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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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16/05/2009 15:52
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Il cardinale Tarcisio Bertone: i gesti del Papa, un invito alla speranza. Interviste con il cardinale Ennio Antonelli e padre Samir Khalil Samir


Uno dei principali accompagnatori del Pontefice, nei giorni del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è stato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ecco il suo commento al microfono del nostro inviato, Roberto Piermarini:

R. - La parola del Papa, i gesti del Papa, sono stati per tutti un esempio di incoraggiamento, di speranza e di dialogo. Con obiettivi concreti, il Papa ha focalizzato piste concrete, direzioni fondate sul comandamento dell’amore, che è la parola comune di cristiani, di ebrei e di musulmani. Tutti speriamo che il Papa - e tutti i suoi collaboratori, nei loro distinti ruoli e nella loro missione, che è una missione di pace alla sequela del Papa - portino frutti abbondanti e stabili in questa regione.


D. - Dovrà portare frutti anche per quanto riguarda la Commissione per gli Accordi fondamentali, visto che sono molti anni che non riesce a decollare…


R. - Il colloquio con il capo del governo Netanyahu è stato molto positivo e ha toccato punti concreti con impegni concreti. Quindi, speriamo di decollare e anche in questo di raggiungere gli obiettivi che tutti ci aspettiamo.


D. - Eminenza, si torna dalla Terra Santa sempre con una forte emozione. Qual è l’aspetto che ricorda con maggiore intensità, lei personalmente, di questo pellegrinaggio?


R. - Pensiamo soprattutto a Betlemme - non dico solo Betlemme nei Territori palestinesi, ma Betlemme luogo della nascita del Figlio di Dio fatto uomo. Pensando a tutti i bambini del mondo, ricordo la visita all’ospedale pediatrico: in quel momento ho pensato un po’ al futuro che attende tutti i bambini e i giovani del mondo e credo che tutti abbiamo pregato per loro. Tutti vogliamo costruire un mondo senza muri, senza violenza, dominato dal comandamento dell’amore, e preparare un futuro di pace e di serenità per tutti i bambini e i ragazzi del mondo.


I giornali di tutto il mondo hanno ripreso e commentato i molti discorsi pronunciati da Benedetto XVI nei giorni del suo pellegrinaggio. Padre Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane e docente di Islamistica alla Saint Joseph University di Beirut, ritiene che con la sua presenza e le sue parole improntate alla pace il Papa abbia potuto incidere in profondità nella realtà del Medio Oriente. Le sue impressioni al microfono di Luca Collodi:

D. - A me sembra che sia così, perché il Santo Padre è riuscito a dire la parola di verità e di buon senso, a promuovere un progetto basato sulla giustizia, sui bisogni di ogni essere umano. Un progetto in sintonia con il desiderio di israeliani palestinesi, espresso in termini di pace, di dialogo, di giustizia, di sicurezza. Nessuno ha potuto tirare a sé l’opinione del Papa, perché lui cerca di proporre un progetto di pace basato sulla giustizia e sul diritto.


D. - Padre Samir, un altro aspetto molto importante per il futuro di pace della Terra Santa ruguarda il ruolo delle religioni. Il Papa ha detto chiaramente “no” all’uso violento della religione. Non è la prima volta che lo dice, ma lo ha ripetuto in maniera forte in Terra Santa. Anche questo è un altro elemento fondamentale…


R. - E’ il fondamento di tutto il suo Pontificato. L’ha ripetuto in Giordania, sotto tutte le forme, soprattutto a Madaba ed alla Grande Moschea, e l’ha ripetuto in Israele, in Palestina, ovunque. Il Papa, già dal Monte Nebo, ha detto: da una parte i tre monoteismi hanno in comune tante cose, dall'altra però c'è il rischio che la religione sia corrotta da altri desideri: dalla politica, dalle ideologie nuove e vecchie, usandola per la politica, usandola per la violenza. In fin dei conti, si rifà al discorso che afferma che senza la ragione non ci sarà mai pace e che la religione ha questo scopo: unita alla ragione, può offrire una strada a tutti i popoli, una strada di pace nella giustizia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Giovedì scorso, durante la Messa celebrata presso il Monte del Precipizio a Nazareth, il Papa ha benedetto, al termine della celebrazione, la prima pietra per il Centro internazionale della famiglia, che sorgerà nella città dell’Annunciazione. Il nostro inviato, Roberto Piermarini, ha chiesto al cardinale Ennio Antonelli, presidente del , quali siano le finalità del nuovo Centro:

