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I lefebvriani

Ultimo Aggiornamento: 18/02/2013 22:40
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27/01/2009 22:14
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Gianni Baget Bozzo

“È stato corretto l’errore di Wojtyla”

Don Gianni Baget Bozzo, lei analizza da decenni le crisi del post-Concilio. Graziare i vescovi lefebvriani è uno schiaffo a Wojtyla che li ha scomunicati?

«Joseph Ratzinger ha preparato questa svolta nell’ombra, durante i lunghi anni in cui è stato prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Diventato Papa ha messo in atto il piano anti-scisma il cui punto fondamentale è stato nel settembre 2007 il motu proprio «Summorum Pontificum» con cui Benedetto XVI ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina. Non a caso i seguaci dell’arcivescovo Lefebvre espressero subito al Papa compiacimento e gratitudine. Tra Wojtyla e Ratzinger il salto decisivo è stato questo: permettere l’uso della messa in latino secondo il rito anteriore alla riforma liturgica, in via ordinaria e senza richiesta al vescovo. A quel punto non aveva più senso per i lefebvriani restare fuori dalla Chiesa. Né per la Chiesa tenerli fuori».

È il Vaticano che si è spostato sulle posizioni dei lefebvriani o viceversa?

«C’è stato un mutamento da entrambe le parti. È cambiato il quadro generale, perciò la sanzione ecclesiastica andava rimossa in cambio del ritorno alla piena obbedienza. Giovanni Paolo II tenne duro perché le ordinazioni episcopali senza il suo permesso avrebbero scardinato il sistema e la Santa Sede ne sarebbe uscita indebolita. Giovanni Paolo II sapeva che la partita era più grande, era consapevole, per esempio, che, se avesse ceduto, si sarebbe ritrovato con i vescovi cinesi consacrati dal governo. Ratzinger, invece, non ha mai abbandonato la speranza di riannodare i fili e ha lavorato in silenzio attraverso la pontificia commissione Ecclesia Dei. In modo graduale ma inesorabile ha creato le condizioni favorevoli prosciugando l’acqua al dissenso lefebvriano».

In che modo?

«Ratzinger aveva capito da molto tempo che a rendere forti e compatti i lefebvriani era stato il cambio di liturgia. Tornando alla liturgia antica, Benedetto XVI ha rimosso il principale ostacolo. Da fine teologo ha compreso che lo scisma lefebvriano aveva per il 95% motivazioni liturgiche. Per questo, appena eletto al Soglio di Pietro, ha subito chiarito che la liturgia, come il dogma, rimane perenne, quindi il suo predecessore Paolo VI non aveva diritto di abrogare il rito antico. Era il segnale che i lefebvriani attendevano e che Wojtyla non era stato in grado di dare».

© Copyright La Stampa, 25 gennaio 2009


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