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Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2013 17:43
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28/10/2012 14:44
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.10.2012

Al termine della Santa Messa celebrata nella Basilica Vaticana con i Padri Sinodali per la conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Con la Santa Messa celebrata stamani nella Basilica di San Pietro, si è conclusa la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Per tre settimane ci siamo confrontati sulla realtà della nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana: tutta la Chiesa era rappresentata e, dunque, coinvolta in questo impegno, che non mancherà di dare i suoi frutti, con la grazia del Signore.
Prima di tutto però il Sinodo è sempre un momento di forte comunione ecclesiale, e per questo desidero insieme con tutti voi ringraziare Dio, che ancora una volta ci ha fatto sperimentare la bellezza di essere Chiesa, e di esserlo proprio oggi, in questo mondo così com’è, in mezzo a questa umanità con le sue fatiche e le sue speranze.
Molto significativa è stata la coincidenza di questa Assemblea sinodale con il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e quindi con l’inizio dell’Anno della fede. Ripensare al Beato Giovanni XXIII, al Servo di Dio Paolo VI, alla stagione conciliare, è stato quanto mai favorevole, perché ci ha aiutato a riconoscere che la nuova evangelizzazione non è una nostra invenzione, ma è un dinamismo che si è sviluppato nella Chiesa in modo particolare dagli anni ‘50 del secolo scorso, quando apparve evidente che anche i Paesi di antica tradizione cristiana erano diventati, come si suol dire, «terra di missione».
Così è emersa l’esigenza di un annuncio rinnovato del Vangelo nelle società secolarizzate, nella duplice certezza che, da una parte, è solo Lui, Gesù Cristo, la vera novità che risponde alle attese dell’uomo di ogni epoca, e dall’altra, che il suo messaggio chiede di essere trasmesso in modo adeguato nei mutati contesti sociali e culturali.
Che cosa possiamo dire al termine di queste intense giornate di lavoro?
Da parte mia, ho ascoltato e raccolto molti spunti di riflessione e molte proposte, che, con l’aiuto della Segreteria del Sinodo e dei miei Collaboratori, cercherò di ordinare ed elaborare, per offrire a tutta la Chiesa una sintesi organica e indicazioni coerenti.
Fin da ora possiamo dire che da questo Sinodo esce rafforzato l’impegno per il rinnovamento spirituale della Chiesa stessa, per poter rinnovare spiritualmente il mondo secolarizzato; e questo rinnovamento verrà dalla riscoperta di Gesù Cristo, della sua verità e della sua grazia, del suo «volto», così umano e insieme così divino, sul quale risplende il mistero trascendente di Dio.
Affidiamo alla Vergine Maria i frutti del lavoro dell’Assise sinodale appena conclusa. Lei, Stella della nuova evangelizzazione, ci insegni e ci aiuti a portare a tutti Cristo, con coraggio e con gioia.


DOPO L’ANGELUS

Comincio con un Appello.
Nei giorni scorsi un devastante uragano, che si è abbattuto con particolare violenza su Cuba, Haiti, la Giamaica e le Bahamas, ha causato vari morti e ingenti danni, costringendo numerose persone a lasciare le proprie case. Desidero assicurare la mia vicinanza e il mio ricordo a coloro che sono stati colpiti da questo disastro naturale, mentre invito tutti alla preghiera e alla solidarietà, per alleviare il dolore dei familiari delle vittime e offrire aiuto alle migliaia di danneggiati.

Chers pèlerins francophones, alors que s’achèvent les travaux du Synode pour la nouvelle évangélisation, la parole du Christ nous invite à la confiance et à l’acte de foi en Lui. Celui qui croit ne peut garder pour lui la Bonne Nouvelle du salut. Le Seigneur a confié à tous ses disciples la responsabilité d’annoncer l’Évangile parmi tous les peuples. Puisse l’Esprit Saint rendre votre témoignage lumineux afin que beaucoup découvrent et suivent le Christ, Rédempteur de l’homme. Que la Vierge Marie, Mère de l’Église, vous accompagne sur les chemins qui conduisent vers son Fils !

I greet all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer. In today’s Gospel, Jesus grants sight to the blind man with the words: "Your faith has saved you". As we mark the end of the Synod on the new evangelization, let us renew both our faith in Christ and our commitment to the spread of his Gospel of healing and joy. God bless you and your families!

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Gäste aus den Ländern deutscher Sprache. Mit der heutigen Meßfeier in der Petersbasilika habe ich zusammen mit den Synodenvätern und vielen Gläubigen die XIII. Ordentliche Generalversammlung der Bischofssynode zur „Neuen Evangelisierung und Weitergabe des christlichen Glaubens" beendet. Wir haben voller Freude im Hallelujavers gesungen: „Unser Retter Jesus Christus hat dem Tod die Macht genommen und uns das Leben gebracht durch das Evangelium." Liebe Brüder und Schwestern! In der Gewißheit, daß der Herr lebt und uns nahe ist, wollen wir unseren Glauben freudig, mit Mut und mit Begeisterung in die Welt hinaus tragen! Gott segne euch alle.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los miembros de la Hermandad del Señor de los Milagros de Roma. Al concluir la Asamblea General ordinaria del Sínodo de los Obispos, dedicada al tema de la nueva evangelización, invito a todos a intensificar la oración para que este evento eclesial produzca abundantes frutos en la vida de la Iglesia. Encomiendo este deseo a la amorosa intercesión de María Santísima, y reitero mi exhortación a dirigirse a Ella cada día con el rezo del Santo Rosario, confiándole todas nuestras dificultades, retos y alegrías, para que los presente a su Hijo Jesucristo, luz del mundo y esperanza del hombre. Feliz Domingo.

Dirijo agora uma calorosa saudação aos peregrinos de língua portuguesa, e de modo especial ao grupo vindo do Brasil - das dioceses de Guaxupé, São João da Boa Vista e Jundiaí. Ao concluir a Sínodo sobre a Nova Evangelização, confio à Virgem Santíssima os seus frutos e peço-Lhe que guie e proteja maternalmente os vossos passos ao serviço do anúncio e testemunho da Boa Nova de Jesus Cristo! A minha Bênção desça sobre vós, vossas famílias e comunidades cristãs.

Lepo pozdravljam vernike iz Idrije v Sloveniji! V tem letu vere naj vas romanje na grobove apostolov Petra in Pavla utrdi v vaši osebni veri, da boste doma in v družbi pričevali za Kristusa ter še bolj zavzeto sodelovali v župnijskem življenju. Naj vas spremlja moj blagoslov!

[Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti da Idrija in Slovenia! In questo Anno della fede, il pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo vi rafforzi nella vostra fede personale affinché testimoniate Cristo, sia in famiglia sia nella società e, con zelo sempre maggiore, continuiate il vostro impegno nella vita della Parrocchia. Vi accompagni la mia benedizione!]

Bracia i Siostry, dzisiaj rano zakończył się Synod Biskupów. Przypomniał on, że nowa ewangelizacja jest zadaniem nas wszystkich, domaga się od nas wzrostu w gorliwości, odrodzenia życia sakramentalnego, powrotu do praktyk religijnych ze strony tych, którzy oddalili się od Kościoła, głoszenia orędzia Chrystusa wszystkim, którzy Go jeszcze nie znają. Niech Boży Duch ożywi nasze serca mocą wiary, obudzi potrzebę trwania w bliskości z Bogiem. Na realizację tych ważnych zadań z serca wam błogosławię.

[Fratelli e sorelle, si è concluso stamani il Sinodo dei Vescovi. Esso ha ricordato che la nuova evangelizzazione è compito di ognuno di noi, esige da noi l’intensificazione nello zelo, la rinascita della vita sacramentale, il ritorno alle pratiche di pietà da parte di coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, l’annunzio del messaggio di Cristo a tutti coloro che non lo conoscono. Lo Spirito di Dio ravvivi il nostri cuori con la forza della fede, desti il bisogno di rimanere nella vicinanza con Dio. Per la realizzazione di questi importanti impegni vi benedico di cuore.]

E infine rivolgo un saluto cordiale a tutti i pellegrini di lingua italiana, in modo particolare ai gruppi parrocchiali, alle famiglie, ai giovani. Assicuro un ricordo nella preghiera per le popolazioni della Basilicata e della Calabria che hanno subito un terremoto nei giorni scorsi. A tutti auguro una buona domenica e anche una buona festa di Tutti i Santi. Buona domenica. Grazie!

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
29/10/2012 14:40
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 99ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (13 GENNAIO 2013), 29.10.2012

«Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza» è il tema scelto dal Papa per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha preparato in vista di tale Giornata:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza

Cari fratelli e sorelle!

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). A tale dichiarazione hanno fatto eco il Servo di Dio Paolo VI, che ha chiamato la Chiesa «esperta in umanità» (Enc. Populorum progressio, 13), e il Beato Giovanni Paolo II, che ha affermato come la persona umana sia «la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso» (Enc. Centesimus annus, 53). Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem).

In tale contesto, ho voluto dedicare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013 al tema «Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza», in concomitanza con le celebrazioni del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e del 60° della promulgazione della Costituzione Apostolica Exsul familia, mentre tutta la Chiesa è impegnata a vivere l’Anno della fede, raccogliendo con entusiasmo la sfida della nuova evangelizzazione.

In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque, riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1).
Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona. Ed è proprio a questa dimensione che la Chiesa è chiamata, per la stessa missione affidatale da Cristo, a prestare particolare attenzione e cura: questo è il suo compito più importante e specifico. Verso i fedeli cristiani provenienti da varie zone del mondo l’attenzione alla dimensione religiosa comprende anche il dialogo ecumenico e la cura delle nuove comunità, mentre verso i fedeli cattolici si esprime, tra l’altro, nel realizzare nuove strutture pastorali e valorizzare i diversi riti, fino alla piena partecipazione alla vita della comunità ecclesiale locale. La promozione umana va di pari passo con la comunione spirituale, che apre le vie «ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 6). E’ sempre un dono prezioso quello che porta la Chiesa guidando all’incontro con Cristo che apre ad una speranza stabile e affidabile.
La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri. Coloro che emigrano portano con sé sentimenti di fiducia e di speranza che animano e confortano la ricerca di migliori opportunità di vita. Tuttavia, essi non cercano solamente un miglioramento della loro condizione economica, sociale o politica. È vero che il viaggio migratorio spesso inizia con la paura, soprattutto quando persecuzioni e violenze costringono alla fuga, con il trauma dell’abbandono dei familiari e dei beni che, in qualche misura, assicuravano la sopravvivenza. Tuttavia, la sofferenza, l’enorme perdita e, a volte, un senso di alienazione di fronte al futuro incerto non distruggono il sogno di ricostruire, con speranza e coraggio, l’esistenza in un Paese straniero. In verità, coloro che migrano nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato. Occorre, infatti, ribadire che «la solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranti e rifugiati, insieme alle difficoltà, possono sperimentare anche relazioni nuove e ospitali, che li incoraggiano a contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede, che dona impulso alle comunità di antica tradizione cristiana, incoraggia ad incontrare Cristo e invita a conoscere la Chiesa.
Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono.
A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).
Cari fratelli e sorelle migranti, questa Giornata Mondiale vi aiuti a rinnovare la fiducia e la speranza nel Signore che sta sempre accanto a noi! Non perdete l’occasione di incontrarLo e di riconoscere il suo volto nei gesti di bontà che ricevete nel vostro pellegrinaggio migratorio. Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49).
Affido ciascuno di voi alla Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione, «stella del cammino», che con la sua materna presenza ci è vicina in ogni momento della vita, e a tutti imparto con affetto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 12 ottobre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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L’UDIENZA GENERALE, 31.10.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, nel nuovo ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sulla fede della Chiesa.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. La fede della Chiesa

Cari fratelli e sorelle,

continuiamo nel nostro cammino di meditazione sulla fede cattolica.
La settimana scorsa ho mostrato come la fede sia un dono, perché è Dio che prende l’iniziativa e ci viene incontro; e così la fede è una risposta con la quale noi Lo accogliamo come fondamento stabile della nostra vita. E’ un dono che trasforma l’esistenza, perché ci fa entrare nella stessa visione di Gesù, il quale opera in noi e ci apre all’amore verso Dio e verso gli altri.
Oggi vorrei fare un altro passo nella nostra riflessione, partendo ancora una volta da alcune domande: la fede ha un carattere solo personale, individuale? Interessa solo la mia persona? Vivo la mia fede da solo?
Certo, l’atto di fede è un atto eminentemente personale, che avviene nell’intimo più profondo e che segna un cambiamento di direzione, una conversione personale: è la mia esistenza che riceve una svolta, un orientamento nuovo.
Nella Liturgia del Battesimo, al momento delle promesse, il celebrante chiede di manifestare la fede cattolica e formula tre domande: Credete in Dio Padre onnipotente? Credete in Gesù Cristo suo unico Figlio? Credete nello Spirito Santo? Anticamente queste domande erano rivolte personalmente a colui che doveva ricevere il Battesimo, prima che si immergesse per tre volte nell’acqua. E anche oggi la risposta è al singolare: «Credo». Ma questo mio credere non è il risultato di una mia riflessione solitaria, non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo, in cui c’è un ascoltare, un ricevere e un rispondere; è il comunicare con Gesù che mi fa uscire dal mio «io» racchiuso in me stesso per aprirmi all’amore di Dio Padre.
E’ come una rinascita in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma anche a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via; e questa nuova nascita, che inizia con il Battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza. Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario.
La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa.
Alla domenica, nella Santa Messa, recitando il «Credo», noi ci esprimiamo in prima persona, ma confessiamo comunitariamente l’unica fede della Chiesa. Quel «credo» pronunciato singolarmente si unisce a quello di un immenso coro nel tempo e nello spazio, in cui ciascuno contribuisce, per così dire, ad una concorde polifonia nella fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo chiaro così: «"Credere" è un atto ecclesiale.
La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. "Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre" [san Cipriano]» (n. 181). Quindi la fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa. Questo è importante ricordarlo.
Agli inizi dell’avventura cristiana, quando lo Spirito Santo scende con potenza sui discepoli, nel giorno di Pentecoste - come narrano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,1-13) - la Chiesa nascente riceve la forza per attuare la missione affidatale dal Signore risorto: diffondere in ogni angolo della terra il Vangelo, la buona notizia del Regno di Dio, e guidare così ogni uomo all’incontro con Lui, alla fede che salva. Gli Apostoli superano ogni paura nel proclamare ciò che avevano udito, visto, sperimentato di persona con Gesù. Per la potenza dello Spirito Santo, iniziano a parlare lingue nuove, annunciando apertamente il mistero di cui erano stati testimoni. Negli Atti degli Apostoli ci viene riferito poi il grande discorso che Pietro pronuncia proprio nel giorno di Pentecoste. Egli parte da un passo del profeta Gioele (3,1-5), riferendolo a Gesù, e proclamando il nucleo centrale della fede cristiana: Colui che aveva beneficato tutti, che era stato accreditato presso Dio con prodigi e segni grandi, è stato inchiodato sulla croce ed ucciso, ma Dio lo ha risuscitato dai morti, costituendolo Signore e Cristo. Con Lui siamo entrati nella salvezza definitiva annunciata dai profeti e chi invocherà il suo nome sarà salvato (cfr At 2,17-24). Ascoltando queste parole di Pietro, molti si sentono personalmente interpellati, si pentono dei propri peccati e si fanno battezzare ricevendo il dono dello Spirito Santo (cfr At 2, 37-41).
Così inizia il cammino della Chiesa, comunità che porta questo annuncio nel tempo e nello spazio, comunità che è il Popolo di Dio fondato sulla nuova alleanza grazie al sangue di Cristo e i cui membri non appartengono ad un particolare gruppo sociale o etnico, ma sono uomini e donne provenienti da ogni nazione e cultura. E’ un popolo «cattolico», che parla lingue nuove, universalmente aperto ad accogliere tutti, oltre ogni confine, abbattendo tutte le barriere. Dice san Paolo: «Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti" (Col 3,11).
La Chiesa, dunque, fin dagli inizi è il luogo della fede, il luogo della trasmissione della fede, il luogo in cui, per il Battesimo, si è immersi nel Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo, che ci libera dalla prigionia del peccato, ci dona la libertà di figli e ci introduce nella comunione col Dio Trinitario. Al tempo stesso, siamo immersi nella comunione con gli altri fratelli e sorelle di fede, con l’intero Corpo di Cristo, tirati fuori dal nostro isolamento. Il Concilio Ecumenico Vaticano II lo ricorda: «Dio volle salvare e santificare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che Lo riconoscesse nella verità e fedelmente Lo servisse» (Cost. dogm. Lumen gentium, 9).
Richiamando ancora la liturgia del Battesimo, notiamo che, a conclusione delle promesse in cui esprimiamo la rinuncia al male e ripetiamo «credo» alle verità della fede, il celebrante dichiara: «Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore». La fede è virtù teologale, donata da Dio, ma trasmessa dalla Chiesa lungo la storia. Lo stesso san Paolo, scrivendo ai Corinzi, afferma di aver comunicato loro il Vangelo che a sua volta anche lui aveva ricevuto (cfr 1 Cor 15,3).
Vi è un’ininterrotta catena di vita della Chiesa, di annuncio della Parola di Dio, di celebrazione dei Sacramenti, che giunge fino a noi e che chiamiamo Tradizione. Essa ci dà la garanzia che ciò in cui crediamo è il messaggio originario di Cristo, predicato dagli Apostoli. Il nucleo dell’annuncio primordiale è l’evento della Morte e Risurrezione del Signore, da cui scaturisce tutto il patrimonio della fede.
Dice il Concilio: «La predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere consegnata con successione continua fino alla fine dei tempi» Cost. dogm. Dei Verbum, 8). In tal modo, se la Sacra Scrittura contiene la Parola di Dio, la Tradizione della Chiesa la conserva e la trasmette fedelmente, perché gli uomini di ogni epoca possano accedere alle sue immense risorse e arricchirsi dei suoi tesori di grazia. Così la Chiesa «nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» (ibidem).
Vorrei, infine, sottolineare che è nella comunità ecclesiale che la fede personale cresce e matura. E’ interessante osservare come nel Nuovo Testamento la parola «santi» designa i cristiani nel loro insieme, e certamente non tutti avevano le qualità per essere dichiarati santi dalla Chiesa. Che cosa si voleva indicare, allora, con questo termine? Il fatto che coloro che avevano e vivevano la fede in Cristo risorto erano chiamati a diventare un punto di riferimento per tutti gli altri, mettendoli così in contatto con la Persona e con il Messaggio di Gesù, che rivela il volto del Dio vivente. E questo vale anche per noi: un cristiano che si lascia guidare e plasmare man mano dalla fede della Chiesa, nonostante le sue debolezze, i suoi limiti e le sue difficoltà, diventa come una finestra aperta alla luce del Dio vivente, che riceve questa luce e la trasmette al mondo. Il Beato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio affermava che «la missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!» (n. 2).
La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i Sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore.
Così il nostro «io» nel «noi» della Chiesa potrà percepirsi, ad un tempo, destinatario e protagonista di un evento che lo supera: l’esperienza della comunione con Dio, che fonda la comunione tra gli uomini. In un mondo in cui l’individualismo sembra regolare i rapporti fra le persone, rendendole sempre più fragili, la fede ci chiama ad essere Popolo di Dio, ad essere Chiesa, portatori dell’amore e della comunione di Dio per tutto il genere umano (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 1).
Grazie per l’attenzione.

