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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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16/05/2009 21:43
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Dal blog di Lella...

"Io rabbino sto con Ratzinger"

di Vincenzo Faccioli Pintozzi

[16 maggio 2009]

David Rosen è un uomo colto, di fede religiosa profondissima e di altrettanto profondo impegno al dialogo. Ex rabbino capo di Israele, che ha guidato dal 1978 al 1985, ha preso in passato posizioni nette contro l'antisemitismo crescente, che combatte da sempre.
È anche il religioso che ha tenuto la mano a Benedetto XVI mentre - con un imam palestinese dall'altro lato - veniva intonato a Nazareth un salmo per la pace interreligiosa in Terra Santa. Lontano da posizioni ideologiche, rabbi Rosen è il direttore del Dipartimento per gli affari interreligiosi del Comitato degli ebrei americani. Da anni si spende per il dialogo con le altre confessioni, che riesce a vedere con occhio critico ma non ostile. A liberal spiega cosa il pontefice ha lasciato a Israele, prendendo posizione lontano dalle polemiche che hanno accompagnato la visita del vescovo di Roma.

Rabbino, qual è la sua impressione sul primo viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa?

Prima di tutto, soprattutto dopo l'incontro interreligioso che si è svolto a Nazareth e il grande successo che l'ha accolto, credo che il papa abbia dimostrato senza ombra di dubbio il suo rispetto per la popolazione ebraica e l'impegno che dedica a un vero dialogo fra le nostre due religioni. Inoltre, Benedetto XVI ha espresso la sua comprensione per le pene subite dal nostro popolo e per le antiche tradizioni di Israele. Pensa sia possibile un paragone con Giovanni Paolo II? Ovviamente, il predecessore dell'attuale pontefice è impossibile da inquadrare in un contesto di "gara"con chiunque altro. Era un esempio di umanità unico nel suo genere. Chi cerca di mettere i due papi uno davanti all'altro compie un errore: credo che sia più giusto, invece, osservarli entrambi sotto due ottiche diverse, come si deve fare in questi casi. A me, personalmente, piacciono entrambi: hanno avuto caratteristiche diverse, ma positive. E credo che la popolazione ebraica la pensi come me.

Cosa pensa delle parole pronunciate dal papa al presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, e la vicinanza dimostrata alla causa del suo popolo?
Crede sia stato più vicino a loro che a Israele?

Quando hai a che fare con una popolazione che soffre e che lotta per la sua indipendenza, provi un trasporto emotivo che ti porta a pronunciare frasi con un calore diverso da quello che avevi un attimo prima. Le parole pronunciate da Benedetto XVI ai leader palestinesi e ai profughi sono parole che, come è chiaro a tutti, condannano la guerra. E denunciano i pericoli che derivano da essa, così come la tentazione a cedere alla violenza. In questo modo, ha ricordato ai palestinesi che ci sono dei problemi anche all'interno delle loro fila, dei problemi che devono essere risolti se si vuole arrivare a una soluzione del conflitto.

Secondo lei, che peso ha avuto l'appello ai "due popoli, due Stati" nella Terra Santa?

Io credo che questa sia la soluzione che tutti coloro che vivono in questa regione vogliono. La vogliono gli israeliani e i palestinesi, così come buona parte della comunità internazionale. In tutta onestà, sono convinto che questa sia la soluzione cui tende anche il nostro primo ministro, Benjamin Netanyahu. Ritengo che, se non si arriva a una pace costruita su questo principio, il primo ad essere in pericolo sia lo stesso Stato di Israele.

Fra i vari luoghi santi di queste terre, il papa ha visitato anche il Cenacolo. C'è una lunga battaglia legale fra Israele e il Vaticano per il controllo di questi siti. Qual è la sua posizione in merito?

Ci sono due questioni separate, al riguardo. L'Accordo fondamentale, firmato alla fine del 1993, che regola le proprietà della Chiesa e i beni naturali dei cristiani. Io non credo che questo possa essere un ostacolo insormontabile: dobbiamo parlare con onestà, certo, ma se ne può uscire. Quello del Cenacolo è un problema diverso, dato che è finito anche per le mani dell'allora Impero Ottomano, che lo ha poi ripartito. Cambiare lo status quo [il complicato sistema di norme reliche regola l'accesso, la manutenzione e la gestione dei luoghi santi ndr] è un problema molto serio per Israele.

Sono state mosse molte critiche alla visita del papa allo Yad Vashem: si cercava forse un attacco più forte contro i negazionisti. Crede che siano critiche fondate?

Chi ha criticato Benedetto XVI lo ha fatto perché si aspettava parole più calorose riguardo una tragedia simile, anche alla luce di quanto il vescovo di Roma aveva detto nel corso della sua visita al campo di sterminio di Auschwitz avvenuta tre anni fa. Ma si tratta di commenti molto limitati, perché la semplice presenza del pontefice in luoghi del genere, e le sue sincere parole di condanna nei confronti di chi rinnega l'Olocausto, sono stati avvenimenti estremamente significativi. Chi ha fatto riferimento alle sue origini tedesche sembra essere inchiodato alla nostra storia. Personalmente disapprovo questo modo di pensare.

Dal suo punto di vista, che cosa pensa la società israeliana contemporanea di Benedetto XVI?

È molto difficile parlare della popolazione israeliana. Le posso rispondere con una vecchia barzelletta: prendi due ebrei e avrai tre opinioni, prendi due israeliani e ne avrai sei. Ma, a parte gli scherzi, ci sono molte anime in Israele: è difficile rispondere. Ovviamente, il papa "paga" dal punto di vista di immagine alcune situazioni spiacevoli avvenute prima della sua visita. Penso, ad esempio, al caso del vescovo Williamson [il presule lefebvriano che il papa ha perdonato, sanando lo scisma della Fraternità S. Pio XI, che ha posizioni negazioniste rispetto all'Olocausto nda]. Tuttavia, credo che a livello generale l'impatto sia stato positivo.

Questo pontefice ha un carisma diverso, come detto, dal proprio predecessore. Dal punto di vista del dialogo interreligioso, però, si spende molto. Lei cosa ne pensa? Quali sono i veri passi da intraprendere per un vero confronto fra le tre grandi religioni di Terra Santa?

Negli ultimi tempi, abbiamo visto due incontri interreligiosi che si sono dimostrati radicalmente differenti. Il primo, a Gerusalemme, è stato rovinato da un religioso musulmano che ha attaccato Israele in maniera violenta - snaturando così la natura dell'avvenimento - e sottolineando la difficoltà di mettersi in relazione con chi, alla fede, preferisce l'ideologia. L'altro, quello di Nazareth, ha riunito cristiani ed ebrei, musulmani e drusi in un'atmosfera di pace. Tutti insieme, in uno spirito di vera amicizia e di cooperazione. Leader religiosi che hanno colto l'occasione della visita di Benedetto XVI per parlarsi con sincerità. Questi due eventi dimostrano sia le difficoltà che i successi di incontri del genere. Le sfide sono antiche ma di attualità: lavorare insieme e costruire dei ponti, in modo particolare con i musulmani palestinesi. Ma, fino a che continuano i conflitti, compiere un'operazione del genere diventa molto difficile. In particolar modo in Cisgiordania e a Gaza. Ma sono relazioni cruciali, anche da un punto di vista di percezione psicologica. Dobbiamo diventare amici, se vogliamo la pace.

© Copyright Liberal, 16 maggio 2009


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