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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

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    00 30/04/2009 16:39
    Più di 100 rabbini daranno il benvenuto al Papa su “Haaretz”
    In occasione della sua visita in Terra Santa



    GERUSALEMME, giovedì, 30 aprile 2009 (ZENIT.org).- Più di cento rabbini delle varie denominazioni firmeranno un messaggio che verrà pubblicato su una pagina del quotidiano israeliano “Haaretz” per dare il benvenuto a Benedetto XVI in Terra Santa e promuovere il dialogo tra ebrei e cristiani.

    E' un'iniziativa promossa dal rabbino Jack Bemporad, direttore del Center for Interreligious Understanding (CIU) del New Jersey e membro della International Foundation for Interreligious and Intercultural Education (www.ifiie.org), secondo quanto hanno reso noto a ZENIT i presidenti di questa istituzione, Adalberta e Armando Bernardini.

    Il messaggio dei rabbini è intitolato “United in our age”, ispirandosi alla Nostra Aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II pubblicata il 28 ottobre 1965 che ha costituito una svolta per le relazioni tra ebrei e cattolici.

    In particolare, i rabbini citano il numero 4 del documento, che afferma: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”.

    Rivolgendosi direttamente al Papa, la pagina pubblicata da “Haaretz” spiegherà: “In questo spirito, noi – rabbini e leader ebraici – diamo un caldo benvenuto a lei e alla sua missione di pace in Israele. Con una sola voce, siamo uniti nel nostro impegno per il dialogo interreligioso ad aprire più sentieri per una maggiore comprensione, e a riconoscere e a rafforzare continuamente l'importante rapporto tra cattolici ed ebrei in tutto il mondo”.

    “E quale posto migliore per riaffermare questo impegno della Terra Santa di Israele, un luogo che entrambe le religioni custodiscono come parte di un'eredità condivisa?”, aggiunge il testo firmato dai rabbini, che termina augurando "B’shalom".

    Dopo le firme, una nota dice: “Per sapere di più della trasformazione delle relazioni ebraico-cattoliche, dalla storica Nostra Aetate del XX secolo alle risorse del XXI secolo, visitare The Center for Interreligious Understanding su www.faithindialogue.org".

    Il rabbino Jack Bemporad, trasferitosi a sei anni dall'Italia negli Stati Uniti per sfuggire all'Olocausto, è stato al centro di molti dei negoziati per migliorare le relazioni tra cristiani ed ebrei.

    Tra le altre cose, nel 1992 ha lavorato con il Cardinale Johannes Willebrands e con il Cardinale Edward I. Cassidy per aiutare a garantire piene relazioni diplomatiche tra il Vaticano e lo Stato di Israele. Nel 1999 ha pronunciato a San Pietro un discorso alla Conferenza vaticana sulle Relazioni Interreligiose davanti a 50.000 persone, tra cui Papa Giovanni Paolo II, il Dalai Lama e leader religiosi di tutto il mondo.

    Nel 2003 è stato l'autore principale della dichiarazione emessa a nome delle religioni mondiali in un simposio vaticano sulle “Risorse spirituali delle religioni per la pace”.

    Per i suoi sforzi per promuovere il dialogo interreligioso ha ricevuto il prestigioso Premio Luminosa del Movimento dei Focolari e riconoscimenti dalla Fondazione Raoul Wallenberg e dalla Pave The Way Foundation.

    Attualmente Bemporad è docente di Studi Interreligiosi presso l'Angelicum di Roma.

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    00 02/05/2009 16:12
    Il Papa in Terra Santa: editoriale di padre Lombardi


    Fervono gli ultimi preparativi per l’ormai prossimo pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, per il quale ancora questa mattina il Pontefice ha chiesto preghiere e che si svolgerà dall’8 al 15 maggio. Benedetto XVI inizierà il viaggio dalla Giordania, visiterà l’antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, poi sarà a Gerusalemme, Betlemme e Nazaret. Tra le tappe principali della visita, oltre ai luoghi santi cristiani, lo Yad Vashem, la Cupola della Roccia sulla Spianata delle Moschee, il Muro Occidentale e un campo di rifugiati palestinesi. Ma ascoltiamo l’editoriale di padre Federico Lombardi per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Il giorno della partenza di Benedetto XVI per la Terra Santa è ormai imminente. Il viaggio più atteso e forse più impegnativo finora del suo pontificato. Viaggio di fede anzitutto, viaggio che più di ogni altro è veramente pellegrinaggio: ai luoghi più santi della storia della salvezza e soprattutto della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.


    Desiderio spirituale di ogni cristiano, è diventato spontanea priorità per i pontefici da quando i loro viaggi internazionali sono diventati una possibilità concreta. Non per nulla proprio il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI è stato il primo in assoluto di tali viaggi. Momento veramente storico e di grazia per la Chiesa cattolica che celebrava il Concilio, per il cammino ecumenico con l’incontro con il Patriarca Atenagora, per l’invocazione della pace fra i popoli della regione e del mondo. Giovanni Paolo II dovette attendere a lungo prima di poter compiere il desiderio di questo pellegrinaggio, ma poi ebbe la gioia di compierlo serenamente, nel cuore del grande Giubileo, vero culmine del suo grande pontificato, con momenti di preghiera di intensità sublime e con gesti memorabili di amicizia e vicinanza ai popoli ebreo e palestinese e alle loro sofferenze passate e contemporanee.


    Ora è la volta di Papa Benedetto. Sappiamo quanto la situazione politica nell’area sia incerta, quanto le prospettive di pacificazione siano fragili. Ma il Papa si mette in cammino ugualmente, con un coraggio ammirabile che si fonda nella fede, per parlare di riconciliazione e di pace. Tutti lo dobbiamo accompagnare non solo con una preghiera ordinaria, ma con quella mobilitazione spirituale che Giovanni Paolo II chiamava la “grande preghiera”. Perche la Chiesa si rinnovi alle sue sorgenti, l’unione fra i cristiani si avvicini, l’odio lasci finalmente il passo alla riconciliazione.



    [Radio Vaticana]

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    00 02/05/2009 16:14
    Da "La Stampa"...

    2/5/2009

    Il Papa, il Muro e il Ritorno

    Marco Tosatti


    Fra una settimana Benedetto XVI partirà per Giordania, Israele e Territori dell'Autorità Nazionale Palestinese, nel viaggio più delicato del suo regno.