R. - Si tratta di una casa di accoglienza, che sarà destinata sia alle famiglie della Terra Santa, per momenti di spiritualità, sia alle famiglie che vengono in pellegrinaggio da ogni parte del mondo, ugualmente per momenti forti di spiritualità, e sia anche per gli operatori della Pastorale familiare per corsi brevi, esperienze, itinerari di formazione intensiva. Lo spazio non è molto, quindi per l’alloggio è prevista una cooperazione con altre strutture vicine. La casa è stata voluta da Giovanni Paolo II, e il cardinale Lopez, mio predecessore, si è dato da fare per raccogliere i primi fondi per fare un progetto di massima. Adesso si tratta di continuare questo lavoro, sia raccogliendo ulteriori fondi e sia anche rivedendo il progetto per adattarlo bene alla situazione attuale. Si tratta anche di affidare il tutto, la costruzione e la gestione, a qualche soggetto ecclesiale, che dia assoluto affidamento, in modo che la Santa Sede possa fare una convenzione con questa realtà ecclesiale.


D. - Perché è stata scelta qui in Terra Santa, proprio Nazareth?


R. – E’ intuitivo, perché Nazareth vuol dire Santa Famiglia e vuol dire anche protezione per tutte le famiglie e modello per tutte le famiglie cristiane del mondo, vuol dire luogo di inesauribile ispirazione.


D. - In questo viaggio in Terra Santa, ha sentito le necessità, le difficoltà che vivono le famiglie?


R. - Certamente, le difficoltà sono grandi. La cosa che mi ha colpito di più è stata la ricchezza di iniziative dei francescani, del Patriarcato latino, degli altri Patriarcati, per aiutare le famiglie. Per esempio, costruzioni di nuovi alloggi dati, o gratuitamente o a modico affitto, alle famiglie, perché possano avere una casa, perché possano rimanere più facilmente in questo Paese, da dove tanti cristiani sono già partiti per emigrare in altre parti del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







Padre Lombardi: viaggio del messaggio e dell'ascolto


Sul messaggio lasciato dal Papa alla Terra Santa ecco la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il messaggio che il Papa ha dato è stato un messaggio molto corrispondente a quello che egli aveva annunciato, un messaggio di pace, con molte sfaccettature diverse: pace fra gli Stati, pace fra le diverse religioni, pace fra i diversi riti della Chiesa cattolica e le diverse confessioni cristiane. Però, non è stato solo il viaggio del messaggio del Papa, che parla agli altri, ma è stato molto un viaggio del Papa che ascolta. Benedetto XVI è una persona che ascolta molto, con molta attenzione. Le persone che incontra sono persone che egli ascolta, da cui egli riceve molto. Ebbene, in questo viaggio lui ha ascoltato tantissimo. Ha ascoltato gli uomini politici di tre Stati differenti: la Giordania, Israele e i Territori palestinesi, con le loro tensioni; uomini religiosi, di tre religioni differenti, gli ebrei, i rabbini, i muftì, i capi musulmani in Giordania, in Israele e nei territori, i cristiani dei diversi riti, con i loro problemi differenti, delle diverse confessioni. Un ascolto continuo, ricchissimo, fatto con grande pazienza e con grande attenzione. E questo gli ha dato, credo, una grande esperienza, molto profonda, di cosa è la realtà umana e spirituale della Terra Santa e quindi qual è poi la profondità a cui si deve porre il cammino di pace, come ricerca di dimensioni, di ascolto, di intesa e di dialogo spirituale, culturale, sociale, politico e così via. Quindi, viaggio del messaggio e viaggio dell’ascolto. Queste sono le due dimensioni fondamentali, che mi sembra risultino, per quanto riguarda il Papa e il modo in cui ha camminato.

