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Viaggio apostolico in Portogallo

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2010 15:39
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13/05/2010 01:03
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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN PORTOGALLO NEL 10° ANNIVERSARIO DELLA BEATIFICAZIONE DI GIACINTA E FRANCESCO, PASTORELLI DI FÁTIMA (11 - 14 MAGGIO 2010) (VII)


VISITA ALLA CAPPELLINA DELLE APPARIZIONI PRESSO IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI FÁTIMA



Nel pomeriggio, alle ore 15.45, il Santo Padre Benedetto XVI prende congedo dalla Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto all’aeroporto internazionale Portela di Lisboa da dove, verso le ore 16.30, si imbarca sull’elicottero che lo porta a Fátima. Subito dopo il decollo, l’elicottero del Papa sorvola il Santuario di Cristo Rei in Almada.

Al Suo arrivo all’eliporto di Fátima, previsto per le ore 17.10, il Papa è accolto dal Vescovo di Leiria-Fátima, S.E. Mons. António Augusto dos Santos Marto, dal Sindaco della città, dal Presidente della Giunta di Ourém e dalle autorità locali. Quindi raggiunge in auto alla Cappellina delle Apparizioni presso il Santuario di Nostra Signora di Fátima, dove è accolto dal Rettore del Santuario, P. Virgílio do Nascimento Antunes.

Dopo un momento di raccoglimento in ginocchio davanti all’immagine della Madonna, il Papa pronuncia la preghiera che pubblichiamo di seguito:



PREGHIERA DEL SANTO PADRE


Santo Padre:

Signora Nostra

e Madre di tutti gli uomini e le donne,

eccomi come un figlio

che viene a visitare sua Madre

e lo fa in compagnia

di una moltitudine di fratelli e sorelle.

Come successore di Pietro,

a cui fu affidata la missione

di presiedere al servizio

della carità nella Chiesa di Cristo

e di confermare tutti nella fede

e nella speranza,

voglio presentare al tuo

Cuore Immacolato

le gioie e le speranze

nonché i problemi e le sofferenze

di ognuno di questi tuoi figli e figlie

che si trovano nella Cova di Iria

oppure ci accompagnano da lontano.



Madre amabilissima,

tu conosci ciascuno per il suo nome,

con il suo volto e la sua storia,

e a tutti vuoi bene

con la benevolenza materna

che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore.

Tutti affido e consacro a te,

Maria Santissima,

Madre di Dio e nostra Madre.

Cantori e assemblea: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.1)

Santo Padre:

Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II,

che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima,

e ha ringraziato quella «mano invisibile»

che lo ha liberato dalla morte

nell’attentato del tredici maggio,

in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa,

ha voluto offrire al Santuario di Fatima

un proiettile che lo ha ferito gravemente

e fu posto nella tua corona di Regina della Pace.

È di profonda consolazione

sapere che tu sei coronata

non soltanto con l’argento

e l’oro delle nostre gioie e speranze,

ma anche con il «proiettile»

delle nostre preoccupazioni e sofferenze.



Ringrazio, Madre diletta,

le preghiere e i sacrifici

che i Pastorelli

di Fatima facevano per il Papa,

condotti dai sentimenti

che tu hai ispirato loro nelle apparizioni.

Ringrazio anche tutti coloro che,

ogni giorno,

pregano per il Successore di Pietro

e per le sue intenzioni

affinché il Papa sia forte nella fede,

audace nella speranza e zelante nell’amore.

Cantori e assemblea: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.2)

Santo Padre:

Madre diletta di tutti noi,

consegno qui nel tuo Santuario di Fatima,

la Rosa d’Oro

che ho portato da Roma,

come omaggio di gratitudine del Papa

per le meraviglie che l’Onnipotente

ha compiuto per mezzo di te

nei cuori di tanti che vengono pellegrini

a questa tua casa materna.



Sono sicuro che i Pastorelli di Fatima

i Beati Francesco e Giacinta

e la Serva di Dio Lucia di Gesù

ci accompagnano in quest’ora di supplica e di giubilo.

Cantori e assemblea: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.5)



Il Santo Padre conclude la Sua visita alla Cappellina delle Apparizioni con l’offerta della Rosa d’Oro. Quindi si reca alla Chiesa della SS.ma Trindade per la Celebrazione dei Vespri.








Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria
Preghiera del Papa nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima




FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della preghiera pronunciata dal Santo Padre Benedetto XVI in occasione dell'Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria, questo mercoledì nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima.

* * *

Madre Immacolata,
in questo luogo di grazia,
convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù,
Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,
figli nel Figlio e suoi sacerdoti,
ci consacriamo al tuo Cuore materno,
per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

Siamo consapevoli che, senza Gesù,
non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5)
e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,
saremo per il mondo
strumenti di salvezza.

Sposa dello Spirito Santo,
ottienici l'inestimabile dono
della trasformazione in Cristo.
Per la stessa potenza dello Spirito che,
estendendo su di Te la sua ombra,
ti rese Madre del Salvatore,
aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio,
nasca anche in noi.
Possa così la Chiesa
essere rinnovata da santi sacerdoti,
trasfigurati dalla grazia di Colui
che fa nuove tutte le cose.

