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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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15/05/2009 08:42
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Dal blog di Lella...

L’intervista: Shimon Peres traccia un bilancio della visita del Pontefice

«Benedetto XVI combatte la religione della violenza»

Il presidente d’Israele: voce chiara contro l’antisemitismo

Francesco Battistini

GERUSALEMME

Presidente, in Israele pensano che questo Papa sia stato troppo freddo. Che sia mancato il grande gesto...

«Non sono un critico teatrale. Credo che la cerimonia sia stata rispettosa. Quel che lei chiama mancanza di gesti, è una mancanza nell’organizzazione. Quando fai queste cose in pubblico, devi essere attento alla sensibilità delle altre persone. Certo, se il discorso dell’aeroporto l’avesse fatto a Yad Vashem, probabilmente sarebbe stato tutto diverso. Ma lui ha fatto un discorso forte al suo arrivo e così, il terzo della giornata, è sembrato una ripetizione».

Il regalo di Benedetto XVI è già su una credenza, oltre le poltrone. Questa mattina, il primo appuntamento di Shimon Peres è con quattro militari, un blocco d’appunti giallo e una parola sulla copertina: «Iran». La cronaca diventa subito storia, alla residenza di via Jabotinsky, e il bilancio sulla visita del Papa è da consegnare alla memoria: «Tutte le visite dei Papi in Israele sono più adatte agli storici che ai giornalisti. Benedetto XVI ha toccato i temi più profondi del nostro tempo. Il nuovo antisemitismo, una malattia che la gente deve saper trattare. Il Papa ha preso le distanze, una voce chiara. Anche se il nostro problema, oggi, è questa confusione su Dio».

Confusione?

«C’è voluto molto tempo per passare dagli idoli a un solo, invisibile Dio. Pochissimo, per far diventare Dio il capo del terrorismo. Tutti i terroristi parlano in nome di Dio. Abbiamo due dei: uno per la morte, l’altro per la pace. Oggi il problema non è distinguere fra Stato e Chiesa o fra ebrei, cristiani, musulmani. Serve una netta separazione fra violenza e fede. Non c’è spazio per la confusione e penso che questo Papa stia facendo il suo meglio, anche se purtroppo la gente non presta attenzione a tutto quel che dice. Il punto non è se sbaglia una parola. Il punto è il confronto quotidiano, non teorico, con questi temi. Non ci sono solo pirati che prendono le navi: ci sono Al Qaeda e l’Iran che lo fanno nel nome di Dio. E Dio non ha mai detto che la cosa migliore da fare sia produrre uranio ».

Col Papa, avete parlato anche delle proprietà della Chiesa: il Cenacolo sarà finalmente nella piena disponibilità dei cattolici?

«Ci sono sei luoghi, in Israele, di proprietà del Vaticano. Ci hanno chiesto di non confiscarli. Abbiamo consultato i nostri esperti biblici e promesso che non li confischeremo, a meno che ci siano pubbliche necessità. Esattamente come faremmo con le moschee».

I cristiani si sentono emarginati, qui...

«C’è un problema in tutto il Medio Oriente. I cristiani si sono ridotti dal 20 al 2 per cento. Stavano in 23 Paesi, oggi hanno perso la maggioranza in molti posti. Uno Stato cristiano, il Libano, è sparito. Molte scuole sono state chiuse. Noi abbiamo scelto di rispettare la libertà d’educazione: in Galilea, c’è un’università cristiana riconosciuta dal governo. Non siamo Ahmadinejad che va in giro con una mazzetta di soldi e compra tutto quel che è in vendita, dal Venezuela alla Bolivia. Non è questa la via: non hai bisogno d'una carta di credito, per credere in Dio».

Il Papa ha detto che ogni popolo deve stare nella sua casa: è la soluzione «due popoli, due Stati», che Netanyahu sembra osteggiare.

«Netanyahu non ha detto nulla. Neanche d’essere contro. Ha solo chiesto tempo. Il governo ha sempre sostenuto l’idea d’uno Stato palestinese, come il Papa e gli Usa. Ora possiamo discuterne, ma non dire che c’è un contrasto. Netanyahu andrà a Washington, non penso si cerchi un confronto aspro. Per quanto Israele sia preoccupato, l’amicizia con l'America è preziosissima. Dobbiamo capire che non siamo i leader nel mondo. E’ difficile essere modesti (ride), ma non abbiamo alternative. Considerata la nostra dimensione. L’Iran non è un problema d’Israele, è un problema mondiale. L’ho sentito dire anche da Putin e da Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no, Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l’unico leader del mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune, con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi. Ora dicono che Ahmadinejad deve fronteggiare un’opposizione. Ma guai a fare le previsioni del tempo, prima delle elezioni iraniane. C’è un proverbio cinese: se vuoi imparare a disegnare, disegna quand’è inverno. Senza fiori, gli alberi sono nudi. Bisogna guardare alle cose iraniane con occhio invernale».

Obama si prepara a fare uno «storico discorso » al mondo islamico. Temete un cambio di politica?

«C'è un club di gente che ha sempre paura, ma io non mi sono mai iscritto. I fanatici sono il nemico, non gli islamici. Non vogliamo la guerra. Viviamo in un mondo di differenze e oggi democrazia non è solo il diritto di essere uguali, ma l'eguale diritto di essere diversi. Se non permetti la qualità della differenza, non puoi avere democrazia. Loro hanno diritto d'essere diversi, come ce l'ho io».

Non è la posizione di Lieberman, il ministro antiarabo...

«Non conosco un governo che abbia fatto le cose promesse prima delle elezioni. Non lo dico in modo negativo: bisogna fare una coalizione coi partiti e poi con la realtà. Pensi a Begin. Diceva che non avrebbe mai ceduto il Sinai. Era sincero. Ma non poteva prevedere che una mattina Sadat avrebbe preso l'aereo e in un'ora sarebbe arrivato a Gerusalemme, cambiando il clima. I politici non possono voltare la schiena alla Storia. Non mi sarei mai immaginato che Sharon avrebbe accettato la soluzione dei due Stati, o lasciato Gaza. L'ha fatto. Le situazioni evolvono, non stanno nel freezer».

Ha citato Gaza. Quattro mesi dopo la guerra, tutto è uguale a prima: il blocco, i razzi...

«Gaza non è un problema israeliano, è un problema arabo. Israele hamesso limitimolto chiari a quell'attacco: abbastanza forte perché perdessero la voglia di spararci, non così forte da obbligarci a rimanere là. La guerra è una cosa complicata, a volte la situazione era impossibile: usavano ambulanze, moschee, bambini come scudi. La gente dimentica la differenza: quando la democrazia combatte il terrorismo, la democrazia è trasparente, il terrorismo è un mondo segreto. Non mi piace vedere la gente di Gaza morire. Ma non capiamo perché continuano a spararci. Dicono che siamo occupanti. Ma noi non siamo lì dentro. Può esistere un'occupazione platonica? ».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


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