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Documenti emanati dai dicasteri e da altri organismi della Curia Romana e della Santa Sede durante il pontificato di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2013 19:30
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27/12/2009 22:51
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COMUNICATO SULL’INTERVENTO CHIRURGICO A CUI E’ STATO SOTTOPOSTO QUESTA MATTINA IL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY

Questa mattina presso il Policlinico Gemelli il Cardinale Roger Etchegaray è stato sottoposto ad intervento chirurgico in seguito alla frattura del collo del femore riportata nella caduta avvenuta il 24 dicembre all’inizio della celebrazione della Messa della notte nella Basilica di San Pietro.

Riportiamo il bollettino medico dell’operazione:

In mattinata Sua Eminenza il Cardinale Roger Etchegaray, ricoverato presso il Policlinico universitario "Agostino Gemelli" di Roma per la frattura del collo del femore destro, è stato operato di artroprotesi totale dell’anca. L’intervento è riuscito e le condizioni cliniche del paziente sono buone.

Come programmato le fasi successive all’intervento saranno trascorse dal Cardinale Etchegaray nel reparto di Terapia intensiva postoperatoria del Gemelli.

I chirurghi operatori, professor Lorenzo Aulisa e prof. Carlo Fabbriciani, sono stati assistiti dall’anestesista prof. Germano De Cosmo.

03/01/2010 22:53
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COMUNICATO DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, P. FEDERICO LOMBARDI, S.I.

A seguito di alcune notizie apparse sulla stampa, il Direttore della Sala Stampa conferma che, nei giorni scorsi, il Segretario personale del Santo Padre, mons. Georg Gaenswein, ha compiuto in forma riservata una visita alla Signorina Maiolo, manifestandole l’interessamento del Santo Padre per la sua situazione.

Quanto all’iter avviato dalla magistratura dello Stato della Città del Vaticano, esso seguirà il suo corso fino al suo espletamento.

08/01/2010 23:11
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LETTERA DI SOLIDARIETÀ DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI A SUA SANTITÀ SHENOUDA III

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha fatto pervenire a Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria d’Egitto e Patriarca della Sede di San Marco del Cairo, per esprimergli la sua vicinanza, in seguito agli attacchi ai cristiani copti dopo la liturgia di Natale a Nag Hamadi in Egitto:


LETTERA DEL CARD. WALTER KASPER

His Holiness Shenouda III
Pope of Alexandria and Patriarch of the See of Saint Mark

Your Holiness,

With sadness I have heard the tragic news of the death and injury of several Coptic Christians after a Christmas midnight Mass in Nag Hamadi in Upper Egypt.

Please know that I am united in prayer with Your Holiness and with the Coptic Christian Community at this time. Whenever our Christians suffer unjustly it is a wound to the Body of Christ in which all believers share. Together we share this sadness, and together we pray for healing, peace and justice. All Christians must stand united in the face of oppression and seek together the peace that only Christ can give.

I pray for the happy repose of the souls of the deceased and the healing of the injured, as well as comfort for the families of the victims.

With esteemed respect, I remain yours in Christ,

Walter Cardinal Kasper
President

09/01/2010 23:15
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JOINT COMMUNIQUÉ OF THE BILATERAL PERMANENT WORKING COMMISSION BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF ISRAEL (7 JANUARY 2010)


The Bilateral Permanent Working Commission between the Holy See and the State of Israel met on 7 January 2010 to continue its work on an Agreement pursuant to article 10 §2 of the 1993 Fundamental Agreement between the two Parties.

The talks proved useful and were held in un atmosphere of cordiality. Some important topics for forthcoming meetings were spelled out.

The next meeting will take place on 10 February at the headquarters of the Israeli Ministry of Foreign Affairs.

The Plenary meeting of the Commission will be held in the Vatican on 27 May 2010.



TESTO IN LINGUA ITALIANA

La Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è incontrata il 7 gennaio 2010 per continuare il suo lavoro su un Accordo in conformità all'Articolo 10 §2 del "Fundamental Agreement" del 1993 tra le Parti.

I colloqui sono stati utili e si sono svolti in un'atmosfera di cordialità. Sono stati enunciati alcuni temi importanti per i prossimi incontri.

Il prossimo incontro avrà luogo il 10 febbraio nella sede del Ministero degli Affari Esteri Israeliano.

La riunione Plenaria della Commissione avrà luogo il 27 maggio 2010, in Vaticano.

11/01/2010 23:12
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NOTA INFORMATIVA

Il 9 dicembre 2009, la Santa Sede ha stabilito relazioni diplomatiche con la Federazione Russa, a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Federazione Russa.

Sono quindi 178 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede. A questi vanno aggiunti l’Unione Europea ed il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione a carattere speciale: l’Ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Per quanto riguarda le Organizzazioni Internazionali, la Santa Sede è presente all’ONU in qualità di "Stato osservatore"; è, inoltre, Membro di 7 Organizzazioni o Agenzie del sistema ONU, Osservatore in altre 8 e Membro o Osservatore in 5 Organizzazioni regionali.

Nel corso del 2009 è stato firmato il 12 gennaio un Accordo della Santa Sede con il Land Schleswig-Holstein (Germania) per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica in quel Land; lo scambio degli Strumenti di ratifica di tale è Accordo è avvenuto il 27 maggio.

Il 5 marzo è stato sottoscritto il VI Accordo Addizionale alla Convenzione fra la Santa Sede e l’Austria per il Regolamento di Rapporti Patrimoniali; lo scambio delle ratifiche si è svolto il 14 ottobre.

Il 10 dicembre si è proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo con il Brasile, firmato il 13 novembre 2008.

Infine, il 17 dicembre è stata conclusa una Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l'Unione Europea, che è entrata immediatamente in vigore.

14/01/2010 16:54
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COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM: TERREMOTO IN HAITI


In seguito al catastrofico terremoto in Haiti, il Santo Padre ha rivolto un appello all'assistenza spirituale e materiale, dichiarando che "la Chiesa cattolica non mancherà di attivarsi immediatamente tramite le sue istituzioni caritative per venire incontro ai bisogni più immediati della popolazione" (Udienza Generale, 13 gennaio 2010).

Come in passato per altre tragedie di questo tipo, i cattolici sono già presenti con la loro assistenza concreta. Diverse agenzie cattoliche sono all'opera e inviano personale, che è particolarmente richiesto in maniera urgente. Il Pontificio Consiglio Cor Unum, in diretto contatto con Catholic Relief Services (CRS), l'agenzia umanitaria internazionale dei Vescovi degli Stati Uniti, ha chiesto all’organismo di coordinare gli sforzi di assistenza in questa fase. Il personale già sul posto, che conta più di 300 membri attivi da tempo in Haiti, l'esperienza passata, le capacità e le risorse di CRS, permetteranno pronto ed efficace coordinamento degli sforzi della Chiesa che, nelle parole di Papa Benedetto, devono essere generosi e concreti per venire incontro alle pressanti necessità dei nostri fratelli e sorelle in Haiti.

19/01/2010 16:24
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEI LINEAMENTA DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL SINODO DEI VESCOVI (CITTÀ DEL VATICANO, 10-24 OTTOBRE 2010)


Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dei Lineamenta dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano, 10-24 ottobre 2010) sul tema «La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola" (At 4, 32)».

Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, e il Rev.mo Mons. Fortunato Frezza, Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:


INTERVENTO DI S.E. MONS. NIKOLA ETEROVIĆ

Introduzione

"Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio" (Lc 2, 6-7).

Queste parole dell’Evangelista Luca, proclamate e meditate specialmente nel periodo liturgico del Natale, ci portano spiritualmente nella mangiatoia di Betlemme, città di Davide ove è nato il Signore Gesù (cfr Mt 2, 1; Lc 2, 4). Secondo la profezia di Isaia il Messia avrà il nome "Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (Is 9, 5). La tradizione cristiana attribuisce tali titoli alla persona di Gesù, dichiarandolo vero Emmanuele, Dio con noi (cfr Mt 1, 23). Tra essi, quello della pace occupa un posto privilegiato. Infatti, il Messia "sarà egli stesso la pace" (Mi 5, 3). Pertanto Betlemme, come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, "è anche una città simbolo di pace in Terra Santa e nel mondo intero. Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa" (Angelus del 20 dicembre 2009).

Betlemme, Nazaret, Gerusalemme, nomi noti e cari al cuore dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, diventano attuali anche nella preparazione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Accogliendo la richiesta di numerosi Vescovi della regione che va dall’Egitto all’Iran, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto tale Assise sinodale che avrà luogo dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4, 32).

Per preparare tale importante evento, in ossequio alla volontà del Sommo Pontefice, è stato formato un Consiglio Presinodale composto da 7 Patriarchi delle 6 Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e dal Patriarca latino di Gerusalemme. Membri del menzionato Consiglio sono anche 4 Capi dei Dicasteri della Curia Romana più interessati al tema dell’Assemblea sinodale. Ad essi sono inoltre uniti i Presidenti delle Conferenze Episcopali della Turchia e dell’Iran.

Con l’aiuto di alcuni esperti, i membri del Consiglio Presinodale hanno redatto i Lineamenta che oggi vengono presentati in 4 lingue: arabo, francese, inglese e italiano.

Struttura dei Lineamenta

I testo dei Lineamenta ha tre Capitoli, preceduti da una Introduzione in cui si indica lo scopo principalmente pastorale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi e cioè: "confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti" e "ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente".

Come di consueto, ogni parte dei Lineamenta è accompagnata da alcune domande che nell’insieme sono 32. Esse aiuteranno i destinatari istituzionali: i Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche, le Conferenze Episcopali, i Dicasteri della Curia Romana, l’Unione dei Superiori Maggiori, a discutere sui contenuti del Documento, applicandone le affermazioni alla realtà dei rispettivi enti ecclesiali. Le risposte dovrebbero pervenire, come menzionato nella Prefazione, entro la solennità di Pasqua del 2010 che quest’anno celebreremo tutti i cristiani insieme. La sintesi di tali risposte formerà, in seguito, l’Instrumentum laboris, Documento di lavoro dell’Assise sinodale che il Santo Padre Benedetto XVI consegnerà ai rappresentanti delle Chiese Orientali Cattoliche durante la sua Visita Apostolica a Cipro dal 4 al 6 giugno prossimo. Considerando la grande importanza della Terra Santa per ogni cristiano, non sono escluse le osservazioni anche di altri Istituti e di persone singole del mondo intero, concernenti, in particolare, l’appoggio spirituale e materiale ai cristiani e alle Chiese particolari del Medio Oriente.

Primo Capitolo: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente

Il Documento accenna brevemente alla storia gloriosa delle Chiese di Oriente che, ancor più che le altre Chiese particolari del mondo, risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme. Da questa, esse si sono diffuse nella regione mantenendo l’unità essenziale nella pluralità delle espressioni. Tali Chiese sono state caratterizzate dall’apostolicità e da una forte indole missionaria. Infatti, oltre alla Chiesa di rito latino, vi sono Chiese Orientali Cattoliche di ben cinque Tradizioni: Alessandrina (Chiesa Copta e Chiesa Etiopica); Antiochena (Chiesa Siro-Malankarese, Chiesa Maronita e Chiesa Sira); Armena (Chiesa Armena); Caldea o Siro-Orientale (Chiesa Caldea e Chiesa Siro-Malabarese); Bizantina o Costantinopolitana (tra cui la Chiesa Greco-Melchita).

Grati alla divina Provvidenza che ha voluto che tali Chiese rimassero nei singoli Paesi per quasi 2.000 anni di storia del cristianesimo, nonostante non poche difficoltà, i Lineamenta si soffermano su alcune sfide attuali:

- conflitti politici nella regione, menzionandone alcuni (Israele - Palestina, Iraq, Libano);

- libertà di religione e di coscienza, lamentando non pochi ostacoli all’esercizio di tale diritto fondamentale della persona umana e di ogni comunità religiosa.

Si menziona l’evoluzione dell’Islam contemporaneo in cui non mancano correnti estremiste che sono una minaccia per tutti, cristiani e musulmani. Inoltre, si constata una forte emigrazione dei cristiani dai loro Paesi d’origine. D’altra parte si sottolinea l’immigrazione di cristiani, soprattutto come operai, provenienti da vari Paesi del mondo.

Di fronte a tale situazione, il Documento propone la formazione dei cristiani affinché possano vivere con fedeltà ancora più grande la propria fede nella vita privata e pubblica. Inoltre, essi sono chiamati a continuare a dare il loro prezioso contributo all’edificazione di una società democratica, rispettosa dei diritti e dei doveri di tutti i suoi membri.

Secondo Capitolo: La comunione ecclesiale

Accennando alla natura teologica della comunione, che ha il suo fondamento nel mistero della Santissima Trinità, il Documento entra nella questione della comunione all’interno della Chiesa Cattolica e cioè tra le varie Chiese Orientali Cattoliche che dovrebbe diventare sempre di più una ricchezza per tutti i cristiani del Medio Oriente, anzi per tutta la Chiesa Cattolica. Vi sono due segni principali della comunione cattolica: la celebrazione dell’Eucaristia e la comunione con il Vescovo di Roma, Successore di San Pietro Apostolo e Capo visibile di tutta la Chiesa.

Ovviamente, la comunione si esprime anche nei rapporti tra i Vescovi delle diverse Chiese Orientali Cattoliche come pure tra essi e i fedeli. Essa, poi, si manifesta nella vita di ogni giorno, e l’ espressioni di essa sembra essere più facile a livello dei fedeli che dei Gerarchi. Il Documento tratta dunque aspetti assai concreti della comunione tra i cristiani come, per esempio, l’iscrizione in scuole e istituti d’istruzione superiore, la possibilità di ricevere l’assistenza da parte di enti di natura caritativa come ospedali, orfanotrofi, case di riposo, ecc. Un aspetto importante e pratico è la frequentazione dei fedeli in altre chiese cattoliche nella regione.

Capitolo terzo: La testimonianza cristiana

È il capitolo più lungo in cui si tratta della testimonianza dei cattolici all’interno della Chiesa stessa, in particolare per mezzo della catechesi e delle opere, e al di fuori di essa.

Il dialogo con le altre Chiese e comunità cristiane esiste ma ha bisogno di essere incrementato. In tale urgente opera, grande ruolo svolge il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che praticamente raccoglie tutti i rappresentanti dei cristiani della regione. Inoltre, vi sono progetti pastorali comuni elaborati nel Consiglio dei Patriarchi Cattolici riuniti con i Patriarchi ortodossi di Libano e Siria. Insieme con tutta la Chiesa Cattolica, le Chiese Orientali Cattoliche partecipano anche al dialogo teologico con la Chiesa Ortodossa. Sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione anche nel campo liturgico.

Il dialogo con l’ebraismo è la peculiarità delle Chiese di Gerusalemme (6 Cattoliche e 5 Ortodosse, più 2 comunità ecclesiali protestanti). Esistono in Palestina e in Israele varie associazioni di dialogo ebraico-cristiano. Tuttavia i rapporti con l’ebraismo sono condizionati dalla situazione politica che oppone da una parte Palestinesi e mondo arabo e dall’altra lo Stato d’Israele. Al riguardo, i Lineamenta citano le parole del Santo Padre pronunciate durante la sua Visita Apostolica in Terra Santa circa il diritto del popolo Palestinese e di quello Israeliano di vivere in pace e di avere ognuno una patria propria all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti.

A tal proposito, occorre sempre rammentare la distinzione tra il piano religioso e quello politico, non adoperando la Bibbia a scopi politici né la politica a scopi religiosi. In tale contesto è importante sottolineare il legame religioso tra il Giudaismo e il Cristianesimo, tra l’Antico e il Nuovo Testamento. I cristiani sono chiamati ad incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa condurre alla pace attraverso la giustizia. In tale opera importante e difficile sono guidati dall’attitudine cristiana, espressa dal Venerabile Papa Giovanni Paolo II: "Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002).

I rapporti con i musulmani occupano una parte rilevante del Documento. Le Costituzioni della maggior parte dei Paesi del Medio Oriente garantiscono l’uguaglianza tra i cittadini a tutti i livelli. Tale quadro giuridico permette ai cristiani di esigere il rispetto dei loro diritti e doveri di cittadini. Purtroppo, per la mancanza di distinzione tra religione e politica in pratica i cristiani sono spesso in posizione di non-cittadinanza. Per migliorare la situazione, occorre promuovere di più il dialogo anche per conoscersi meglio. Bisogna incoraggiare la presentazione oggettiva del cristianesimo e dell’Islam tramite i mass media come pure in opuscoli accessibili anche a gente semplice. In tale opera grande importanza hanno non solamente i gruppi di dialogo interreligioso, bensì le opere cattoliche, come scuole e ospedali frequentati anche da musulmani.

Di fronte a questa situazione non facile in vari Paesi, i cristiani sono chiamati a dare un contributo specifico e insostituibile alla società in cui vivono: essere testimoni di Cristo e dei valori del Vangelo in tutti i settori della vita personale, famigliare e pubblica. Vi sono alcuni punti che uniscono i cristiani e i musulmani, come i diritti dell’uomo, che pertanto bisognerebbe promuovere insieme per ottenere risultati più qualificati. Ispirandosi all’esempio e all’insegnamento di Gesù, i cristiani condannano la violenza da qualunque parte essa provenga e suggeriscono il dialogo come il mezzo migliore per risolvere i problemi. Inoltre, essi non si stancano di proporre il messaggio della riconciliazione basato sul perdono reciproco che è frutto soprattutto dello Spirito Santo e non solamente di sforzi umani. Con tale spirito sarà possibile, emarginando gli estremismi politici e religiosi, aprirsi al processo di edificazione di una umanità nuova. Pertanto, la testimonianza di vita dei cristiani, come fermento di una società rinnovata, rimane essenziale per il presente e il futuro del Medio Oriente.

Conclusione

Nella Conclusione si ripropongono le ragioni non tanto di politica quanto di fede per cui è essenziale che i cristiani rimangano nel Medio Oriente e continuino ad offrire il loro contributo specifico alla costruzione di una società giusta, pacifica e prospera. Non temere piccolo gregge (Lc 12, 32) è la migliore risposta ai dubbi di non pochi cristiani per rimanere in Terra Santa, forti della promessa della vicinanza di Dio. Nato a Betlemme, Egli si è fatto vicino a tutti gli uomini, soprattutto ai suoi compaesani. La parola del Vangelo di non temere è vivificata anche dalla solidarietà dei cristiani del mondo intero che appoggiano con la preghiera e con le opere di aiuto concreto i loro confratelli del Medio Oriente, culla del cristianesimo, come pure di altri due monoteismi: l’ebraismo e l’Islam.

La speranza cristiana, nata in Terra Santa, ha animato i fedeli per 2000 anni. Anche oggi, pure in mezzo alle difficoltà e alle sfide essa rimane per i cristiani e gli uomini di buona volontà la sorgente inesauribile della fede, della carità, della gioia di essere testimoni del Signore Gesù risorto, presente in mezzo alla comunità dei suoi discepoli. Come una volta nel cenacolo di Gerusalemme, egli continua a riempire dello Spirito Santo i suoi con le parole di vita: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi" (Gv 20, 21).



INTERVENTO DI MONS. FORTUNATO FREZZA

La Terra Santa

Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo, ha condiviso tutto, eccetto il peccato (Ebr 4, 15), con gli uomini del suo tempo e della sua terra. Venne in una terra che poteva dire sua perché in essa si svolse la sua vita, la sua storia umana. Nacque in Giudea, a Betlemme, piccolo centro e grande nello stesso tempo (Mi 5, 1), la città di Davide, di Booz con Noemi e Rut (Rt 1, 22; 2, 1), dei pastori e degli innocenti trucidati da Erode (Mt 2, 16), la città del censimento ordinato da Cesare Augusto (Lc 2, 1-7).

Un altro luogo gli fu proprio, perché in esso avevano dimora i suoi genitori Giuseppe e Maria (Lc 2, 4.5), Nazaret, sperduto paese della Galilea, terra dei popoli (Is 9, 1), sconosciuto e umiliato borgo (Gv 1 , 46) ai confini con le regioni straniere e pagane. Tanto grande e nobile Betlemme, quanto piccolo punto in geografia e stima Nazaret!

