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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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15/05/2009 17:51
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Discorso del Papa al termine del suo viaggio in Terra Santa


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI nel corso della cerimonia di congedo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

* * *

Signor Presidente,

Signor Primo Ministro,

Eccellenze, Signore e Signori,

Mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me. Ho avuto fruttuosi colloqui con le Autorità civili, sia in Israele, sia nei Territori Palestinesi, e ho constatato i grandi sforzi che entrambi i Governi stanno compiendo per assicurare il benessere delle persone. Ho incontrato i Capi della Chiesa cattolica in Terra Santa e mi rallegro di vedere il modo in cui lavorano insieme nel prendersi cura del gregge del Signore. Ho anche avuto la possibilità di incontrare i responsabili delle varie Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché i capi di altre religioni in Terra Santa. Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto.

Signor Presidente, Lei ed io abbiamo piantato un albero di olivo nella Sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele. L’albero di olivo, come Ella sa, è un’immagine usata da San Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra Cristiani ed Ebrei. Nella sua Lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei Gentili sia come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell’albero di olivo buono che è il Popolo dell’Alleanza (cfr 11, 17-24). Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.

La cerimonia al Palazzo Presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti. Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.

Signor Presidente, La ringrazio per il calore della Sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo Paese da amico degli Israeliani, così come sono amico del Popolo Palestinese. Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la "two-State solution" (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere "luce per le Nazioni" (Is 42,6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.

Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor Presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il Suo compito e quello dell’Autorità Palestinese. Ma Le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo La accompagnano mentre Ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.

Mi resta solo da esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito in modi diversi alla mia visita. Sono profondamente grato al Governo, agli organizzatori, ai volontari, ai media, a quanti hanno dato ospitalità a me e a coloro che mi hanno accompagnato. Siate certi di essere ricordati con affetto nelle mie preghiere. A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi. Shalom!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Il viaggio di Benedetto XVI è stato un successo?
di padre Thomas D. Williams, LC*


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Seguendo la cronologia dell'infanzia di Gesù, questo giovedì l'attenzione si è spostata dalla città natale di Betlemme a Nazareth. Alle prime luci dell'alba, Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme in elicottero e si è recato nella terra in cui Gesù ha trascorso la maggior parte della sua vita terrena, dall'infanzia fino all'età di circa 30 anni.

Nell'omelia della Messa che ha celebrato al mattino, il Papa ha ricordato a quanti lo ascoltavano che Nazareth è anche il luogo dell'Annunciazione – dove l'angelo Gabriele proclamò a Maria che sarebbe stata la madre del Messia, e dove il Verbo si è fatto carne.

Nazareth è il luogo in cui Gesù ha imparato il mestiere di falegname da Giuseppe. Accanto a questo, ha spiegato il Santo Padre, “imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro”.

Nazareth era anche la città natale di Maria, e il Papa ha colto l'occasione per approfondire, per la seconda volta durante questo viaggio, l'importanza delle donne nella Chiesa e nella società. Nazareth, ha sottolineato, “ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti”.

Come madri di famiglia, come lavoratrici o nella vita consacrata, “le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno”, ha aggiunto.

Tutte queste riflessioni – e innumerevoli altre che il Papa ha offerto in questi giorni – portano a una necessaria conclusione. Anche se non lo si può capire da tanti resoconti, il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non è stato in primo luogo politico; è stato spirituale. Fin dall'inizio il Papa ha insistito nel definirlo “pellegrinaggio” piuttosto che “viaggio” o “visita”. E nonostante il suo aspetto fortemente pubblico, un pellegrinaggio ha sempre una dimensione intensamente personale. Il Papa è, in primo luogo e sopra ogni cosa, un credente cristiano, un discepolo del Signore Gesù.

Pensate un momento a ciò che deve significare per Benedetto XVI visitare la Galilea per la prima e probabilmente unica volta come Papa. La Galilea, dove San Pietro ha incontrato Gesù per la prima volta, dove è stato chiamato e ha lasciato tutto per seguirlo, non sapendo che sarebbe stato il primo Papa della Chiesa di Cristo e uno dei suoi primi martiri.

Pensate a cosa ha significato per lui in questi giorni trovarsi a Gerusalemme e visitare i Luoghi Santi. Gerusalemme, dove Gesù è stato rinnegato da Pietro, tradito da Giuda, dove ha istituito la Santa Eucaristia e ha dato la vita per noi sulla croce. Gerusalemme, dove Gesù è risorto dai morti ed è asceso al cielo.

Il Santo Padre è un uomo profondamente spirituale, e desiderava compiere questo pellegrinaggio. E' il viaggio che ha desiderato più di ogni altro. Sotto le onde increspate di tante attività e opposizioni, c'è un luogo calmo come le profondità del mare in cui il Papa si ritira imperturbato, un luogo dove si trova da solo con Dio. Come Maria, serba tutte queste cose e le pondera nel suo cuore (cfr. Lc 2:19).