    Il Papa si reca in Terra Santa come pellegrino di pace. Lo dice lo stesso Pontefice, nel discorso rivolto questa mattina ai membri della 'Papal Foundation' (ente statunitense che sostiene la carità del Papa), a pochi giorni dalla visita in Terra Santa (8-15 maggio). "Il mondo di oggi - dice - ha sinceramente bisogno di pace, specialmente di fronte alle tragedie della guerra, della divisione, della povertà e delle disuguaglianze. Fra pochi giorni avrò il privilegio di visitare la Terra Santa. Vado come pellegrino di pace. Da più di 60 anni, questa regione - la terra nativa di nostro Signore, morto e risorto, un posto sacro per le tre grandi religioni monoteistiche - è stato luogo di violenze e ingiustizie. Questo - aggiunge Benedetto XVI - ha portato una generale atmosfera di incomprensioni, incertezze e paura, mettendo vicini contro vicini, fratelli contro fratelli". Il Papa prega poi per quella terra. "Mentre mi preparo per questo significativo viaggio - dice - chiedo in special modo che vi uniate a me nella preghiera per tutte le persone della Terra Santa e per la regione intera. Possano ricevere il dono della riconciliazione, della speranza e della pace".
    “Non sarà un viaggio politico...” a dispetto della frase che viene costantemente ripetuta nei sacri palazzi in questi ultimi giorni di preparazione della visita di Benedetto XVI in Terrasanta, sarà praticamente impossibile tenere fuori la politica dal pellegrinaggio del Papa. Anche se nella sua permanenza in Giordania, Israele e nei territori dell’Autorità palestinese i discorsi che pronuncerà saranno incentrati sulla figura di Gesù, per ribadire, nei luoghi della sua vita terrena, che il cristianesimo è un avvenimento storico e i cristiani non seguono un’idea, ma una persona. La Santa Sede teme strumentalizzazioni; ma questo è uno dei rischi che il Papa, a dispetto degli avvertimenti della sua diplomazia e dei collaboratori, ha voluto correre.
    La comunità cristiana di Terrasanta era ben contenta di accogliere il Papa, ma era altrettanto convinta che il momento fosse quello meno adatto: i lavori della commissione bilaterale sugli accordi fondamentali tra Israele e Vaticano che procedono a rilento (anche se ora si parla di un’accelerazione la prossima sessione di colloqui si terrà a dicembre…), il delicato momento politico che attraversa Israele dopo la formazione del nuovo governo con esponenti dell’estrema destra; le tensioni gravi e irrisolte all’interno del popolo palestinese, diviso tra Hamas e Fatah erano e sono tutti elementi che facevano suggerire un rinvio del viaggio. È stato lo stesso patriarca latino, Fuad Twal, a confermare nei giorni scorsi il timore che l’arrivo del Pontefice potesse servire soprattutto a regolare i rapporti con Israele e a consolidare l’amicizia con il mondo ebraico, facendo passare in secondo piano i problemi vissuti dai cristiani e le sofferenze dei palestinesi. Ma, ha detto Twal, “avendo constatato che il programma del pellegrinaggio era ben bilanciato, abbiamo finito per riconoscere che questo viaggio non poteva che essere una benedizione per tutti”.
    Ma è evidente che i problemi emergeranno. E basta leggere questa nota del SIR (Servizio Informazione Religiosa) sulla visita al campo profughi di Aida per rendersene conto.
    "Un ciondolo con una chiave, simbolo sia della missione di ‘custode delle chiavi’ affidata da Cristo a san Pietro e ai suoi successori, che della ‘chiave del ritorno’ dei profughi palestinesi, ed una mappa della Palestina incisa su una pietra del mare di Galilea: sono i doni che gli abitanti del campo di Aida, Betlemme (circa 5000 persone di cui 14 famiglie cristiane), faranno a Benedetto XVI in occasione della sua visita al campo il 13 maggio, prevista dal viaggio in Terra Santa. A quanto si legge nel sito del Patriarcato Latino, per la visita, che durerà un’ora, è al lavoro un comitato che annovera tra i suoi membri oltre a Ziyad Al Bandak, presidente del governo locale anche padre Majdi Syriani, sacerdote del Patriarcato. Da quanto si apprende dal Patriarcato i bambini del campo accoglieranno il Papa su entrambi i lati delle strade decorate con manifesti, striscioni e bandiere dell'Autorità palestinese e del Vaticano. La cerimonia avrà inizio vicino al muro di separazione. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas terrà un discorso, seguito da quello di Benedetto XVI. Prenderanno la parola anche rappresentanti del campo e due programmi artistici concluderanno l'evento. “Il Papa che entra ad Aida – dice p. Syriani - sarà come una luce nella notte per gli abitanti del campo e l’occasione per mostrare le sofferenze dei profughi e la volontà di mettere fine ad esse rendendo giustizia ai palestinesi”.


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    00 04/05/2009 21:35
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    M.O.. Papa lascerà preghiera in 'muro pianto' come fece Wojtyla

    Saluti in arabo per cristiani cisgiordani in Galilea

    In segno di rispetto nei confronti dell'ebraismo, anche Papa Benedetto XVI lascerà una preghiera, come fece Giovanni Paolo II nel 2000, in una fessura tra le pietre che costituiscono il Muro occidentale di Gerusalemme (impropriamente detto il 'muro del pianto'), meta degli ebrei di tutto il mondo.
    Il viaggio che Benedetto XVI compirà in Israele, in Giordania e nella Cisgiordania palestinese (8-15 maggio) avviene "in un contesto non facile", ammette il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un briefing di presentazione dell'evento. Mentre cresce l'attesa per le mosse che compirà il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, è recente l'attacco israeliano di Gaza, c'è un nuovo governo israeliano, tra i palestinesi continuano le tensioni tra Fatah e Hamas, mentre il presidente iraniano Ahmadinejad continua a minacciare Israele.
    "C'è un complesso di situazioni e tensioni per cui il viaggio del Papa sarà un atto di speranza e fiducia per la pace e la riconciliazione - commenta Lombardi - una testimonianza di impegno per situazioni non facili". Tra i dettagli del programma resi noti da Lombardi, la probabile presenza di cristiani della Cisgiordania nella messa che il Papa celebrerà a Nazareth, in Galilea.
    "Il Papa darà loro il benvenuto anche in arabo", afferma il gesuita. Nel corso del viaggio - che toccherà anche luoghi-simbolo della shoah come il memoriale dello Yad Vashem in Israle - non è previsto che il Papa parli nella sua lingua madre, il tedesco.
    "I discorsi saranno tutti in inglese", afferma il gesuita. Padre Lombardi smentisce, poi, l'allarme emerso di recente sui quotidiani israeliani circa la sicurezza della 'papamobile' per l'incolumità del Papa a Nazareth. "Tra i fedeli si muoverà in 'papamobile' per poterli salutare", afferma. Se a Nazareth dovrebbero accorrere 20 mila pellegrini, ad Amman, in Giordania, sono previsti circa 35 mila fedeli mentre circa 7 mila sono attesi in una messa all'aperto che - a differenza di Wojtyla - celebrerà al Josafat Valley di Gerusalemme. Una folla di pellegrini, ancorché contenuta, è attesa anche per la visita che Ratzinger compirà al Santo sepolcro di Gerusalemme, l'ultimo giorno, e che potrebbe concludersi con una passeggiata fino al Golgota, dove, per la tradizione, fu crocifisso Gesù. Ad accompagnare il Papa saranno, oltre al segretario di Stato card. Tarcisio Bertone e il Sostituto alla Segreteria di Stato Fernando Filoni, i cardinali responsabili delle Chiese orientali (Leonardo Sandri), dei rapporti con l'ebraismo (Walter Kasper) e del dialogo interreligioso (Jean-Louis Tauran). Il Papa troverà ad accoglierlo anche i cardinali John Patrick Foley, Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia, che lì presiederà le cerimonie conclusive per l'anno dedicato dalla Chiesa locale alla famiglia. Il Papa incontrerà poi a Betlemme anche i presidenti dei vescovi svizzeri e tedeschi, Kurt Koch e Robert Zoellitsch, quando visiterà il Caritas Baby Hospital che da quegli episcopati è finanziato.