In questa geografia, come linea d’orizzonte, si è mosso Gesù. Una prima volta nel seno di sua madre, da Nazaret fino a Betlemme, quasi alla periferia di Gerusalemme, la città del tempio (Lc 2, 22) e della festa annuale di pasqua (Lc 2, 41), città della nostalgia (Sal 137, 1ss) e delle ascensioni dei pellegrini (Sal 120-134).

L’itinerario annuale di Pasqua da Nazaret a Gerusalemme corrisponde quasi all’intero asse longitudinale della Palestina, a congiunzione di due luoghi distintivi della vita del Signore: Nazaret con la sua casa (Lc 2, 51s) e Gerusalemme, meta del suo viaggio definitivo (Lc 9, 53).

Se è vero che i tessuti oftalmici e le fibre cerebrali restano impressionati dalle sollecitazioni visive provenienti dall’esterno, sotto forma di immagini con qualità e durata variabili, dobbiamo concludere che il giorno dell’ascensione al cielo, quando fu elevato in alto (At 1, 9) e sottratto agli occhi fissi degli uomini di Galilea (At 1, 11), l’uomo Gesù portava con sé le immagini di questa terra: Galilea, Samaria, Giudea, perché da uomo non attraversò altra terra che questa, nessun’altra geografia che quella della Palestina, terra dei padri e della promessa (Gen 12, 1).

Gesù non fu un missionario internazionale. La sua appartenenza territoriale era chiara e gli fu tanto cara da farlo piangere di fronte alla grandezza tradita della città «unita e compatta» (Sal 122, 3ss), di Gerusalemme (Lc 19, 41-44).

Quella che noi chiamiamo Terra Santa non è semplicemente una realtà geografica. Come territorio somiglia ad un trapezoide i cui lati sono ad occidente la costa mediterranea, a nord una linea che da Tiro raggiunge le falde meridionali dell’Hermon, ad est il deserto arabico, a sud un confine che dalla sponda meridionale del Mar Morto tocca il Mediterraneo presso la frontiera egiziana.

L’altezza del trapezoide è di circa 255 chilometri, la larghezza massima, a sud, è di 120 chilometri, la minima, a nord, di 70 chilometri, con un’area di circa 25.000 chilometri quadrati: meno della Sicilia, un po’ più della Sardegna.

Anche sotto l’aspetto geografico la Palestina è uno dei paesi più straordinari: in tanto poco spazio racchiude la più profonda depressione della terra con il livello del Mar Morto che è quasi di 400 metri sotto il Mediterraneo, e la più grande varietà di clima, fauna e flora.

In questa piccola superficie, stretta tra mare e deserto, si svolsero anche i circa 2000 anni di storia del popolo ebreo, dalla venuta di Abramo fino alla dinastia degli Asmonei nel II secolo a.C., e, successivamente , la vicenda umana del Figlio di Dio fatto uomo e dei suoi discepoli ed apostoli.

Passando dall’Antico al Nuovo Testamento, non abbiamo la sensazione di cambiare paese. La prima pagina del Nuovo Testamento è una genealogia che registra persone, richiamando storie pubbliche e private, come anche luoghi e territorio, contrade e città. Il paese è lo stesso, è medesima l’atmosfera, anche se si respira aria diversa.

Nell’Antico Testamento è tangibile una gradualità della rivelazione, un affinamento della religiosità, una linea di progrediente innalzamento della fede e dei costumi operato da Dio attraverso uomini scelti, quali i profeti e finalmente il Figlio suo, nato da donna (Gal 4, 4), originario di Nazaret.

Terra Santa e Sinodo

Il sinodo si occuperà di tutto il Medio Oriente, dall’Asia Minore all’Iraq, e di questa vasta ed eterogenea area la Terra Santa è parte geografica, storicamente non secondaria, civilmente non trascurabile, spiritualmente eminente. Le tre religioni monoteiste infatti trovano in essa, specificamente a Gerusalemme, in modo proprio a ciascuna, radici e vincoli vitali.

Gerusalemme è città sacra per gli ebrei, per i cristiani, per i musulmani: tre religioni monoteiste, sorte in area medio orientale in epoche diverse. Posta su di un’altura -una santa montagna- per gli ebrei Gerusalemme è "il centro della terra"; mentre il centro di questa città è il "Santo dei Santi", il luogo più sacro dell’unico tempio per il culto divino, del quale, distrutto nel 70 d. C. e mai più ricostruito, rimane il Muro del pianto.

Per i cristiani è il luogo della crocifissione, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, che significa "Salvatore": luoghi tutti monumentalizzati da Costantino Magno († 337), che costruì l’Anàstasis, il Martyrion e altri santuari; ma è anche una città dalla valenza mistica: è infatti modello e anticipazione della "Gerusalemme celeste", il regno di Dio cui appartengono i credenti, la Chiesa sposa del Cristo, composta di angeli e di salvati (S. Agostino, Contra Faustum, XV, 11).

Anche i musulmani considerano Gerusalemme città santa perché legata a Maometto (†632) fondatore dell’islam. Quivi, stando alla sura 17 del Corano (sura del viaggio notturno), Maometto fu trasportato dall’arcangelo Gabriele (in una notte del 619); mentre dalla roccia di Moriah -luogo destinato al sacrificio di Isacco- il Profeta intraprese un’ascesa ai cieli sul cavallo antroponfalo al-Burag e fu portato in paradiso, dinanzi al trono di Allah. Dai suoi seguaci questo luogo, in cui si erano verificati detti eventi, fu identificato con la spianata del tempio di Erode e, una trentina di anni dopo la presa della città da parte del califfo ‘Umar, vi fu eretta una moschea.

Questi vincoli vitali interessano direttamente la fase originaria delle tre religioni, storiche, ma ci si domanda se l’appartenenza a questa porzione del territorio mediorientale possa fomentare la coscienza dell’autenticità e della purezza delle fede e della prassi religiosa. Inoltre ci si interroga se la comune terra di origine e di convivenza possa favorire la reciprocità nel riconoscimento e nel rispetto fino ad influenzare positivamente le relazioni nell’intera area mediorientale.

Per quanto impegnative siano le risposte a tali quesiti, si possono trovare osservazioni pertinenti nel documento che oggi si presenta, i Lineamenta per l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, dal titolo «La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)». Esso esamina lucidamente condizionamenti e problemi direttamente connessi con quelle domande, che di volta in volta si affacciano nel viver quotidiano in quell’area, nella grande società come anche nella concreta convivenza di persone e di gruppi.

I Pastori della Chiesa in Medio Oriente, concludendo nei Lineamenta l’esposizione degli elementi caratteristici della situazione attuale delle loro Chiese particolari, delle sfide, della comunione ecclesiale e della testimonianza cristiana, guardano al futuro e scrivono: «La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi» (n. 87).

E infine si affidano ad un auspicio: «La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà del mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli. In tutti i nostri Paesi, questa speranza ci sostiene, con la parola di Gesù: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12, 32)» (n. 89).

20/01/2010 00:37
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Lineamenta dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi

www.zenit.org/article-21057?l=italian

20/01/2010 16:09
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STATEMENT OF THE BILATERAL COMMISSION MEETING OF THE DELEGATION OF THE HOLY SEE’S COMMISSION FOR RELIGIOUS RELATIONS WITH THE JEWS AND THE CHIEF RABBINATE OF ISRAEL’S DELEGATION FOR RELATIONS WITH THE CATHOLIC CHURCH (ROME, JANUARY 17-20, 2010; SHVAT, 2-5, 5770)

The Bilateral Commission of the Holy See and the Chief Rabbinate of Israel held its ninth meeting pursuant to their participation in the historic visit of Pope Benedict XVI to the Great Synagogue in Rome. At this event the Pope categorically reaffirmed the commitment of the Catholic Church to dialogue and fraternity with the Jewish People, as well as unequivocally condemning anti-Semitism and anti-Judaism. He also highlighted the significance of the work of the Bilateral Commission itself, about to hold its meeting on the subject of Catholic and Jewish teaching on Creation and the Environment, wishing it a "profitable dialogue on such a timely and important theme". Similarly Rabbi Riccardo Di Segni, Chief Rabbi of Rome, in his words on this occasion emphasized the mutual obligation of Christians and Jews to work together to protect the environment in keeping with the Biblical charge (Gen-2:15).

However, the meeting also took place in the shadow of the catastrophic tragedy in Haiti. Indeed, the aforementioned gathering in the synagogue, opened with a minute of silence in solidarity with the victims. The members of the Commission expressed their prayers for the victims and for the recovery of the survivors and applauded the international rescue and aid for the reconstruction of Haiti.

During the course of the meeting the members attended the moving presentation of Fr. Patrick Desbois at the Pontifical Gregorian University that highlighted the work of Yachad in Unum to locate and memorialize the unidentified sites in Eastern Europe of mass murder during the Shoah. The commission urged the respective religious communities to support and publicise this very important work, in order to learn from the tragedies of the past to protect and respect the sanctity of human life everywhere so that atrocities will never reoccur.


PRESS STATEMENT

1. The ninth meeting of the above Commission, was held in Rome, following the historic visit of Pope Benedict XVI to the Great Synagogue which had been attended also by the members of the Commission and at which the Pope categorically confirmed the commitment of the Catholic Church and its will to deepen dialogue and fraternity with Judaism and the Jewish People in accordance with Nostra Aetate, the subsequent teachings of the Magisterium and in particular of his predecessor John Paul II. "On this path we can walk together aware of the differences that exist between us, but also aware of the fact that when we succeed in uniting our hearts and our hands in response to the Lord’s call, His light comes closer and shines on all the peoples of the world" (Papal Address at the Synagogue of Rome, 17 January 2010, sect. 8). The Pope specifically praised the work, significance and achievements of the Bilateral Commission about to hold its meeting on the subject of Catholic and Jewish teaching on Creation and the Environment and wished the Commission a "profitable dialogue on such a timely and important theme".

2. The meeting was opened by the chairmen Cardinal Jorge Mejía and Chief Rabbi Shear Yashuv Cohen who paid tribute to the late Ambassador Shmuel Hadas whose contribution was so instrumental in the establishment of the commission.

3. The opening presentations focused on the tensions between secular environmentalist movements and religious perspectives and emphasized that biblical teaching views nature as being endowed with sanctity that flows from the Creator. It is He who has charged humanity as the summit of his inherently good Creation (cf. Gen 1:31) with the obligation of responsible custodianship (cf. Gen 2:15). Accordingly while freedom and autonomy are given to humanity to develop and advance the natural resources, as it is written "the Heavens are the Heavens of the Lord and earth has been given to humankind" (Ps 115:16), these must always be expressed in a manner that respects Divine sovereignty of the Universe, as it is written "the earth is the Lord’s and all that is in it" (Ps 24:1).

4. Humankind today faces a unique environmental crisis which is substantially the product of unbridled material and technological exploitation. While this challenge must obviously be addressed through the necessary technical means as well as self restraint, humility and discipline; the participants emphasized the essential need for society to recognize the transcendent dimension of Creation that is critical to ensure sustainable development and progress in an ethically responsible manner. Not everything that is technically feasible is morally acceptable. It is this consciousness that ensures that every aspect of human advancement promotes the wellbeing of future generations and sanctifies the Divine Name, just as its absence leads to destructive consequences for humanity and environment and profanes the Divine Name.

5. The Biblical Tradition that gives unique dignity to the human person must not be understood in terms of domination but in terms of respect and solidarity. This requires of us a sense of a "human ecology" in which our responsibility for the eco-system is bound up with and reflective of our obligations to one another and in particular "a special generosity towards the poor, towards women and children, strangers, the sick, the weak and the needy" (Papal Address at the Synagogue of Rome, 17 January 2010, sect. 7).

6. The ethical aspect of human intervention in the natural order lies in the limitation on the power of science and its claim to absoluteness, and in the expression of human solidarity and moral responsibility towards all. To that end the bilateral commission strongly urges that all scientific innovation and development work in close consultation with religious ethical guidance. Similarly States and international bodies should engage in close consultation with religious ethical leadership in order to ensure that progress be a blessing rather than a curse. A genuine environmental ethic is a key condition for world peace and harmony.

7. Above all, the critical importance of a moral religious education at all levels was highlighted in order to guarantee responsible scientific and social development.

Rome,
January 19th, 2010 – Shvat 4th, 5770


Chief Rabbi Shear Yashuv Cohen

(Chairman of the Jewish Delegation)

Chief Rabbi Ratson Arussi

Chief Rabbi David Brodman

Chief Rabbi Joseph Levi

Chief Rabbi David Rosen

Rabbi Prof. Daniel Sperber

Mr. Oded Wiener




Jorge Cardinal Mejía

(Chairman of the Catholic Delegation)

Patriarch Fouad Twal

Archbishop Elias Chacour

Archbishop Antonio Franco

Archbishop Bruno Forte

Bishop Giacinto-Boulos Marcuzzo

Mons. Pier Francesco Fumagalli

P. Pierbattista Pizzaballa O.F.M.

P. Norbert J. Hofmann S.D.B.

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COMUNICATO AL TERMINE DEI LAVORI DEL CONSIGLIO DI CARDINALI PER LO STUDIO DEI PROBLEMI ORGANIZZATIVI ED ECONOMICI DELLA SANTA SEDE

Nei giorni 20 e 21 gennaio, si è svolta in Vaticano la riunione del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal Segretario di Stato, Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Tarcisio Bertone, S.D.B., con all’ordine del giorno la discussione del bilancio preventivo consolidato della Santa Sede e del bilancio preventivo del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano per l’anno 2010.

Vi hanno preso parte gli Em.mi Cardinali: Joachim Meisner, Arcivescovo di Köln (Germania); Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid (Spagna); Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano (Italia); Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban (Sud Africa); Anthony Olubunmi Okogie, Arcivescovo di Lagos (Nigeria); Juan Luis Cipriani Thorne, Arcivescovo di Lima (Perù); Marc Ouellet, P.S.S., Arcivescovo di Québec (Canada); Odilo Pedro Scherer, Arcivescovo di São Paulo (Brasile); Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma.

Erano assenti per inderogabili impegni pastorali gli Em.mi Cardinali Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo di Caracas (Venezuela), e Nicholas Cheong Jinsuk, Arcivescovo di Seul (Corea).

La Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede era rappresentata dal Presidente, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Velasio De Paolis, C.S., dal Prelato Segretario, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Vincenzo Di Mauro, e dal Ragioniere Generale, il Dott. Stefano Fralleoni.

Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano era rappresentato dal Presidente della Commissione Cardinalizia per lo S.C.V., l’Em.mo Card. Giovanni Lajolo, e dal Segretario Generale, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Carlo Maria Viganò.

Per l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica sono intervenuti l’Em.mo Card. Attilio Nicora, Presidente, e il Segretario, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Domenico Calcagno.

Su invito del Cardinale Segretario di Stato, sono stati convocati ed ascoltati, per quanto di loro competenza, il Padre Federico Lombardi, S.I., e il Dott. Alberto Gasbarri, rispettivamente, Direttore Generale e Direttore Amministrativo della Radio Vaticana.

Dopo l’introduzione del Cardinale Segretario di Stato, il quale ha esposto il senso e lo scopo della riunione, l’Arcivescovo De Paolis ha illustrato il bilancio preventivo consolidato della Santa Sede per l’anno 2010. L’area di consolidamento riguarda gli Organismi facenti parte della Curia Romana, ad eccezione della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, la quale ha una propria amministrazione, e le Istituzioni "mediatiche" collegate con la Santa Sede, vale a dire la Radio Vaticana, la Tipografia Vaticana – Editrice "L’Osservatore Romano", il Centro Televisivo Vaticano e la Libreria Editrice Vaticana.

Il risultato di esercizio preventivato riflette la speranza di possibili andamenti economici e finanziari che, nonostante il quadro generale di perdurante difficoltà, indicano qualche leggero miglioramento.

Tra i costi, la voce più consistente è quella inerente alla retribuzione del personale dipendente, che si attesta a 2.668 unità. Benché se ne preveda il contenimento, il relativo onere finanziario è ugualmente in crescita a motivo dell’adeguamento degli stipendi al costo della vita. Vi sono poi le spese relative alla Radio Vaticana e alle altre istituzioni mediatiche, le quali, peraltro, devono essere considerate nel quadro dell’attività missionaria della Santa Sede. Pur tenendo conto dell’attuale situazione economica mondiale, è stata rilevata la necessità pastorale di suscitare una maggior attenzione dei fedeli, più sensibili a contribuire a progetti specifici e a loro più prossimi, per le strutture della Chiesa che prestano servizi di ordine generale.

Sua Ecc.za Mons. De Paolis ha poi illustrato il bilancio preventivo per l’anno 2010 del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Questo Ente, com’è noto, cura la gestione territoriale e fornisce la necessaria struttura di supporto alla Santa Sede. Dai dati sottoposti all’attenzione dei membri del Consiglio emerge che l’Amministrazione in parola, la quale, peraltro, provvede in modo autonomo al proprio finanziamento, ha sostanzialmente superato le difficoltà degli esercizi precedenti, riacquistando un assetto che permette di guardare con maggior fiducia al futuro.

A carico del Governatorato, oltre ai costi connessi alle attività istituzionali dello Stato, vi sono gli oneri derivanti dalla manutenzione degli immobili e degli impianti. Per il periodo in esame, è prevista l’attività di 1.884 dipendenti.

I Bilanci sono stati sottoposti a verifica e controllo da parte della Prefettura degli Affari Economici.

Durante i lavori del Consiglio, il Santo Padre ha fatto graditissima visita ai partecipanti, ascoltando con vivo interesse le loro osservazioni e ringraziando tutti gli intervenuti per la preziosa collaborazione offerta alla Sede Apostolica.

23/01/2010 16:25
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COMUNICATO DEL CONSIGLIO SPECIALE PER L’AFRICA DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

Parlando al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Sua Santità Benedetto XVI ha fatto riferimento alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, ricordando anche il suo viaggio apostolico in Camerun e Angola e rilevando il perdurare dell’assenza di pace e concordia in Paesi come Darfur, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Guinea e Madagascar.

I Padri Sinodali, durante la recente Assemblea per l’Africa, hanno dedicato attenzione a giustizia, pace e riconciliazione, comprese nel tema dei lavori, per le quali tutte le istanze ecclesiali in Africa devono impegnarsi, prima di tutto attraverso il sacramento della penitenza e la capacità di perdono, quali condizioni prepolitiche di pacificazione e di concorde convivenza.

Urge, inoltre, evitare di trasformare la teologia in politica, portando piuttosto la teologia direttamente nel ministero pastorale concreto, in modo da applicare le grandi prospettive della Sacra Scrittura e della Tradizione, come ha indicato il Santo Padre Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana il 21 dicembre 2009.

Per quanto concerne la salvaguardia della creazione, preoccupano l’erosione e la desertificazione di vaste aeree di terra coltivabile, risultato dello sfruttamento e dell’inquinamento atmosferico, mentre emerge il bisogno di forme di produzione agricola e industriale capaci di rispettare la creazione nel far fronte ai bisogni di tutti.

Con queste riflessioni l’Eccellentissimo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Mons. Nikola Eterović, ha introdotto i lavori della seconda riunione del Consiglio Speciale per l’Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, tenutasi nei giorni 19 e 20 gennaio 2010 nella sede della medesima Segreteria.

Erano presenti tutti i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa: gli Eminentissimi Cardinali Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (Città del Vaticano); Peter Kodwo A. Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Città del Vaticano); Wilfred Fox Napier, o.f.m., Arcivescovo di Durban (Sud Africa); Théodore-Adrien Sarr, Arcivescovo di Dakar (Senegal); John Njue, Arcivescovo di Nairobi (Kenia); gli Eccellentissimi Monsignori Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (R.D.C.); John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja (Nigeria); Cornelius Fontem Esua, Arcivescovo di Bamenda (Cameroun); Norbert Wendelin Mtega, Arcivescovo di Songea (Tanzania); Simon Ntamwana, Arcivescovo di Gitega (Burundi); Odon Marie Arsène Razanakolona, Arcivescovo di Antananarivo (Madagascar); Francisco João Silota, M. Afr., Vescovo di Chimoio (Mozambico); Edmond Djitangar, Vescovo di Sarh (Ciad); Maroun Elias Lahham, Vescovo di Tunis (Tunisia).

Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Youssef Ibrahim Sarraf, Vescovo di Le Caire dei Caldei (Egitto), Membro del secondo Consiglio Speciale per l’Africa, il 31 dicembre 2009 ha improvvisamente e inaspettatamente lasciato questa terra per passare all’altra vita. In suffragio di lui, come anche del defunto Cardinale Armand Razafindratandra, Arcivescovo emerito di Antananarivo, deceduto il 9 gennaio 2010, i Membri del Consiglio e della Segreteria Generale hanno concelebrato una Santa Messa in San Pietro il giorno 20 gennaio, con la presidenza di Sua Eminenza il Cardinale Francis Arinze.

All’introduzione del Segretario Generale è seguito un giro di interventi dei partecipanti, i quali si sono riferiti agli echi alquanto positivi dell’Assemblea Speciale nei rispettivi Paesi e Chiese Particolari, come pure alla situazione sociale ed ecclesiale delle loro Regioni.

I Membri del Consiglio si sono pure soffermati sui principali problemi osservando che la Chiesa in diversi Paesi si trova nella necessità di difendere il popolo contro le ingiustizie. La mancanza di pace porta poi la Chiesa ad un forte impegno nella mediazione e nell' accoglienza di coloro che soffrono le conseguenze delle guerre interne.

La riconciliazione continua ad essere una sfida per la Chiesa in Africa, la quale deve essere riconciliata in se stessa per diventare credibile nella sua predicazione e nella sua azione sociale.

Nel dialogo interreligioso, i presenti hanno affermato che si sta cercando di stabilire vincoli di intesa e collaborazione, soprattutto con l'islam, che è la religione più diffusa nel Continente. Si auspica che i gruppi fondamentalisti siano sempre più sconfessati ed emarginati dai rappresentanti ufficiali dell’islam.

Seguendo l’ordine del giorno, il Consiglio si è impegnato nello studio delle Proposizioni del Sinodo in vista di uno schema ragionato di tutta la materia, che serva di base per un’ulteriore approfondimento e sviluppo come contributo alla composizione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale, la cui pubblicazione è stata chiesta esplicitamente al Santo Padre nella prima Proposizione.

Durante i lavori nei circoli linguistici, francese ed inglese, sono stati redatti due schemi, poi discussi in seduta plenaria e ritenuti compatibili, che potranno essere integrati in uno schema unico. A questo riguardo è stato comune desiderio di presentare un testo che tenga conto non solo delle difficoltà reali e concrete, ma anche di tante situazioni positive e promettenti del continente africano. In ogni caso il testo finale dovrà mantenere un giusto equilibrio tra una prospettiva teologico-spirituale e un adeguamento alla realtà pastorale e sociale.

Dopo aver stabilito la data della prossima riunione, nei giorni 27-28 aprile 2010, il Consiglio ha concluso i lavori con la preghiera.


23/01/2010 16:26
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 44a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI (16 MAGGIO 2010)


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 44a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (16 maggio 2010) sul tema: "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola".
Intervengono: S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e il Rev.mo Mons. Paul Tighe, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.


INTERVENTO DI S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLI

Il Presidente del Pontificio Consiglio presenta in PowerPoint una sintesi del Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.


INTERVENTO DI MONS. PAUL TIGHE


Il messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno – Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: I nuovi media al servizio della Parola – riprende dal punto in cui si era concluso il messaggio dello scorso anno, con una considerazione sull’evangelizzazione del "continente digitale". Il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all’esortazione paolina "Guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1 Cor 9,16). Con la diffusione delle nuove tecnologie, la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una "storia nuova", perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il suo impegno, per porre i media al servizio della Parola.

Nel messaggio, il Papa si sofferma sulla natura pastorale del coinvolgimento dei sacerdoti nell’universale missione di evangelizzazione e comunicazione. I sacerdoti sono invitati a valutare il grande potenziale delle nuove tecnologie per far conoscere la Buona Novella dell’amore di Dio a tutti, più ampiamente e più direttamente al maggior numero di persone e oltre ogni confine. È possibile, usando le nuove tecnologie, raggiungere nuovi pubblici; invitarli a riflettere sulle questioni fondamentali riguardo il significato e lo scopo della vita e offrire loro la grande saggezza della nostra tradizione. Questo è un messaggio di incoraggiamento per tutti i sacerdoti; non solo per coloro che sono esperti di tecnologia o specialisti del settore mediatico.

Il sacerdote è invitato a essere presente nel mondo digitale proprio in quanto sacerdote, "come uomo di Dio". "Più che la mano dell’operatore dei media, il presbitero nell’impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato." Se il sacerdote deve essere un valido comunicatore del Vangelo nell’ambiente digitale, come in ogni altro ambito, egli deve essere un uomo del Vangelo. Gli sforzi del sacerdote devono nascere dal suo ascolto profondo e dalla meditazione della Parola di Dio. Il Messaggio riflette questa intimità – i sacerdoti devono essere presenti come "nella costante fedeltà al messaggio evangelico"; il loro uso dei nuovi media dovrebbe riflettere "una solida preparazione teologica e una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore" e l’impegno dovrebbe essere intrapreso "con il Vangelo nelle mani e nel cuore".

Papa Benedetto individua alcune delle nuove risorse (foto, video, animazioni, blog, siti web) che possono essere usate dai sacerdoti per proclamare il Vangelo e insiste sul fatto che devono essere usate in modo opportuno e competente. Il suo messaggio dà per scontato il bisogno di una formazione dei sacerdoti per un abile uso delle nuove tecnologie, ma la sua prima preoccupazione è assicurare che queste siano usate per promuovere il Vangelo e offrire speranza a tutti. Come il Papa ha osservato nella Caritas in veritate: I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti, semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessione e di circolazione delle idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale. (73). Il Papa invita i sacerdoti e tutti i credenti a usare il web per creare uno spazio di dialogo in cui i cristiani, i fedeli di altre religioni e i non-credenti possano ritrovarsi nella ricerca rispettosa della verità e della saggezza. Se chi partecipa si sente libero di esprimere le sue più profonde convinzioni e il suo credo in questo dialogo, servirà per "dare un’anima all’interrotto flusso comunicativo nella "Rete".

Gli ultimi dieci o quindici anni hanno visto la diffusione di iniziative istituzionali che usano le nuove tecnologie per rivolgersi ai sacerdoti. La Congregazione per il Clero ha un sito molto ricco dedicato all’Anno del Sacerdote: www.annussacerdotalis.org e molte Conferenze Episcopali hanno sviluppato siti simili. Le campagne sul web stanno diventando un modo comune per promuovere le vocazioni. In diversi luoghi le nuove tecnologie sono usate per incoraggiare la continua formazione teologica e spirituale dei sacerdoti; essi stanno facilitando la comunicazione nelle diocesi e nelle congregazioni religiose e stanno sviluppando nuove forme di comunità che offrono sostegno e solidarietà ai sacerdoti nelle missioni isolate. Inoltre, ci sono stati molti sforzi individuali da parte di sacerdoti, spesso appoggiati da laici con una formazione tecnica e competenza nel campo dei media, per usare le nuove tecnologie al fine di dare una dimensione nuova alla loro missione pastorale. Siamo già al punto in cui c’è bisogno di maggiore coordinazione e integrazione di queste diverse iniziative per assicurare che il profilo della Chiesa digitale rifletta la sua vera natura e missione. Questo messaggio incoraggia tutti noi ad assicurare che la presenza ecclesiale e sacerdotale emergente nel mondo digitale rappresenti sempre fedelmente la Chiesa, testimoni l’amore costante di Dio per tutti e sia caratterizzata da un profondo impegno per costruire la comunione dentro la Chiesa e l’unità dell’intera famiglia umana.

26/01/2010 00:22
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Il testo integrale della prolusione pronunciata dal Presidente della CEI in apertura del Consiglio Episcopale Permanente

Quello che segue è il testo integrale della prolusione pronunciata dal Cardinale Angelo Bagnasco (nella foto), Presidente della CEI, in apertura del Consiglio Episcopale Permanente: “Venerati e Cari Confratelli,

ci ritroviamo all’inizio del nuovo anno 2010 per continuare nell’amicizia e nella comunione fraterna quell’opera di discernimento e di indirizzo che lo statuto della nostra Conferenza Episcopale affida al Consiglio Permanente. Lo facciamo nello spirito a cui ci ha introdotto l’adorazione eucaristica appena vissuta, e con la volontà di restare «in onda con il Signore» (cfr Benedetto XVI, Discorso ai ragazzi dell’Acr, 19 dicembre 2009), per sintonizzarci con le Sue priorità e le Sue preferenze. In particolare, siamo in comunione con tutte le Chiese cristiane che oggi, festa della Conversione di San Paolo apostolo, concludono la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che quest’anno aveva una speciale connotazione, celebrandosi il centenario della Conferenza di Edimburgo (Scozia, 13-24 giugno 1910) che non poco avrebbe contribuito a diffondere l’ansia per l’unità quale aspirazione indispensabile a rendere credibile nel mondo d’oggi l’annuncio evangelico. Il Concilio Vaticano II ha assunto questa consapevolezza, e l’ha rilanciata con parole impegnative, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù «non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis Redintegratio, 1). La preghiera intensa e perseverante che mira ad ottenere la piena comunione tra i seguaci di Cristo «manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica» e crea le condizioni per quel «processo di purificazione» attraverso il quale «il Signore ci rende capaci di essere uniti» (Benedetto XVI, Catechesi del Mercoledì, 20 gennaio 2010). Com’è noto, nella vigilia dell’Ottavario per l’unità, è felicemente ripresa quale evento condiviso la celebrazione della Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei, che è stata resa storica dalla visita che Benedetto XVI ha compiuto in quello stesso giorno alla Sinagoga di Roma. Il rilievo che tale provvida iniziativa ha avuto in ambito non solo nazionale testimonia che il dialogo è davvero la via irreversibile per superare incomprensioni e pregiudizi. Il gesto che quasi venticinque anni fa compì per la prima volta Giovanni Paolo II è stato confermato e rafforzato da Benedetto XVI; il muro abbattuto da Papa Wojtyla è diventato per il suo Successore un ponte di «vicinanza» e di «fraternità» già praticato; l’emozione incomparabile del primo incontro si è trasformata in robuste argomentazioni a ritrovare nella Sacra Bibbia il «fondamento più solido e perenne», ricordando che il legame di «solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico» non è un fattore estrinseco ma si colloca «a livello della loro stessa identità spirituale», e indicando nel Decalogo il «faro» e «il grande codice etico per tutta l’umanità» (Discorso nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010). Va da sé che noi Pastori ci riconosciamo nell’atto spontaneo di commosso omaggio che il Santo Padre ha tributato ai superstiti del dramma singolare e sconvolgente della Shoah, e idealmente ci siamo a lui associati, desiderando per la nostra parte e nell’azione educativa delle nostre Chiese contribuire a cementare un irrinunciabile clima di rispetto e di amicizia che, vincendo ogni traccia di odio, sconfigga i focolai talora riaffioranti di antisemitismo come pure di xenofobia. Nella giornata di ieri, domenica 24 gennaio, in tutte le nostre parrocchie si è svolta una raccolta straordinaria di aiuti per la popolazione di Haiti durissimamente colpita dal tragico terremoto del 12 gennaio. Una prima cifra, com’è noto, è stata immediatamente erogata dalla Presidenza della Cei, ma molto di più si deve ora fare attraverso la Caritas che è già sul posto. Siamo certi che i cattolici italiani vorranno come sempre corrispondere al dovere della generosità verso un popolo la cui tragedia lascia senza fiato. Non abbiamo la pretesa di saper placare i quesiti più profondi ed inquietanti che sono suggeriti da questo genere di prove nella vita dei popoli, ma sappiamo che nella pronta solidarietà e nella genuina condivisione vi è già la traccia di ogni possibile risposta. I missionari che da tempo operano nell’isola caraibica, i volontari stabili e quelli che si sono aggiunti in queste settimane sono i testimoni di una vicinanza che non verrà meno, dovendosi trovare le strade più rispettose ed efficaci per arrecare sollievo alle popolazioni colpite, in particolare ai bambini rimasti orfani e alle persone variamente segnate dalla tragedia.

1. Sarà anche a Voi capitato, nelle settimane scorse, di pensare che il tempo del Natale, con la sua grammatica di segni e di simboli, esprime anche nel contrasto delle situazioni l’intima identità del Dio cristiano, del «Dio che in Gesù Cristo ha rivelato in modo compiuto e definitivo la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia» (Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 3 gennaio 2009). Egli ci viene incontro perché noi, prima inabili, possiamo audacemente andare incontro a Lui, e sperimentarlo per quello che Egli è, ossia l’Emmanuele, «il Dio-con-noi, dal quale non ci separa alcuna barriera e alcuna lontananza. In quel Bambino, Dio è diventato così prossimo a ciascuno di noi, così vicino, che possiamo dargli del tu e intrattenere con lui un rapporto confidenziale di profondo affetto». E infatti «viene senza armi, senza forza, perché non intende conquistare, per così dire, dall’esterno, ma intende piuttosto essere accolto dall’uomo nella libertà». Tant’è che in Gesù «Dio ha assunto questa condizione povera e disarmante per vincere con l’amore e condurci alla nostra vera identità. Non dobbiamo dimenticare che il titolo più grande di Gesù Cristo è proprio quello di “Figlio”, Figlio di Dio» (Benedetto XVI, Catechesi del Mercoledì, 23 dicembre 2009). Qui sta la verità del Natale, e la forza che la sua suggestione esercita anche sull’uomo post-moderno che come non mai ha bisogno di punti di forza su cui far leva per raggiungere l’immagine autentica di Dio, oltre le edulcorazioni e le manomissioni. Egli è il Vicino: ecco la notizia che non ci lascia indifferenti, che scalda il cuore e ci cambia la vita perché risponde alle nostre attese più intime. Questo spiega l’attrattiva che il presepe conserva anche nella società multimediale e multiculturale. Vi è infatti la cifra di Dio, la via della semplicità e del nascondimento che è «lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio, […] diffondendosi a cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce» (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, 25 dicembre 2009). C’è qui la parabola della Chiesa, ed è spiegata l’attrattiva che le nostre parrocchie − Chiesa tra la gente − esercitano puntualmente ad ogni Natale. Esiste infatti un’affinità straordinaria tra il Natale di Gesù e il natale della Chiesa quale ordinariamente si verifica nella vita delle comunità cristiane, diffuse sul territorio e capaci di accendere altrettante luci che fungano da richiamo, da scuotimento. Di anno in anno, ad aiutarci nella meditazione dell’ineffabile mistero del Natale ci soccorre il nostro Papa attraverso le sue omelie e «catechesi». Anche per questo rinnoviamo a Lui il nostro grato affetto e la nostra pronta comunione. Non temiamo di dirci ammirati di questa sua arte, e non ci stanchiamo di indicarla a noi stessi e ai nostri sacerdoti come una scuola di predicazione alta e straordinaria. Che poi quest’anno, proprio nella celebrazione natalizia per eccellenza, gli sia capitato di essere spinto a terra per subito rialzarsi e tranquillamente incedere verso l’altare, è una circostanza che ha finito per conferire uno stigma ancora più forte alla predicazione papale: «Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita» (Omelia nella Solennità del Natale, 24 dicembre 2009).

2. Operando nel vivo della pastorale, ci succede non di rado di registrare esiti come quello che ultimamente ha fatto seguito all’evento su «Dio oggi» promosso dal nostro Comitato per il Progetto Culturale. Il numero straordinario delle presenze specialmente giovanili, l’interesse evidente registrato tra i convenuti e la loro concentrazione sul dibattito non potevano non colpire. Simili episodi sono, tra l’altro, riscontro che neppure l’uomo di oggi riesce ad accantonare con leggerezza o supponenza la questione di Dio: dobbiamo «preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2009). Interessante l’impostazione che il Papa dà alla questione: occorre fare in modo che i nostri contemporanei “accettino” per se stessi tale questione, la riconoscano come un fatto importante della loro esistenza, ne diano conto senza complessi. Ciascuno è chiamato a respingere le intimidazioni del secolarismo, le spinte cioè all’interpretazione più privatistica del fatto religioso, quasi si trattasse di una debolezza dell’intelligenza e un cedimento all’irrazionalità. C’è tutta una cultura pubblica che, convalidata dall’apparato pubblicitario e in un gioco di rimandi ossessivi, punta all’estraneazione, alla sottovalutazione, quando non all’irrisione del fenomeno religioso: l’individuo che crede dovrebbe vergognarsene, o almeno dissimulare la propria fede. Ne è segno la nota e inaccettabile vicenda della sentenza di Strasburgo circa l’esposizione del Crocifisso. È la penombra di cui il Papa parlava nel messaggio indirizzato al sottoscritto per il citato evento: «Penombra che rende precaria e timorosa per l’uomo del nostro tempo l’apertura verso Dio, sebbene Egli non cessi mai di bussare alla nostra porta» (Messaggio al Convegno “Dio oggi: con lui o senza di lui cambia tutto”, 7 dicembre 2009). E nella notte di Natale Benedetto XVI osservava: «La nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze, sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui» (Omelia cit.). Nonostante ciò, in ognuno è all’opera, in modo aperto o nascosto, il desiderio che Dio si riveli. È il tema inesauribile della ricerca di Dio, su cui per secoli ha indagato la cultura occidentale. Ma guai a snobbarlo questo argomento, che ogni generazione sente pulsare come fosse inedito. Per questo – ha annotato il Papa – «anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti» (Discorso cit.). Non stupisce allora che abbia avuto una certa eco nei media la proposta che, a seguire, lo stesso Benedetto XVI avanzava: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa» (ib). Che è incitamento a trovare modalità nuove di attenzione verso le persone che non credono: occorre infatti che non si sentano inibite, ma rispettosamente considerate: «Conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; sono scontente con i loro dèi, riti, miti; desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il “Dio Ignoto”» (ib). Dobbiamo dar fondo alla creatività pastorale, rivisitando i moduli ordinari di essa e ripensandoli in ordine alla nuova evangelizzazione: nessuno deve sentirsi come spaventato dalla nostra concreta attenzione, ma neppure deve sentirsi ignorato. Si ambientano qui le iniziative come quelle del Progetto Culturale o la Lettera ai cercatori di Dio: all’apparenza potrebbero sembrare cose scarsamente pertinenti all’attività pastorale ordinaria, e invece creano clima, lasciano affiorare stimoli che vengono ripresi e magari sviluppati, in ogni caso possono dare preziosi contributi per orientare il movimento della cultura in una direzione più aperta alle piene dimensioni dell’intelligenza e della libertà dell’uomo. Ed essere foriere di importanti sviluppi anche per la stessa filosofia, chiamata a recuperare la propria rilevanza civile, fuori dalle secche della retorica per restare fedele invece alla propria connotazione teoretica, quale forma della ricerca del vero. A ben pensare, su questo versante della ricerca di Dio si colloca un po’ tutta la pastorale giovanile – pensiamo al movimento delle Giornate della gioventù, nel loro venticinquesimo di avvio e nel decennale della grande Gmg di Roma – ma anche la pastorale universitaria, e l’attività animata da circoli culturali come dai gruppi di Scienza&vita, orientata dunque verso «gli areopaghi di oggi» che sono i centri e i temi nevralgici della società odierna (cfr Benedetto XVI, Messaggio per la Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, 13 novembre 2009). Su questo versante tuttavia si attesta anche quel settore, negli ultimi decenni diventato quanto mai dinamico, della pastorale del turismo religioso e dei pellegrinaggi, dove spesso si agganciano interlocutori non consueti, che vengono interpellati in merito ad «orizzonti che fanno riflettere sulla ristrettezza della propria esistenza e sull’immensità che l’essere umano ha dentro di sé» (Benedetto XVI, Messaggio per il Giubileo Campostelano, 19 dicembre 2009).