○ Saluto in lingua italiana

Un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. E vi ringrazio per la pazienza nonostante il tempo brutto, ma poteva essere anche peggiore.
Saluto i fedeli della Diocesi di Avezzano, con il loro Vescovo Mons. Pietro Santoro, venuti per commemorare i 100 anni di attività dell’Azione Cattolica Italiana in quella Chiesa particolare. Saluto i Rettori delle Università Cattoliche riuniti a Roma: la visita alle Tombe degli Apostoli accresca in tutti voi il senso di appartenenza alla Chiesa. Accolgo con gioia i membri della Scuola di Fede e di Preghiera "Figli in cielo" e quelli della Casa degli Italiani a Barcellona, incoraggiandoli ad intensificare il loro impegno in particolare verso le persone che maggiormente soffrono o sono bisognose di aiuto.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la Solennità di Tutti i Santi, che ci ricorda la chiamata universale alla santità: cari giovani, la vostra aspirazione alla felicità si realizzi nelle Beatitudini evangeliche; cari ammalati, portare la vostra croce con Cristo vi santifichi nell’amore; e voi, cari sposi novelli, sappiate dare il giusto spazio alla preghiera, perché la vostra vita coniugale sia un cammino di santità. Grazie a tutti voi.

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
01/11/2012 17:21
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 01.11.2012

Alle ore 12 di oggi, Solennità di tutti i Santi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi abbiamo la gioia di incontrarci nella solennità di Tutti i Santi. Questa festa ci fa riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che esprimiamo simbolicamente con le parole "terra" e "cielo": la terra rappresenta il cammino storico, il cielo l’eternità, la pienezza della vita in Dio.
E così questa festa ci fa pensare alla Chiesa nella sua duplice dimensione: la Chiesa in cammino nel tempo e quella che celebra la festa senza fine, la Gerusalemme celeste. Queste due dimensioni sono unite dalla realtà della «comunione dei santi»: una realtà che comincia quaggiù sulla terra e raggiunge il suo compimento in Cielo. Nel mondo terreno, la Chiesa è l’inizio di questo mistero di comunione che unisce l’umanità, un mistero totalmente incentrato su Gesù Cristo: è Lui che ha introdotto nel genere umano questa dinamica nuova, un movimento che la conduce verso Dio e al tempo stesso verso l’unità, verso la pace in senso profondo. Gesù Cristo - dice il Vangelo di Giovanni (11,52) - è morto «per riunire insieme i figli di Dio dispersi», e questa sua opera continua nella Chiesa che è inseparabilmente «una», «santa» e «cattolica». Essere cristiani, far parte della Chiesa significa aprirsi a questa comunione, come un seme che si schiude nella terra, morendo, e germoglia verso l’alto, verso il cielo.
I Santi - quelli che la Chiesa proclama tali, ma anche tutti i santi e le sante che solo Dio conosce, e che oggi pure celebriamo - hanno vissuto intensamente questa dinamica. In ciascuno di loro, in modo molto personale, si è reso presente Cristo, grazie al suo Spirito che opera mediante la Parola e i Sacramenti. Infatti, l’essere uniti a Cristo, nella Chiesa, non annulla la personalità, ma la apre, la trasforma con la forza dell’amore, e le conferisce, già qui sulla terra, una dimensione eterna. In sostanza, significa diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio (cfr Rm 8,29), realizzando il progetto di Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ma questo inserimento in Cristo ci apre - come avevo detto - anche alla comunione con tutti gli altri membri del suo Corpo mistico che è la Chiesa, una comunione che è perfetta nel «Cielo», dove non c’è alcun isolamento, alcuna concorrenza o separazione.
Nella festa di oggi, noi pregustiamo la bellezza di questa vita di totale apertura allo sguardo d’amore di Dio e dei fratelli, in cui siamo certi di raggiungere Dio nell’altro e l’altro in Dio. Con questa fede piena di speranza noi veneriamo tutti i santi, e ci prepariamo a commemorare domani i fedeli defunti. Nei santi vediamo la vittoria dell’amore sull’egoismo e sulla morte: vediamo che seguire Cristo porta alla vita, alla vita eterna, e dà senso al presente, ad ogni attimo che passa, perché lo riempie d’amore, di speranza. Solo la fede nella vita eterna ci fa amare veramente la storia e il presente, ma senza attaccamenti, nella libertà del pellegrino, che ama la terra perché ha il cuore in Cielo.
La Vergine Maria ci ottenga la grazia di credere fortemente nella vita eterna e di sentirci in vera comunione con i nostri cari defunti.

DOPO L’ANGELUS

Chers pèlerins francophones, aujourd’hui nous célébrons la multitude des saints qui sont auprès de Dieu. La sainteté que l’Église honore en eux a le visage des béatitudes proclamées par Jésus. Dans leur vie, ils ont reflété la lumière du Ressuscité. En suivant leur exemple de fidélité à l’amour du Christ, marchons nous aussi vers la joie du royaume où Dieu essuiera toute larme de nos yeux et où nous le verrons ! Confions-nous à la Vierge Marie, Reine de tous les saints. Bonne fête de la Toussaint à vous tous et à vos familles !

I greet all the English-speaking visitors present, especially those from Holy Ghost Church, Exmouth. Today’s Solemnity of All Saints reminds us of our eternal destiny, where we will dwell, as Saint Thomas Aquinas says, in true and perfect light, total fulfillment, everlasting joy and gladness without end. May the intercession of all the saints lead us and our departed loved ones to our everlasting home in heaven. God bless you all!

Mit Freude heiße ich am heutigen Fest Allerheiligen die Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Heiligkeit ist nicht etwas Abgestandenes oder etwas Unerreichbares. Die Berufung zur Heiligkeit geht jeden von uns an. Gott ruft jeden von uns, in Gemeinschaft mit ihm zu leben, und das ist Heiligkeit. Er liebt uns als seine Kinder. Auch unsere Zeit, gerade unsere Zeit braucht Heilige, Menschen, die Gott durchscheinen lassen, an denen wir sehen können, wie man heute das Evangelium leben kann, und die uns Zeichen seiner Liebe sind. Bitten wir dazu die Heiligen um ihre Fürsprache und Hilfe. Euch allen einen gesegneten Feiertag!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Como Iglesia peregrina, celebramos hoy con gozo la Solemnidad de Todos los Santos, la memoria de aquéllos que son llamados amigos de Dios, cuya compañía alegra los cielos. Que también nosotros, guiados por la fe y gozosos por la gloria de los mejores hijos de la Iglesia, invocando a la bienaventurada Virgen María, encontremos en ellos ejemplo y ayuda para alcanzar las promesas de Cristo. Muchas gracias.

Pozdrawiam Polaków. Wspominając dziś wszystkich znanych i nieznanych Świętych w szczególny sposób uświadamiamy sobie, że wszyscy jesteśmy powołani do świętości, to znaczy do wiecznego życia w chwale Pana. W wypełnianiu tego powołania „przykład świętych nas pobudza, a ich bratnia modlitwa nas wspomaga". Pozwólmy się im prowadzić na codziennych drogach wzrastania w świętości. Niech Bóg wam błogosławi.

[Saluto i polacchi. Commemorando oggi tutti i santi noti e ignoti, ci ricordiamo in modo particolare che tutti siamo chiamati alla santità, cioè alla vita eterna nella gloria del Signore. Nella realizzazione di questa vocazione «l’esempio dei santi ci sollecita e la loro fraterna preghiera ci aiuta». Lasciamoci guidare da loro nel quotidiano cammino di crescita nella santità. Dio vi benedica!]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di fedeli delle Diocesi di Concordia-Pordenone e Vittorio Veneto, accompagnati dal Vescovo emerito Mons. Ovidio Poletto; saluto i ragazzi di Modena che hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione, benvenuti, e l’associazione «Angeli della Vita», di Giovinazzo. A tutti auguro una buona festa di Tutti i Santi! Buona festa. Grazie.

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
03/11/2012 20:46
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SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO, 03.11.2012

Alle ore 11.30 di questa mattina, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Nei nostri cuori è presente e vivo il clima della comunione dei Santi e della commemorazione dei fedeli defunti, che la liturgia ci ha fatto vivere in modo intenso nelle celebrazioni dei giorni scorsi. In particolare, la visita ai cimiteri ci ha permesso di rinnovare il legame con le persone care che ci hanno lasciato; la morte, paradossalmente, conserva ciò che la vita non può trattenere.
Come i nostri defunti hanno vissuto, che cosa hanno amato, temuto e sperato, che cosa hanno rifiutato, lo scopriamo, infatti, in modo singolare proprio dalle tombe, che sono rimaste quasi come uno specchio della loro esistenza, del loro mondo: esse ci interpellano e ci inducono a riannodare un dialogo che la morte ha messo in crisi.
Così, i luoghi della sepoltura costituiscono come una sorta di assemblea, nella quale i vivi incontrano i propri defunti e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere. E qui a Roma, in quei cimiteri peculiari che sono le catacombe, avvertiamo, come in nessun altro luogo, i legami profondi con la cristianità antica, che sentiamo così vicina. Quando ci inoltriamo nei corridoi delle catacombe romane - come pure in quelli dei cimiteri delle nostre città e dei nostri paesi -, è come se noi varcassimo una soglia immateriale ed entrassimo in comunicazione con coloro che lì custodiscono il loro passato, fatto di gioie e di dolori, di sconfitte e di speranze.
Ciò avviene, perché la morte riguarda l’uomo di oggi esattamente come quello di allora; e anche se tante cose dei tempi passati ci sono diventate estranee, la morte è rimasta la stessa.
Di fronte a questa realtà, l’essere umano di ogni epoca cerca uno spiraglio di luce che faccia sperare, che parli ancora di vita, e anche la visita alle tombe esprime questo desiderio. Ma come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Rispondiamo con la fede in Dio, con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo.
La fede ci dice che la vera immortalità alla quale aspiriamo non è un’idea, un concetto, ma una relazione di comunione piena con il Dio vivente: è lo stare nelle sue mani, nel suo amore, e diventare in Lui una cosa sola con tutti i fratelli e le sorelle che Egli ha creato e redento, con l’intera creazione. La nostra speranza allora riposa sull’amore di Dio che risplende nella Croce di Cristo e che fa risuonare nel cuore le parole di Gesù al buon ladrone: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Questa è la vita giunta alla sua pienezza: quella in Dio; una vita che noi ora possiamo soltanto intravedere come si scorge il cielo sereno attraverso la nebbia.
In questo clima di fede e di preghiera, cari Fratelli, siamo raccolti attorno all’altare per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dei Cardinali, degli Arcivescovi e dei Vescovi che, durante l’anno trascorso, hanno terminato la loro esistenza terrena.
In questo clima di fede e di preghiera, cari Fratelli, siamo raccolti attorno all’altare per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dei Cardinali, degli Arcivescovi e dei Vescovi che, durante l’anno trascorso, hanno terminato la loro esistenza terrena. In modo particolare ricordiamo i compianti Fratelli Cardinali John Patrick Foley, Anthony Bevilacqua, José Sánchez, Ignace Moussa Daoud, Luis Aponte Martínez, Rodolfo Quezada Toruño, Eugênio de Araújo Sales, Paul Shan Kuo-hsi, Carlo Maria Martini, Fortunato Baldelli. Estendiamo il nostro affettuoso ricordo anche a tutti gli Arcivescovi e Vescovi defunti, chiedendo al Signore, pietoso, giusto e misericordioso (cfr Sal 114), di voler loro concedere il premio eterno promesso ai fedeli servitori del Vangelo.
Ripensando alla testimonianza di questi nostri venerati Fratelli, possiamo riconoscere in essi quei discepoli «miti», «misericordiosi», «puri di cuore», «operatori di pace» di cui ci ha parlato la pericope evangelica (Mt 5,1-12): amici del Signore che, fidandosi della sua promessa, nelle difficoltà e anche nelle persecuzioni hanno conservato la gioia della fede, ed ora abitano per sempre la casa del Padre e godono della ricompensa celeste, ricolmi di felicità e di grazia. I Pastori che oggi ricordiamo hanno, infatti, servito la Chiesa con fedeltà e amore, affrontando talvolta prove onerose, pur di assicurare al gregge loro affidato attenzione e cura. Nella varietà delle rispettive doti e mansioni, hanno dato esempio di solerte vigilanza, di saggia e zelante dedizione al Regno di Dio, offrendo un prezioso contributo alla stagione post-conciliare, tempo di rinnovamento in tutta la Chiesa.
La Mensa eucaristica, alla quale si sono accostati, dapprima come fedeli e poi, quotidianamente, come ministri, anticipa nel modo più eloquente quanto il Signore ha promesso nel «discorso della montagna»: il possesso del Regno dei cieli, il prendere parte alla mensa della Gerusalemme celeste. Preghiamo perché ciò si compia per tutti. La nostra preghiera è alimentata da questa ferma speranza che «non delude» (Rm 5,5), perché garantita da Cristo che ha voluto vivere nella carne l’esperienza della morte per trionfare su di essa con il prodigioso avvenimento della Risurrezione. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24,5-6).
Questo annuncio degli angeli, proclamato la mattina di Pasqua presso il sepolcro vuoto, è giunto attraverso i secoli fino a noi, e ci propone, anche in questa assemblea liturgica, il motivo essenziale della nostra speranza. Infatti, «se siamo morti con Cristo – ci ricorda san Paolo alludendo a ciò che è avvenuto nel Battesimo – crediamo che anche vivremo con lui» (Rm 6,8). È lo stesso Spirito Santo, per mezzo del quale l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, a far sì che la nostra speranza non sia vana (cfr Rm 5,5). Dio Padre, ricco di misericordia, che ha dato alla morte il suo Figlio unigenito quando eravamo ancora peccatori, come non ci donerà la salvezza ora che siamo giustificati per il sangue di Lui (cfr Rm 5,6-11)? La nostra giustizia si basa sulla fede in Cristo. È Lui il «Giusto», preannunciato in tutte le Scritture; è grazie al suo Mistero pasquale che, varcando la soglia della morte, i nostri occhi potranno vedere Dio, contemplare il suo volto (cfr Gb 19,27a).
Alla singolare esistenza umana del Figlio di Dio si affianca quella della sua Madre Santissima, che, sola tra tutte le creature, veneriamo Immacolata e piena di grazia. I nostri Fratelli Cardinali e Vescovi, di cui oggi facciamo memoria, sono stati amati con predilezione dalla Vergine Maria e hanno ricambiato il suo amore con devozione filiale.
Alla sua materna intercessione vogliamo oggi affidare le loro anime, affinché siano da Lei introdotti nel Regno eterno del Padre, attorniati da tanti loro fedeli per i quali hanno speso la vita. Col suo sguardo premuroso vegli Maria su di essi, che ora dormono il sonno della pace in attesa della beata risurrezione. E noi eleviamo a Dio per loro la nostra preghiera, sorretti dalla speranza di ritrovarci tutti un giorno, uniti per sempre in Paradiso. Amen.

