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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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14/05/2009 22:23
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A Nazaret moltissimi giovani attorno al Papa

La voglia di pace tra le nuove generazioni in Terra Santa

dal nostro inviato Gianluca Biccini

"Peace. Salam. Shalom".
E' impressa su magliette bianche la voglia di pace dei giovani cristiani che vivono in Israele. Le hanno indossate a migliaia nell'anfiteatro naturale nella capitale della Galilea, dove Benedetto XVI ha presieduto, giovedì mattina, la più imponente celebrazione in Terra Santa. Di sicuro il più grande raduno di cattolici in territorio di Israele.
Il gran caldo non ha scoraggiato gli oltre quarantamila fedeli, soprattutto ragazzi e ragazze, giunti da tutta la regione, che si sono raccolti attorno al Successore di Pietro nella nuovissima struttura all'aperto, realizzata al Monte del Precipizio, proprio nel luogo in cui, secondo l'evangelista Luca, la folla tentò di far cadere Gesù dalla rupe.
Per celebrare la conclusione dell'anno della famiglia indetto dagli ordinari di Terra Santa, il Papa è giunto da Gerusalemme in elicottero in questi luoghi, nei quali Cristo visse durante l'infanzia e la giovinezza. Oggi Nazaret è la maggiore città araba di Israele con i suoi 42.000 abitanti, metà dei quali cristiani. All'eliporto è stato accolto dal sindaco Ramiz Jaraisy, dal vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario del Patriarca latino per Israele, e dall'arcivescovo maronita di Haifa, monsignor Nabil Sayyah, incaricato della pastorale per la famiglia nell'assemblea degli ordinari di Terra Santa.
Dopo aver compiuto un giro in papamobile tra l'entusiasmo della folla, ha celebrato la messa di rito latino - con preghiere e canti anche in greco, in arabo e in inglese - cui sono stati aggiunti elementi della liturgia melkita.
A nome dei presenti, l'ordinario greco-melkita per la Galilea, arcivescovo Elias Chacour, vice presidente dell'assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, ha salutato il Papa.
Con Benedetto XVI hanno concelebrato i cardinali, i vescovi e i prelati del seguito, il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, numerosi vescovi locali.
"Abbiamo tutti bisogno di ritornare a Nazaret" ha detto il Pontefice all'omelia ripetendo le parole di Paolo VI, per riscoprire nella Santa Famiglia il modello autentico di ogni vita familiare cristiana. La famiglia, del resto, è il primo mattone di una società accogliente. E ciò pare particolarmente necessario qui in Galilea, dove negli ultimi anni si sono create tensioni che hanno danneggiato i rapporti fra la comunità cristiana e quella musulmana.
Come aveva fatto durante la messa ad Amman in Giordania, il Papa è tornato a parlare della dignità delle donne, forza vitale di tutto il tessuto sociale, come madri, come lavoratrici o come consacrate. A Nazaret un pensiero lo ha rivolto anche al proprio patrono, san Giuseppe, offerto come un modello anche per i padri di oggi.
Al termine della messa, il Papa ha benedetto tre prime pietre di altrettante nuove realtà destinate a sorgere quali modelli di pacifica convivenza: il parco memoriale intitolato a Giovanni Paolo II; l'università che prenderà il nome di Benedetto XVI; e un Centro per la famiglia. Quest'ultimo nascerà grazie al milione di euro raccolti dai fedeli delle diocesi bavaresi di Monaco, Ratisbona e Passau durante la visita del Pontefice nel settembre 2006. Donati per suo volere al Custode di Terra Santa per la costruzione di un nuovo centro di trentamila metri quadrati vicino alla Basilica dell'Annunciazione, fu il presidente di Cor Unum il 14 dicembre 2006 a rendere nota questa decisione del Papa. In quella circostanza vennero donati anche cinquantamila dollari per la costruzione di una scuola nel villaggio di Mughar. Una realtà educativa nei luoghi dove vissero i genitori di Gesù e dove potranno sedere sugli stessi banchi bambini cristiani, drusi e musulmani.
Il Papa è dunque passato dal luogo della nascita di Gesù a quello della sua infanzia. Nel pomeriggio precedente, infatti, nel corso della sua visita di un giorno nei territori palestinesi, dopo la messa nella piazza della Mangiatoia aveva sostato in preghiera alla Grotta della Natività. È accaduto nel primo pomeriggio, dopo il pranzo con gli ordinari di Terra Santa e con la comunità dei frati minori della "Casa Nova", struttura di accoglienza per i pellegrini praticamente attaccata alla Basilica della Natività.
Passando attraverso la chiesa francescana intitolata a Santa Caterina d'Alessandria, Benedetto XVI è sceso attraverso una delle due scale che consentono l'accesso alla piccola cripta nel luogo in cui, secondo la tradizione, è nato Gesù; il punto esatto è simbolicamente segnato da una stella d'argento in cui è incisa, in latino, la frase "Qui dalla Vergine Maria è nato Cristo Gesù". Il Successore di Pietro ha pregato in silenzio. Tra l'altro ha potuto anche ammirare il presepe e il piccolo altare che ricorda i magi, dove i cattolici celebrano la messa. Com'è noto infatti l'accesso alla Basilica della Natività è regolato da uno status quo che ripartisce proprietà e competenze tra tre Chiese cristiane: greco-ortodossa, armena e cattolica.

(©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2009)


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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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PAPA: A NAZARETH PREGA MANO NELLA MANO CON RABBINO E IMAM

Il penultimo giorno della sua visita in Terra Santa, papa Benedetto XVI lo dedica a Nazareth, la citta' della famiglia di Gesu' che negli ultimi dieci anni ha vissuto momenti di tensione tra cristiani e musulmani a causa del progetto di costruire una moschea a breve distanza dalla basilica dell'Annunciazione.
E, simbolicamente, a conclusione della giornata arriva, fuori programma, il canto-preghiera mano nella mano del pontefice con un rabbino ed un imam, al termine dell'incontro interreligioso nell'Auditorium del Santuario dell'Annunciazione.
In conseguenza di questo clima, le autorita' israeliane avevano individuato la giornata di oggi come particolarmente sensibile dal punto di vista della sicurezza.
Tanto delicata era, a loro dire, la situazione, da aver proibito al pontefice di effettuare il tradizionale giro in papamobile, come gia' aveva fatto Giovanni Paolo II nel 2000.
Una decisione che ha provocato le vivaci proteste del sindaco di Nazareth Ramiz Jaraisy, per il quale non c'era ''alcun allarme'' sicurezza in citta'.
A Nazareth, ha aggiunto, cristiani e islamici vivono in pace: ''Sono cristiano e sono stato eletto per tre volte da una citta' dove i musulmani sono maggioranza. Si tende a trasformare in divisioni politiche le differenze di fede, e questo e' un errore''. Non a caso, a inizio giornata, il pontefice, nell'omelia della grande messa celebrata questa mattina nell'anfiteatro del Monte del Precipizio, di fronte a circa 30mila persona, aveva invitato cristiani e musulmani a respingere ''il potere distruttivo dell'odio e del pregiudizio, che uccidono l'anima umana prima che il corpo''.
Rivolgendosi alle persone ''di buona volonta' di entrambe le comunita''', aveva poi chiesto di superare le ''tensioni'' e di edificare ''ponti'', trovando i ''modi per una pacifica convivenza''.
Nel pomeriggio, papa Ratzinger ha avuto invece l'atteso incontro con il premier israeliano Nethanyahu. Un incontro che e' caduto - impossibile dire se per scelta o coincidenza - all'indomani delle sua forti parole a sostegno della creazione di uno Stato palestinese e per la fine dell'embargo a Gaza e alla vigilia del giorno che per i palestinesi segna la Nakba, la 'tragedia' della perdita della casa e della patria con la proclamazione dello Stato israeliano nel 1948.
Secondo quanto riferito dal direttore della Sala Stampa vaticana, p. Federico Lombardi, il pontefice e il premier israeliano hanno parlato per 15 minuti in privato della situazione del processo di pace, facendo anche il punto degli incontri che i due leader hanno avuto negli ultimi giorni con il re di Giordania Abudllah e con il presidente egiziano Mubarak.
In particolare, Netanyahu ha raccontato di aver chiesto al papa una parola forte contro l'Iran e le minacce del suo presidente Ahmadinejad: ''Gli ho detto che e' impossibile che all'inizio del XXI secolo ci sia uno Stato che dice di voler distruggere lo Stato israeliano, e che nessuno faccia sentire aggressivamente la propria voce per condannarlo. Penso che in lui abbiamo trovato un orecchio attento''.
La vera sorpresa della giornata, pero', arriva al termine dell'incontro interreligioso che ha preceduto i vespri nella basilica dell'Annunciazione.
Al termine della cerimonia, il rabbino Alon Goshen-Gottstein, direttore dell'Elijah Interfaith Institute, ha proposto di pregare tutti insieme su un canto da lui composto che chiede a Dio ''Shalom, Salam'', pace.
A quel punto, gli esponenti cristiani, ebrei e musulmani si sono alzati in piedi e Benedetto XVI ha preso per mano i suoi due vicini, il rabbino David Rosen e un imam.
Quella del rabbino, e' stato il commento di p. Lombardi, all'unico momento di 'preghiera' interreligiosa del viaggio, e' stata ''un'idea geniale e creativa, perche' nessuno puo' obiettare che non si possa cantare insieme Dona nobis pacem''.