3. Mi ha colpito, per restare ancora sull’importante discorso che il Santo Padre ha tenuto alla Curia romana alla vigilia di Natale, il significativo capitolo dedicato alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace, che gli era stato suggerito dal tema del recente Sinodo sull’Africa e dagli argomenti in esso vivacemente trattati. Ma lo spettro della riflessione effettuata non era in modo vincolante circoscritto a quel continente, verso il quale peraltro sono ancora intatte tutte le responsabilità proprie del Nord del Mondo. Di qui l’esame del concetto di riconciliazione quale compito della Chiesa di oggi, e come interpellanza diretta agli uomini del nostro tempo che hanno bisogno di apprendere nuovamente lo stile del riconciliarsi e i gesti che lo pongono in essere. A cominciare dal sacramento della Riconciliazione: «Il fatto che esso in gran parte sia scomparso dalle abitudini esistenziali dei cristiani è un sintomo di una perdita di veracità nei confronti di noi stessi e di Dio; una perdita che mette in pericolo la nostra umanità e diminuisce la nostra capacità di pace» (ib). Parole che suonano indubbiamente incalzanti per i popoli dell’Africa e le loro relazioni interne, spesso difficili e segnate da conflitti, ma anche per ogni altro popolo, dunque anche per noi e per la verità del nostro apporto di credenti alla costruzione dell’edificio comune che coincide anzitutto con il nostro Paese. L’appello al disarmo degli animi, che ci eravamo permessi di lanciare in occasione dell’assemblea di Assisi, ha − grazie a Dio − avuto una certa eco, ed è stato da varie parti ripreso come esigenza per un confronto politico più maturo. Eppure la situazione interna ha continuato a surriscaldarsi fino all’episodio violento ed esecrabile che ha riguardato il Presidente del Consiglio. Maestri nuovi del sospetto e del risentimento sembrano talora riaffiorare all’orizzonte lanciando parole violente che, ripetute, possono resuscitare mostri del passato. Ebbene, dobbiamo continuare a dare un contributo speciale come credenti su questo versante della riconciliazione degli animi, quale condizione irrinunciabile per un disarmo duraturo tra schieramenti e gruppi, in vista di una coesione effettiva tra i componenti dell’intera comunità nazionale. Dobbiamo farlo guardando niente meno che all’esempio di Gesù che «si è alzato e ci è venuto incontro, benché Egli solo fosse dalla parte della ragione» (ib). Questa è la vera gratuità, spiegava il Papa: «La disponibilità a fare il primo passo. Per primi andare incontro all’altro, offrirgli la riconciliazione, assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione» (ib). O la rinuncia a far prevalere analisi finalizzate a giustificare unicamente il proprio progetto ritenuto pregiudizialmente il migliore. Solamente se c’è un’azione che scava così in profondità, c’è anche la speranza di costruire non sul dato meramente episodico o psicologico, ma sulle motivazioni profonde, che non possono mancare quando c’è di mezzo il bene di una Nazione. «Riconciliazione è un concetto pre-politico – chiariva Benedetto XVI – e una realtà pre-politica, che proprio per questo è della massima importanza per il compito della politica stessa. Se non si crea nei cuori la forza della riconciliazione, manca all’impegno politico per la pace il presupposto interiore» (ib). Qui c’è, ed è stata più volte segnalata, una responsabilità precipua dei mezzi di comunicazione, da cui provengono a volte deviazioni e intossicazioni (cfr Benedetto XVI, Discorso all’Atto di Omaggio all’Immacolata in Piazza di Spagna, 8 dicembre 2009). Non serve a nessuno che il confronto pubblico sia sistematicamente ridotto a rissa, a tentativo di dominio dell’uno sull’altro. Allo stesso modo è insopportabile concentrarsi unicamente sulla denigrazione reciproca, arrivando talora a denigrare il Paese intero pur di far dispetto alla controparte. Anche i media, che devono corrispondere ai compiti di informazione e di controllo che sono loro propri in una società evoluta, non devono cadere nel sistematico disfattismo o nell’autolesionismo di maniera. Il giornalismo del risentimento che si basa, più che sulle notizie, sui conflitti veri o immaginati, finisce per nuocere anche alla causa per cui si sente mobilitato. Il Paese ha bisogno di uscire dalle proprie pigrizie mentali, dai pregiudizi ammantati di superiorità, per essere meglio consapevole delle risorse e delle qualità di cui dispone, per dare una giusta considerazione ai successi conseguiti ad esempio sul fronte della lotta alla criminalità, o dell’eccellenza tecnologica, o della ricerca medico-scientifica, o della bio-alimentazione, o dell’industria creativa. Occorre essere fieri del proprio buon nome, della propria fatica, dell’impegno speso senza vanità e che, quando c’è, non può essere annullato da nessuno. A partire da simili presupposti, è possibile allora per la politica – intesa come l’opera civile più grande per gli altri − proporsi l’obiettivo urgente, ma colpevolmente sempre rinviato, delle riforme che invece sono attese per dare compiutezza a quella transizione istituzionale, politica e strutturale che, se ritardata, assorbe le risorse e corrode gli entusiasmi. Il Presidente della Repubblica molto opportunamente non si stanca di richiamare le classi politica, amministrativa e giudiziaria, e le diverse componenti dirigenziali, a mettere da parte calcoli individuali, e talora anche meschini, per riuscire negli obiettivi generali. La stessa questione Meridionale, come viene per lo più evocata, deve acquistare una capacità di interrogazione nuova rispetto all’intero Paese. Le parole come solidarietà, sussidiarietà e reciprocità, quali sono prospettate nel documento sul Mezzogiorno che andremo ad approvare definitivamente in questi giorni, indicano i criteri necessariamente esigenti per una riforma urgente del nostro sentirci Nazione, a centocinquant’anni esatti dal compimento dell’unità d’Italia. Ne abbiamo parlato ampiamente nella nostra Assemblea ad Assisi: offriamo alla Chiesa e al Paese il nostro contributo che nasce dalla collegiale riflessione e dall’esperienza diretta sul territorio come Pastori che amano questa splendida e nobile Terra. L’indifferenza verso le istituzioni è una mancanza che si fa pesante e prelude ad una segmentazione del Paese non più consona alle sfide che deve affrontare. Non è un caso che nel clima natalizio il Papa abbia parlato di «amore vicendevole e di reciproca comprensione, affinché all’interno delle famiglie e dell’intera Nazione si viva quel clima di intesa e di comunione che tanto giova al bene comune» (Saluto all’Angelus, 26 dicembre 2009). Parole che possono suonare generiche solo a chi non voglia capire.

4. Molto si è discusso, nell’ultimo periodo, di clima e di ambiente, di crisi ecologica e cambiamenti atmosferici. L’occasione principale è stata offerta dalla Conferenza di Copenaghen, dove si erano dati appuntamento i governi del mondo per mettere in comune le diagnosi e soprattutto assumere insieme degli impegni destinati a modificare i comportamenti nazionali e a ridurre sensibilmente le emissioni di CO2. Un appuntamento che si annunciava cruciale e alla prova dei fatti lo è risultato assai di meno, per il modesto approdo a cui è pervenuto, senza significative decisioni vincolanti, e rinviando sostanzialmente le scelte dirimenti ad occasioni successive. Da più parti è stato fatto notare che la motivazione che soggiace al mancato accordo è da ricercarsi nel fatto che i grandi Paesi, indispensabili per pervenire a degli esiti soddisfacenti, sono nel contempo anche parte considerevole del problema. In buona sostanza, quello del clima è lo schermo sul quale si proiettano le differenze economiche che intercorrono tra le diverse regioni della terra e soprattutto le diverse cronologie del rispettivo sviluppo. Di qui la resistenza dei Paesi di recente industrializzazione che faticano ad assumere vincoli che possano compromettere il loro attuale slancio a vantaggio magari dei Paesi che di un’industrializzazione senza vincoli hanno nel frattempo già beneficiato. E sullo sfondo c’è l’insoddisfazione del più elevato numero di Paesi, quelli in via di sviluppo, che pur non inquinando come gli altri, sono spesso i primi a dover fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico. Ad offrire una sorta di chiave di lettura ordinata dei problemi sul tappeto è stato il Messaggio per la 43a Giornata della Pace che era in calendario per il 1° gennaio 2010, e non a caso il Pontefice aveva voluto sul tema: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. Cruciale è l’affermazione papale secondo cui «la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni» (ib). Come dire: non ci si può illudere di affrontare efficacemente fenomeni quali la desertificazione, l’esaurimento di risorse naturali, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali, l’inquinamento atmosferico se non vi è la disponibilità ad operare «una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo» (Messaggio cit., n. 5). Dunque, a ben riflettere, il tema ecologico è un altro modo per assumere i traguardi indicati nella recente enciclica Caritas in veritate, a cominciare dall’urgenza di una duplice solidarietà, quella inter-generazionale per cui i costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali non possono essere a carico di chi verrà dopo di noi, e quella intra-generazionale secondo la quale occorre disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili consentendo fin d’ora la partecipazione anche dei Paesi più poveri (cfr Messaggio cit. n. 8 e Caritas in veritate, nn. 49 e 50). Si ha conferma inoltre di almeno due acquisizioni classiche della dottrina sociale cattolica, ossia la consapevolezza del reciproco condizionamento tra le scelte da condurre sui macro scenari e quelle relative agli stili di vita delle persone, delle famiglie e delle comunità locali; e la consapevolezza circa il nesso tra l’inquinamento atmosferico e quello «meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso», cioè l’inquinamento dello spirito «che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia» (Benedetto XVI, Discorso all’atto di Omaggio cit.). Di qui il principio che «quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio» (Caritas in veritate, n. 51; cfr anche Discorso al Corpo Diplomatico, 11 gennaio 2010).

E, certo, nei delicati equilibri dell’ecologia umana entra la bioetica dove sono almeno due sul piano istituzionale i fronti in movimento. Anzitutto quello della pillola RU 486 che, dopo il via libera dell’AIFA, rischia di introdurre una prassi di banalizzazione ulteriore nella tutela della vita umana. Per questo auspichiamo che i pubblici poteri, ciascuno al proprio livello – Parlamento, Ministero della salute e Regioni – operino alacremente per circoscrivere quanto è più possibile tale rischio. Quanto poi al tema del fine vita, non possiamo non avanzare riserve sulla discutibile “iniziativa dei registri” che si vanno qua e là aprendo, e che, oltre a rappresentare una fuga irresponsabile in avanti, tendono a precostituire degli esiti al ribasso circa la legge in allestimento, sulla quale invece le forze politiche sono chiamate a dar prova della massima saggezza.

5. Ma per chi è chiamato a vivere nel nostro Paese, l’impegno per l’ambiente ha una declinazione speciale e quanto mai incalzante sul versante anche della messa in sicurezza del territorio che la Provvidenza di Dio ci ha affidato. E’ di questi giorni il dramma doloroso in Sicilia, dove una casa si è letteralmente sbriciolata mietendo due piccole vittime. E sono di quest’ultimo periodo le esondazioni che hanno colpito la Liguria meridionale e la Toscana, in particolare nelle province di Lucca e di Pisa. Ma appena qualche mese prima c’era stata la frana che come un fiume di fango e detriti ha colpito il Messinese, e in precedenza il terremoto che ha segnato pesantemente l’Abruzzo. Guardando più indietro, si ha quasi esitazione a mettere in fila i disastri ambientali succedutisi ad esempio nell’ultimo lustro, tanto è alta la possibilità che se ne trascuri qualcuno. Gli esperti parlano di una sorta di emergenza permanente che riguarda il nostro Paese dovuta, oltre che a fenomeni violenti che non dipendono dall’uomo, a dissesti e incurie, ma anche ad errori veri e propri, o al non rispetto dei vincoli o a sottovalutazioni dei pericoli, a certa urbanizzazione irrazionale e incontrollata e alla mira del maggior profitto a scapito della sicurezza. C’è una preoccupazione che responsabilmente compete a tutta la popolazione, e coincide con un fondamentale senso civico, proprio perché tutti devono avere a cuore la sicurezza propria, della propria famiglia, della propria comunità, per cui è contraddittorio fare azzardi e consumare abusi per lamentare poi la distrazione o le dimenticanze dei pubblici poteri. Va da sé che i cittadini debbano essere soccorsi, e quelli colpiti aiutati a recuperare al più presto una condizione normale di vita; e qui non possiamo non riservare una parola convinta di ammirazione e di gratitudine per l’azione complessivamente condotta dalla Protezione Civile, una vera eccellenza del nostro Paese; ma bisogna essere consapevoli che a tutt’oggi ci sono anche allarmi inascoltati e segnalazioni non raccolte, quasi che la prevenzione, soprattutto quella mirata, non fosse l’unica via da battere se si vuole evitare ad una popolazione come la nostra una successione macabra di tragedie. In sede parlamentare, com’è noto, si è arrivati dopo una congrua indagine conoscitiva, a chiedere l’approntamento e la realizzazione di un programma straordinario a favore del territorio, in cui risorse e competenze disponibili ai vari livelli convergano per garantire la partenza di un’opera capillare che poi non si dovrà più fermare. Sia consentito alla Chiesa, per ciò che essa è in questo territorio, e per quanto solitamente assicura alle popolazioni che di volta in volta si trovano bersagliate, di ricordare a tutti l’impegno morale più volte assunto in questa direzione, anche in forma solenne, dinanzi alle vittime delle tragedie che si susseguono.

6. Il tema qui accennato, quello di una cittadinanza consapevole e matura, ci induce a riprendere il filo del discorso sull’emergenza educativa, che non può essere proprio ora trascurato. È all’ordine del giorno di questo Consiglio Permanente l’esame della bozza degli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020, e dunque mi guarderò dal sovrapporre altre considerazioni a quelle che in passato già ci scambiammo e che ora costituiscono la trama del testo che andremo a valutare. Mi limito ad annotare che l’espressione «emergenza educativa» richiama in maniera efficace un tratto innegabile della condizione odierna, che è preoccupante non tanto per una diserzione riscontrabile in questo ambito dell’esperienza umana, quasi che siano di colpo sparite le figure classiche e gli ambienti di riferimento educativo. Si deve piuttosto dire che oggi nelle zone più avanzate del pianeta, in particolare in Europa, è venuta meno quella che gli studiosi chiamano la “cura tra le generazioni”. Essa si è in un certo senso allentata tra un passaggio di testimone e l’altro, come se in una catena si aprisse un anello e la tensione venisse meno, col rischio di interrompersi. C’è qui indubbiamente un fattore di clima culturale, determinato sostanzialmente dal relativismo che schiaccia sul dato immediato e tutto tende a livellare, sottraendo le unità di misura, e scompaginando ogni possibile raffronto con il meglio. Ma è soprattutto la potatura dei modelli e la rarefazione dei fondamenti a sottrarre all’educazione la possibilità di porsi come processo voluto, immaginato e perseguito. “A cosa educare?”: incerta è la risposta a questa domanda fondamentale; e mancando la consapevolezza del fatto che si ha qualcosa di positivo da trasmettere, l’azione educante si scopre come disinnervata se non paralizzata. Se poi si pretende di prescindere da Dio quasi a volerlo confinare nel perimetro del privato individuale, si comprende come venga meno il fondamento ultimo dei contenuti sui quali l’educazione poggia, dalla libertà all’amore, alla ricerca del vero, eccetera. Nell’arco di appena qualche giorno il Papa ha fatto ricorso all’espressione «emergenza educativa» in almeno un paio di occasioni, parlando cioè per il 70° anniversario della Lumsa (cfr Discorso ai Docenti e agli Studenti della libera Università Maria Assunta, 12 novembre 2009) - ossia per illustrare l’attualità del mandato che a suo tempo fu conferito ad uno degli istituti accademici più significativi della capitale - e appena qualche giorno prima, commemorando a Brescia la figura grandiosa del Papa Paolo VI che fu nell’intero arco della sua vita il propugnatore di un’idea forte ed unitaria di formazione della persona (cfr Discorso per l’Inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Paolo VI, Brescia, 8 novembre 2009). Anzi, proprio grazie al ritratto che Benedetto XVI ha fatto di questo suo Predecessore meriterà che la figura di Papa Montini e la sua idea di educazione − aperta al nuovo e ad un tempo radicata nella tradizione più classica − siano adeguatamente rivisitate nel corso dei prossimi anni. Credo in ogni caso che sarebbe importante che ci prefiggiamo dei veri e propri obiettivi, verificabili e di sufficiente concretezza. Sarebbe un vero peccato se il decennio che ci sta dinanzi venisse giocato su un piano di declamazione programmatica, restando inevasa la pregnante pertinenza del tema rispetto ai soggetti protagonisti dell’impresa educativa; vale a dire, in primo luogo, i giovani; quindi i genitori e l’ambiente famigliare; poi gli educatori in senso complessivo, dunque gli insegnanti ma anche i catechisti; il mondo delle associazioni e dei gruppi; infine i media. Almeno cinque tipologie di soggetti che incontestabilmente entrano in varia misura nei processi educativi: essi dovrebbero anche risultare distintamente inclusi nello sviluppo tematico del decennio, alla luce del Convegno ecclesiale di Verona e come emerge anche dal Rapporto-proposta, “La sfida educativa”, che il nostro Comitato per il Progetto Culturale ci ha messo per tempo a disposizione e che in questa stagione viene presentato nelle varie regioni. Se si avrà cura infatti di articolare, e quasi sfaccettare il tema, su ciascuno di questi protagonisti e sulla correlazione dei loro apporti, daremo forse vita ad un approccio al tema, rigoroso e non astratto.

7. Ricostruendo la figura di Gian Battista Montini, Benedetto XVI ha tra l’altro detto che i giovani che lo avvicinavamo, quando egli operava tra gli universitari, percepivano «il fuoco interiore che dava anima alle sue parole, in contrasto con un fisico che appariva fragile» (Discorso cit.). Non apparirà un arbitrio allora collocare qui il riferimento all’Anno Sacerdotale, in pieno svolgimento in tutta la Chiesa cattolica. La testimonianza di intensità cristiana che Paolo VI lasciava trasparire da tutta la sua persona, dal suo sguardo come dai suoi gesti, induce a ricordare che si può sapere tante cose su Dio, ma non «vedere» il mistero stesso, lasciandosi così sfuggire l’essenziale, e continuando a tenere chiusi gli occhi del cuore (cfr Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1° dicembre 2009). E si può anche predicare in modo ricorrente sul Dio dell’amore, ma dimostrare che la propria vita non si fonda su questa esperienza. È un rischio – perché tacerlo? – che possiamo correre anche noi sacerdoti: avere una conoscenza pur vasta della fede, ma in una certa misura rimanervi fuori, non averne cioè toccata la vita. In altre parole, essere presi dall’intorpidimento dei sentimenti, da una certa muta abitudinarietà. Ed è il rischio dal quale ha inteso metterci in guardia il Santo Padre indicendo appunto questo Anno di grazia, che non è solo per i presbiteri, tant’è che tutti i fedeli sono invitati a parteciparvi con la loro personale conversione e con la preghiera per i sacerdoti stessi, ma che certamente è e deve essere un Anno di grazia dei sacerdoti, anzi di ciascun sacerdote – diocesano o religioso − convocato in coscienza davanti a Dio per riscoprire la bellezza del proprio sacerdozio. Allora sarà importante, in questo tempo, tornare ad interrogarsi sui fondamentali della nostra esperienza sacerdotale, e domandarsi se la nostra vita è strutturata sulla preghiera, e in modo particolare sulla santa Messa e la Liturgia delle Ore, sulla regolare e frequente confessione sacramentale; se siamo pervasi dalla Parola di Dio, ed essa è − più del cibo e delle cose di questo mondo − il nutrimento delle nostre esistenze, impronta del nostro agire e forma del nostro pensare; se aderiamo senza riserve al nuovo stile di vita proprio del consacrato a Dio; se sappiamo immedesimarci a Cristo, cercando di aderire affettivamente a Lui con i nostri pensieri, la nostra volontà, i sentimenti; se sappiamo trascorrere del tempo e del tempo privilegiato in adorazione dell’Eucaristia; se siamo fedeli agli esercizi spirituali; se accettiamo un’amorosa sottomissione alla volontà di Dio che è adesione anche alle esigenze del ministero, quale che sia, nell’obbedienza pronta e generosa alla Chiesa; se ci dedichiamo agli altri e alla loro salvezza senza rifiutare di partecipare personalmente al caro prezzo della redenzione; se diamo al nostro ministero una radicale forma comunitaria, se è cioè vissuto nella comunione dei presbiteri con il Vescovo; se la passione per gli altri include lo sguardo che avrebbe Gesù al nostro posto e nella promozione del loro disegno di vita, della loro personale vocazione; se per ciò in cui crediamo siamo disposti ad affrontare anche incomprensioni e, quando ci sono, prove e sofferenze. In fondo c’è, per i nostri altri, una prova che noi siamo come il Signore ci vuole: è la gioia di essere preti, gioia mite ma intrattenibile, che dagli occhi traspare e solitamente colpisce chi ci incontra, ed è contagiosa tra i confratelli.

