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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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16/05/2009 22:07
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Da "GIORNO/RESTO/NAZIONE" di sabato 16 maggio 2009

L`ANALISI

EBREI E MUSULMANI INCONTENTABILI: MA PIÙ DI COSÌ NON POTEVA FARE

di BRUNO VESPA

La CITTÀ palestinese di Hebron è a tre quarti d`ora d`auto da Gerusalemme.
Dopo la guerra del `67, Israele l`ha ripresa - l`aveva persa nel `29 - e vi ha piazzato alcuni insediamenti di coloni.
I coloni saranno cinquecento, protetti da millecinquecento soldati, ma nella «zona rossa» in cui alloggiano hanno fatto il deserto costringendo la popolazione palestinese di trentamila persone, nell`unica ala del suk rimasta aperta, a proteggersi con una rete per evitare il lancio di pietre dai palazzi abitati dagli ebrei. Hebron è un caso limite in cui storicamente israeliani e palestinesi si sono massacrati a vicenda.
E quando ci sarà la pace, se mai ci sarà, questi coloni saranno allontanati, come mi ha detto lo stesso presidente d`Israele, Shimon Peres.
Ma lo scambio di accuse tra i dirigenti politici delle due parti ha paralizzato per ora ogni dialogo.
Si capisce dunque come fosse importante e delicata la visita del Papa in Israele e in Palestina.
Eppure, invece di focalizzarsi su una missione impostata da Benedetto XVI con esemplare chiarezza, gli israeliani e anche i palestinesi hanno cominciato a fargli gli esami.
DOPO le sciagurate affermazioni negazioniste del vescovo Williamson, lefebvriano riammesso nella comunità ecclesiale, papa Benedetto XVI era infatti atteso al varco.
Avrebbe sorvolato sulla negazione della Shoah? Avrebbe citato il numero degli ebrei sterminati?
Bene, appena sbarcato all`aeroporto di Tel Aviv, il papa si è detto lieto di poter «onorare la memoria di sei milioni di ebrei vittime della Shoah» e l`indomani, dopo l`omaggio al mausoleo della Yad Vashem che li ricorda, ha ribadito che l`Olocausto «non deve essere negato, sminuito o dimenticato». Chiusa la pratica? Niente affatto.
I quotidiani più importanti di Gerusalemme hanno sparato a zero sul Papa giudicando largamente insufficiente il suo discorso.
Il giorno stesso ho incontrato Peres.
Gli ho ripetuto le frasi del Papa e il commento dei giornali e gli ho chiesto: ma insomma, che cosa vuole l`opinione pubblica israeliana? Lui, gran volpone, ha fatto come fanno i politici da noi: non confonda, mi ha risposto, l`opinione pubblica con qualche giornalista.
Per dimostrare tuttavia quanto sia profonda la prevenzione nei confronti di Benedetto XVI, cito ancora The Economist di ieri.
Giudicando «disastroso» sul piano delle pubbliche relazioni il viaggio pontificio, il settimanale contesta al Papa di avere usato a proposito delle vittime ebree del nazismo la parola «uccise» invece che «assassinate».. .
PECCATO che il giornale inglese fosse già stampato quando ieri, lasciando Israele, il Papa ha parlato di «brutale sterminio da parte di un regime ateo».
Basterà?
La dietrologia è una delle materie in cui sono meno preparato, ma mi viene il sospetto che tanta malafede di giornali e giornalisti di così alto livello nasconda il proposito di delegittimare l`azione della Chiesa nella sua missione planetaria in favore della pace.
I cattolici sono soltanto il venti per cento nel mondo, eppure nessun capo religioso ha mai avuto un`influenza così alta sulle vicende più delicate e nessuna diplomazia come quella vaticana ha avuto e ha un peso così sproporzionatamente superiore alla sua forza materiale.
A Betlemme Benedetto XVI ha usato parole durissime contro il muro di 670 chilometri che divide Israele dai territori palestinesi, ha chiesto una patria sicura e indipendente per quattro milioni di profughi, ha battuto sul tasto dei «due popoli in due Stati».
EPPURE Al Jazeera, che rappresenta la bibbia per milioni di musulmani, lo ha criticato perché Benedetto, com`è giusto, ha detto che la religione non deve essere strumentalizzata per battaglie che con essa non hanno niente a che fare.
Un riferimento indiretto ad Al Qaeda, certamente più popolare presso tanti musulmani del papa di Roma.
Questo è certo un caso limite, ma a ben vedere, al di là delle parole sinceramente amichevoli di Abu Mazen, la nomenklatura palestinese non si è spellata le mani ascoltando il discorso -pure di una chiarezza esemplare -pronunciato dal Papa nel campo profughi di Aida a Betlemme.
Che cosa si vuole dunque dalla Chiesa? Quello che la Chiesa non può fare: tacere o prendere parte per gli uni contro gli altri.

© Copyright La Nazione, 16 maggio 2009


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