© Copyright Asca


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PAPA: 40MILA A NAZARETH, DIFENDERE BAMBINI E FAMIGLIA

(AGI) - Nazareth, 14 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

L'enorme spianata naturale, alla periferia di Nazareth, non basta a contenerli cosi' come e' incontenibile il loro entusiasmo: sono moltissimi, certamente piu' dei 40 mila attesi, i fedeli presenti alla messa di Benedetto XVI nella citta' dove e' cresciuto Gesu' e dove i suoi familiari diedero vita alla prima comunita' cristiana locale.
"Di sicuro il piu' grande raduno di cattolici in territorio di Israele", commenta l'Osservatore Romano.
Ed e' vero perche' l'unico precedente e' quel mega-incontro dei giovani di tutto il mondo con Giovanni Paolo II a Tiberiade, nel 2000, ma stavolta la folla e' tutta di cristiani del Medio Oriente e gremisce la conca alla base del Monte del Precipizio, proprio
nel luogo in cui, secondo l'evangelista Luca, la folla tento' di far cadere Gesu' dalla rupe. Compiuto il giro, Joseph Ratzinger, raggiante per l'accoglienza caldissima che gli fanno, raggiunge il palco che e' stato preparato.
Prende la parola il vicario greco melkita di Nazareth, Elias Chacour: "l'esodo dei cristiani ci angoscia con dolore e ci mostra una prospettiva poco incoraggiante", esordisce dando voce alla preoccupazione della Chiesa locale per le scuole cattoliche che in Israele, spiega, "lottano per la sopravvivenza, pur essendo di altissimo livello".
"Santita' - afferma il vescovo greco-cattolico nel suo applauditissimo intervento - abbiamo bisogno delle sue preghiere e del suo sostegno morale e spirituale.
Continuiamo ad aspettare piu' sostegno dalle autorita' israeliane, come cittadini di questo Paese: siamo convinti che rispetteranno i nostri diritti. Le nostre istituzioni educative, le nostre scuole sono la nostra prima priorita' perche' questo e' lo strumento per diffondere il messaggio di Cristo, per diffondere lo spirito di riconciliazione.
Le nostre scuole lottano fanno grandi sacrifici, ma andiamo avanti".
Gli applausi lo sommergono quando indica al Pontefice gli sfollati di Bourom e Ikreth, presenti nelle prime file, che "aspettano con speranza un sostegno per poter ritornare ai loro villaggi e vivere nelle loro case cosi' come fanno gli altri cittadini di questo Paese".
Il Papa non lascia cadere queste denunce e una ad una le riprende nei vari momenti della giornata che prevede anche un colloquio con il premier Banjamin Netanyahu definito importante dal custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.
Cosi' all'omelia lancia un forte appello al Governo Israeliano perche' sostenga le famiglie senza discriminazioni etniche e religiose, ricordando che l'Antico Testamento - dal quale l'ebraismo trae i suoi insegnamenti - "presenta la famiglia come la prima scuola della sapienza". "Possiamo giungere ad apprezzare, all'interno della societa' piu' ampia - promette - il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l'istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far si' che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di Dignita'".
In particolare il Papa chiede aiuti per le donne che in Medio Oriente "sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della societa', hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno cosi' urgente bisogno: un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare le virtu' della misericordia e del perdono". Un tema che ritorna nel pomeriggio, quando si rivolge ai credenti delle diverse fedi, "cristiani, ebrei, musulmani, drusi, e persone di altre religioni" per ricordare loro che insieme debbono impegnarsi a "salvaguardare i bambini dal fanatismo e dalla violenza, mentre li preparano ad essere costruttori di un mondo migliore". "Le nostre diverse tradizioni religiose - afferma poco prima di comporre una catena umana con tutti i presenti dando la mano al rabbino David Rosen, presidente del Comitato ebraico per il dialogo con i cristiani, e a un imam - hanno in se' potenzialita' notevoli in ordine alla promozione di una cultura della pace, specialmente attraverso l'insegnamento e la predicazione dei valori spirituali piu' profondi
della nostra comune umanita'.
Plasmando i cuori dei giovani, noi plasmiamo il futuro della stessa umanita'".
Nel suo discorso ai leader religiosi fa poi cenno alla lunga controversia che ha opposto la Chiesa Cattolica e la comunita' musulmana di Nazareth sui diritti territoriali dei rispettivi luoghi santi: "vi incoraggio a continuare ad esercitare il vicendevole rispetto, mentre vi adoperate ad alleviare le tensioni concernenti i luoghi di culto, garantendo cosi' un ambiente sereno per la preghiera e la meditazione, qui e in tutta la Galilea".
Queste tensioni oggi non si avvertono a Nazareth ma il problema esiste se la polizia - attirandosi le critiche del sindaco Ramiz Jaraisy - limita l'uso della papamobile al solo giro nella spianata e proibisce la permanenza in citta' dell'imam Nizam Sakhafa, che si e' distinto per i toni accesi sia nella polemica decennale tra moschea e santuario che negli attacchi mediatici di questi giorni al viaggio del Papa.
E Ratzinger invita "le persone di buona volonta' di entrambe le comunita' a riparare il danno che e' stato fatto, e in fedelta' al comune credo in un unico Dio, Padre dell'umana famiglia, ad operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza".
"Ognuno - chiede - respinga il potere distruttivo dell'odio e del pregiudizio, che uccidono l'anima umana prima ancora che il corpo". In serata arriva infine l'appello a tutti i cristiani del Medio Oriente a non fuggire via.
"Abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza: come Maria, voi avete
un ruolo da giocare nel piano divino della salvezza".
"Nello Stato di Israele e nei Territori Palestinesi i cristiani formano una minoranza della popolazione e a volte sembra che la loro voce conti poco: una situazione che richiama alla mente quella di Maria a Nazareth, ma Dio ha guardato all'umilta' della sua serva e ha ricolmato di beni l'affamato".

© Copyright (AGI)


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Viaggio in Terrasanta La posizione vaticana sulla questione mediorientale non era mai stata affermata in maniera così netta

Il Papa: «I muri possono essere abbattuti»

Il Pontefice ai palestinesi: «Sì allo Stato indipendente». Peres: fermiamo le barriere

DAL NOSTRO INVIATO

Gian Guido Vecchi

BETLEMME

E’ un attimo, prima che s’alzi a parlare un tizio sposta il piccolo palco d’un metro, ecco, così l’inquadratura è perfetta: la figura bianca di Benedetto XVI che parla nel campo profughi Aida, alle spalle il muro colorato qua e là di dipinti e scritte («Voglio indietro la mia palla! Grazie») diventa l’immagine della giornata e forse del pellegrinaggio.
Anche perché «in un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte è tragico vedere che vengono tuttora eretti muri», scandisce il pontefice, e «il muro che incombe su di noi», quella colata di cemento alta otto metri «che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie» è l’immagine della «dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi». Il Papa tedesco di muri ne sa qualcosa, e si congeda da Betlemme con una speranza: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, tutti sanno che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti».
In sintonia con il pontefice, Shimon Peres, presidente israeliano: «Bisogna fermare l’uso delle armi e della violenza. Bisogna fermare i muri — ha detto in un’intervista all’Osservatore Romano, pubblicata oggi —. Nessuno in definitiva vuole i muri, di cui tutti pagano costi altissimi».
Nell’attesa la situazione è quella che è, «so quanto avete sofferto e continuate a soffrire» dice ad Abu Mazen che parla di «muro dell’apartheid». La posizione di Benedetto XVI e della Chiesa su queste «terre martoriate » non è mai stata affermata in modo così netto: «Signor presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti». E nel pomeriggio, davanti ai profughi, precisa che con «patria» intende «uno Stato palestinese indipendente ».
E’ una giornata di festa per le cinquemila persone che riescono ad assistere alla messa nella piazza della Mangiatoia, per i bambini dell’ospedale infantile della Caritas, per i profughi. Ma pure una giornata in cui, sospira il Papa, «ho visto con angoscia la situazione dei rifugiati che come la Sacra Famiglia hanno dovuto abbandonare le loro case».
Il Papa prega alla Grotta nella Natività e affronta tutte le questioni più urgenti. Chiede «una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi». Una soluzione che «non può essere che politica» ed esige un appoggio esterno: «Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli. E’ vitale il sostegno della comunità internazionale », purché «palestinesi e israeliani siano disposti a rompere il ciclo delle aggressioni».
Hamas si dice «delusa», c’è chi lamenta non abbia parlato di «occupazione», ma tra i rifugiati c’è soddisfazione perché ha nominato la parola «muro» e per la citazione (peraltro neutra) degli «eventi del maggio 1948», la nascita di Israele che per loro è la «Nakba» («catastrofe ») ricordata domani. Ma il Papa invita ad essere «strumenti di pace». Durante la messa si rivolge ai 48 fedeli che hanno avuto il permesso «dalla martoriata Gaza» (le richieste erano 250), assicura il suo «caloroso abbraccio» alle famiglie dei morti «nel recente conflitto » e soprattutto prega perché «l’embargo sia tolto presto».
Allo stesso tempo si rivolge ai ragazzi del campo Aida, ai «tanti giovani presenti oggi nei territori palestinesi» e scandisce: «Abbiate il coraggio di resistere a ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


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15/05/2009 01:52
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Il Papa a Nazareth per mostrare che la famiglia è indispensabile
Commento di padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha mostrato a Nazareth che ciò di cui ha realmente bisogno la società è riscoprire la famiglia, spiega l'amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, una istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Padre Caesar Atuire, che accompagna in questi giorni il Santo Padre nel suo viaggio in Terra Santa, ha detto che il penultimo giorno del pellegrinaggio papale è servito a far capire qual è l'aintidoto per far sì che la società non si tramuti in un “agglomerato di individui” condannati alla solitudine.

Con l'affollata Messa – circa 40 mila le persone presenti – svoltasi questo giovedì presso il Monte del Precipizio, nella città di Nazareth, il Papa ha voluto chiudere l’Anno della Famiglia celebrato dalla Chiesa nella Terra Santa e benedire la prima pietra di un Centro internazionale per la Famiglia.

"Abbiamo tutti bisogno - ha detto il Pontefice - di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana".

"Qui, sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite", ha aggiunto.

"Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!", ha poi esclamato.

Nel sottolineare l'importanza di questa tappa del pellegrinaggio papale, padre Atuire ha ricordato che “Dio è voluto entrare nella storia dell'umanità come un essere umano, come ciascuno di noi, incarnandosi nel corpo di una donna per poi crescere in un contesto familiare”.

“A due passi dalla Basilica dell'Annunciazione c'è anche la Chiesa di San Giuseppe che commemora il luogo in cui è vissuta la Sacra Famiglia”, spiega il sacerdote.

In questo modo, ha detto, riusciamo a comprendere che “la società umana non è un insieme, un agglomerato di individui ma una comunità di famiglie”.

“Il Papa ha voluto dare risalto al tema della famiglia come tema decisivo per l'attualità di oggi, soprattutto dato che viviamo in una società nella quale la famiglia è soggetta a molte minacce”, e nella quale alcuni “intendono equiparare alla famiglia altre realtà che non lo sono”.

15/05/2009 08:18
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Il Papa in Terra Santa parla a tutti e a nome di tutti

di padre Thomas D. Williams, LC

GERUSALEMME, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).

Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme per recarsi a Betlemme questo mercoledì mattina, tra le continue cavillosità dei commentatori locali.
Non ho potuto fare a meno di levare il mio cuore a Dio, grato per questo gentile Papa tedesco. Ho capito quanto sia unica la sua missione in questa terra lacerata che vede continui battibecchi su tutto, dalla terra alle minuzie dottrinali.
Il fatto è che il Santo Padre non è venuto in Terra Santa per avere un ruolo politico, nemmeno per il suo “partito” personale. Non è venuto semplicemente come rappresentante della Chiesa cattolica, ma a nome di ogni persona coinvolta, a nome dell'umanità stessa.
Benedetto XVI parla a nome degli ebrei, lodando la loro eredità religiosa e difendendo il loro diritto alla sicurezza e all'autogoverno. Parla a nome dei palestinesi e del loro diritto alla sovranità e alla libertà. Parla a nome dei musulmani richiamandoli al meglio della loro tradizione, con le profonde convinzioni religiose e il culto sentito nei confronti dell'unico Dio. Parla per i cristiani, nel loro difficile status di minoranza esigua e sofferente. In poche parole, parla a tutti e a nome di tutti.
E' questo l'aspetto singolare della voce e del messaggio del Papa. Paradossalmente, tra tutte le manipolazioni del messaggio di Benedetto XVI e tra tutte le lamentele per il fatto di non sostenere sufficientemente alcun gruppo, vediamo la grandezza e l'unicità della sua presenza qui. Nessun altro leader del mondo può parlare con la stessa autorità morale o con la sua autentica imparzialità. Il suo rifiuto di giocare un ruolo politico è la ragione per la quale il suo messaggio è spesso respinto, e anche il motivo per cui questo è così disperatamente importante.
Tra coloro che hanno sollevato il maggior clamore per la presunta assenza di rimorso da parte di Benedetto XVI nei confronti della Shoah c'è il rabbino Ysrael Meir Lau, presidente del Memoriale dello Yad Vashem, che ha criticato il discorso del Papa perché “privo di ogni compassione, di ogni rimorso, di ogni dolore per la terribile tragedia dei sei milioni di vittime”.
Se vi capita di guardare le trasmissioni, Lau è la persona che stava alla destra del Papa con un atteggiamento tale da far pensare che avesse appena mangiato qualcosa che il suo stomaco trovava particolarmente indigesto.
Il rabbino Lau non è nuovo alle critiche contro il papato. E' stato anche un instancabile denigratore di Papa Pio XII, anche quando questo significava distorcere la verità. Durante le commemorazioni del 1998 a Berlino per il 60° anniversario della Notte dei Cristalli – il 9 novembre 1938, evento che ha aperto l'era delle persecuzioni contro gli ebrei in Germania –, Lau, allora rabbino capo di Israele, è stato invitato a parlare.
Durante il suo discorso appassionato, ha formulato la domanda incriminante: “Pio XII, dov'eri? Perché sei rimasto in silenzio riguardo alla Notte dei Cristalli?”. Il giorno successivo, due giornali italiani riportavano quella domanda come titolo, con questo catenaccio: “Il vergognoso silenzio di Pio XII”. L'unico problema è che Pio XII non è stato eletto fino al marzo 1939, quattro mesi dopo la Notte dei Cristalli, ma non ho ancora visto il rabbino Lau affrettarsi ad esprimere rimorso per la sua diffamazione di Papa Pio XII.
Mentre mi recavo in Israele, ho avuto l'occasione di rileggere l'autobiografia di Benedetto XVI, "Memorie 1927-1977". Sono rimasto ancora una volta colpito da come la sua infanzia sia stata brutalmente interrotta dall'ascesa al potere di Hitler, e da come tanti tedeschi di buona volontà siano stati ingiustamente accusati di nazismo.
Se bisogna credere alle critiche contro il Papa, chiunque sia vissuto in Germania negli anni Trenta e Quaranta è necessariamente colpevole di connivenza.
Fortunatamente, alcune autorevoli voci ebraiche stanno iniziando ad essere ascoltate a Gerusalemme quando chiedono ai critici di lasciare in pace il Papa. Ad esempio, Noah Frug, leader del Consorzio delle Organizzazioni dei Sopravvissuti all'Olocausto in Israele, ha affermato che le critiche contro il Papa sono esagerate. “E' venuto qui per avvicinare la Chiesa e l'ebraismo, e dovremmo considerare la sua visita positiva e importante”, ha dichiarato.
Questo mercoledì l'attenzione si è spostata su Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù, ma anche parte dei Territori palestinesi.
Arrivando a Betlemme, Benedetto XVI ha espresso subito la propria sentita solidarietà con i palestinesi sofferenti, e ha ribadito la posizione della Santa Sede circa il loro diritto alla sovranità. “Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”, ha detto.
In teoria questo non dovrebbe provocare alcun disaccordo, visto che la posizione ufficiale dello Stato di Israele coincide con quella della Santa Sede. Anche Israele sostiene il diritto dei palestinesi a una patria sovrana, se questa soluzione potesse essere realizzata senza detrimento per la sicurezza israeliana. Ovviamente il punto è proprio questo.
Qui in Terra Santa ho parlato con molte persone di vari background, e l'unica cosa che sembrano avere in comune è la sofferenza. Ognuno mi voleva parlare delle difficoltà e delle ingiustizie che subisce, a livello personale o storico. Ognuno aveva una storia di dolore da raccontare. Nessuno sembra ricordare di aver mai commesso ingiustizie, ma tutti ricordano di averle subite. E non posso fare a meno di chiedermi, in una terra di tanto dolore, una terra la cui gente si fregia del fatto di “ricordare”, se a volte il perdono non sia una virtù ancor più necessaria.
A Betlemme Benedetto XVI ha chiesto ai cristiani di essere “un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione”. E' ciò che egli stesso cerca di essere – con la sua presenza, le sue parole e la sua determinazione paziente a predicare costantemente la Buona Novella “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tim 4:2).

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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]

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Papa/ 'Papamobile' vietata per strade Nazareth, sindaco protesta

Forze sicurezza israeliane l'hanno permessa solo alla messa

Lo Shin Bet lo aveva fatto sapere per mezzo stampa: la 'papamobile' non era consigliata a Nazareth per motivi di sicurezza.
Ma il sindaco della maggiore città araba di Israele non ha gradito la decisione.
"E' uno sbaglio", afferma. Benedetto XVI ha potuto usare l'automobile con i vetri alti che gli permettono di essere visto da tutti i fedeli solo nell'anfiteatro allestito per la celebrazione della messa mattutina. Non per le strade della città, non per raggiungere la basilica della Natività.
"La gente ha atteso il Papa lungo la strada per vederlo e salutarlo", afferma Ramiz Jaraisy incontrando i giornalisti internazionali presenti all'Hotel Golden Crown di Nazaret. "Gli è stato impedito.
Nel 2000 Wojtyla ha usato la 'papamobile' a Nazaret e ora no. E' una decisione molto sbagliata. Ma ovviamente - aggiunge - non potevamo interferire e cambiare le decisioni prese dalle forze di sicurezza israeliane".
Gli allarmi per la sicurezza circolati sui quotidiani israeliani? "Non c'è fondamento. Sono solo scuse", risponde. "Con la 'papamobile' ha visitato Gerusalemme est e ovest, Betlemme, il campo di rifugiati di Aida. Ora vorrei sapere: lì la sicurezza era migliore? Non mi piace quella decisione". Il primo cittadino di Nazareth, poi, liquida velocemente la questione della moschea che alcuni esponenti musulmani volevano costruire accanto alla basilica della Natività nel 1999. Inizialmente autorizzata, poi vietata dal Governo israeliano. "Non è una questine religiosa, è politica. Io sono cristiano e sono stato eletto per tre volte sindaco di Nazaret, una città al sessantacinque per cento musulmana. I politici perseguono obiettivi politici. Purtroppo la religione è usata per ottenere obiettivi politici. In questa splendida atmosfera non voglio parlare di quella vicenda - conclude Jaraisy, leader del Fronte per la giustizia e la pace - ma è alle nostre spalle".

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Amargura y esperanza ante las reacciones del mundo judío

José Luis Restán

Produce especial amargura escuchar las críticas de algunos exponentes judíos tras los primeros pasos de Benedicto XVI en Israel. Parece como si en lugar de un encuentro franco entre hermanos, estuviéramos siempre ante un examen al que una parte somete a la otra: el examinado siempre es, naturalmente, el Papa (y con él todos los católicos) y nunca se consigue la nota para aprobar.
No hablo ya de la franja lunática que en todas partes existe. De aquellos que afirman que esta era la oportunidad de que el Papa se clarificase sobre el Holocausto, o de que pidiese excusas por sus devaneos con el nazismo. Insultos tan aberrantes sólo pueden proceder de mentes enfermas por la ideología. Lo que realmente produce fatiga es escuchar el enésimo lamento de algunos rabinos, diputados o periodistas israelíes, que presumen de paciencia y buena disposición, pero que nunca están satisfechos. Resulta que el hondísimo y conmovedor discurso de Benedicto XVI en el memorial del Holocausto, no ha satisfecho las expectativas de algunos. ¿La causa? El Papa no ha mencionado la palabra “nazismo”, y no ha pedido perdón, como cabeza de la Iglesia y como alemán. Parece grotesco, pero es preciso esforzarse y dialogar con esta pretensión insatisfecha.
En primer lugar el Papa no tiene que repetir siempre todos y cada uno de los argumentos implicados. Son decenas sus discursos sobre la Shoá, y nada menos que en el campo de Auswitch ya evocó la particular conmoción que tiene para él afrontar esta tragedia, precisamente por ser un Papa que procede de Alemania. Respecto al nazismo y su significado, será difícil encontrar alguien (en la Iglesia y fuera de ella) que haya diagnosticado con tanta precisión las raíces culturales y morales de este horror, y cómo éste se cebó precisamente en el pueblo de la Primera Alianza. Ayer, nada más tomar tierra su avión en Tel Aviv, denunció que “la cabeza repugnante del antisemitismo vuelve a levantarse hoy”, y pidió todos los esfuerzos para desarraigar ese veneno de los corazones y de las instituciones. Pero no es bastante, nunca es bastante, porque para algunos un Papa es “a priori” sospechoso, y más si ha crecido en suelo alemán en la época lúgubre en que el nazismo sojuzgó a Europa.
En Yad Vashem, Benedicto XVI ha querido sumergirse en el sufrimiento indecible de millones de víctimas hebreas, ha querido detenerse ante sus nombres (que nunca podrán ser borrados), honrarles y proclamar que también para su incomprensible dolor existe una última salida, un rayo de esperanza, porque el Dios omnipotente y misericordioso sigue vivo, aunque nos parezca escondido. Todo el discurso del Papa nacía de la sabiduría contenida en la Toráh de Israel. Ha sido un alegato estremecedor contra el negacionismo, el reduccionismo y el olvido, y al mismo tiempo una proclamación de confianza total en el Dios de Abraham, de Isaac y de Jacob, el Dios que permanece fiel a sus promesas y que no puede abandonar a su pueblo.
Digámoslo claramente: Benedicto XVI tenía que hacer suyo ese sufrimiento abrumador como hermano, como creyente y como pastor de la Iglesia. Pero no tenía por qué pedir perdón, ni como alemán ni como Papa, de un crimen del que no tiene responsabilidad alguna.
Ser alemán no puede ser un estigma, y fueron miles los que sufrieron la represión del régimen totalitario. En cuanto a la Iglesia, insinuar que ella fue responsable de los crímenes del nazismo va más allá de cuanto a estas alturas se puede soportar. ¿Es este el avance en la clarificación de nuestra atormentada historia, fruto de un diálogo de decenios? ¿No han servido de nada documentos como la “Nostra Aetate” o “Nosotros recordamos”, dedicado a la Shoá? ¿Ya se han borrado las palabras conmovedoras de Juan Pablo II en la Sinagoga de Roma o ante el Muro de las lamentaciones?
Por fortuna, no todos los representantes del mundo judío han reaccionado del mismo modo. Por ejemplo el presidente del Comité de los supervivientes del Holocausto, Noah Frug, ha recordado que el Papa ha llegado a Israel para avecinar a la Iglesia y a los judíos, y que sus gestos y palabras han sido importantes en esa dirección. “El Papa no es el presidente de una organización sionista, entonces ¿por qué le criticamos?”. Toda una lección de buen sentido, como hermosa ha sido la lección del rabino de Nueva Cork, Jacob Neusner, que ha destacado la capacidad de Benedicto XVI para guiar el imprescindible diálogo de las tres grandes religiones monoteístas.
Esperemos que tras el ruido de las quejas, se abra paso mansamente la impresionante plegaria del Papa en Yad Vashem, nacida del corazón de la Biblia que compartimos. Que nuestros hermanos judíos suspendan la sospecha permanente y acepten el abrazo de la paz que Benedicto XVI lleva a Israel en nombre de toda la Iglesia. Porque sean cuales sean nuestras cuitas, hay un hecho irreversible, el vínculo indisoluble entre el pueblo hebreo y el pueblo de la Iglesia. Hacer visible este vínculo es una de las tareas que se ha impuesto el actual pontífice, aunque le acompañe el dolor de la incomprensión de algunos a los que más estima.