8. La situazione economica che non poco ci ha preoccupato nella stagione precedente, appare oggi – se guardiamo allo scenario macroeconomico − incamminata verso una fase di prudente ma indubitabile recupero. L’Italia, che già mentre la crisi imperversava ci è parsa almeno in parte al riparo dagli scossoni più violenti, oggi sembra aver colto con una certa prontezza la via della ripresa. E questo grazie ad una serie di salvaguardie del nostro sistema economico e finanziario complessivo, che sono state rafforzate, ma anche grazie all’intraprendenza delle nostre imprese che hanno saputo fronteggiare l’inasprimento delle condizioni del mercato attraverso il riposizionamento strategico del proprio impianto produttivo. Per buona parte del nostro sistema, la crisi si è rivelata un forte acceleratore a spostarsi sulle fasce alte del mercato, là dove l’estro della persona che progetta e i saperi condensati in azienda contano più del possesso dei mezzi di produzione. D’altra parte, per un Paese sguarnito di materie prime come il nostro, non c’era strada alternativa a quella dell’inserimento sempre più deciso nelle filiere di qualità del prodotto e della sua compatibilità con l’ambiente. La stessa limitata – rispetto ad altri contesti – e sempre dolorosa contrazione dei posti di lavoro riflette la preoccupazione della gran parte delle medie e piccole imprese, di cui è ricco il nostro panorama, di non privarsi del patrimonio diffuso di competenze, e dunque di trattenere pur con sacrificio il proprio personale in azienda così da consentirsi il balzo più scattante appena il clima avrebbe dato segni di miglioramento. Certo, parliamo di una relativa attenuazione delle aree di sofferenza, che tuttavia ci sono state e ci sono, e oggi sprigionano più di ieri i loro effetti sul versante soprattutto occupazionale. Per una quota parte di aziende più piccole o più isolate, o poste più a monte nella catena del valore aggiunto, si è trattato infatti di un periodo difficilissimo, quando non fatale, che sta inevitabilmente pesando su alcune categorie di persone, il più spesso quelle che già in precedenza non godevano di una piena garanzia di stabilità. Così ad antiche sofferenze, altre se ne vanno ad aggiungere, e si ha la percezione di una crisi che ancora morde su segmenti deboli della popolazione, specialmente quelli giovanili. Molte famiglie sono giunte a fine anno con la consapevolezza di un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e dunque con un aumento delle disuguaglianze. Ne dobbiamo trarre la persuasione che la strada da noi intrapresa di una più consapevole e dinamica solidarietà a livello di parrocchie e di diocesi, per andare incontro alle situazioni di disagio in maniera più circostanziata, è quella su cui merita ancora insistere per cercare di attenuare i contraccolpi di una economia che non riesce purtroppo a garantire tutti. Nel contempo non possiamo non sollecitare il sistema bancario ad una politica del credito che, senza farsi avventata, sappia tuttavia essere scrupolosamente più attenta alle esigenze delle aziende in affanno. E ancora, non ci resta che sollecitare la classe politica a intensificare tutti i meccanismi che possono attenuare l’angoscia di chi, in seguito a licenziamento, ha perso la propria fonte di sostentamento o è in cassa integrazione. Tutti dobbiamo sentirci ingaggiati a fare in modo che il volano dell’economia acceleri prima possibile, e nello stesso tempo ci pare doveroso incoraggiare il ricentramento della politica, anche quella fiscale, sul perno delle famiglie, in particolare quelle con figli, perché da elemento di risulta, che attenua i contraccolpi negativi, diventino soggetto propulsivo di sviluppo (cfr anche Benedetto XVI, Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma, 14 gennaio 2010). Certa cattiva letteratura purtroppo ha lasciato il segno, e con molta fatica in taluni ambienti si riesce a ragionare della famiglia per ciò che realisticamente essa è, ossia la più grande risorsa sociale e culturale del nostro Paese. Non applicarsi ad essa, non darle forza e vigore, non riconoscerle la soggettività di cui è capace è come pretendere di volare continuando tuttavia ad appesantirsi le ali. Bisogna invertire questa tendenza e farlo con la nostra tenacia migliore.

9. Gli episodi di contestazione sociale che, attorno al fenomeno degli immigrati, hanno recentemente avuto luogo in Calabria, e specialmente a Rosarno e nella Piana di Gioia Tauro, potrebbero in una certa misura essere anch’essi ricondotti alla difficile crisi economica che l’Italia come gli altri Paesi si è trovata ad affrontare. Ovvio infatti che rallentando alcuni comparti in cui trovava sbocco occupazionale un numero elevato di immigrati sia regolari che irregolari, molti di costoro rifluiscano là dove c’erano degli insediamenti di loro connazionali con la prospettiva di spartire con i primi il poco di lavoro rimasto. Ma questo non basta a spiegare le giornate di violenza che si sono vissute, in un’allerta generale. Per darsi conto dell’accaduto occorre considerare anche altri fenomeni che lì sono entrati in combustione, come la condizione del tutto critica in cui abitualmente vivono una parte degli immigrati presenti nel nostro Paese: quelle capanne di cartone o plastica senz’acqua e senza elettricità, dunque senza il minimo requisito igienico-sanitario, incapsulate all’interno di manufatti abbandonati e diroccati, esposte alle intemperie e invase dal fango, indicano uno standard non accettabile: così non si può, così non è umano. È realistico pensare che in contesti come questi non possano attecchire seri tentativi di integrazione, mentre prendono vita pezzi di società parallela e auto-referenziale rispetto ai quali diventa difficile scongiurare tensioni e micro-conflitti, che finiscono per condizionare pesantemente la percezione del fenomeno da parte dei cittadini. Poi, certo, pesano anche fenomeni come la strategia avvolgente della malavita locale, che prima assolda, poi provoca e infine si presta a raccapriccianti interventi che lo Stato sta tentando di reprimere venendo per questo intimidito attraverso attentati che occorre sapere respingere con inesorabile nettezza. Vogliamo, a questo riguardo, esprimere la più convinta solidarietà ai Confratelli che di recente hanno subito minacce insensate che non riusciranno tuttavia a distoglierci dalla nostra missione. E ancora fenomeni come l’insicurezza che tra i cittadini ad un certo punto scatta e che, in una sorta di turbinio irrazionale, porta a gesti che come un tratto di spugna cancellano quanto si era provato ad assicurare fino ad un attimo prima, grazie all’opera delle comunità cristiane, delle istituzioni, o per il moto di spontanea generosità di singole persone e famiglie. Lasciamo ai responsabili di quelle comunità la disamina più accorta sull’evento che non può tuttavia ipotecare con un colpo solo l’immagine di un intero territorio, che proprio ora deve invece trovare la forza per uscire dall’emergenza. Ritengo che l’opinione pubblica nazionale abbia con l’occasione potuto avviare una riflessione che nessuna ruspa può facilmente rimuovere. Voci sagge si sono alzate per dire cose importanti, da non scordare. Io vorrei riprendere le parole essenziali che il Pontefice ha usato per centrare «il cuore del problema»: «Bisogna ripartire dal significato della persona. Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita» (Saluto all’Angelus, 10 gennaio 2010). Niente può farci dimenticare questa verità: l’immigrato è uno di noi; noi italiani siamo stati a nostra volta immigrati, e prima di noi lo è stato Gesù. Bisogna partire da qui, e mai staccarsi da questa consapevolezza che va incardinata nei pensieri personali e collettivi degli adulti, come dei giovani e dei bambini. Diceva in altra circostanza Benedetto XVI che la «via privilegiata che conduce alla pace» comincia dallo «sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione» (Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, 1° gennaio 2010). Dio è il garante della profondità e della «risonanza» in noi del volto dell’uomo, di ogni uomo. Questo naturalmente vale in ogni angolo della terra, e vale anche per la violenza patita dai cristiani in alcuni Paesi, tanto più se si manifesta nei giorni più cari alla tradizione evangelica.

10. Mi avvio alla conclusione, confidando un sogno, di quelli che si fanno ad occhi aperti, e che dicono una direzione verso cui preme andare. Mentre incoraggiamo i cattolici impegnati in politica ad essere sempre coerenti con la fede che include ed eleva ogni istanza e valore veramente umani, vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni. Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico. So che per riuscire in una simile impresa ci vuole la Grazia abbondante di Dio, ma anche chi accetti di lasciarsi da essa investire e lavorare. Ci vuole una comunità cristiana in cui i fedeli laici imparino a vivere con intensità il mistero di Dio nella vita, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità, della coscienza. Cresce l’urgenza di uomini e donne capaci, con l’aiuto dello Spirito, di incarnare questi ideali e di tradurli nella storia non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera, che dispiega meglio il progetto di Dio sull’umanità, e perciò capaci di suscitare nel tempo l’ammirazione degli altri, anche di chi è mosso da logiche diverse. Se questo è un sogno, cari Confratelli, so che ad esso ci si può avvicinare anzitutto attraverso le circostanze ordinarie dell’esistenza, le tappe apparentemente anche più consuete, ma che racchiudono in se stesse la cadenza del progetto che avanza. Ecco, vorremmo che i valori che costituiscono il fondamento della civiltà − la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta… − formassero anche il presupposto razionale di ogni ulteriore impresa, e perciò fossero da costoro ritenuti irrinunciabili sia nella fase della programmazione sia in quella della verifica. Non a caso la vicenda sociale è oggi, a giudizio della Chiesa, radicalmente antropologica (cfr Caritas in Veritate, n. 15).

Grazie, cari Confratelli, del Vostro amabile ascolto e per i contributi che ora e nei prossimi giorni vorrete dare. Ci sostiene il pensiero e la comunione delle nostre Chiese. Ci guidi Maria, l’amata Madre del buon Consiglio, ci aiutino i Santi Patroni delle nostre Diocesi, in particolare i Santi Francesco e Caterina”.

26/01/2010 16:25
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COMUNICATO DELL’UFFICIO FILATELICO E NUMISMATICO DEL GOVERNATORATO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano intende promuovere, tramite l’Ufficio Filatelico e Numismatico, una speciale iniziativa a favore della popolazione di Haiti, recentemente colpita dallo spaventoso terremoto.

L’iniziativa consiste nella sovrastampa speciale di un francobollo vaticano di prossima emissione, dedicato al 1500° Anniversario del Santuario della Madonna delle Grazie, meglio noto come Santuario della Mentorella.

La tiratura è di 150.000 foglietti pari a 900.000 francobolli del valore di affrancatura di 0,65 centesimi di euro cadauno più un valore in sovrastampa di 0,20 centesimi di euro per francobollo (1,20 euro per foglietto).

In ogni caso il valore di affrancatura del francobollo rimane quello originario (0,65) pur costando all’acquirente 0,85 unitariamente.

Tutto il ricavato della sovrastampa dei francobolli venduti sarà destinato alla popolazione di Haiti.

Qualora la vendita fosse pressoché completa si può ipotizzare un ricavato di circa 150.000 euro.

26/01/2010 16:26
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COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI


Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha constatato con rammarico che è stato pubblicato, da un mezzo di comunicazione, un testo che è all’esame della "Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme".

Il documento pubblicato è un testo previo, che consiste in un elenco di temi da studiare e da approfondire, finora discusso solo in minima parte dalla suddetta Commissione.

Nell’ultima riunione della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, tenutasi a Paphos nell’ottobre scorso, si era stabilito esplicitamente che il testo non sarebbe stato pubblicato finché non fosse stato esaminato nella sua totalità dalla Commissione.

Ad oggi non esiste nessun documento concordato e pertanto il testo pubblicato non ha nessuna autorità, né ufficialità.

26/01/2010 16:26
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NOTA INFORMATIVA SULLE PONTIFICIE ACCADEMIE COORDINATE DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA

Pubblichiamo la seguente nota informativa in occasione dell’Udienza Speciale del Santo Padre alle Pontificie Accademie (28 gennaio) e della Seduta pubblica delle Pontificie Accademie (27 gennaio):

Il Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie è stato creato da Papa Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa al Cardinal Segretario di Stato in data 6 novembre 1995, e ne fanno parte per ora i Presidenti delle seguenti Accademie: Accademia di S. Tommaso d'Aquino, Accademia di Teologia, Accademia dell’Immacolata, Accademia Mariana Internazionale, Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, Accademia Romana di Archeologia, Accademia «Cultorum Martyrum». Sotto la presidenza del Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, questo Consiglio si riunisce più volte all’anno per un rapporto generale di attività delle singole Accademie e per coordinare, in una prospettiva comune, le loro attività, fatta salva l'autonomia dei rispettivi programmi di ricerca, in maniera da promuovere la ricerca interdisciplinare e dare maggiore risonanza alla loro opera. Esso favorisce la regolare informazione sul lavoro intrapreso da ogni Accademia, in una prospettiva aperta alla libera cooperazione scientifica da discutere in riunioni collegiali.

Il Consiglio di Coordinamento promuove speciali incontri culturali e, una volta all'anno, organizza una Seduta Pubblica congiunta delle Accademie Pontificie su un tema di attualità e di particolare importanza, in cui viene anche assegnato il Premio delle Pontificie Accademie, attribuito dal Santo Padre a giovani studiosi o a Istituzioni meritevoli.

È attualmente costituito da:

S.E. Rev.ma Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Presidente.

Rev.mo Mons. Lluís Clavell, Presidente della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino.

Rev.mo Don Manlio Sodi, S.D.B., Presidente della Pontificia Accademia di Teologia.

S.Em. Rev.ma il Sig. Card. Andrzej Maria Deskur, Presidente della Pontificia Accademia dell’Immacolata.

Rev. P. Vincenzo Battaglia, O.F.M., Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale.

Prof. Vitaliano Tiberia, Presidente della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon.

Prof.ssa Letizia Pani Ermini, Presidente della Pontificia Accademia Romana di Archeologia.

Prof. Fabrizio Bisconti, Magister della Pontificia Accademia «Cultorum Martyrum».

Le Accademie hanno le loro sedi ufficiali a Roma, nel Palazzo San Pio X, Via della Conciliazione, 5.

PONTIFICIA ACCADEMIA DI SAN TOMMASO D'AQUINO
La Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino, fondata, il 15 ottobre 1879, da Leone XIII, che ne approvò le Leggi con Breve del 9 maggio 1895, è stata confermata da San Pio X con Lettera Apostolica del 23 gennaio 1904 e ampliata da Benedetto XV, il 31 dicembre 1914. È stata riformata da Giovanni Paolo II, il 28 gennaio 1999, con la Lettera Apostolica «Inter Munera Academiarum», sulla scia dell'Enciclica «Fides et Ratio». Essa adempie alla sua missione specifica che consiste nella ricerca, nella difesa e nella diffusione della dottrina del Dottore Angelico, e, tenuto debito conto delle condizioni culturali odierne, «nel formulare con più diligenza quella parte della dottrina tomistica che tratta dell'umanità, dato che le sue affermazioni sulla dignità della persona umana e sull'uso della sua ragione pienamente consono alla fede, fanno di San Tommaso un maestro per il nostro tempo» («Inter Munera Academiarum», n. 4). Giovanni Paolo II invita a fare riferimento all'Enciclica «Aeterni Patris» in cui Leone XIII, riproponendo la dottrina del Concilio Vaticano I, affermava l’urgente necessità di mostrare «come il pensare filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza teologica» («Fides et Ratio», n. 57). Il Papa raccoglie i frutti dell'immenso movimento che, dal XIX secolo alle soglie del III millennio, ha portato i filosofi ad approfondire la ricerca metafisica sulle domande ultime dell'uomo e sul mistero della stessa persona umana. Quindi, tenuto conto dell'importanza delle scienze umane, del loro contributo alla conoscenza dell'uomo, dei nuovi quesiti sorti dalla ricerca scientifica, orientata verso una conoscenza più profonda del mistero dell'uomo, il Pontefice invita gli Accademici a seguire le indicazioni in merito del Concilio Vaticano II, nonché gli orientamenti che Egli stesso propone incessantemente alla Chiesa.

Organizza ogni anno un Sessione Plenaria in cui viene dibattuto un tema di particolare rilevanza. Gli Atti della Sessione e gli studi compiuti dagli Accademici vengono pubblicati sulla Rivista dell’Accademia, Doctor Communis.

Rev.mo Mons. Lluís Clavell, Presidente.

S.E.R. Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Vescovo tit. di Vescovìo, Prelato Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA DI TEOLOGIA
La Pontificia Accademia di Teologia fu fondata a Roma e ricevette i suoi primi Statuti da Clemente XI, nel 1718. Creata come sede delle scienze sacre al fine di formare dei teologi ben preparati, l'Accademia ha la missione di promuovere il dialogo fra la fede e la ragione nonché l'approfondimento della dottrina cristiana seguendo le indicazioni del Santo Padre (cfr. Inter Munera Academiarum, n. 5), che ha identificato i compiti attuali per la teologia nei nn. 92-99 dell'Enciclica Fides et Ratio, per presentare il messaggio cristiano in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Nell'approfondire la verità rivelata, gli Accademici devono tener presente il loro compito che «consiste nel presentare l'intelligenza della Rivelazione ed il contenuto della fede» (ibid., n. 93) che si esprimono nel tempo e nelle culture, ma le superano. La perenne validità delle stesse formule dogmatiche, elaborate in tempi vari e in culture determinate, richiede «l'applicazione di un'ermeneutica aperta all'istanza metafisica» (ibid., n. 95) per mettere in luce la verità espressa nell'ambito di questi condizionamenti necessari. Quindi, uno dei principali compiti degli Accademici consiste nella comprensione della verità rivelata e nella sua presentazione agli uomini di oggi, affinché recepiscano il messaggio di Cristo e lo incarnino nella propria vita e nelle loro culture, come sorgente inesauribile di rinnovamento, sia nel campo della fede, sia nel campo della morale. Per questo, si chiede all'Accademia di curare lo studio di un'antropologia filosofica e di una metafisica del bene, in un proficuo dialogo fra la teologia e le differenti correnti filosofiche «in vista della comunicazione della fede e di una sua più profonda comprensione» (ibid., n. 98-99).

L’Accademia promuove, ogni due anni, un Forum Internazionale, quest’anno giunto alla V edizione, e pubblica la Rivista PATH, come pure opere selezionate nella collana Itineraria.

Rev. Prof. Don Manlio Sodi, S.D.B., Presidente.

Rev. Prof. Francois-Marie Léthel, O.C.D., Prelato-Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA DELL'IMMACOLATA
Fu fondata a Roma nel 1835, come circolo giovanile di studio e di pietà in onore di M. V. Immacolata, tra alcuni studenti del Seminario Romano e dell'Università Gregoriana. Accolse ben presto insigni eruditi e, con nuovi statuti, fu approvata come Accademia di scienze, lettere e arti dalla Sacra Congregazione degli Studi il 7 luglio 1847, con il titolo dell'Immacolata Concezione di M. V., e sede nel Convento romano «Ss. Apostoli» dei Frati Minori Conventuali. Fu dichiarata Pontificia l'8 dicembre 1864 da Pio IX, che fece iscrivere il suo nome nell'Albo Accademico nel quale entrarono molti studiosi di varie nazionalità. Dal 1938, con l'approvazione di Pio XI, all'attività accademica si è aggiunta l'iniziativa del solenne annuale Omaggio floreale dell'8 dicembre al monumento all'Immacolata di Piazza di Spagna in Roma. L'8 dicembre 1988, Giovanni Paolo II approvava il nuovo Statuto dell'Accademia, confermandone la revisione e l'aggiornamento nel 1995.

Svolge, tramite l’Associazione "Completamente tuoi", un servizio pastorale di accompagnamento e di guida presso i principali santuari mariani: Lourdes, Fatima. Częstochowa, Loreto.

Sua Em. Rev.ma il Cardinale Andrzej Maria Deskur, Presidente.

Sua Em. Rev.ma il Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Vaticana, 1º Vice-Presidente.

S.E.R. Mons. Stranisław Nowak, Arcivescovo di Częstochowa, 2º Vice-Presidente.

Rev. P. Józef Kijas Zdzsław, O.F.M. Conv., Segretario e Archivista.

Mons. Giacomo Martinelli, Delegato per la Consulta Giovanile.