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    00 04/05/2009 21:38
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    PALESTINA - VATICANO

    Betlemme: i profughi palestinesi attendono il papa perché veda il Muro

    di Abib Khoury

    Benedetto XVI è atteso nel campo profughi di Aida, dove incontrerà anche Mahmoud Abbas. Una mostra sulla situazione dei palestinesi e il dono di una “chiave per il ritorno”. A Betlemme, un calligrafo musulmano ha scritto e decorato una copia del Vangelo di san Luca.

    Betlemme (AsiaNews)

    I profughi palestinesi del campo di Aida attendono Benedetto XVI per fargli conoscere da vicino la loro situazione.
    Il papa si recherà in Terra Santa dall’8 al 15 di maggio e il 13 passerà la giornata a Betlemme, celebrando messa nella piazza della Mangiatoia (davanti alla basilica della Natività). Nel pomeriggio visiterà il campo profughi di Aida, come aveva già fatto il suo predecessore Giovanni Paolo II nel 2000.
    Nel mondo palestinese c’è polemica su questa visita: timori che Israele sfrutti il pellegrinaggio a suo vantaggio; frustrazione che il papa non abbia messo in conto una visita a Gaza, colpita dall’offensiva israeliana del dicembre –gennaio scorso e da un embargo che dura da anni.
    Ma a Betlemme e nel campo profughi oggetto della visita si è contenti. “Venendo da noi – dicono al campo – il papa conoscerà la realtà palestinese da vicino, camminerà vicino al Muro e lui, come tedesco, capirà bene i nostri sentimenti, perché anche il suo Paese è stato diviso da un muro”.
    Il campo di Aida, a nord di Betlemme contiene circa 5 mila persone. Di queste solo 14 famiglie sono cristiane.
    Il programma della visita, ormai quasi completato, prevede l’accoglienza del papa fra due ali di folla, con bambini che cantano e danno il benvenuto, con pitture murali e striscioni, sventolando bandiere palestinesi e vaticane. La visita dura un’ora abbondante. Essa inizia lungo il Muro di difesa che Israele ha eretto attorno alle località palestinesi per difendersi dagli attacchi terroristi, e che produce problemi di spostamento alla popolazione araba. Segue una mostra per immagini che evidenzia la situazione palestinese e la sua storia; il discorso di Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità palestinese e quindi il discorso di Benedetto XVI.
    Gli abitanti del campo vogliono fare due regali al papa: una catenina con attaccata una chiave, per legare – come dicono – la chiave di Pietro e la “chiave per il ritorno” dei profughi (molti profughi conservano la chiave della loro casa da cui sono stati espulsi o da cui sono dovuti fuggire, come segno di speranza per il ritorno). Il secondo dono è una mappa della Palestina scolpita su pietra di Tiberiade.
    Per la visita a Betlemme, il sindaco della città, Victor Batarseh (cristiano), ha chiesto a un artista musulmano, un calligrafo, di scrivere e decorare a mano una copia del Vangelo di san Luca. L’artista è Yasser Abu Sima, 51 anni, già profugo in Iraq e in Giordania, che vive ora a Betlemme.
    “Attraverso questo semplice lavoro – ha dichiarato - vorrei mandare il messaggio che l’artista musulmano è una persona tollerante e non aggressiva. E questo nonostante gli attacchi che avvengono qua e là per mani di estremisti, che sfruttano la nostra religione per i propri interessi”
    Abu Sima ha lavorato alla calligrafia per 2 mesi, aiutato da un sacerdote che ne verificava l’accuratezza. Il vangelo di Luca è stato scelto per le annotazioni sulla nascita di Gesù e i riferimenti a Betlemme. Batarseh ha affermato che questo dono è un messaggio per la coesistenza pacifica fra le religioni: “È un messaggio per il mondo, per ricordare la città di Betlemme, che ha visto la nascita del cristianesimo ed è tuttora il luogo delle relazioni fraterne fra cristiani e musulmani”.
    A causa del conflitto israelo-palestinese e dell’anarchia che tende a regnare nella città, la popolazione cristiana di Betlemme è in calo. Nel ’98 essi erano ancora l’85% ; dopo il 2005 essa è solo il 20% di tutta la popolazione, calcolata da circa 25 mila abitanti.

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    00 04/05/2009 21:47
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    Papa/ Lieberman: Visita in Israele di "infinita" importanza

    Anche per avanzamento legami fra Stato ebraico e arabi moderati

    APCOM

    La visita di papa Ratzinger in Giordania e in Israele, dall'8 al 15 maggio prossimi, è di "grandissima, infinita importanza". Lo sottolinea il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, in conferenza stampa a margine di una riunione con il collega italiano Franco Frattini alla Farnesina.
    Il governo israeliano, assicura Lieberman, sta facendo il "massimo sforzo perché questa importante visita abbia successo".
    Per il nuovo capo della diplomazia israeliana, la missione mediorientale del pontefice ha una "duplice importanza": sia dal punto di vista politico per un "potenziale avanzamento dei rapporti fra Israele e i paesi arabi moderati", sia per quello del dialogo fra le due più antiche religioni monoteiste, Cristianesimo ed Ebraismo.
    Lieberman si dice convinto che questo dialogo "possa essere d'esempio" anche per quello fra Ebraismo e Islam.

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    00 04/05/2009 21:50
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    ISRAELE: PERES AL GOVERNO, DIAMO CENACOLO AL VATICANO

    A una settimana dall'inizio della visita in Terra Santa del Papa la stampa israeliana rivela che il presidente israeliano Shimon Peres sta facendo pressione sul governo per cedere al Vaticano il controllo di sei siti acri.
    Tra questi, scrive Haaretz, la chiesa dell'Annunciazione a Nazareth, l'orto del Getsemani e il Cenacolo a Gerusalemme, il monte Tabor e la chiesa della Moltiplicazione sulle coste del lago di Tiberiade.
    Peres ha chiesto al ministro dell'Interno Eli Yishai di compiere questo passo.
    Il collega del Turismo, Stas Misezhnikov, esponente della destra laica di Yisrael Beiteinu, si e' di fatto opposto: "Se fossimo certo che questo grande regalo portasse milioni di pellegrini cristiani penso che sarebbe il caso di pensarci.
    Ma fino a quando non ne saremo certi perche' dovremmo farlo?", si e' chiesto il ministro che e' anche responsabile della visita di Benedetto XVI.

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    00 05/05/2009 02:10
    Progressi nei rapporti tra Israele e la Santa Sede
    Ultima riunione bilaterale prima della visita del Papa in Terra Santa



    GERUSALEMME, lunedì, 4 maggio 2009 (ZENIT.org).- Le relazioni tra Israele e la Santa Sede hanno sperimentato "progressi significativi, alla vigilia dell'importante visita del Papa a Gerusalemme", secondo quanto rende noto un comunicato congiunto emesso da Gerusalemme.

    Il testo raccoglie le conclusioni dell'assemblea plenaria della Commissione Bilaterale Permanente tra lo Stato di Israele e la Santa Sede, svoltasi presso il Ministero degli Esteri il 30 aprile "allo scopo di far progredire i negoziati in conformità all'articolo 10 §2 dell'Accordo Fondamentale tra la Santa Sede e lo Stato di Israele (30 dicembre 1993)".

    I negoziati cercano di raggiungere un accordo su tutte le questioni pendenti circa proprietà e imposte, perché la Chiesa possa avere la sicurezza giuridica e fiscale che le permetta di svolgere la propria opera.

    Quando la Santa Sede ha stabilito relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele, nel 1993, come gesto di buona volontà Giovanni Paolo II ha optato per proporre un Trattato Fondamentale negoziando in seguito tali questioni in modo dettagliato.

