo per l’uomo aprirsi alla fede e conoscere Dio e il suo progetto di salvezza in Gesù Cristo. Nel Vangelo viene inaugurato un nuovo umanesimo, un’autentica «grammatica» dell’umano e di tutta la realtà. Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La verità di Dio è la sua sapienza che regge l’ordine della creazione e del governo del mondo. Dio che, da solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15), può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa creata nella relazione con lui» (n. 216).
Confidiamo allora che il nostro impegno nell’ evangelizzazione aiuti a ridare nuova centralità al Vangelo nella vita di tanti uomini e donne del nostro tempo. Preghiamo perché tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà: senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso. Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo lo confermano per sempre. E’ ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo: ora, nel tempo che passa, e nel giorno senza fine dell’Eternità beata. Grazie.


APPELLO

Seguo con grave preoccupazione l'aggravarsi della violenza tra gli Israeliani e i Palestinesi della Striscia di Gaza. Insieme al ricordo orante per le vittime e per coloro che soffrono, sento il dovere di ribadire ancora una volta che l'odio e la violenza non sono la soluzione dei problemi. Inoltre, incoraggio le iniziative e gli sforzi di quanti stanno cercando di ottenere una tregua e di promuovere il negoziato. Esorto anche le Autorità di entrambe le Parti ad adottare decisioni coraggiose in favore della pace e a porre fine a un conflitto con ripercussioni negative in tutta la Regione medio-orientale, travagliata da troppi scontri e bisognosa di pace e di riconciliazione.

* * *

E adesso, rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli delle parrocchie di San Giovanni Bosco, in Altamura e di San Michele Arcangelo, in Bono; ai rappresentanti della Clinica Odontoiatrica dell’Università degli Studi di Milano e all’Associazione musicale Giacomo Puccini, di Cave. Grazie per la musica.
Saluto con affetto i malati, gli sposi novelli e i giovani, specialmente gli alunni della Scuola Beata Maria Cristina Brando, di Casoria. Domenica prossima, ultima del Tempo ordinario, celebreremo la solennità di Cristo Re dell’universo. Cari giovani, ponete Gesù al centro della vostra vita, e da Lui riceverete luce e coraggio in ogni scelta quotidiana. Cristo, che ha fatto della Croce un trono regale, insegni a voi, cari malati, a comprendere il valore redentivo della sofferenza vissuta in unione con Lui. A voi, cari sposi novelli, auguro di riconoscere la presenza del Signore nel vostro cammino matrimoniale, così da partecipare alla costruzione del suo Regno di amore e di pace.
Oggi, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, si celebra la Giornata per le Claustrali. Alle sorelle chiamate dal Signore alla vita contemplativa, desidero assicurare la speciale vicinanza mia e dell’intera Comunità ecclesiale. Rinnovo, al tempo stesso, l’invito a tutti i cristiani affinché non facciano mancare ai monasteri di clausura il necessario sostegno spirituale e materiale. Tanto dobbiamo, infatti, a queste persone che si consacrano interamente alla preghiera per la Chiesa e per il mondo! Grazie.

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Paparatzifan
00mercoledì 21 novembre 2012 23:10
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALLE PONTIFICIE ACCADEMIE

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello
il Cardinale Gianfranco Ravasi
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

In occasione dell’annuale Seduta Pubblica delle Accademie Pontificie, sono lieto di farLe pervenire il mio cordiale saluto, che volentieri estendo al Consiglio di Coordinamento, ai Signori Cardinali, ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, ai Signori Ambasciatori e a tutti i partecipanti.
Un pensiero particolare rivolgo alle Autorità e agli Accademici della Pontificia Academia Latinitatis, da me appena istituita con il Motu Proprio Latina Lingua per dare rinnovato vigore alla conoscenza, allo studio e all’uso della lingua latina, sia nella Chiesa sia nelle Istituzioni universitarie e scolastiche.
A questa nuova Accademia auguro vivamente di intraprendere, sotto la guida del neo-Presidente, il Prof. Ivano Dionigi, una proficua e feconda attività di promozione della lingua latina, lascito prezioso della tradizione e testimone privilegiato di un patrimonio culturale che chiede di essere trasmesso alle nuove generazioni.
La Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie, organizzata quest’anno dalla Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, ha come tema “Pulchritudinis fidei testis".
L’artista, come la Chiesa, testimone della bellezza della fede”, che richiama l’incipit del Motu Proprio col quale ho voluto recentemente unire la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa al Pontificio Consiglio della Cultura, per far sì che, in una visione ampia e articolata del mondo della cultura, potesse trovare la giusta attenzione e collocazione l’importante ambito dei beni culturali della Chiesa. Una più organica integrazione di tale ambito nella missione del Dicastero produrrà sicuramente risultati fecondi, in vista anche di una sempre più adeguata tutela e consapevole valorizzazione dello straordinario patrimonio-storico artistico della Chiesa, testimonianza eloquente della fecondità dell’incontro tra la fede cristiana e il genio umano.
Con tale tematica, questa XVII Seduta Pubblica si inserisce in modo profondo nell’Anno della fede, che ha come scopo riproporre a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questa, come io stesso ho potuto sperimentare, è stata la grande aspirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Nella Celebrazione Eucaristica di apertura dell’Anno della fede, ho nuovamente consegnato i Messaggi del Concilio ai rappresentanti delle varie categorie, tra cui gli artisti. Nel denso e profondo Messaggio del Concilio agli artisti è mirabilmente sintetizzato il percorso che la Chiesa del XX secolo, soprattutto attraverso l’azione mirata e costante del Servo di Dio Paolo VI, aveva intrapreso per ravvivare il dialogo col mondo delle arti, sempre più lontano dall’orizzonte di senso e dall’esperienza di fede proposti dalla Chiesa. L’impulso al dialogo impresso dal Concilio Vaticano II si è poi tradotto in altri momenti e gesti tanto significativi quanto decisivi. Il Beato Giovanni Paolo II volle scrivere una Lettera agli artisti alla vigilia del Grande Giubileo del 2000, affidando alla Chiesa e agli artisti una pietra miliare nel cammino di dialogo e collaborazione. Da quel famoso testo vorrei cogliere solo uno spunto: «Ogni forma
autentica d’arte è, a suo modo, una via d’accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto valido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta. Ecco perché la pienezza evangelica della verità non poteva non suscitare fin dall’inizio l’interesse degli artisti, sensibili per loro natura a tutte le manifestazioni dell’intima bellezza della realtà» (n. 6).
Io stesso, volendo sollecitare ancora una volta questo dialogo necessario e vitale, ho incontrato una numerosa rappresentanza di artisti nella Cappella Sistina il 21 novembre 2009, per rivolgermi a loro con un intenso appello, in cui riaffermavo la volontà della Chiesa di ritrovare la gioia della riflessione comune e di un’azione concorde, al fine di rimettere nuovamente al centro dell’attenzione, sia della Comunità ecclesiale, sia della società civile e del mondo della cultura, il tema della bellezza.
Questa, dicevo in quell’occasione così suggestiva, dovrebbe tornare a riaffermarsi e a manifestarsi in tutte le espressioni artistiche, senza però prescindere dall’esperienza di fede, anzi, confrontandosi liberamente e apertamente con essa, per trarne ispirazione e contenuto. La bellezza della fede, infatti, non può mai essere ostacolo alla creazione della bellezza artistica, perché ne costituisce in qualche modo la linfa vitale e l’orizzonte ultimo. Il vero artista, infatti, definito dal Messaggio conciliare “custode della bellezza del mondo”, grazie alla sua particolare sensibilità estetica e al suo intuito può cogliere e accogliere più in profondità di altri la bellezza propria della fede, e quindi riesprimerla e comunicarla con il suo stesso linguaggio.
In questo senso possiamo allora parlare dell’artista anche come testimone, in qualche modo privilegiato, della bellezza della fede. Egli così può partecipare, con il proprio specifico e originale contributo, alla stessa vocazione e missione della Chiesa, in particolare quando, nelle diverse espressioni dell’arte, voglia o sia chiamato a realizzare opere d’arte direttamente collegate all’esperienza di fede e al culto, all’azione liturgica della Chiesa, la cui centralità venne definita dal Concilio Vaticano II con la nota espressione “fons et culmen” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 10).
A tale proposito, il giovane sacerdote Giovanni Battista Montini, per il primo numero della nascente rivista Arte Sacra, datato luglio-settembre 1931, scrisse un saggio dal titolo emblematico, “Su l’arte sacra futura”, in cui analizzava, con grande lucidità e chiarezza, il panorama dell’arte sacra del primo ‘900, con le sue tendenze, i suoi pregi e i suoi limiti. Tale analisi risulta di straordinaria attualità e profondità anche per noi, a decenni di distanza. Si afferma, innanzitutto, che «l’arte sacra si trova davanti il sommo problema di esprimere l’ineffabile», per cui «occorre iniziarsi alla mistica, e raggiungere con l’esperienza dei sensi qualche riverbero, qualche palpito della Luce invisibile».
Trattando, poi, della figura dell’artista cristiano, che si cimenta particolarmente con l’arte sacra, egli scrive: «Si vede anche come e dove nasca la vera arte sacra: dall’artista pio e credente, orante, desiderante, che veglia nel silenzio e nella bontà, in attesa della sua Pentecoste… Penso che tocchi ai nostri artisti cristiani preparare con le opere loro uno stato di spirito dove si ricomponga in Cristo la nostra spirituale unità, ora lacerata; l’unità, dico, che riconcili in debita armonia l’impressione e l’espressione; il mondo interno e l’esterno; lo spirito e la materia; l’anima e la carne; Dio e l’uomo» (Arte sacra, a. I, n. I, luglio-settembre 1931, p. 16).
All’inizio dell’Anno della fede, rivolgo, pertanto, un caloroso invito a tutti gli artisti cristiani, come anche a coloro che si aprono al dialogo con la fede, a percorrere il cammino così acutamente tracciato dal futuro Paolo VI, e a far sì che il loro percorso artistico possa diventare, e mostrarsi sempre più luminosamente, come un itinerario integrale, in cui tutte le dimensioni dell’esistenza umana siano coinvolte, così da testimoniare efficacemente la bellezza della fede in Cristo Gesù, immagine della gloria di Dio che illumina la storia dell’umanità (cfr 2 Cor 4, 4.6; Col 1,15).
Per incoraggiare quanti, tra gli artisti più giovani, vogliono offrire il proprio contributo alla promozione e alla realizzazione di un nuovo umanesimo cristiano attraverso la loro ricerca artistica, accogliendo la proposta formulata dal Consiglio di Coordinamento fra Accademie, sono lieto di assegnare ex aequo il Premio delle Pontificie Accademie, quest’anno dedicato alle arti e particolarmente agli ambiti della pittura e della scultura, a una scultrice polacca, Anna Gulak, e a un pittore spagnolo, David Ribes Lopez.
Desidero, inoltre che, come segno di apprezzamento e di incoraggiamento, si offra la Medaglia del Pontificato al giovane scultore italiano Jacopo Cardillo.
Auguro, infine, a tutti gli Accademici un impegno sempre più appassionato nei rispettivi campi di attività, cogliendo anche la preziosa opportunità dell’Anno della fede, e, mentre affido ciascuno alla materna protezione della Vergine Maria, la Tota Pulchra, modello della fede dei credenti, di cuore imparto a Lei, Signor Cardinale, e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 novembre 2012,
Memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria

BENEDICTUS PP XVI

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Paparatzifan
00giovedì 22 novembre 2012 13:52
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA 17ma CONFERENZA DEI DIRETTORI DELLE AMMINISTRAZIONI PENITENZIARIE DEL CONSIGLIO D’EUROPA , 22.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla 17ma Conferenza dei Direttori delle Amministrazioni Penitenziarie del Consiglio d’Europa e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Ministro,
Signor Vice-Segretario,
Signori Direttori,

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Conferenza e desidero, anzitutto, ringraziare il Ministro della Giustizia del Governo Italiano, Prof.ssa Paola Severino, ed il Vice- Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Dott.ssa Gabriella Battaini-Dragoni, per il saluto rivoltomi anche a vostro nome.
I temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità. La tendenza, però, è di restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina dei reati e delle sanzioni o al momento processuale, inerente i tempi e le modalità per arrivare ad una sentenza che sia il più possibile corrispondente alla verità dei fatti. Minore attenzione viene invece prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione alla quale al parametro della “giustizia”, deve essere accostato come essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Ma anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi, purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i diritti della persona. Occorre impegnarsi, in concreto e non solo come affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale. L’esigenza personale del detenuto di vivere nel carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infatti, esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale.
Negli ultimi anni ci sono stati molti progressi, sebbene il percorso resti ancora lungo. Non è solo una questione di disponibilità di adeguate risorse finanziarie, per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari ed assicurare ai detenuti più efficaci mezzi di sostegno e percorsi di formazione; occorre anche una crescita nella mentalità, così da legare il dibattito carcerario concernente il rispetto dei diritti umani del detenuto a quello, più ampio, relativo alla stessa realizzazione della giustizia penale. Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e qualificante.
Al fine di “fare giustizia” non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona.
Voi Direttori, insieme a tutti gli altri operatori giudiziari e sociali, potete contribuire in modo significativo a promuovere questa “più vera” giustizia, “aperta alla forza liberatrice dell’amore” (Giovanni Paolo II, Messaggio per il Giubileo nelle carceri, 9 luglio 2000) e legata alla stessa dignità dell’uomo. Il vostro ruolo è, in un certo senso, ancora più decisivo di quello degli organi legislativi, poiché, anche in presenza di strutture e risorse adeguate, l’efficacia dei percorsi rieducativi dipende sempre dalla sensibilità, capacità ed attenzione delle persone chiamate ad attuare in concreto quanto stabilito sulla carta. Il compito degli operatori penitenziari, a qualunque livello essi operino, non è certo facile. Per questo oggi, tramite voi, desidero rendere omaggio a tutti coloro che, nelle amministrazioni penitenziarie, si adoperano con grande serietà e dedizione. Il contatto con coloro che hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori (cfr Mt 9,13; Mc 2,17; Lc 5,32), destinatari privilegiati della misericordia di Dio. Ogni uomo è chiamato a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza omicida di Caino (cfr Gen 4,9); a voi in particolare è chiesto di custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato, il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di “detenuti stranieri”, spesso in situazioni difficili e di fragilità. Ovviamente, al ruolo delle istituzioni e degli operatori penitenziari è indispensabile che corrisponda la disponibilità del detenuto a vivere un tempo di formazione. Una risposta positiva non dovrebbe però essere semplicemente attesa ed auspicata, ma sollecitata e favorita con iniziative e proposte capaci di vincere l’ozio e spezzare la solitudine in cui spesso i detenuti restano confinati. Molto importante in questo senso è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale, capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi, risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio. Con la certezza sulla possibilità di rinnovarsi, la detenzione in carcere può assolvere alla sua funzione rieducativa e diventare per il detenuto occasione di assaporare la redenzione operata da Cristo nel Mistero Pasquale, che ci assicura la vittoria su ogni male. Cari amici, mentre vi ringrazio di cuore per questo incontro e per l’opera che svolgete, invoco su di voi e sul vostro lavoro l’abbondanza delle Benedizioni del Signore.