www.paginasdigital.es/v_portal/apartados/pl_portada.asp?te=15


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Dove di solito si urla il Papa sussurra

Verbum caro hic factum est.
Qui il verbo si è fatto carne.
Così è scritto nella grotta dell’Annunciazione, custodita all’interno della grande basilica che sorge a Nazareth, tappa odierna del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa.
Questa formula sintetica descrive le origini del Cristianesimo, il Mistero dell’Incarnazione, attraverso cui Dio si fa uomo e lega il trascendente alla concretezza della vita terrena oltre l’immaginabile.
Questa è anche la peculiarità della Terra Santa, dove la dimensione spirituale e quella materiale si incontrano e si scontrano da millenni come in nessun altro posto al mondo, dove la religione e la politica si intrecciano in maniera inscindibile, contribuendo a rendere questi luoghi così affascinanti ed allo stesso tempo così complicati. Questa è anche un po’ l’essenza del lungo viaggio del Papa, che è prima di tutto un pellegrinaggio nei luoghi della vita terrena di Cristo, ma che ha inevitabilmente anche delle ricadute politiche.
Intorno alla visita del Papa la tensione è letteralmente palpabile. Migliaia di poliziotti e militari che spesso fanno trasparire un po’ di fastidio e di tracotanza, come in occasione della messa nella Valle di Josaphat; il centro stampa in Israele chiuso nel giorno in cui il Papa va a Betlemme, visita di cui i mezzi d’informazione israeliani non hanno trasmesso immagini; le polemiche futili scoppiate sui giornali israeliani dopo che Benedetto XVI aveva usato la parola “uccisi” anziché “assassinati” riferendosi alle vittime della shoah nella sua visita alla Yad Vashem; il Gran Muftì che gli chiede di condannare “l’aggressione perpetrata contro i luoghi santi dell’Islam e lo sterminio del popolo palestinese”.
Questi sono alcuni esempi di come le molte tensioni politiche e religiose tendano ad avviluppare la visita del Papa nella loro spirale, cercando di farne prima di tutto un viaggio politico.
È invece impressionante come tutto il pellegrinaggio di Benedetto XVI sia stato sinora improntato alla delicatezza, all’attenzione, all’accoglienza, alla comprensione. Dove normalmente si urla, il Papa sussurra.
Non per timore, ma per andare aldilà delle reciproche recriminazioni, per invitare al dialogo, alla ricerca instancabile eppure indispensabile del terreno comune che lega tutti i figli di Abramo.
Il Papa non è un leader politico: si può capire la grandezza del suo messaggio solo leggendo attentamente le sue parole e tenendo presente che si pone un orizzonte un po’ più ampio della quotidianità politica.
In quest`ottica, Benedetto XVI ha affidato alla Chiesa di Terra Santa il grande compito di non cedere sotto il peso della paura e delle difficoltà, al fine di continuare la propria opera di “ponte” ed ha richiamato tutti i cristiani a sostenere quella piccola comunità in tale missione. L’abitudine a lottare con le tante difficoltà del presente non deve impedire l’ingresso alla reciproca comprensione e, in definitiva, alla dimensione del perdono. Come dice sempre Mons. Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme: “sessanta anni di guerra sui luoghi sacri dovrebbero essere sufficienti per farci capire che la violenza non è la soluzione”.

Stefano Costalli PiùVoce.net


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Il Papa in Israele

A Nazaret i cristiani oggi si vedono

Giorgio Bernardelli

Ore 13: A Nazaret i cristiani oggi si vedono

Quella di questa mattina a Nazaret è stata la Messa della famiglia. Il Papa ha ricordato ancora un volta che la politica non può essere l'unica chiave attraverso cui leggere questo viaggio.
Nel luogo dove Gesù crebbe accanto ai suoi genitori, Benedetto XVI ha citato le parole che qui disse già Paolo VI: «Abbiamo tutti bisogno di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana».
E ha benedetto la prima pietra di un Centro internazionale che dovrebbe diventare un punto di riferimento sulla spiritualità cristiana della famiglia.
È importante anche questa sottolineatura in Terra Santa. Perché altrimenti c'è il rischio di vedere questo ripercorrere i passi del Maestro come un viaggio esotico, come un un itinerario che parla di qualcun altro. Invece ogni viaggio nei Luoghi di Gesù per un cristiano è prima di tutto l'occasione per rileggere il Vangelo dentro la propria vita.
Se devo essere sincero, però, la cosa che mi ha colpito di più questa mattinata sono state le immagini della folla di Nazareth. I siti dei giornali israeliani - che non gonfiano certo i numeri - parlano di 40 mila persone.
Non si erano mai visti tanti cristiani insieme da queste parti (Nazaret ha 60 mila abitanti in tutto...). Ed è un segno importante. Perché, certo, ci saranno anche alcune migliaia di pellegrini arrivati dall'estero per l'occasione, ma il grosso sono i cristiani delle parrocchie di Israele. I famosi cristiani di Terra Santa di cui tanto si parla, qui a Nazaret oggi hanno un volto, per una volta sono loro la folla. Credo che questo ritrovarsi insieme intorno al Papa sia qualcosa di importante per questa Chiesa locale dalla vita così travagliata.
Per chi è appassionato del genere nemmeno stamattina sono mancati gli accenni «politici».
Il più importante lo ha fatto il Papa stesso, quando ha parlato dei rapporti con i musulmani di Nazaret che - soprattutto tra il 1997 e il 2002 - sono stati molto tesi (quando venne Giovanni Paolo II si era ancora nel pieno della battaglia sulla moschea che volevano costruire accanto alla basilica dell'Annunciazione).
Oggi comunque - nonostante le Cassandre della vigilia - il clima è sembrato molto più sereno (ma aspettiamo di vedere pomeriggio, quando le celebrazioni del Papa saranno dentro Nazaret).

Infine una curiosità: questo pomeriggio è in programma anche l'incontro (privato) con Benjamin Netanyahu. La novità di oggi è che il premier vi arriverà direttamente da Aqaba, dove questa mattina ha incontrato il re giordano Abdallah II.
Il tutto a pochi giorni dal viaggio che farà a Washington, per il suo primo incontro con Barack Obama. La prima speranza è che abbia qualcosa di importante da riferite al Papa.
La seconda è che qualcuno gli abbia dato da leggere i discorsi pronunciati da Benedetto XVI ieri a Betlemme: il sito del ministero degli Esteri israeliano - che ha una sezione ad hoc sulla visita del Papa con tutti i discorsi - guarda caso è rimasto fermo a martedì 12 maggio...

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PAPA: NO ISRAELE A RICHIESTA VATICANO DI VISTI PER PRETI PAESI ARABI

ASCA

Israele ha respinto la richiesta del Vaticano di emettere visti multi-ingresso per i preti dei Paesi arabi.
Lo ha reso noto un responsabile dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Il ministro dell'Interno Eli Yishai, ha fatto sapere il responsabile, ha rifiutato di autorizzare l'emissione di visti per piu' ingressi per circa 500 sacerdoti provenienti da nazioni del mondo arabo nonostante una richiesta in tal senso della Santa Sede.
La decisione rischia di avvelenare ulteriormente l'atmosfera della vista di cinque giorni del pontefice in Israele e nei territori palestinesi, la sua prima da quando e' diventato papa nel 2005. Benedetto XVI incontrera' il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu piu' tardi in giornata a Nazareth, dove in mattinata ha celebrato una messa.
Il papa si e' attirato critiche nello Stato ebraico poco dopo essere arrivato nel Paese lunedi', con molti che hanno sottolineato come durante la sua visita al memoriale dell'Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme non sia mostrato sufficientemente solidale e non si sia scusato in quanto tedesco.

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Sembra che il Papa sia obbligato a caricarsi di tutte le colpe del passato!
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L’intervista: Shimon Peres traccia un bilancio della visita del Pontefice

«Benedetto XVI combatte la religione della violenza»

Il presidente d’Israele: voce chiara contro l’antisemitismo

Francesco Battistini

GERUSALEMME

Presidente, in Israele pensano che questo Papa sia stato troppo freddo. Che sia mancato il grande gesto...

«Non sono un critico teatrale. Credo che la cerimonia sia stata rispettosa. Quel che lei chiama mancanza di gesti, è una mancanza nell’organizzazione. Quando fai queste cose in pubblico, devi essere attento alla sensibilità delle altre persone. Certo, se il discorso dell’aeroporto l’avesse fatto a Yad Vashem, probabilmente sarebbe stato tutto diverso. Ma lui ha fatto un discorso forte al suo arrivo e così, il terzo della giornata, è sembrato una ripetizione».

Il regalo di Benedetto XVI è già su una credenza, oltre le poltrone. Questa mattina, il primo appuntamento di Shimon Peres è con quattro militari, un blocco d’appunti giallo e una parola sulla copertina: «Iran». La cronaca diventa subito storia, alla residenza di via Jabotinsky, e il bilancio sulla visita del Papa è da consegnare alla memoria: «Tutte le visite dei Papi in Israele sono più adatte agli storici che ai giornalisti. Benedetto XVI ha toccato i temi più profondi del nostro tempo. Il nuovo antisemitismo, una malattia che la gente deve saper trattare. Il Papa ha preso le distanze, una voce chiara. Anche se il nostro problema, oggi, è questa confusione su Dio».

Confusione?

«C’è voluto molto tempo per passare dagli idoli a un solo, invisibile Dio. Pochissimo, per far diventare Dio il capo del terrorismo. Tutti i terroristi parlano in nome di Dio. Abbiamo due dei: uno per la morte, l’altro per la pace. Oggi il problema non è distinguere fra Stato e Chiesa o fra ebrei, cristiani, musulmani. Serve una netta separazione fra violenza e fede. Non c’è spazio per la confusione e penso che questo Papa stia facendo il suo meglio, anche se purtroppo la gente non presta attenzione a tutto quel che dice. Il punto non è se sbaglia una parola. Il punto è il confronto quotidiano, non teorico, con questi temi. Non ci sono solo pirati che prendono le navi: ci sono Al Qaeda e l’Iran che lo fanno nel nome di Dio. E Dio non ha mai detto che la cosa migliore da fare sia produrre uranio ».