    La delegazione dello Stato di Israele era guidata da Daniel Ayalon, viceministro degli Esteri, mentre quella vaticana era guidata da monsignor Pietro Parolin, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati presso la Segreteria di Stato.

    "La plenaria della Commissione si è svolta in un'atmosfera di grande amicizia e spirito di collaborazione e buona volontà - spiega il comunicato -. La Plenaria ha sottolineato che la Commissione di Lavoro ha raggiunto progressi significativi, alla vigilia dell'importante visita del Papa a Gerusalemme".

    "Si è stabilito che la prossima Plenaria avrà luogo il 10 dicembre 2009 in Vaticano. Nel frattempo, la Commissione di Lavoro si incontrerà a seguito delle richieste di entrambe le delegazioni per accelerare i colloqui e concludere l'Accordo il prima possibile", aggiunge.

    Ciò significa che l'Accordo non potrà essere raggiunto prima della visita del Papa in Terra Santa, dall'8 al 15 maggio, anche se questa ha permesso di creare l'ambiente idoneo per raggiungere questi progressi, in un processo che negli anni precedenti era fermo.






    Terra Santa: Benedetto XVI intraprende il suo viaggio più complesso
    "Atto anche decisamente coraggioso", considera il portavoce vaticano



    CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 4 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il pellegrinaggio che Benedetto XVI intraprenderà questo venerdì in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi è il più complesso di questo pontificato, ha riconosciuto questo lunedì il portavoce della Santa Sede.

    In un briefing concesso questo lunedì alla stampa internazionale, padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha riconosciuto che il viaggio, dall'8 al 15 maggio, avviene in un momento estremamente delicato per la regione, soprattutto dopo la guerra di Gaza, motivo per il quale lo ritene un atto "coraggioso" per la riconciliazione e la pace.

    Il 12° viaggio internazionale di questo pontificato permette al Papa non solo di incontrare i rappresentanti politici delle città che visiterà, ma anche di "confermare e incoraggiare i cristiani di Terra Santa" che quotidianamente devono affrontare tante difficoltà.

    Il contesto, ha riconosciuto il portavoce, è molto complicato perché Israele ha un nuovo Governo e per le divisioni politiche tra palestinesi, le elezioni di gennaio rinviate, le tensioni provocate dall'Iran e la politica del neo-presidente americano Barack Obama.

    "E' un complesso di situazioni in movimento e anche di tensioni, in cui il viaggio del Papa si presenta come un atto di speranza e di fiducia, di poter dare un contributo per la pace e per la riconciliazione", sostiene padre Lombardi.

    "Mi sembra un atto anche decisamente coraggioso ed una bella testimonianza di impegno per portare messaggi di pace e di riconciliazione anche in situazioni non facili".

    In questa situazione, molti si sono chiesti se il conflitto di Gaza avrebbe portato all'annullamento del viaggio, ma padre Lombardi ha dichiarato che il Papa in questo modo vuole scommettere sulla pace.

    Questo spiega il motivo per il quale lo stesso Papa, questa domenica, parlando in inglese alla fine dell'incontro con i pellegrini in occasione del Regina Coeli, abbia rivolto un saluto speciale alla popolazione palestinese.

    "Questo venerdì partirò per il mio pellegrinaggio in Terra Santa, dove uomini e donne hanno udito per la prima volta la voce del Buon Pastore. Chiedo a tutti voi di unirvi a me nella preghiera per i popoli afflitti di quella regione. In modo particolare, vi chiedo di ricordare il popolo palestinese, che ha sopportato grandi difficoltà e sofferenze. Il Signore benedica questo popolo e tutti coloro che vivono in Terra Santa con i doni dell'unità e della pace".

    Questo spirito di riconciliazione spiega il fatto che il Papa incontri le più alte autorità di Israele, sia civili che religiose, che a Betlemme sia accolto dalla presidenza dell'Autorità Nazionale palestinese e che incontri i principali leader musulmani.


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    Cresce l'attesa dei cattolici in Terra Santa per l'arrivo del Papa. Mons. Twal: abbiamo bisogno dell'incoraggiamento del Santo Padre


    Davanti ad una folta schiera di giornalisti e cineoperatori, il nunzio apostolico in Israele, l'arcivescovo Antonio Franco, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, il vicario patriarcale latino per Israele, mons. Marcuzzo, e il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, hanno tenuto a Gerusalemme una conferenza stampa nel corso della quale hanno illustrato gli ultimi preparativi in vista dell’arrivo di Benedetto XVI. Da Gerusalemme, il nostro inviato Roberto Piermarini.

    “Vi abbiamo invitato perchè, come giornalisti, avete una missione: presentare nel mondo migliore questa visita, comprendendo la specificità di questo pellegrinaggio papale, che sarà un’incessante preghiera per la ricerca dell’unità e della pace in questa terra così tormentata”. E’ questo lo spirito con il quale vuole essere accolto Benedetto XVI. Lo hanno affermato il nunzio apostolico in Israele, mons. Franco, e il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Twal, nell’incontro che hanno avuto in mattinata con i giornalisti al centro Notre-Dame di Gerusalemme. In particolare, mons. Twal non ha nascosto che il viaggio papale, nel contesto palestinese e israeliano, possa essere strumentalizzato, vista la delicata situazione politica che si vive nella regione. Ma una visita al campo palestinese "Aida Refugee", vicino a Betlemme, ad esempio, è stato voluto dal Papa per immergersi nella drammatica realtà delle migliaia di profughi palestinesi, che spesso dimentica la comunità internazionale. Da Gaza, ha sottolineato mons. Twal, è stata fatta la richiesta per l’accesso alla Messa a Betlemme per 250 cristiani palestinesi, ma fino ad oggi il governo israeliano ha concesso il permesso solo a un centinaio di loro.


    “Perché il Papa non andrà a Gaza?” ha chiesto un giornalista. Perché a Gaza i cattolici sono una piccolissima minoranza. Diverso il discorso per la Cisgiordania: lì, ha detto mons. Twal, dei 15 mila cristiani palestinesi, 11 mila hanno ottenuto il permesso per recarsi in territorio israeliano per partecipare agli incontri con il Papa. Sui problemi della sicurezza a Nazareth, è intervenuto il vicario mons. Marcuzzo, il quale ha assicurato che non ci sono rischi per il Papa, il quale tra l’altro userà la "papamobile" nella Messa presso il Monte del Precipizio e che le contestazioni alla visita sono state da parte di alcune sparute frange estremiste, già isolate dalla sicurezza. E’ stato anche chiesto dai giornalisti se è vero che il presidente Perez restituirà alla Chiesa il Cenacolo. “La questione è oggetto di lunghe consultazioni”, ha detto mons. Franco, “ma ancora non c’è niente di definitivo”.


    Sulla presenza del Papa al Mausoleo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, che in una delle sue sale contiene un’offensiva didascalia contro Pio XII, il nunzio apostolico ha detto che il Papa non ha mai messo in discussione la visita in questo luogo, perché vuole rispettare le vittime della Shoah. Mons. Marcuzzo ha invitato la stampa a non dimenticare il senso di questa visita pastorale e spirituale del Papa in Medio Oriente, che affronterà quattro temi in ognuna delle sue tappe più significative: in Giordania la Chiesa, a Nazareth la vita, a Gerusalemme la pace e la riconciliazione e a Betlemme la famiglia. Infine, mons. Franco ha ricordato le parole del Papa al Regina Caeli di domenica, quando ha sottolineato che si recherà sui luoghi santi per confermare e incoraggiare i cristiani di Terra Santa, facendosi pellegrino di pace, rilanciando il dialogo e la riconciliazione.