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05/11/2012 10:43
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 04.11.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa domenica (Mc 12,28-34) ci ripropone l’insegnamento di Gesù sul più grande comandamento: il comandamento dell’amore, che è duplice: amare Dio e amare il prossimo.
I Santi, che abbiamo da poco celebrato tutti insieme in un’unica festa solenne, sono proprio coloro che, confidando nella grazia di Dio, cercano di vivere secondo questa legge fondamentale. In effetti, il comandamento dell’amore lo può mettere in pratica pienamente chi vive in una relazione profonda con Dio, proprio come il bambino diventa capace di amare a partire da una buona relazione con la madre e il padre. San Giovanni d’Avila, che ho da poco proclamato Dottore della Chiesa, così scrive all’inizio del suo Trattato dell’amore di Dio: «La causa - dice - che maggiormente spinge il nostro cuore all’amore di Dio è considerare profondamente l’amore che Egli ha avuto per noi…
Questo, più dei benefici, spinge il cuore ad amare; perché colui che rende ad un altro un beneficio, gli dà qualcosa che possiede; ma colui che ama, dà se stesso con tutto ciò che ha, senza che gli resti altro da dare» (n. 1). Prima di essere un comando - l’amore non è un comando - è un dono, una realtà che Dio ci fa conoscere e sperimentare, così che, come un seme, possa germogliare anche dentro di noi e svilupparsi nella nostra vita.
Se l’amore di Dio ha messo radici profonde in una persona, questa è in grado di amare anche chi non lo merita, come appunto fa Dio verso di noi. Il padre e la madre non amano i figli solo quando lo meritano: li amano sempre, anche se naturalmente fanno loro capire quando sbagliano. Da Dio noi impariamo a volere sempre e solo il bene e mai il male. Impariamo a guardare l’altro non solamente con i nostri occhi, ma con lo sguardo di Dio, che è lo sguardo di Gesù Cristo.
Uno sguardo che parte dal cuore e non si ferma alla superficie, va al di là delle apparenze e riesce a cogliere le attese profonde dell’altro: attese di essere ascoltato, di un’attenzione gratuita; in una parola: di amore. Ma si verifica anche il percorso inverso: che aprendomi all’altro così com’è, andandogli incontro, rendendomi disponibile, io mi apro anche a conoscere Dio, a sentire che Egli c’è ed è buono. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili e stanno in rapporto reciproco. Gesù non ha inventato né l’uno né l’altro, ma ha rivelato che essi sono, in fondo, un unico comandamento, e lo ha fatto non solo con la parola, ma soprattutto con la sua testimonianza: la Persona stessa di Gesù e tutto il suo mistero incarnano l’unità dell’amore di Dio e del prossimo, come i due bracci della Croce, verticale e orizzontale.
Nell’Eucaristia Egli ci dona questo duplice amore, donandoci Se stesso, perché, nutriti di questo Pane, ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato.
Cari amici, per intercessione della Vergine Maria, preghiamo affinché ogni cristiano sappia mostrare la sua fede nell’unico vero Dio con una limpida testimonianza di amore verso il prossimo.

DOPO L’ANGELUS

Chers frères et sœurs, je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement le groupe Saint Charles Borromée, du Chesnay. L’évangile de ce dimanche nous invite à trouver dans l’amour de Dieu et de nos frères le chemin du bonheur. En aimant Dieu, l’Unique, et en aimant notre prochain comme nous-même, nous construisons l’harmonie et la paix dans nos familles, nos communautés et nos pays. Puissiez-vous donc mettre l’amour au cœur de votre vie ! Et pour mieux connaître cette loi divine, prenez chaque jour le temps de lire et de méditer la Parole de Dieu. Comme pour les saints, elle sera la lumière de vos pas et la joie de votre cœur ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking visitors, especially those from the London Oratory School, from Holy Rosary Parish in Billingham-on-Tees, and from Saint Philip’s School, London. Jesus teaches us that those who love the Lord with all their heart, soul, mind and strength are not far from the Kingdom. Let us love the Lord in this way, and our neighbour as ourselves. May God bless all of you!

Gerne heiße ich alle deutschsprachigen Gäste willkommen. Im heutigen Sonntagsevangelium spricht Jesus über die Beziehung des Menschen zu Gott. Der Mensch soll sich auf das Licht der göttlichen Liebe ausrichten. Es geht darum, sich im Dunkel der Sünde und der Trübsal, das uns umgibt undimmer wieder einholen will,Licht zu finden und heraus zu kommen aus diesem Dunkel. Im Licht seiner Liebe wird uns deutlich, daß wir Gottes Abbild sind, und wir lernen, dass auch wir in den Mitmenschen dieses Bild erkennen und so ihn liebenkönnen. Das ist das Kennzeichen für das Reich Gottes in der Welt, in das der Herr uns alle ruft. Er helfe uns, Zeugen für ihn und seine Liebe zu sein, die alle menschlichen Beziehungen unddamit die Welt im Ganzen umwandelt. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los profesores y alumnos del Instituto Bioclimático, de Badajoz. Con el mandamiento del amor que se proclama hoy en el evangelio, Jesús nos indica cuál ha de ser nuestra actitud ante su Palabra: escucharla, meditarla y guardarla en el corazón, haciendo de nuestra vida un testimonio gozoso y continuo de caridad. Que la Virgen María, Madre del Amor hermoso, sea para todos modelo de constancia y fidelidad en el bien obrar. Feliz domingo.

Lepo pozdravljam člane Frančiškovega svetnega reda iz Slovenije! Po sledeh sv. Frančiška ste prišli v Rim. Naj vam bo to romanje spodbuda, da boste vedno in povsod veseli glasniki Božje ljubezni. V tem letu vere naj vas spremlja moj blagoslov!

[Rivolgo un cordiale saluto ai membri del Terz’Ordine Francescano provenienti dalla Slovenia! Siete venuti a Roma sulle orme di S. Francesco. Il vostro pellegrinaggio vi sia d’incoraggiamento affinché siate sempre ed ovunque testimoni gioiosi dell’amore di Dio. In questo Anno della Fede vi accompagni la mia benedizione!]

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dzisiejsza Ewangelia przypomina nam przykazanie miłości Boga nade wszystko i bliźniego przynajmniej na miarę miłości samego siebie. Nie jest to nakaz, ale zaproszenie do życia w blasku odwiecznej miłości Boga, która daje radość i pokój w doczesności i pewną nadzieję na szczęśliwą wieczność. Niech ta miłość stale gości w naszych sercach. Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Il Vangelo di oggi ci ricorda il comandamento dell’amore di Dio sopra ogni cosa e del prossimo almeno nella misura dell’amore di se stesso. Questa non è un’imposizione, ma un invito a vivere nella luce dell’eterno amore di Dio, che dà la gioia e la pace nella realtà temporale e la sicura speranza della felice eternità. Quest’amore dimori sempre nei nostri cuori. Dio vi benedica!]

Infine, rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai gruppi parrocchiali di Castellammare di Stabia e di Striano, ai giovani dell’Opera La Pira, agli scout di Milano e ai ragazzi dell’Oratorio di Petosino (diocesi di Bergamo). A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per l’attenzione. Buona domenica.

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L’UDIENZA GENERALE, 07.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il nuovo ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sul desiderio di Dio.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Al termine dell’Udienza, il Papa ha rivolto un appello per la tragica situazione di violenza in Siria e ha comunicato la sua decisione di affidare una missione speciale al Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, Em.mo Card. Robert Sarah (l’appello del Santo Padre è pubblicato sul Boll. N. 635). L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. Il desiderio di Dio

Cari fratelli e sorelle,


il cammino di riflessione che stiamo facendo insieme in quest’Anno della fede ci conduce a meditare oggi su un aspetto affascinante dell’esperienza umana e cristiana: l’uomo porta in sé un misterioso desiderio di Dio. In modo molto significativo, il Catechismo della Chiesa Cattolica si apre proprio con la seguente considerazione: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa» (n. 27).
Una tale affermazione, che anche oggi in molti contesti culturali appare del tutto condivisibile, quasi ovvia, potrebbe invece sembrare una provocazione nell’ambito della cultura occidentale secolarizzata. Molti nostri contemporanei potrebbero infatti obiettare di non avvertire per nulla un tale desiderio di Dio. Per larghi settori della società Egli non è più l’atteso, il desiderato, quanto piuttosto una realtà che lascia indifferenti, davanti alla quale non si deve nemmeno fare lo sforzo di pronunciarsi. In realtà, quello che abbiamo definito come «desiderio di Dio» non è del tutto scomparso e si affaccia ancora oggi, in molti modi, al cuore dell’uomo. Il desiderio umano tende sempre a determinati beni concreti, spesso tutt’altro che spirituali, e tuttavia si trova di fronte all’interrogativo su che cosa sia davvero «il» bene, e quindi a confrontarsi con qualcosa che è altro da sé, che l’uomo non può costruire, ma è chiamato a riconoscere. Che cosa può davvero saziare il desiderio dell’uomo?
Nella mia prima Enciclica, Deus caritas est, ho cercato di analizzare come tale dinamismo si realizzi nell’esperienza dell’amore umano, esperienza che nella nostra epoca è più facilmente percepita come momento di estasi, di uscita da sé, come luogo in cui l’uomo avverte di essere attraversato da un desiderio che lo supera.
Attraverso l’amore, l’uomo e la donna sperimentano in modo nuovo, l’uno grazie all’altro, la grandezza e la bellezza della vita e del reale. Se ciò che sperimento non è una semplice illusione, se davvero voglio il bene dell’altro come via anche al mio bene, allora devo essere disposto a de-centrarmi, a mettermi al suo servizio, fino alla rinuncia a me stesso. La risposta alla questione sul senso dell’esperienza dell’amore passa quindi attraverso la purificazione e la guarigione del volere, richiesta dal bene stesso che si vuole all’altro. Ci si deve esercitare, allenare, anche correggere, perché quel bene possa veramente essere voluto.
L’estasi iniziale si traduce così in pellegrinaggio, «esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (Enc. Deus caritas est, 6). Attraverso tale cammino potrà progressivamente approfondirsi per l’uomo la conoscenza di quell’amore che aveva inizialmente sperimentato. E andrà sempre più profilandosi anche il mistero che esso rappresenta: nemmeno la persona amata, infatti, è in grado di saziare il desiderio che alberga nel cuore umano, anzi, tanto più autentico è l’amore per l’altro, tanto maggiormente esso lascia dischiudere l’interrogativo sulla sua origine e sul suo destino, sulla possibilità che esso ha di durare per sempre. Dunque, l’esperienza umana dell’amore ha in sé un dinamismo che rimanda oltre se stessi, è esperienza di un bene che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza.
Considerazioni analoghe si potrebbero fare anche a proposito di altre esperienze umane, quali l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza: ogni bene sperimentato dall’uomo protende verso il mistero che avvolge l’uomo stesso; ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. Indubbiamente da tale desiderio profondo, che nasconde anche qualcosa di enigmatico, non si può arrivare direttamente alla fede.
L’uomo, in definitiva, conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare o definire ciò che gli farebbe sperimentare quella felicità di cui porta nel cuore la nostalgia. Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo. Da questo punto di vista rimane il mistero: l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti. E tuttavia, già l’esperienza del desiderio, del «cuore inquieto» come lo chiamava sant’Agostino, è assai significativa. Essa ci attesta che l’uomo è, nel profondo, un essere religioso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 28), un «mendicante di Dio». Possiamo dire con le parole di Pascal: «L’uomo supera infinitamente l’uomo» (Pensieri, ed. Chevalier 438; ed. Brunschvicg 434). Gli occhi riconoscono gli oggetti quando questi sono illuminati dalla luce. Da qui il desiderio di conoscere la luce stessa, che fa brillare le cose del mondo e con esse accende il senso della bellezza.
Dobbiamo pertanto ritenere che sia possibile anche nella nostra epoca, apparentemente tanto refrattaria alla dimensione trascendente, aprire un cammino verso l’autentico senso religioso della vita, che mostra come il dono della fede non sia assurdo, non sia irrazionale. Sarebbe di grande utilità, a tal fine, promuovere una sorta di pedagogia del desiderio, sia per il cammino di chi ancora non crede, sia per chi ha già ricevuto il dono della fede. Una pedagogia che comprende almeno due aspetti. In primo luogo, imparare o re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita.
Non tutte le soddisfazioni producono in noi lo stesso effetto: alcune lasciano una traccia positiva, sono capaci di pacificare l’animo, ci rendono più attivi e generosi. Altre invece, dopo la luce iniziale, sembrano deludere le attese che avevano suscitato e talora lasciano dietro di sé amarezza, insoddisfazione o un senso di vuoto. Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza – la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura –, tutto ciò significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi. Anche gli adulti hanno bisogno di riscoprire queste gioie, di desiderare realtà autentiche, purificandosi dalla mediocrità nella quale possono trovarsi invischiati. Diventerà allora più facile lasciar cadere o respingere tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà. E ciò farà emergere quel desiderio di Dio di cui stiamo parlando.
Un secondo aspetto, che va di pari passo con il precedente, è il non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto. Proprio le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti – volere un bene più alto, più profondo – e insieme a percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore. Impareremo così a tendere, disarmati, verso quel bene che non possiamo costruire o procurarci con le nostre forze; a non lasciarci scoraggiare dalla fatica o dagli ostacoli che vengono dal nostro peccato.
A questo proposito, non dobbiamo però dimenticare che il dinamismo del desiderio è sempre aperto alla redenzione. Anche quando esso si inoltra su cammini sviati, quando insegue paradisi artificiali e sembra perdere la capacità di anelare al vero bene. Anche nell’abisso del peccato non si spegne nell’uomo quella scintilla che gli permette di riconoscere il vero bene, di assaporarlo, e di avviare così un percorso di risalita, al quale Dio, con il dono della sua grazia, non fa mai mancare il suo aiuto. Tutti, del resto, abbiamo bisogno di percorrere un cammino di purificazione e guarigione del desiderio. Siamo pellegrini verso la patria celeste, verso quel bene pieno, eterno, che nulla ci potrà più strappare.
Non si tratta, dunque, di soffocare il desiderio che è nel cuore dell’uomo, ma di liberarlo, affinché possa raggiungere la sua vera altezza. Quando nel desiderio si apre la finestra verso Dio, questo è già segno della presenza della fede nell’animo, fede che è una grazia di Dio. Sempre sant’Agostino affermava: «Con l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace» (Commento alla Prima lettera di Giovanni, 4,6: PL 35, 2009).
In questo pellegrinaggio, sentiamoci fratelli di tutti gli uomini, compagni di viaggio anche di coloro che non credono, di chi è in ricerca, di chi si lascia interrogare con sincerità dal dinamismo del proprio desiderio di verità e di bene. Preghiamo, in questo Anno della fede, perché Dio mostri il suo volto a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero.

APPELLO

Continuo a seguire con particolare apprensione la tragica situazione di violenza in Siria, dove non cessa il rumore delle armi e aumenta ogni giorno il numero delle vittime e l’immane sofferenza della popolazione, in particolare di quanti hanno dovuto lasciare le loro case. Per manifestare la mia solidarietà e quella di tutta la Chiesa alla popolazione in Siria e la vicinanza spirituale alle comunità cristiane del Paese, era mio desiderio inviare una Delegazione di Padri Sinodali a Damasco. Purtroppo, diverse circostanze e sviluppi non hanno reso possibile l’iniziativa nelle modalità auspicate, e perciò ho deciso di affidare una missione speciale all’Em.mo Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Da oggi fino al 10 novembre corrente egli si trova in Libano, dove incontrerà Pastori e Fedeli delle Chiese che sono presenti in Siria; visiterà alcuni rifugiati provenienti da tale Paese e presiederà una riunione di coordinamento delle istituzioni caritative cattoliche, alle quali la Santa Sede ha chiesto un particolare impegno in favore della popolazione siriana, sia dentro che fuori del Paese. Mentre elevo la mia preghiera a Dio, rinnovo l’invito alle parti in conflitto e a quanti hanno a cuore il bene della Siria a non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca della pace e a perseguire, attraverso il dialogo, le strade che portano ad una giusta convivenza, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto. Dobbiamo fare tutto il possibile, perché un giorno potrebbe essere troppo tardi.