Col Papa, avete parlato anche delle proprietà della Chiesa: il Cenacolo sarà finalmente nella piena disponibilità dei cattolici?

«Ci sono sei luoghi, in Israele, di proprietà del Vaticano. Ci hanno chiesto di non confiscarli. Abbiamo consultato i nostri esperti biblici e promesso che non li confischeremo, a meno che ci siano pubbliche necessità. Esattamente come faremmo con le moschee».

I cristiani si sentono emarginati, qui...

«C’è un problema in tutto il Medio Oriente. I cristiani si sono ridotti dal 20 al 2 per cento. Stavano in 23 Paesi, oggi hanno perso la maggioranza in molti posti. Uno Stato cristiano, il Libano, è sparito. Molte scuole sono state chiuse. Noi abbiamo scelto di rispettare la libertà d’educazione: in Galilea, c’è un’università cristiana riconosciuta dal governo. Non siamo Ahmadinejad che va in giro con una mazzetta di soldi e compra tutto quel che è in vendita, dal Venezuela alla Bolivia. Non è questa la via: non hai bisogno d'una carta di credito, per credere in Dio».

Il Papa ha detto che ogni popolo deve stare nella sua casa: è la soluzione «due popoli, due Stati», che Netanyahu sembra osteggiare.

«Netanyahu non ha detto nulla. Neanche d’essere contro. Ha solo chiesto tempo. Il governo ha sempre sostenuto l’idea d’uno Stato palestinese, come il Papa e gli Usa. Ora possiamo discuterne, ma non dire che c’è un contrasto. Netanyahu andrà a Washington, non penso si cerchi un confronto aspro. Per quanto Israele sia preoccupato, l’amicizia con l'America è preziosissima. Dobbiamo capire che non siamo i leader nel mondo. E’ difficile essere modesti (ride), ma non abbiamo alternative. Considerata la nostra dimensione. L’Iran non è un problema d’Israele, è un problema mondiale. L’ho sentito dire anche da Putin e da Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no, Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l’unico leader del mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune, con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi. Ora dicono che Ahmadinejad deve fronteggiare un’opposizione. Ma guai a fare le previsioni del tempo, prima delle elezioni iraniane. C’è un proverbio cinese: se vuoi imparare a disegnare, disegna quand’è inverno. Senza fiori, gli alberi sono nudi. Bisogna guardare alle cose iraniane con occhio invernale».

Obama si prepara a fare uno «storico discorso » al mondo islamico. Temete un cambio di politica?

«C'è un club di gente che ha sempre paura, ma io non mi sono mai iscritto. I fanatici sono il nemico, non gli islamici. Non vogliamo la guerra. Viviamo in un mondo di differenze e oggi democrazia non è solo il diritto di essere uguali, ma l'eguale diritto di essere diversi. Se non permetti la qualità della differenza, non puoi avere democrazia. Loro hanno diritto d'essere diversi, come ce l'ho io».

Non è la posizione di Lieberman, il ministro antiarabo...

«Non conosco un governo che abbia fatto le cose promesse prima delle elezioni. Non lo dico in modo negativo: bisogna fare una coalizione coi partiti e poi con la realtà. Pensi a Begin. Diceva che non avrebbe mai ceduto il Sinai. Era sincero. Ma non poteva prevedere che una mattina Sadat avrebbe preso l'aereo e in un'ora sarebbe arrivato a Gerusalemme, cambiando il clima. I politici non possono voltare la schiena alla Storia. Non mi sarei mai immaginato che Sharon avrebbe accettato la soluzione dei due Stati, o lasciato Gaza. L'ha fatto. Le situazioni evolvono, non stanno nel freezer».

Ha citato Gaza. Quattro mesi dopo la guerra, tutto è uguale a prima: il blocco, i razzi...

«Gaza non è un problema israeliano, è un problema arabo. Israele hamesso limitimolto chiari a quell'attacco: abbastanza forte perché perdessero la voglia di spararci, non così forte da obbligarci a rimanere là. La guerra è una cosa complicata, a volte la situazione era impossibile: usavano ambulanze, moschee, bambini come scudi. La gente dimentica la differenza: quando la democrazia combatte il terrorismo, la democrazia è trasparente, il terrorismo è un mondo segreto. Non mi piace vedere la gente di Gaza morire. Ma non capiamo perché continuano a spararci. Dicono che siamo occupanti. Ma noi non siamo lì dentro. Può esistere un'occupazione platonica? ».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


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«I muri non durano per sempre»

Per lui non ci sono figli e figliastri

Elio Maraone

«Il Papa è con voi. Oggi sono qui in persona, ma ogni giorno accompa gno spiritualmente ciascuno di voi nei miei pensieri e nelle mie preghiere». Così Be nedetto XVI si rivolge ai piccoli ospiti del Baby Hospital, il centro per l’infanzia di Be tlemme sostenuto dalle Conferenze epi scopali tedesca e svizzera, e le parole del pellegrino vestito di bianco, che si com muove accarezzando un bimbo nato pre maturo, possono valere per un’intera gior nata tramata di uno speciale affetto per «i più vulnerabili».
Ma l’affetto, anzi, l’amore del Papa non è fazioso, anche ieri ha fatto chiaramente ca pire che per lui non ci sono figli e figliastri, e che, in altre parole, questo suo è un pel legrinaggio di pace che tiene ugualmente presenti le legittime aspirazioni dei popo li israeliano e palestinese, per i quali la San ta Sede propugna la nascita di due Stati in dipendenti, sovrani, con confini interna­zionalmente riconosciuti. Il Papa ieri non si è dunque scostato da questa linea, ma illuminando idealmente l’intera giornata con la luce di quel «faro di speranza» (il Baby Hospital) «circa la pos sibilità che l’amore ha di prevalere sull’o dio », ha tenuto specialmente, e diremmo teneramente nella Piazza della Mangiatoia a ricordare la storia dolorosa dei palesti nesi. «Il mio cuore – esordisce – si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza (...) vi chiedo di por tare alle vostre famiglie il mio caloroso ab braccio (...) siate sicuri della mia solidarietà nell’immensa opera di ricostruzione che vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto».
Ma dopo tan te sofferenze, «al di sopra di tutto – aggiunge il Papa – siate testimoni della potenza del la vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto (...) La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante di u na nuova infrastruttura 'spirituale'». Con tono appassionato, il Papa aggiunge: «sia te un ponte di dialogo e di collaborazione nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressio ne e della frustrazione». Ma, per duro e do­loroso che sia il momento, la fiducia del Papa nell’uomo non vacilla. «Voi – dice – a vete le risorse umane per edificare la cul tura della pace», e insomma, conclude e cheggiando le parole dell’angelo ai pasto ri di Betlemme, e quelle memorabili di Gio vanni Paolo II, «non abbiate paura».
L’esortazione che ha concluso l’omelia in piazza accompagna un ragionamento che si rivolge al mondo politico. Per esempio, durante la cerimonia mattutina di benve nuto a Betlemme, Benedetto XVI si era fat to nuovamente supplice, come il giorno del suo arrivo in Israele. «Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto – aveva detto– ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione (...) Una coesistenza giusta e pacifica (...) può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazio ne e mutuo rispetto», tra l’altro puntando ad alleggerire «i gravi problemi riguardan ti la sicurezza», «così da permettere una maggiore libertà di movimento, con spe ciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi». I palestinesi, e il Papa lo sa e lo dice, sono le vittime mag giori della situazione attuale, ma questo non li assolve di tutto. «Non permettete – dice loro Benedetto XVI – che le perdite di vite e le distruzioni (...) suscitino amarez ze e risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione di ricorrere ad atti di violenza o di terrori smo ».
A sera, concludendo la «memorabile gior nata, il Papa posa pensoso lo sguardo sul muro che separa i due popoli, sui profughi del campo di Aida. È colpito profonda mente, al presidente palestinese Mahmud Abbas dice: «Con angoscia ho visto la si tuazione dei rifugiati, ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie», e la sua memoria corre al muro di Berlino. Sospi ra, il Papa tedesco, ma subito lancia paro le che sono riassunto e sigillo di un giorno, e non soltanto di un giorno: «I muri non du rano per sempre».

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«I muri non durano per sempre»

Per lui non ci sono figli e figliastri

Elio Maraone

«Il Papa è con voi. Oggi sono qui in persona, ma ogni giorno accompa gno spiritualmente ciascuno di voi nei miei pensieri e nelle mie preghiere». Così Be nedetto XVI si rivolge ai piccoli ospiti del Baby Hospital, il centro per l’infanzia di Be tlemme sostenuto dalle Conferenze epi scopali tedesca e svizzera, e le parole del pellegrino vestito di bianco, che si com muove accarezzando un bimbo nato pre maturo, possono valere per un’intera gior nata tramata di uno speciale affetto per «i più vulnerabili».
Ma l’affetto, anzi, l’amore del Papa non è fazioso, anche ieri ha fatto chiaramente ca pire che per lui non ci sono figli e figliastri, e che, in altre parole, questo suo è un pel legrinaggio di pace che tiene ugualmente presenti le legittime aspirazioni dei popo li israeliano e palestinese, per i quali la San ta Sede propugna la nascita di due Stati in dipendenti, sovrani, con confini interna­zionalmente riconosciuti. Il Papa ieri non si è dunque scostato da questa linea, ma illuminando idealmente l’intera giornata con la luce di quel «faro di speranza» (il Baby Hospital) «circa la pos sibilità che l’amore ha di prevalere sull’o dio », ha tenuto specialmente, e diremmo teneramente nella Piazza della Mangiatoia a ricordare la storia dolorosa dei palesti nesi. «Il mio cuore – esordisce – si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza (...) vi chiedo di por tare alle vostre famiglie il mio caloroso ab braccio (...) siate sicuri della mia solidarietà nell’immensa opera di ricostruzione che vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto».
Ma dopo tan te sofferenze, «al di sopra di tutto – aggiunge il Papa – siate testimoni della potenza del la vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto (...) La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante di u na nuova infrastruttura 'spirituale'». Con tono appassionato, il Papa aggiunge: «sia te un ponte di dialogo e di collaborazione nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressio ne e della frustrazione». Ma, per duro e do­loroso che sia il momento, la fiducia del Papa nell’uomo non vacilla. «Voi – dice – a vete le risorse umane per edificare la cul tura della pace», e insomma, conclude e cheggiando le parole dell’angelo ai pasto ri di Betlemme, e quelle memorabili di Gio vanni Paolo II, «non abbiate paura».
L’esortazione che ha concluso l’omelia in piazza accompagna un ragionamento che si rivolge al mondo politico. Per esempio, durante la cerimonia mattutina di benve nuto a Betlemme, Benedetto XVI si era fat to nuovamente supplice, come il giorno del suo arrivo in Israele. «Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto – aveva detto– ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione (...) Una coesistenza giusta e pacifica (...) può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazio ne e mutuo rispetto», tra l’altro puntando ad alleggerire «i gravi problemi riguardan ti la sicurezza», «così da permettere una maggiore libertà di movimento, con spe ciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi». I palestinesi, e il Papa lo sa e lo dice, sono le vittime mag giori della situazione attuale, ma questo non li assolve di tutto. «Non permettete – dice loro Benedetto XVI – che le perdite di vite e le distruzioni (...) suscitino amarez ze e risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione di ricorrere ad atti di violenza o di terrori smo ».
A sera, concludendo la «memorabile gior nata, il Papa posa pensoso lo sguardo sul muro che separa i due popoli, sui profughi del campo di Aida. È colpito profonda mente, al presidente palestinese Mahmud Abbas dice: «Con angoscia ho visto la si tuazione dei rifugiati, ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie», e la sua memoria corre al muro di Berlino. Sospi ra, il Papa tedesco, ma subito lancia paro le che sono riassunto e sigillo di un giorno, e non soltanto di un giorno: «I muri non du rano per sempre».

