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Le vacanze

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2012 17:01
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12/07/2009 16:17
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«Che emozione incontrare il Papa sui nostri monti»

L'intervistaIl sindaco di Les Combes «Tutto pronto per l'arrivo di Ratzinger»



Non mi aspettavo un Papa montanaro. Come tanti, lo ritenevo inavvicinabile. Si rivelò invece curioso. Voleva conoscere al gente, la cultura, le tradizioni. Un feeling che è durato anni e che si è consolidato nel tempo. Le montagne della Valle d'Aosta gli facevano sobbalzare il cuore come i monti Tatra. Le montagne - disse una volta Giovanni Paolo II - sono una sfida: Osvaldo Naudin racconta il grande Papa con la voce increspata dall'emozione. Da trent'anni è primo cittadino di Introd, un pugno di case (610 abitanti) a mille metri di altezza e una frazione, Les Combes, (1300 metri), che ospiterà, a partire dal 13 luglio fino al 29 luglio, un altro Papa. Per dieci volte Giovanni Paolo II e per la terza volta Benedetto XVI. Sulle dita di una mano sola gli appuntamenti ufficiali, come l'Angelus recitato a Romano Canavese il 19 luglio, paese natale del Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone e il 26 luglio a Les Combes; incontro col clero per ricordare sant'Anselmo d'Aosta. Un «Vaticano fra le Alpi» o ad alta quota, di rara, commovente bellezza. I massicci del Bianco, del Rosa, del Gran Paradiso, le vallate che si perdono nei ghiacciai, le morene e le mulattiere, gli alpeggi, le edicole votive e le cappelline. Naudin è uomo di poche parole e di profondi silenzi. Pensionato, è presidente della Comunità del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Ma non sta nella pelle, ora che il mondo punterà di nuovo (e inaspettatamente) i riflettori su di lui e sulla sua comunità. Caro sindaco, chi invitò per la prima volta Giovanni Paolo II in Valle d'Aosta ? «Nel 1986 il Papa venne in visita pastorale da noi e fu subito colpito dalla bellezza della natura. La guardava come se esprimesse una teologia della montagna. Il Papa mistico e il riposo d'alta montagna. E poi la riservatezza come tratto distintivo dell'accoglienza valdostana. Nel 1989 il sopralluogo fu fatto dal segretario del Papa, monsignor Stanislao Dziwisz, dal capo della vigilanza vaticana, il commendator Camillo Cibin e da Alberto Maria Carreggio, oggi vescovo di Sanremo. Diverse erano le località candidate e tutte molto più conosciute della nostra come Cogne o la Val d'Ayas». E la scelta cadde su Introd… «Sì, per la tipologia, la scarsa presenza di turisti, due sole strade d'accesso, il panorama mozzafiato, l'isolamento della villetta che avrebbe dovuto ospitare il pontefice». La ricordo perfettamente. Anche se nel 2000 ne avete costruita un'altra. «Non a grande distanza dalla prima. Sul terreno dei salesiani. L'abbiamo fatta costruire a tempi record. È un pianterreno col sottotetto. Ottanta metri quadrati. Al piano terra la cucina, un salotto e due camere da letto per le suore o, nel caso di Papa Benedetto, per le laiche consacrate che l'accudiscono. Al secondo piano una cappellina, un soggiorno-studio, servizi e due camere da letto: una per il Papa, l'altra per il segretario particolare, monsignor Georg Ganswein». Quando c'è il Papa, voi lo trattate come un vicino di casa. Uno a cui si possono fare dei doni. «I nostri regali sono i frutti della terra. Verdure fresche, frutta, vini della valle. Giovanni Paolo II gustava volentieri la gastronomia locale». Lei cucinava per Giovanni Paolo II? «Il 14 luglio, festa di San Camillo, cucinavo per gli uomini della vigilanza. Papa Wojtyla non disdegnava di farci visita e di partecipare a queste feste familiari e con allegria assaggiava un po' di tutto. Selvaggina, camoscio "in