PONTIFICIA ACCADEMIA MARIANA INTERNAZIONALE
Fondata nel 1946 da P. Carlo Balić, O.F.M., con lo scopo di promuovere gli studi scientifici, speculativi e storico-critici sulla Beata Vergine Maria, divenne un centro internazionale per il coordinamento degli studi mariani promossi dalle diverse Società Mariologiche sparse in tutto il mondo, soprattutto attraverso l'organizzazione periodica dei Congressi Mariologico-Mariani Internazionali e l'edizione dei rispettivi Atti e di altre collane mariologiche. Per questa sua opera, l'8 dicembre 1959, Giovanni XXIII, con il Motu Proprio Maiora in dies, insignì l'Accademia del titolo di «Pontificia», dando così un riconoscimento ufficiale alle sue attività, quale ente internazionale e centrale per il coordinamento del lavoro mariologico dei vari studiosi e degli Istituti o Associazioni Mariane presenti nelle varie nazioni. Tra i suoi fini principali, oltre alla fondazione di nuove Società o Istituti mariani nelle varie nazioni, vi è anche l'impegno di favorire e promuovere il dialogo ecumenico, soprattutto in occasione dei Congressi Mariologico-Mariani Internazionali.

Gli Statuti approvati nel 1964 da Paolo VI, sono stati revisionati nel 1995 e approvati definitivamente da Giovanni Paolo II il 9 gennaio 1997. Nel 1972 è stata aggregata al Pontificio Ateneo Antonianum, nel quale gestisce la Cattedra di studi mariologici «Beato Giovanni Duns Scoto», istituita nel 1999, e la «Biblioteca P. Carlo Balić» inserita nella Biblioteca del medesimo Ateneo.

Rev. P. Prof. Vincenzo Battaglia, O.F.M., Presidente

Rev. P. Prof. Stefano Cecchin, O.F.M., Segretario

PONTIFICIA INSIGNE ACCADEMIA DI BELLE ARTI E LETTERE DEI VIRTUOSI AL PANTHEON
La Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon nacque sotto la denominazione di Congregazione di San Giuseppe di Terra Santa, per iniziativa del monaco cistercense Desiderio d'Adiutorio, e fu riconosciuta da Papa Paolo III il 15 ottobre 1542. Fin dalla fondazione, i Virtuosi al Pantheon hanno annoverato i più importanti artisti che hanno lasciato a Roma tracce imperiture del loro ingegno. Dal XVII secolo furono periodicamente allestite mostre sotto il pronao del Pantheon, che ebbero amplissima risonanza. Nel 1837 fu pubblicato un nuovo Statuto, e così, con fondi del pubblico erario, venne istituita una rendita annua per bandire concorsi fra artisti. Il titolo di Pontificia fu concesso da Pio IX nel 1861 e quello di Accademia da Pio XI nel 1928.

Secondo il nuovo Statuto approvato nel 1995, la Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon ha lo scopo di favorire lo studio, l'esercizio ed il perfezionamento delle Lettere e Belle Arti, con particolare riguardo alla letteratura d'ispirazione cristiana e all'arte sacra in tutte le sue espressioni, e di promuovere l'elevazione spirituale degli artisti, in collegamento con il Pontificio Consiglio della Cultura.

Gli Accademici Virtuosi Ordinari sono in numero di cinquanta e si dividono in cinque Classi: Architetti, Pittori e Cineasti, Scultori, Studiosi o Cultori di discipline attinenti alle Arti e Musicisti, Poeti e Scrittori.

Dott. Prof. Vitaliano Tiberia, Presidente

Dott. Prof. Vittorio Di Giacomo, Segretario

PONTIFICIA ACCADEMIA ROMANA DI ARCHEOLOGIA
Fondata nel 1810 col titolo di Accademia Romana di Archeologia, si richiama, come precedenti, alla Accademia delle Romane Antichità, istituita nel 1740 da Benedetto XIV, e alla Accademia Romana creata da Pomponio Leto nel sec. XV. Per concessione di Pio VIII ebbe il titolo di Pontificia nel 1829.

L'Accademia ha il fine di promuovere lo studio dell'archeologia e della storia dell'arte antica e medievale. Cura in maniera particolare l'illustrazione dei monumenti archeologici ed artistici di spettanza della Santa Sede. Svolge la sua azione, per il progresso del sapere e lo sviluppo della cultura, attraverso comunicazioni scientifiche, conferenze, pubblicazioni, concorsi e ogni altra forma di indagine e di studio.

In particolare indice una adunanza pubblica mensile, da novembre a giugno, che si tiene l’ultimo giovedì del mese, per la comunicazione di scoperte e studi recenti in campo archeologico. Pubblica i Rendiconti e le Memorie.

Prof.ssa Letizia Pani Ermini, Presidente.

Prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai, Segretario.

PONTIFICIA ACCADEMIA «CULTORUM MARTYRUM»
Fondata sotto il titolo di Collegium Cultorum Martyrum, il 2 febbraio 1879, da M. Armellini, A. Hytreck, O. Marucchi ed E. Stevenson, insigni studiosi di antichità sacra, la Pontificia Accademia ha lo scopo di promuovere il culto dei Santi Martiri e di incrementare ed approfondire l'esatta storia dei Testimoni della Fede e dei monumenti ad essi collegati, fin dai primi secoli del cristianesimo. A tal fine, indice celebrazioni negli antichi cimiteri cristiani e in altri luoghi sacri, con funzioni religiose e conferenze archeologiche. L'Accademia tiene almeno due Assemblee Generali ogni anno, presso l'Istituto di Archeologia Cristiana e nella sua sede storica al Collegio Teutonico in Vaticano.

La Pontificia Accademia «Cultorum Martyrum» patrocina anche, durante la Quaresima, lo svolgimento della liturgia stazionale, ripristinato da Mons. Carlo Respighi, Magister dal 1931 al 1947.

Lo Statuto revisionato è stato approvato nel 1995; una nuova bozza di statuto è in attesa di approvazione. L'Accademia si compone di Sodales e di Associati d'ambo i sessi. La carica di Magister è di nomina pontificia, e come le altre cariche direttive, viene ancora designata in latino, così come stabilito dai Fondatori. Il Magister, d'intesa con il Consiglio Direttivo, può affiliare all'Accademia altri centri presso Santuari di Martiri.

Prof. Fabrizio Bisconti, Magister

Mons. Pasquale Iacobone, Sacerdos

Dott. Pier Luigi Imbrighi, Ab Epistulis

29/01/2010 15:17
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MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI PER LA 57a GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA (31 GENNAIO 2010)

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, in occasione della 57a Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra che si celebra domenica, 31 gennaio 2010:


MESSAGGIO DI S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKI

Ai Presidenti delle Conferenze Episcopali,
Ai Vescovi Incaricati della Pastorale della Salute,

La "Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra", istituita nella prima metà degli Anni ’50 grazie all’impegno dello scrittore francese Raoul Follereau, non è solamente una giornata di riflessione sulle vittime di questa devastante malattia ma è innanzitutto una giornata di solidarietà con i fratelli e le sorelle che ne sono affetti.

La lebbra, conosciuta anche come Morbo di Hansen, in realtà continua a infettare annualmente centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2009 sono stati registrati oltre 210mila nuovi casi. Certamente sono innumerevoli, inoltre, le persone che sono state infettate ma non censite o comunque tuttora prive dell’accesso alle cure.

Sempre da un punto di vista statistico, i Paesi che risultano più colpiti sono in Asia, nell’America Meridionale e in Africa. L’India presenta il maggior numero di persone affette seguita dal Brasile. Si registrano anche numerosi casi in Angola, Bangladesh, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia, Madagascar, Mozambico, Nepal e Tanzania.

Una malattia ‘antica’, il Morbo di Hansen, ma non per questo meno devastante fisicamente e spesso anche moralmente. In tutte le epoche e tutte le civiltà, la sorte del malato di lebbra è stata quella di essere emarginato, privato di una qualsiasi forma di vita sociale, condannato a vedere il proprio corpo disfarsi sino al sopraggiungere della morte.

Purtroppo ancora oggi, chi ne soffre o, sebbene guarito, ne porti le mutilazioni inconfondibili, è troppo spesso condannato alla solitudine e alla paura, a rimanere come invisibile agli occhi degli altri, della società, dell’opinione pubblica. Nei Paesi economicamente più avanzati sembra che questa malattia sia stata dimenticata, così come lo sono le persone che ne sono affette.

Quando la si ricorda, quando si pronuncia la parola lebbra, si suscitano sentimenti vari: incredulità da parte di chi si domanda come questa patologia possa esistere ancora, paura e ripugnanza od una non meno grave ostentazione d’indifferenza ma anche la pietà e l’amore che scaturiscono dall’atteggiamento attento e misericordioso di Gesù verso questi malati (Mc 1, 40-42).

L’impegno di Follereau, dei molteplici fra istituzioni, organismi a matrice ecclesiale e/o non governativi che lottano contro la lebbra, l’eccezionale lavoro di San Damiano di Veuster e di tanti altri Santi e uomini di buona volontà, hanno aiutato a superare gli atteggiamenti negativi verso i malati di lebbra, promuovendone la dignità e i diritti e al contempo un più universale amore per il prossimo.

Oggi esistono efficaci cure contro la lebbra ma, ciononostante, il Morbo di Hansen continua a propagarsi. Tra i fattori che ne favoriscono il perpetuarsi vi sono certamente l’indigenza individuale e collettiva, che troppo spesso comporta la mancanza di igiene, la presenza di malattie debilitanti, l’alimentazione insufficiente se non fame cronica e la mancanza di accesso tempestivo alle cure mediche. Sul piano sociale persistono al contempo le paure che, di norma generate dall’ignoranza, aggiungono un pesante stigma al già terribile fardello che la lebbra comporta anche a guarigione avvenuta.

Mi appello pertanto alla comunità internazionale e alle autorità di ogni singolo Stato, invitandole a sviluppare e rafforzare le necessarie strategie di lotta alla lebbra, rendendole più efficaci e capillari soprattutto dove il numero dei nuovi casi è ancora elevato. Tutto ciò senza trascurare le campagne di educazione e di sensibilizzazione in grado di aiutare, le persone affette ed i loro familiari, ad uscire dall’esclusione e ad ottenere le cure necessarie.

Al contempo ringrazio di cuore le Chiese locali e le varie realtà religiose, missionarie e non, per quanto già fatto da tanti di loro, consacrati e consacrate, laici e laiche; per quanto di bene ha fatto anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità per il suo lodevole impegno a sradicare questa ed altre malattie ‘dimenticate’,1 le associazioni e le organizzazioni non governative anti-lebbra,2 nonché i numerosi volontari e tutte le persone di buona volontà che con il loro impegno, contraddistinto dall’amore verso i nostri fratelli e sorelle affetti da questa malattia, si dedicano alla loro cura in modo integrale restituendo loro la dignità, la gioia e la fierezza di essere trattati da essere umani, così che possano salvaguardare oppure, secondo i casi, riprendere il loro giusto posto nella società.

Maria Salus Infirmorum sostenga i malati nella difficile lotta contro le sofferenze e i disagi provocati dalla malattia e possa squarciare il velo del silenzio con un sempre crescente numero di atti di vera solidarietà a favore delle persone colpite dalla lebbra.

X Zygmunt Zimowski

Presidente del Pontificio Consiglio
per gli Operatori Sanitari

____________________

1 Cfr. World Health Organization, SEA-GLP-2009.3 e SEA-GLP-2009.4 (Enhanced Global Strategy for Further Reducing the Disease Burden due to Leprosy – Plan Period: 2011-2015).

2 AFRF in Francia, AIFO in Italia, ALES in Svizzera, ALM negli Stati Uniti d’America, CIOMOL in Svizzera, DAHW in Germania, DFB in Belgio, FL in Lussemburgo, LEPRA in Inghilterra, NLR in Olanda, SF in Spagna, Sasakawa Foundation in Giappone, SLC in Canada e TLMI in Inghilterra.

04/02/2010 16:07
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2010


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede ha luogo la Conferenza Stampa per la presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2010, sul tema: "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo" (Rm 3, 21-22).
Intervengono: l’Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; il Prof. Dr. Hans-Gert Pöttering, Presidente emerito del Parlamento europeo e Presidente della Fondazione Konrad Adenauer; il Rev.mo Mons. Giampietro Dal Toso, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum.
Pubblichiamo di seguito gli interventi del Prof. Dr. Hans-Gert Pöttering e del Card. Paul Josef Cordes:


INTERVENTO DEL PROF. HANS-GERT PÖTTERING


Testo in lingua inglese

It is good that through the message of the Holy Father the Church illuminates for us the spiritual context of the Lenten Season. For us Christians, the reasons for and the mission of the Lenten Season are encompassed in this impressive theological interpretation: to work in union with our Creator on our responsibility in the world. I as a Politician can in no way even attempt to be as profound as the Holy Father when He talks about the religious vision of justice. In all modesty I would, however, like to comply with the request made of me to reflect with you on several political implications of the Christian lesson of justice.

The topic is as old as philosophising about politics itself is. And it is more relevant than ever before in our contemporary world of globalisation and the encounter between cultures and religions. In political philosophy, one likes to start with a retrospective on the two central figures of the Antiquity, Plato and Aristotle. Already in their works, we find aspects of the understanding of justice that the Holy Father has called the internal and the external understanding of human justice. Plato regarded justice as an unchangeable, transcendent idea of which the soul of the singular human being is a part of. Aristotle underlined that justice is not only an inner virtue but always also has to be seen with regard to others. The political reflections that we name today "corrective justice" and "distributive justice" correspond to this idea of intersubjectivity. The father of our church Thomas Aquinas also has a considerable share in this interpretation of the idea of justice. The Holy Father has indicated that a secularly radicalised form of the idea of distributive justice that is decoupled from faith in God becomes ideological. As a politician, I would like to add: We have experienced in collapsed socialism where this thinking can lead to.

Hence, it is of importance also for a political consideration of justice to keep the balance between the idea of justice that slumbers in the soul of every human being and the material reality that can always only be thought of in relation to others, towards our fellow men and towards the system we live in.

We have experienced again and again in the past two centuries in Europe and in other parts of the world to what extent this balance can get mixed up. Freedom and equality have continuously been placed in opposition to each other since the French Revolution inscribed these two postulates on its flag. However, in the course of the struggle towards freedom and equality, the third idea written on the flags of the French Revolution has been neglected: fraternity. Politically, we speak of "solidarity". Theologically, we have always spoken of charity. In these words - charity, solidarity, fraternity - lie the key to a true understanding of the responsibility of Christians in the world - an understanding, that is appropriate to our time of globalization. Solidarity or charity implies the responsibility to defend and protect the universal dignity of any human being anywhere in the world under any circumstances.

If we want to preserve freedom and if we want to increase justice, then we have to place the value of fraternity or solidarity at the centre of our political thinking. In the European Union, we have achieved a unique political wonder in the spirit of solidarity, that hardly anybody would have considered possible at the end of the Second World War. With the reunification of Europe after the end of the Cold War, we have proven ourselves with the principle of solidarity evident between the states and the peoples of the old and the new European Union. Lately, the joint measures taken to combat the financial crisis have shown that a common way of thinking and a joint policy are possible in the European Union.

Nevertheless, the power of solidarity has rather faded inside Europe since reunification. Regarding our relations with the other peoples of the earth, especially with the poorest among them, the idea of solidarity is at best in the fledging stages. Whereas Europe and the world have already invested unimaginable sums for the fight against the financial crisis, the implementation of charity leaves much to be desired, especially in the fight against hunger in the world. The determination with which Europe and the world have reacted to the financial crisis shows that international cooperation can overcome huge challenges. A similar firmness is equally necessary in the fight against worldwide poverty. Europe and the international community have a moral obligation to take further responsibility. 2010 as the "European year for combating poverty and social exclusion" offers the ideal framework for a stronger and effective dedication of the European Union to do more for the poorest of the planet.

It is exactly here that politics has to adopt the Lenten Message of the Holy Father: we need again a European spirit of solidarity. And, more than ever, we need a European spirit of solidarity with all peoples and cultures of this one world. Those are the two most important social-ethical tasks that the European Union faces. This is not only about the provision of material means, although this is so important. In the first place, however, this is about a spiritual renewal that the European Union has to bring about: This is about approaching the tasks that we face in the spirit of solidarity and that we seize the possibilities that we possess in a comparatively rich and privileged Europe so that justice becomes a reality for as many people as possible. Where justice is experienced, the value of freedom is equally strengthened.

"Development is the new name for peace", that is how Pope Paul VI. formulated it in 1967 in his Enzyklika „Populorum progressio". Today, I believe, we have to go a step further and say "solidarity is the new name for peace". In formulating this we bring freedom and equality again into a proper balance with solidarity. This is how the struggle for justice finds its deepest ethical root, the root of fraternity and, formulated in a Christian way, of charity. In this sense, I understand the purpose of the Holy Father and his interpretation of the 2010 Lenten Message in the spirit of justice.

Solidarity is not abstract, it has to be concrete. Today, we realise that rich countries are getting always richer and poor countries are getting always poorer. Two billion people live with less than 1.5 US-Dollars per day. It is not to be expected - as much as this would be desirable - that the rich countries will rapidly increase their development aid. Therefore, we also have to try new ways. The project "UNITAID" that is closely affiliated to the World Health Organisation of the United Nations aims at fighting HIV, Malaria, Tuberculosis and other illnesses in 93 of the poorest countries. A big part of the funding is raised by a small extra fee on airline tickets. Thanks to an extra charge of one or two US-Dollars per ticket, it was possible to collect a total amount of 1.5 billion US-Dollars in the participating 15 countries during the last three years and three months.

I would like to propose to extend this initiative to all countries and all airlines. Airline passengers can afford to pay this minor increase of the ticket price. With additional billions we could help ease the misery in the world.

On the other hand, I am deeply convinced that the task of global solidarity is not only a material concern. Justice and peace, redistribution and recognition will only exist between the peoples and states of this world if we act in solidarity and in brotherhood also in our dialogue on faith and the basis of our culture. In doing so, we will also talk about the understanding of justice that is inherent to the different cultures and religions. The Hebrew letter of Sedaqah, of which the Holy Father has spoken in his Lenten Message, also includes - if I understood correctly - the idea of fidelity towards one's community. This old Jewish idea can help us to rethink our sense of mutual obligations and about the right balance of rights and obligations. In Islam, the notion of justice is naturally derived from the Koran. Secular Europe will also experience, in the course of the interreligious and intercultural dialogue, that the notion of justice in other cultures is self-evidently influenced by religion. To a certain extent, this has also been the case with the Christian influence on the notion of justice and - by the way - also on the notion of freedom and solidarity. In many cases, we have forgotten the connection between religious justification and political ideas. It will do us good to rediscover the treasures of this tradition - also through intercultural and interreligious dialogue. This has nothing to do with fundamentalism, but a lot to do with the timeless pertinence of our own roots. Where the update of our cultural and religious roots succeeds, we will be able to make good policy with Christian responsibility - also in a mainly secular European Union.

Mutual respect in the intercultural dialogue does not mean to close one's eyes before insurmountable contrasts. However, we will only be able to stop fanaticism in the world of the 21st century if we deprive fanaticists, who want to change the world through violence, of the spiritual grounds on which they can manipulate many people of good will. We therefore need a sincere dialogue of solidarity between Christians and Muslims, between Christians and Jews. We need it between the privileged living in prosperity and material freedom and those living on the margins of the social and cultural existence that are excluded from economic growth and technological opportunities. We have to forge the idea of solidarity into a political project that invites us to have dialogue across the many barriers which separate our world today. Only solidarity can lead the way towards more freedom and justice for more and more people throughout the world.

Policy that acts out of the Christian understanding of the human being should never decrease ambition. The Holy Father has pointed us towards two essential conclusions of the Christian understanding of justice: To give up self-sufficiency and to accept our mission with humbleness. This is the compass for any policy that is committed to Christian responsibility - not only in the Lenten Season 2010 but far beyond in this 21st century with the huge tasks of shaping globalisation which lie ahead.





