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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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07/05/2009 22:26
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Breve vademecum per spiegare il vocabolario del “pellegrinaggio” che Benedetto XVI farà tra Giordania, Israele e Anp

La difficoltà del viaggio in Terra santa è perfino semantica

Roma. In fatto di parole questa volta non si può proprio sbagliare. La visita papale che avrà inizio venerdì non è un viaggio in Giordania, Israele e Territori palestinesi. Sin dall’annuncio, avvenuto a marzo, la Santa Sede ha sempre parlato di “viaggio apostolico in Terra Santa”. Che è tutta un’altra cosa.
Di polemiche intorno alle parole uscite di bocca a Benedetto XVI (e a tutti gli esponenti della chiesa che hanno liberamente deciso di dire la loro) ce ne sono state parecchie, ma in occasione di un viaggio così delicato la chiesa non vuole incappare in fraintendimenti inutili.
L’attenzione all’aspetto semantico è tale che ai giornalisti è stato consegnato anche un vademecum, curato dalla Radio Vaticana, che puntualizza sulle definizioni. Perché se ogni parola del Papa sarà opportunamente soppesata, la Santa Sede confida che tutti facciano altrettanto.
Parlare di Terra Santa, prima di tutto, non equivale a dire Israele. Non soltanto per i confini geografici che non combaciano, ma anche per il valore: religioso nel primo caso, politico nel secondo. Mentre lo stato di Israele è nato dopo la Seconda guerra mondiale, quella terra che inizia a ovest del Mar Morto e del Giordano e arriva sino alle coste del Mediterraneo è sacra per tutte e tre le religioni abramitiche. Per i musulmani Gerusalemme è il luogo in cui Maometto è stato rapito dall’angelo ed è asceso ai Cieli. Per la religione ebraica è Heretz Israel, la Terra Promessa, quella che Dio mostrò a Mosè dall’alto del monte, “dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate”, come è scritto nella Genesi. E’ il luogo del Tempio, quello a cui gli ebrei sognano di ritornare sin dall’inizio della diaspora ogni volta che si salutano con: “L’anno prossimo a Gerusalemme”. Mentre per i cristiani la Terra Santa è dove è nato, morto e risorto Gesù Cristo. E per tutte e tre le religioni Gerusalemme (e la valle di Josafat) è anche il luogo del giudizio finale.
Ma le distinzioni sono ben più elaborate. Il vademecum vaticano si addentra nella spiegazione delle differenze fra “ebreo”, “ebraico”, “israelita” e “sionista”. Una persona ebrea può non professare la religione ebraica, per esempio, così come un israeliano (ovvero chi nasce o è cittadino dello stato di Israele) non è necessariamente un israelita (chi professa l’ebraismo). Per “sionismo” invece si intende la concezione di Theodor Herzl secondo la quale gli ebrei devono tornare alla loro terra e lì stabilire la loro patria.
Altro capitolo sensibile è quello che riguarda le relazioni burrascose fra cristiani ed ebrei, occidente e israeliti, e non bisogna fare confusione: l’antigiudaismo, l’antisemitismo e l’antisionismo sono tre concetti molto diversi.
“L’antigiudaismo è una questione esclusivamente religiosa e teologica, che ha certamente contrassegnato il cristianesimo – dice al Foglio Vittorio Messori – Per l’antigiudaismo un ebreo era visto come una persona da convertire e non certo da sterminare. L’antisemitismo, invece, nasce nell’Ottocento ed è una questione razziale che il cristianesimo ha sempre combattuto”. Lo stesso Benedetto XVI ha definito la Shoah “un crimine contro Dio”.
“L’antisionismo invece – spiega Messori – è una questione politica. Molti ebrei sono antisionisti: a ‘destra’ lo sono molti ebrei osservanti, che giudicano blasfemo un ritorno in Terra Santa senza il Messia, e a ‘sinistra’ molti ebrei integrati nella cultura occidentale, che pensano che le libertà assicurate dall’occidente bastino e non esigano la costruzione di uno stato ebraico”.

© Copyright Il Foglio, 7 maggio 2009


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