Madre di Misericordia,
è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati
a diventare come Lui:
luce del mondo e sale della terra
(cfr Mt 5, 13-14).

Aiutaci,
con la tua potente intercessione,
a non venir mai meno a questa sublime vocazione,
a non cedere ai nostri egoismi,
alle lusinghe del mondo
ed alle suggestioni del Maligno.

Preservaci con la tua purezza,
custodiscici con la tua umiltà
e avvolgici col tuo amore materno,
che si riflette in tante anime
a te consacrate
diventate per noi
autentiche madri spirituali.

Madre della Chiesa,
noi, sacerdoti,
vogliamo essere pastori
che non pascolano se stessi,
ma si donano a Dio per i fratelli,
trovando in questo la loro felicità.
Non solo a parole, ma con la vita,
vogliamo ripetere umilmente,
giorno per giorno,
il nostro "eccomi".

Guidati da te,
vogliamo essere Apostoli
della Divina Misericordia,
lieti di celebrare ogni giorno
il Santo Sacrificio dell'Altare
e di offrire a quanti ce lo chiedono
il sacramento della Riconciliazione.

Avvocata e Mediatrice della grazia,
tu che sei tutta immersa
nell'unica mediazione universale di Cristo,
invoca da Dio, per noi,
un cuore completamente rinnovato,
che ami Dio con tutte le proprie forze
e serva l'umanità come hai fatto tu.

Ripeti al Signore
l'efficace tua parola:
"non hanno più vino" (Gv 2,3),
affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi,
come in una nuova effusione,
lo Spirito Santo.

Pieno di stupore e di gratitudine
per la tua continua presenza in mezzo a noi,
a nome di tutti i sacerdoti,
anch'io voglio esclamare:
"a che cosa devo che la Madre del mio Signore
venga a me?" (Lc 1,43)

Madre nostra da sempre,
non ti stancare di "visitarci",
di consolarci, di sostenerci.
Vieni in nostro soccorso
e liberaci da ogni pericolo
che incombe su di noi.
Con questo atto di affidamento e di consacrazione,
vogliamo accoglierti in modo
più profondo e radicale,
per sempre e totalmente,
nella nostra esistenza umana e sacerdotale.

La tua presenza faccia rifiorire il deserto
delle nostre solitudini e brillare il sole
sulle nostre oscurità,
faccia tornare la calma dopo la tempesta,
affinché ogni uomo veda la salvezza
del Signore,
che ha il nome e il volto di Gesù,
riflesso nei nostri cuori,
per sempre uniti al tuo!

Così sia!

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]







Discorso del Papa in occasione della recita del Rosario a Fatima


FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso che il Papa ha rivolto ai fedeli presenti sulla spianata del Santuario di Fatima per la recita del Rosario questo mercoledì sera.

* * *

Cari pellegrini,

tutti voi insieme, con la candela accesa in mano, sembrate un mare di luce intorno a questa semplice cappella, eretta premurosamente in onore della Madre di Dio e Madre nostra, la cui via di ritorno dalla terra al cielo era apparsa ai pastorelli come una striscia di luce. Però sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci (cfrEs 3,2-5). Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini, che verranno adempiuti quando «Dio sarà tutto in tutti» (cfr 1 Cor 15,28). Serva incomparabile di tali disegni è la Vergine piena di grazia: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Cari pellegrini, imitiamo Maria, facendo risuonare nella nostra vita il suo «avvenga per me»! A Mosè, Dio aveva ordinato: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è un suolo santo» (Es 3,5). E così ha fatto; calzerà nuovamente i sandali per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e guidarlo alla terra promessa. Non si tratta qui semplicemente del possesso di un appezzamento di terreno o di quel territorio nazionale a cui ogni popolo ha diritto; infatti, nella lotta per la liberazione d’Israele e durante il suo esodo dall’Egitto, ciò che appare evidenziato è soprattutto il diritto alla libertà di adorazione, alla libertà di un culto proprio. Quindi lungo il corso della storia del popolo eletto, la promessa della terra va assumendo sempre di più questo significato: la terra è donata perché ci sia un luogo dell’obbedienza, affinché ci sia uno spazio aperto a Dio.

Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori (cfr 1 Pt 3, 15)! Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio.

Fratelli e sorelle, in questo luogo stupisce osservare come tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo. Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria. La recita del rosario ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio. Nel meditare i misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi mentre recitiamo le «Ave Maria», contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza. La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento di vita in modo da poter dire con san Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21), in una comunione di vita e destino con Cristo.

Sento che mi accompagnano la devozione e l’affetto dei fedeli qui convenuti e del mondo intero. Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo, e vengo a deporli ai piedi della Madonna di Fatima: Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]






Card. Bertone: “Per entrare nel regno, dobbiamo farci umili”
Nel presiedere la Messa sul sagrato del Santuario di Fatima



FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo mercoledì sera dal Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nel presiedere la celebrazione eucaristica per la Veglia della Solennità della Beata Vergine di Fatima sul sagrato del Santuario di Fatima.