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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE, 08.11.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, che si è svolta nei giorni scorsi (5-7 novembre) presso la Casina Pio IV in Vaticano, sul tema: Complexity and Analogy in Science: Theoretical, Methodological and Epistemological Aspects.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Eccellenze,
Distinti Signori e Signore,

Saluto i membri della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di questa Assemblea Plenaria, ed esprimo la mia gratitudine al vostro presidente, professor Werner Arber, per le cordiali parole di saluto a nome vostro. Sono anche lieto di salutare il Vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, vostro Cancelliere, e lo ringrazio per l'importante lavoro che svolge per voi.
La presente sessione plenaria su «Complexity and Analogy in Science: Theoretical, Methodological and Epistemological Aspects» (Complessità e analogia nella scienza: aspetti teoretici, metodologici ed epistemologici), tocca un argomento importante che dischiude una serie di prospettive che puntano verso una nuova visione dell'unità delle scienze. Di fatto, le importanti scoperte e i progressi degli ultimi anni c'invitano a esaminare la grande analogia tra fisica e biologia che si manifesta chiaramente ogni qualvolta otteniamo una comprensione più profonda dell'ordine naturale. Se è vero che alcune delle nuove nozioni ottenute in questo modo ci possono permettere di trarre anche conclusioni sui processi del passato, questa estrapolazione mette altresì in rilievo la grande unità della natura nella complessa struttura dell'universo e il mistero del posto che l'uomo occupa in esso.
La complessità e la grandezza della scienza contemporanea in tutto ciò che consente all'uomo di sapere sulla natura ha ripercussioni dirette sugli esseri umani. Solo l'uomo può ampliare costantemente la propria conoscenza della verità e ordinarla saggiamente per il bene proprio e del suo ambiente.
Nei vostri dibattiti avete cercato di esaminare, da un lato, la dialettica in corso sulla costante espansione della ricerca scientifica, dei metodi e delle specializzazioni e, dall'altro, la ricerca di una visione comprensiva di questo universo in cui gli esseri umani, dotati di intelligenza e di libertà, sono chiamati a capire, amare, vivere e lavorare. Attualmente, la disponibilità di potenti strumenti di ricerca e il potenziale per compiere esperimenti altamente complessi e precisi hanno permesso alle scienze naturali di avvicinarsi alle fondamenta stesse della realtà materiale in quanto tale, pur senza riuscire a capire del tutto la sua struttura unificante e la sua unità ultima. L'infinita successione e la paziente integrazione di diverse teorie, dove i risultati ottenuti servono a loro volta come presupposto per nuove ricerche, attestano sia l'unità del processo scientifico, sia l'impeto costante degli scienziati verso una comprensione più appropriata della verità della natura e una visione più inclusiva della stessa. Possiamo pensare qui, per esempio, agli sforzi della scienza e della tecnologia per ridurre le diverse forme di energia a una forza elementare fondamentale, che ora sembra essere meglio espressa nell'emergente approccio della complessità come base per modelli esplicativi. Se questa forza fondamentale non sembra più essere tanto semplice, ciò sfida i ricercatori a elaborare una formulazione più ampia, capace di abbracciare sia i sistemi più semplici, sia quelli più complessi.
Questo approccio interdisciplinare alla complessità mostra anche che le scienze non sono mondi intellettuali separati l'uno dall'altro e dalla realtà, ma piuttosto che sono collegati tra loro e volti allo studio della natura quale realtà unificata, intelligibile e armoniosa nella sua indubbia complessità. Questa visione contiene punti di contatto fecondi con la visione dell'universo adottata dalla filosofia e dalla teologia cristiane, con la nozione di essere partecipato, in cui ogni singola creatura, dotata della propria perfezione, partecipa anche a una natura specifica, e ciò all'interno di un universo ordinato che ha origine nella Parola creatrice di Dio. È proprio questa intrinseca organizzazione «logica» e «analogica» della natura a incoraggiare la ricerca scientifica e a portare la mente umana a scoprire la compartecipazione orizzontale tra esseri e la partecipazione trascendente da parte del Primo Essere.
L'universo non è caos o risultato del caos, ma anzi appare sempre più chiaramente come complessità ordinata che ci permette di salire, attraverso l'analisi comparativa e l'analogia, dalla specializzazione verso un punto di vista più universalizzante e viceversa.
Mentre i primi istanti del cosmo e della vita eludono ancora l'osservazione scientifica, la scienza si ritrova però a riflettere su una vasta serie di processi che rivela un ordine di costanti e corrispondenze evidenti e serve da componente essenziale della creazione permanente.
È in questo contesto più ampio che vorrei osservare quanto si sia dimostrato fecondo l'uso dell'analogia nella filosofia e nella teologia, non soltanto come strumento di analisi orizzontale delle realtà della natura, ma anche come stimolo alla riflessione creativa su un piano trascendente più elevato. Proprio grazie alla nozione della creazione il pensiero cristiano ha utilizzato l'analogia non solo per investigare le realtà terrene, ma anche come mezzo per salire dall'ordine creato alla contemplazione del suo Creatore, con la dovuta considerazione per il principio secondo cui la trascendenza di Dio implica che ogni similarità con le sue creature necessariamente comporti una più grande dissimilarità: mentre la struttura della creatura è quella di essere un essere per partecipazione, quella di Dio è di essere un essere per essenza, o Esse subsistens. Nella grande impresa umana di cercare di dischiudere i misteri dell'uomo e dell'universo, sono convinto del bisogno urgente di dialogo costante e di cooperazione tra i mondi della scienza e della fede per edificare una cultura di rispetto per l'uomo, per la dignità e la libertà umana, per il futuro della nostra famiglia umana e per lo sviluppo sostenibile a lungo termine del nostro pianeta. Senza questa necessaria interazione, le grandi questioni dell'umanità lasciano l'ambito della ragione e della verità e sono abbandonate all'irrazionale, al mito o all'indifferenza, a grande detrimento dell'umanità stessa, della pace nel mondo e del nostro destino ultimo.
Cari amici, nel concludere queste riflessioni, vorrei attirare la vostra attenzione sull'Anno della fede che la Chiesa sta celebrando per commemorare il cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Ringraziandovi per il contributo specifico dell'Accademia al rafforzamento del rapporto tra ragione e fede, vi assicuro del mio profondo interesse per le vostre attività e delle mie preghiere per voi e per le vostre famiglie. Su tutti voi invoco le benedizioni di Dio Onnipotente della saggezza, della gioia e della pace.

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(Traduzione Osservatore Romano)


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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’81ma ASSEMBLEA GENERALE DELL’INTERPOL , 09.11.2012

Alle ore 11.40 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’81ma Assemblea Generale dell’INTERPOL e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Distinte Autorità,
Illustri Signori e Signore,

sono lieto di accogliervi a conclusione dell’Assemblea generale dell’Interpol, che ha riunito a Roma i rappresentanti degli organismi di polizia e di sicurezza ed esponenti della politica e delle Istituzioni dei 190 Stati membri, fra i quali, dall’anno 2008, vi è anche lo Stato della Città del Vaticano. Vi saluto tutti cordialmente e attraverso di voi desidero inviare il mio deferente saluto alle Personalità istituzionali dei vostri Paesi e a tutti i vostri concittadini, per la cui sicurezza voi operate con professionalità e spirito di servizio. In particolare, saluto i Ministri - il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana, che ci ha rivolto alcune parole - e i membri dei Governi che hanno voluto essere presenti, il Presidente dell’Interpol e il Segretario Generale, che ringrazio per il saluto che ci ha indirizzato.
In queste giornate di studio e di confronto avete focalizzato la vostra attenzione sullo sviluppo della cooperazione internazionale nella lotta contro la criminalità. In effetti, è importante incrementare la collaborazione e lo scambio di esperienze proprio nel momento in cui, a livello globale, assistiamo ad un’estensione delle fonti di violenza provocate da fenomeni transnazionali che frenano il progresso dell’umanità. Tra di essi, l’evoluzione della violenza criminale costituisce un aspetto particolarmente preoccupante per il futuro del mondo. Non meno importante è il fatto che questo sforzo di riflessione associa i responsabili politici della sicurezza e della giustizia, gli organismi giudiziari e le forze dell’ordine, in modo che ognuno, per quanto di propria competenza, possa compiere un efficace lavoro favorito da uno scambio costruttivo. Infatti, le istanze politiche, sulla base dell’opera delle forze dell’ordine, possono identificare più agevolmente le principali evoluzioni emergenti in riferimento ai rischi per la società, e, di conseguenza, sono messe nella condizione di poter dare adeguati orientamenti legislativi e operativi nell’ambito del contrasto alla criminalità.
Nella nostra epoca la famiglia umana soffre a causa di numerose violazioni del diritto e della legalità, che in non pochi casi sfociano in episodi di violenza e fatti criminosi. Pertanto, è necessario tutelare i singoli e le comunità con un costante e rinnovato impegno e attraverso adeguati strumenti. Al riguardo, la funzione dell’Interpol, che possiamo definire un presidio di sicurezza internazionale, riveste notevole importanza in vista della realizzazione del bene comune, perché la società giusta esige anche l’ordine e il rispetto delle norme per una pacifica e serena convivenza civile. So che alcuni di voi compiono il loro dovere in condizioni talvolta di estremo pericolo e rischiano la loro vita per proteggere quella degli altri e permettere la costruzione di questa convivenza serena.
Siamo consapevoli che la violenza oggi si manifesta sotto nuove forme. Alla fine della cosiddetta guerra fredda tra i due blocchi occidentale e orientale, sono nate grandi speranze, specialmente dove una forma di violenza politica istituzionalizzata è stata fermata da movimenti pacifici che rivendicavano la libertà dei popoli. Tuttavia, sebbene alcune forme di violenza sembrino diminuire, specialmente il numero di conflitti militari, ce ne sono altre che si sviluppano, come la violenza criminale, responsabile ogni anno della maggioranza dei decessi di morte violenta nel mondo. Oggi, questo fenomeno è così pericoloso che costituisce un grave fattore di destabilizzazione delle società e, talvolta, mette a dura prova la stessa supremazia dello Stato.
La Chiesa e la Santa Sede incoraggiano quanti si adoperano per combattere la piaga della violenza e del crimine, in questa nostra realtà che assomiglia sempre più ad un «villaggio globale». Le forme più gravi delle attività criminali possono essere individuate nel terrorismo e nella criminalità organizzata. Il terrorismo, una delle forme più brutali della violenza, semina odio, morte, desiderio di vendetta.
Questo fenomeno, da strategia sovversiva tipica di alcune organizzazioni estremistiche finalizzata alla distruzione delle cose e all’uccisione delle persone, si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizzando anche sofisticati mezzi tecnici, ingenti risorse finanziarie ed elaborando progetti su vasta scala (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 513). Dal canto suo, la criminalità organizzata prolifera nei luoghi della vita quotidiana e spesso agisce e colpisce al buio, al di fuori di ogni regola; realizza i suoi affari attraverso numerose attività illecite e immorali come la tratta delle persone – una forma moderna di schiavitù –, i traffici di beni o di sostanze, quali la droga, le armi, le merci contraffatte, giungendo anche al traffico di farmaci, utilizzati in gran parte dai poveri, che uccidono invece di curare. Questo commercio illecito diventa ancora più esecrabile quando riguarda gli organi umani di vittime innocenti: esse subiscono drammi e oltraggi che speravamo essere finiti per sempre dopo le tragedie del XX secolo ma che, purtroppo, ricompaiono attraverso le violenze generate dalle attività criminali di persone e organizzazioni senza scrupoli. Questi delitti infrangono le barriere morali progressivamente erette dalla civiltà e ripropongono una forma di barbarie che nega l’uomo e la sua dignità.
Cari amici, l’odierno incontro con voi, operatori della polizia internazionale, mi offre l’opportunità di ribadire ancora una volta che la violenza, nelle sue diverse forme terroristiche e criminali, è sempre inaccettabile, perché ferisce profondamente la dignità umana e costituisce un’offesa all’intera umanità. È doveroso quindi reprimere il crimine, nell’ambito di regole morali e giuridiche, poiché l’azione contro la criminalità va sempre condotta nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi di uno Stato di diritto. Infatti la lotta alla violenza deve mirare certamente ad arginare il crimine e a difendere la società, ma anche al ravvedimento e alla correzione del criminale, che rimane sempre persona umana, soggetto di diritti inalienabili e come tale non va escluso dalla società, ma recuperato. Al tempo stesso, la collaborazione internazionale contro la criminalità non può esaurirsi soltanto in operazioni di polizia. È essenziale che la pur necessaria opera repressiva sia accompagnata da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti a tali inaccettabili azioni criminose; occorre prestare speciale attenzione ai fattori di esclusione sociale e di indigenza che persistono nella popolazione e che costituiscono un veicolo di violenza e di odio. È necessario anche un particolare impegno sul piano politico e pedagogico per risolvere i problemi che possono alimentare la violenza e per favorire le condizioni affinché essa non nasca e non si sviluppi.
Pertanto, la risposta alla violenza e al crimine non può essere delegata alle sole forze dell’ordine, ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti che possono incidere su questo fenomeno. Sconfiggere la violenza è un impegno che deve coinvolgere non solo le istituzioni e gli organismi preposti, ma la società nel suo complesso: le famiglie, le agenzie educative tra cui la scuola e le realtà religiose, i mezzi di comunicazione sociale e tutti i singoli cittadini. Ciascuno ha la sua specifica parte di responsabilità per un futuro di giustizia e di pace.
Rinnovo ai dirigenti e all’intera Interpol l’espressione della mia gratitudine per la sua azione, non sempre facile e non sempre compresa da tutti nella sua giusta finalità. Non può mancare il mio pensiero riconoscente per l’apprezzata collaborazione che l’Interpol offre alla Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, specialmente in occasione dei miei Viaggi internazionali. Dio onnipotente e misericordioso vi illumini nell’esercizio delle vostre responsabilità, vi sostenga nel servizio alla collettività, protegga voi, i vostri collaboratori e le vostre famiglie. Vi ringrazio per la vostra presenza; il Signore vi benedica.

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LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO "LATINA LINGUA" CON LA QUALE VIENE ISTITUITA LA PONTIFICIA ACADEMIA LATINITATIS , 10.11.2012

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO "LATINA LINGUA" con la quale viene istituita la Pontificia Accademia di Latinità

1. La lingua latina è sempre stata tenuta in altissima considerazione dalla Chiesa Cattolica e dai Romani Pontefici, i quali ne hanno assiduamente promosso la conoscenza e la diffusione, avendone fatto la propria lingua, capace di trasmettere universalmente il messaggio del Vangelo, come già autorevolmente affermato dalla Costituzione Apostolica Veterum sapientia del mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII.
In realtà, sin dalla Pentecoste la Chiesa ha parlato e ha pregato in tutte le lingue degli uomini. Tuttavia, le Comunità cristiane dei primi secoli usarono ampiamente il greco ed il latino, lingue di comunicazione universale del mondo in cui vivevano, grazie alle quali la novità della Parola di Cristo incontrava l’eredità della cultura ellenistico-romana.
Dopo la scomparsa dell’Impero romano d’Occidente, la Chiesa di Roma non solo continuò ad avvalersi della lingua latina, ma se ne fece in certo modo custode e promotrice, sia in ambito teologico e liturgico, sia in quello della formazione e della trasmissione del sapere.

2. Anche ai nostri tempi, la conoscenza della lingua e della cultura latina risulta quanto mai necessaria per lo studio delle fonti a cui attingono, tra le altre, numerose discipline ecclesiastiche quali, ad esempio, la Teologia, la Liturgia, la Patristica ed il Diritto Canonico, come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr Decr. Optatam totius, 13).
Inoltre, in tale lingua sono redatti, nella loro forma tipica, proprio per evidenziare l’indole universale della Chiesa, i libri liturgici del Rito romano, i più importanti Documenti del Magistero pontificio e gli Atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici.

3. Nella cultura contemporanea si nota tuttavia, nel contesto di un generalizzato affievolimento degli studi umanistici, il pericolo di una conoscenza sempre più superficiale della lingua latina, riscontrabile anche nell’ambito degli studi filosofici e teologici dei futuri sacerdoti. D’altro canto, proprio nel nostro mondo, nel quale tanta parte hanno la scienza e la tecnologia, si riscontra un rinnovato interesse per la cultura e la lingua latina, non solo in quei Continenti che hanno le proprie radici culturali nell’eredità greco-romana. Tale attenzione appare tanto più significativa in quanto non coinvolge solo ambienti accademici ed istituzionali, ma riguarda anche giovani e studiosi provenienti da Nazioni e tradizioni assai diverse.