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Paparatzifan
00venerdì 23 novembre 2012 17:57
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UDIENZA AI PARTECIPANTI AL XXIII CONGRESSO MONDIALE DELL’APOSTOLATO DEL MARE, 23.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al XXIII Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare sul tema: "Nuova evangelizzazione nel mondo marittimo. Nuovi mezzi e strumenti per proclamare la Buona Novella".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Vi accolgo con gioia, al termine dei lavori del XXIII Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare. Saluto cordialmente il Cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, grato per le sue cortesi parole, come pure i collaboratori del Dicastero e quanti operate in questo specifico settore. Avete vissuto giornate intense di approfondimento su temi importanti, come l’annuncio del Vangelo ad un numero crescente di marittimi appartenenti alle Chiese Orientali, l’assistenza a quelli non cristiani o non credenti, la ricerca di una collaborazione ecumenica e interreligiosa sempre più solida. Di fronte poi ai disagi che oggi affrontano gli operatori dell’industria marittima, come pure i pescatori e le loro famiglie, emerge sempre più chiaramente la necessità di affrontare i problemi con «una visione integrale dell’uomo, che rispecchi i vari aspetti della persona umana, contemplata con lo sguardo purificato dalla carità» (Enc. Caritas in veritate, 32).
Questi sono soltanto alcuni dei molteplici aspetti che stanno a cuore all’Apostolato del Mare, emersi durante il vostro Congresso e, soprattutto, ben attestati dalla lunga storia di questa benemerita opera. Infatti, già nel 1922, il Papa Pio XI ne approvò le Costituzioni e il Regolamento, incoraggiando i primi cappellani e volontari nella missione di «espandere il ministero marittimo»; e, 75 anni dopo, il Beato Papa Giovanni Paolo II confermò tale missione con il Motu proprio Stella maris. Nella scia di questa preziosa tradizione, vi siete ritrovati a riflettere sul tema della nuova evangelizzazione nel mondo marittimo, nella medesima Aula in cui, nel mese scorso, si è tenuta la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi «per tracciare nuovi modi ed espressioni della Buona Notizia da trasmettere all’uomo contemporaneo con rinnovato entusiasmo» (Lineamenta, Introduzione). In questo modo avete risposto all’appello che ho rivolto a tutti indicendo l’Anno della fede, per «dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa … per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole e a rinvigorire la loro adesione al Vangelo» (Motu proprio Porta fidei, 8).
Sin dagli albori del Cristianesimo, il mondo marittimo è stato veicolo efficace di evangelizzazione. Gli Apostoli e i discepoli di Gesù ebbero la possibilità di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) anche grazie alla navigazione marittima; pensiamo solo ai Viaggi di San Paolo. In tal modo essi iniziarono il cammino per diffondere la Parola di Dio «sino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Anche oggi la Chiesa solca i mari per portare il Vangelo a tutte le nazioni, e la vostra capillare presenza negli scali portuali del mondo, le visite che fate quotidianamente sulle navi attraccate nei porti e l’accoglienza fraterna nelle ore di sosta degli equipaggi, sono il segno visibile della sollecitudine verso quanti non possono ricevere una cura pastorale ordinaria.
Questo mondo del mare, nel continuo peregrinare di persone, oggi deve tenere conto dei complessi effetti della globalizzazione e, purtroppo, si trova a dover affrontare anche situazioni di ingiustizia, specialmente quando gli equipaggi sono soggetti a restrizioni per scendere a terra, quando vengono abbandonati insieme alle imbarcazioni su cui lavorano, quando cadono sotto la minaccia della pirateria marittima o subiscono i danni della pesca illegale (cfr Angelus, 18 gennaio 2009).
La vulnerabilità dei marittimi, pescatori e naviganti, deve rendere ancora più attenta la sollecitudine della Chiesa e stimolare la materna cura che, attraverso di voi, manifesta a tutti coloro che incontrate nei porti o sulle navi, o assistete a bordo nei lunghi mesi d’imbarco.
Un pensiero particolare va a quanti lavorano nel vasto settore della pesca e alle loro famiglie. Più di altri, infatti, essi devono fronteggiare le difficoltà del presente e vivono l’incertezza del futuro, segnato dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse. A voi pescatori, che cercate condizioni di lavoro dignitose e sicure, salvaguardando il valore della famiglia, la tutela dell’ambiente e la difesa della dignità di ogni persona, vorrei assicurare la vicinanza della Chiesa. L’apostolato dei laici, in questo ambito, è già particolarmente attivo, annoverando molti diaconi permanenti e volontari nei Centri "Stella maris", ma anche e soprattutto vede tra i marittimi stessi una crescente attenzione per sostenere gli altri membri dell’equipaggio, incoraggiandoli anche a ritrovare e intensificare il rapporto con Dio durante le lunghe traversate oceaniche, e assistendoli con spirito di carità nelle situazioni di pericolo.
Riprendendo una metafora che vi è ben nota, esorto anche voi a fare tesoro del Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale è come «una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta» (Udienza Generale, 10 ottobre 2012). In particolare, richiamando il Decreto Ad gentes sull’attività missionaria della Chiesa, desidero oggi rinnovare il mandato ecclesiale che, in comunione con le vostre Chiese locali di appartenenza, vi pone in prima linea nell’evangelizzazione di tanti uomini e donne di diverse nazionalità che transitano nei vostri porti. Siate apostoli fedeli alla missione di annunciare il Vangelo, manifestate il volto premuroso della Chiesa che accoglie e si fa vicina anche a questa porzione del Popolo di Dio, rispondete senza esitare alla gente di mare, che vi attende a bordo per colmare le profonde nostalgie dell’anima e sentirsi parte attiva della comunità. Auguro a ciascuno di voi di riscoprire ogni giorno la bellezza della fede, per testimoniarla sempre con la coerenza della vita. La Beata Vergine Maria, Stella maris e Stella matutina, illumini sempre la vostra opera affinché la gente di mare possa conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù che è Via, Verità e Vita. Di cuore imparto a voi, ai vostri collaboratori e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 24 novembre 2012 19:48
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CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI SEI NUOVI CARDINALI , 24.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI tiene un Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 6 nuovi Cardinali.
In apertura di Concistoro, dopo il saluto, l’orazione e la proclamazione del Vangelo (Mc 10, 32-45) il Papa tiene la sua allocuzione.
Quindi il Santo Padre legge la formula di creazione e proclama solennemente i nomi dei nuovi Cardinali, annunciandone l’Ordine presbiterale o diaconale.
Il Rito prosegue con la professione di fede dei nuovi Cardinali davanti al popolo di Dio e il giuramento di fedeltà e obbedienza al Papa e ai Suoi successori.
I nuovi Cardinali, secondo l’ordine di creazione, si inginocchiano poi dinanzi al Santo Padre che impone loro la Berretta cardinalizia, consegna l’anello e assegna a ciascuno una chiesa di Roma quale segno di partecipazione alla sollecitudine pastorale del Santo Padre nell’Urbe. Dopo la consegna della Bolla di creazione cardinalizia e di assegnazione del Titolo o della Diaconia, il Santo Padre Benedetto XVI scambia con ciascun neo Cardinale l’abbraccio di pace.
Di seguito riportiamo l’allocuzione che il Santo Padre pronuncia nel corso del Concistoro:

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE

«Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica».

Cari fratelli e sorelle!

Queste parole, che tra poco pronunceranno solennemente i nuovi Cardinali emettendo la professione di fede, fanno parte del simbolo niceno-costantinopolitano, la sintesi della fede della Chiesa che ognuno riceve al momento del Battesimo. Solo professando e custodendo intatta questa regola di verità siamo autentici discepoli del Signore. In questo Concistoro, vorrei soffermarmi in particolare sul significato del termine «cattolica», che indica un tratto essenziale della Chiesa e della sua missione. Il discorso sarebbe ampio e potrebbe essere impostato secondo diverse prospettive: oggi mi limiterò a qualche pensiero.
Le note caratteristiche della Chiesa rispondono al disegno divino, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica: «È Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche» (n. 811). Nello specifico, la Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma quale «Figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.
Gesù poi invia la sua Chiesa non ad un gruppo, ma alla totalità del genere umano per radunarlo, nella fede, in un unico popolo al fine di salvarlo, come esprime bene il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen gentium: «Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo Popolo di Dio. Perciò questo Popolo, restando uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si compia il disegno della volontà di Dio» (n. 13). L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio. Così, la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia tutto l’universo. Gli Apostoli rendono testimonianza a Cristo rivolgendosi a uomini provenienti da tutta la terra e ciascuno li comprende come se parlassero nella sua lingua nativa (cfr At 2,7-8). Da quel giorno la Chiesa con la «forza dello Spirito Santo», secondo la promessa di Gesù, annuncia il Signore morto e risorto «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). La missione universale della Chiesa, pertanto, non sale dal basso, ma scende dall’alto, dallo Spirito Santo, e fin dal suo primo istante è orientata ad esprimersi in ogni cultura per formare così l’unico Popolo di Dio. Non è tanto una comunità locale che si allarga e si espande lentamente, ma è come un lievito che è orientato all’universale, al tutto, e che porta in se stesso l’universalità.
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Con queste parole Gesù invia gli Apostoli a tutte le creature, perché giunga dovunque l’azione salvifica di Dio. Ma se guardiamo al momento dell’ascensione di Gesù al Cielo, narrata negli Atti degli Apostoli, vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione, pensano alla restaurazione di un nuovo regno davidico, e domandano al Signore: «è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6). Come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti e donando loro una promessa e un compito: promette che saranno ricolmi della potenza dello Spirito Santo e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere, per aprirsi al Regno universale di Dio. E agli inizi del cammino della Chiesa, gli Apostoli e i discepoli partono senza alcuna sicurezza umana, ma con l’unica forza dello Spirito Santo, del Vangelo e della fede. È il fermento che si sparge nel mondo, entra nelle diverse vicende e nei molteplici contesti culturali e sociali, ma rimane un’unica Chiesa. Intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono «la» Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale.
E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlano della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale della Catholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità.
Nel solco e nella prospettiva dell’unità e universalità della Chiesa si colloca anche il Collegio Cardinalizio: esso presenta una varietà di volti, in quanto esprime il volto della Chiesa universale. Attraverso questo Concistoro, in modo particolare, desidero porre in risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si esprime nelle varie culture dei diversi Continenti. È la Chiesa di Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto armonioso al Dio vivente.
Saluto cordialmente le Delegazioni ufficiali dei vari Paesi, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli laici delle diverse Comunità diocesane e tutti coloro che partecipano alla gioia dei nuovi membri del Collegio Cardinalizio, ai quali sono legati per il vincolo della parentela, dell’amicizia, della collaborazione. I nuovi Cardinali, che rappresentano varie Diocesi del mondo, sono da oggi aggregati, a titolo tutto speciale, alla Chiesa di Roma e rafforzano così i legami spirituali che uniscono la Chiesa intera, vivificata da Cristo e stretta attorno al Successore di Pietro. Nello stesso tempo, il rito odierno esprime il supremo valore della fedeltà. Infatti, nel giuramento che tra poco voi farete, venerati Fratelli, stanno scritte parole cariche di profondo significato spirituale ed ecclesiale: «Prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana». E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa indica «che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio». Mentre la consegna dell’anello sarà accompagnata dal monito: «Sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa».
Ecco indicata, in questi gesti e nelle espressioni che li accompagnano, la fisionomia che voi oggi assumete nella Chiesa. D’ora in poi voi sarete ancora più strettamente e intimamente uniti alla Sede di Pietro: i titoli o le diaconie delle chiese dell’Urbe vi ricorderanno il legame che vi stringe, come membri a titolo specialissimo, a questa Chiesa di Roma, che presiede alla carità universale. Specialmente mediante la vostra collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, sarete miei preziosi cooperatori, anzitutto nel ministero apostolico per l’intera cattolicità, quale Pastore dell’intero gregge di Cristo e primo garante della dottrina, della disciplina e della morale.
Cari amici, lodiamo il Signore, che «con larghezza di doni non cessa di arricchire la sua Chiesa sparsa nel mondo» (Orazione) e la rinvigorisce nella perenne giovinezza che le ha dato. A Lui affidiamo il nuovo servizio ecclesiale di questi stimati e venerati Fratelli, affinché possano rendere coraggiosa testimonianza a Cristo, nel dinamismo edificante della fede e nel segno di un incessante amore oblativo.

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Paparatzifan
00domenica 25 novembre 2012 22:35
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SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI NELLA SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO , 25.11.2012

Alle ore 9.30 di oggi, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la concelebrazione eucaristica con i 6 nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri.
All’inizio della Santa Messa l’Em.mo Card. James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le mura, primo tra i nuovi Cardinali, rivolge al Papa un indirizzo di saluto e gratitudine, a nome di tutti i Porporati.

OMELIA DEL SANTO PADRE



Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

La solennità odierna di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, si arricchisce dell’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di sei nuovi Membri che, secondo la tradizione, ho invitato questa mattina a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio più cordiale saluto, ringraziando il Cardinale James Michael Harvey per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto gli altri Porporati e tutti i Presuli presenti, come pure le distinte Autorità, i Signori Ambasciatori, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale dei nuovi Cardinali.
In quest’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa ci invita a celebrare il Signore Gesù quale Re dell’universo.
Ci chiama a rivolgere lo sguardo al futuro, o meglio in profondità, verso la meta ultima della storia, che sarà il regno definitivo ed eterno di Cristo. Egli era all’inizio con il Padre quando è stato creato il mondo, e manifesterà pienamente la sua signoria alla fine dei tempi, quando giudicherà tutti gli uomini. Le tre Letture di oggi ci parlano di questo regno. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, tratto dal racconto di San Giovanni, Gesù si trova in una situazione umiliante - quella di accusato -, davanti al potere romano. E’ stato arrestato, insultato, schernito, e ora i suoi nemici sperano di ottenerne la condanna al supplizio della croce. L’hanno presentato a Pilato come uno che aspira al potere politico, come il sedicente re dei Giudei. Il procuratore romano compie la sua indagine e interroga Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Rispondendo a questa domanda, Gesù chiarisce la natura del suo regno e della sua stessa messianicità, che non è potere mondano, ma amore che serve; Egli afferma che il suo regno non va assolutamente confuso con un qualsiasi regno politico: «Il mio regno non è di questo mondo … non è di quaggiù» (v. 36).
E’ chiaro che Gesù non ha nessuna ambizione politica. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasmata dal miracolo, lo voleva prendere per farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso. Ma Gesù sa che il regno di Dio è di tutt’altro genere, non si basa sulle armi e sulla violenza.
Ed è proprio la moltiplicazione dei pani che diventa, da un lato, segno della sua messianicità, ma, dall’altro, uno spartiacque nella sua attività: da quel momento il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro; lì, nel supremo atto di amore, risplenderà il regno promesso, il regno di Dio. Ma la folla non comprende, è delusa, e Gesù si ritira sul monte da solo a pregare (cfr Gv 6,1-15). A parlare col Padre. Nel racconto della Passione vediamo come anche i discepoli, pur avendo condiviso la vita con Gesù e ascoltato le sue parole, pensavano ad un regno politico, instaurato anche con l’aiuto della forza. Nel Getsemani, Pietro aveva sfoderato la sua spada e iniziato a combattere, ma Gesù lo aveva fermato (cfr Gv 18,10-11). Egli non vuole essere difeso con le armi, ma vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita. Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni.
Ed è per questo che davanti ad un uomo indifeso, fragile, umiliato, come è Gesù, un uomo di potere come Pilato rimane sorpreso; sorpreso perché sente parlare di un regno, di servitori. E pone una domanda che gli sarà sembrata paradossale: «Dunque tu sei re?». Che tipo di re può essere un uomo in quelle condizioni? Ma Gesù risponde in modo affermativo: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (18,37). Gesù parla di re, di regno, ma il riferimento non è al dominio, bensì alla verità. Pilato non comprende: ci può essere un potere che non si ottiene con mezzi umani? Un potere che non risponda alla logica del dominio e della forza? Gesù è venuto per rivelare e portare una nuova regalità, quella di Dio; è venuto per rendere testimonianza alla verità di un Dio che è amore (cfr 1 Gv 4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr Prefazio). Chi è aperto all’amore, ascolta questa testimonianza e l’accoglie con fede, per entrare nel regno di Dio.
Questa prospettiva la ritroviamo nella prima Lettura che abbiamo ascoltato. Il profeta Daniele predice il potere di un misterioso personaggio collocato tra cielo e terra: «Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (7,13-14). Sono parole che prospettano un re che domina da mare a mare fino ai confini della terra, con un potere assoluto che non sarà mai distrutto. Questa visione del Profeta, una visione messianica, viene illuminata e trova la sua realizzazione in Cristo: il potere del vero Messia, potere che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell’amore. Con ciò comprendiamo come la regalità annunciata da Gesù nelle parabole e rivelata in modo aperto ed esplicito davanti al Procuratore romano, è la regalità della verità, l’unica che dà a tutte le cose la loro luce e la loro grandezza. Nella seconda Lettura l’autore dell’Apocalisse afferma che anche noi partecipiamo alla regalità di Cristo. Nell’acclamazione rivolta a «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» dichiara che Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6).
Anche qui è chiaro che si tratta di un regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico. Con il suo sacrificio, Gesù ci ha aperto la strada per un rapporto profondo con Dio: in Lui siamo diventati veri figli adottivi, siamo resi così partecipi della sua regalità sul mondo.
Essere discepoli di Gesù significa, allora, non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell’amore di Dio. L’autore dell’Apocalisse allarga poi lo sguardo alla seconda venuta di Gesù per giudicare gli uomini e stabilire per sempre il regno divino, e ci ricorda che la conversione, come risposta alla grazia divina, è la condizione per l’instaurazione di questo regno (cfr 1,7).
E’ un forte invito rivolto a tutti e a ciascuno: convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita. Lo invochiamo quotidianamente nella preghiera del “Padre nostro” con le parole “Venga il tuo regno”, che è dire a Gesù: Signore facci essere tuoi, vivi in noi, raccogli l’umanità dispersa e sofferente, perché in Te tutto sia sottomesso al Padre della misericordia e dell’amore.
A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali – penso in particolare a quelli creati ieri – viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Fatevi imitatori di Gesù, il quale, davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all’estremo, donando la propria vita per le persone amate.
Questa è la rivelazione del regno di Gesù. E per questo, con un cuore solo ed un’anima sola, preghiamo: «Adveniat regnum tuum». Amen.