* * *

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Amati Fratelli e Sorelle nel Signore,

Cari pellegrini di Fatima!


Dice Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Per entrare nel regno, dobbiamo farci umili, sempre di più umili e piccoli, piccoli il più possibile: questo è il segreto della vita mistica. Un serio avvio della vita spirituale ha inizio quando una persona fa un autentico atto di umiltà, lasciando la difficile posizione di chi si ritiene sempre il centro dell'universo per abbandonarsi nelle braccia del mistero di Dio, con un'anima da bambino.

Nelle braccia del mistero di Dio! In Lui, non c'è soltanto potenza, scienza, maestà, c'è anche infanzia, innocenza, tenerezza infinita, perché Lui è Padre, infinitamente Padre. Non lo sapevamo prima, né potevamo saperlo; è stato necessario che ci inviasse il suo Figlio perché lo scoprissimo. Questi si è fatto bambino e così ha potuto dirci di diventare noi stessi bambini per entrare nel suo regno. Egli, che è Dio di infinita grandezza, si è fatto così piccolo e umile davanti a noi che soltanto gli occhi della fede e dei semplici Lo possono riconoscere (cfr Mt 11,25). Così ha messo in discussione l'istinto naturale di protagonismo che regna in noi: «Diventare come Dio» (cfr Gen 3,5). Ebbene! Dio è apparso sulla terra come bambino. Adesso sappiamo come è Dio: è un bambino. Bisognava vedere per credere! Egli è venuto incontro al nostro prepotente bisogno di emergere, ma ne ha invertito la direzione proponendoci di metterlo al servizio dell'amore; emergere sì, ma come il più pacifico, indulgente, generoso e servizievole di tutti: il servo e l'ultimo di tutti.

Fratelli e sorelle, questa è «la sapienza che viene dall'alto» (cfr Gc 3,17). Invece la «sapienza» del mondo esalta il successo personale e lo cerca ad ogni costo, eliminando senza scrupoli chi è considerato come ostacolo alla propria supremazia. Questo chiamano vita, ma la scia di morte, che essa lascia subito li contraddice. «Chiunque odia il proprio fratello - lo abbiamo sentito nella seconda lettura - è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui» (1Gv 3,15). Soltanto chi ama il fratello possiede in se stesso la vita eterna, ossia, la presenza di Dio, il quale, per mezzo dello Spirito, comunica al credente il suo amore e lo fa partecipe del mistero della vita trinitaria. In effetti, così come un migrante in un Paese straniero, nonostante si adatti alla nuova situazione, conserva in sé - almeno nel cuore - le leggi e le abitudini del suo popolo, così anche Gesù venuto sulla terra ha portato con sé, in quanto pellegrino della Trinità, il modo di vivere della sua patria celeste che «esprime umanamente gli atteggiamenti divini della Trinità» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 470). Nel Battesimo, ognuno di noi ha rinunziato alla «sapienza» del mondo e si è rivolto verso la «sapienza dall'alto», che si è manifestata in Gesù, Maestro incomparabile nell'arte di amare (cfr 1Gv 3, 16). Donare la vita per il fratello è l'apice dell'amore, ha detto Gesù (cfr Gv 15,13); l'ha detto e l'ha fatto, comandandoci di amare come Lui (cfr Gv 15,12). Il passare dalla vita come possesso, alla vita come dono, è la grande sfida, che rivela - a noi stessi e agli altri - chi siamo e chi vogliamo essere.

L'amore fraterno e gratuito è il comandamento e la missione che il divino Maestro ci ha lasciato, in grado di convincere i nostri fratelli e sorelle in umanità: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). A volte ci lamentiamo a causa della presenza marginale del cristianesimo nella società attuale, della difficoltà nel trasmettere la fede ai giovani, della diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose... e si potrebbero elencare altri motivi di preoccupazione; infatti non di rado ci sentiamo dei perdenti al cospetto del mondo. L'avventura della speranza però ci porta più lontano. Ci dice che il mondo è di chi più lo ama e meglio glielo dimostra. Nel cuore di ogni persona c'è una sete infinita d'amore; e noi, con l'amore che Dio riversa nei nostri cuori (cfr Rm 5,5), possiamo soddisfarla. Naturalmente, il nostro amore deve esprimersi «non a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità», sovvenendo gioiosamente e sollecitamente con i nostri beni alle necessità degli indigenti (cfr 1Gv 3,16-18).

Cari pellegrini e quanti mi ascoltate, «condividete con gioia, come Giacinta». Tale è il richiamo che questo Santuario ha voluto mettere in evidenza nel centenario della nascita della privilegiata veggente di Fatima. Dieci anni fa, in questo stesso luogo, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II l'ha innalzata alla gloria degli altari insieme al fratello Francesco; essi hanno percorso, in breve tempo, la lunga marcia verso la santità, guidati e sostenuti dalle mani della Vergine Maria. Essi sono due frutti maturi dell'albero della Croce del Salvatore. Guardando a loro, sappiamo che questa è la stagione dei frutti... frutti di santità. Vecchio tronco lusitano di linfa cristiana, con i rami estesi fino ad altri mondi e ivi sotterrati come germogli di nuovi popoli cristiani, su di te la Regina del Cielo ha poggiato il suo piede - piede vittorioso che schiaccia la testa del serpente ingannatore (cfr Gen 3,15) - alla ricerca dei piccoli del regno dei cieli.