D. – Un pellegrinaggio sulle orme di Gesù qui in Terra Santa, ma anche un pellegrinaggio ai santuari delle altre due religioni monoteiste…

R. – Esattamente. Il Papa è venuto qui, come vengono tutti i cristiani, tutti i credenti, per ritrovare i luoghi fondamentali della nostra fede. Questo, però, è rimasto molto discreto, quasi sottotraccia, quasi meno evidente, perchè non era l’aspetto che richiamava di più l’attenzione del grande pubblico, della stampa internazionale. Il Papa è stato anche pellegrino ai luoghi santi delle altre grandi religioni con cui parlava: è stato a Yad Vashem, è stato al muro occidentale, è stato nella moschea in Giordania, è stato nella Cupola della Roccia. Quindi, è andato proprio in quei luoghi per i quali egli chiede per tutti la libertà di accesso. Il Papa, e la Chiesa, chiede anche lo statuto speciale per Gerusalemme e la possibilità di libero accesso ai luoghi santi delle tre religioni. Il Papa è stato pellegrino ai luoghi santi delle tre religioni. Direi che ha dato un grande esempio di che cosa vuol dire anche atteggiamento di dialogo interreligioso.

D. – Soprattutto, nella stampa araba ha colpito molto il coraggio di questo Papa nel suo incontro con il popolo palestinese...

R. – Certamente, credo anch’io che sia stato un viaggio di coraggio e di speranza allo stesso tempo. Il Papa era consapevole di venire in una situazione ricca di tensioni. Non è un momento facile per il Medio Oriente, per la Terra Santa e per Gerusalemme. Il Papa lo sapeva molto bene e ci si era anche domandati se era opportuno che egli venisse. Però, come già il suo predecessore, tutte le volte in cui ci sono stati dei dubbi e le persone prudenti, e anche ben intenzionate, dicevano: “Ma no, abbiamo prudenza, rimandiamo...” ha scelto nella direzione del coraggio, che è un coraggio cristiano, che è una testimonianza di fede e di speranza e mi pare proprio che abbia avuto ragione, perché poi il suo messaggio passa, il suo messaggio viene capito come un messaggio di amore, di speranza e di pace. Il Papa nei territori palestinesi ha ribadito delle linee che non sono particolarmente nuove, sono quelle della linea della Santa Sede sui temi delle vie con cui trovare la pace nella giustizia in queste terre. Dire, però, queste cose, davanti al muro, dirle nel campo dei rifugiati, dirle incontrando anche gli uomini politici d’Israele non è facile, ma i discorsi del Papa sono stati sempre estremamente equilibrati e quindi accettabili e rispettati dall’una e dall’altra parte. Egli ha sempre detto che si deve cercare veramente la pace e la riconciliazione per tutti, per l’una e per l’altra parte.

D. – Quale messaggio lascia Benedetto XVI alla Chiesa locale della Terra Santa?

R. – L’incontro con la Chiesa locale è diventato sempre più evidente, soprattutto negli ultimi giorni: il giorno di Betlemme e il giorno di Nazareth, con le grandi celebrazioni, e quella di Gerusalemme, la sera prima, che ne è stata un’introduzione. Direi invece che la Messa di Betlemme e la Messa di Nazareth sono state delle grandi feste, grandi. Non c’erano mai state. Sono state anche più grandi di quelle avvenute con Giovanni Paolo II. Questa è una cosa da osservare: Giovanni Paolo II era il primo Papa che apriva certe vie, il primo che andava al Muro del Pianto, il primo che andava nella moschea e così via. Quindi, Benedetto XVI non aveva l’effetto novità che poteva avere Giovanni Paolo II, però ha confermato una continuità, l’andare avanti sulla stessa linea. E per quanto riguarda la Chiesa va avanti anche con questi grandi momenti di festa e di celebrazione comune, numerosa, per delle comunità che sono in minoranza e che si sentono piccole, povere e disperse. Quindi, credo un momento di grande fiducia, vissuto dalle comunità cristiane locali, che è proprio quello che il Papa desiderava dare loro: una fiducia garantita dalla fede, evidentemente, ma anche con quella esperienza umana e cristiana dell’essere insieme nella celebrazione, che segna con questa esperienza vissuta e visibile una tappa di speranza che cresce.



[Radio Vaticana]

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