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Paparatzifan
00domenica 25 novembre 2012 22:37
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 25.11.2012

Al termine della Concelebrazione eucaristica con i nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi la Chiesa celebra Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.
Questa solennità è posta al termine dell’anno liturgico e riassume il mistero di Gesù «primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra» (Orazione Colletta Anno B), allargando il nostro sguardo verso la piena realizzazione del Regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).
San Cirillo di Gerusalemme afferma: «Noi annunciamo non solo la prima venuta di Cristo, ma anche una seconda molto più bella della prima. La prima, infatti, fu una manifestazione di patimento, la seconda porta il diadema della regalità divina; … nella prima fu sottoposto all’umiliazione della croce, nella seconda è attorniato e glorificato da una schiera di angeli» (Catechesis XV,1 Illuminandorum, De secundo Christi adventu: PG 33, 869 A). Tutta la missione di Gesù e il contenuto del suo messaggio consistono nell’annunciare il Regno di Dio e attuarlo in mezzo agli uomini con segni e prodigi. «Ma – come ricorda il Concilio Vaticano II – innanzitutto il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo» (Cost. dogm. Lumen gentium, 5), che lo ha instaurato mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione, con cui si è manifestato quale Signore e Messia e Sacerdote in eterno.
Questo Regno di Cristo è stato affidato alla Chiesa, che ne è «germe» ed «inizio» e ha il compito di annunciarlo e diffonderlo tra tutte le genti, con la forza dello Spirito Santo (cfr ibid.). Al termine del tempo stabilito, il Signore consegnerà a Dio Padre il Regno e gli presenterà tutti coloro che hanno vissuto secondo il comandamento dell’amore.
Cari amici, tutti noi siamo chiamati a prolungare l’opera salvifica di Dio convertendoci al Vangelo, ponendoci con decisione al seguito di quel Re che non è venuto per essere servito ma per servire e per dare testimonianza alla verità (cfr Mc 10,45; Gv 18,37).
In questa prospettiva invito tutti a pregare per i sei nuovi Cardinali che ieri ho creato, affinché lo Spirito Santo li rafforzi nella fede e nella carità e li ricolmi dei suoi doni, così che vivano la loro nuova responsabilità come un’ulteriore dedizione a Cristo e al suo Regno. Questi nuovi membri del Collegio Cardinalizio ben rappresentano la dimensione universale della Chiesa: sono Pastori di Chiese nel Libano, in India, in Nigeria, in Colombia, nelle Filippine, e uno di essi è da lungo tempo al servizio della Santa Sede.
Invochiamo la protezione di Maria Santissima su ciascuno di essi e sui fedeli affidati al loro servizio. La Vergine ci aiuti tutti a vivere il tempo presente in attesa del ritorno del Signore, chiedendo con forza a Dio: «Venga il tuo Regno», e compiendo quelle opere di luce che ci avvicinano sempre più al Cielo, consapevoli che, nelle tormentate vicende della storia, Dio continua a costruire il suo Regno di amore.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, a Macas, in Eucador, è stata proclamata Beata Maria Troncatti, Suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nata in Val Camonica. Infermiera durante la prima Guerra Mondiale, partì poi per l’Ecuador, dove si spese interamente al servizio delle popolazioni della selva, nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Rendiamo grazie a Dio per questa sua generosa testimone!

Sabato prossimo, 1° dicembre, avrà luogo il pellegrinaggio degli universitari di Roma alla Tomba di San Pietro, in occasione dell’Anno della fede. Per loro presiederò la celebrazione dei Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento.

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les Libanais venus nombreux accompagner leur nouveau Cardinal. Nous célébrons aujourd’hui la Solennité du Christ Roi de l’univers. Sa royauté ne réside pas dans le pouvoir, l’honneur, la richesse, mais dans la faiblesse et l’anéantissement de la croix par amour pour nous sauver. Laissons le Christ convertir nos cœurs et nos mentalités, pour reconnaître que la véritable grandeur de l’homme et sa plénitude sont uniquement dans l’être avec Dieu, et dans l’amour reçu et donné. Puisse sa bénédiction descendre sur toute l’humanité et la conduire vers la paix ! Bonne fête à tous !

I offer a warm welcome to all the English-speaking pilgrims and visitors gathered for this Angelus prayer, especially those who have accompanied the new Cardinals created in yesterday’s Consistory. Today, on the Solemnity of Christ the King, the Church invites us to contemplate the Lordship of the Risen Saviour and to pray for the coming of his Kingdom. May Christ’s peace always reign in your hearts!

Mit Freude heiße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Der heutige Christkönigssonntag bildet den Abschluß des Kirchenjahres. Wir schauen auf Christus, dessen Königtum nicht irdische Macht oder Herrschaft bedeutet; es besteht darin, für die Wahrheit Zeugnis abzulegen und sein Leben hinzugeben für die Rettung der Welt. Beten wir heute auch für die neuen Kardinäle, die dem Nachfolger des heiligen Petrus in seinem Dienst für die ganze Kirche in besonderer Weise zur Seite stehen. Der Herr lasse sie stets auf seine Stimme hören und mache sie zu Zeugen für seine Wahrheit und Liebe. Der Heilige Geist führe und leite uns alle auf allen unseren Wegen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de las parroquias de Granada, Málaga, Torremolinos y Baza, así como a los Obispos, sacerdotes, religiosos y laicos de Colombia, que han venido acompañando al Arzobispo de Bogotá, que ha sido agregado al Colegio cardenalicio. Por intercesión de la Virgen María, Madre de la Iglesia, y de la nueva beata Maria Troncatti, que ayer en Ecuador fue elevada a la gloria de los altares, pidamos a Jesucristo, Rey del Universo, que ilumine y fortalezca con su gracia al nuevo Purpurado, y que a todos nosotros nos aumente la fe y nos conceda perseverar en su amor hasta el final de nuestra vida. Que Dios os bendiga.

Witam serdecznie Polaków, uczestników dzisiejszej Mszy świętej ku czci Chrystusa Króla i modlitwy Anioł Pański. Módlmy się za nowych kardynałów. Prośmy, by Kościół był królestwem prawdy, sprawiedliwości, miłości i pokoju. Niech Chrystus króluje w naszych sercach i nam wszystkim błogosławi.

[Saluto cordialmente i Polacchi partecipanti alla santa Messa di oggi in onore di Cristo Re e alla preghiera dell’Angelus. Preghiamo per i nuovi Cardinali. Chiediamo che la Chiesa cresca come regno di verità, di giustizia, di amore e di pace. Che Cristo regni nei nostri cuori e ci benedica tutti.]

E, infine, rivolgo un saluto molto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al gruppo della Polizia Municipale di Agropoli e ai ragazzi dell’Unità di Pastorale Giovanile «San Filippo Neri» della Diocesi di Milano. Saluto i fedeli di Genzano di Lucania, accompagnati dall’Arcivescovo di Acerenza, come pure quelli di Tivoli Terme. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Buona festa. Auguri!

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Paparatzifan
00lunedì 26 novembre 2012 21:39
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SANTA MESSA CON I NUOVI CARDINALI NELLA SOLENNITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL CARD. JAMES MICHAEL HARVEY


Beatissimo Padre,

a nome anche dei miei confratelli, nuovi membri del Collegio Cardinalizio, esprimo profonda e sentita gratitudine per l’onore che Vostra Santità ha conferito a ciascuno di noi, confermando la nostra promessa di totale fedeltà al Vangelo e a Lei unitamente al filiale ed incondizionato sostegno, usque ad effusionem sanguinis.
Sono presenti dinanzi a Vostra Santità Pastori di Chiese antiche, testimoni forti e coraggiosi della fede in Cristo Gesù, Nostro Signore; professano inoltre sincera devozione al Successore di Pietro, unitamente alle rigogliose comunità loro affidate, Pastori di Chiese fondate sul sacrificio dei martiri missionari e fecondate dalla loro autentica testimonianza, portata sino ai confini della terra. Da questi confini lontani oggi, Ella benevolmente ci associa al clero di questa Alma Urbe.
Padre Santo, quando accettò l’onere del Ministero Petrino nell'anno 2005, la Chiesa e il mondo La conoscevano come una mente eletta, come uno dei grandi teologi del nostro tempo. Ora, dopo più di sette anni e mezzo, la Chiesa e il mondo hanno potuto conoscerLa meglio; essi hanno compreso che la Sua straordinaria padronanza delle verità della dottrina cristiana e la Sua singolare capacità di rendere vive tali verità attraverso le catechesi e le omelie, affondano le loro radici in una fede profonda: questa Sua fede, ne siamo certi, si è arricchita lungo una vita di studio e di insegnamento, guidata dalla regula fidei e nutrita dalla Liturgia della Chiesa.
La Sua vita di studioso – come sacerdote e professore, come vescovo diocesano, come Prefetto nella Curia Romana, e da ultimo come Vescovo di Roma – è stata una lezione vivente attestante che la teologia più profonda non è quella articolata a tavolino, ma quella elaborata stando in ginocchio. Padre Santo, Lei ci ha fatto maggiormente comprendere che la teologia deve sempre ritornare alla Parola di Dio come suo “fondamento perenne” (Dei Verbum 24). È infatti attraverso il costante riferimento alla Parola che la scienza teologica, come insiste il Concilio Vaticano II, “vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo” (Dei Verbum, 24). Proponendo questo insegnamento del Concilio nei Suoi scritti, nella Sua predicazione e nel Suo magistero, Lei permette di percepire la chiamata rivolta a tutti i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e i catechisti a “conservare un contatto continuo con le Sacre Scritture” (Dei Verbum, 25) per incontrare il Verbo divino che parla a noi attraverso la Parola di Dio, in modo che possiamo offrire ai fratelli l’amicizia con Lui, con il Padre Suo e con lo Spirito Santo. Tale offerta di amicizia con il Signore Gesù costituisce il cuore della Nuova Evangelizzazione alla quale Lei, come il Suo immediato predecessore, ha richiamato la Chiesa in ogni angolo del mondo. La Chiesa esiste per rispondere alla Grande Missione di predicare il Vangelo ad gentes. In questo provvidenziale Anno della Fede, noi cercheremo con maggiore vigore di mettere a servizio del mondo il dono più bello di cui siamo resi capaci: condividere con tutta l’umanità la Via, la Verità e la Vita, Colui che avvicina dolcemente ifratelli e le sorelle al Trono della Grazia affinché si compia pienamente il loro destino umano.
Nell’accettare dalle Sue mani l’onore del Cardinalato, ci impegniamo con piena volontà, sorretti dalla Grazia divina, ad essere operatori perseveranti e responsabili della Nuova Evangelizzazione, conformando innanzitutto le nostre vite nel modo più aderente al Vangelo, per così offrire al prossimo l’agognata amicizia con il Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo ed unico Salvatore del mondo, Rivelazione suprema della verità su Dio e sull’uomo.

Bollettino Ufficiale Santa Sede


Paparatzifan
00lunedì 26 novembre 2012 22:12
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UDIENZA AI NUOVI CARDINALI, CON I FAMILIARI E I FEDELI CONVENUTI PER IL CONCISTORO, 26.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza gli Em.mi Cardinali creati sabato 24 novembre, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle loro diocesi convenuti a Roma per il Concistoro, e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Cari amici!

Con animo grato al Signore, vogliamo oggi prolungare i sentimenti e le emozioni, che abbiamo vissuto ieri e l'altro ieri, in occasione della creazione di 6 nuovi Cardinali. Sono stati momenti di intensa preghiera e di profonda comunione, vissuti nella consapevolezza di un evento che riguarda la Chiesa universale, chiamata ad essere segno di speranza per tutti i popoli. Sono pertanto lieto di accogliervi anche quest'oggi, in quest'incontro semplice e familiare e di rivolgere il mio cordiale saluto ai neo-Porporati, come pure ai loro parenti, amici e a quanti li accompagnano in questa circostanza così solenne e importante.

I extend a cordial greeting to the English-speaking Prelates whom I had the joy of raising to the dignity of Cardinal in last Saturday's Consistory: Cardinal James Michael Harvey, Archpriest of the Papal Basilica of Saint Paul's Outside the Walls; Cardinal Baselios Cleemis Thottunkal, Major Archbishop of Trivandrum of the Syro-Malankaras (India); Cardinal John Olorunfemi Onaiyekan, Archbishop of Abuja (Nigeria); and Cardinal Luis Antonio Tagle, Archbishop of Manila (Philippines).

I also welcome their family members and friends, and all the faithful who accompany them here today.
The College of Cardinals, whose origin is linked to the ancient clergy of the Roman Church, is charged with electing the Successor of Peter and advising him in matters of greater importance. Whether in the offices of the Roman Curia or in their ministry in the local Churches throughout the world, the Cardinals are called to share in a special way in the Pope's solicitude for the universal Church. The vivid colour of their robes has traditionally been seen as a sign of their commitment to defending Christ's flock even to the shedding of their blood. As the new Cardinals assume the burden of office, I am confident that they will be supported by your prayers and assistance as they strive with the Roman Pontiff to promote throughout the world the holiness, communion and peace of the Church.

[Porgo un cordiale saluto ai prelati anglofoni che ho avuto la gioia di elevare alla dignità di Cardinali nel Concistoro di sabato scorso: il Cardinale James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura; il Cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India); il Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja (Nigeria); e il Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo di Manila (Filippine).
Do anche il benvenuto ai loro familiari e ai loro amici, e a tutti i fedeli che li accompagnano oggi qui.
Il Collegio dei Cardinali, la cui origine è legata all'antico clero della Chiesa di Roma, ha il compito di eleggere il Successore di Pietro e di consigliarlo nelle questioni di maggiore importanza. Sia negli uffici della Curia Romana sia nel loro ministero nelle Chiese locali in tutto il mondo, i Cardinali sono chiamati a condividere in modo particolare la sollecitudine del Papa per la Chiesa universale. Il vivido colore delle loro vesti è stato tradizionalmente visto come un segno del loro impegno nel difendere il gregge di Cristo, fino allo spargimento del sangue. Mentre i nuovi Cardinali assumono l'onere dell'ufficio, confido che saranno sostenuti dalle vostre preghiere e dal vostro aiuto quando, con il Romano Pontefice, si sforzeranno di promuovere in tutto il mondo la santità, la comunione e la pace della Chiesa.].

Je salue cordialement les pèlerins francophones, et surtout les Libanais, dans l'heureux souvenir de ma toute récente Visite apostolique dans leur pays, motivée avant tout par la signature de l'Exhortation apostolique post-synodale Ecclesia in Medio Oriente. Par le cardinalat du patriarche Boutros Raï, je désire encourager particulièrement la vie et la présence des chrétiens au Moyen-Orient où ils doivent pouvoir vivre librement leur foi, et lancer une nouvelle fois un appel pressant à la paix dans la Région. L'Église encourage tout effort en vue de la paix dans le monde et au Moyen-Orient, paix qui ne sera effective que si elle se base sur un authentique respect de l'autre. Puisse le temps de l'Avent qui est à notre porte, nous faire redécouvrir la grandeur du Christ, vrai homme et vrai Dieu, venu dans le monde pour sauver tous les hommes et apporter la paix et la réconciliation! Bon pèlerinage à tous!

[Saluto cordialmente i pellegrini francofoni, e soprattutto i libanesi, nel lieto ricordo della mia recente visita apostolica nel loro Paese, motivata in primo luogo dalla firma dell'Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente. Attraverso il cardinalato del Patriarca Boutros Raï, desidero incoraggiare in modo particolare la vita e la presenza dei cristiani in Medio Oriente, dove devono poter vivere liberamente la propria fede e lanciare ancora una volta un pressante appello alla pace nella Regione. La Chiesa incoraggia ogni sforzo in vista della pace nel mondo e in Medio Oriente, pace che sarà effettiva solo se si baserà su un autentico rispetto dell'altro. Possa il tempo dell'Avvento che è alle porte farci riscoprire la grandezza di Cristo, vero uomo e vero Dio, venuto nel mondo per salvare tutti gli uomini e per portare la pace e la riconciliazione! Buon pellegrinaggio a tutti!].

Saludo con vivo afecto al cardenal Rubén Salazar Gómez, arzobispo metropolitano de Bogotá y presidente de la Conferencia Episcopal de Colombia, y a los familiares, obispos, sacerdotes, religiosos y laicos que le acompañan y participan de su gozo íntimo y espiritual al ser incorporado al Colegio Cardenalicio. Invito a todos a elevar fervientes oraciones por el nuevo purpurado, para que esté cada vez más unido al Sucesor de Pedro y colabore infatigablemente con la Sede Apostólica. Pidamos a Dios igualmente que le asista con sus dones, para que siga siendo testigo de la verdad del Evangelio de la salvación, exponiendo con rectitud y fidelidad su contenido y llevando a todos la fuerza redentora de Cristo. Que María Santísima, que en aquellas nobles tierras se invoca bajo el dulce Nombre de Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá, le sostenga siempre con su amor de Madre, así como a todos los queridos hijos e hijas de Colombia, a quienes tengo muy presentes en mi corazón y plegaria, para que avancen en paz y concordia por los caminos de la justicia, la reconciliación y la solidaridad.