Rinvigoriti dalla preghiera di questa notte di veglia e con gli occhi fissi nella gloria dei beati Francesco e Giacinta, accogli la sfida di Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Per delle persone minate dall'orgoglio come noi, non è facile diventare come i bambini. Perciò Gesù ci avverte così duramente: «Non entrerete...»! Non ci lascia alternativa. Portogallo, non rassegnarti a forme di pensare e di vivere che non hanno futuro, perché non poggiano sulla salda certezza della Parola di Dio, del Vangelo. «Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore. [...] Nel Vangelo, che è Gesù, troverai la speranza solida e duratura a cui aspiri. È una speranza fondata sulla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Questa vittoria Egli ha voluto che sia tua per la tua salvezza e la tua gioia» (Esort. ap. Ecclesia in Europa, 121).

La prima lettura ci mostra come Samuele ha trovato una guida nel Sommo Sacerdote Eli. Questi dimostra nei riguardi del fanciullo tutta la prudenza richiesta dal compito del vero educatore, in grado di intuire la natura della profonda esperienza che Samuele sta facendo. Nessuno, infatti, può decidere in merito alla vocazione di un altro; perciò Eli indirizza Samuele verso il docile ascolto della parola di Dio: «Parla, [Signore,] perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3, 10). In un certo modo possiamo leggere nella stessa luce questa Visita del Santo Padre, che si svolge sotto il tema: «Papa Benedetto XVI, con te camminiamo nella Speranza!» Queste sono parole che hanno il sapore sia di una confessione collettiva di fede e adesione alla Chiesa con il suo fondamento visibile in Pietro, sia di un personale apprendistato di fiducia e di lealtà nei confronti della guida paterna e saggia di colui che il Cielo ha scelto per indicare alla umanità di questo tempo la via sicura che ivi porta.

Santo Padre, «con te camminiamo nella Speranza»! Con te, impariamo a distinguere tra la grande Speranza e le speranze piccole e sempre limitate come noi! Quando, in mezzo alla defezione generale per ritornare alle piccole speranze, si farà sentire la sfida di Gesù, la grande Speranza: «Volete andarvene anche voi?», svegliaci tu, Pietro, con la tua parola di sempre: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Davvero - ci ricorda il Pietro d'oggi, Papa Benedetto XVI -, «chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio - il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora "sino alla fine", "fino al pieno compimento" (cfr Gv 13,1 e 19,30)» (Enc. Spe salvi, 27). Amati pellegrini di Fatima, fate sì che il Cielo sia sempre l'orizzonte della vostra vita! Vi hanno detto che il Cielo può aspettare, ma vi hanno ingannato... La voce che viene dal Cielo non è come queste voci paragonabili alla leggendaria sirena ingannatrice, che addormentava le sue vittime prima di precipitarle nell'abisso. Da duemila anni, a iniziare dalla Galilea, risuona fino ai confini della terra la voce definitiva del Figlio di Dio dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Fatima ci ricorda che il Cielo non può aspettare! Perciò chiediamo con fiducia filiale alla Madonna di insegnarci a donare il Cielo alla terra: O Vergine Maria, insegnaci a credere, adorare, sperare e amare con te! Indicaci la via verso il regno di Gesù, la via dell'infanzia spirituale. Tu, Stella della Speranza che trepidante ci attendi nella Luce senza tramonto della Patria celeste, brilla su di noi e guidaci nelle vicende di ogni giorno, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]







Omelia del Papa per i Vespri con sacerdoti e religiosi a Fatima


FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI questo mercoledì pomeriggio presiedendo la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i diaconi nella Chiesa della Santissima Trinità di Fatima.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna […] perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4.5). La pienezza del tempo è arrivata, quando l’Eterno irruppe nel tempo; per opera e grazia dello Spirito Santo, il Figlio dell’Altissimo fu concepito e si fece uomo nel seno di una donna: La Vergine Madre, tipo e modello eccelso della Chiesa credente. Essa non smette di generare nuovi figli nel Figlio, che il Padre ha voluto come primogenito di molti fratelli. Ognuno di noi è chiamato ad essere, con Maria e come Maria, un segno umile e semplice della Chiesa che continuamente si offre come sposa nelle mani del suo Signore.

A tutti voi che avete donato la vita a Cristo, desidero, questa sera, esprimere l’apprezzamento e la riconoscenza ecclesiale. Grazie per la vostra testimonianza spesso silenziosa e per niente facile; grazie per la vostra fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. In Gesù presente nell’Eucaristia, abbraccio i miei fratelli nel sacerdozio e i diaconi, le consacrate e i consacrati, i seminaristi e i membri dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali qui presenti. Voglia il Signore ricompensare, come soltanto Lui sa e può fare, quanti hanno reso possibile trovarci qui presso Gesù Eucaristia, in particolare alla Commissione Episcopale per le Vocazioni e i Ministeri con il suo Presidente, Mons. Antonio Santos, che ringrazio per le parole piene di affetto collegiale e fraterno pronunciate all’inizio dei Vespri. In questo ideale «cenacolo» di fede che è Fatima, la Vergine Madre ci indica la via per la nostra oblazione pura e santa nelle mani del Padre.

Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore. La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore; di un amore coerente, vero e profondo a Cristo Sacerdote. «Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale» (Giovanni Paolo II, Lettera ap. Novo millennio ineunte, 31). In quest’Anno Sacerdotale che volge al termine, scenda su tutti voi una grazia abbondante perché viviate la gioia della consacrazione e testimoniate la fedeltà sacerdotale fondata sulla fedeltà di Cristo. Ciò suppone evidentemente una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore.

Questa vita di speciale consacrazione è nata come memoria evangelica per il popolo di Dio, memoria che manifesta, certifica e annuncia all’intera Chiesa la radicalità evangelica e la venuta del Regno. Ebbene, cari consacrati e consacrate, con il vostro impegno nella preghiera, nell’ascesi, nello sviluppo della vita spirituale, nell’azione apostolica e nella missione, tendete verso la Gerusalemme celeste, anticipate la Chiesa escatologica, salda nel possesso e nell’amorevole contemplazione del Dio Amore. Quanto grande è oggi il bisogno di questa testimonianza! Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna. Gli uomini sono chiamati ad aderire alla conoscenza e all’amore di Dio, e la Chiesa ha la missione di aiutarli in questa vocazione. Sappiamo bene che Dio è padrone dei suoi doni; e la conversione degli uomini è grazia. Ma siamo responsabili dall’annuncio della fede, della totalità della fede e delle sue esigenze. Cari amici, imitiamo il Curato d’Ars che così pregava il buon Dio: «Concedimi la conversione della mia parrocchia, e io accetto di soffrire tutto ciò che Tu vuoi per il resto della vita». E tutto ha fatto per strappare le persone alla propria tiepidezza per ricondurle all’amore.

C’è una solidarietà profonda fra tutti i membri del Corpo di Cristo: non è possibile amarlo senza amare i suoi fratelli. Fu per la salvezza di essi che Giovanni Maria Vianney ha voluto essere sacerdote: «Guadagnare le anime per il buon Dio» dichiarava nell’annunciare la sua vocazione a diciotto anni d’età, così come Paolo diceva: «Guadagnare il maggior numero» (1 Cor 9,19). Il Vicario generale gli aveva detto: «Non c’è molto amore di Dio nella parrocchia, voi lo introdurrete». E, nella sua passione sacerdotale, il santo parroco era misericordioso come Gesù nell’incontro con ogni peccatore. Preferiva insistere sull’aspetto affascinante della virtù, sulla misericordia di Dio al cui cospetto i nostri peccati sono «grani di sabbia». Presentava la tenerezza di Dio offesa. Temeva che i sacerdoti diventassero «insensibili» e si abituassero all’indifferenza dei loro fedeli: «Guai al Pastore – ammoniva – che rimane zitto vedendo Dio oltraggiato e le anime perdersi».

Amati fratelli sacerdoti, in questo luogo che Maria ha reso tanto speciale, avendo davanti agli occhi la sua vocazione di discepola fedele del Figlio Gesù dal concepimento alla Croce e poi nel cammino della Chiesa nascente, considerate la grazia inaudita del vostro sacerdozio. La fedeltà alla propria vocazione esige coraggio e fiducia, ma il Signore vuole anche che sappiate unire le vostre forze; siate solleciti gli uni verso gli altri, sostenendovi fraternamente. I momenti di preghiera e di studio in comune, la condivisione delle esigenze della vita e del lavoro sacerdotale sono una parte necessaria della vostra vita. Come è meraviglioso quando vi accogliete vicendevolmente nelle vostre case, con la pace di Cristo nei vostri cuori! Come è importante aiutarvi a vicenda per mezzo della preghiera e con utili consigli e discernimenti! Riservate particolare attenzione alle situazioni di un certo indebolimento degli ideali sacerdotali oppure al fatto di dedicarsi ad attività che non si accordano integralmente con ciò che è proprio di un ministro di Gesù Cristo. Quindi è il momento di assumere, insieme con il calore della fraternità, il fermo atteggiamento del fratello che aiuta il proprio fratello a "restare in piedi".

Sebbene il sacerdozio di Cristo sia eterno (cfr Eb 5,6), la vita dei sacerdoti è limitata. Cristo vuole che altri perpetuino lungo il tempo il sacerdozio ministeriale da Lui istituito. Perciò mantenette, nel vostro intimo e intorno a voi, l’ansia di suscitare – assecondando la grazia dello Spirito Santo – nuove vocazioni sacerdotali tra i fedeli. La preghiera fiduciosa e perseverante, l’amore gioioso alla propria vocazione e un dedicato lavoro di direzione spirituale vi consentiranno di discernere il carisma vocazionale in coloro che sono chiamati da Dio.