    Sull’attesa della comunità cattolica, ma no solo, per l’arrivo di Benedetto XVI in Terra Santa, il nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini, ha raccolto la testimonianza del Patriarca latino della Città Santa, mons. Fouad Twal:

    R. - Lo attendiamo con gioia, con speranza, con entusiasmo: vediamo in lui un segno della Provvidenza che viene a pregare con noi, per noi tutti, per la pace, per tutti gli abitanti di Terra Santa. E' un padre che comincerà ad incoraggiare i fedeli in Giordania e poi continuerà qui. Dobbiamo avere un cuore grande, non limitarci alle piccole cose, alle meschinità. Al contrario, al bel gesto da parte sua deve corrispondere un bel gesto da parte nostra attraverso tanta ospitalità, accoglienza e coraggio.


    D. - Mons. Twal, nel Regina Coeli di domenica scorsa il Papa ha detto che verrà ad incoraggiare i cristiani di Terra Santa che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà. Quali sono queste difficoltà? Lei ha parlato di “calvario della comunità cristiana”…


    R. - Basta andare da qui a Betlemme, a Nazareth per vedere questo calvario: tutti i check-point che esistono, il muro che ci si para dinanzi... Non possiamo arrivare all’aeroporto, abbiamo problemi di visti che non arrivano, il problema della riunificazione delle famiglie cristiane tra Gerusalemme est e Ramallah. E ancora, la distruzione delle case, la loro demolizione. Questo è il calvario di una chiesa, però non dimentichiamo che il calvario è stato seguito da una resurrezione. Noi puntiamo sulla resurrezione e non ci fermiamo mai al calvario.


    D. - La fa soffrire la lenta ma inesorabile emigrazione all’estero dei cristiani di Terra Santa?


    R. - Sì che ci fa soffrire. Ormai, solo a Gerusalemme abbiamo appena 10 mila cristiani - tra cattolici, ortodossi e protestanti - a fronte di una comunità musulmana di 250 mila persone e di quella israeliana di 550 mila. Facciamo il possibile per fermare e limitare al massimo questa emigrazione: però tocca agli stessi cristiani capire che la loro presenza qui è una missione, devono accettare gli ostacoli e non abbandonare davanti ai problemi. E’ qui che c’è la Terra Santa, che ci sono le nostre radici.


    D. - Ebrei, cristiani e musulmani sono tutti sensibili a questa visita del Papa?


    R. - Tutti sono sensibili e poi siamo "costretti" a vivere gli uni accanto agli altri. Quindi, sarebbe meglio trovare il modo di poter vivere in pace.


    D. - Quale importanza ha questo viaggio, invece, dal punto di vista ecumenico?


    R. - Molto bello. Noi abbiamo voluto fare un incontro al Patriarcato ortodosso per fortificare i nostri rapporti. Già abbiamo buone relazioni tra noi e le diverse comunità, specialmente con la Chiesa cattolica. Ogni tanto c’è un piccolo problema, ma fa parte dello scenario della Terra Santa, non dobbiamo drammatizzare.


    D. - Nella Terra Santa di oggi è difficile avere il coraggio della pace?


    R. - No, no. Dobbiamo restituire a questa Terra Santa la sua vocazione di santità. Più che la guerra per il territorio, dovremmo impegnarci di più per la santità, per la riconciliazione, per il perdono, per carità fraterna. Ne abbiamo tanto, tanto bisogno. Questo è il nostro coraggio.


    [Radio Vaticana]




    Cardinale Sandri: “Benedetto XVI desiderava andare in Terra Santa”
    Presentato a Roma un libro sui Luoghi Santi in preparazione al viaggio papale

    di Inma Álvarez


    ROMA, martedì, 5 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha affermato che il viaggio in Terra Santa era uno degli obiettivi che Papa Benedetto XVI accarezzava fin dai primi momenti del suo pontificato.

    Lo ha rivelato in alcune dichiarazioni ai giornalisti riuniti per la presentazione del libro “Terra Santa. Viaggio dove la fede è giovane” (ed. AVE), in preparazione al prossimo viaggio papale. Il testo, opera di Giorgio Bernardelli, è stato presentato il 28 aprile nella Sala Marconi della “Radio Vaticana”.

    Secondo quanto ha osservato il Cardinale Sandri, “questo desiderio di visitare la Terra Santa era un desiderio del Papa fin dall'inizio”. “Ha dovuto compiere dei viaggi che già erano in un certo senso stabiliti del pontificato precedente, come la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia o la Giornata delle Famiglie in Spagna”.

    “Invece il suo grande desiderio come primo viaggio e quindi come significato di tutto il suo pontificato verso Gesù, verso la Parola di Dio, era andare in Terra Santa”, ha aggiunto. “Il viaggio principale che dava il tono di tutto il suo Pontificato era questo”.

    Una missione di pace

    Per il porporato, la Terra Santa “è testimone di una giovinezza perenne offerta alla Chiesa e tramite la Chiesa all'umanità”.

    “Alla Terra Santa è poi affidata una missione di speranza. È la speranza di una celeste Gerusalemme; di una definitiva convocazione dall'Oriente e dall'Occidente di tutti i popoli nella lode del Signore”. Per questo, ha spiegato, “la Gerusalemme storica e i cristiani che la abitano fisicamente o col cuore, e soprattutto con la fede, devono condividere la missione di unità e di pace propria della Chiesa e che trova in questa città una insuperabile icona”.

    In questo senso, ha auspicato che la visita del Papa sia “un monito per tutti coloro che sono investiti di una responsabilità, ad ogni livello, perché non si attardino a liberare in modo definitivo la pace, donata al mondo da Cristo Risorto, il Principe della Pace”.

    Unità dei cristiani

    Il Cardinale Sandri ha anche riferito le proprie esperienze di viaggi precedenti a Gerusalemme, sottolineando che si sta compiendo una grande opera di dialogo, “di incontro tra i nostri cattolici, soprattutto quelli del Patriarcato latino a Gerusalemme, della Custodia di Terra Santa, e i nostri fratelli greco-ortodossi e armeni”.

    Questi incontri, ha constatato, mirano a “limare le asprezze che ci possono essere”, perché ciascuno possa mantenere i diritti acquisiti “lungo gli anni, lungo la storia” e si possa dimostrare in questo campo l'unità per “glorificare Gesù Cristo e portare la gente a vederlo”.

    “Non so se ci sono degli episodi che si verificano a livelli più bassi nei rapporti di ogni giorno, ma certamente a livello di Chiese c'è un cammino verso l'unità”, ha aggiunto.

    Dal canto suo, il porporato non ha ricevuto opinioni contrarie alla visita del Papa da parte dei vari presuli, anzi, l'arrivo del Pontefice viene interpretato come un segno di speranza “pur in mezzo a tante difficoltà”.

    La presenza del Papa è “portatrice di serenità, di pace e di stimolo a tutti coloro che sono responsabili della realtà o della situazione di quella gente”.