[Saluto con vivo affetto il Cardinale Rubén Salazar Gómez, Arcivescovo metropolita di Bogotá e Presidente della Conferenza episcopale di Colombia, e i familiari, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici che lo accompagnano e partecipano alla sua gioia intima e spirituale nell'essere incorporato nel Collegio Cardinalizio. Invito tutti a levare ferventi preghiere per il nuovo porporato, affinché sia sempre più unito al Successore di Pietro e collabori instancabilmente con la Sede Apostolica. Chiediamo altresì a Dio che lo assista con i suoi doni, affinché continui a essere testimone della verità del Vangelo della salvezza, esponendo con rettitudine e fedeltà il suo contenuto e portando a tutti la forza redentrice di Cristo. Che Maria Santissima, che in quella nobile terra viene invocata con il dolce nome di Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá, lo sostenga sempre con il suo amore di Madre, e sostenga tutti gli amati figli e figlie della Colombia, che ho molto presenti nel mio cuore e nella mia preghiera, cosicché avanzino in pace e concordia lungo le vie della giustizia, della riconciliazione e della solidarietà.].

Cari e venerati Fratelli che siete entrati a far parte del Collegio cardinalizio! Il vostro ministero si arricchisce di un nuovo impegno nel sostenere il Successore di Pietro, nel suo universale servizio alla Chiesa. Pertanto, mentre rinnovo a ciascuno di voi il mio augurio più cordiale, confido nel sostegno della vostra preghiera e nel vostro prezioso aiuto. Proseguite fiduciosi e forti nella vostra missione spirituale e apostolica, mantenendo fisso lo sguardo su Cristo e rafforzando il vostro amore per la sua Chiesa. Questo amore lo possiamo imparare anche dai Santi, che sono la realizzazione più compiuta della Chiesa: essi l'hanno amata e, lasciandosi plasmare da Cristo, hanno speso totalmente la loro vita perché tutti gli uomini siano illuminati dalla luce di Cristo che splende sul volto della Chiesa (Conc. Ecum. Vat. ii, Cost. dogm. Lumen gentium, 1). Invoco su di voi e sui presenti la materna protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, e di cuore imparto a voi e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.


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Paparatzifan
00venerdì 30 novembre 2012 03:32
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L’UDIENZA GENERALE, 28.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per richiamare l’attenzione sul flagello dell’AIDS, in prossimità della Giornata Mondiale contro l’AIDS che ricorre il 1° dicembre.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. L'Anno della fede. Come parlare di Dio?

Cari fratelli e sorelle,


La domanda centrale che oggi ci poniamo è la seguente: come parlare di Dio nel nostro tempo? Come comunicare il Vangelo, per aprire strade alla sua verità salvifica nei cuori spesso chiusi dei nostri contemporanei e nelle loro menti talvolta distratte dai tanti bagliori della società? Gesù stesso, ci dicono gli Evangelisti, nell’annunciare il Regno di Dio si è interrogato su questo: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4,30).
Come parlare di Dio oggi? La prima risposta è che noi possiamo parlare di Dio, perché Egli ha parlato con noi. La prima condizione del parlare di Dio è quindi l’ascolto di quanto ha detto Dio stesso. Dio ha parlato con noi! Dio non è quindi una ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi. Quindi, Dio è una realtà della nostra vita, è così grande che ha anche tempo per noi, si occupa di noi. In Gesù di Nazaret noi incontriamo il volto di Dio, che è sceso dal suo Cielo per immergersi nel mondo degli uomini, nel nostro mondo, ed insegnare l’«arte di vivere», la strada della felicità; per liberarci dal peccato e renderci figli di Dio (cfrEf 1,5; Rm 8,14). Gesù è venuto per salvarci e mostrarci la vita buona del Vangelo.
Parlare di Dio vuol dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia ed è presente nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere. Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito Santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale e concreto, un Dio che si interessa di noi, un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera. Quell’eccezionale comunicatore che fu l’apostolo Paolo ci offre una lezione che va proprio al centro della fede del problema “come parlare di Dio” con grande semplicità. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (2,1-2). Quindi la prima realtà è che Paolo non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive, ha parlato con lui e parlerà con noi, parla del Cristo crocifisso e risorto. La seconda realtà è che Paolo non cerca se stesso, non vuole crearsi una squadra di ammiratori, non vuole entrare nella storia come capo di una scuola di grandi conoscenze, non cerca se stesso, ma San Paolo annuncia Cristo e vuole guadagnare le persone per il Dio vero e reale. Paolo parla solo con il desiderio di voler predicare quello che è entrato nella sua vita e che è la vera vita, che lo ha conquistato sulla via di Damasco. Quindi, parlare di Dio vuol dire dare spazio a Colui che ce lo fa conoscere, che ci rivela il suo volto di amore; vuol dire espropriare il proprio io offrendolo a Cristo, nella consapevolezza che non siamo noi a poter guadagnare gli altri a Dio, ma dobbiamo attenderli da Dio stesso, invocarli da Lui. Il parlare di Dio nasce quindi dall’ascolto, dalla nostra conoscenza di Dio che si realizza nella familiarità con Lui, nella vita della preghiera e secondo i Comandamenti.
Comunicare la fede, per san Paolo, non significa portare se stesso, ma dire apertamente e pubblicamente quello che ha visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua esistenza ormai trasformata da quell’incontro: è portare quel Gesù che sente presente in sé ed è diventato il vero orientamento della sua vita, per far capire a tutti che Egli è necessario per il mondo ed è decisivo per la libertà di ogni uomo.
L’Apostolo non si accontenta di proclamare delle parole, ma coinvolge tutta la propria esistenza nella grande opera della fede. Per parlare di Dio, bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza: fargli spazio senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa. E questo vale anche per le comunità cristiane: esse sono chiamate a mostrare l’azione trasformante della grazia di Dio, superando individualismi, chiusure, egoismi, indifferenza e vivendo nei rapporti quotidiani l’amore di Dio. Domandiamoci se sono veramente così le nostre comunità. Dobbiamo metterci in moto per divenire sempre e realmente così, annunciatori di Cristo e non di noi stessi.
A questo punto dobbiamo domandarci come comunicava Gesù stesso. Gesù nella sua unicità parla del suo Padre - Abbà - e del Regno di Dio, con lo sguardo pieno di compassione per i disagi e le difficoltà dell’esistenza umana. Parla con grande realismo e, direi, l’essenziale dell’annuncio di Gesù è che rende trasparente il mondo e la nostra vita vale per Dio. Gesù mostra che nel mondo e nella creazione traspare il volto di Dio e ci mostra come nelle storie quotidiane della nostra vita Dio è presente. Sia nelle parabole della natura, il grano di senapa, il campo con diversi semi, o nella vita nostra, pensiamo alla parabola del figlio prodigo, di Lazzaro e ad altre parabole di Gesù. Dai Vangeli noi vediamo come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo, con una fiducia piena nell’aiuto del Padre. E che realmente in questa storia, nascostamente, Dio è presente e se siamo attenti possiamo incontrarlo. E i discepoli, che vivono con Gesù, le folle che lo incontrano, vedono la sua reazione ai problemi più disparati, vedono come parla, come si comporta; vedono in Lui l’azione dello Spirito Santo, l’azione di Dio. In Lui annuncio e vita si intrecciano: Gesù agisce e insegna, partendo sempre da un intimo rapporto con Dio Padre. Questo stile diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità, il realismo di quello che diciamo con le parole, che non sono solo parole, ma mostrano la realtà, la vera realtà.
E in questo dobbiamo essere attenti a cogliere i segni dei tempi nella nostra epoca, ad individuare cioè le potenzialità, i desideri, gli ostacoli che si incontrano nella cultura attuale, in particolare il desiderio di autenticità, l’anelito alla trascendenza, la sensibilità per la salvaguardia del creato, e comunicare senza timore la risposta che offre la fede in Dio. L’Anno della fede è occasione per scoprire, con la fantasia animata dallo Spirito Santo, nuovi percorsi a livello personale e comunitario, affinché in ogni luogo la forza del Vangelo sia sapienza di vita e orientamento dell’esistenza.
Anche nel nostro tempo, un luogo privilegiato per parlare di Dio è la famiglia, la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni. Il Concilio Vaticano II parla dei genitori come dei primi messaggeri di Dio (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 11; Decr. Apostolicam actuositatem, 11), chiamati a riscoprire questa loro missione, assumendosi la responsabilità nell’educare, nell’aprire le coscienze dei piccoli all’amore di Dio come un servizio fondamentale alla loro vita, nell’essere i primi catechisti e maestri della fede per i loro figli. E in questo compito è importante anzitutto la vigilanza, che significa saper cogliere le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e per far maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli. Questa attenzione dei genitori è anche sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo dei figli, a volte evidenti, a volte nascoste.
Poi, la gioia: la comunicazione della fede deve sempre avere una tonalità di gioia. E’ la gioia pasquale, che non tace o nasconde le realtà del dolore, della sofferenza, della fatica, della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana. La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione. È importante aiutare tutti i membri della famiglia a comprendere che la fede non è un peso, ma una fonte di gioia profonda, è percepire l’azione di Dio, riconoscere la presenza del bene, che non fa rumore; ed offre orientamenti preziosi per vivere bene la propria esistenza. Infine, la capacità di ascolto e di dialogo: la famiglia deve essere un ambiente in cui si impara a stare insieme, a ricomporre i contrasti nel dialogo reciproco, che è fatto di ascolto e di parola, a comprendersi e ad amarsi, per essere un segno, l’uno per l’altro, dell’amore misericordioso di Dio.
Parlare di Dio, quindi, vuol dire far comprendere con la parola e con la vita che Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante della grandezza della persona umana. Così ritorniamo all’inizio: parlare di Dio è comunicare, con forza e semplicità, con la parola e con la vita, ciò che è essenziale: il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi; quel Dio che chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni; quel Dio che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio.


APPELLO

Il prossimo 1° dicembre ricorre la Giornata Mondiale contro l’AIDS, iniziativa delle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione su una malattia che ha causato milioni di morti e tragiche sofferenze umane, accentuate nelle regioni più povere del mondo, che con grande difficoltà possono accedere a farmaci efficaci. In particolare, il mio pensiero va al grande numero di bambini che ogni anno contraggono il virus dalle proprie madri, nonostante vi siano terapie per impedirlo. Incoraggio le numerose iniziative che, nell’ambito della missione ecclesiale, sono promosse per debellare questo flagello.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i sacerdoti, religiosi e seminaristi della Diocesi di Macerata - grazie! - accompagnati dal Vescovo, Mons. Claudio Giuliodori e i Frati Minori della Provincia Siciliana: la visita alle Tombe degli Apostoli sia occasione per un nuovo slancio di fede nelle iniziative pastorali. Sono lieto di accogliere i membri della Corte dei Conti della Repubblica Italiana, nel 150° anniversario di fondazione, e auguro a questa Istituzione un proficuo servizio per il bene comune. Saluto inoltre la delegazione di Cervia per la tradizionale consegna del sale e gli appartenenti all’Associazione Civicrazia.

Rivolgo infine un affettuoso pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Il tempo di Avvento che sta per iniziare sia di stimolo per voi, cari giovani, a riscoprire l’importanza della fede in Cristo; aiuti voi, cari ammalati, ad affrontare le vostre sofferenze con lo sguardo rivolto al Bambino Gesù; accresca in voi, cari sposi novelli, il senso della presenza di Dio nella vostra nuova famiglia.


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Paparatzifan
00sabato 1 dicembre 2012 17:52
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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (3° GRUPPO), 30.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (3° gruppo: province ecclesiastiche di Clermont, Lyon, Marseille, Montpellier e Toulouse), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

Conservo sempre vivo il ricordo del mio viaggio apostolico in Francia in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni a Lourdes dell'Immacolata Concezione. Siete l'ultimo dei tre gruppi di vescovi di Francia venuti in visita ad limina. La ringrazio, eminenza, per le sue cordiali parole. Rivolgendomi a quanti vi hanno preceduto, ho aperto una sorta di trittico la cui indispensabile predella potrebbe essere il discorso che vi ho rivolto a Lourdes nel 2008. L'esame di questo insieme inscindibile vi sarà certamente utile e guiderà le vostre riflessioni.
Voi siete responsabili di regioni in cui la fede cristiana si è radicata molto presto e ha recato frutti ammirevoli. Regioni legate a nomi illustri che si sono adoperati tanto per il radicamento e la crescita del Regno di Dio in questo mondo: martiri come Potino e Blandina, grandi teologi come Ireneo e Vincenzo di Lérins, maestri della spiritualità cristiana come Bruno, Bernardo, Francesco di Sales e tanti altri. La Chiesa in Francia s'iscrive in una lunga stirpe di santi, dottori, martiri e confessori della fede. Siete gli eredi di una grande esperienza umana e di un'immensa ricchezza spirituale, che, senza alcun dubbio, sono quindi per voi fonte d'ispirazione nella vostra missione di pastori.
Queste origini e questo passato glorioso, sempre presenti nel nostro pensiero e tanto cari al nostro spirito, ci permettono di nutrire una grande speranza, insieme salda e audace, al momento di raccogliere le sfide del terzo millennio e di ascoltare le aspettative degli uomini della nostra epoca, alle quali Dio solo può dare una risposta soddisfacente. La Buona Novella che abbiamo il compito di annunciare agli uomini di tutti i tempi, di tutte le lingue e di tutte le culture, si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell'uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l'umanità: «Dio è amore» (cfr. i Gv), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli. La costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n. 10) ha affrontato le questioni chiave dell'esistenza umana, sul senso della vita e della morte, del male, della malattia e della sofferenza, così presenti nel nostro mondo. Ha ricordato che, nella sua bontà paterna, Dio ha voluto dare delle risposte a tutti questi interrogativi e che Cristo ha fondato la sua Chiesa affinché tutti gli uomini potessero conoscerle. Perciò uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell'ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne, compresi alcuni fedeli cattolici (cfr. esortazione apostolica Christifideles laici, capitolo v).
Per questo motivo la nuova evangelizzazione, nella quale la Chiesa si è risolutamente impegnata dal concilio Vaticano II e della quale il motu proprio Ubicumque et semper ha delineato le principali modalità, si presenta con un'urgenza particolare, come hanno sottolineato i padri del Sinodo che si è da poco concluso. Essa chiede a tutti i cristiani di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3, 15), consapevole che uno degli ostacoli più temibili della nostra missione pastorale è l'ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un'ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente nella ricerca del senso della vita e della felicità. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l'incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l'arte e la cultura europee.
Nell'attuale Anno della fede, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella nota del 6 gennaio 2012, ha dato le indicazioni pastorali auspicabili per mobilitare tutte le energie della Chiesa, l'azione dei suoi pastori e dei suoi fedeli, al fine di animare in profondità la società. È lo Spirito Santo che, «con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova» (Lumen gentium, 4).
Questa nota ricorda che «ogni iniziativa per l'Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest'Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell'uomo, Re dell'Universo, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2)». Il Sinodo dei vescovi ha proposto di recente a tutti e a ognuno i mezzi per condurre a buon fine questa missione. L'esempio del nostro divino Maestro è sempre il fondamento di tutta la nostra riflessione e della nostra azione. Preghiera e azione, questi sono i mezzi che il nostro Salvatore ci chiede ancora e sempre di utilizzare.
La nuova evangelizzazione sarà efficace se coinvolgerà a fondo le comunità e le parrocchie. I segni di vitalità e l'impegno dei fedeli laici nella società francese sono già una realtà incoraggiante. Molti sono stati in passato gli impegni dei laici; penso a Pauline-Marie Jaricot, della cui morte abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario, e alla sua opera per la diffusione della fede, così determinante per le missioni cattoliche nel XIX e XX secolo. I laici, con i loro vescovi e i sacerdoti, sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione. In diversi suoi documenti (Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, tra gli altri), il concilio Vaticano II ha sottolineato la specificità della loro missione: permeare le realtà umane dello spirito del Vangelo. I laici sono il volto del mondo nella Chiesa e allo stesso tempo il volto della Chiesa nel mondo. Conosco il valore e la qualità del multiforme apostolato dei laici, uomini e donne. Unisco la mia voce alla vostra per esprimere loro i miei sentimenti di stima.
La Chiesa in Europa e in Francia non può restare indifferente dinanzi alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali, e neppure degli altri tipi di chiamate che Dio suscita nella Chiesa. È urgente mobilitare tutte le energie disponibili, affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore. Dio chiama chi vuole e quando vuole. Tuttavia, le famiglie cristiane e le comunità ferventi restano terreni particolarmente favorevoli. Queste famiglie, queste comunità e questi giovani sono dunque al centro di ogni iniziativa di evangelizzazione, malgrado un contesto culturale e sociale segnato dal relativismo e dall'edonismo.
Essendo i giovani la speranza e il futuro della Chiesa e del mondo, non voglio tralasciare di menzionare l'importanza dell'educazione cattolica. Questa svolge un compito ammirevole, spesso difficile, reso possibile dall'instancabile dedizione dei formatori: sacerdoti, persone consacrate o laici. Al di là del sapere trasmesso, la testimonianza di vita dei formatori deve permettere ai giovani di assimilare i valori umani e cristiani al fine di tendere alla ricerca e all'amore del vero e del bello (cfr. Gaudium et spes, 15). Continuate a incoraggiarli e ad aprire loro nuove prospettive affinché beneficino anche dell'evangelizzazione. Gli istituti cattolici sono chiaramente al primo posto nel grande dialogo tra la fede e la cultura. L'amore per la verità che irradiano è di per sé evangelizzatore. Sono ambiti d'insegnamento e di dialogo, e anche centri di ricerca, che devono essere sempre più sviluppati, più ambiziosi.
Conosco bene il contributo che la Chiesa in Francia ha apportato alla cultura cristiana. So della vostra attenzione -- e vi incoraggio in tal senso -- a coltivare il rigore accademico e a tessere legami più intensi di comunicazione e di collaborazione con università di altri Paesi, sia perché beneficino degli ambiti in cui eccellete, sia perché impariate da loro, al fine di servire sempre meglio la Chiesa, la società, l'intero uomo. Sottolineo con gratitudine le iniziative prese in alcune vostre diocesi per favorire l'iniziazione teologica di giovani studenti di discipline profane.
La teologia è una fonte di sapienza, di gioia, di meraviglia che non può essere riservata solo ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate. Proposta a numerosi giovani e adulti, essa li conforterà nella fede e farà di loro, senza alcun dubbio, apostoli audaci e convincenti. È dunque una prospettiva che potrebbe essere ampiamente proposta agli istituti superiori di teologia, come espressione della dimensione intrinsecamente missionaria della teologia e come servizio della cultura nel suo significato più profondo.
Quanto alle scuole cattoliche che hanno modellato la vita cristiana e culturale del vostro Paese, esse hanno oggi una responsabilità storica. Ambito di trasmissione del sapere e di formazione della persona, di accoglienza incondizionata e di apprendimento della vita in comune, godono spesso di un meritato prestigio. È necessario trovare i percorsi affinché la trasmissione della fede resti al centro del loro progetto educativo. La nuova evangelizzazione passa per queste scuole e per la multiforme opera dell'educazione cattolica che sottende numerose iniziative e movimenti, per la qual cosa la Chiesa è riconoscente. L'educazione ai valori cristiani è la chiave della cultura del vostro Paese. Aprendo alla speranza e alla libertà autentica, essa continuerà ad apportarle dinamismo e creatività. L'ardore conferito alla nuova evangelizzazione sarà il nostro contributo migliore allo sviluppo della società umana e la risposta migliore alle sfide di ogni tipo che tutti devono affrontare in questo inizio del terzo millennio. Cari fratelli nell'episcopato, affido voi, come pure il vostro lavoro pastorale e l'insieme delle comunità che vi sono state affidate, alla sollecitudine materna della Vergine Maria che vi accompagnerà nella vostra missione nel corso degli anni a venire! E come ho affermato prima di lasciare la Francia nel 2008: «Da Roma vi resterò vicino e quando sosterò davanti alla riproduzione della Grotta di Lourdes, che da oltre un secolo si trova nei Giardini Vaticani, penserò a voi. Che Dio vi benedica!».