Cari seminaristi, che avete già fatto il primo passo verso il sacerdozio e vi state preparando nel Seminario Maggiore oppure nelle Case di Formazione Religiosa, il Papa vi incoraggia ad essere consapevoli della grande responsabilità che dovrete assumere: verificate bene le intenzioni e le motivazioni; dedicatevi con animo forte e spirito generoso alla vostra formazione. L’Eucaristia, centro della vita del cristiano e scuola di umiltà e di servizio, dev’essere l’oggetto principale del vostro amore. L’adorazione, la pietà e la cura del Santissimo Sacramento, lungo questi anni di preparazione, faranno sì che un giorno celebriate il sacrificio dell’Altare con edificante e vera unzione.

In questo cammino di fedeltà, amati sacerdoti e diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e laici impegnati, ci guida e accompagna la Beata Vergine Maria. Con Lei e come Lei siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo, il vero consacrato del Padre e il Pastore al quale i sacerdoti prestano la voce e i gesti, essendo sua presenza; liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]















Nella tempesta, il Papa rende omaggio alla fedeltà di tanti sacerdoti
Atto di consacrazione dei presbiteri al Cuore Immacolato di Maria a Fatima




FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In piena “tempesta”, Benedetto XVI ha reso omaggio – giungendo a Fatima questo mercoledì – a tutti i sacerdoti che donano la propria vita a Dio e ai fratelli e ha elevato un atto di consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria.

“A tutti voi che avete donato la vita a Cristo, desidero, questa sera, esprimere l’apprezzamento e la riconoscenza ecclesiale. Grazie per la vostra testimonianza spesso silenziosa e per niente facile; grazie per la vostra fedeltà al Vangelo e alla Chiesa”, ha affermato.

L'atto di consacrazione è stato il culmine dei Vespri con sacerdoti, religiose, religiosi, seminaristi e diaconi che riempivano la moderna chiesa della Santissima Trinità.

E' stato un momento al quale il Pontefice ha voluto dare un'atmosfera di intimità: “Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore”.

Il protagonista dell'incontro non è stato tuttavia il Papa, ma Cristo presente nel sacramento dell'Eucaristia, che è stato adorato dai presenti.

“Siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo”, ha affermato.

In questo modo, i sacerdoti possono essere “presenza” di Cristo, “liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia”.

Il Pontefice ha quindi confessato il suo desiderio che questo Anno Sacerdotale, che si concluderà l'11 giugno, lasci tra i consacrati la grazia di “una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore”.

Nell'atto di consacrazione, il Pontefice ha chiesto alla Vergine la sua intercessione per “non cedere ai nostri egoismi, alle lusinghe del mondo ed alle suggestioni del Maligno”.

“Preservaci con la tua purezza, custodiscici con la tua umiltà e avvolgici col tuo amore materno, che si riflette in tante anime a te consacrate diventate per noi autentiche madri spirituali”, ha implorato.

“La tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo!”, ha concluso.










Benedetto XVI invita a ravvivare la fiamma della fede nel mondo
Presiede la recita del Rosario nella spianata del Santuario di Fatima



FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In un mondo in cui la fede rischia di diventare un elemento sempre più marginale, soprattutto in alcune regioni, Benedetto XVI esorta a ravvivare con vigore questa fiamma.

Lo ha affermato questo mercoledì sera a Fatima, dove migliaia di fedeli si sono riuniti sulla spianata del Santuario per la tradizionale Veglia di preghiera che introduce la Solennità della Beata Maria Vergine di Fatima, che la Chiesa celebra il 13 maggio.

Dopo alcuni canti mariani intonati dal coro e dai fedeli e pellegrini, il Papa ha benedetto le fiaccole della Processione e si è rivolto ai presenti dicendo loro che, con la candela accesa in mano, sembravano “un mare di luce intorno a questa semplice cappella, eretta premurosamente in onore della Madre di Dio e Madre nostra, la cui via di ritorno dalla terra al cielo era apparsa ai pastorelli come una striscia di luce”.

“Sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù”, ha spiegato. “La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci”.

“Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini”.

“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio”, ha sottolineato il Pontefice.

“Non a un dio qualsiasi – ha specificato –, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

“Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori! - ha esclamato -. Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio”.

L'importanza del Rosario

“Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria”, ha proseguito Benedetto XVI in una spianata letteralmente gremita.

La recita del Rosario, ha osservato, “consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio”.

“Nel meditare i misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi mentre recitiamo le 'Ave Maria', contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza”.

“La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento”.

Benedetto XVI ha quindi confessato di sentirsi profondamente accompagnato dalla “devozione” e dall’“affetto” dei fedeli presenti a Fatima e di quelli “del mondo intero”.

“Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo, e vengo a deporli ai piedi della Madonna di Fatima”, ha aggiunto.

“Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità”, ha concluso invocando la Vergine.

Ha avuto quindi inizio la recita dei misteri gloriosi del Rosario, con la prima parte del Padre Nostro e dell'Ave Maria pronunciata in latino dal Papa, mentre la seconda parte delle preghiere è stata detta da ciascun fedele nella propria lingua per dimostrare l'universalità della Chiesa.