    Anche per l'autore del libro la visita di Benedetto XVI è “un momento importante per la Chiesa. E' quando Pietro ritorna nella terra delle origini, quindi deve essere un momento per scoprire le radici della nostra fede”, così come un'occasione “per il dialogo anche con ebrei e musulmani”.

    “Su questo credo che Papa Ratzinger possa stupirci”, ha osservato.

    In alcune dichiarazioni a ZENIT, Bernardelli ha affermato che è necessario considerare la Terra Santa nel suo insieme, non soffermandosi solo sulla dimensione biblico-archeologica, “chiudendo gli occhi sulla vita di chi vive oggi in Terra Santa, oppure all'estremo opposto fermandoci solo ai problemi dell'attualità”.

    Anche il Cardinale Sandri ha sottolineato che “non c'è luogo al mondo nel quale i cristiani di ogni confessione e i credenti nel vero Dio, come tanti altri cercatori di Dio provenienti dal mondo intero, possano vantare il privilegio e la fatica di una quotidiana frequentazione”.

    [Con informazioni di Mercedes de la Torre]

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    ESCLUSIVO: IL BENVENUTO DEL PRESIDENTE ISRAELIANO PERES

    «GERUSALEMME ACCOGLIE QUESTO ARTEFICE DI PACE»

    «Le sue parole danno forza alla speranza nel futuro, per i rapporti tra le religioni e per quelli tra popoli e culture».

    Shimon Peres

    A nome dello Stato di Israele e mio personale, desidero esprimere il sentimento di partecipe attesa con cui guardiamo alla visita di Sua Santità, papa Benedetto XVI.
    Sarà un privilegio accoglierlo alle porte della città santa di Gerusalemme e salutarlo con una parola che è tra le più comuni della lingua ebraica ma nello stesso tempo esprime la più profonda aspirazione del nostro popolo: SHALOM, PACE.
    La storia dei discendenti di Abramo ha conosciuto aspri conflitti, guerre in nome della religione, intolleranza, pregiudizi e persecuzioni. È arrivata l’ora di costruire ponti di comprensione, rispetto reciproco e riconciliazione, per superare le vecchie divisioni e permettere alla pace di prevalere nel dialogo tra le nazioni e al dialogo interreligioso di mettere sempre più forti radici.
    Si tratta di un nobile scopo ed è quindi nostro dovere investire nella formazione delle giovani generazioni, e delle generazioni future, per insegnare loro che tutti gli uomini hanno uguali diritti, e che l’uguaglianza dei diritti comprende anche il diritto a essere diversi.
    La visita di Sua Santità Benedetto XVI è un passo significativo verso la costruzione di tali ponti. Verrà come il Buon Pastore, simbolo di valori morali e voce della coscienza, e il suo messaggio di pace e tolleranza sarà udito da tutto il suo gregge e da noi tutti.

    Missione di tolleranza e fede

    Le sue parole daranno forza alla speranza nel futuro, non solo per i rapporti tra le diverse religioni ma anche per quelli tra i popoli e le culture della regione. Gerusalemme accoglie questo artefice di pace a braccia aperte. E nella città santa, in cui i profeti di Israele edificarono un codice universale di pace, fratellanza, tolleranza e amore per l’uomo, sullo stesso suolo in cui Gesù lasciò l’impronta dei suoi passi, noi metteremo sulle spalle di Sua Santità il mantello della nostra ospitalità e gli daremo il benvenuto con tutto il nostro calore.
    Papa Benedetto XVI si troverà in Israele, patria del popolo ebraico, edificata sulle indistruttibili fondamenta della Bibbia e animata da un popolo che ha contribuito in modo significativo allo sviluppo dell’umanità in campi come la scienza, la tecnologia, la medicina, la cultura e le arti. Sono passati 65 anni da Auschwitz ma ancora non abbiamo raggiunto un porto completamente sicuro. L’antisemitismo, i negazionisti che non vogliono riconoscere l’Olocausto, la politica del terrore e gli appelli a distruggere il nostro popolo ancora ci minacciano. Ma nonostante questo, e a dispetto delle guerre a cui siamo costretti e delle minacce che ci vengono rivolte, sempre cerchiamo la pace e non rinunciamo alla speranza di vedere il giorno in cui il nostro sogno sarà realizzato e, insieme con i nostri figli, potremo vivere sicuri in pace.
    La visita di papa Benedetto XVI alla Terra Santa è per i nostri cuori un supplemento di speranza nel fatto che le nostre preghiere saranno esaudite. E nella sua missione di pace, tolleranza e fede, possa Sua Santità portare l’intero gregge a seguire le sue orme e ad affrontare un pellegrinaggio nella nostra regione, un viaggio di solidarietà e speranza capace di sollevare lo spirito.
    Mi unisco alle preghiere per la pace del popolo di Israele e pregusto la gioia di dare il benvenuto della pace al Papa.

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    Il Papa in Terra Santa, opportunità storica per il dialogo con l'islam

    Amman, Gerusalemme e Betlemme, tappe verso un'intesa migliore

    di Jesús Colina

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 5 maggio 2009 (ZENIT.org).

    Sia nel mondo musulmano che in quello cristiano, il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa suscita aspettative per l'impatto che avrà sulle relazioni tra l'islam e il cattolicesimo.
    In questo viaggio, il Papa compirà gesti estremamente significativi: per la seconda volta nel suo pontificato entrerà in una moschea, ad Amman; incontrerà i leader religiosi islamici a Gerusalemme e a Betlemme; visiterà la Cupola della Rocca nella Spianata delle Moschee della Città Santa, un gesto che Giovanni Paolo II non ha compiuto nella sua visita del 2000.
    Il fatto che il pellegrinaggio inizi questo venerdì con la Giordania aiuterà senz'altro a promuovere queste relazioni. Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, in un incontro svoltosi lunedì con i giornalisti ha constatato che Abdallah II bin al-Hussein, monarca del Regno Hashemita, ha deciso di eludere il protocollo per esprimere la sua vicinanza al Papa durante la visita nel Paese.
    Il re, che accompagnato dalla regina Rania ha partecipato ai funerali di Giovanni Paolo II, non solo ha previsto di accogliere il Papa nella cerimonia di benvenuto, che avrà luogo all'aeroporto internazionale Queen Alia di Amman alle 14.30 dell'8 maggio, ma, con un gesto del tutto inusuale, si recherà con la regina a congedarsi dal Pontefice l'11 maggio.
    Padre Lombardi ricorda che il re sta dando un forte impulso al dialogo tra i credenti con iniziative come il Messaggio di Amman ("Amman Message"), rivolto al mondo musulmano per trovare un consenso che ponga al margine l'estremismo violento, e il Messaggio Interreligioso di Amman ("Amman Interfaith Message"), diretto in particolare al cristianesimo e all'ebraismo, per promuovere la pace e i valori condivisi all'interno dell'islam e condivisibili con le altre religioni.
    Il portavoce vaticano ha ricordato che tra i consiglieri del re in questo campo spicca il principe Ghazi bin Muhammad, coordinatore dell'iniziativa internazionale "A Common Word", il manifesto di 138 leader e saggi islamici (oggi i firmatari sono molti di più) scritto dopo gli attacchi contro Benedetto XVI per il discorso di Ratisbona (12 settembre 2006), che nel novembre scorso ha contribuito a creare il Forum Cattolico-Musulmano a Roma.
    Nel suo sforzo per promuovere le buone relazioni con i fedeli musulmani, il 9 maggio il Papa visiterà la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, inaugurata dallo stesso re Abdallah II nel 2006 e dichiarata quella "ufficiale" del Paese (è anche la più grande). Benedetto XVI ha visitato per la prima volta come Papa un luogo sacro per l'islam recandosi alla Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006.
    In seguito, il Santo Padre incontrerà i leader religiosi musulmani della Giordania, il Corpo diplomatico e i rettori delle università del Paese nel patio esterno della moschea, il momento più solenne del viaggio nel Paese per analizzare la questione del dialogo interreligioso.
    Dopo essere atterrato in Israele, il secondo giorno di visita a Gerusalemme il Papa compirà gesti inediti di rispetto per i seguaci del profeta Maometto: la mattina del 12 maggio visiterà la Cupola della Rocca (nota anche come la moschea di Omar), sulla Spianata delle Moschee, accompagnato dal Gran Muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Husayn.
    Per i musulmani la "rocca", che si trova al centro della moschea, è il luogo dal quale Maometto sarebbe salito al cielo. Anche per gli ebrei è un luogo sacro, perché era parte del Tempio di Salomone. Per i cristiani rappresenta un ricordo delle visite di Gesù al Tempio.
    Il Gran Muftì Muhammad Ahmad Husayn, sunnita, è considerato la suprema autorità giuridico-religiosa a Gerusalemme e del popolo arabo-musulmano in Palestina.
    Un altro importante momento per il dialogo con i musulmani avverrà in occasione della visita del Papa a Betlemme, dove riceverà il benvenuto il 13 maggio da Abu Mazen, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese. Dopo aver visitato il Campo di rifugiati Aida, in quella località, il Papa incontrerà il Presidente nel Palazzo presidenziale e converserà con rappresentanti palestinesi musulmani di Gaza e della West Bank, invitati dal Presidente.