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Paparatzifan
00sabato 1 dicembre 2012 19:15
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PRIMI VESPRI DI AVVENTO

OMELIA DEL SANTO PADRE


«Colui che vi chiama è fedele» (1 Ts 5,24).

Cari amici universitari,

le parole dell’Apostolo Paolo ci guidano a cogliere il vero significato dell’Anno liturgico, che questa sera iniziamo insieme con la recita dei Primi Vespri di Avvento. L’intero cammino dell’anno della Chiesa è orientato a scoprire e a vivere la fedeltà del Dio di Gesù Cristo che nella grotta di Betlemme si presenterà a noi, ancora una volta, nel volto di un bambino. Tutta la storia della salvezza è un percorso di amore, di misericordia e di benevolenza: dalla creazione alla liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto, dal dono della Legge sul Sinai al ritorno in patria dalla schiavitù babilonese. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe è stato sempre il Dio vicino, che non ha mai abbandonato il suo popolo. Più volte ne ha subito con tristezza l’infedeltà e atteso con pazienza il ritorno, sempre nella libertà di un amore che precede e sostiene l’amato, attento alla sua dignità e alle sue attese più profonde.
Dio non si è chiuso nel suo Cielo, ma si è chinato sulle vicende dell’uomo: un mistero grande che giunge a superare ogni possibile attesa. Dio entra nel tempo dell’uomo nel modo più impensato: facendosi bambino e percorrendo le tappe della vita umana, affinché tutta la nostra esistenza, spirito, anima e corpo - come ci ha ricordato san Paolo - possa conservarsi irreprensibile ed essere elevata alle altezze di Dio. E tutto questo lo fa per il suo amore fedele verso l’umanità. L’amore quando è vero tende per sua natura al bene dell’altro, al maggior bene possibile, e non si limita a rispettare semplicemente gli impegni di amicizia assunti, ma va oltre, senza calcolo, né misura. E’ proprio ciò che ha compiuto il Dio vivo e vero, il cui mistero profondo ci viene rivelato nelle parole di san Giovanni: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Questo Dio in Gesù di Nazaret assume in sé l’intera umanità, l’intera storia dell’umanità, e le dà una svolta nuova, decisiva, verso un nuovo essere persona umana, caratterizzato dall’essere generato da Dio e dal tendere verso di Lui (cfr L’Infanzia di Gesù, Rizzoli-LEV 2012, p. 19).
Cari giovani, illustri Rettori e Professori, è per me motivo di grande gioia condividere queste riflessioni con voi che qui rappresentate il mondo universitario romano, nel quale confluiscono, pur nelle loro specifiche identità, le Università statali e private di Roma e le Istituzioni pontificie, che da tanti anni camminano insieme dando viva testimonianza di un fecondo dialogo e di collaborazione tra i diversi saperi e la teologia. Saluto e ringrazio il Cardinale Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Rettore dell’Università di Roma “Foro Italico” e la vostra rappresentante, per le parole che mi hanno rivolto a nome di tutti. Saluto con viva cordialità il Cardinale Vicario e il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come pure le diverse autorità accademiche presenti.
Con speciale affetto saluto voi, cari giovani universitari degli Atenei romani, che avete rinnovato la vostra professione di fede sulla Tomba dell’apostolo Pietro. Voi state vivendo il tempo della preparazione alle grandi scelte della vostra vita e al servizio nella Chiesa e nella società.
Questa sera potete sperimentare che non siete soli: sono con voi i docenti, i cappellani universitari, gli animatori dei collegi. E’ con voi il Papa! E, soprattutto, siete inseriti nella grande comunità accademica romana, in cui è possibile camminare nella preghiera, nella ricerca, nel confronto, nella testimonianza al Vangelo. E’ un dono prezioso per la vostra vita; sappiatelo vedere come un segno della fedeltà di Dio, che vi offre occasioni per conformare la vostra esistenza a quella di Cristo, per lasciarvi santificare da Lui fino alla perfezione (cfr 1 Ts 5,23). L’anno liturgico che iniziamo con questi Vespri sarà anche per voi il cammino in cui ancora una volta rivivere il mistero di questa fedeltà di Dio, sulla quale siete chiamati a fondare, come su una roccia sicura, la vostra vita. Celebrando e vivendo con tutta la Chiesa questo itinerario di fede, sperimenterete che Gesù Cristo è l’unico Signore del cosmo e della storia, senza il quale ogni costruzione umana rischia di vanificarsi nel nulla. La liturgia, vissuta nel suo vero spirito, è sempre la scuola fondamentale per vivere la fede cristiana, una fede «teologale», che vi coinvolge in tutto il vostro essere – spirito, anima e corpo – per farvi diventare pietre vive nella costruzione della Chiesa e collaboratori della nuova evangelizzazione. In modo particolare, nell’Eucaristia, il Dio vivente si rende così vicino, da farsi cibo che sostiene il cammino, presenza che trasforma col fuoco del suo amore.
Cari amici, viviamo in un contesto in cui spesso incontriamo l’indifferenza verso Dio. Ma penso che nel profondo di quanti - anche tra i vostri coetanei - vivono la lontananza da Dio, ci sia una interiore nostalgia di infinito, di trascendenza. A voi il compito di testimoniare nelle aule universitarie il Dio vicino, che si manifesta anche nella ricerca della verità, anima di ogni impegno intellettuale. A tale proposito esprimo il mio compiacimento e il mio incoraggiamento per il programma di pastorale universitaria dal titolo: «Il Padre lo vide da lontano. L’oggi dell’uomo, l’oggi di Dio», proposto dall’Ufficio di pastorale universitaria del Vicariato di Roma. La fede è la porta che Dio apre nella nostra vita per condurci all’incontro con Cristo, nel quale l’oggi dell’uomo si incontra con l’oggi di Dio. La fede cristiana non è adesione ad un dio generico o indefinito, ma al Dio vivo che in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, è entrato nella nostra storia e si è rivelato come il Redentore dell’uomo.
Credere significa affidare la propria vita a Colui che solo può darle pienezza nel tempo e aprirla ad una speranza oltre il tempo. Riflettere sulla fede, in quest'Anno della fede, è l’invito che desidero rivolgere a tutta la comunità accademica di Roma. Il continuo dialogo tra le Università statali o private e quelle pontificie lascia sperare in una presenza sempre più significativa della Chiesa nell’ambito della cultura non solo romana, ma italiana ed internazionale. Le Settimane culturali e il Simposio internazionale dei docenti che si svolgerà a giugno prossimo, saranno un esempio di questa esperienza, che spero possa realizzarsi in tutte le città universitarie dove sono presenti atenei statali, privati e pontifici.
Cari amici, «colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo» (1 Ts 5,24); farà di voi annunciatori della sua presenza. Nella preghiera di questa sera incamminiamoci idealmente verso la grotta di Betlemme per gustare la vera gioia del Natale: la gioia di accogliere al centro della nostra vita, sull’esempio della Vergine Maria e di san Giuseppe, quel Bambino che ci ricorda che gli occhi di Dio sono aperti sul mondo e su ogni uomo (cfr Zc 12,4). Gli occhi di Dio sono aperti su di noi perché Lui è fedele al suo amore! Solo questa certezza può condurre l’umanità verso traguardi di pace e di prosperità, in questo momento storico delicato e complesso. Anche la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro sarà per voi giovani universitari una grande occasione per manifestare la fecondità storica della fedeltà di Dio, offrendo la vostra testimonianza e il vostro impegno per il rinnovamento morale e sociale del mondo. La consegna dell’Icona di Maria Sedes Sapientiae alla delegazione universitaria brasiliana da parte della Cappellania universitaria di Roma Tre, che quest’anno celebra il suo ventennale, è un segno di questo comune impegno di voi giovani universitari di Roma.
A Maria, Sede della Sapienza, affido tutti voi e i vostri cari; lo studio, l’insegnamento, la vita degli Atenei; specialmente l’itinerario di formazione e di testimonianza in questo Anno della fede. Le lampade che porterete nelle vostre cappellanie siano sempre alimentate dalla vostra fede umile ma piena di adorazione, perché ciascuno di voi sia una luce di speranza e di pace nell’ambiente universitario. Amen.

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Paparatzifan
00lunedì 3 dicembre 2012 19:50
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 02.12.2012

Alle ore 12 di oggi, prima Domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un cammino che viene ulteriormente arricchito dall’Anno della fede, a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il primo Tempo di questo itinerario è l’Avvento, formato, nel Rito Romano, dalle quattro settimane che precedono il Natale del Signore, cioè il mistero dell’Incarnazione.
La parola «avvento» significa «venuta» o «presenza».
Nel mondo antico indicava la visita del re o dell’imperatore in una provincia; nel linguaggio cristiano è riferita alla venuta di Dio, alla sua presenza nel mondo; un mistero che avvolge interamente il cosmo e la storia, ma che conosce due momenti culminanti: la prima e la seconda venuta di Gesù Cristo. La prima è proprio l’Incarnazione; la seconda è il ritorno glorioso alla fine dei tempi. Questi due momenti, che cronologicamente sono distanti – e non ci è dato sapere quanto –, in profondità si toccano, perché con la sua morte e risurrezione Gesù ha già realizzato quella trasformazione dell’uomo e del cosmo che è la meta finale della creazione. Ma prima della fine, è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni, dice Gesù nel Vangelo di san Marco (cfr Mc 13,10).
La venuta del Signore continua, il mondo deve essere penetrato dalla sua presenza. E questa venuta permanente del Signore nell’annuncio del Vangelo richiede continuamente la nostra collaborazione; e la Chiesa, che è come la Fidanzata, la promessa Sposa dell’Agnello di Dio crocifisso e risorto (cfr Ap 21,9), in comunione con il suo Signore collabora in questa venuta del Signore, nella quale già comincia il suo ritorno glorioso.
A questo ci richiama oggi la Parola di Dio, tracciando la linea di condotta da seguire per essere pronti alla venuta del Signore. Nel Vangelo di Luca, Gesù dice ai discepoli: «I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita …vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,34.36). Dunque, sobrietà e preghiera.
E l’apostolo Paolo aggiunge l’invito a «crescere e sovrabbondare nell’amore» tra noi e verso tutti, per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità (cfr 1 Ts 3,12-13). In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. «In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio.
La Vergine Maria incarna perfettamente lo spirito dell’Avvento, fatto di ascolto di Dio, di desiderio profondo di fare la sua volontà, di gioioso servizio al prossimo. Lasciamoci guidare da lei, perché il Dio che viene non ci trovi chiusi o distratti, ma possa, in ognuno di noi, estendere un po’ il suo regno di amore, di giustizia e di pace.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, a Kottar, in India, viene proclamato beato Devasahayam Pillai, un fedele laico vissuto nel 18° secolo e morto martire. Ci uniamo alla gioia della Chiesa in India e preghiamo che il nuovo Beato sostenga la fede dei cristiani di quel grande e nobile Paese.

Domani si celebra la Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità. Ogni persona, pur con i suoi limiti fisici e psichici, anche gravi, è sempre un valore inestimabile, e come tale va considerata. Incoraggio le comunità ecclesiali ad essere attente e accoglienti verso questi fratelli e sorelle. Esorto i legislatori e i governanti a tutelare le persone con disabilità e a promuovere la loro piena partecipazione alla vita della società.

Je salue cordialement les pèlerins francophones. Nous entrons aujourd’hui dans l’Avent, le temps liturgique de l’attente et de l’espérance du Christ, qui cette année, se situe dans le contexte de l’Année de la foi. Je vous invite donc à découvrir le lien profond entre les vérités sur l’incarnation du Christ que nous professons dans le Credo et notre existence quotidienne. Dieu veut nous sauver, et en son Fils Jésus, il s’est fait l’un de nous. Approfondissons, de dimanche en dimanche, le salut qui nous est offert pour le recevoir avec foi. Notre vie en sera transformée. Bon Avent à tous.

I welcome all gathered here today to pray with me. I especially greet the people of Kottar who celebrate today the beatification of Devasahayam Pillai. His witness to Christ is an example of that attentiveness to the coming of Christ recalled by this first Sunday of Advent. May this holy season help us to centre our lives once more on Christ, our hope. God bless all of you!

Einen herzlichen Gruß sage ich den Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Mit dem ersten Advent treten wir aufs neue ein in die Zeit der Erwartung und der Vorbereitung auf die Ankunft Christi. Als Christen sind wir adventliche Menschen: Unser Leben muß ausgerichtet sein auf das Kommen des Herrn hin. In diesem Jahr des Glaubens wollen wir uns im Advent mit neuer Kraft darum mühen, Christus entgegenzugehen, ihm unser Herz zu öffnen, damit er in uns wohnen kann, und mit Taten der Liebe seine Wiederkunft zu bereiten. Der Herr erfülle euch allezeit mit seiner lebendigen Gegenwart.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Abrimos hoy el Adviento, que nos trae a la memoria la doble venida de Jesús, la primera que se reveló en la realidad de la carne y la segunda que se manifestará al final de los tiempos.Que al comenzar este tiempo - como se ora en la liturgia- el Señor avive en nosotros el deseo de salir a su encuentro, acompañados por las buenas obras, y así un día merezcamos poseer el reino eterno. Que la Virgen María, que esperó a su Divino Hijo con inefable amor de Madre, nos acompañe y guíe para alcanzar estos anhelos. Muchas gracias.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Liturgia pierwszej niedzieli adwentu przypomina zapowiedź powtórnego przyjścia Chrystusa. Zachęca do czuwania i do modlitwy, abyśmy byli gotowi do radosnego spotkania z Panem. W tym duchu przeżywajmy adwentowy czas oczekiwania. Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. La liturgia della prima domenica di Avvento ci ricorda l’annuncio della seconda venuta di Cristo. Ci invita alla vigilanza e alla preghiera, affinché siamo pronti al gioioso incontro con il Signore. In questo spirito viviamo il tempo di attesa. Dio vi benedica!]