Prima di recitare la preghiera mariana, il Papa, che questo pomeriggio aveva donato alla Madonna la Rosa d'Oro, ha ricevuto in dono da monsignor António Marto, Vescovo di Leiria-Fatima, il primo rosario ufficiale di Fatima.

Il rosario è in oro e ha i grani del Padre Nostro sempre in oro e quelli delle Ave Marie in topazio. L'oro, ricorda il Santuario di Fatima in una nota informativa, “non si altera ed evoca nel colore il sole, simbolo che la Chiesa associa a Gesù Cristo”, mentre il topazio fa “passare la luce azzurra del cielo, limpido e profondo, colore che la tradizione associa alla figura di Maria”.









Il Papa: la Madonna, coronata delle gioie e delle sofferenze dell'umanità
Benedetto XVI prega nella Cappellina delle Apparizioni di Fatima

di Roberta Sciamplicotti


FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Vergine Maria è coronata non solo delle gioie, ma anche delle sofferenze dell'umanità, ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì pomeriggio nella Cappellina delle Apparizioni del Santuario di Fatima.

Il Papa è giunto nella cittadina del centro del Portogallo nel pomeriggio proveniente da Lisbona, dove è rimasto una giornata e dove in mattinata aveva incontrato i rappresentanti del mondo della cultura e dell'arte nel Centro Cultural de Belém.

Davanti alla Cappellina è stato accolto da padre Virgílio do Nascimento Antunes, Rettore del Santuario di Fatima. La Cappella è stata costruita per volontà della stessa Vergine nel 1919 e la prima Messa vi è stata celebrata nel 1921.

L'anno successivo venne distrutta ma subito ricostruita. E' stata inaugurata il 12 maggio 1982 da Giovanni Paolo II durante il suo viaggio in Portogallo. Il Papa polacco ha visitato Fatima altre due volte, nel 1991 e nel 2000. Prima di lui, Papa Paolo VI era stato nella cittadina portoghese nel 1967.

Amore filiale

Benedetto XVI è giunto alla Cappellina delle Apparizioni mentre le migliaia di fedeli presenti gridavano “Viva o Papa!”.

Nel suo indirizzo di saluto al Pontefice, il Rettore del Santuario di Fatima ha espresso la sua gioia per la visita dicendo: “Siamo un popolo in festa”.

“Mettiamo a tacere la bocca, la mente e il cuore per accogliere ciò che il Papa ha da dirci”, ha aggiunto.

Il Papa si è quindi inginocchiato davanti all'immagine della Madonna, posta su un basamento nel punto in cui c'era la quercia su cui i tre pastorelli videro la Vergine.

Ha poi pronunciato la sua preghiera, sempre in ginocchio, rivolgendosi alla Madonna e presentandosi “come un figlio che viene a visitare sua Madre e lo fa in compagnia di una moltitudine di fratelli e sorelle”.

Custode di gioia e dolore

“Come successore di Pietro, a cui fu affidata la missione di presiedere al servizio della carità nella Chiesa di Cristo e di confermare tutti nella fede e nella speranza, voglio presentare al tuo Cuore Immacolato le gioie e le speranze nonché i problemi e le sofferenze di ognuno di questi tuoi figli e figlie che si trovano nella Cova di Iria oppure ci accompagnano da lontano”, ha affermato.

“Madre amabilissima, tu conosci ciascuno per il suo nome, con il suo volto e la sua storia, e a tutti vuoi bene con la benevolenza materna che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore”.

Benedetto XVI ha quindi ricordato che Giovanni Paolo II ringraziò la Vergine per la “mano invisibile” “che lo ha liberato dalla morte nell’attentato” del 13 maggio 1981 in Piazza San Pietro.

In seguito, il Papa polacco volle offrire al Santuario di Fatima un proiettile che lo aveva ferito gravemente, che venne collocato nella corona della Madonna.

“È di profonda consolazione sapere che tu sei coronata non soltanto con l’argento e l’oro delle nostre gioie e speranze, ma anche con il 'proiettile' delle nostre preoccupazioni e sofferenze”, ha detto il Papa rivolgendosi alla Vergine.

Ha quindi ringraziato per “le preghiere e i sacrifici che i Pastorelli di Fatima facevano per il Papa” e per “tutti coloro che, ogni giorno, pregano per il Successore di Pietro e per le sue intenzioni affinché il Papa sia forte nella fede, audace nella speranza e zelante nell’amore”.

La Rosa d'Oro

Il Pontefice ha infine offerto alla Madonna la Rosa d'Oro, “come omaggio di gratitudine del Papa per le meraviglie che l’Onnipotente ha compiuto per mezzo di te nei cuori di tanti che vengono pellegrini a questa tua casa materna”.

La Rosa ha al centro un rosario d'oro e di madreperla. Sul vaso figurano lo stemma di Papa Benedetto XVI e la data di questo mercoledì.