In questo contesto, percepiamo il pieno senso della splendida espressione di Sant'Agostino ai fedeli di Ippona: “Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano”. In Terra Santa Benedetto XVI è stato entrambe le cose. Per noi – in realtà per tutte le Nazioni e per tutti i popoli – è il Vescovo di Roma e Vicario di Gesù Cristo. E' un leader, un profeta di pace, un predicatore del Vangelo e un maestro delle Nazioni. Per noi, si prende cura del gregge di Cristo e conferma i suoi fratelli nella fede. Con noi Benedetto XVI è un semplice cristiano, un pellegrino che visita i Luoghi Santi e trae forza dalla grazia che è presente qui. Con lui ci meravigliamo davanti al mistero della Provvidenza di Dio e alla maestà delle sue opere.

In questi giorni mi è stato chiesto spesso se il viaggio del Papa sia stato un “successo”. Lo è stato senz'altro, ma non per le ragioni che molti si aspetterebbero. Sono sicuro che il Pontefice stesso risponderebbe che un cambiamento reale e duraturo – di quelli che contano – non è il risultato di programmi politici, argomenti ingegnosi o della capacità di guadagnarsi l'approvazione delle masse. E' l'opera della grazia di Dio nel cuore umano.

Benedetto XVI è arrivato come strumento di quella grazia e, come diceva San Francesco, come mezzo della pace di Dio. E' questo che è chiamato a fare, e come servo buono e fedele è proprio quello che ha fatto.



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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]









Il Papa: cristiani uniti, per portare il messaggio di riconciliazione
Incontro ecumenico al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme



GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'unità dei cristiani è un imperativo ancora più avvertito in Terra Santa, dove è necessario portare un messaggio forte di riconciliazione.

E' quanto ha detto in sintesi, questo venerdì, Benedetto XVI durante l’incontro ecumenico tenutosi al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, di fronte alle rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Ringraziando per l'invito il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, Benedetto XVI ha auspicato un nuovo slancio nel dialogo teologico bilaterale tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel suo insieme.

A questo proposito ha ricordato la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".

“Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione”, ha sottolineato il Papa.

“Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione, che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione”, ha poi affermato.

“Chiamati ad annunciare la riconciliazione”, ha detto, “noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre”.

E' “imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore”.

“Mi sembra – ha poi concluso – che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa”.

Il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme è una Chiesa ortodossa di tradizione bizantina che conta all'incirca 65 membri in tutta la Terra Santa e la cui successione apostolica si fa risalire fino a quel Giacomo “fratello” di Gesù, nominato da Paolo come una delle “colonne” della Chiesa, insieme a Pietro e Giovanni, e che fu Vescovo di Gerusalemme, dalla partenza di Pietro per Roma fino al martirio avvenuto durante la Pasqua del 62.

Il Patriarcato è stato istituito dal Concilio di Calcedonia nel 451, ed ha rotto i legami con Roma in occasione del Grande Scisma del 1054. Dal 1534, i Patriarchi di Gerusalemme sono tutti di origine greca, un fatto che ha provacato non poche tensioni con il clero di lingua araba.

Il Patriarcato è assistito da un Santo Sinodo di 18 membri, nominati dal Patriarcato stesso, ed eletto tra i membri di una confraternita monastica, la Fratellanza del Santo Sepolcro, istituita nel XVI sec.

Nella Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, la nomina o la destituzione di un Patriarca devono essere confermate dallo Stato d'Israele, dal regno di Giordania e dell’Autorità Palestinese.

Il Patriarca Teofilo III, di nazionalità greca, è stato eletto all'unanimità nuovo Patriarca durante il Sinodo dell'agosto 2005, in sostituzione di Ireneos I che il Sinodo pan-ortodosso di Costantinopoli aveva deposto dall'incarico il 24 maggio dello stesso anno, perché accusato di aver venduto segretamente immobili e terreni appartenenti al Patriarcato.






Il Papa fa sì che la pace risuoni in Terra Santa
Bilancio di padre Federico Lombardi


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, sostiene che Benedetto XVI abbia compiuto la missione che si era proposto di svolgere in Terra Santa: far sì che la pace risuoni nei vari angoli religiosi, sociali e politici.

"In quest'ultimo viaggio il Papa ha parlato molto di pace, come aveva promesso: trenta discorsi, un solo messaggio, che ridice, senza stancarsi, quest'unico tema, con innumerevoli variazioni: pace fra israeliani e palestinesi; pace fra ebrei, musulmani e cristiani; pace nella Chiesa, fra le confessioni e i riti; pace nella società e nella famiglia; pace fra Dio, l'uomo e le creature; pace nei cuori, nel Medio Oriente e nel mondo...pace, pace, pace", ha spiegato il sacerdote.