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al gruppo di preghiera «Missionari del Rosario» di Castellammare di Stabia. Rinnovo infine il mio saluto ai vari esponenti del mondo dello spettacolo viaggiante, che ieri ho avuto la gioia di incontrare. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino di Avvento.

Buon Avvento, buona domenica a tutti voi. Grazie.

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Paparatzifan
00martedì 4 dicembre 2012 01:07
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE , 03.12.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla XXVII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi, come pure Monsignor Segretario, gli Officiali del Dicastero e tutti voi, Membri e Consultori, convenuti per questo importante momento di riflessione e di programmazione. La vostra Assemblea si celebra nell’Anno della fede, dopo il Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, nonché - come è stato detto - nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II e – tra pochi mesi – dell’Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Si tratta di un contesto che già di per sé offre molteplici stimoli.
La Dottrina sociale, come ci ha insegnato il beato Papa Giovanni Paolo II, è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Enc. Centesimus annus, 54), e a maggior ragione essa va considerata importante per la nuova evangelizzazione (cfr ibid., 5; Enc. Caritas in veritate, 15). Accogliendo Gesù Cristo e il suo Vangelo, oltre che nella vita personale, anche nei rapporti sociali, diventiamo portatori di una visione dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e relazionalità, che è contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani, come ci ha ricordato il beato Giovanni XXIII proprio nella Pacem in terris (cfr n. 9).
I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla società.
Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere «fluido», senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio.
L’uomo d’oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come «capitale umano», «risorsa», parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni «minori» e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato.
Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica (cfr Caritas in veritate, 32).
Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34); qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica, nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana. Così leggiamo nella Pacem in terris: «Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71).
La Chiesa non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura antropologica ed etica attorno al bene comune (cfr Enc. Caritas in veritate, 67). Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris, 27), ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto.
Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché, assieme ad altre istituzioni pontificie, si è prefissato di approfondire gli orientamenti che ho offerto nella Caritas in veritate. E ciò, sia mediante le riflessioni per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, sia mediante la Plenaria di questi giorni e il Seminario internazionale sulla Pacem in terris del prossimo anno.
La Vergine Maria, Colei che con fede ed amore ha accolto in sé il Salvatore per donarlo al mondo, ci guidi nell’annuncio e nella testimonianza della Dottrina sociale della Chiesa, per rendere più efficace la nuova evangelizzazione. Con questo auspicio, ben volentieri imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica. Grazie.

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Paparatzifan
00martedì 4 dicembre 2012 01:28
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UDIENZA ALLA COMUNITÀ DEL VENERABILE COLLEGIO INGLESE IN ROMA, 03.12.2012

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in udienza la Comunità del Venerabile Collegio Inglese in Roma.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,
Monsignor Hudson,
Studenti e Personale del Venerabile Collegio Inglese,

È per me un grande piacere accogliervi oggi nel Palazzo Apostolico, nella Casa di Pietro. Saluto il mio venerabile Fratello, Cardinale Cormac Murphy-O'Connor, già Rettore del Collegio, e ringrazio l'Arcivescovo Vincent Nichols per le cordiali parole pronunciate a nome di tutti i presenti. Anch'io guardo con grande rendimento di grazie nel cuore alle giornate trascorse nel vostro Paese a settembre 2010. In effetti, mi ha fatto piacere incontrare alcuni di voi all'Oscott College in quell'occasione, e prego affinché il Signore continui a suscitare molte sante vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa nella vostra patria.
Per grazia di Dio, la comunità cattolica in Inghilterra e in Galles è stata benedetta con una lunga tradizione di zelo per la fede e di lealtà alla Sede Apostolica. Più o meno nello stesso tempo in cui i vostri antenati sassoni costruivano la Schola Saxonum, stabilendo una presenza a Roma vicino alla tomba di Pietro, san Bonifacio era impegnato a evangelizzare i popoli della Germania. Quindi, essendo stato sacerdote e Arcivescovo della Sede di München und Freising, che deve la propria fondazione a questo grande missionario inglese, sono consapevole che la mia ascendenza spirituale è collegata alla vostra. Ancor prima, naturalmente, il mio predecessore Papa Gregorio Magno era stato spinto a inviare Agostino di Canterbury sulle vostre coste, per piantare il seme della fede cristiana nel suolo anglosassone. I frutti di quell'impegno missionario sono molto evidenti nei seicentocinquant'anni di storia di fede e di martirio che caratterizza l'Ospizio degli Inglesi di San Tommaso Becket e del Venerabile Collegio Inglese, che ne è scaturito.
Potius hodie quam cras, come disse san Ralph Sherwin quando gli fu chiesto di emettere la promessa missionaria, «meglio oggi che domani». Queste parole trasmettono bene il suo ardente desiderio di mantenere viva la fiamma della fede in Inghilterra, a qualunque prezzo personale. Coloro che hanno davvero incontrato Cristo sono incapaci di tacere su di lui. Coma ha detto lo stesso san Pietro agli anziani e agli scribi di Gerusalemme, «noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4, 20). San Bonifacio, sant'Agostino di Canterbury, san Francesco Saverio, la cui memoria celebriamo oggi, e molti altri santi missionari, ci mostrano come l'amore profondo per il Signore suscita il desiderio intenso di far sì che altri lo conoscano. Anche voi, mentre seguite le orme dei martiri del Collegio, siete gli uomini che Dio ha scelto per diffondere oggi il messaggio del Vangelo, in Inghilterra e in Galles, in Canada, in Scandinavia. I vostri predecessori hanno affrontato la possibilità concreta del martirio, ed è bene e giusto che voi veneriate la gloriosa memoria di quei quarantaquattro ex allievi del Collegio che hanno versato il loro sangue per Cristo. Siete chiamati a imitare il loro amore per il Signore e il loro zelo di farlo conoscere, potius hodie quam cras. Le conseguenze, i frutti, li potete porre con fiducia nelle mani di Dio.
Il vostro primo compito, quindi, è di conoscere voi stessi Cristo, e il tempo che trascorrete in seminario vi offre un'opportunità privilegiata per farlo. Imparate a pregare ogni giorno, specialmente alla presenza del Santissimo Sacramento, ascoltando attentamente la parola di Dio e permettendo a cuore di parlare a cuore, come direbbe il beato John Henry Newman. Ricordate i due discepoli del primo capitolo del Vangelo di Giovanni, che seguivano Cristo e volevano sapere dove abitava, e, come loro, rispondete con ardore al suo invito: «Venite e vedrete» (1, 37-39). Permettete al fascino della sua persona di catturare la vostra fantasia e di riscaldare il vostro cuore. Egli vi ha scelto per essere suoi amici e non suoi servi, e v'invita a partecipare alla sua opera sacerdotale di realizzare la salvezza del mondo. Mettetevi totalmente a sua disposizione e permettetegli di formarvi per qualunque compito possa avere in mente per voi.
Avete sentito parlare molto della nuova evangelizzazione, la proclamazione di Cristo in quelle parti del mondo in cui il Vangelo è già stato predicato, ma dove, in maggiore o in minor misura, la brace della fede si è raffreddata e ora ha bisogno di essere nuovamente alimentata per diventare fiamma. Il motto del vostro Collegio parla del desiderio di Cristo di portare il fuoco sulla terra, e la vostra missione è quella di servire come suoi strumenti per ravvivare la fede nei vostri rispettivi Paesi. Nella Sacra Scrittura, il fuoco spesso serve a indicare la presenza divina, che si tratti del roveto ardente dal quale Dio ha rivelato il suo nome a Mosè, della colonna di fuoco che ha guidato il popolo d'Israele nel suo cammino dalla schiavitù alla libertà, o delle lingue di fuoco discese sugli Apostoli a Pentecoste, permettendo loro di andare, nella potenza dello Spirito, a proclamare il Vangelo fino ai confini della terra.
Proprio come un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta (cfr. Gc 3, 5), così la fedele testimonianza di pochi può rilasciare la potenza purificatrice e trasformatrice dell'amore di Dio, affinché si diffonda in un lampo in una comunità o in una nazione. Come i martiri dell'Inghilterra e del Galles, dunque, permettete ai vostri cuori di ardere d'amore per Cristo, per la Chiesa e per la Messa.
Durante la mia visita nel Regno Unito ho constatato direttamente che tra le persone c'è una grande fame spirituale. Portate loro il nutrimento autentico che viene dal conoscere, amare e servire Cristo. Dite loro la verità del Vangelo con amore. Offrite loro l'acqua viva della fede cristiana e indirizzatele verso il pane di vita, affinché la loro fame e la loro sete vengano placate. Soprattutto, però, permettete alla luce di Cristo di risplendere attraverso di voi, vivendo una vita di santità, seguendo le orme dei molti grandi santi dell'Inghilterra e del Galles, gli uomini e le donne santi che hanno dato testimonianza dell'amore di Dio anche a costo della propria vita. Il Collegio, del quale fate parte, l'ambiente in cui vivete e studiate, la tradizione di fede e la testimonianza cristiana che vi ha formati: tutte queste cose sono santificate dalla presenza di molti santi. La vostra aspirazione sia quella di essere annoverati tra loro!
Vi assicuro del mio affettuoso ricordo nelle preghiere per voi e per tutti gli ex studenti del Venerabile Collegio Inglese. Faccio mio il saluto tanto spesso sentito dalle labbra di un grande amico e vicino del Collegio, san Filippo Neri, Salvete, flores martyrum! Affidando voi, e tutti coloro ai quali il Signore vi manda, all'amorevole intercessione di Nostra Signora di Walsingham, imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica, come pegno di pace e di gioia nel Signore Gesù Cristo. Grazie.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00giovedì 6 dicembre 2012 02:44
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L’UDIENZA GENERALE, 05.12.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la grave crisi umanitaria nell’Est della Repubblica Democratica del Congo.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. Dio rivela il suo "disegno di benevolenza"


Cari fratelli e sorelle,

all’inizio della sua Lettera ai cristiani di Efeso (cfr 1, 3-14), l’apostolo Paolo eleva una preghiera di benedizione a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci introduce a vivere il tempo di Avvento, nel contesto dell’Anno della fede. Tema di questo inno di lode è il progetto di Dio nei confronti dell’uomo, definito con termini pieni di gioia, di stupore e di ringraziamento, come un "disegno di benevolenza" (v. 9), di misericordia e di amore.
Perché l’Apostolo eleva a Dio, dal profondo del suo cuore, questa benedizione? Perché guarda al suo agire nella storia della salvezza, culminato nell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù, e contempla come il Padre celeste ci abbia scelti prima ancora della creazione del mondo, per essere suoi figli adottivi, nel suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo (cfr Rm 8,14s.; Gal 4,4s.).
Noi esistiamo, fin dall’eternità nella mente di Dio, in un grande progetto che Dio ha custodito in se stesso e che ha deciso di attuare e di rivelare «nella pienezza dei tempi» (cfr Ef 1,10). San Paolo ci fa comprendere, quindi, come tutta la creazione e, in particolare, l’uomo e la donna non siano frutto del caso, ma rispondano ad un disegno di benevolenza della ragione eterna di Dio che con la potenza creatrice e redentrice della sua Parola dà origine al mondo.
Questa prima affermazione ci ricorda che la nostra vocazione non è semplicemente esistere nel mondo, essere inseriti in una storia, e neppure soltanto essere creature di Dio; è qualcosa di più grande: è l’essere scelti da Dio, ancora prima della creazione del mondo, nel Figlio, Gesù Cristo. In Lui, quindi, noi esistiamo, per così dire, già da sempre. Dio ci contempla in Cristo, come figli adottivi. Il "disegno di benevolenza" di Dio, che viene qualificato dall’Apostolo anche come "disegno di amore" (Ef 1,5), è definito "il mistero" della volontà divina (v. 9), nascosto e ora manifestato nella Persona e nell’opera di Cristo. L’iniziativa divina precede ogni risposta umana: è un dono gratuito del suo amore che ci avvolge e ci trasforma.
Ma qual è lo scopo ultimo di questo disegno misterioso? Qual è il centro della volontà di Dio? E’ quello – ci dice san Paolo – di «ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose» (v. 10). In questa espressione troviamo una delle formulazioni centrali del Nuovo Testamento che ci fanno comprendere il disegno di Dio, il suo progetto di amore verso l’intera umanità, una formulazione che, nel secondo secolo, sant’Ireneo di Lione mise come nucleo della sua cristologia: "ricapitolare" tutta la realtà in Cristo. Forse qualcuno di voi ricorda la formula usata dal Papa san Pio X per la consacrazione del mondo al Sacro Cuore di Gesù: "Instaurare omnia in Christo", formula che si richiama a questa espressione paolina e che era anche il motto di quel santo Pontefice. L’Apostolo, però, parla più precisamente di ricapitolazione dell’universo in Cristo, e ciò significa che nel grande disegno della creazione e della storia, Cristo si leva come centro dell’intero cammino del mondo, asse portante di tutto, che attira a Sé l’intera realtà, per superare la dispersione e il limite e condurre tutto alla pienezza voluta da Dio (cfr Ef 1,23).
Questo "disegno di benevolenza" non è rimasto, per così dire, nel silenzio di Dio, nell’altezza del suo Cielo, ma Egli lo ha fatto conoscere entrando in relazione con l’uomo, al quale non ha rivelato solo qualcosa, ma Se stesso. Egli non ha comunicato semplicemente un insieme di verità, ma si è auto-comunicato a noi, fino ad essere uno di noi, ad incarnarsi.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione dogmatica Dei Verbum dice: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso [non solo qualcosa di sé, ma se stesso] e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono così resi partecipi della divina natura» (n. 2). Dio non solo dice qualcosa, ma Si comunica, ci attira nella divina natura così che noi siamo coinvolti in essa, divinizzati. Dio rivela il suo grande disegno di amore entrando in relazione con l’uomo, avvicinandosi a lui fino al punto di farsi Egli stesso uomo. Il Concilio continua: «Il Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr Es 33,11; Gv 15,14-15) e vive tra essi (cfr Bar 3,38) per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé» (ibidem). Con la sola intelligenza e le sue capacità l’uomo non avrebbe potuto raggiungere questa rivelazione così luminosa dell’amore di Dio; è Dio che ha aperto il suo Cielo e si è abbassato per guidare l’uomo nell’abisso del suo amore.
Ancora san Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. E a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (2,9-10). E san Giovanni Crisostomo, in una celebre pagina a commento dell’inizio della Lettera agli Efesini, invita a gustare tutta la bellezza di questo "disegno di benevolenza" di Dio rivelato in Cristo, con queste parole: «Che cosa ti manca? Sei divenuto immortale, sei divenuto libero, sei divenuto figlio, sei divenuto giusto, sei divenuto fratello, sei divenuto coerede, con Cristo regni, con Cristo sei glorificato. Tutto ci è stato donato e – come sta scritto – "come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32). La tua primizia (cfr 1 Cor 15,20.23) è adorata dagli angeli […]: che cosa ti manca?» (PG 62,11).
Questa comunione in Cristo per opera dello Spirito Santo, offerta da Dio a tutti gli uomini con la luce della Rivelazione, non è qualcosa che viene a sovrapporsi alla nostra umanità, ma è il compimento delle aspirazioni più profonde, di quel desiderio dell’infinito e di pienezza che alberga nell’intimo dell’essere umano, e lo apre ad una felicità non momentanea e limitata, ma eterna. San Bonaventura da Bagnoregio, riferendosi a Dio che si rivela e ci parla attraverso le Scritture per condurci a Lui, afferma così: «La sacra Scrittura è […] il libro nel quale sono scritte parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri» (Breviloquium, Prol.; Opera Omnia V, 201s.).
Infine, il beato Papa Giovanni Paolo II ricordava che «la Rivelazione immette nella storia un punto di riferimento da cui l’uomo non può prescindere, se vuole arrivare a comprendere il mistero della sua esistenza; dall’altra parte, però, questa conoscenza rinvia costantemente al mistero di Dio, che la mente non può esaurire, ma solo accogliere nella fede» (Enc. Fides et ratio, 14).
In questa prospettiva, che cos’è dunque l’atto della fede? E’ la risposta dell’uomo alla Rivelazione di Dio, che si fa conoscere, che manifesta il suo disegno di benevolenza; è, per usare un’espressione agostiniana, lasciarsi afferrare dalla Verità che è Dio, una Verità che è Amore. Per questo san Paolo sottolinea come a Dio, che ha rivelato il suo mistero, si debba «l’obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr 1,5; 2 Cor 10, 5-6), l’atteggiamento con il quale «l’uomo liberamente si abbandona tutto a Lui, prestando la piena adesione dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli dà» (Cost dogm. Dei Verbum, 5).
Tutto questo porta ad un cambiamento fondamentale del modo di rapportarsi con l’intera realtà; tutto appare in una nuova luce, si tratta quindi di una vera "conversione", fede è un "cambiamento di mentalità", perché il Dio che si è rivelato in Cristo e ha fatto conoscere il suo disegno di amore, ci afferra, ci attira a Sé, diventa il senso che sostiene la vita, la roccia su cui essa può trovare stabilità.
Nell’Antico Testamento troviamo una densa espressione sulla fede, che Dio affida al profeta Isaia affinché la comunichi al re di Giuda, Acaz. Dio afferma: «Se non crederete - cioè se non vi manterrete fedeli a Dio - non resterete saldi» (Is 7,9b). Esiste quindi un legame tra lo stare e il comprendere, che esprime bene come la fede sia un accogliere nella vita la visione di Dio sulla realtà, lasciare che sia Dio a guidarci con la sua Parola e i Sacramenti nel capire che cosa dobbiamo fare, qual è il cammino che dobbiamo percorrere, come vivere. Nello stesso tempo, però, è proprio il comprendere secondo Dio, il vedere con i suoi occhi che rende salda la vita, che ci permette di "stare in piedi", di non cadere.
Cari amici, l’Avvento, il tempo liturgico che abbiamo appena iniziato e che ci prepara al Santo Natale, ci pone di fronte al luminoso mistero della venuta del Figlio di Dio, al grande "disegno di benevolenza" con il quale Egli vuole attirarci a Sé, per farci vivere in piena comunione di gioia e di pace con Lui. L’Avvento ci invita ancora una volta, in mezzo a tante difficoltà, a rinnovare la certezza che Dio è presente: Egli è entrato nel mondo, facendosi uomo come noi, per portare a pienezza il suo piano di amore. E Dio chiede che anche noi diventiamo segno della sua azione nel mondo. Attraverso la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità, Egli vuole entrare nel mondo sempre di nuovo e vuol sempre di nuovo far risplendere la sua luce nella nostra notte.