civet", capriolo, lepre, capretto nostrano». La sua specialità? «L'agnello al forno con timo di montagna e genepy e bacche di ginepro selvatiche. Come dolce la mia specialità era la panna montata con grappa locale e succo di fragola». Papa Wojtyla apprezzava i vini? «Specialmente il rosso rubino di Arvier ed il Torret. Poco il bianco. Una volta assaggiò anche carne di stambecco. È proibito cacciarlo, come lei sa. Fu una eccezione, perchè quello stambecco l'avevamo comprato. Il Papa, però, me lo fece subito notare e simpaticamente mi rimproverò di avergli cucinato una carne proibita». Questo singolarissimo legame d'amicizia e di affetto è proseguito anche a Roma… «Giovanni Paolo II non ci ha mai negato un'udienza in Vaticano. E così, io e il mio Consiglio Comunale, quasi come Capi di Stato, venivamo ricevuti nel suo appartamento nel Palazzo Apostolico ed avevamo il privilegio di partecipare alla messa che celebrava nella cappella privata». C'è una battuta che non ha dimenticato? «Atterrato in elicottero sotto il diluvio una volta mi disse: Stesso Papa, stesso sindaco. Io sono arrossito mentre lui rideva divertito». Gli avete anche dedicato un museo? «Lui ancora vivente. Nel 1996 ha inaugurato il "Museo Giovanni Paolo II" a Les Combes. Era un omaggio affettuoso. Lettere, francobolli, regali che facevamo al Papa globe-trotter, e che lui ci spediva su, perché quel museo fosse qualcosa di vivente, si arricchisse sempre di più. Nei suoi pensieri c'erano i problemi e i drammi del pianeta. Oso pensare che un piccolissimo spazio fosse occupato anche da noi». L'ha visto per l'ultima volta nel 2004 «Papa Wojtyla sembrava consapevole che sarebbe stata l'ultima. Così come l'ultimo sguardo fu per la catena di montagne del Grand Jorasses. È una vacanza che mi è rimasta impressa nell'animo. Anch'io ho vegliato, con una folla sterminata, in Piazza San Pietro. Era il primo aprile 2005. Il giorno dopo sarebbe salito in cielo». «A contatto con la montagna, la persona ritrova la sua giusta dimensione, si riscopre creatura piccola ma al tempo stesso unica, capace di Dio perché interiormente aperta all'Infinito». È una frase dell'Angelus pronunciato da Benedetto XVI a Les Combes. Era il 17 luglio 2005. Era il secondo Papa della sua vita da sindaco. «Mah, vede. Ci piace pensare che Benedetto XVI a Les Combes voglia sentire ancor di piu' la vicinanza di Giovanni Paolo II» Come è stato il primo incontro? «Era un Papa serio, composto, concentrato. Poi, pian piano, si è sciolto e si è dimostrato sensibile e gentile. È stato per noi una grande sorpresa. Nel 2007 Benedetto XVI ha trascorso le sue vacanze a Lorenzago di Cadore, nel 2008 a Bressanone. Sembravamo tagliati fuori, non ci siamo però persi d'animo e siamo tornati alla carica. "Non arrendetevi" ci hanno detto il segretario, monsignor Georg, e il capo della vigilanza vaticana, Domenico Giani. Ho capito che c'era qualche speranza. Nell'aprile di quest'anno l'annuncio del vescovo di Aosta, monsignor Giuseppe Anfossi, che il Papa sarebbe tornato da noi». Come vi siete preparati? «Sappiamo che il Santo Padre, a differenza del suo predecessore, fa brevi camminate attorno alla sua villetta. All'imbrunire, quando la natura imbevuta di luce si prepara al riposo. È un momento magico. Gli abbiamo sistemato i sentieri fra i boschi. Abbiamo dato una mano al restyling della natura che Benedetto XVI sente come tempio di Dio». È un intellettuale, Joseph Ratzinger. Non la spaventa un po'? «Un grande intellettuale che apprezza le parole dette col cuore e con semplicità. È un Papa che sa cogliere ogni sfumatura, che sa essere anche Papa di popolo». Cosa vorrebbe dirgli? «Che il mondo ha bisogno di lui. E la sua terza enciclica ne è la dimostrazione. Ha trascorso un anno complicato e difficile. Ha diritto ad un pontificato sereno».


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