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TERRA SANTA/ Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti

INT. Sandro Magister

venerdì 15 maggio 2009

L’occasione è ghiotta e l’Economist non se la lascia sfuggire. “Un capitolo di gaffe: la visita del papa in Terra Santa - titola il settimanale britannico - ha aggiunto un altro disastro nelle pubbliche relazioni alla lista già esistente”.
Anche ammesso che le ragioni profonde che hanno indotto Benedetto XVI ad andare in Terra santa per sostenere la speranza e la testimonianza dei cristiani siano riconducibili ad un panel di “pubbliche relazioni”, cosa sulla quale, se non altro per onestà intellettuale, è lecito nutrire qualche dubbio, è sul “disastro” che l’autorevole settimanale si lascia sfuggire la mano. “Disastro” perché il Papa è andato allo Yad Vashem e “ha parlato di ‘milioni’ di ebrei vittime dell'Olocausto e non di sei milioni”: “un’omissione - secondo l’Economist - che ha avuto l'effetto di riaprire la questione appena chiusa dei lefebvriani e del vescovo Richard Williamson che aveva negato l'esistenza dell'Olocausto”.
«Ma se l’Economist fosse stato più attento - commenta Sandro Magister - si sarebbe accorto che l’omissione non c’è stata affatto, perché di sei milioni di ebrei uccisi il Papa ha parlato, appena sbarcato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la mattina dell’11 maggio».
È vero. Può testimoniare il presidente Shimon Peres. «È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele - ha detto il Papa, e ci scuseranno i lettori la lunga citazione - io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e dipregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile».

Siamo al ridicolo, dice Magister, al quale ilsussidario.net ha chiesto un primo bilancio del viaggio apostolico di Benedetto XVI, che partirà oggi stesso da Tel Aviv per far ritorno a Roma.
Ma la realtà è ben più seria, ed è l’esistenza di un «copione» - spiega Magister - da soddisfare sempre e comunque, quando si cita il dramma della persecuzione ebraica.
Quel copione “scritto” in anticipo, ancor prima che il papa parlasse, sulla questione ebraica. Un canovaccio non esente da rischi, se ha impedito a molti - ma non a tutti - di cogliere la portata, la reale portata, di quello che Benedetto XVI ha detto nel Memoriale della Shoah.

Magister, il pellegrinaggio di Benedetto XVI volge al termine. Tentiamone un bilancio. Ieri il Custode dei luoghi santi padre Pizzaballa, faceva notare che tutto quello che ha un significato religioso, o anche semplicemente umano, in Terra santa diventa politica. Lei cosa pensa?

In un certo senso concordo: è un viaggio che inesorabilmente ha effetti e contraccolpi politici. La questione capitale a mio giudizio è capire se il terreno politico è quello principale sul quale Benedetto XVI ha voluto collocare il senso del suo viaggio. Non lo credo. Ciò non toglie che il papa sia perfettamente consapevole degli effetti politici del suo gesto. Lo si è visto anche mercoledì, quando Benedetto XVI è andato nei territori: sia a Betlemme che nel campo dei rifugiati ha detto cose politiche molto esplicite, che però non rappresentano una novità nella linea della Santa Sede sul conflitto israelo-palestinese. Il Papa è andato oltre la sfera prettamente politica.

Si riferisce per esempio al tema del muro spirituale e a quello, ad esso legato, del perdono?

Sì. Nei discorsi “politici” questa dimensione ulteriore è chiaramente visibile. Quando ha detto, a proposito del muro così contestato e controverso, che la questione vera è abbattere i muri che si creano nei cuori degli uomini, tra un uomo e il suo prossimo. È un compito che mette in gioco delle scelte personali, che in quanto tali sono in grado di cambiare le cose a livello pubblico. Lo stesso è avvenuto nell’omelia di Betlemme, come nell’omelia della Messa nella valle di Giosafat: Benedetto XVI ha lanciato messaggi molto espliciti ai cristiani, invitandoli a non abbandonare la loro terra.

È comprensibile che il Papa chieda ai cristiani di rimanere: quella è anche la loro terra, al pari di ebrei e musulmani…

Certo, il Papa ha chiesto loro di restare ed era nelle aspettative, ma l’argomento con cui lo ha fatto è eminentemente teologico. Ha detto: restate, perché avete il privilegio unico di essere a contatto diretto con la memoria storica della salvezza. Siete in grado, come gli apostoli, di vedere e di toccare i luoghi in cui la salvezza si è innestata, e quindi avete una missione di testimonianza eccezionale di fronte al mondo. E li ha esortati a restare fedeli a questa missione. L’approccio con cui Benedetto XVI guarda a cose molto concrete, e quindi anche molto politiche - come la permanenza dei cristiani in Terra santa - è sostanzialmente profetico, religioso.

Questo viaggio segna un’evoluzione nel rapporto tra Santa Sede e Stato di Israele?

Più che il rapporto con lo Stato di Israele politicamente inteso, sul quale le parole di Benedetto XVI sono state molto misurate e molto sobrie, direi che il capitolo del rapporto tra ebraismo e cristianesimo è uno dei grandi assi portanti di questo viaggio. Anche per quanto riguarda la storia dell’ebraismo e quindi la Shoah il Papa ha detto delle cose molto originali. Che proprio per questo hanno disorientato parte degli osservatori.

Allude alle polemiche che hanno seguito la visita al Memoriale di Yad Vashem?

Persino lo Ha’aretz, il giornale più liberal in Israele, ha pubblicato parole dure, un attacco impietoso nei confronti delle parole di Benedetto XVI. Perché molti intellettuali israeliani sono rimasti così sconcertati?
Perché avevano in mente un copione - che era poi il loro - e vigilavano per vedere se e come il Papa rispettasse questo copione. E il Papa non lo ha fatto.
Ha aperto delle pagine di riflessione ancora in parte inedite sul mistero della persecuzione di Israele, centrando la sua riflessione sul nome, sul valore biblico fortissimo che ha il concetto di nome.

Dunque il Papa ha tradito le aspettative: quelle di chi si era ostinatamente preparato a sentire altro.

Infatti quelli rimasti attaccati al “manoscritto” - preparato da loro - non hanno più saputo da che parte voltarsi. Ma è una riflessione che è stata moltissimo apprezzata, in campo ebraico, da chi l’ha colta. Il nome è l’identificazione della persona e l’identificazione della missione che la persona ha, tanto è vero che il Papa ha ricordato come Dio abbia dato un nome nuovo ad Abramo dopo la chiamata e lo stesso è avvenuto con Giacobbe. Il nome nuovo corrisponde a una missione. E questi nomi sono incisi indelebilmente nel pensiero e nel cuore di Dio. Anche quando il male assoluto arriva a voler togliere tutto all’uomo, non può però togliergli il nome, perché questo è difeso per l’eternità da Dio.

E per quanto riguarda i rapporti col mondo musulmano?

Si sono giocati nella prima parte del viaggio, perché il Regno di Giordania è un po’ il cenacolo culturale da cui è uscita la Lettera dei 138: uno dei frutti più promettenti generati dalla lezione di Ratisbona, che a mio parere ha segnato un tornante straordinario nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’islam, da cui è partito un dialogo faticoso, incipiente ma portato finalmente sulle questioni reali: il rapporto fede, ragione e violenza. Al capitolo aggiunto da Papa Ratzinger in Giordania ha fatto riscontro l’ampio e interessante discorso tenuto dal principe GhaziBin Talal, in occasione della visita alla moschea di Amman.

Dove sta, a suo avviso, il valore della riflessione papale?

Il rapporto tra cristianesimo e islam è centrato non su un impossibile “negoziato” tra le due fedi - cosa semplicemente impensabile - ma sulla consapevolezza che dall’unica fede nell’unico Dio creatore derivi l’uguaglianza di natura di tutti gli uomini. Quindi i diritti dell’uomo sono esattamente quelli scritti nella creazione stessa e questo è il terreno comune su cui islam e cristianesimo possono servire l’unità della famiglia umana, secondo quanto detto dal Papa non solo in Giordania ma anche a Gerusalemme, dopo aver visitato la Cupola della roccia.

© Copyright Il Sussidiario, 15 maggio 2009


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Quel saluto in arabo a una folla così variopinta

NAZARETH

Il papa saluta in arabo «assalam aleikum» (la pace sia con voi) e apre così la messa più popolata del suo viaggio in Terra Santa, davanti a decine di migliaia di persone arrivate a Nazareth da ogni parte di Israele ma anche da Europa e Stati Uniti.
Radunando tanti fedeli sul Monte del Precipizio, Ratzinger ha realizzato un desiderio già espresso da Wojtyla nel 2000, quando però per motivi di sicurezza non fu possibile per Giovanni Paolo II celebrare la messa sulla collina.
Inizialmente stimate in 25 mila, le persone hanno gradualmente riempito i posti a sedere, fino a occupare le 40 mila sedie dell'anfiteatro. Sulla collina, anche molte famiglie con piccoli bambini.
Tra la folla c'erano alcuni gruppi di arabi cristiani della comunità locale, come Samira e Sadi, 25 e 28 anni, genitori di un bimbo di 4, Christian. Vivono a Nazareth e fanno parte del 17% degli abitanti di fede cristiana della città, a maggioranza musulmana, ma che ha un sindaco cristiano. «Vedere il Papa è già per noi una grande emozione, ma sentirlo parlare in arabo è qualcosa che non scorderemo», ha detto Sadi. Ed effettivamente il saluto "assalam aleikum" che Benedetto XVI ha pronunciato in apertura della messa ha entusiasmato gli animi. Dal canto suo la folla gli ha risposto gridando varie volte "Yaèesh El Baba" (Viva il Papa). «Anche se siamo una minoranza non ci sentiamo soli – ha aggiunto Sadi – questa è la terra di Cristo e noi le apparteniamo, lui ci ha vissuto, noi ci siamo nati».
Qualche posto più in là erano sedute due donne indiane in abiti tradizionali arancione e fucsia. Diversi di nazionalità, ieri i fedeli erano tutti uguali nell'abbigliamento: indossavano il cappellino giallo e bianco con lo stemma della Città del Vaticano e la maggior parte anche una t-shirt con la frase sul retro «I am with the Pope in Nazareth». Cori e canti hanno animato la celebrazione mentre striscioni e bandiere hanno sventolato per ore. Qualche pullman sostava lì dalle due di notte quando, ha raccontato la polizia, hanno cominciato ad arrivare i primi pellegrini.