Saluto in lingua italiana

Adesso rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Figlie di Maria Santissima dell’Orto, in occasione della beatificazione di Suor Maria Crescencia Pérez, e li incoraggio a proseguire con fedeltà e gioia il loro servizio al Vangelo e ai fratelli sull’esempio della nuova Beata. Saluto i fedeli della Parrocchia di Sant’Anna in Foggia e i volontari del Dispensario Santa Marta in Vaticano, assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera perché il Signore li renda suoi testimoni sempre più generosi. Saluto i rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e Pasticcieri e li ringrazio per il generoso dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa. Grazie a voi.
Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Il tempo di Avvento, da poco iniziato, prende luce in questi giorni dall’esempio fulgido della Vergine Immacolata. Sia Lei a spronarvi, cari giovani, nel vostro cammino di adesione a Cristo. Per voi, cari malati, sia Maria il sostegno per una rinnovata speranza. E sia guida per voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia.

APPELLO DEL SANTO PADRE

Continuano ad arrivare preoccupanti notizie sulla grave crisi umanitaria nell'Est della Repubblica Democratica del Congo, che da mesi è diventata teatro di scontri armati e di violenze. A gran parte della popolazione mancano i mezzi di primaria sussistenza e migliaia di abitanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, per cercare rifugio altrove. Rinnovo quindi il mio appello al dialogo e alla riconciliazione e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi per sovvenire ai bisogni della popolazione.

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Paparatzifan
00venerdì 7 dicembre 2012 19:44
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UDIENZA AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, 07.12.2012

Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Commissione Teologica Internazionale, a conclusione dei lavori della Sessione Plenaria della medesima Commissione.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge loro nel corso dell’Udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Professori e cari Collaboratori,

con grande gioia vi accolgo al termine dei lavori della vostra Sessione Plenaria annuale. Saluto di cuore il vostro nuovo Presidente, Mons. Gerhard Ludwig Müller, che ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti, così come il nuovo Segretario generale, il Padre Serge-Thomas Bonino.
La vostra Sessione Plenaria si è svolta nel contesto dell’Anno della fede, e sono profondamente lieto che la Commissione Teologica Internazionale abbia voluto manifestare la sua adesione a questo evento ecclesiale attraverso un pellegrinaggio alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, per affidare alla Vergine Maria, praesidium fidei, i lavori della vostra Commissione e per pregare per tutti coloro che, in medio Ecclesiae, si dedicano a far fruttificare l’intelligenza della fede a beneficio e gioia spirituale di tutti i credenti. Grazie per questo gesto straordinario.
Esprimo apprezzamento per il Messaggio che avete redatto in occasione di quest’Anno della fede. Esso mette bene in luce il modo specifico in cui i teologi, servendo fedelmente la verità della fede, possono partecipare allo slancio evangelizzatore della Chiesa.
Questo Messaggio riprende i temi che avete sviluppato più ampiamente nel documento "La teologia oggi. Prospettive, principi e criteri", pubblicato all’inizio di quest’anno.
Prendendo atto della vitalità e della varietà della teologia dopo il Concilio Vaticano II, questo documento intende presentare, per così dire, il codice genetico della teologia cattolica, cioè i principi che definiscono la sua stessa identità e, di conseguenza, garantiscono la sua unità nella diversità delle sue realizzazioni. A tale scopo, il testo chiarisce i criteri per una teologia autenticamente cattolica e pertanto capace di contribuire alla missione della Chiesa, all’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. In un contesto culturale dove taluni sono tentati o di privare la teologia di uno statuto accademico, a causa del suo legame intrinseco con la fede, o di prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla e di ridurla alle scienze religiose, il vostro documento ricorda opportunamente che la teologia è inscindibilmente confessionale e razionale e che la sua presenza all’interno dell’istituzione universitaria garantisce, o dovrebbe garantire, una visione ampia ed integrale della stessa ragione umana.
Tra i criteri della teologia cattolica, il documento menziona l’attenzione che i teologi devono riservare al sensus fidelium. È molto utile che la vostra Commissione si sia concentrata anche su questo tema che è di particolare importanza per la riflessione sulla fede e per la vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, ribadendo il ruolo specifico ed insostituibile che spetta al Magistero, ha sottolineato nondimeno che l’insieme del Popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo, realizzando così il desiderio ispirato, espresso da Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!» (Nm 11,29). La Costituzione dogmatica Lumen gentium insegna al riguardo: «La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (n. 12).
Questo dono, il sensus fidei, costituisce nel credente una sorta di istinto soprannaturale che ha una connaturalità vitale con lo stesso oggetto della fede. Osserviamo che proprio i semplici fedeli portano con sé questa certezza, questa sicurezza del senso della fede.
Il sensus fidei è un criterio per discernere se una verità appartenga o no al deposito vivente della tradizione apostolica. Presenta anche un valore propositivo perché lo Spirito Santo non smette di parlare alle Chiese e di guidarle verso la verità tutta intera. Oggi, tuttavia, è particolarmente importante precisare i criteri che permettono di distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni. In realtà, esso non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale, e non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero, al deposito della fede.
Oggi, questo stesso senso soprannaturale della fede dei credenti porta a reagire con vigore anche contro il pregiudizio secondo cui le religioni, ed in particolare le religioni monoteiste, sarebbero intrinsecamente portatrici di violenza, soprattutto a causa della pretesa che esse avanzano dell’esistenza di una verità universale. Alcuni ritengono che solo il "politeismo dei valori" garantirebbe la tolleranza e la pace civile e sarebbe conforme allo spirito di una società democratica pluralistica. In questa direzione, il vostro studio sul tema "Dio Trinità, unità degli uomini. Cristianesimo e monoteismo" è di viva attualità. Da una parte, è essenziale ricordare che la fede nel Dio unico, Creatore del cielo e della terra, incontra le esigenze razionali della riflessione metafisica, la quale non viene indebolita ma rinforzata ed approfondita dalla Rivelazione del mistero del Dio-Trinità. Dall’altra parte, bisogna sottolineare la forma che la Rivelazione definitiva del mistero dell’unico Dio prende nella vita e morte di Gesù Cristo, che va incontro alla Croce come "agnello condotto al macello" (Is 53,7). Il Signore attesta un rifiuto radicale di ogni forma di odio e violenza a favore del primato assoluto dell’agape. Se dunque nella storia vi sono state o vi sono forme di violenza operate nel nome di Dio, queste non sono da attribuire al monoteismo, ma a cause storiche, principalmente agli errori degli uomini. Piuttosto è proprio l’oblio di Dio ad immergere le società umane in una forma di relativismo, che genera ineluttabilmente la violenza. Quando si nega la possibilità per tutti di riferirsi ad una verità oggettiva, il dialogo viene reso impossibile e la violenza, dichiarata o nascosta, diventa la regola dei rapporti umani. Senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare delle risposte agli interrogativi sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, senza questa apertura l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace.
Se la rottura del rapporto degli uomini con Dio porta con sé uno squilibrio profondo nelle relazioni tra gli uomini stessi, la riconciliazione con Dio, operata dalla Croce di Cristo, "nostra pace" (Ef 2,14) è la sorgente fondamentale dell’unità e della fraternità. In questa prospettiva, si colloca anche la vostra riflessione sul terzo tema, quello della dottrina sociale della Chiesa nell’insieme della dottrina della fede. Essa conferma che la dottrina sociale non è un’aggiunta estrinseca, ma, senza trascurare l’apporto di una filosofia sociale, attinge i suoi principi di fondo alle sorgenti stesse della fede. Tale dottrina cerca di rendere effettivo, nella grande diversità delle situazioni sociali, il comandamento nuovo che il Signore Gesù ci ha lasciato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Preghiamo la Vergine Immacolata, modello di chi ascolta e medita la Parola di Dio, che vi ottenga la grazia di servire sempre gioiosamente l’intelligenza della fede a favore di tutta la Chiesa. Rinnovando l’espressione della mia profonda gratitudine per il vostro servizio ecclesiale, vi assicuro la mia costante vicinanza nella preghiera e imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00domenica 9 dicembre 2012 03:17
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 08.12.2012

Alle ore 12 di oggi, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

A tutti voi, buona festa di Maria Immacolata!
In questo Anno della fede vorrei sottolineare che Maria è l’Immacolata per un dono gratuito della grazia di Dio, che ha trovato, però, in Lei perfetta disponibilità e collaborazione. In questo senso ella è “beata” perché «ha creduto» (Lc 1,45), perché ha avuto una fede salda in Dio.
Maria rappresenta quel «resto di Israele», quella radice santa che i profeti hanno annunciato. In lei trovano accoglienza le promesse dell’antica Alleanza. In Maria la Parola di Dio trova ascolto, ricezione, risposta, trova quel «sì» che le permette di prendere carne e venire ad abitare in mezzo a noi. In Maria l’umanità, la storia si aprono realmente a Dio, accolgono la sua grazia, sono disposte a fare la sua volontà. Maria è espressione genuina della Grazia. Ella rappresenta il nuovo Israele, che le Scritture dell’Antico Testamento descrivono con il simbolo della sposa.
E san Paolo riprende questo linguaggio nella Lettera agli Efesini là dove parla del matrimonio e dice che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (5,25-27). I Padri della Chiesa hanno sviluppato questa immagine e così la dottrina dell’Immacolata è nata prima in riferimento alla Chiesa vergine-madre, e successivamente a Maria. Così scrive poeticamente Efrem il Siro: «Come i corpi stessi hanno peccato e muoiono, e la terra, loro madre, è maledetta (cfr Gen 3,17-19), così a causa di questo corpo che è la Chiesa incorruttibile, la sua terra è benedetta fin dall’inizio. Questa terra è il corpo di Maria, tempio nel quale un seme è stato deposto» (Diatessaron 4, 15: SC 121, 102).
La luce che promana dalla figura di Maria ci aiuta anche a comprendere il vero senso del peccato originale. In Maria, infatti, è pienamente viva e operante quella relazione con Dio che il peccato spezza. In lei non c’è alcuna opposizione tra Dio e il suo essere: c’è piena comunione, piena intesa. C’è un «sì» reciproco, di Dio a lei e di lei a Dio. Maria è libera dal peccato perché è tutta di Dio, totalmente espropriata per Lui. E’ piena della sua Grazia, del suo Amore.
In conclusione, la dottrina dell’Immacolata Concezione di Maria esprime la certezza di fede che le promesse di Dio si sono realizzate: che la sua alleanza non fallisce, ma ha prodotto una radice santa, da cui è germogliato il Frutto benedetto di tutto l’universo, Gesù, il Salvatore. L’Immacolata sta a dimostrare che la Grazia è capace di suscitare una risposta, che la fedeltà di Dio sa generare una fede vera e buona.
Cari amici, questo pomeriggio, com’è consuetudine, mi recherò in Piazza di Spagna, per l’omaggio a Maria Immacolata. Seguiamo l’esempio della Madre di Dio, perché anche in noi la grazia del Signore trovi risposta in una fede genuina e feconda.

DOPO L'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

desidero anzitutto assicurare la mia vicinanza alle popolazioni delle Filippine colpite nei giorni scorsi da un violento uragano. Prego per le vittime, per le loro famiglie e per i numerosi sfollati. La fede e la carità fraterna siano la forza per affrontare questa difficile prova.

En célébrant la solennité de l’Immaculée Conception, chers pèlerins francophones nous fêtons la splendeur du dessein de l’amour de Dieu qui, en Jésus, est né de Marie pour nous sauver du péché. La Vierge s’est remise totalement à celui qui l’a créée. Comme elle, celui qui se tourne vers Dieu trouve la liberté véritable, il devient véritablement lui-même et grand ! Saluons en Marie la beauté et la pureté à laquelle nous sommes tous appelés. Qu’elle nous apprenne à croire en Dieu qui nous dit toujours : « Sois sans crainte ! » Puisse cette fête fortifier notre foi ! Avec ma bénédiction.

I greet all the English-speaking visitors present at this Angelus prayer. Today, with joyful hearts, we celebrate the Immaculate Conception of the Blessed Virgin Mary. Through her powerful intercession, may the Lord grant us the grace to reject sin and persevere in the grace of baptism. I wish you a happy feast day and invoke upon you and your families God’s abundant blessings!

Herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Zum Hochfest der Empfängnis Marias sage ich euch allen ein herzliches „Grüß Gott“. Der Herr offenbart uns in Maria, daß er in seinem göttlichen Wirken auf die Mitarbeit seiner Geschöpfe zählt. Maria ist bereit, ihren Teil zur Menschwerdung des Gottessohns beizutragen. „Mir geschehe, wie du es gesagt hast“ (Lk 1,38), antwortet sie, als der Engel ihr den Willen Gottes verkündet. Dieser Wille übersteigt die Kraft eines Menschen. Wir können ihm nur folgen, wenn wir uns im Glauben Gott anvertrauen, uns durch die schöpferische Kraft seiner Liebe umwandeln lassen zu neuen Menschen. Die selige Jungfrau Maria soll uns ein Vorbild sein und Fürsprecherin, damit wir den Willen Gottes in unserem Leben erkennen und danach handeln. Euch und euren Familien wünsche ich einen gesegneten Feiertag!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Celebramos hoy la Solemnidad de la Virgen Inmaculada, preservada de toda mancha de pecado original. Es una fiesta en la que reconocemos que María Santísima, la toda hermosa, ha sido desde el primer momento de su existencia envuelta por el amor del Padre, colmada por la gracia del Hijo y cubierta con la sombra del Espíritu Santo. Encomiendo a Ella, al tenerla como ejemplo de gracia y modelo de santidad, los anhelos y buenos deseos que infunde en nosotros este tiempo de Adviento. Muchas gracias.

Pozdrawiam wszystkich Polaków. W adwentowym czasie oczekiwania na przyjście Pana towarzyszy nam Maryja niepokalanie poczęta. Sam Bóg zachował Ją od zmazy grzechu i obdarzył pełnią łaski, aby była godnym mieszkaniem Jego Syna. Oddajemy dziś chwałę Tej, która odpowiadając na Boże wezwanie dała doskonały wzór współpracy z Jego łaską. Niech Bóg wam błogosławi!

[Saluto tutti i polacchi. Nel tempo dell’Avvento, in attesa della venuta del Signore, ci accompagna Maria Immacolata. Dio stesso l’ha preservata da ogni macchia di peccato e le ha donato la pienezza della grazia per renderla dimora degna del suo Figlio. Oggi glorifichiamo Colei che, rispondendo alla chiamata di Dio, ha dato un perfetto esempio di cooperazione con la grazia. Dio vi benedica!]

Benedico tutti i soci dell’Azione Cattolica Italiana, che oggi rinnovano la loro adesione e la decisione di rispondere alla chiamata alla santità e alla corresponsabilità con i Pastori nella nuova evangelizzazione. Maria vi sostenga e vi accompagni!

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare gli aderenti al Movimento Cristiano Lavoratori. Saluto il gruppo di preghiera dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, nel giorno della Patrona. Desidero rivolgere l’auspicio che possano trovare soluzione i problemi che affrontano varie Istituzioni sanitarie cattoliche. Buona festa a tutti voi. Grazie!