"Ha parlato molto, ma ha anche ascoltato, almeno altrettanto e forse più ancora", ha aggiunto facendo un bilancio per "Octava Dies", il settimana del Centro Televisivo Vaticano, di questa visita che dall'8 al 15 maggio ha portato il Santo Padre in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi.

"Benedetto è un Papa dell'ascolto - constata il portavoce vaticano -. Quante persone gli hanno parlato, quante cose gli hanno detto, con quanta passione, con quanta diversità di atteggiamento e di prospettive! Quanto è difficile fare la pace, soprattutto nel punto cruciale di ogni tensione: Gerusalemme!".

Secondo padre Lombardi, "il Papa ha fatto dunque un pellegrinaggio nei luoghi, ma ancor più nei cuori. E non è passato solo nei luoghi più santi del cristianesimo, ma anche in quelli dell'ebraismo e dell'Islam: Yad Vashem, il Muro del pianto, la Cupola della roccia. Ha fatto suoi i sentimenti di tutti i pellegrini delle tre religioni per i quali chiede l'accesso ai luoghi santi. Un Papa cristiano, ma un Papa per tutti, al disopra delle divisioni. Un esempio da seguire".

Il portavoce vaticano ricorda che "quando Giovanni Paolo II era stato in Terra Santa, il nuovo Muro non esisteva. Anche qui dunque è venuto coraggiosamente il nuovo Papa pellegrino, per chiedere a Dio e agli uomini che i muri di divisione si abbattano, a cominciare da quelli che chiudono e dividono i cuori. 'Mai più spargimento di sangue! Mai più terrorismo! Mai più guerra!'".

"Con questo grido termina il pellegrinaggio della speranza, in un momento cruciale per l'avvenire della pace nella Terra Santa. Il Papa ha fatto tutto quello che poteva e continuerà a farlo. Dio accompagni ora tutti gli sforzi degli operatori di pace, religiosi, civili e politici", ha concluso.






Benedetto XVI si congeda dalla Terra Santa
Auspica che “la soluzione di due Stati divenga realtà”

di Roberta Sciamplicotti


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Dopo una mattinata densa di incontri importanti soprattutto per il dialogo ecumenico, Benedetto XVI si è congedato questo venerdì dalla Terra Santa al termine di una settimana ricca di eventi memorabili.

Dopo aver salutato la Delegazione Apostolica di Gerusalemme, si è recato in auto all’eliporto di Mount Scopus, da dove è partito in elicottero alla volta di Tel Aviv.

Al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion, è stato accolto dal Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e dal Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, che lo hanno salutato calorosamente. La banda e il picchetto militare d'onore hanno fatto da sfondo alla cerimonia di congedo.

Prima dei discorsi ufficiali, varie personalità hanno salutato il Papa: i Ministri del Governo israeliano, leader militari ed esponenti delle varie religioni, i responsabili della copertura stampa e il direttore dell'El Al, la compagnia aerea israeliana che ospiterà il Pontefice nel suo rientro a Roma. Era presente anche il Custode di Terra Santa, il sacerdote francescano Pierbattista Pizzaballa.

Nel suo discorso di congedo, il Pontefice ha ricordato i tanti incontri che hanno costellato il suo pellegrinaggio, da quelli con le autorità civili israeliane e palestinesi a quelli con i capi della Chiesa cattolica e delle varie Chiese cristiane.

“Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto”, ha affermato.

Il Papa ha quindi parlato dei rapporti ebraico-cristiani, sottolineando che i membri delle due religioni traggono nutrimento “dalle medesime radici spirituali” e che nonostante le tensioni del passato sono ora “fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia”.

“Uno dei momenti più solenni” della settimana in Terra Santa, ha proseguito Benedetto XVI, è stata la visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem, che gli ha riportato alla mente la visita ad Auschwitz, il 28 maggio 2006, dove milioni di ebrei “furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio”.

“Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato”, ha dichiarato.

Ricordando di essersi recato in Israele “da amico degli Israeliani, così come sono amico del popolo palestinese”, il Papa ha affermato che “nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli”.

Per questo, ha lanciato un forte appello alla pace: “Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra!”.

“Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti – ha continuato –. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la 'two-State solution' (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno”.

Definendo il muro di separazione “una delle visioni più tristi” del suo viaggio, il Papa ha auspicato che in futuro le popolazioni della Terra Santa “possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione”.

Nel suo discorso al Pontefice, il Presidente israeliano Peres lo ha ringraziato per la visita che ha compiuto in Israele, definendola un “esempio dell'esercizio dei valori spirituali” e dicendosi certo che contribuirà al buon andamento dei rapporti tra Israele e la Santa Sede.