Testo in lingua tedesca

Es ist gut, dass uns die Kirche durch die Botschaft des Heiligen Vaters den geistlichen Zusammenhang ausleuchtet, in dem die Fastenzeit steht. Für uns Christen finden sich in dieser eindrucksvollen theologischen Auslegung Grund und Auftrag der Fastenzeit, auf dass wir im Bund mit unserem Schöpfer an unserer Verantwortung in der Welt arbeiten. So tiefgründig, wie der Heilige Vater in seiner Fastenbotschaft auf die religiöse Sichtweise der Gerechtigkeit eingegangen ist, kann ich als Politiker keineswegs sein. In aller Bescheidenheit möchte ich gleichwohl der an mich herangetragenen Bitte nachkommen, um mit Ihnen über einige politische Folgerungen aus der christlichen Lehre von der Gerechtigkeit nachzudenken.

Das Thema ist so alt wie das Philosophieren über die Politik selbst. Und es ist so aktuell wie nie in unserer heutigen Welt der Globalisierung und der Begegnung der Kulturen und Religionen. In der politischen Philosophie beginnt man gerne mit dem Rückblick auf die beiden großen Gestalten der Antike, auf Platon und Aristoteles. Schon in ihren Arbeiten finden wir bereits jene Aspekte des Gerechtigkeitsverständnisses, das der Heilige Vater als das innere und als das äußere Verständnis der menschlichen Gerechtigkeit bezeichnet hat. Platon sah Gerechtigkeit an als eine unveränderliche, überweltliche Idee, an der die Seele des einzelnen Menschen Anteil hat. Aristoteles betonte, dass Gerechtigkeit nicht nur eine innere Tugend sei, sondern immer auch in Bezug auf Andere gesehen werden müsse. Diesem Gedanken der Intersubjektivität entsprechen jene politischen Überlegungen, die wir heute mit Begriffen wie „ausgleichende Gerechtigkeit" und „verteilende Gerechtigkeit" bezeichnen. Auch unser großer Kirchenvater, Thomas von Aquin, hat erheblichen Anteil an dieser Deutung der Gerechtigkeitsidee. Der Heilige Vater hat darauf hingewiesen, dass eine vom Glauben an Gott entkoppelte und ins innerweltliche radikalisierte Form des Gedankens der Verteilungsgerechtigkeit ideologisch wird. Als Politiker möchte ich hinzufügen: Wir haben im gescheiterten Sozialismus erlebt, wohin dieses Denken führen kann.

Es kommt also auch in der politischen Betrachtung der Gerechtigkeit darauf an, die Balance zu wahren zwischen der Idee der Gerechtigkeit, die in der Seele jedes Menschen schlummert und der materiellen Wirklichkeit, die immer nur in Relation zum Anderen, zum Mitmenschen und zu der Ordnung, in der wir leben, gedacht werden kann.

Wie sehr diese Balance auseinander geraten kann, haben wir in den vergangenen zwei Jahrhunderten in Europa und in anderen Teilen der Welt immer wieder erfahren. Freiheit und Gleichheit wurden immerfort in einen Gegensatz zueinander gebracht, seitdem die Französische Revolution diese beiden Postulate auf ihre Fahne geschrieben hatte. Vernachlässigt wurde bei allem Streit um Freiheit und Gleichheit aber immer wieder die dritte Idee, die auf der Fahne der Französischen Revolution stand: die Brüderlichkeit. Politisch sprechen wir heute von "Solidarität". Theologisch sprachen wir schon immer von Nächstenliebe. In diesen Worten – Nächstenliebe, Solidarität, Brüderlichkeit – liegt der Schlüssel zu einem wahrhaftigen und unserer Zeit der Globalisierung angemessenen Verständnis für die Verantwortung der Christen in der Welt. Solidarität oder Nächstenliebe beinhaltet die Verantwortung, die universelle Würde jedes Menschen überall in der Welt und unter allen Umständen zu verteidigen und zu schützen.

Wenn wir Freiheit bewahren wollen und wenn wir Gerechtigkeit mehren wollen, so müssen wir den Wert der Brüderlichkeit, der Solidarität in die Mitte unseres politischen Denkens führen. In der Europäischen Union haben wir im Geist der Solidarität ein einzigartiges politisches Wunder vollbracht, das am Ende des Zweiten Weltkrieges kaum jemand für möglich gehalten hätte. Mit der Wiedervereinigung Europas nach dem Ende des Kalten Krieges haben wir uns in dem Prinzip der Solidarität zwischen den Staaten und den Völkern der alten und der neuen Europäische Union bewährt. Zuletzt haben die gemeinsamen Maßnahmen zur Bekämpfung der Finanzkrise gezeigt, dass Gemeinschaftsdenken und gemeinsame Politik in der Europäischen Union möglich sind.

Dennoch hat die Kraft der Solidarität im Innern Europas seit der Wiedervereinigung eher wieder nachgelassen. In unserem Verhältnis zu den anderen Völkern der Erde, vor allem zu den Ärmsten unter ihnen, steckt die Idee der Solidarität bestenfalls in den Kinderschuhen. Während Europa und die Welt schon heute unvorstellbare Summen für die Bekämpfung der Finanzkrise investiert haben, lässt die Umsetzung der Nächstenliebe in anderen Bereichen, etwa beim Kampf gegen den Hunger in der Welt, noch zu wünschen übrig. Die Tatkraft, mit der in Europa und in der Welt auf die Finanzkrise reagiert wurde, zeigt, dass internationale Zusammenarbeit große Herausforderungen bewältigen kann. Eine ähnliche Entschlossenheit wäre auch beim Kampf gegen die weltweite Armut notwendig. Europa und die internationale Staatengemeinschaft sind moralisch verpflichtet, hierbei weitere Verantwortung zu übernehmen. 2010 als "europäisches Jahr zur Bekämpfung von Armut und sozialer Ausgrenzung" bietet einen idealen Rahmen für ein verstärktes und wirkungsvolles Engagement der Europäischen Union für die Ärmsten dieser Erde.

Hier muss die Politik ansetzen, um die Fastenbotschaft des Heiligen Vaters anzunehmen: Wir brauchen wieder einen europäischen Geist der Solidarität. Und wir benötigen mehr denn je einen europäischen Geist der Solidarität mit allen Völkern und Kulturen dieser einen Welt. Dieses sind die beiden wichtigsten sozialethischen Aufgaben, vor denen die Europäische Union steht. Dabei geht es nicht nur um die Zurverfügungstellung materieller Mittel, obwohl diese so wichtig sind. An erster Stelle geht es um eine geistige Erneuerung, die die europäische Politik leiten muss: Es geht darum, dass wir im Sinne des Solidaritätsgedankens an die Aufgaben herangehen, die vor uns liegen. Und es geht darum, dass wir im Sinne des Solidaritätsgedankens die Möglichkeiten nutzen, die wir im vergleichsweise wohlhabenden und privilegierten Europa besitzen, damit Gerechtigkeit für möglichst viele Menschen erfahrbar wird. Denn dort, wo Gerechtigkeit Wirklichkeit wird, wird auch der Wert der Freiheit gestärkt.

„Entwicklung ist der neue Name für Friede", so hat es Papst Paul VI 1967 in seiner Enzyklika „Populorum progressio" formuliert. Heute, so meine ich, müssen wir einen Schritt weitergehen und sagen „Solidarität ist der neue Name für Frieden". Indem wir dies so formulieren, bringen wir Freiheit und Gleichheit wieder in das ihnen angemessene Verhältnis zur Solidarität. Damit findet das Streben nach Gerechtigkeit seine tiefste ethische Wurzel, die Wurzel der Brüderlichkeit und, christlich gesprochen, der Nächstenliebe. In diesem Sinne verstehe ich den Auftrag des Heiligen Vaters und seine Auslegung der Fastenbotschaft 2010 im Geiste der Gerechtigkeitsidee.

Solidarität ist nicht abstrakt, sie muss konkret werden. Heute stellen wir fest, dass reiche Länder immer reicher, arme Länder immer ärmer werden. Zwei Milliarden Menschen leben mit weniger als 1,5 US-Dollar pro Tag. Es ist nicht zu erwarten, so sehr es wünschenswert wäre, dass die reichen Länder ihre Entwicklungshilfe schnell drastisch aufstocken werden. Um an die notwendigen finanziellen Mittel zu kommen müssen wir deshalb auch neue Wege gehen. Ein vielversprechendes Beispiel dafür ist das Projekt „UNITAID", das eng an die Weltgesundheitsorganisation der Vereinten Nationen angegliedert ist und dessen Ziel es ist, AIDS, Malaria, Tuberkulose und andere Krankheiten in 93 der ärmsten Länder der Welt zu bekämpfen. Einen Großteil der Gelder erwirtschaftet "UNITAID" durch eine geringe Sonderabgabe auf Flugtickets. Mit einem Aufschlag von ein oder zwei US-Dollar pro Ticket konnte in den 15 teilnehmenden Staaten in den vergangenen drei Jahren und drei Monaten ein Betrag von 1,5 Milliarden US-Dollar gesammelt werden. Ich möchte vorschlagen, diese Initiative auf alle Länder und Fluggesellschaften auszuweiten. Die Flugreisenden können sich diese geringfügige Erhöhung ihrer Tickets leisten. Mit zusätzlichen Milliardenbeträgen könnten wir die Not in der Welt zu lindern helfen.

Andererseits bin ich zutiefst davon überzeugt, dass die Aufgabe der globalen Solidarität nicht nur ein materielles Anliegen ist. Gerechtigkeit und Frieden, Ausgleich und Anerkennung wird es zwischen den Völkern und Staaten dieser Welt nur geben, wenn wir auch in unserem Dialog über den Glauben und die Grundlagen der Kultur solidarisch, brüderlich verfahren. Dabei werden wir auch über das Gerechtigkeitsverständnis sprechen, das den unterschiedlichen Kulturen und Religionen innewohnt. Der hebräische Begriff des Sedaqah, von dem der Heilige Vater in seiner Fastenbotschaft gesprochen hat, schließt, wenn ich es richtig verstehe, auch den Gedanken der Gemeinschaftstreue ein. Dieser alte jüdische Gedanke kann uns helfen, neu über den Sinn wechselseitiger Verpflichtungen nachzudenken, über das rechte Verhältnis von Rechten und Pflichten. Im Islam wird der Gerechtigkeitsbegriff wie selbstverständlich aus dem Koran abgeleitet. Das säkularisierte Europa wird im interkulturellen und interreligiösen Dialog also auch erfahren, dass Gerechtigkeitsbegriffe in anderen Kulturen geradezu natürlich und selbstverständlich religiös geprägt worden sind. So ist es ja auch gewissermaßen in der Tradition der christlichen Prägung des Gerechtigkeitsbegriffs gewesen und übrigens auch in der christlichen Prägung von Freiheit und von Solidarität. Vielfach haben wir den Zusammenhang von religiösen Begründungen und politischen Begriffen vergessen. Es wird uns aber gut tun, auch im interkulturellen und interreligiösen Dialog die Schätze dieser Tradition neu zu entdecken. Das hat nichts mit Fundamentalismus zu tun, aber sehr viel mit der Aktualitätskraft unserer eigenen Wurzeln. Wo uns diese Aktualisierung unserer eigenen kulturellen und religiösen Wurzeln gelingt, werden wir auch in der heutigen weitgehend säkularisierten Europäischen Union in christlicher Verantwortung gute Politik machen können.

Wechselseitiger Respekt im interkulturellen Dialog bedeutet nicht, die Augen vor unüberwindbaren Gegensätzen zu verschließen. Aber wir werden nur dann in der Welt des 21. Jahrhunderts den Fanatismus derer stoppen, die mit Gewalt diese Welt verändern wollen, wenn wir ihnen den geistigen Boden entziehen, auf dem sie viele Menschen guten Willens manipulieren können. Wir benötigen deshalb einen aufrichtigen Dialog der Solidarität von Christen und Muslimen, von Christen und Juden. Wir benötigen ihn zwischen den Privilegierten, die in Wohlstand und materieller Freiheit leben und jenen, die am Rande des sozialen und kulturellen Daseins stehen, die abseits bleiben von Wirtschaftswachstum und technologischen Möglichkeiten. Wir müssen den Gedanken der Solidarität zu einem politischen Projekt schmieden, das uns einlädt zum Dialog über alle Mauern hinweg, die unsere Welt heute trennen. Nur Solidarität kann den Weg weisen in ein Mehr an Freiheit und Gerechtigkeit für immer mehr Menschen auf dieser Welt.

Politik, die aus christlichem Verständnis des Menschen handelt, sollte in dieser Frage nie in ihrem Ehrgeiz nachlassen. Der Heilige Vater hat uns auf zwei wesentliche Folgerungen aus dem christlichen Verständnis von Gerechtigkeit hingewiesen: Die Selbstgenügsamkeit aufgeben und in Demut unsere Aufgabe annehmen. Dies ist der Kompass für jede Politik, die sich in christlicher Verantwortung sieht – in dieser Fastenzeit 2010 und weit darüber hinaus in diesem 21. Jahrhundert mit den vor uns liegenden großen Aufgaben der Gestaltung der Globalisierung.





INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES

Nell’autunno dell’anno scorso circa 250 Vescovi, sacerdoti e laici si sono riuniti a Roma in occasione della Seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Essi hanno riflettuto per più di tre settimane, sotto la presidenza di papa Benedetto XVI, sul tema "Riconciliazione, giustizia e pace". In quanto Presidente del Pontificio Consiglio Cor unum ho partecipato anch’io alle discussioni e alla formulazione delle proposte che sono ora a disposizione del Santo Padre per la stesura delle sue istruzioni sull’argomento ("Documento post-sinodale").

Chi ha seguito le notizie sul Sinodo o si è trovato addirittura tra i suoi Membri sa che la sofferenza e la miseria della gente in quel continente sono state ricordate di continuo, fino a diventare in qualche modo il tema principale. È stato così, per esempio, quando il Vescovo Abegunrin di Osogbo in Nigeria ha detto che "il malgoverno dovuto alla corruzione, al tribalismo e alla mancanza di rispetto della legge impedisce la giustizia e la riconciliazione. In Africa, dal nord al sud, dall’est all’ovest, i nostri giovani sono […] le prime vittime della violenza etnica, del genocidio, del banditismo, della criminalità, del traffico di esseri umani, della corruzione e della cattiva gestione dello Stato". Tanti interventi hanno segnalato difficoltà simili. Straordinario è stato l’articolato rapporto speciale sul Sudan e in particolare sulla provincia del Darfur. Un laico africano, Rodolphe Adada, ha avuto un tempo di tre quarti d’ora per relazionare in modo dettagliato sul calvario che la popolazione sta vivendo in quella regione. Il relatore è il Rappresentante speciale congiunto del Segretario Generale delle Nazioni Unite e del Presidente della Commissione dell’Unione Africana nel Darfur (Sudan).

Egli ha riferito tra l’altro che le ostilità nel Darfur ebbero inizio già nel 1989. Nel 2003 si formò poi il "Sudan Liberation Army", un gruppo di ribelli, i quali cacciarono gli abitanti della provincia dai loro villaggi, così che migliaia e migliaia di persone sono dovute scappare per trovare rifugio nei campi. Qualche tempo fa ho avuto modo di visitare di persona un tale campo e ho visto la miseria della gente che stava lì. Nel frattempo centinaia di migliaia di persone hanno trovato la morte durante i conflitti. Le Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Unione Europea hanno promosso senza sosta delle iniziative – anche se a volte probabilmente con poca convinzione. Finora non si può di certo parlare di cessazione dei combattimenti. L’Alto Rappresentante dell’ONU voleva probabilmente rassicurarci e ha osservato che nel frattempo il conflitto è ormai solo di poca intensità.

Non senza motivo risuona dovunque nel mondo l’appello per la giustizia. Certo la situazione nel continente nero è particolarmente drammatica. Ma, come il presidente Dr. Pöttering ha già spiegato, il mondo della politica e la convivenza dei popoli richiedono ovunque questo rapporto tra le diverse forze sociali. È questo il campo della giustizia. Si esige la giustizia fino ai rapporti tra gruppi e singoli. Essa viene calpestata con la violenza, con l’oppressione della libertà e con il mancato rispetto della dignità umana, con cattive leggi e con la violazione dei diritti, con lo sfruttamento e con stipendi da fame.

Quest’anno, il Messaggio Quaresimale del Santo Padre Benedetto XVI tratta della giustizia. Di fronte alle tante forme in cui è violata, inizia ponendo la definizione del termine "giustizia" che nella cultura occidentale è corrente già a partire del terzo secolo: "Dare a ciascuno il suo – cuique suum". Così il Papa mette in chiaro che per primo si deve realizzare politicamente l’esigenza formulata in tale definizione. Ci sono dunque fattori sociali che vanno corretti; e in tale lotta – non va dimenticato – la Chiesa ha senz’altro i suoi meriti. Sarebbe una calunnia collocare noi Cristiani tra gli abbienti che si sono opposti alla giusta ridistribuzione e che hanno perfino tratto continuamente vantaggio dalla difesa di un ordine sociale ingiusto.

Si negherebbe il contributo del cristianesimo alla promozione del benessere e della dignità della persona. Seguendo l’esempio di Gesù, già i primi cristiani si sono fatti carico del bisogno dell’uomo. Papa Callisto I (morto nel 222 circa), che era stato lui stesso schiavo, istituì una sorta di banca dei poveri la quale metteva le vedove e gli orfani al riparo dagli usurai impedendo che fossero ridotti in schiavitù. Basilio di Cesarea (+ 379), più conosciuto come grande teologo, fu il primo a fondare ospedali e, grazie alla sua notorietà personale, diventò avvocato di tanti oppressi di fronte ai potenti – come per esempio all’Imperatore romano Valente (+ 378). – O più tardi, in quel Medioevo che si dice essere così "buio", pensiamo alla "Tregua Dei". Gli uomini di Chiesa mettevano al sicuro i beni della gente semplice di fronte alla nobiltà; invitavano a manifestazioni di massa che al grido "Pax –pax –pax" promuovevano il desiderio entusiastico di una convivenza pacifica; i Vescovi, a conferma dei decreti di pace, brandivano il loro pastorale verso il cielo. Proveniente dalla Francia, il movimento della "Tregua Dei" si diffuse in Spagna, Italia e Germania. – Poi in epoca moderna: quando gli Stati europei fecero diventare altri paesi e continenti loro colonie, sottoponendoli non di rado a sfruttamento selvaggio, missionari cristiani e religiose non solo portarono agli abitanti di quelle terre la fede, ma insegnarono loro spesso anche stile e qualità di vita. Certo, nel frattempo, anche i nostri governi hanno imparato a fare qualcosa contro la miseria nei paesi lontani. Ma è pure innegabile che ancora nel XVIII e nel XIX secolo sarebbe vano cercare i "ministeri per lo sviluppo". Nel passato i cristiani erano tra i primi a farsi promotori di una maggiore giustizia. Nel loro impegno a favore della pace non hanno nulla da invidiare all’efficacia del lavoro delle istanze statali – sebbene se ne parli di meno. Il Sinodo dei Vescovi per l’Africa già citato prima ne ha dato eloquente testimonianza.

Ma chi analizza in modo più preciso i contributi della Chiesa a favore di una intesa pacifica tra gli esseri umani, fa presto ad osservare che il problema di una convivenza giusta non può essere risolto soltanto con interventi mondani. Va oltre le categorie politiche. In quanto Chiesa dobbiamo spingere il nostro pensiero oltre l’orizzonte della società. Perciò sottovaluteremmo la profondità delle riflessioni del Pontefice, se volessimo considerare già risolta la questione che ci interessa con la rivendicazione di "dare a ciascuno il suo". Così il Papa insegna che questa definizione classica non considera a sufficienza in che cosa consiste quel "suo" che va concesso. E non ci vuole molto a riconoscere che "il suo" non può essere prescritto per legge e non si può ottenere solo con provvedimenti amministrativi.

Il Papa osserva che una vita piena dipende da qualcosa che ha il carattere di un dono. Superando l’orizzonte meramente mondano nel rivendicare la giustizia, egli dice in modo inequivocabile: "Potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza". La giustizia distributiva, che va perseguita e che ogni promotore di pace riconosce, non è in grado ancora di dare all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno, il "suo".