In occasione della visita del Papa in Portogallo - 15° viaggio internazionale di questo pontificato, il 9° in Europa -, il Primo Ministro portoghese José Sócrates ha proclamato due giorni di festa nel Paese.

Per questa visita pastorale, le Carmelitane di Coimbra - presso il cui convento ha vissuto suor Lucia, la terza testimone delle apparizioni della Madonna oltre ai cugini Francesco e Giacinta, morta nel 2005 - hanno rinunciato per quattro giorni alla clausura per seguire in televisione gli appuntamenti del Papa in Portogallo.

La visita papale, sul tema “Con te camminiamo nella speranza - Saggezza e missione”, si concluderà questo venerdì, 14 maggio, dopo la visita alla città di Porto.










La Chiesa deve dialogare con la cultura nella verità, afferma il Papa
Il regista Manoel de Oliveira: “Che lo voglia o no, l'Europa è cristiana”

di Inma Álvarez


LISBONA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa ha la missione di mostrare la verità sull'uomo, e da ciò deriva il suo impegno nel dialogo con la cultura e l'arte. Benedetto XVI lo ha ricordato questo mercoledì mattina nel Centro Cultural de Belém di Lisbona a numerosi rappresentanti del mondo culturale e artistico del Portogallo.

Il Papa ha voluto approfondire la comprensione cristiana del dialogo con il mondo della cultura, spiegando ai presenti che il pensiero attuale è caratterizzato da un “conflitto” tra “tradizione” e “presente”.

“La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata 'sapienza' che fa parte del suo patrimonio”, ha affermato.

Questo “conflitto” fra la tradizione e il presente “si esprime nella crisi della verità”, ha aggiunto, sottolineando che “un popolo che smette di sapere quale sia la propria verità finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati”.

In questo senso, ha dichiarato il Pontefice, è necessario chiarire che la Chiesa “si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità”.

“Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo”.

Per compiere la sua missione, ha aggiunto, la Chiesa deve imparare “la convivenza” “nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre 'verità', o con la verità degli altri”.

“In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità”.

Per questo, Benedetto XVI ha sottolineato l'importanza per la Chiesa del Concilio Vaticano II, in cui la Chiesa stessa, “partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo”.

“Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita”.

“L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la 'civiltà dell’amore' - come servizio evangelico all’uomo e alla società”, ha concluso il Papa.

Radici cristiane

L'incontro ha avuto luogo questo mercoledì mattina nell'auditorium del Centro Cultural de Belém, dove il Papa è stato ricevuto dal Vescovo di Porto e presidente della Commissione Episcopale per la Cultura e i Beni Culturali, monsignor Manuel Clemente, e dal Ministro della Cultura, Gabriela Canavilhas.

Erano presenti, tra le tante personalità, rappresentanti del mondo della cultura come il presidente del Consiglio delle Università Portoghesi, António Rendas, gli scrittori Pedro Mexia e João Lobo Antunes, il regista Manoel de Oliveira, l'attrice Glória de Matos, la scultrice Graça Costa Cabral e la direttrice d'orchestra Joana Carneiro.

Prima dell'intervento di Benedetto XVI, ha preso la parola il regista Manoel de Oliveira, che ha affermato che le arti “derivano dalle religioni, che cercano di dare una spiegazione relativa all'esistenza dell'essere umano di fronte alla sua corretta integrazione nel cosmo”.

Parlando della sua esperienza creativa, il regista ha affermato che la religione e l'arte si presentano “intimamente dirette all'uomo e all'universo, verso la condizione umana e la natura divina”.

“Non risiederanno in questo la memoria e la nostalgia del Paradiso perduto, del quale ci parla la Bibbia, tesoro inesauribile della nostra cultura europea?”, si è chiesto.

In tale senso, ha concluso, i valori cristiani “sono le radici della Nazione portoghese e, lo vogliamo o no, di tutta l'Europa”.

Musica del XVII secolo

Per onorare Benedetto XVI, gli è stata offerta come scranno una poltrona della metà del XVIII secolo, appartenuta al primo Patriarca di Lisbona e attualmente conservata nel museo diocesano.

Al Pontefice è stata donata un'opera di oreficeria creata da Siza Vieira, un uovo d'argento con dentro una colomba, simbolo dello Spirito.

Al termine del discorso, molti artisti si sono avvicinati per salutare personalmente il Papa. Tra questi, Emília Nadal e Pedro Calapez (artisti plastici), António Caeiro (traduttore), Manuel Braga da Cruz (rettore dell'Università Cattolica), Eurico Carrapatoso (compositore), Alice Vieira (scrittrice), Alberto Caetano (architetto) e Carminho Rebello de Andrade (cantante di fado).

Lo hanno salutato anche rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Portogallo: José Carp (comunità ebraica), Ashok Hansraj (comunità induista), Fernando Soares Loja (Alleanza Evangelica), Abdool Vakil (comunità islamica) e Nazimudin Ahmad Mahomed (comunità ismailita).

L'incontro è stato allietato dal Coro Gulbenkian, diretto da Jorge Matta, che ha interpretato opere religiose dei compositori barocchi portoghesi Francisco António Almeida e Diogo Dias Melgas.


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