4. Appare perciò urgente sostenere l’impegno per una maggiore conoscenza e un più competente uso della lingua latina, tanto nell’ambito ecclesiale, quanto nel più vasto mondo della cultura. Per dare rilievo e risonanza a tale sforzo, risultano quanto mai opportune l’adozione di metodi didattici adeguati alle nuove condizioni e la promozione di una rete di rapporti fra Istituzioni accademiche e fra studiosi, al fine di valorizzare il ricco e multiforme patrimonio della civiltà latina.
Per contribuire a raggiungere tali scopi, seguendo le orme dei miei venerati Predecessori, con il presente Motu Proprio oggi istituisco la Pontificia Accademia di Latinità, dipendente dal Pontificio Consiglio della Cultura. Essa è retta da un Presidente, coadiuvato da un Segretario, da me nominati, e da un Consiglio Accademico.
La Fondazione Latinitas, costituita dal Papa Paolo VI, con il Chirografo Romani Sermonis, del 30 giugno 1976, è estinta.
La presente Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, con la quale approvo ad experimentum, per un quinquennio, l’unito Statuto, ordino che sia pubblicata su L’Osservatore Romano.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 10 novembre 2012, memoria di San Leone Magno, anno ottavo di Pontificato.

BENEDICTUS PP XVI

* * *

Statuto della Pontificia Accademia di Latinità

Articolo 1
È istituita la Pontificia Accademia di Latinità, con sede nello Stato della Città del Vaticano, per la promozione e la valorizzazione della lingua e della cultura latina. L’Accademia è collegata con il Pontificio Consiglio della Cultura, dal quale dipende.

Articolo 2
§ 1. Scopi dell’Accademia sono:
a) favorire la conoscenza e lo studio della lingua e della letteratura latina, sia classica sia patristica, medievale ed umanistica, in particolare presso le Istituzioni formative cattoliche, nelle quali sia i seminaristi che i sacerdoti sono formati ed istruiti;
b) promuovere nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata.

§ 2. Per raggiungere detti fini l’Accademia si propone di:
a) curare pubblicazioni, incontri, convegni di studio e rappresentazioni artistiche;
b) dare vita e sostenere corsi, seminari ed altre iniziative formative anche in collegamento con il Pontificio Istituto Superiore di Latinità;
c) educare le giovani generazioni alla conoscenza del latino, anche mediante i moderni mezzi di comunicazione;
d) organizzare attività espositive, mostre e concorsi;
e) sviluppare altre attività ed iniziative necessarie al raggiungimento dei fini istituzionali.

Articolo 3
La Pontificia Accademia di Latinità si compone del Presidente, del Segretario, del Consiglio Accademico e dei Membri, detti anche Accademici.

Articolo 4
§ 1. Il Presidente dell’Accademia è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Il Presidente può essere rinnovato per un secondo quinquennio.

§ 2. Spetta al Presidente:
a) rappresentare legalmente l’Accademia, anche di fronte a qualsiasi autorità giudiziaria ed amministrativa, tanto canonica quanto civile;
b) convocare e presiedere il Consiglio Accademico e l’Assemblea dei Membri;
c) partecipare, in qualità di Membro, alle riunioni del Consiglio di Coordinamento delle Accademie pontificie e mantenere i rapporti con il Pontificio Consiglio della Cultura;
d) sovrintendere all’attività dell’Accademia;
e) provvedere in materia di ordinaria amministrazione, con la collaborazione del Segretario, e in materia di straordinaria amministrazione, in accordo con il Consiglio Accademico e con il Pontificio Consiglio della Cultura.

Articolo 5
§ 1. Il Segretario è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Può essere rinnovato per un secondo quinquennio.

§ 2. Il Presidente, in caso di assenza o impedimento, delega il Segretario a sostituirlo.

Articolo 6
§ 1. Il Consiglio Accademico è composto dal Presidente, dal Segretario e da cinque Consiglieri. I Consiglieri sono eletti dall’Assemblea degli Accademici, per un quinquennio, e possono essere rinnovati.

§ 2. Il Consiglio Accademico, che è presieduto dal Presidente dell’Accademia, delibera circa le questioni di maggiore importanza che riguardano l’Accademia. Esso approva l’ordine del giorno in vista dell’Assemblea dei Membri, da tenersi almeno una volta l’anno. Il Consiglio è convocato dal Presidente almeno una volta l’anno e, inoltre, ogni volta che lo richiedano almeno tre Consiglieri.

Articolo 7
Il Presidente, con il parere favorevole del Consiglio, può nominare un Archivista, con funzioni di bibliotecario, ed un Tesoriere.

Articolo 8
§ 1. L’Accademia consta di Membri Ordinari, in numero non superiore a cinquanta, detti Accademici, studiosi e cultori della lingua e della letteratura latina. Essi sono nominati dal Segretario di Stato. Raggiunto l’ottantesimo anno di età, i Membri Ordinari diventano Emeriti.

§ 2. Gli Accademici Ordinari partecipano all’Assemblea dell’Accademia convocata dal Presidente. Gli Accademici Emeriti possono partecipare all’Assemblea, senza diritto di voto.

§ 3. Oltre agli Accademici Ordinari, il Presidente dell’Accademia, sentito il Consiglio, può nominare altri Membri, detti corrispondenti.

Articolo 9
Il patrimonio della estinta Fondazione Latinitas e le sue attività, inclusa la redazione e pubblicazione della Rivista Latinitas, sono trasferite alla Pontificia Accademia di Latinità.

Articolo 10
Per quanto non previsto espressamente si fa riferimento alle norme del vigente Codice di Diritto Canonico ed alle leggi dello Stato della Città del Vaticano.

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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA, 10.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Italiana Santa Cecilia e ha loro rivolto il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi accolgo, in occasione del pellegrinaggio organizzato dall’Associazione Italiana Santa Cecilia, alla quale va anzitutto il mio plauso, con il saluto cordiale al Presidente, che ringrazio per le cortesi parole, e a tutti i collaboratori.
Con affetto saluto voi, appartenenti a numerose Scholae Cantorum di ogni parte d’Italia! Sono molto lieto di incontrarvi, e anche di sapere - come è stato ricordato - che domani parteciperete nella Basilica di San Pietro alla celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Arciprete Angelo Comastri, offrendo naturalmente il servizio della lode con il canto.
Questo vostro convegno si colloca intenzionalmente nella ricorrenza del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
E con piacere ho visto che l’Associazione Santa Cecilia ha inteso così riproporre alla vostra attenzione l’insegnamento della Costituzione conciliare sulla liturgia, in particolare là dove – nel capitolo sesto – tratta della musica sacra. In tale ricorrenza, come sapete bene, ho voluto per tutta la Chiesa uno speciale Anno della fede, al fine di promuovere l’approfondimento della fede in tutti i battezzati e il comune impegno per la nuova evangelizzazione. Perciò, incontrandovi, vorrei sottolineare brevemente come la musica sacra può, anzitutto, favorire la fede e, inoltre, cooperare alla nuova evangelizzazione.
Circa la fede, viene spontaneo pensare alla vicenda personale di Sant’Agostino - uno dei grandi Padri della Chiesa, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo - alla cui conversione contribuì certamente e in modo rilevante l’ascolto del canto dei salmi e degli inni, nelle liturgie presiedute da Sant’Ambrogio. Se infatti sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore – non c’è dubbio che la musica e soprattutto il canto può conferire alla recita dei salmi e dei cantici biblici maggiore forza comunicativa. Tra i carismi di Sant’Ambrogio vi era proprio quello di una spiccata sensibilità e capacità musicale, ed egli, una volta ordinato Vescovo di Milano, mise questo dono al servizio della fede e dell’evangelizzazione. La testimonianza di Agostino al riguardo è molto significativa. Nel decimo libro delle Confessioni egli scrive: «Quando mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica» (33, 50). L’esperienza degli inni ambrosiani fu talmente forte, che Agostino li portò impressi nella memoria e li citò spesso nelle sue opere; anzi, scrisse un’opera proprio sulla musica, il De Musica.
Egli afferma di non approvare, durante le liturgie cantate, la ricerca del mero piacere sensibile, ma riconosce che la musica e il canto ben fatti possono aiutare ad accogliere la Parola di Dio e a provare una salutare commozione.
Questa testimonianza di Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il fatto che la Costituzione Sacrosanctum Concilium, in linea con la tradizione della Chiesa, insegni che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» (n. 112). Perché «necessaria ed integrante»? Non certo per motivi estetici, ma perché coopera a nutrire ed esprimere la fede, e quindi alla gloria di Dio e alla santificazione dei fedeli, che sono il fine della musica sacra (cfr ibid.). Proprio per questo vorrei ringraziarvi per il prezioso servizio che prestate: la musica che eseguite non è un accessorio o un abbellimento della liturgia, ma è essa stessa liturgia. Voi aiutate l’intera Assemblea a lodare Dio, a far scendere nel profondo del cuore la sua Parola: con il canto voi pregate e fate pregare, e partecipate al canto e alla preghiera della liturgia che abbraccia l’intera creazione nel glorificare il Creatore.
Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra può avere e di fatto ha un compito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede. Pensiamo alla celebre esperienza di Paul Claudel, che si convertì ascoltando il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi: «In quel momento – egli scrive – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla». Ma, senza scomodare personaggi illustri, pensiamo a quante persone sono state toccate nel profondo dell’animo ascoltando musica sacra; e ancora di più a quanti si sono sentiti nuovamente attirati verso Dio dalla bellezza della musica liturgica come Claudel. E qui, cari amici, voi avete un ruolo importante: impegnatevi a migliorare la qualità del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia ha due delle espressioni più alte, come afferma lo stesso Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium, 116).
E vorrei sottolineare che la partecipazione attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica liturgica. Voi, che avete il dono del canto, potete far cantare il cuore di tante persone nelle celebrazioni liturgiche.
Cari amici, auguro che in Italia la musica liturgica tenda sempre più in alto, per lodare degnamente il Signore e per mostrare come la Chiesa sia il luogo in cui la bellezza è di casa. Grazie ancora a tutti per questo incontro!

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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 11.11.2012

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

La Liturgia della Parola di questa domenica ci presenta come modelli di fede le figure di due vedove. Ce le presenta in parallelo: una nel Primo Libro dei Re (17,10-16), l’altra nel Vangelo di Marco (12,41-44). Entrambe queste donne sono molto povere, e proprio in tale loro condizione dimostrano una grande fede in Dio. La prima compare nel ciclo dei racconti sul profeta Elia. Costui, durante un tempo di carestia, riceve dal Signore l’ordine di recarsi nei pressi di Sidone, dunque fuori d’Israele, in territorio pagano. Là incontra questa vedova e le chiede dell’acqua da bere e un po’ di pane.
La donna replica che le resta solo un pugno di farina e un goccio d’olio, ma, poiché il profeta insiste e le promette che, se lo ascolterà, farina e olio non mancheranno, lo esaudisce e viene ricompensata. La seconda vedova, quella del Vangelo, viene notata da Gesù nel tempio di Gerusalemme, precisamente presso il tesoro, dove la gente metteva le offerte. Gesù vede che questa donna getta nel tesoro due monetine; allora chiama i discepoli e spiega che il suo obolo è maggiore di quello dei ricchi, perché, mentre questi danno del loro superfluo, la vedova ha offerto «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).
Da questi due episodi biblici, sapientemente accostati, si può ricavare un prezioso insegnamento sulla fede. Essa appare come l’atteggiamento interiore di chi fonda la propria vita su Dio, sulla sua Parola, e confida totalmente in Lui. Quella della vedova, nell’antichità, costituiva di per sé una condizione di grave bisogno. Per questo, nella Bibbia, le vedove e gli orfani sono persone di cui Dio si prende cura in modo speciale: hanno perso l’appoggio terreno, ma Dio rimane il loro Sposo, il loro Genitore. Tuttavia la Scrittura dice che la condizione oggettiva di bisogno, in questo caso il fatto di essere vedova, non è sufficiente: Dio chiede sempre la nostra libera adesione di fede, che si esprime nell’amore per Lui e per il prossimo. Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa. E infatti entrambe le nostre vedove di oggi dimostrano la loro fede compiendo un gesto di carità: l’una verso il profeta e l’altra facendo l’elemosina. Così attestano l’unità inscindibile tra fede e carità, come pure tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo – come ci ricordava il Vangelo di domenica scorsa. Il Papa San Leone Magno, di cui ieri abbiamo celebrato la memoria, così afferma: «Sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensì il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi. Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto» (Sermo de jejunio dec. mens., 90, 3).
La Vergine Maria è esempio perfetto di chi offre tutto se stesso confidando in Dio; con questa fede ella disse all’Angelo il suo «Eccomi» e accolse la volontà del Signore. Maria aiuti anche ciascuno di noi, in questo Anno della fede, a rafforzare la fiducia in Dio e nella sua Parola.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, a Spoleto, è stata proclamata Beata Maria Luisa Prosperi, vissuta nella prima metà del secolo XIX, monaca e abbadessa del monastero benedettino di Trevi. Insieme con tutta la Famiglia benedettina e la Comunità diocesana di Spoleto-Norcia, rendiamo lode al Signore per questa sua figlia, che ha voluto associare in modo singolare alla Passione di Cristo.

Si celebra oggi in Italia la «Giornata del Ringraziamento». Nel contesto dell’Anno della fede, il tema della Giornata – «Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra» (Sal 37,3) – richiama la necessità di uno stile di vita radicato nella fede, per riconoscere con animo grato la mano creatrice e provvidente di Dio che nutre i suoi figli. Un saluto e un augurio a tutti gli agricoltori!

Chers pèlerins francophones, Jésus nous invite à poser comme lui, un regard bon et juste sur les personnes et sur les événements. Souvent, nous nous laissons impressionner et conditionner par les apparences et les slogans qui dénaturent les choses. Cherchons à voir, au-delà de ce qui paraît, l’étincelle de bonté qui y est déposée, et qui pourra éclairer notre jugement. Alors notre relation avec Dieu et avec les autres sera plus vraie, et nos choix seront plus libres. L’humilité nous apprend que nous ne valons que ce que nous sommes devant Dieu ! Sur ce chemin que la Vierge Marie soit notre modèle ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present at this Angelus prayer. In today’s Gospel, the poor widow gives everything she possesses to the Temple. May her unconditional offering inspire us to rely on God alone, while attributing to everything else its due place and proper worth. Upon you and your families I invoke God’s abundant blessings!

Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im heutigen Sonntagsevangelium weist Jesus auf eine arme Witwe hin, die alles, was sie hat, für Gott hergibt. Der Herr lobt ihre Bereitschaft, sich ganz Gott anzuvertrauen. Sie weiß sich in Gott geborgen. Sie gibt Gott alles, weil sie alles von ihm erwarten darf. Der Herr selbst ist ihr Lebensunterhalt. Ihm geht es wirklich um den Menschen. Das ist die Gerechtigkeit Gottes, die so ganz anders ist als unser menschliches Berechnen. Bitten wir den Herrn, ihm mit Vertrauen stets auf dem Weg der Barmherzigkeit zu folgen. Euch und euern Familien wünsche ich trotz des schlechten Wetters einen schönen und gesegneten Sonntag.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española, en particular a los peregrinos de la Parroquia San José Obrero, de San Boi de Llobregat, y de la Asociación de Padres del Colegio El Prado, de Madrid. En la liturgia de este domingo, el gesto de dos viudas, la del Evangelio, al igual que la del Antiguo Testamento, nos lleva a reconocer el valor fundamental que tiene la entrega completa de la propia vida al Señor y al prójimo. Estas dos mujeres lo dan todo, se dan a sí mismas, y se ponen en las manos de Dios por el bien de los demás. Que estos elocuentes ejemplos de desprendimiento y confianza sin límites en la Providencia divina iluminen cada día nuestro seguimiento de Cristo. Muchas gracias.

Serdecznie pozdrawiam Polaków, a szczególnie grupę pielgrzymów z Bułgarii. Święto Niepodległości, które dzisiaj obchodzicie w Polsce, przypomina o wierze waszych Ojców, o historii, o mocy ducha minionych pokoleń. Na tym fundamencie budujcie pomyślność waszej Ojczyzny. Dzisiaj również wspieram wasze modlitwy, jakie z inicjatywy Dzieła Pomoc Kościołowi w Potrzebie zanosicie za chrześcijan w Egipcie, w ramach Dnia Solidarności z Kościołem Prześladowanym. Wszystkim wam z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi e in modo particolare il gruppo di pellegrini provenienti dalla Bulgaria. La Festa dell’Indipendenza che oggi si celebra in Polonia ricorda la fede dei vostri Padri, la storia, la forza dello spirito delle recenti generazioni. Su questo fondamento edificate la prosperità della vostra Patria. Oggi inoltre sostengo le vostre preghiere che – per iniziativa dell’Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre – offrite per i cristiani in Egitto, in occasione della Giornata della solidarietà con la Chiesa perseguitata. Tutti vi benedico di cuore.]

