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Ultimo Aggiornamento: 19/10/2015 04:06
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23/02/2009 21:52
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Benedetto, la preghiera e l'obbedienza

FILIPPO DI GIACOMO

Il Papa ha paura? Ieri all’Angelus, spiegando il significato teologico della festa della cattedra di san Pietro, Benedetto XVI ha ricordato il peso supplementare che tale incarico comporta.
Dalla sua cattedra, ha detto il Pontefice citando il Concilio, il successore del principe degli apostoli «presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva».
Nella sua breve catechesi, Benedetto XVI ha armonizzato i temi della domenica e della festa della cattedra con quelli dell’imminente quaresima che, come da tradizione, il vescovo di Roma aprirà con la cerimonia delle ceneri a Santa Sabina mercoledì prossimo.
Nel cristianesimo, la quaresima permette al cristiano di disporsi, attraverso un cammino di conversione e di purificazione, a vivere in pienezza il mistero della risurrezione di Cristo nella Pasqua. In tale spirito, prima della preghiera domenicale, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli un’esortazione molto cara all’ascesi cristiana, soprattutto durante i tempi forti dell’anno liturgico: «Questa festa mi offre l’occasione per chiedervi di accompagnarmi con le vostre preghiere».

Un cristiano che invita a pregare per lui, non è un vile. Se poi fa il papa è un battezzato da annoverare tra i miti e gli umili di cuore. Tutti ricordiamo la domanda con la quale Hannah Arendt si chiese, ai tempi di Giovanni XXIII, come fosse possibile che un conclave scegliesse come papa un cristiano. Se ricordassimo la sua risposta, sapremmo anche come e perché l’evento si sia ripetuto a ogni sede vacante. Paolo VI, il mercoledì delle ceneri del 1978, sempre a Santa Sabina, interruppe la sua omelia e improvvisando disse: «Ve lo chiedo per favore, vogliate bene al papa, pregate per lui».
L’episodio viene ricordato solo da chi vuole vederlo come quel papa-Amleto che Montini invece non fu.

Allora, se contestualizzati nel loro humus socio-religioso, i tentennamenti che in questi giorni vengono attribuiti a Benedetto XVI riguardano solo casi irrisolti, vecchi di decenni, sui quali il pontefice tenta di ottenere obbedienza con paziente educazione.

Le nomine vescovili del Nord-Europa, soprattutto quelle in Svizzera, Germania e Austria, sono state rette per secoli da norme dettate da antichi concordati, tutti rivisti alla luce del codice di diritto canonico in vigore ormai da 26 anni.

Non è certo un problema del Papa se i governi ne hanno già preso atto mentre i capitoli delle cattedrali di lingua tedesca e francese non riescono ad abbandonare quel complesso antiromano che innervosiva persino un teologo progressista come Yves Congar.

La visita canonica che Benedetto XVI ha fatto espletare nei seminari americani, per problemi che alla stampa cattolica anglosassone di questi giorni non piace ricordare, esistevano da decenni e a questo papa si deve la responsabilità di aver voltato una pagina che in tanti, e a lungo, non hanno neanche voluto toccare.

Nella discrezione più assoluta di simili fatti, per chi osserva bene, la Chiesa di oggi ne ha compiuti tanti.

ll Papa a maggio andrà in Israele, un paese dove per giovani israeliani in vena di youtubizzare, lo sputo in faccia all’ecclesiastico di ogni rito è uno dei passatempi preferiti. «La visita del Papa è un atto di coraggio», si è limitato a commentare, da Gerusalemme, il nunzio apostolico dopo che il premier Olmert ne aveva dato l’annuncio ufficiale.
Anche a Istanbul e a New York, a Sidney e a Parigi, erano in molti a pensare che un papa dialogante fosse necessariamente un papa debole. E così, invece, non è stato.

Sabato scorso, Benedetto XVI ha improvvisato un altro discorso nella cappella del seminario romano.
Commentava la lettera di Paolo ai Galati, il passo dove l’apostolo «accenna così alle polemiche che nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di essere migliori degli altri».
Forse anche in Italia, per togliere tra i fedeli e i loro pastori, Papa e vescovi compresi, l’inutile intralcio degli intellettualismi che affligge coloro che soffrono e che stentano a ritrovare l’abbraccio della Chiesa, basterebbe qualcuno che avesse il coraggio di dire loro: «Fratelli, la ricreazione è finita».

© Copyright La Stampa, 23 febbraio 2009


Papa Ratzi Superstar









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