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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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14/05/2009 22:43
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Dal blog di Lella...

Viaggio in Terrasanta La posizione vaticana sulla questione mediorientale non era mai stata affermata in maniera così netta

Il Papa: «I muri possono essere abbattuti»

Il Pontefice ai palestinesi: «Sì allo Stato indipendente». Peres: fermiamo le barriere

DAL NOSTRO INVIATO

Gian Guido Vecchi

BETLEMME

E’ un attimo, prima che s’alzi a parlare un tizio sposta il piccolo palco d’un metro, ecco, così l’inquadratura è perfetta: la figura bianca di Benedetto XVI che parla nel campo profughi Aida, alle spalle il muro colorato qua e là di dipinti e scritte («Voglio indietro la mia palla! Grazie») diventa l’immagine della giornata e forse del pellegrinaggio.
Anche perché «in un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte è tragico vedere che vengono tuttora eretti muri», scandisce il pontefice, e «il muro che incombe su di noi», quella colata di cemento alta otto metri «che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie» è l’immagine della «dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi». Il Papa tedesco di muri ne sa qualcosa, e si congeda da Betlemme con una speranza: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, tutti sanno che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti».
In sintonia con il pontefice, Shimon Peres, presidente israeliano: «Bisogna fermare l’uso delle armi e della violenza. Bisogna fermare i muri — ha detto in un’intervista all’Osservatore Romano, pubblicata oggi —. Nessuno in definitiva vuole i muri, di cui tutti pagano costi altissimi».
Nell’attesa la situazione è quella che è, «so quanto avete sofferto e continuate a soffrire» dice ad Abu Mazen che parla di «muro dell’apartheid». La posizione di Benedetto XVI e della Chiesa su queste «terre martoriate » non è mai stata affermata in modo così netto: «Signor presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti». E nel pomeriggio, davanti ai profughi, precisa che con «patria» intende «uno Stato palestinese indipendente ».
E’ una giornata di festa per le cinquemila persone che riescono ad assistere alla messa nella piazza della Mangiatoia, per i bambini dell’ospedale infantile della Caritas, per i profughi. Ma pure una giornata in cui, sospira il Papa, «ho visto con angoscia la situazione dei rifugiati che come la Sacra Famiglia hanno dovuto abbandonare le loro case».
Il Papa prega alla Grotta nella Natività e affronta tutte le questioni più urgenti. Chiede «una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi». Una soluzione che «non può essere che politica» ed esige un appoggio esterno: «Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli. E’ vitale il sostegno della comunità internazionale », purché «palestinesi e israeliani siano disposti a rompere il ciclo delle aggressioni».
Hamas si dice «delusa», c’è chi lamenta non abbia parlato di «occupazione», ma tra i rifugiati c’è soddisfazione perché ha nominato la parola «muro» e per la citazione (peraltro neutra) degli «eventi del maggio 1948», la nascita di Israele che per loro è la «Nakba» («catastrofe ») ricordata domani. Ma il Papa invita ad essere «strumenti di pace». Durante la messa si rivolge ai 48 fedeli che hanno avuto il permesso «dalla martoriata Gaza» (le richieste erano 250), assicura il suo «caloroso abbraccio» alle famiglie dei morti «nel recente conflitto » e soprattutto prega perché «l’embargo sia tolto presto».
Allo stesso tempo si rivolge ai ragazzi del campo Aida, ai «tanti giovani presenti oggi nei territori palestinesi» e scandisce: «Abbiate il coraggio di resistere a ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


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