Sono lieto di salutare i partecipanti al convegno sul Padre Teilhard de Chardin, tenutosi in questi giorni alla «Gregoriana».

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i gruppi parrocchiali venuti da Alice Bel Colle e Ricaldone (Diocesi di Acqui Terme), da Palermo, Caccamo e Randazzo, e da San Luca Evangelista in Roma. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per l’attenzione. Buona domenica.

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VISITA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CASA-FAMIGLIA "VIVA GLI ANZIANI" DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO, 12.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita alla Casa-Famiglia "Viva gli Anziani" della Comunità di Sant’Egidio, al Gianicolo, in occasione dell’Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni.
Al Suo arrivo, il Papa, dopo una breve visita alla struttura residenziale, si reca nel giardino della Casa-Famiglia dove incontra gli ospiti auto-sufficienti, i volontari e i membri della Comunità di Sant’Egidio. Quindi pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e care sorelle,

sono davvero lieto di essere con voi in questa casa-famiglia della Comunità di Sant'Egidio dedicata agli anziani. Ringrazio il vostro Presidente, prof. Marco Impagliazzo, per le calorose parole che mi ha rivolto. Con lui, saluto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità. Ringrazio della loro presenza il Vescovo ausiliare del Centro storico, Mons. Matteo Zuppi, il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia Mons. Vincenzo Paglia, e tutti gli amici della Comunità di Sant'Egidio.
Vengo tra di voi come Vescovo di Roma, ma anche come anziano in visita ai suoi coetanei. Conosco bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età, e so che queste difficoltà, per molti, sono aggravate dalla crisi economica.
Talvolta, a una certa età, capita di volgersi al passato, rimpiangendo quando si era giovani, si godeva di energie fresche, si facevano progetti per il futuro. Così lo sguardo, a volte, si vela di tristezza, considerando questa fase della vita come il tempo del tramonto.
Questa mattina, rivolgendomi idealmente a tutti gli anziani, pur nella consapevolezza delle difficoltà che la nostra età comporta, vorrei dirvi con profonda convinzione: è bello essere anziani! In ogni età bisogna saper scoprire la presenza e la benedizione del Signore e le ricchezze che essa contiene. Non bisogna mai farsi imprigionare dalla tristezza! Abbiamo ricevuto il dono di una vita lunga. Vivere è bello anche alla nostra età, nonostante qualche "acciacco" e qualche limitazione. Nel nostro volto ci sia sempre la gioia di sentirci amati da Dio, mai la tristezza.
Nella Bibbia, la longevità è considerata una benedizione di Dio; oggi questa benedizione si è diffusa e deve essere vista come un dono da apprezzare e valorizzare. Eppure spesso la società, dominata dalla logica dell'efficienza e del profitto, non lo accoglie come tale; anzi, spesso lo respinge, considerando gli anziani come non produttivi, inutili. Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case. La sapienza di vita di cui sono portatori è una grande ricchezza. La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune. Chi fa spazio agli anziani fa spazio alla vita! Chi accoglie gli anziani accoglie la vita!
La Comunità di Sant'Egidio, fin dal suo inizio, ha sorretto il cammino di tanti anziani, aiutandoli a restare nei loro ambienti di vita, aprendo varie case-famiglia a Roma e nel mondo. Mediante la solidarietà tra giovani e anziani, ha aiutato a far comprendere come la Chiesa sia effettivamente famiglia di tutte le generazioni, in cui ognuno deve sentirsi "a casa" e dove non regna la logica del profitto o dell’avere, ma quella della gratuità e dell’amore. Quando la vita diventa fragile, negli anni della vecchiaia, non perde mai il suo valore e la sua dignità: ognuno di noi, in qualunque tappa dell’esistenza, è voluto, amato da Dio, ognuno è importante e necessario (cfr Omelia per l’inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005).
L'odierna visita si colloca nell'anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni. E proprio in questo contesto desidero ribadire che gli anziani sono un valore per la società, soprattutto per i giovani. Non ci può essere vera crescita umana ed educazione senza un contatto fecondo con gli anziani, perché la loro stessa esistenza è come un libro aperto nel quale le giovani generazioni possono trovare preziose indicazioni per il cammino della vita.
Cari amici, alla nostra età facciamo spesso l'esperienza del bisogno dell'aiuto degli altri; e questo avviene anche per il Papa. Nel Vangelo leggiamo che Gesù disse all'apostolo Pietro: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti poterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18). Il Signore si riferiva al modo in cui l'Apostolo avrebbe testimoniato la sua fede fino al martirio, ma questa frase ci fa riflettere sul fatto che il bisogno di aiuto è una condizione dell’anziano. Vorrei invitarvi a vedere anche in questo un dono del Signore, perché è una grazia essere sostenuti e accompagnati, sentire l’affetto degli altri! Questo è importante in ogni fase della vita: nessuno può vivere solo e senza aiuto; l’essere umano è relazionale. E in questa casa vedo, con piacere, che quanti aiutano e quanto sono aiutati formano un'unica famiglia, che ha come linfa vitale l’amore.
Cari sorelle e fratelli anziani, talvolta le giornate sembrano lunghe e vuote, con difficoltà, pochi impegni e incontri; non scoraggiatevi mai: voi siete una ricchezza per la società, anche nella sofferenza e nella malattia. E questa fase della vita è un dono anche per approfondire il rapporto con Dio.
L’esempio del Beato Giovanni Paolo II è stato ed è tuttora illuminante per tutti. Non dimenticate che tra le risorse preziose che avete c’è quella essenziale della preghiera: diventate intercessori presso Dio, pregando con fede e con costanza.
Pregate per la Chiesa, anche per me, per i bisogni del mondo, per i poveri, perché nel mondo non ci sia più violenza. La preghiera degli anziani può proteggere il mondo, aiutandolo forse in modo più incisivo che l'affannarsi di tanti. Vorrei affidare oggi alla vostra preghiera il bene della Chiesa e la pace del mondo. Il Papa vi ama e conta su tutti voi! Sentitevi amati da Dio e sappiate portare in questa nostra società, spesso così individualista ed efficientista un raggio dell’amore di Dio. E Dio sarà sempre con voi e con quanti vi sostengono con il loro affetto e con il loro aiuto.
Vi affido tutti alla materna intercessione della Vergine Maria, che accompagna sempre il nostro cammino con il suo amore materno, e volentieri imparto a ciascuno la mia Benedizione. Grazie a tutti!

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L’UDIENZA GENERALE, 14.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.Nel discorso in lingua italiana il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. Le vie che portano alla conoscenza di Dio

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso abbiamo riflettuto sul desiderio di Dio che l’essere umano porta nel profondo di se stesso. Oggi vorrei continuare ad approfondire questo aspetto meditando brevemente con voi su alcune vie per arrivare alla conoscenza di Dio.
Vorrei ricordare, però, che l’iniziativa di Dio precede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede.
Tuttavia ci sono delle vie che possono aprire il cuore dell’uomo alla conoscenza di Dio, ci sono dei segni che conducono verso Dio. Certo, spesso rischiamo di essere abbagliati dai luccichii della mondanità, che ci rendono meno capaci di percorrere tali vie o di leggere tali segni. Dio, però, non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama. E’ questa una certezza che ci deve accompagnare ogni giorno, anche se certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo. Questa, però, è la nostra missione, è la missione della Chiesa e ogni credente deve viverla gioiosamente, sentendola come propria, attraverso un’esistenza animata veramente dalla fede, segnata dalla carità, dal servizio a Dio e agli altri, e capace di irradiare speranza. Questa missione splende soprattutto nella santità a cui tutti siamo chiamati.
Oggi, lo sappiamo, non mancano le difficoltà e le prove per la fede, spesso poco compresa, contestata, rifiutata. San Pietro diceva ai suoi cristiani: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori» (1 Pt 3,15).
Nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui ci si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede.
Il beato Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Fides et ratio, sottolineava come la fede sia messa alla prova anche nell’epoca contemporanea, attraversata da forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico (cfr nn. 46-47). Dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni.
Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo, considerato come misura e artefice della realtà, ma impoverito del suo essere creatura «a immagine e somiglianza di Dio». Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, «pratico», nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale e si vive «come se Dio non esistesse» (etsi Deus non daretur). Alla fine, però, questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e la questione di Dio.
In realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli. Le tentazioni che Gesù ha affrontato nel deserto prima della sua missione pubblica, rappresentano bene quali «idoli» affascinano l’uomo, quando non va oltre se stesso. Se Dio perde la centralità, l’uomo perde il suo giusto posto, non trova più la sua collocazione nel creato, nelle relazioni con gli altri. Non è tramontato ciò che la saggezza antica evoca con il mito di Prometeo: l’uomo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte.
Di fronte a questo quadro, la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, non cessa mai di affermare la verità sull’uomo e sul suo destino. Il Concilio Vaticano II afferma sinteticamente: «La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (Cost. Gaudium et spes, 19).
Quali risposte, allora è chiamata a dare la fede, con «dolcezza e rispetto», all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull'esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui?
Vorrei accennare ad alcune vie, che derivano sia dalla riflessione naturale, sia dalla stessa forza della fede. Le vorrei molto sinteticamente riassumere in tre parole: il mondo, l’uomo, la fede.
La prima: il mondo. Sant’Agostino, che nella sua vita ha cercato lungamente la Verità ed è stato afferrato dalla Verità, ha una bellissima e celebre pagina, in cui afferma: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134).
Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice. Albert Einstein disse che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005).
Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione.
La seconda parola: l’uomo.
Sempre sant’Agostino, poi, ha una celebre frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39, 72). Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere questa sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio» (n. 33).
La terza parola: la fede. Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro. La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo.
Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli al progetto di Dio che ci ha amati per primo, costituiscono una via privilegiata per quanti sono nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione. Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più trasparente la propria testimonianza di fede, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo.
Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù.
Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è l’avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.

Grazie.

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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, 15.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle!

Sono lieto di incontrare tutti voi, Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in occasione della Plenaria. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, in particolare al Presidente, il Cardinale Kurt Koch - che ringrazio per le cortesi parole con le quali ha interpretato i comuni sentimenti - al Segretario ed ai Collaboratori del Dicastero, con l’apprezzamento per il loro lavoro al servizio di una causa così decisiva per la vita della Chiesa.
Quest’anno la vostra Plenaria focalizza l’attenzione sul tema: «L’importanza dell’ecumenismo per la nuova evangelizzazione». Con tale scelta vi ponete opportunamente in continuità con quanto è stato preso in esame durante la recente Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, e, in un certo senso, intendete dare una forma concreta, secondo la particolare prospettiva del Dicastero, a quanto è emerso in quell’Assise. Inoltre, la riflessione che state conducendo si inserisce molto bene nel contesto dell’Anno della fede che ho voluto come momento propizio per riproporre a tutti il dono della fede in Cristo risorto, nell’anno in cui celebriamo il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. Come è noto, i Padri conciliari hanno inteso sottolineare lo strettissimo legame che esiste tra il compito dell’evangelizzazione e il superamento delle divisioni esistenti tra i cristiani. «Tale divisione - si afferma all’inizio del Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio - contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ed è scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo a ogni creatura» (n. 1).
L’affermazione del Decreto conciliare riecheggia la “preghiera sacerdotale” di Gesù, quando, rivolgendosi al Padre, Egli chiede che i suoi discepoli «siano una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,21). In questa grande preghiera ben quattro volte invoca l’unità per i discepoli di allora e per quelli del futuro, e due volte indica come scopo di tale unità che il mondo creda, che Lo «riconosca» come mandato dal Padre. C’è dunque uno stretto legame tra la sorte dell’evangelizzazione e la testimonianza dell’unità tra i cristiani.
Un autentico cammino ecumenico non può essere perseguito ignorando la crisi di fede che stanno attraversando vaste regioni del pianeta, tra cui quelle che per prime accolsero l’annuncio del Vangelo e dove la vita cristiana è stata per secoli fiorente. D’altra parte, non possono essere ignorati i numerosi segni che attestano il permanere di un bisogno di spiritualità, che si manifesta in diversi modi.
La povertà spirituale di molti dei nostri contemporanei, che non percepiscono più come privazione l’assenza di Dio dalla loro vita, rappresenta una sfida per tutti i cristiani. In questo contesto, a noi credenti in Cristo viene chiesto di ritornare all’essenziale, al cuore della nostra fede, per rendere insieme testimonianza al mondo del Dio vivente, cioè di un Dio che ci conosce e che ci ama, nel cui sguardo viviamo; di un Dio che aspetta la risposta del nostro amore nella vita di ogni giorno.
E’ dunque motivo di speranza l’impegno di Chiese e Comunità ecclesiali per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo. Dare infatti testimonianza del Dio vivente, che si è fatto vicino in Cristo, è l’imperativo più urgente per tutti i cristiani, ed è anche un imperativo che ci unisce, malgrado l’incompleta comunione ecclesiale che tutt’ora sperimentiamo. Non dobbiamo dimenticare ciò che ci unisce, cioè la fede in Dio, Padre e Creatore, che si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, effondendo lo Spirito che vivifica e santifica. Questa è la fede del Battesimo che abbiamo ricevuto ed è la fede che, nella speranza e nella carità, possiamo insieme professare. Alla luce della priorità della fede si comprende anche l’importanza dei dialoghi teologici e delle conversazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali in cui la Chiesa cattolica è impegnata. Anche quando non si intravede, in un immediato futuro, la possibilità del ristabilimento della piena comunione, essi permettono di cogliere, insieme a resistenze e ostacoli, anche ricchezze di esperienze, di vita spirituale e di riflessioni teologiche, che diventano stimolo per una sempre più profonda testimonianza.
Non dobbiamo, però dimenticare che la meta dell’ecumenismo è l’unità visibile tra i cristiani divisi. Questa unità non è un’opera che possiamo semplicemente realizzare noi uomini.
Noi dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, ma dobbiamo anche riconoscere che, in ultima analisi, questa unità è dono di Dio, può venire solamente dal Padre mediante il Figlio, perché la Chiesa è la sua Chiesa. In questa prospettiva, appare l’importanza di invocare l’unità visibile dal Signore, ma emerge anche come la ricerca di tale meta sia rilevante per la nuova evangelizzazione. Il fatto di camminare insieme verso questo traguardo è una realtà positiva, a condizione, però, che le Chiese e Comunità ecclesiali non si fermino lungo la strada, accettando le diversità contraddittorie come qualcosa di normale o come il meglio che si possa ottenere. E’ invece nella piena comunione nella fede, nei sacramenti e nel ministero, che si renderà evidente in modo concreto la forza presente ed operante di Dio nel mondo. Attraverso l’unità visibile dei discepoli di Gesù, unità umanamente inspiegabile, si renderà riconoscibile l’agire di Dio che supera la tendenza del mondo alla disgregazione.
Cari amici, voglio augurare che l’Anno della fede contribuisca anche al progresso del cammino ecumenico. L’unità è, da un lato, frutto della fede e, dall’altro, un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore o che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, hanno quasi dimenticato questo dono prezioso. Il vero ecumenismo, riconoscendo il primato dell’azione divina, esige innanzitutto pazienza, umiltà, abbandono alla volontà del Signore. Alla fine, ecumenismo e nuova evangelizzazione richiedono entrambi il dinamismo della conversione, inteso come sincera volontà di seguire Cristo e di aderire pienamente alla volontà del Padre. Ringraziandovi ancora una volta, invoco volentieri su tutti la Benedizione Apostolica.