    © Copyright Zenit


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    PAPA BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA: PARLA GIAN MARIA VIAN

    PELLEGRINO DI PACE

    Per il direttore dell’Osservatore Romano, il capo della Chiesa cattolica «non va a gettare ponti, ma ad aiutare la costruzione di ponti». Tra cristiani, con ebrei e musulmani.

    Alberto Bobbio

    Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa mette in fila numerosi temi e verrà sicuramente giudicato su diversi piani: religioso, geopolitico, diplomatico. Il luogo è altamente evocativo. A Gerusalemme le tre grandi religioni monoteiste continuano, nonostante tutto, a convivere e a parlarsi.

    C’è un ruolo specifico del Papa, capo di una di esse?

    Il professor Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, che di mestiere fa lo storico, ragiona alla vigilia di un viaggio complesso: «Il Papa non va a gettare ponti, ma ad aiutare la costruzione di ponti. La Santa Sede conosce bene gli intrecci, sa che non è facile districare nodi di carattere culturale, ma anche politico e diplomatico. La sua posizione sul piano politico non è cambiata: la soluzione è due Stati, che abbiano lo stesso diritto alla sovranità e alla sicurezza. Insomma, pace nella giustizia per israeliani e per palestinesi. Tenendo distinta la questione dei luoghi santi per tre religioni, per la quale bisogna continuare a cercare qualche forma di garanzia internazionale. La Santa Sede continua a ritenere che la ricerca di soluzioni pacifiche e negoziali, attraverso la mediazione, sia l’unica linea possibile».

    C’è il rischio che venga letto solo dal punto di vista diplomatico?

    «La situazione politica in tutto il Medio Oriente è difficile. Ma il Papa non va lì a proporsi come mediatore. Intanto è un viaggio in Terra Santa, anzi un pellegrinaggio. Lo ha detto domenica scorsa in piazza San Pietro, un itinerario religioso. Comincia dal Monte Nebo, da dove Mosè osservò la Terra Promessa, e si concluderà al Santo Sepolcro, cioè le tappe della storia della salvezza. Un pellegrinaggio sui passi dell’amore di Dio, un pellegrinaggio di pace. Se gli uomini ascolteranno il messaggio del Papa, potranno applicarsi meglio a costruire i ponti di cui c’è bisogno in Terra Santa».

    È il viaggio più importante del pontificato di Joseph Ratzinger?

    «Fare classifiche è sempre difficile. Certo, non è abituale un viaggio di un Papa in Terra Santa. Vi sono stati solo due precedenti: Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 2000. Le situazioni politiche e diplomatiche sono cambiate, ma ci sono due parole che li hanno sempre caratterizzati: dialogo e pace».

    Oggi in più cosa c’è?

    «Il rischio davvero elevato dell’estinzione delle comunità cristiane in Medio Oriente. Il Papa e tutta la Chiesa ne sono preoccupati, ma devono esserlo altrettanto ebrei e musulmani e l’intera comunità internazionale. Il dialogo, dunque, va rafforzato».

    Il dialogo ha diversi piani: a cosa bisogna stare attenti in questi giorni?

    «Intanto a quello tra i cristiani. Paolo VI incontrò il patriarca di Costantinopoli Atenagora proprio a Gerusalemme nel 1964 e fu un fatto storico, dopo oltre mille anni di incomprensioni e divisione. Da allora il dialogo con gli ortodossi ha fatto passi in avanti notevoli».

    A Gerusalemme i cristiani litigano...

    «Episodi che fanno rumore mediatico. In realtà il Santo Sepolcro, così minutamente articolato in zone liturgiche, a me non è mai sembrato un fatto traumatico. È quasi naturale che sia così: tutti accanto, gli uni e gli altri, Oriente e Occidente. È la dimostrazione della ricchezza della tradizione culturale della Chiesa. Lì si vede, meglio che da qualsiasi altra parte, che le strutture fondamentali della liturgia cristiana sono sostanzialmente uguali».

    E Ratzinger ne terrà conto?

    «Sta facendo di tutto per riavvicinare cattolici e ortodossi. Sa bene che le divisioni sono culturali più che dottrinali.
    Nel Santo Sepolcro si è al cospetto di tutte le Chiese, unite dal luogo e dalla morte e risurrezione di Gesù, ma divise da interpretazioni culturali, visioni politiche, rivalità nazionali, pressioni ideologiche.
    L’intellettuale Ratzinger ha sempre spiegato che per superare ogni divisione occorre tornare alle radici della fede comune, al Dio di Mosè, che si è incarnato in Gesù».

    Perché il viaggio inizia in Giordania?

    «Per le ragioni bibliche di cui ho detto, ma anche perché la Giordania è un buon esempio di convivenza tra cristiani e islamici, merito che va ascritto alla monarchia hashemita e a re Hussein. È un modello come lo è stato per molto tempo il Libano, purtroppo poi devastato da una guerra lunga e sanguinosa».

    Ma il dialogo con l’islam tornerà anche a Gerusalemme...

    «Significa che i rapporti sono buoni, che ci sono stati molti progressi nel dialogo, che non è vero, come qualcuno ha detto, che Benedetto XVI intende dare una stretta al dialogo tra le religioni. Non vuol dire che tutto sia a posto.
    Restano, naturalmente, divisioni su questioni importanti: libertà religiosa, diritti umani, ruolo della donna. E il Papa non li nasconde. Ma il confronto va avanti, sul piano culturale».

    Cioè l’islam ha capito meglio di altri Benedetto XVI?

    «Io credo di sì. Altrimenti non lo avrebbero invitato nel terzo luogo santo per i musulmani».

    Poi, il dialogo con Israele e gli ebrei...