Come il Papa così anche noi dobbiamo andare oltre il modo comune di concepire l’antropologia per giungere a una visione dell’uomo completa: così il concetto di giustizia rivela tutto il suo contenuto. Benedetto XVI si fa guidare dalla Parola di Dio, ma, scegliendo questa via, non si perde in nessun modo in speculazioni da tavolino. Conferma soltanto ciò che vediamo in noi stessi e nella storia, se guardiamo con sufficiente attenzione. Il male viene dal di dentro, dal cuore dell’uomo come dice il Signore nel Vangelo (cfr. Mc 7, 14 ss.). William Shakespeare e Georges Bernanos lo hanno fatto vedere nelle loro opere, come per esempio in "Riccardo III" o in "Sotto il sole di Satana"; Stalin – per esempio in Ucraina – e Hitler – a Auschwitz – non si facevano scrupoli a lasciare libero sfogo alla propria malignità. Proprio l’esperienza del male ci insegna che sarebbe ingenuo affidarsi solamente alla giustizia umana che interviene sulle strutture e sui comportamenti dall’esterno. Il cuore degli uomini ha bisogno di essere sanato. Guarire dal di dentro di certo non li dispensa da uno sforzo proprio; ciascuno deve prendere coscienza della propria condizione. Ma l’uomo non può guarire per sua propria forza – con un allenamento fisico o mentale. Papa Benedetto dice: "Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia".

Come ogni anno, il Messaggio Quaresimale esorta tutti gli uomini del nostro tempo a compiere buone azioni. Non omette di sollecitare una migliore distribuzione di cibo, di acqua e di medicine. Vediamo dopo il terribile terremoto in Haiti la grande generosità di moltissime persone. Ma la parola del Papa è soprattutto una sfida alla nostra volontà a fidarsi di Dio e a credere in Lui. Mette quindi a tema ciò che nella discussione generale sulla giustizia e sulla pace viene facilmente dimenticato o taciuto. A un tale auto-isolamento lontano da Dio – si potrebbe parlare di un "autismo dell’uomo causato dalla secolarizzazione" – papa Benedetto contrappone il suo fermo riferimento a Dio e la sua offerta di amore. In effetti, egli non perde mai l’occasione di ricordarlo in nessuno dei suoi discorsi importanti; non per caso anche la scorsa domenica ha messo Dio al centro della breve meditazione prima dell’Angelus. In questo mondo sempre più autosufficiente, considera evidentemente come il suo più importante servizio quello di testimoniare Dio e di spingere gli uomini a consegnarsi a Lui nella fede.

Nell’ultima parte del suo Messaggio il Papa mette in risalto la salvezza in Cristo come il fondamento della giustizia umana. Per evidenziare questo si rifà a un passaggio centrale della lettera di san Paolo ai cristiani di questa nostra città. Senza averlo meritato, gli uomini vengono giustificati per la grazia di Dio mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (cfr. Rm 3, 24). Così ogni tentativo di voler ottenere la giustizia come merito proprio viene portato ad absurdum. Particolarmente per noi oggi ciò può sembrare solo irritante, visto che sperimentiamo di continuo che solo ciò che ci siamo guadagnati con le nostre forze ci appartiene e che niente ci viene regalato; visto che veniamo ignorati se non alziamo la voce per rivendicare ciò che è nostro. La vita ordinaria oggi non ci rimanda a Dio; la sua assenza contraddistingue la nostra esperienza quotidiana. Un'altra volta scopriamo che il Vangelo non si trova in sintonia con il buonsenso borghese e deve per questo essere proclamato sempre di nuovo.

Con le parole del Papa: la giustizia divina, avvenuta nel sangue di Cristo, è fondamentalmente diversa da quella umana. "Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia".

05/02/2010 16:21
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL XXV ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) E DELLA XVIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO


Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del XXV anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) e della XVIII Giornata Mondiale del Malato.
Intervengono: S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; S.E. Mons. José L. Redrado, O.H., Segretario del medesimo Pontificio Consiglio; S.E. Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes et Lourdes; Mons. Jean-Marie Musivi Mpendawatu, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari; il Dott. Salvatore Pagliuca, Vice Presidente Nazionale dell’UNITALSI.
Pubblichiamo di seguito l’intervento di S.E. Mons. Zygmunt Zimowski e del Dott. Salvatore Pagliuca:


INTERVENTO DI S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKI

È per me un onore e un piacere essere qui, oggi, ad annunciare di persona le celebrazioni per il XXV dell’istituzione del nostro Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute) e per la XVIII Giornata Mondiale del Malato che si terranno a Roma e nella Città del Vaticano tra il 9 e l’11 febbraio prossimi. Il loro tema conduttore è "La Chiesa al servizio dell’amore per i sofferenti", il titolo del Messaggio dedicato da Sua Santità Papa Benedetto XVI proprio agli eventi della settimana prossima.

Una serie di celebrazioni davvero molto nutrita e che, oltre alla Liturgia Eucaristica che Sua Santità Papa Benedetto XVI presiederà l’11 febbraio in S. Pietro, sarà tra poco illustrata dal nostro Segretario, S.E. Monsignor José L. Redrado O.H, e dal Presidente dell’UNITALSI, il dott. Antonio Diella.

Desidero comunque anticipare innanzitutto lo svolgimento di un Simposio internazionale di due giorni, dedicato alle Lettere apostoliche: la "Salvifici Doloris" e il Motu Proprio "Dolentium Hominum", con cui il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II istituì, venticinque anni fa, il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Sono attualmente oltre 540 gli iscritti, provenienti da 35 Paesi fra i quali: Canada, Slovenia, USA, Belgio, Ucraina, Spagna, Polonia, Francia, Regno Unito, Ghana e Italia. Si tratta di operatori sanitari, cappellani, medici e infermieri, rappresentanti di associazioni e organismi a carattere istituzionale o di volontariato e di alcuni malati in grado di prendervi parte. Vi saranno inoltre una mostra di pittura ed un concerto di musica classica.

Giovedì 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes e XVIII Giornata Mondiale del Malato, nell’ambito della quale vi saranno l’arrivo in Vaticano delle reliquie di Santa Bernadette Soubirous e una processione, realizzata sempre col supporto logistico dell’UNITALSI, con lo stesso reliquiario e la statua della Madonna di Lourdes che, dopo aver percorso Via della Conciliazione, si concluderà in Piazza S. Pietro.

Entrando più nello specifico e nell’essenza di queste celebrazioni, dedicate al mondo della malattia e del patimento e alla cura della persona umana nella sua integralità, è opportuno ricordare come nel Suo Messaggio di quest’anno, il Santo Padre Benedetto XVI si riferisca alla Lettera Apostolica "Salvifici Doloris" per sottolineare che il senso definitivo della sofferenza umana si rivela solamente alla luce di Gesù Redentore. "Nel mistero della sua passione morte e resurrezione, l’umana sofferenza attinge senso e pienezza di luce" afferma Sua Santità Papa Benedetto XVI. Citando quindi la "Salvifici Doloris", ricorda come la stessa umana sofferenza, abbia raggiunto il suo culmine nella Passione del Signore e sia così "entrata in una dimensione completamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore…". (n.18)

Proseguendo in maniera estremamente sintetica, data la profondità e la vastità delle tematiche affrontate, possiamo quindi ricollegarci alla "Redemptor Hominis" e così essere consapevoli che il servizio ecclesiale dell’amore si fonda sull’opera di Gesù Redentore e trova una sua attualizzazione nel "completamento di quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del Suo corpo che è la Chiesa", come spiega la "Salvifici Doloris".

E in effetti, pur nella sua ‘giovane’ esistenza, tale continuum si ritrova anche nel Dicastero che festeggia il XXV della sua istituzione e allo stesso tempo la XVIII Giornata Mondiale del Malato. "Una felice coincidenza" che, ha sottolineato il Santo Padre nel Messaggio, costituisce un motivo ulteriore "per ringraziare Dio del cammino sinora percorso nel settore della pastorale della salute. Auspico di cuore che tale ricorrenza sia occasione per un più generoso slancio apostolico al servizio dei malati e di quanti se ne prendono cura".

Parole che sono per noi, per tutti gli agenti di pastorale e per gli operatori, professionali e/o volontari, impegnati nel campo sanitario, un consolidamento sulla via del servizio all’amore che la Chiesa compie per i malati e i sofferenti.

Perché la pastorale della salute, la sua attenzione all’integralità della persona, è necessaria alla medicina. Non soltanto per fornire le basi degli impegni etici e morali ma anche per sostenere gli atteggiamenti e la prassi degli operatori sanitari per un’adeguata assistenza, nel tempo, a chi è nel dolore della malattia.

Non sempre peraltro, è possibile portare la guarigione fisica così come, talvolta, la sola presenza, la vicinanza, il farsi prossimi, è di per sé un sostegno, un aiuto alla persona sofferente. Un esempio sono i tre amici di Giobbe accorsi per esprimere la loro solidarietà. "Poi si sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti e nessuno gli rivolse la parola, perché vedevano che grande era il suo dolore". (Giobbe 2,13).

Una "azione umanitaria e spirituale della Comunità ecclesiale verso gli ammalati ed i sofferenti" che, come continua il Santo Padre nel Messaggio, "nel corso dei secoli è stata espressa in molteplici forme e strutture sanitarie anche di carattere istituzionale. Vorrei qui ricordare quelle direttamente gestite dalle Diocesi e quelle nate dalla generosità di vari istituti religiosi. Si tratta di un prezioso ‘patrimonio’ rispondente al fatto che "l’amore ha bisogno di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato" (Enc. Deus Caritas est, 20)

È tale "sollecitudine ecclesiale per il mondo della salute" che ha portato venticinque anni fa alla "creazione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari."

Un dicastero posto sotto la guida prima di S.E. il Cardinale Fiorenzo Angelini, il suo primo Presidente, e poi, sino allo scorso anno, sotto quella del suo successore, il Cardinale Javier Lozano Barragán. Un impegno articolato, quello del Dicastero e decisamente vasto, sia spiritualmente che ‘geograficamente’. Con al centro il Cristo e la Chiesa, si occupa della persona umana nella sua integralità, del coordinamento degli oltre 117mila Centri sanitari cattolici attivi nel mondo, del supporto e/o della formazione di tutti gli agenti di pastorale – e vorrei qui innanzitutto ricordare, anche in considerazione dell’Anno Sacerdotale in corso, i cappellani - che sono impegnati con i malati e tutti gli operatori, professionisti e volontari, che intendono integrare le proprie capacità professionali nel campo medico con il mandato specifico del Battesimo e nel rispetto dell’uomo creato ad immagine di Dio. Vi sono poi le iniziative pubbliche legate al Dicastero, od organizzate direttamente dallo stesso, che sono diventate degli appuntamenti direi ‘tradizionali’. Una per tutte la Conferenza Internazionale che di norma ha luogo nel mese di novembre e che quest’anno giungerà anch’essa alla sua XXV edizione. Un appuntamento che richiama le personalità della Chiesa e quelle della ricerca, approfondendo le tematiche anche prendendo in esame i punti di vista delle altre principali confessioni religiose.

È inoltre importante, tornare sul ruolo centrale del presbitero, del cappellano, sempre in considerazione dell’Anno Sacerdotale in corso.

"Il mio pensiero si dirige particolarmente a voi, cari sacerdoti, ministri degli infermi, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" prosegue il Santo Padre nel Suo messaggio. "Vi invito, cari presbiteri, a non risparmiarvi nel dare loro cura e conforto. Il tempo trascorso accanto a chi è nella prova si rivela fecondo di grazia per tutte le altre dimensioni della pastorale".

Ecco come l’Anno Sacerdotale viene mostrato non solamente nel suo aspetto di attualizzazione della Giornata Mondiale del Malato ma anche indicazione per interpretare correttamente il mistero ed il valore della sofferenza.

Un impegno arduo, quello sacerdotale, anche solo considerando l’obbligo dei consacrati di approfondire in loro stessi una prontezza dell’osservanza eroica di tutte le esigenze del messaggio evangelico anche quelle che, nella vita quotidiana si mostrano spesso molto difficili perché connesse con il messaggio della sofferenza.

È anche perciò che Sua Santità Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio si rivolge anche ai malati perché preghino caldamente – con le parole e con le opere – per tutti i sacerdoti. "Mi rivolgo a voi, cari malati e vi chiedo di pregare e di offrire le vostre sofferenze in modo particolare per i sacerdoti, perché possano mantenersi fedeli alla loro vocazione e il loro ministero sia ricco di frutti spirituali a beneficio di tutta la Chiesa"

È ’altro lato la persona malata, sofferente, ad essere il punto focale dell’impegno in ambito sanitario. Una cura, o anche solamente un farsi vicini, un essere presenti, che la Chiesa sollecita e promuove anche attraverso la Giornata Mondiale del Malato, che il servo di Dio Giovanni Paolo II volle fosse legata alla memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, e che è stata celebrata, per la prima volta, proprio nei luoghi ove Santa Bernadette vide apparire la Madonna e su Sua indicazione scavò facendo scaturire la sorgente miracolosa.

Le edizioni successive della Giornata Mondiale del Malato sono state celebrate nei diversi continenti e in Paesi tecnologicamente più avanzati, come nella capitale degli USA, a Washington D.C. nel 2003, così come in quelli economicamente svantaggiati, ad esempio in Camerun, a Yaoundé nel 2005.



INTERVENTO DEL DOTT. SALVATORE PAGLIUCA

Ringrazio innanzitutto Sua Eccellenza Mons. Zimowski per avere affidato all’Unitalsi l’organizzazione logistica e tecnica dello svolgimento dell’evento.

Il Presidente Nazionale Antonio Diella si scusa per non essere qui a causa di un problema tecnico, ma di sicuro sarà presente durante gli appuntamenti liturgici previsti per le celebrazioni della prossima settimana. Approfitto per salutare un amico dell’Unitalsi, Sua Eccellenza Mons. Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes qui presente e tutti gli intervenuti.

"La Chiesa al servizio dell’amore per i sofferenti" è il tema conduttore della celebrazione del XXV dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e della XVIII Giornata Mondiale del Malato e dell’11 febbraio, anniversario della prima apparizione della Beata Vergine di Lourdes.

L’Unitalsi per l’evento ha previsto diversi appuntamenti liturgici, a partire dal 9 febbraio, quando nel pomeriggio presso la Basilica Santa Maria Maggiore, volontari e malati accoglieranno le reliquie di Santa Bernadette provenienti dal Santuario di Lourdes, dove sono custodite. L’appuntamento sarà presieduto dall’Arciprete della Basilica, il Cardinal Bernard Francis Law e dal Sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Vorrei ricordare a tutti i presenti anche la processione aux flambeaux che l’Unitalsi ha predisposto nel pomeriggio dell’11 febbraio.

L’Associazione infatti si riunirà nei pressi di Castel Sant’Angelo per sfilare in processione lungo via della Conciliazione, fino ad arrivare a piazza San Pietro e attendere la benedizione del Santo Padre Benedetto XVI dalla finestra del suo studio privato. Alla processione parteciperanno Sua Eccellenza Mons. Zimowski e il Sindaco Alemanno.

Le cronache degli ultimi giorni raccontano sempre più spesso di anziani, di disabili abbandonati o lasciati soli senza alcuna assistenza socio sanitaria. Ecco vorrei ricordare proprio in questa occasione, in prossimità degli anniversari che riguardano, i malati, come l’Unitalsi sia impegnata quotidianamente nella propria opera nel coinvolgere, i malati e coloro che soffrono e sono emarginati; e questo avviene principalmente attraverso i nostri pellegrinaggi. L’Unitalsi, lo ricordo, non effettua pellegrinaggi per soli malati, ma rifiuta allo stesso tempo l’idea di pellegrinaggi per i soli "sani" che non creano problemi, perché il pellegrinaggio è una esperienza di comunità, in tutte le sue componenti.

Chi viene in pellegrinaggio è gente che chiede di condividere l’esperienza dell’associazione chiede di seguirla anche al termine del pellegrinaggio, impegnandosi in un cammino di spiritualità e di carità e di fede. La missione che ci è stata affidata è quella di rivolgere la nostra attenzione su tutti gli aspetti della "malattia" e quindi concentreremo i nostri sforzi su una presenza maggiore di ammalati terminali e affetti da patologie inguaribili e sull’organizzazione nei più importanti Santuari di Europa, di punti di incontro per informare gli ammalati di tutta Europa della vita della Chiesa e del suo lavoro per la difesa della vita e delle legislazioni esistenti in tutti i paesi europei a tutela dei portatori di disabilità.

Ringrazio tutti presenti per l’attenzione dedicata e ancora grazie a Sua Eccellenza Mons. Zimowski per l’opportunità concessa all’Unitalsi e ai suoi volontari di essere ancora più vicini e di aiuto agli ammalati che saranno presenti alle celebrazioni liturgiche.

08/02/2010 15:43
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STATEMENT OF THE HOLY SEE AT THE 48th SESSION OF THE COMMISSION FOR SOCIAL DEVELOPMENT BEFORE THE ECONOMIC AND SOCIAL COUNCIL ON ITEM 3 (A) PRIORITY THEME: SOCIAL INTEGRATION

Here below the statement delivered by H.E. Archbishop Celestino Migliore Apostolic Nuncio Permanent Observe of the Holy See, on 4 February 2010, at the 48th Session of the Commission for Social development before the Economic and Social Council on item 3 (a) Priority theme: social integration:

Mr. Chairman,

On behalf of my Delegation, I wish to express best wishes to you and the Bureau for a productive session on this year’s priority theme "Promoting social integration" and look forward to working with the membership and other stakeholders to address the daunting challenges of social integration.

For more than twenty years now the human community has been living and interacting within the context of the so-called globalization of society. And yet, "as society becomes ever more globalized, it makes us neighbours but does not make us brothers" 1. All those responsible for promoting social integration and cohesion know all too well that this is not attainable by a simple, though indispensable, mix of good laws and social measures and incentives. There is always a need to push further ahead and take into consideration the integral good of the human person in his various dimensions, including the spiritual.

In a world beset with the soaring woes of the economic and financial crisis, the deliberations over promoting social integration must take into account its link with poverty eradication and full employment, including decent work for all.

While the financial system seems to be regaining stability and increasing production in some sectors offers signs of economic recovery, still in many places the level of unemployment continues to worsen.

In this context, in order to promote economic and social growth along with employment, it seems that the patterns of consumption should be focused upon relational goods and services which promote greater connection between people. By investing in relational goods, such as medical care, education, culture, art, sport – all things which develop a person and require unique human interaction rather than machine production – the State, through its public intervention, would be addressing development at its root, while also promoting employment and long-term development.

Social development and integration will not come about solely from technological solutions, since they concern primarily human relations.

Focusing on human relations necessarily calls for an openness to life which is a positive contribution to social and economic development. In this light, too often population growth is viewed as the cause of poverty whereas it is a means of overcoming it, for only within the work force can the solution for poverty be found. It is therefore imperative that countries focus their efforts on finding the ways and means for ensuring that people receive the necessary skills, training and education so that human ingenuity can be harnessed in a way which promotes development and human rights. Similarly, where economic growth rates have declined, the answers lie not in trying to close society to others and pushing for population decline but rather in creating a society which is open to and encourages life. Promoting life and the family and finding ways to integrate the contribution of all people will allow societies to realize their full potential and achieve development.

For this reason, the family occupies a central place. The family is the first context in which children learn certain skills, attitudes and virtues which prepare them for the labor force and thus allow them to contribute to economic growth and social development. Education and formation is a long-term investment. It requires that policies promoting the family be based not only on redistribution but above all on justice and efficiency and assume responsibility for the economic and fiscal needs of families.

Mr. Chairman, as we promote social integration in our world today we cannot overlook the increasing concern that needs to be given to migration, and in particular, irregular migration.

Intolerance and mutual friction between citizens and newcomers is always more noted in countries of intense immigration. The phenomenon calls for strong attention to the two tracks of acceptance of migrants and respect for the law, on which the solutions to the problem can be found. Also in this field, integration and social cohesion are the parameters that allow us to find adequate solutions to complex issues connected with immigration.

Integration requires a long time and is usually realized in subsequent generations. It is built on the premise of a proactive vision of national citizenship, of the mechanisms of interaction that involves full respect of the fundamental rights of all – of citizens as well as of newcomers – and of a culture of social justice.

In social integration programs, including the efforts to bridge the gap in education, health care and care for environment, important roles are played by civil society and faith based organizations since they help to ensure the involvement of local communities and promote cooperation and participation of all peoples.

Thank you, Mr. Chairman.

_________________________________

1 Benedict XVI, Caritas in veritate, # 19.

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