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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA XXVII CONFERENZA INTERNAZIONALE ORGANIZZATA DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) (15-17 NOVEMBRE 2012), 17.11.2012

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla XXVII Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) sul tema: "L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale" (15-17 novembre 2012).
Sono presenti all’Udienza anche i partecipanti al XXV Congresso congiunto dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani e della Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche che, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno riflettuto sul tema "Bioetica ed Europa cristiana"; membri dell’UNITALSI e di altre associazioni, studenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie.
Dopo l’indirizzo di omaggio di S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Vi do il mio caloroso benvenuto! Ringrazio il Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Mons. Zygmunt Zimowski, per le cortesi parole; saluto gli illustri relatori e tutti i presenti. Il tema della vostra Conferenza - «L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale» - mi offre l’occasione di estendere il mio saluto a tutti gli operatori sanitari, in particolare ai membri dell’Associazione dei Medici Cattolici Italiani e della Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche, che, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno riflettuto sul tema «Bioetica ed Europa cristiana». Saluto inoltre i malati presenti, i loro familiari, i cappellani e i volontari, i membri delle associazioni, in particolare dell’UNITALSI, gli studenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie.
La Chiesa si rivolge sempre con lo stesso spirito di fraterna condivisione a quanti vivono l’esperienza del dolore, animata dallo Spirito di Colui che, con la potenza dell’amore, ha ridato senso e dignità al mistero della sofferenza. A queste persone il Concilio Vaticano II ha detto: non siete «né abbandonati, né inutili», perché, uniti alla Croce di Cristo, contribuite alla sua opera salvifica (cfr Messaggio ai poveri, ai malati e ai sofferenti, 8 dicembre 1965). E con gli stessi accenti di speranza, la Chiesa interpella anche i professionisti e i volontari della sanità. La vostra è una singolare vocazione, che necessita di studio, di sensibilità e di esperienza. Tuttavia, a chi sceglie di lavorare nel mondo della sofferenza vivendo la propria attività come una «missione umana e spirituale» è richiesta una competenza ulteriore, che va al di là dei titoli accademici. Si tratta della «scienza cristiana della sofferenza», indicata esplicitamente dal Concilio come «la sola verità capace di rispondere al mistero della sofferenza» e di arrecare a chi è nella malattia «un sollievo senza illusioni»: «Non è in nostro potere – dice il Concilio – procurarvi la salute corporale, né la diminuzione dei vostri dolori fisici... Abbiamo però qualche cosa di più prezioso e di più profondo da darvi... Il Cristo non ha soppresso la sofferenza; non ha neppure voluto svelarcene interamente il mistero: l’ha presa su di sé, e questo basta perché ne comprendiamo tutto il valore» (ibid.). Di questa «scienza cristiana della sofferenza» siate degli esperti qualificati! Il vostro essere cattolici, senza timore, vi dà una maggiore responsabilità nell’ambito della società e della Chiesa: si tratta di una vera vocazione, come recentemente testimoniato da figure esemplari quali San Giuseppe Moscati, San Riccardo Pampuri, Santa Gianna Beretta Molla, Santa Anna Schäffer e il Servo di Dio Jérôme Lejeune.
È questo un impegno di nuova evangelizzazione anche in tempi di crisi economica che sottrae risorse alla tutela della salute. Proprio in tale contesto, ospedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice «merce» sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi. Non può essere mai dimenticata l’attenzione particolare dovuta alla dignità della persona sofferente, applicando anche nell’ambito delle politiche sanitarie il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà (cfr Enc. Caritas in veritate, 58). Oggi, se da un lato, a motivo dei progressi nel campo tecnico-scientifico, aumenta la capacità di guarire fisicamente chi è malato, dall’altro appare indebolirsi la capacità di «prendersi cura» della persona sofferente, considerata nella sua integralità e unicità. Sembrano quindi offuscarsi gli orizzonti etici della scienza medica, che rischia di dimenticare come la sua vocazione sia servire ogni uomo e tutto l’uomo, nelle diverse fasi della sua esistenza. E’ auspicabile che il linguaggio della «scienza cristiana della sofferenza» - cui appartengono la compassione, la solidarietà, la condivisione, l’abnegazione, la gratuità, il dono di sé - diventi il lessico universale di quanti operano nel campo dell’assistenza sanitaria. È il linguaggio del Buon Samaritano della parabola evangelica, che può essere considerata - secondo il Beato Papa Giovanni Paolo II - «una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana» (Lett. ap. Salvifici doloris, 29). In questa prospettiva gli ospedali vanno considerati come luogo privilegiato di evangelizzazione, perché dove la Chiesa si fa «veicolo della presenza di Dio» diventa al tempo stesso «strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo» (Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, 9).
Solo avendo ben chiaro che al centro dell’attività medica e assistenziale c’è il benessere dell’uomo nella sua condizione più fragile e indifesa, dell’uomo alla ricerca di senso dinanzi al mistero insondabile del dolore, si può concepire l’ospedale come «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo» (Discorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, 3 maggio 2012).
Cari amici, questa assistenza sanante ed evangelizzatrice è il compito che sempre vi attende. Ora più che mai la nostra società ha bisogno di «buoni samaritani» dal cuore generoso e dalle braccia spalancate a tutti, nella consapevolezza che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente» (Enc. Spe salvi, 38).
Questo «andare oltre» l’approccio clinico vi apre alla dimensione della trascendenza, verso la quale un ruolo fondamentale è svolto dai cappellani e dagli assistenti religiosi. A loro compete in primo luogo di far trasparire nel variegato panorama sanitario, anche nel mistero della sofferenza, la gloria del Crocifisso Risorto.
Un’ultima parola desidero riservare a voi, cari malati. La vostra silenziosa testimonianza è un efficace segno e strumento di evangelizzazione per le persone che vi curano e per le vostre famiglie, nella certezza che «nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio» (Angelus, 1° febbraio 2009). Voi «siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo!» (Conc. Vat. II, Messaggio).
Mentre affido voi tutti alla Vergine Maria, Salus Infirmorum, perché guidi i vostri passi e vi renda sempre testimoni operosi e instancabili della scienza cristiana della sofferenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI ALLA SESSIONE DEL CORTILE DEI GENTILI IN PORTOGALLO (GUIMARÃES E BRAGA, 16-17 NOVEMBRE 2012) , 16.11.2012

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti alla sessione del Cortile dei Gentili (Átrio dos Gentios) che ha luogo a Guimarães e a Braga (Portogallo), rispettivamente capitali europee della cultura e della gioventù per l’anno 2012, nei giorni 16 e 17 novembre 2012:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


Cari amici,

con viva gratitudine e con affetto, saluto tutti i partecipanti al «Cortile dei gentili», che s'inaugura in Portogallo il 16 e 17 novembre 2012 e che riunisce credenti e non credenti attorno all'aspirazione comune di affermare il valore della vita umana sulla crescente ondata della cultura della morte.
In realtà, la consapevolezza della sacralità della vita che ci è stata affidata, non come qualcosa di cui si possa disporre liberamente, ma come un dono da custodire fedelmente, appartiene all'eredità morale dell'umanità. «Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine» (Enciclica Evangelium vitae, n. 2). Non siamo un prodotto casuale dell'evoluzione, ma ognuno di noi è frutto di un pensiero di Dio: siamo amati da Lui.
Però, se la ragione può cogliere questo valore della vita, perché chiamare in causa Dio? Rispondo citando un'esperienza umana.
La morte della persona amata è, per chi l'ama, l'evento più assurdo che si possa immaginare: lei è incondizionatamente degna di vivere, è buono e bello che esista (l'essere, il bene, il bello, come direbbe un metafisico, si equivalgono trascendentalmente). Parimenti, la morte di questa stessa persona appare, agli occhi di chi non ama, come un evento naturale, logico (non assurdo).
Chi ha ragione? Colui che ama («la morte di questa persona è assurda») o colui che non ama («la morte di questa persona è logica»)?
La prima posizione è difendibile solo se ogni persona è amata da un Potere infinito; e questo è il motivo per cui è stato necessario appellarsi a Dio. Di fatto, chi ama non vuole che la persona amata muoia; e, se potesse, lo impedirebbe sempre. Se potesse... L'amore finito è impotente; l'Amore infinito è onnipotente. Ebbene, è questa la certezza che la Chiesa annuncia: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Sì! Dio ama ogni persona che, perciò, è incondizionatamente degna di vivere. «Il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell'amore del Padre, manifesta come l'uomo sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore della sua vita». (Enciclica Evangelium vitae, n. 25).
Nell'epoca moderna, l'uomo ha però voluto sottrarsi allo sguardo creatore e redentore del Padre (cfr. Gv 4, 14), fondandosi su se stesso e non sul Potere divino. Quasi come succede negli edifici di cemento armato senza finestre, dove è l'uomo che provvede all'areazione e alla luce; e, ugualmente, persino in un tale mondo auto-costruito, si attinge alle «risorse» di Dio, che sono trasformate in nostri prodotti. Che dire allora?
È necessario riaprire le finestre, vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra, e imparare a usare tutto ciò in modo giusto. Di fatto, il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere «come se Dio esistesse». Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita. Colui che si apre a Dio non si allontana dal mondo e dagli uomini, ma trova fratelli: in Dio cadono i nostri muri di separazione, siamo tutti fratelli, facciamo parte gli uni degli altri.
Amici miei, vorrei concludere con queste parole del concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza: «Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri» (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questi sono lo spirito e la ragion d'essere del «Cortile dei gentili». A voi impegnati in diversi modi in questa significativa iniziativa, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più sentito incoraggiamento. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnino oggi e in futuro.
Dal Vaticano, 13 novembre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA (2° GRUPPO), 17.11.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale di Francia (2° gruppo: province ecclesiastiche di Lille, Reims, Paris, Besançon e Dijon; diocesi di Strasbourg e Metz; Ordinariato militare e Ordinariato dei cattolici delle Chiese orientali residenti in Francia), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Riportiamo di seguito il testo del discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Cardinale,
cari fratelli nell'episcopato,

La ringrazio, Eminenza, per le sue parole; conservo un ricordo molto vivo del mio soggiorno a Parigi nel 2008, che ha permesso intensi momenti di fede e un incontro con il mondo della cultura. Nel messaggio che le ho rivolto in occasione del raduno a Lourdes che lei ha organizzato lo scorso marzo, ho ricordato che «il concilio Vaticano II è stato e rimane un autentico segno di Dio per il nostro tempo».
Ciò è particolarmente vero nell'ambito del dialogo tra la Chiesa e il mondo, questo mondo «con il quale vive e agisce» (cfr. Gaudium et spes, n. 40 § 1) e sul quale vuole diffondere la luce che la vita divina irradia (Ibidem, § 2). Come lei sa, più la Chiesa è consapevole del suo essere e della sua missione, più è capace di amare questo mondo, di volgere su di esso uno sguardo fiducioso, ispirato da quello di Gesù, senza cedere alla tentazione dello sconforto o del ripiegamento. E «la Chiesa, compiendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile» (Ibidem, n. 58, 4), dice il concilio.
La vostra nazione è ricca di una lunga storia cristiana che non può essere ignorata o sminuita, e che testimonia con eloquenza questa verità, che configura ancora oggi la sua singolare vocazione. Non solo i fedeli delle vostre diocesi, ma i fedeli di tutto il mondo, si aspettano molto, siatene certi, dalla Chiesa che è in Francia. Come pastori, noi siamo naturalmente consapevoli dei nostri limiti; ma, confidando nella forza di Cristo, sappiamo anche che spetta a noi essere «gli araldi della fede» (Lumen gentium, n. 50), che devono, con i sacerdoti e i fedeli, testimoniare il messaggio di Cristo «in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo» (Gaudium et spes, n. 43 § 5).
L'Anno della fede ci permette di accrescere la nostra fiducia nella forza e nella ricchezza intrinseche del messaggio evangelico. In quante occasioni abbiamo constatato che sono le parole della fede, parole semplici e dirette, cariche della linfa della Parola divina, a toccare meglio i cuori e le menti e ad apportare le luci più decisive? Non dobbiamo quindi aver paura di parlare con un vigore tutto apostolico del mistero di Dio e del mistero dell'uomo, e di mostrare instancabilmente le ricchezze della dottrina cristiana. In essa ci sono parole e realtà, convinzioni fondamentali e modi di ragionare che sono i soli a poter portare la speranza di cui il mondo ha sete.
Nei dibattiti sociali importanti, la voce della Chiesa deve farsi sentire senza posa e con determinazione. E lo fa nel rispetto della tradizione francese in materia di distinzione tra le sfere di competenza della Chiesa e quelle di competenza dello Stato. In tale contesto, proprio l'armonia che esiste tra la fede e la ragione vi dà una certezza particolare: il messaggio di Cristo e della sua Chiesa non è solo portatore di un'identità religiosa che esigerebbe di essere rispettata come tale; esso contiene anche una saggezza che permette di esaminare con rettitudine le risposte concrete alle questioni pressanti, e talvolta angoscianti, del tempo presente. Continuando a esercitare, come voi fate, la dimensione profetica del vostro ministero episcopale, portate in questi dibattiti una parola indispensabile di verità, che rende liberi e apre i cuori alla speranza. Questa parola, ne sono convinto, è attesa. Essa trova sempre un'accoglienza favorevole quando viene presentata con carità, non come il frutto delle nostre riflessioni, ma prima di tutto come la parola che Dio vuole rivolgere a ogni uomo.
A tale proposito, mi torna in mente l'incontro che ha avuto luogo nel Collège des Bernardins. La Francia può fregiarsi di annoverare tra i suoi figli e le sue figlie numerosi intellettuali di alto livello, alcuni dei quali guardano alla Chiesa con benevolenza e rispetto. Credenti o non credenti, essi sono consapevoli delle immense sfide della nostra epoca, in cui il messaggio cristiano è un punto di riferimento insostituibile. Può essere che altre tradizioni intellettuali o filosofiche si esauriscano, ma la Chiesa trova nella sua missione divina la sicurezza e il coraggio di predicare, in ogni occasione opportuna e non opportuna, la chiamata universale alla Salvezza, la grandezza del disegno divino per l'umanità, la responsabilità dell'uomo, la sua dignità e la sua libertà, -- e malgrado la ferita del peccato -- la sua capacità di discernere in coscienza ciò che è vero e ciò che è buono, e la sua disponibilità alla grazia divina. Nel Collège des Bernardins ho voluto ricordare che la vita monastica, interamente orientata alla ricerca di Dio, il quaerere Deum, risulta fonte di rinnovamento e di progresso per la cultura. Le comunità religiose, e soprattutto quelle monastiche, del vostro Paese, che conosco bene, possono contare sulla vostra stima e sulla vostra attenta sollecitudine, nel rispetto del carisma proprio di ciascuna. La vita religiosa, al servizio esclusivo dell'opera di Dio, alla quale nulla può essere preferito (cfr. Regola di san Benedetto), è un tesoro nelle vostre diocesi. Essa offre una testimonianza radicale sul modo in cui l'esistenza umana, proprio quando si pone interamente nella sequela di Cristo, realizza appieno la vocazione umana alla vita beata. L'intera società, e non solo la Chiesa, viene profondamente arricchita da tale testimonianza. Offerta nell'umiltà, nella dolcezza e nel silenzio, essa apporta per così dire la prova che nell'uomo c'è di più dell'uomo stesso.
Come ricorda il Concilio, l'azione liturgica della Chiesa fa anche parte del suo contributo all'opera civilizzatrice (cfr. Gaudium et spes, n. 58, 4). La liturgia è in effetti la celebrazione dell'evento centrale della storia umana, il sacrificio redentore di Cristo. Per questo testimonia l'amore con il quale Dio ama l'umanità, testimonia che la vita dell'uomo ha un senso e che egli è per vocazione chiamato a condividere la vita gloriosa della Trinità. L'umanità ha bisogno di questa testimonianza. Ha bisogno di percepire, attraverso le celebrazioni liturgiche, la consapevolezza che la Chiesa ha della signoria di Dio e della dignità dell'uomo. Ha diritto di poter discernere, al di là dei limiti che segneranno sempre i suoi riti e le sue cerimonie, che Cristo «è presente nel sacrificio della Messa, e nella persona del ministro» (cfr. Sacrosanctum concilium, n. 7). Conoscendo le cure di cui cercate di circondare le vostre celebrazioni liturgiche, v'incoraggio a coltivare l'arte di celebrare, ad aiutare i vostri sacerdoti in tal senso, e di lavorare senza posa alla formazione liturgica dei seminaristi e dei fedeli. Il rispetto delle norme stabilite esprime l'amore e la fedeltà alla fede della Chiesa, al tesoro di grazia che essa custodisce e trasmette; la bellezza delle celebrazioni, molto più delle innovazioni e degli accomodamenti soggettivi, fa opera duratura ed efficace di evangelizzazione.
Grande è oggi la vostra preoccupazione per la trasmissione della fede alle giovani generazioni. Molte famiglie nel vostro Paese continuano a garantirla. Benedico e incoraggio di tutto cuore le iniziative che prendete per sostenere queste famiglie, per circondarle della vostra sollecitudine, per favorire la loro assunzione di responsabilità nell'ambito educativo. La responsabilità dei genitori in questo ambito è un bene prezioso, che la Chiesa difende e promuove sia come una dimensione inalienabile e fondamentale del bene comune di tutta la società, sia come un'esigenza della dignità della persona e della famiglia. Sapete anche che in questo ambito le sfide non mancano: siano esse la difficoltà legata alla trasmissione della fede ricevuta, -- familiare, sociale -- quella della fede accolta personalmente alla soglia dell'età adulta, o ancora, la difficoltà costituita da una vera rottura nella trasmissione, quando si succedono diverse generazioni ormai allontanatesi dalla fede viva. C'è anche l'enorme sfida di vivere in una società che non sempre condivide gli insegnamenti di Cristo, e che a volte cerca di ridicolizzare o di emarginare la Chiesa, volendo confinarla nella sola sfera privata. Per accogliere queste immense sfide, la Chiesa ha bisogno di testimoni credibili. La testimonianza cristiana radicata in Cristo e vissuta nella coerenza di vita e con autenticità, è multiforme, senza alcun schema preconcetto. Nasce e si rinnova incessantemente sotto l'azione dello Spirito Santo. A sostegno di questa testimonianza, il Catechismo della Chiesa cattolica è uno strumento molto utile, perché mostra la forza e la bellezza della fede. V'incoraggio a farlo ampiamente conoscere, in particolare in questo anno in cui celebriamo il ventesimo anniversario della sua pubblicazione.
Nel posto che vi corrisponde, voi rendete altresì testimonianza attraverso la vostra dedizione, la vostra semplicità di vita, la vostra sollecitudine pastorale, e al di sopra di tutto, attraverso l'unione tra di voi e con il Successore dell'Apostolo Pietro. Consapevoli della forza dell'esempio, saprete così trovare le parole e i gesti per incoraggiare i fedeli a incarnare questa «unità di vita». Essi devono sentire che la loro fede li impegna, che è per loro una liberazione e non un fardello, che la coerenza è fonte di gioia e di fecondità (cfr. Esortazione apostolica Christifideles laici, n. 17). Ciò vale sia per il loro attaccamento e la loro fedeltà all'insegnamento morale della Chiesa, sia, ad esempio, per il coraggio di manifestare le loro convinzioni cristiane, senza arroganza ma con rispetto, nei diversi ambiti in cui operano. Quelli fra loro che sono impegnati nella vita pubblica hanno una responsabilità particolare in questo ambito. Con i Vescovi, avranno a cuore di prestare attenzione ai progetti di leggi civili che possono attentare alla tutela del matrimonio tra un uomo e una donna, alla salvaguardia della vita umana dal concepimento fino alla morte, e al giusto orientamento della bioetica in fedeltà ai documenti del Magistero. È più che mai necessario che siano in molti i cristiani che intraprendano il cammino del servizio al bene comune, approfondendo in particolare la Dottrina sociale della Chiesa.
Potete contare sulla mia preghiera affinché i vostri sforzi in questo ambito rechino frutti abbondanti. Per concludere, invoco la benedizione del Signore su di voi, sui vostri sacerdoti e i vostri diaconi, sui religiosi e le religiose, sulle altre persone consacrate che operano nelle vostre diocesi, e sui vostri fedeli. Che Dio vi accompagni sempre! Grazie.