© Copyright Gazzetta del sud, 15 maggio 2009


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I bunker dell'integralismo islamico sono rimasti sbarrati e silenziosi

Una grande "festa" nella città blindata Alla fine la sfida s'è risolta senza intoppi

Alessandro Logroscino

NAZARETH

Aveva tuonato per settimane contro la visita di Benedetto XVI, bollandolo come «nemico dell'Islam» e scagliando anatemi contro le autorità islamiche moderate ben disposte ad accoglierlo sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Ma al dunque lo sceicco Nazim Abu Salim Sakhafa, imam radicale della moschea di Shihab-e-Din, a Nazareth, è sparito dalla circolazione: allontanato dalla polizia a scanso di guai proprio nel giorno in cui il Papa è arrivato nella sua città.
Una festa blindata, non c'è che dire, ma che non ha impedito il bagno di folla nella giornata forse più temuta per l'ordine pubblico dell'intera visita del pontefice in Terrasanta. La sfida di Nazareth si è risolta alla fine senza intoppi.
La gran parte della gente, come era prevedibile, ha accolto papa Ratzinger con calore. Mentre i bunker dell'integralismo islamico sono rimasti sbarrati e silenziosi. Il Movimento Islamico, una fazione politica radicale legalmente riconosciuta in Israele, ha mantenuto la promessa: ignorando l'ospite, ma senza disturbarlo. Mentre l'incendiario sceicco Salim, promotore fino alla vigilia di campagne di boicottaggio a colpi di volantini, poster e sermoni, è stato messo in condizione di non nuocere con un tempestivo trasferimento coatto. Troppe provocazioni – si è ritenuto – nella storia di un personaggio che secondo molti rappresenta a Nazareth solo una nicchia rumorosa, ma che è stato pur sempre protagonista di pericolose contese interconfessionali: a cominciare da quella innescata dal progetto di allargamento-monstre della sua moschea, all'ombra del santuario dell'Annunciazione.
Le autorità si sono mostrate soddisfatte per il funzionamento della macchina della sicurezza. Capace di mobilitare in totale 80.000 uomini dall'arrivo del Papa a Tel Aviv, l'11 maggio, e di manifestarsi ieri con una presenza capillare, fatta di posti di blocco, percorsi obbligati, zone off limits: nelle strade e stradine di Nazareth come sull'altura del Monte del Precipizio, dove è stato innalzato l'anfiteatro nuovo di zecca inaugurato dalla più affollata messa papale di questo viaggio. «Si è trattato di una visita molto complessa, ma finora tutto si svolto secondo i piani e la situazione è rimasta sotto controllo», ha commentato ai giornalisti il ministro della Sicurezza Interna, Yitzhak Aharonovic.
A esprimere qualche lamentela il sindaco, Ramiz Jaraisy (arabo e cristiano), secondo il quale la decisione dei servizi segreti israeliani di restringere al minimo l'attraversamento di Nazareth in papamobile del papa – a differenza di quanto accaduto a Gerusalemme – è stata «sbagliata» ed eccessiva. Un modo per limitare il contatto con la gente, ha recriminato Jaraisy, sottolineando di essere stato «eletto tre volte anche dalla maggioranza musulmana», a conferma del clima generale di convivenza religiosa e buone relazioni in città.

© Copyright Gazzetta del sud, 15 maggio 2009


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Israele nega al Pontefice i visti per 500 religiosi

di Andrea Tornielli

nostro inviato a Nazareth

Nel giorno in cui Benedetto XVI incontra il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ormai a poche ore dalla conclusione della visita del Pontefice in Terra santa, arriva la notizia - anticipata ieri mattina dal quotidiano Ma’ariv - di 500 visti d’ingresso negati a sacerdoti, religiosi e religiose provenienti da Paesi arabi che la Santa sede aveva richiesto.
L’incontro del Pontefice con Netanyahu era previsto alle 15.50. Il premier israeliano, di ritorno dalla Giordania dove ha parlato con il re Abdallah II in vista dell’ormai prossimo incontro con il presidente americano Barack Obama, è arrivato puntualissimo al convento francescano che sorge a fianco della basilica dell’Annunciazione di Nazareth, accolto dal Custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Ratzinger è arrivato con qualche minuto di ritardo, e si è scusato con l’ospite. Netanyahu gli ha risposto: «Ero disposto ad aspettarla anche di più... ».
Il colloquio è durato circa un quarto d’ora e il direttore della Sala stampa della Santa sede, padre Federico Lombardi, ha detto che è stato incentrato «soprattutto sui temi del processo di pace in Medio oriente e i modi per farlo progredire».
Il premier israeliano ha invitato il Papa ad alzare la voce contro l’Iran e l'antisemitismo di Ahmadinejad, ma si è parlato anche della dei visti e Netanyahu ha assicurato che ne saranno concessi di più.
Dopo l’incontro tra Benedetto XVI e il premier, si sono riunite le delegazioni israeliana, composta da sei persone, e vaticana, guidata dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Questo secondo colloquio è stato interamente dedicato ai problemi relativi all’attuazione dell’accordo economico e finanziario tra Israele e Santa sede, e il problema dei visti. Il governo israeliano, che nell’Accordo fondamentale siglato con il Vaticano nel 1993 si era impegnato a garantire il flusso di religiosi provenienti dal Medio Oriente e da altri Paesi, negli ultimi anni ha ristretto le concessioni. Ci sono parrocchie che attendono il loro pastore impossibilitato da mesi ad entrare in Israele. E proprio ieri si è saputo che il ministro dell’Interno Yishai ha respinto la richiesta del Vaticano di emettere visti multi-ingresso per circa 500 religiosi dei Paesi arabi. Anche se le trattative hanno subito un’accelerazione negli ultimi mesi, l’attuazione dell’accordo economico e finanziario è ancora lontana. Tra i problemi da affrontare c’è la restituzione di 40 proprietà occupate durante la guerra del 1948, come ad esempio l’area dove sorgeva la sede della delegazione apostolica sul monte Sion.
Per quanto riguarda i luoghi santi, il contenzioso è innanzitutto su quanti di questi vengono riconosciuti tali da Israele. La Santa sede chiede che questi luoghi - gli edifici e i terreni annessi - possano continuare a svolgere la loro propria missione e siano dichiarati inespropriabili anche in futuro. Il ministero del Turismo israeliano, invece, vorrebbe trasformare in senso più turistico alcune di queste proprietà, ad esempio costruendo una funivia per salire sul monte Tabor e attrezzandolo con aree da picnic, oppure realizzando una «passeggiata ecologica» lungo tutto il bagnasciuga che circonda la chiesa del Primato, quella di Tabga e Cafarnao. Infine, le esenzioni fiscali: il Vaticano chiede che siano esentati dalle tasse le istituzioni quali scuole e ospedali.

© Copyright Il Giornale, 15 maggio 2009


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La giornata trascorsa a Betlemme

Tra danze e canti il racconto di una tragedia

dal nostro inviato Gianluca Biccini

Una nuova pagina dell'amore di Benedetto XVI verso gli ultimi, i senza voce, gli emarginati e rifiutati.
L'ha scritta mercoledì pomeriggio toccando di persona le sofferenze dei piccoli ricoverati al Caritas baby hospital e dei rifugiati nel campo profughi di Aida.
Della visita alla struttura pediatrica è divenuta simbolo la foto del Pontefice con in braccio il piccolo Elias, che pesa solo due chili e mezzo. Ha già fatto il giro del mondo. Al nosocomio Benedetto XVI ha lasciato in dono un modernissimo apparecchio per respirare.
Successivamente si è recato nel campo profughi di Aida. A ridosso del muro di separazione, con i suoi cinquemila abitanti è il più popoloso delle tre realtà di questo genere, nate tra il 1949 e il 1950 nei pressi di Betlemme. Gli altri sono Azza e Deheisheh, visitato da Giovanni Paolo II nel 2000, e in tutto ospitano oltre quindicimila palestinesi di varie generazioni.
Immagini eloquenti della sofferenza umana passata sotto gli occhi del Papa. Le case costruite di terra con il tempo hanno preso il posto delle tende. Il grande sogno di questa gente è simboleggiato dalle "chiavi del ritorno", che un gruppo di bambini in abiti tradizionali hanno mostrato al Papa durante una coreografia musicale di benvenuto.
Ad Aida vivono anche 14 famiglie cristiane. Gli abitanti godono di un discreto livello di istruzione.
Alcuni murales, raffiguranti villaggi abbandonati e gli altri 59 campi profughi palestinesi, sparsi tra i Territori e i paesi arabi vicini, stanno a testimoniare delle capacità artistiche di numerosi abitanti del campo. Per organizzare i preparativi è stato costituito un comitato: tra i suoi membri ci sono Ziyad Al Bandak, presidente del governo locale; padre Majdi Syriani, sacerdote del patriarcato latino, e Aissa Qaraqe membro del Parlamento, che ha fatto da speaker durante l'incontro con il Papa.
"Il diritto al ritorno è sacrosanto": una delle scritte più ricorrenti sugli striscioni in arabo, mentre alcune madri sollevavano in alto le foto dei figli uccisi o dispersi e gridavano a Benedetto XVI il loro dolore.
La cerimonia si è svolta nel cortile della scuola per le ragazze. Dopo i saluti rivoltigli dalla responsabile dell'Unrwa, signora Abu Zayd, da un rappresentante della comunità locale, Semir Aita, che ha illustrato il dramma dei suoi fratelli dispersi nell'immensa area mediorientale, e dal presidente Abu Mazen, il Pontefice ha pronunciato il suo discorso.
Parole, quelle di Benedetto XVI, interrotte da vari applausi. Soprattutto quando ha espresso solidarietà a tutti i palestinesi senza casa che aspirano a poter tornare nei luoghi natii o ad avere una patria propria, o quando - come aveva fatto alla messa del mattino - ha ricordato le vittime del conflitto di Gaza, esortando però nel contempo a rompere il circolo vizioso delle aggressioni. Al termine del suo discorso Benedetto XVI ha anche annunciato che la Santa Sede intende stabilire una commissione bilaterale di lavoro permanente, così com'è stata delineata nell'accordo firmato in Vaticano con l'Autorità palestinese il 15 febbraio di nove anni fa. Quindi sono salite sul palco tre bambine, i cui padri sono prigionieri. Hanno offerto al Papa testi di alcune loro preghiere. Infine gli sono stati presentati alcuni doni, tra cui una stola che Benedetto XVI ha indossato.
Infine, a conclusione della giornata a Betlemme, il Papa ha restituito la visita di cortesia al presidente dell'Autorità palestinese. Nella circostanza, prima della cerimonia di congedo, ha avuto modo di incontrare rappresentanti delle comunità giunti da Gaza e dalla Cisgiordania. Un momento senza discorsi pubblici, ma che conferma la dimensione di questo pellegrinaggio di Benedetto XVI, improntato all'ascolto, al conforto e all'offerta di speranza.