Il Capo di Stato ha confessato di aver apprezzato particolarmente le parole pronunciate da Benedetto XVI visitando lo Yad Vashem, quando ha esortato a non dimenticare mai la Shoah, e ha sostenuto che le dichiarazioni papali hanno toccato “il cuore e la mente” degli israeliani.

Esprimendo la propria condanna per il fanatismo religioso, Peres ha aggiunto di sperare che la leadership spirituale del Papa aiuterà a capire che Dio non è il Dio del terrorismo, ma della pace e della tolleranza, e che getterà “ponti di comprensione e dialogo” perché si possa vivere in un futuro “una vita senza paure, una vita senza lacrime”.

Sotto il soffio di una brezza che faceva volare la berretta dei Cardinali e Vescovi del seguito papale, la banda ha poi eseguito l'inno vaticano, seguito da quello israeliano.

Dopo aver salutato il Presidente Peres e il premier Netanyahu, stringendo a lungo le mani di entrambi e baciando sulle guance il Capo di Stato, Benedetto XVI è quindi salito a bordo di un B777 della El Al, che ha decollato poco dopo alla volta di Roma.





Il Papa incontra il Patriarca armeno-ortodosso Torkom II
Nella Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme

di Roberta Sciamplicotti


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, Sua Beatitudine Torkom II Manoukian, avvenuto questo venerdì mattina a Gerusalemme, è stato un “ulteriore passo” fondamentale nel dialogo ecumenico.

La visita del Papa al Patriarca si è svolta nella sede della Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme, nel Monastero di San Giacomo, dove si erano riunite alcune centinaia di fedeli.

“Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli”, ha affermato il Papa nel suo discorso a Torkom II Manoukian.

Negli ultimi decenni si è verificata, “per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena”, ha sottolineato il Pontefice, ricordando come “una grande benedizione” il suo incontro dello scorso anno con il Catholicos e Supremo Patriarca di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I, la cui visita alla Santa Sede, insieme ai momenti di preghiera condivisi, “ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei cristiani”.

Il Pontefice ha voluto esprimere il suo apprezzamento “per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali”, dialogo che, “sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro”.

Un “particolare segno di speranza”, ha osservato Benedetto XVI, è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato.

“Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo”, ha auspicato.

Allo stesso modo, ha chiesto ai presenti di unirsi alla sua preghiera perché tutti i cristiani della Terra Santa “lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace”.

E' probabile che i primi armeni siano giunti a Gerusalemme al seguito dei romani nel I secolo a.C., ma lo stanziamento vero e proprio della comunità armena avvenne nel corso del V secolo, quando gruppi di pellegrini vi si insediarono stabilmente.

Il Quartiere Armeno occupa circa un sesto della Città Vecchia di Gerusalemme, l'estremità sud-ovest. Dopo aver raggiunto in passato un picco di circa 25.000 membri, la comunità è attualmente composta da 3.000 fedeli. Altri 2.000 vivono in altre zone della Terra Santa, soprattutto a Betlemme, Jaffa, Haifa, Ramleh e Ramallah. Il Quartiere Armeno di Gerusalemme viene chiuso la sera per riaprire alle prime luce dell'alba.

Il Patriarca Torkom II Manoukian è stato eletto nel 1990 ed è il 96° successore del Patriarca Armeno di Gerusalemme.

Anche Giovanni Paolo II incontrò il Patriarca durante il suo viaggio in Terra Santa, il 26 marzo 2000.

“Possa la nostra amicizia essere come una preghiera che sale a Dio come incenso, come il profumo del sacrificio della sera offerto sulla Croce dal suo Figlio prediletto!”, auspicò in quell'occasione, confessando di sentirsi nel Patriarcato “un fratello tra fratelli che insieme cercano di costruire la Chiesa di Cristo”.

Il Patriarcato Armeno di Gerusalemme è uno dei tre custodi dei Luoghi Santi cristiani in Terra Santa, insieme al Patriarcato Latino e a quello Greco-Ortodosso. E' sottoposto all'autorità del Catholicos dell'Armenia e di tutti gli armeni, attualmente Karekin II.

La Chiesa Apostolica Armena è infatti caratterizzata da due Catholicosati: quello di Etchmiadzin (in Armenia), residenza di Karekin II, e quello di Cilicia, con sede in Libano. I Catholicosati sono indipendenti a livello amministrativo ma in completa comunione.

Ci sono poi due Patriarcati, di Gerusalemme e di Costantinopoli, che dipendono dal punto di vista spirituale da Etchmiadzin. Il Patriarca di Costantinopoli è Mesrope II Mutafyan.

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