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Paparatzifan
00domenica 9 dicembre 2012 03:19
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ATTO DI VENERAZIONE ALL’IMMACOLATA A PIAZZA DI SPAGNA, 08.12.2012

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

E’ sempre una gioia speciale radunarci qui, in Piazza di Spagna, nella festa di Maria Immacolata. Ritrovarci insieme – romani, pellegrini e visitatori – ai piedi della statua della nostra Madre spirituale, ci fa sentire uniti nel segno della fede. Mi piace sottolinearlo in questo Anno della fede che tutta la Chiesa sta vivendo. Vi saluto con grande affetto e vorrei condividere con voi alcuni semplici pensieri, suggeriti dal Vangelo di questa solennità: il Vangelo dell’Annunciazione.
Anzitutto, ci colpisce sempre, e ci fa riflettere, il fatto che quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato e il quieto silenzio si rivela più fecondo del frenetico agitarsi che caratterizza le nostre città, ma che – con le debite proporzioni – si viveva già in città importanti come la Gerusalemme di allora. Quell’attivismo che ci rende incapaci di fermarci, di stare tranquilli, di ascoltare il silenzio in cui il Signore fa sentire la sua voce discreta. Maria, quel giorno in cui ricevette l’annuncio dell’Angelo, era tutta raccolta e al tempo stesso aperta all’ascolto di Dio. In lei non c’è ostacolo, non c’è schermo, non c’è nulla che la separi da Dio. Questo è il significato del suo essere senza peccato originale: la sua relazione con Dio è libera da qualsiasi pur minima incrinatura; non c’è separazione, non c’è ombra di egoismo, ma una perfetta sintonia: il suo piccolo cuore umano è perfettamente «centrato» nel grande cuore di Dio. Ecco, cari fratelli, venire qui, presso questo monumento a Maria, nel centro di Roma, ci ricorda prima di tutto che la voce di Dio non si riconosce nel frastuono e nell’agitazione; il suo disegno sulla nostra vita personale e sociale non si percepisce rimanendo in superficie, ma scendendo ad un livello più profondo, dove le forze che agiscono non sono quelle economiche e politiche, ma quelle morali e spirituali. E’ lì che Maria ci invita a scendere e a sintonizzarci con l’azione di Dio.
C’è una seconda cosa, ancora più importante, che l’Immacolata ci dice quando veniamo qui, ed è che la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia. Che significa questa parola? Grazia vuol dire l’Amore nella sua purezza e bellezza, è Dio stesso così come si è rivelato nella storia salvifica narrata nella Bibbia e compiutamente in Gesù Cristo. Maria è chiamata la «piena di grazia» (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male, può colmare i vuoti che l’egoismo provoca nella storia delle persone, delle famiglie, delle nazioni e del mondo. Questi vuoti possono diventare degli inferni, dove la vita umana viene come tirata verso il basso e verso il nulla, perde di senso e di luce. I falsi rimedi che il mondo propone per riempire questi vuoti – emblematica è la droga – in realtà allargano la voragine.
Solo l’amore può salvare da questa caduta, ma non un amore qualsiasi: un amore che abbia in sé la purezza della Grazia - di Dio che trasforma e rinnova - e che così possa immettere nei polmoni intossicati nuovo ossigeno, aria pulita, nuova energia di vita. Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi; per quanto il nostro cuore sia sviato, Dio è sempre «più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20).
Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane.
E da qui deriva la terza cosa che ci dice Maria Immacolata: ci parla della gioia, quella gioia autentica che si diffonde nel cuore liberato dal peccato. Il peccato porta con sé una tristezza negativa, che induce a chiudersi in se stessi. La Grazia porta la vera gioia, che non dipende dal possesso delle cose ma è radicata nell’intimo, nel profondo della persona, e che nulla e nessuno possono togliere. Il Cristianesimo è essenzialmente un «evangelo», una «lieta notizia», mentre alcuni pensano che sia un ostacolo alla gioia, perché vedono in esso un insieme di divieti e di regole. In realtà, il Cristianesimo è l’annuncio della vittoria della Grazia sul peccato, della vita sulla morte. E se comporta delle rinunce e una disciplina della mente, del cuore e del comportamento è proprio perché nell’uomo c’è la radice velenosa dell’egoismo, che fa male a se stessi e agli altri. Bisogna dunque imparare a dire no alla voce dell’egoismo e a dire sì a quella dell’amore autentico. La gioia di Maria è piena, perché nel suo cuore non c’è ombra di peccato. Questa gioia coincide con la presenza di Gesù nella sua vita: Gesù concepito e portato in grembo, poi bambino affidato alle sue cure materne, quindi adolescente e giovane e uomo maturo; Gesù visto partire da casa, seguito a distanza con fede fino alla Croce e alla Risurrezione: Gesù è la gioia di Maria ed è la gioia della Chiesa di tutti noi.
In questo tempo di Avvento, Maria Immacolata ci insegni ad ascoltare la voce di Dio che parla nel silenzio; ad accogliere la sua Grazia, che ci libera dal peccato e da ogni egoismo; per gustare così la vera gioia. Maria, piena di grazia, prega per noi!

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Paparatzifan
00domenica 9 dicembre 2012 13:19
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 09.12.2012

PRIMA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nel Tempo di Avvento la liturgia pone in risalto, in modo particolare, due figure che preparano la venuta del Messia: la Vergine Maria e Giovanni Battista.
Oggi san Luca ci presenta quest’ultimo, e lo fa con caratteristiche diverse dagli altri Evangelisti. «Tutti e quattro i Vangeli mettono all’inizio dell’attività di Gesù la figura di Giovanni Battista e lo presentano come il suo precursore.
San Luca ha spostato indietro la connessione tra le due figure e le loro rispettive missioni …
Già nel concepimento e nella nascita, Gesù e Giovanni sono messi in rapporto tra loro» (L’infanzia di Gesù, 23).
Questa impostazione aiuta a comprendere che Giovanni, in quanto figlio di Zaccaria ed Elisabetta, entrambi di famiglie sacerdotali, non solo è l’ultimo dei profeti, ma rappresenta anche l’intero sacerdozio dell’Antica Alleanza e perciò prepara gli uomini al culto spirituale della Nuova Alleanza, inaugurato da Gesù (cfr ibid. 27-28).
Luca inoltre sfata ogni lettura mitica che spesso si fa dei Vangeli e colloca storicamente la vita del Battista scrivendo: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore … sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa» (Lc 3,1-2).
All’interno di questo quadro storico si colloca il vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure. Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!
Giovanni Battista si definisce come la «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Lc 3,4). La voce proclama la parola, ma in questo caso la Parola di Dio precede, in quanto è essa stessa a scendere su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (cfr Lc 3,2). Egli quindi ha un grande ruolo, ma sempre in funzione di Cristo. Commenta sant’Agostino: «Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: “In principio era il Verbo” (Gv 1,1).
Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio. Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l’udito, ma non edifica il cuore» (Discorso 293, 3). A noi il compito di dare oggi ascolto a quella voce per concedere spazio e accoglienza nel cuore a Gesù, Parola che ci salva. In questo Tempo di Avvento, prepariamoci a vedere, con gli occhi della fede, nell’umile Grotta di Betlemme, la salvezza di Dio (cfr Lc 3,6).
Nella società dei consumi, in cui si è tentati di cercare la gioia nelle cose, il Battista ci insegna a vivere in maniera essenziale, affinché il Natale sia vissuto non solo come una festa esteriore, ma come la festa del Figlio di Dio che è venuto a portare agli uomini la pace, la vita e la gioia vera.
Alla materna intercessione di Maria, Vergine dell’Avvento, affidiamo il nostro cammino incontro al Signore che viene, per essere pronti ad accogliere, nel cuore e in tutta la vita, l’Emmanuele, il Dio-con-noi.

DOPO L'ANGELUS


Chers pèlerins francophones, l’Avent nous invite à aller à la rencontre du Seigneur, et donc à nous mettre en route. Cette réalité est bien familière aux personnes obligées de quitter leur région, pour différentes raisons, dont les guerres ou la pauvreté. Les migrants connaissent la précarité et rencontrent souvent peu de compréhension. Puissent-ils être accueillis et avoir une existence digne ! En ce temps préparatoire à Noël, qu’une solidarité fraternelle et joyeuse vienne en aide à leurs besoins et soutienne leur espérance ! N’oublions pas que tout chrétien est en route vers sa vraie patrie : le ciel. Le Christ est le seul chemin ! Que la Vierge Marie qui a connu les voyages et l’exil accompagne notre marche ! Bon dimanche à tous !

I would now like to offer a word of greeting to all the English-speaking visitors present at this Angelus prayer. In today’s Gospel John the Baptist reminds us of the need for repentance and purification as we prepare a way for the Lord and await in hope his coming in glory. May God abundantly bless you and your loved ones!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Das Evangelium des 2. Adventssonntags berichtet von der Predigt des heiligen Johannes des Täufers, der zu Umkehr und Versöhnung mit Gott aufruft. Auch wir sind eingeladen, immer wieder das Geschenk der Vergebung von Gott zu empfangen, neue Menschen zu werden. Das Sakrament der Versöhnung ist ein besonderer Ort, um dem barmherzigen Gott zu begegnen. Hier vergibt der Herr alle Sünden, hier heilt er unsere Verwundungen und macht alles gut. Jedes verzagte Herz nimmt er in seine Hände, und er schenkt uns seinen Frieden und seine Freude. Gott segne euch alle!

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española presentes en esta oración mariana. La liturgia de la Palabra de este domingo nos muestra cómo san Juan Bautista exhorta al pueblo a la conversión, esperando de los hombres de su tiempo una respuesta concreta de fe. Que la Santísima Virgen, que supo dar su “sí” incondicional al Señor, nos ayude a ratificar cada día nuestras promesas bautismales, para que, por los frutos de las buenas obras, seamos testigos ante el mundo de la gracia de Dios que actúa en nosotros. Feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Dzisiejsza Ewangelia przypomina, że w konkretnym momencie historii Jan Chrzciciel przekazał światu usłyszane od Boga słowo. Wzywał do nawrócenia, zapowiadał nadejście Mesjasza, głosił zbawienie Boże. Nie wszyscy to słowo przyjęli, nie wszyscy uwierzyli. Wielu nie wierzy także dzisiaj. Wzorem świętego Jana bądźmy dla nich w Roku Wiary zwiastunami Ewangelii, wiernymi świadkami Chrystusa. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Il Vangelo di oggi ci ricorda che in un momento concreto della storia Giovanni Battista trasmise al mondo la parola udita da Dio. Esortava alla conversione, annunciava la venuta del Messia, proclamava la salvezza divina. Non tutti accolsero la sua parola, non tutti credettero. Anche oggi sono molti coloro che non credono. Come san Giovanni cerchiamo di essere per loro, nell’Anno della Fede, i messaggeri del Vangelo e i testimoni fedeli di Cristo. Vi benedico di cuore.]

E rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al congresso dell’Unione Giuristi Cattolici, accompagnati dal Cardinale Coccopalmerio. Saluto il gruppo della parrocchia della Cattedrale di Cerreto Sannita, nel 50° di fondazione, la corale “Dalmistro” di Coste (Treviso), i ragazzi di Carugate e Bùssero con i loro catechisti e i fedeli di Altavilla Irpina. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Buon Avvento. Buona domenica a voi tutti. Grazie!


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Paparatzifan
00martedì 11 dicembre 2012 04:26
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INCONTRO CON I PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE ECCLESIA IN AMERICA (VATICANO, 9-12 DICEMBRE 2012) , 09.12.2012

Si è aperta questa sera con una Celebrazione Eucaristica all’Altare della Cattedra della Basilica Papale di San Pietro il Congresso Internazionale Ecclesia in America sulla Chiesa nel Continente Americano, organizzato dalla Pontificia Commissione per l’America Latina e dai Cavalieri di Colombo, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Studi Guadalupani.
Alle ore 19 il Santo Padre ha raggiunto la Basilica Vaticana per rivolgere il Suo saluto ai partecipanti. Questo il testo del discorso del Papa:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Stimati Cavalieri di Colombo,

Ringrazio vivamente per le parole che mi ha rivolto il signor Cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, e sono lieto che, insieme ai Cavalieri di Colombo, abbia voluto promuovere un Congresso internazionale per approfondire la riflessione e la proiezione dell'Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in America, del beato Giovanni Paolo II, che raccoglie i contributi dell'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l'America. Saluto cordialmente i signori Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti e le persone consacrate, come pure i numerosi laici venuti per partecipare a questa importante iniziativa. I vostri volti mi riportano alla mente e al cuore i battiti del Continente americano, tanto presente nella preghiera del Papa, e la cui devozione alla Sede Apostolica ho potuto sperimentare con gratitudine, non solo durante le mie visite pastorali ad alcuni dei suoi Paesi, ma anche ogni qualvolta incontro qui pastori e fedeli di queste amate terre.
Il mio venerato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, ha avuto la lungimirante intuizione d'incrementare i rapporti di cooperazione tra le Chiese particolari di tutta l'America, del Nord, del Centro e del Sud, e, allo stesso tempo, di suscitare una più grande solidarietà tra le sue nazioni. Oggi tali propositi meritano di essere ripresi affinché il messaggio redentore di Cristo sia messo in pratica con maggior impegno e produca abbondanti frutti di santità e di rinnovamento ecclesiale.
Il tema che ha guidato le riflessioni di quell'Assemblea sinodale può servire anche da ispirazione per i lavori di questi giorni: «L'incontro con Gesù Cristo vivo, via per la conversione, la comunione e la solidarietà in America». In effetti, l'amore per il Signore Gesù e la potenza della sua grazia devono radicarsi sempre più profondamente nel cuore delle persone, delle famiglie e delle comunità cristiane delle vostre nazioni, affinché in esse si proceda con dinamismo lungo i sentieri della concordia e del giusto progresso. Pertanto, è un dono della Provvidenza che il vostro Congresso abbia luogo poco dopo l'inizio dell'Anno della Fede e dopo l'Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi dedicata alla nuova evangelizzazione, poiché le vostre decisioni contribuiranno coraggiosamente all'arduo e impellente compito di far risuonare con chiarezza e audacia il Vangelo di Cristo.
La suddetta Esortazione apostolica indicava già sfide e difficoltà che continuano a essere presenti al momento attuale, con singolari e complesse caratteristiche. Di fatto, il secolarismo e diversi gruppi religiosi si stanno propagando in ogni latitudine, dando luogo a numerose problematiche. L'educazione e la promozione di una cultura per la vita è un'urgenza fondamentale di fronte alla diffusione di una mentalità che attenta contro la dignità della persona e non favorisce né tutela l'istituzione matrimoniale e familiare. Come non preoccuparsi per le dolorose situazioni di emigrazione, sradicamento o violenza, specialmente per quelle causate dalla delinquenza organizzata, dal narcotraffico, dalla corruzione o dal commercio di armi? E cosa dire delle laceranti disuguaglianze e delle sacche di povertà provocate da misure economiche, politiche e sociali discutibili?
Tutte queste importanti questioni richiedono un accurato studio. Tuttavia, al di là della loro valutazione tecnica, la Chiesa cattolica è convinta che la luce per una soluzione adeguata può provenire solo dall'incontro con Gesù Cristo vivo che suscita atteggiamenti e comportamenti fondati sull'amore e sulla verità. È questa la forza decisiva che trasformerà il Continente americano.
Cari amici, l'amore di Cristo ci spinge a dedicarci senza riserve a proclamare il suo Nome in ogni angolo dell'America, portandolo, con libertà ed entusiasmo, nei cuori di tutti i suoi abitanti. Non c'è opera più gratificante e benefica di questa. Non c'è servizio più grande che possiamo prestare ai nostri fratelli. Essi hanno sete di Dio. Per questo dovremmo assumere questo impegno con convinzione e gioiosa dedizione, incoraggiando i sacerdoti, i diaconi, gli uomini e le donne consacrati e gli agenti di pastorale a purificare e a rafforzare sempre più la loro vita interiore attraverso una relazione sincera con il Signore e la partecipazione degna e assidua ai sacramenti. A ciò contribuiranno un'adeguata catechesi e una retta e costante formazione dottrinale, caratterizzate da una totale fedeltà alla Parola di Dio e al Magistero della Chiesa e volte a dare una risposta agli interrogativi e agli aneliti più profondi del cuore umano. In tal modo, la testimonianza della vostra fede sarà più eloquente e incisiva e crescerete nell'unità nello svolgimento del vostro apostolato. Un rinnovato spirito missionario e l'ardore e la zelante generosità nel vostro impegno saranno un contributo insostituibile a ciò che la Chiesa universale si aspetta e richiede dalla Chiesa in America.
Come modello di apertura alla grazia di Dio e di perfetta sollecitudine per gli altri, risplende nel vostro Continente la figura di Maria Santissima, Stella della nuova evangelizzazione, che viene invocata in tutta l'America con il glorioso titolo di Nuestra Señora de Guadalupe. Mentre affido alla sua materna e amorevole protezione questo Congresso, imparto ai suoi organizzatori e ai partecipanti la mia Benedizione Apostolica, pegno di abbondanti grazie divine.

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(Traduzione Osservatore Romano)


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