(©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2009)


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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXVIII)


INCONTRO ECUMENICO AL PATRIARCATO GRECO-ORTODOSSO DI JERUSALEM



Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Delegazione Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Patriarcato Greco-Ortodosso di Jerusalem per l’incontro ecumenico. Al Suo arrivo, alle ore 9.15, il Papa è accolto da Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III che lo accompagna alla Sala del Trono dove sono riunite le rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Dopo il discorso del Patriarca, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

è con profonda gratitudine e gioia che compio questa visita al Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme; un momento che ho a lungo desiderato. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III per le sue gentili parole di saluto fraterno, che ricambio con calore. Esprimo a voi tutti la mia cordiale gratitudine per avermi offerto questa opportunità di incontrare ancora una volta i molti leader di Chiese e comunità ecclesiali presenti.

Stamani il mio pensiero va agli storici incontri che ebbero luogo qui, in Gerusalemme, fra il mio predecessore, il Papa Paolo VI, e il Patriarca Ecumenico Atenagora I, come pure quello fra Papa Giovanni Paolo II e Sua Beatitudine il Patriarca Diodoros. Questi incontri, in essi comprendendo la mia visita odierna, sono di grande significato simbolico. Essi ricordano che la luce da Oriente (cfr Is 60,1; Ap 21,10) ha illuminato il mondo intero sin dal momento stesso in cui un "sole che sorge" venne a visitarci (Lc 1,78) e ci rammentano anche che da qui il Vangelo venne predicato a tutte le nazioni.

Stando in questo santo luogo, a fianco della Chiesa del Santo Sepolcro, che segna il posto dove il nostro crocifisso Signore risorse dai morti per l’intera umanità, e vicino al Cenacolo, dove nel giorno di Pentecoste "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (At 2,1), chi potrebbe non sentirsi sospinto a porre la pienezza della buona volontà, della sana dottrina e del desiderio spirituale nel nostro impegno ecumenico? Elevo la mia preghiera affinché il nostro odierno incontro possa imprimere nuovo slancio ai lavori della Commissione Internazionale Congiunta per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse, aggiungendosi ai recenti frutti di documenti di studio e di altre iniziative congiunte.

Di particolare gioia per le nostre Chiese è stata la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". La calorosa accoglienza da lui ricevuta e il suo toccante intervento sono state sincere espressioni della profonda gioia spirituale che scaturisce dall’ampiezza con cui la comunione è già presente tra le nostre Chiese. Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione. Nello stendere le braccia sulla croce, Gesù ha rivelato la pienezza del suo desiderio di attirare ogni persona a sé, raccogliendoli tutti insieme in unità (cfr Gv 12,32). Alitando il suo Spirito su di noi, ha rivelato il suo potere di renderci capaci di partecipare alla sua missione di riconciliazione (cfr Gv 19,30; 20,22-23). In quell’alito, mediante la redenzione che unisce, sta la nostra missione! Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione (cfr 2 Cor 5,19), che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione. Tuttavia, inviati nel mondo (cfr Gv 20,21), resi saldi dalla forza unificante dello Spirito Santo (cfr ibid., v.22), chiamati ad annunciare la riconciliazione che attira ogni uomo a credere che Gesù è il Figlio di Dio (cfr ibid., 31), noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre, che invia il Figlio affinché il mondo conosca il suo amore per noi (cfr Gv 17,23).

Circa due mila anni orsono, lungo queste stesse strade, un gruppo di greci chiese a Filippo: "Signore, vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21). È una richiesta che ci viene fatta di nuovo oggi, qui in Gerusalemme, nella Terra Santa, in questa regione e in tutto il mondo. Come dobbiamo rispondere? La nostra risposta viene udita? San Paolo ci allerta sulla gravità della nostra risposta, sulla nostra missione di insegnare e di predicare. Egli dice: "La fede viene dall’ascolto, e l’ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,17). È perciò imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore.

Cari Amici, mentre vi incoraggio a proclamare con gioia il Signore risorto, desidero riconoscere l’opera svolta a questo scopo dai Capi delle comunità cristiane, che regolarmente si incontrano in questa città. Mi sembra che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa. La priorità fondamentale di ogni leader cristiano è di nutrire la fede degli individui e delle famiglie affidati alle sue premure pastorali. Questa comune preoccupazione pastorale farà sì che i vostri incontri regolari siano contrassegnati dalla sapienza e dalla carità fraterna necessarie per sostenervi l’un l’altro e per affrontare tanto le gioie quanto le difficoltà particolari che segnano la vita della vostra gente. Prego perché si comprenda che le aspirazioni dei Cristiani di Gerusalemme sono in sintonia con le aspirazioni di tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro religione: una vita contrassegnata da libertà religiosa e da coesistenza pacifica, e – in particolare per le giovani generazioni – il libero accesso all’educazione e all’impiego, la prospettiva di una conveniente ospitalità e residenza familiare e la possibilità di trarre vantaggio da una situazione di stabilità economica e di contribuirvi.

Beatitudine, La ringrazio ancora una volta per la gentilezza nell’avermi invitato qui, assieme agli altri ospiti. Su ciascuno di voi e sulle comunità da voi rappresentate invoco l’abbondanza delle benedizioni di Dio che donano forza e sapienza! Possa ciascuno di voi essere rinvigorito dalla speranza di Cristo che non delude!


Al termine dell’incontro ecumenico nel Patriarcato Greco-Ortodosso, alle ore 10.00, il Santo Padre si reca a piedi al Santo Sepolcro.






PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXIX)


VISITA ALLA BASILICA DEL SANTO SEPOLCRO DI JERUSALEM



Alle ore 10.15 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca nella Basilica del Santo Sepolcro di Jerusalem, luogo - secondo la tradizione - della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione di Cristo.

Al Suo arrivo il Papa è accolto, come da protocollo, dai sei rappresentanti delle tre entità: la Chiesa greco-ortodossa, la Custodia di Terra Santa e la Chiesa armena apostolica, responsabili dello "statu quo".

Il Santo Padre sosta in preghiera presso la Pietra dell’Unzione e , dopo il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., visita la Tomba vuota della Risurrezione.

Infine, dopo un breve discorso del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici in Cristo,

l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – "il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri" – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore "ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente", vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal e il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, per le loro gentili parole di benvenuto. Desidero esprimere alla stessa maniera il mio apprezzamento per l’accoglienza riservatami dai Gerarchi della Chiesa ortodossa greca e della Chiesa armeno-apostolica. Con animo grato prendo atto della presenza di rappresentanti delle altre comunità cristiane della Terra Santa. Saluto il Cardinale John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Saluto pure i Cavalieri e le Dame dell’Ordine qui presenti, con gratitudine per la loro inesauribile dedizione a sostegno della missione della Chiesa in queste terre rese sante dalla presenza terrena del Signore.

Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo "fu crocifisso, morì e fu sepolto", e che "il terzo giorno risuscitò dai morti". Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, "non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci "trafiggere il cuore" (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.

La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5). Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.

Quest’antica chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo "sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale" (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.

Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo. Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore. In quella tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova. Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo. "Egli è la nostra pace", che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr Ef 2,14). Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.

Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli Vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa. Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo. Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero. Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto. Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace. Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme. Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno. A voi tutti e a quanti vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia Benedizione Apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.


Al termine della visita, il Papa si reca nella Cappella delle Apparizioni per una breve adorazione del Santissimo e poi sale al Golgota per raccogliersi in preghiera sul luogo del Calvario. Si trasferisce quindi in auto al Patriarcato Armeno Apostolico di Jerusalem.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXX)


VISITA ALLA CHIESA PATRIARCALE ARMENA APOSTOLICA DI JERUSALEM



Alle ore 11.10, il Santo Padre Benedetto XVI giunge alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Jerusalem, che ha sede nel Monastero di San Giacomo, ed è accolto dal Patriarca Sua Beatitudine Torkom II Manoukian.

Quindi, nella Chiesa dove si trovano riunite alcune centinaia di fedeli, dopo il discorso del Patriarca Armeno Apostolico, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Beatitudine,

La saluto con fraterno affetto nel Signore, ed esprimo i migliori oranti auguri per la Sua salute ed il Suo ministero. Sono riconoscente per l’opportunità di visitare questa Chiesa Cattedrale di San Giacomo nel cuore dell’antico quartiere Armeno di Gerusalemme, e di incontrare il distinto clero del Patriarcato, insieme con i membri della comunità Armena della Città Santa.

Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli. Negli ultimi decenni, abbiamo sperimentato, per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. Considero una grande benedizione l’essermi incontrato l’anno scorso con il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I. La loro visita alla Santa Sede, ed i momenti di preghiera che abbiamo condiviso, ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei Cristiani.

In spirito di gratitudine al Signore, desidero anche esprimere il mio apprezzamento per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali. Questo dialogo, sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro. Un particolare segno di speranza è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato. Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Fin dai primi secoli cristiani, la comunità Armena di Gerusalemme ha avuto una illustre storia, segnata come non ultima cosa da uno straordinario rifiorire di vita e cultura monastica collegate con i luoghi santi e con le tradizioni liturgiche che si sono sviluppate attorno ad essi. Questa venerabile Chiesa cattedrale, assieme al Patriarcato e alle varie istituzioni educative e culturali con esso connesse, rendono testimonianza di questa lunga e distinta storia. Prego affinché la vostra comunità possa costantemente trarre nuova vita da queste ricche tradizioni ed essere confermata nella fedele testimonianza a Gesù Cristo e alla potenza della sua risurrezione (cfr Fil 3,10) in questa Città Santa. Ugualmente assicuro le famiglie presenti, e in particolare i bambini e i giovani, di un speciale ricordo nelle mie preghiere. Cari amici, a mia volta chiedo a voi di pregare con me affinché tutti i Cristiani della Terra Santa lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace.

Beatitudine, La ringrazio una volta ancora per il cortese benvenuto e cordialmente invoco le più ricche benedizioni di Dio su di Lei e su tutto il clero e i fedeli della Chiesa Apostolica Armena nella Terra Santa. Che la gioia e la pace del Cristo Risorto siano sempre con voi.


Al termine della visita alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica, il Papa rientra in auto alla Delegazione Apostolica di Jerusalem.



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=850&sett...

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