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(Traduzione Osservatore Romano)


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PAROLE DEL SANTO PADRE ALLA RECITA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa penultima domenica dell’anno liturgico, viene proclamata, nella redazione di San Marco, una parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi (cfr Mc 13,24-32). Questo discorso si trova, con alcune varianti, anche in Matteo e Luca, ed è probabilmente il testo più difficile dei Vangeli. Tale difficoltà deriva sia dal contenuto sia dal linguaggio: si parla infatti di un avvenire che supera le nostre categorie, e per questo Gesù utilizza immagini e parole riprese dall’Antico Testamento, ma soprattutto inserisce un nuovo centro, che è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione.
Anche il brano odierno si apre con alcune immagini cosmiche di genere apocalittico: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte» (v. 24-25); ma questo elemento viene relativizzato da ciò che segue: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria» (v. 26).
Il «Figlio dell’uomo» è Gesù stesso, che collega il presente e il futuro; le antiche parole dei profeti hanno trovato finalmente un centro nella persona del Messia nazareno: è Lui il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile.
A conferma di questo sta un’altra espressione del Vangelo di oggi. Gesù afferma: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (v. 31). In effetti, sappiamo che nella Bibbia la Parola di Dio è all’origine della creazione: tutte le creature, a partire dagli elementi cosmici – sole, luna, firmamento – obbediscono alla Parola di Dio, esistono in quanto «chiamati» da essa. Questa potenza creatrice della Parola divina si è concentrata in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, e passa anche attraverso le sue parole umane, che sono il vero «firmamento» che orienta il pensiero e il cammino dell’uomo sulla terra. Per questo Gesù non descrive la fine del mondo, e quando usa immagini apocalittiche, non si comporta come un «veggente». Al contrario, Egli vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, e vuole invece dare loro una chiave di lettura profonda, essenziale, e soprattutto indicare la via giusta su cui camminare, oggi e domani, per entrare nella vita eterna. Tutto passa – ci ricorda il Signore –, ma la Parola di Dio non muta, e di fronte ad essa ciascuno di noi è responsabile del proprio comportamento. In base a questo saremo giudicati.
Cari amici, anche nei nostri tempi non mancano calamità naturali, e purtroppo nemmeno guerre e violenze. Anche oggi abbiamo bisogno di un fondamento stabile per la nostra vita e la nostra speranza, tanto più a causa del relativismo in cui siamo immersi. La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere questo centro nella Persona di Cristo e nella sua Parola.

DOPO L'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, a Pergamino, in Argentina, è stata proclamata Beata María Crescencia Pérez, Religiosa, della Congregazione delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto. Vissuta nella prima parte del secolo scorso, è modello di dolcezza evangelica animata dalla fede. Lodiamo il Signore per la sua testimonianza!

Je salue cordialement les pèlerins francophones. En cherchant à voir autour de nous les signes de la présence de Dieu et à les accueillir, nous découvrirons le roc solide où s’enracine notre existence au-delà des changements qui nous atteignent. Par la foi, nous communions au dessein d’amour de Dieu sur l’humanité et sur chacun de nous. Dieu est fidèle ! À nous de le chercher ! Pour cela, je vous invite à participer régulièrement à la messe dominicale, nécessaire pour un chrétien. Que la Vierge Marie vous aide à comprendre l’importance de ce rendez-vous et la joie de le vivre en famille ! Bon dimanche à tous !

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims present for today’s Angelus. This Sunday, as the liturgical year draws to a close, Jesus tells us that although heaven and earth will pass away, his words will remain. Let us pledge ourselves to build our lives more and more on the solid foundation of his holy word, the true source of life and joy. May God bless all of you!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache, besonders die Reisegruppe des Bayerischen Rundfunks. Die liturgischen Lesungen zum Ende des Kirchenjahres rufen uns immer wieder die sogenannten letzten Dinge – Tod, Gericht, Hölle, Himmel – in Erinnerung. Die Zeit hat ein Ziel. Und wir wollen das richtige Ziel finden. Dazu lädt der Herr uns ein, wenn er sagt, wir sollen wachen und beten, damit wir einst hintreten können vor den Menschensohn (vgl. Lk 21,36). Möge der Herr stets unser Ziel sein in der Freude und Hoffnung auf „das Große, das er denen bereitet hat, die ihn lieben“ (1Kor 2,9). Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. En el Evangelio de hoy, Jesús advierte a sus discípulos, y a todos, que en la vida habrá que afrontar embaucadores, sufrir persecuciones y calamidades. Hoy se sabe esto muy bien. Pero con la esperanza perseverante en la victoria de la Cruz, el corazón humano encontrará siempre un suelo firme, la auténtica paz, en la presencia constante del Señor, verdadero fin de todas las cosas, y cuya ayuda nunca nos abandona. Confiemos a nuestra Madre del cielo nuestros desvelos, y que nos ayude también la intercesión de la Beata María Crescencia Pérez, que ayer ha sido elevada al honor de los altares en Argentina. Muchas gracias y feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam – uczestniczących w modlitwie „Anioł Pański” – Polaków. Ewangelia dzisiejszej Mszy świętej jest zapowiedzią Paruzji, czyli powtórnego przyjścia Chrystusa na ziemię. Wówczas, oświeceni Bożym światłem, uzyskamy odpowiedź na pytania dotyczące naszej egzystencji, a każdy nasz czyn i każda myśl zostaną osądzone. Niech perspektywa tego wydarzenia będzie dla nas przedmiotem szczególnej refleksji w tym Roku Wiary. Wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi partecipanti alla preghiera dell’Angelus. Il Vangelo della santa Messa odierna è l’annuncio della Parousia, della seconda venuta di Cristo sulla terra. Allora, illuminati dalla luce divina, riceveremo la risposta alle domande riguardanti la nostra esistenza, e ogni nostra azione e ogni nostro pensiero saranno giudicati. La prospettiva di questo evento sia per noi oggetto di particolare riflessione in quest’Anno della fede. A tutti imparto di cuore una benedizione.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare le numerose Scholae Cantorum della Diocesi di Verona, accompagnate dal Vescovo – grazie per il canto che abbiamo sentito! Saluto i volontari del Banco Alimentare e incoraggio ogni iniziativa che educhi alla condivisione, come risposta alle difficoltà di tante famiglie. Saluto i fedeli venuti da Sezze, Tornareccio, Ischia Porto e Comiso, e anche da Malta, come pure i collaboratori laici dell’Istituto Ravasco e il gruppo di Scout dall’Ucraina. A tutti auguro una buona domenica. Grazie. Buona domenica, buona settimana. Arrivederci!

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Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
21/11/2012 22:45
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L’UDIENZA GENERALE, 21.11.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sulla ragionevolezza della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la pace tra gli Israeliani e i Palestinesi della Striscia di Gaza.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

L'Anno della fede. La ragionevolezza della fede in Dio

Cari fratelli e sorelle,


avanziamo in quest’Anno della fede, portando nel nostro cuore la speranza di riscoprire quanta gioia c’è nel credere e di ritrovare l’entusiasmo di comunicare a tutti le verità della fede. Queste verità non sono un semplice messaggio su Dio, una particolare informazione su di Lui. Esprimono invece l’evento dell’incontro di Dio con gli uomini, incontro salvifico e liberante, che realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore. La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo. Accade così che, mentre Dio si rivela e si lascia conoscere, l’uomo viene a sapere chi è Dio e, conoscendolo, scopre se stesso, la propria origine, il proprio destino, la grandezza e la dignità della vita umana.
La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un “sàpere”, un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale, ma vitale. E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore.
L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze. La conoscenza di Dio è perciò esperienza di fede e implica, nel contempo, un cammino intellettuale e morale: toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, superiamo gli orizzonti dei nostri egoismi e ci apriamo ai veri valori dell’esistenza.
Oggi vorrei soffermarmi sulla ragionevolezza della fede in Dio.
La tradizione cattolica ha sin dall’inizio rigettato il fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero.
Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità.
Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso?; anzi, è la fonte della luce La fede permette di guardare il «sole» di Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio, riconoscendo il grande miracolo: Dio si è avvicinato all’uomo e si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cfr CONC. EC. VAT. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 13).
Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti. Per questo, la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai e mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà. E’ falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato. Sant’Agostino, prima della sua conversione, cerca con tanta inquietudine la verità, attraverso tutte le filosofie disponibili, trovandole tutte insoddisfacenti. La sua faticosa ricerca razionale è per lui una significativa pedagogia per l’incontro con la Verità di Cristo. Quando dice: «comprendi per credere e credi per comprendere» (Discorso 43, 9: PL 38, 258), è come se raccontasse la propria esperienza di vita. Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero. Sant’Agostino, insieme a tanti altri autori cristiani, è testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare. Su questa scia, Sant’Anselmo dirà nel suo Proslogion che la fede cattolica è fides quaerens intellectum, dove il cercare l’intelligenza è atto interiore al credere. Sarà soprattutto San Tommaso d’Aquino – forte di questa tradizione – a confrontarsi con la ragione dei filosofi, mostrando quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall’innesto dei principi e delle verità della fede cristiana.
La fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Dei Filius, ha affermato che la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere «facilmente, con assoluta certezza e senza errore» (DS 3005) le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia. La conoscenza della fede, inoltre, non è contro la retta ragione. Il Beato Papa Giovanni Paolo II, infatti, nell’Enciclica Fides et ratio, sintetizza così: «La ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole» (n. 43). Nell’irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé.
Questa dottrina è facilmente riconoscibile in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, sostiene: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,22-23). Dio, infatti, ha salvato il mondo non con un atto di potenza, ma mediante l’umiliazione del suo Figlio unigenito: secondo i parametri umani, l’insolita modalità attuata da Dio stride con le esigenze della sapienza greca. Eppure, la Croce di Cristo ha una sua ragione, che San Paolo chiama: ho lògos tou staurou, “la parola della croce” (1 Cor 1,18). I termine lògos indica tanto la parola quanto la ragione e, se allude alla parola, è perché esprime verbalmente ciò che la ragione elabora. Dunque, Paolo vede nella Croce non un avvenimento irrazionale, ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede. Allo stesso tempo, egli ha talmente fiducia nella ragione umana, al punto da meravigliarsi per il fatto che molti, pur vedendo la bellezza delle opere compiute da Dio, si ostinano a non credere in Lui: «Infatti – scrive nella Lettera ai Romani - le … perfezioni invisibili [di Dio], ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (1,20). Così, anche S. Pietro esorta i cristiani della diaspora ad adorare «il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). In un clima di persecuzione e di forte esigenza di testimoniare la fede, ai credenti viene chiesto di giustificare con motivazioni fondate la loro adesione alla parola del Vangelo; dDi dare le regioni della nostra speranza.
Su queste premesse circa il nesso fecondo tra comprendere e credere, si fonda anche il rapporto virtuoso fra scienza e fede. La ricerca scientifica porta alla conoscenza di verità sempre nuove sull’uomo e sul cosmo. Lo vediamo. Il vero bene dell’umanità, accessibile nella fede, apre l’orizzonte nel quale si deve muovere il suo cammino di scoperta. Vanno pertanto incoraggiate, ad esempio, le ricerche poste a servizio della vita e miranti a debellare le malattie.
Importanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella consapevolezza che l’uomo è al vertice della creazione non per sfruttarla insensatamente, ma per custodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso. Anche per questo è ragionevole credere: se la scienza è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo, la fede permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno.
Ecco perché è decisivo per l’uomo aprirsi alla fede e conoscere Dio e il suo progetto di salvezza in Gesù Cristo. Nel Vangelo viene inaugurato un nuovo umanesimo, un’autentica «grammatica» dell’umano e di tutta la realtà. Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La verità di Dio è la sua sapienza che regge l’ordine della creazione e del governo del mondo. Dio che, da solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15), può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa creata nella relazione con lui» (n. 216).
Confidiamo allora che il nostro impegno nell’ evangelizzazione aiuti a ridare nuova centralità al Vangelo nella vita di tanti uomini e donne del nostro tempo. Preghiamo perché tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà: senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso. Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo lo confermano per sempre. E’ ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo: ora, nel tempo che passa, e nel giorno senza fine dell’Eternità beata. Grazie.


APPELLO

Seguo con grave preoccupazione l'aggravarsi della violenza tra gli Israeliani e i Palestinesi della Striscia di Gaza. Insieme al ricordo orante per le vittime e per coloro che soffrono, sento il dovere di ribadire ancora una volta che l'odio e la violenza non sono la soluzione dei problemi. Inoltre, incoraggio le iniziative e gli sforzi di quanti stanno cercando di ottenere una tregua e di promuovere il negoziato. Esorto anche le Autorità di entrambe le Parti ad adottare decisioni coraggiose in favore della pace e a porre fine a un conflitto con ripercussioni negative in tutta la Regione medio-orientale, travagliata da troppi scontri e bisognosa di pace e di riconciliazione.

* * *

E adesso, rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli delle parrocchie di San Giovanni Bosco, in Altamura e di San Michele Arcangelo, in Bono; ai rappresentanti della Clinica Odontoiatrica dell’Università degli Studi di Milano e all’Associazione musicale Giacomo Puccini, di Cave. Grazie per la musica.
Saluto con affetto i malati, gli sposi novelli e i giovani, specialmente gli alunni della Scuola Beata Maria Cristina Brando, di Casoria. Domenica prossima, ultima del Tempo ordinario, celebreremo la solennità di Cristo Re dell’universo. Cari giovani, ponete Gesù al centro della vostra vita, e da Lui riceverete luce e coraggio in ogni scelta quotidiana. Cristo, che ha fatto della Croce un trono regale, insegni a voi, cari malati, a comprendere il valore redentivo della sofferenza vissuta in unione con Lui. A voi, cari sposi novelli, auguro di riconoscere la presenza del Signore nel vostro cammino matrimoniale, così da partecipare alla costruzione del suo Regno di amore e di pace.
Oggi, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, si celebra la Giornata per le Claustrali. Alle sorelle chiamate dal Signore alla vita contemplativa, desidero assicurare la speciale vicinanza mia e dell’intera Comunità ecclesiale. Rinnovo, al tempo stesso, l’invito a tutti i cristiani affinché non facciano mancare ai monasteri di clausura il necessario sostegno spirituale e materiale. Tanto dobbiamo, infatti, a queste persone che si consacrano interamente alla preghiera per la Chiesa e per il mondo! Grazie.

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