    «Aspetti diversi di un cammino irreversibile da quando Pio XI si scagliò contro Hitler, da quando Pio XII e la sua Chiesa salvarono moltissimi ebrei, da quando Giovanni XXIII si presentò agli ebrei come "Giuseppe vostro fratello", da quando Paolo VI approvò la Nostra aetate, che definì inaccettabile l’antisemitismo, da quando Giovanni Paolo II tornò in una sinagoga.
    Nell’ebraismo affondano le radici della fede cattolica e non solo perché un Papa ha definito gli ebrei i "nostri fratelli maggiori". La preoccupazione di Benedetto XVI è che questo sia ben chiaro, anche dentro la Chiesa cattolica. Il pellegrinaggio servirà per mettere i passi accanto a queste radici, nella terra dove tutto è cominciato.
    Bisognerà stare molto attenti nei prossimi giorni ai gesti e alle parole del Papa, ma soprattutto occorrerà leggerle con la mente libera, senza lasciarsi distrarre da inevitabili polemiche».

    © Copyright Famiglia Cristiana n. 19 del 10 maggio 2009


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    Abdallah di Giordania: «Se nulla accadrà, il rischio di nuove tragedie è altissimo»

    Il re e la pace in Medio Oriente
    «Stato palestinese entro il 2009»

    Venerdì il Papa sarà ad Amman. Il sovrano: «Ci darà speranza»

    Antonio Ferrari

    AMMAN

    «Sarò pellegrino di pace».
    Il messaggio del Papa ai popoli della Ter rasanta è stato accolto con trepidazione nell'ospitale Giordania, dove venerdì Be nedetto XVI comincerà il viaggio più deli cato e difficile del suo pontificato.
    Lo co mincerà in un clima di buona volontà e di concordia, quindi in discesa.
    I quattro giorni (esattamente quanti ne riserverà, assieme, a Israele e Palestina) che il capo della Chiesa cattolica trascorrerà nel pri mo Paese arabo che lo accoglie, sono ov viamente carichi di aspettative, che fanno eco alle parole del Pontefice: «Riconcilia zione, speranza, pace».
    Ma il re Abdallah, con regale discrezione, non parla di aspet tative.

    Nell'intervista al Corriere della Se ra, prima della partenza per l'Egitto e la Germania, dice: «Sua Santità è nostro ospite, ed essendo la Giordania ad ospitar lo non formuliamo aspettative, se non l'auspicio che il viaggio spirituale abbia pieno successo».

    Maestà, lei ha sempre detto che il suo regno è terra di convivenza e di tolleran za. È il simbolo stesso della fratellanza tra musulmani e cristiani.

    «È da sempre il nostro obiettivo, ed è il nostro costante impegno. Accogliere il Pontefice, come facemmo nel 2000 con il suo predecessore Giovanni Paolo II, è per noi un grande onore e motivo di orgo glio. Domenica, per la messa del Papa, vi saranno non soltanto i cristiani giordani, ma di tutta la regione. Verranno, ci augu riamo, dal Libano, dalla Siria, dall'Iraq, dall'Egitto e, speriamo, dalla Cisgiorda nia. Sarà un momento di grande intensità spirituale. E sarà un segno dell'impegno comune di avvicinare sempre più le tre grandi religioni monoteiste, che hanno le loro radici in questa terra. Come le ho det to, il Papa è nostro ospite, e non coltivia mo aspettative. Però le parole che dirà sa ranno uno stimolo, rivolto a tutti noi, per spronarci a camminare in fretta verso la pace».

    La pace tra i popoli o la pace dei lea der?

    «Negli Stati Uniti e in Europa si avverte quanto sentiamo anche noi. Evitare con flitti religiosi è fondamentale. La Giorda nia ha sempre sostenuto che chiese, mo schee e sinagoghe devono creare un 'mondo comune', hanno insomma la grande responsabilità di evitare conflitti tra le religioni e i popoli. Vede, in Israele la gente non crede alla soluzione dei due Stati perché pensa che i vertici politici non ci credano. In Palestina si diffonde la convinzione che tanto quella soluzione non vedrà mai la luce. Eppure, l'85 per cento degli israeliani e dei palestinesi so stengono la necessità del negoziato. Sap piamo tutti che soltanto la soluzione dei due Stati, Israele e Palestina che vivano l'uno accanto all'altro, può portare alla pa ce. Noi abbiamo molti e seri motivi di pre occupazione. Quanto sta facendo Israele con gli insediamenti e con le proprietà musulmane e cristiane di Gerusalemme non è per nulla confortante. È grave e pe ricoloso ». E allora che cosa bisogna fare? «Ci vogliono coraggio, determinazione e lungimiranza. È il momento che i leader diano davvero un'opportunità alla pace».

    Benedetto XVI arriva, quindi, in un momento particolare. C'è una nuova amministrazione americana e nell'inte ra regione si colgono aliti di speranza perché si possa giungere alla ripresa dei negoziati.

    «Ho incontrato il presidente Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton. Gli Stati Uniti hanno ben chiare due cose: che è negli interessi nazionali americani giun gere con urgenza alla soluzione dei due Stati; e che i passi si compiano in un qua dro complessivo, quindi con il dialogo tra Israele e Libano, Israele e Siria, Israele e gli altri Paesi musulmani. Il presidente Obama comprende benissimo il contesto regionale. Se non capitalizziamo questi elementi, i rischi si moltiplicheranno. È impossibile cominciare a negoziare nel vuoto».

    Maestà, abbiamo notato che Barack Obama ha fatto tesoro del vostro incon tro. È come se avesse attinto alla sua esperienza e saggezza. Infatti, le dichia razioni più importanti sul Medio Orien te le ha fatte dopo averla ricevuta alla Casa Bianca.

    «Abbiamo avuto una calorosa acco glienza, e con il presidente Obama è subi to cominciato un faccia a faccia senza li miti di tempo. Lo avevo già incontrato e ogni volta colgo le coordinate dal suo con vinto impegno ad arrivare in fretta ad una soluzione. È un leader che emana spe ranza. Adesso incontrerà il presidente pa lestinese, il presidente egiziano e il primo ministro israeliano. Sono chiari sia la deli­catezza del momento, sia la necessità di non perdere tempo. Alla fine, e soprattut to dopo l'incontro con Netaniahu, gli Sta ti Uniti spiegheranno la loro strategia».

    Che cosa si aspetta? La soluzione dei due Stati e l'accettazione del piano sau dita del 2002, che prevede la normalizza zione dei rapporti con Israele di 57 Pae si musulmani in cambio del ritiro da tut ti i territori occupati nel 1967?

    «Non intendo suggerire al presidente Obama cosa dovrebbe dire. Certo, la pos sibilità di trovare una soluzione comples siva è ben visibile. Ma entro il 2009 do vrebbe essere fissato l'obiettivo dei due Stati. Ne abbiamo discusso con gli Usa, ne continuiamo a discutere con i partner eu ropei, che condividono le nostre speran ze e i nostri timori. Se nel biennio 2009-2010 nulla accadrà, allora il rischio che i nemici della pace, in questa regione, provochino altre tragedie diventerà altis simo».

    Se tutto andasse bene, vede una data per realizzare compiutamente la pace?

    «Sappiamo bene che indicare date può essere pericoloso. Ma la volontà di rag giungere l'obiettivo deve essere chiara da subito. Senza malintesi».

    © Copyright Corriere della sera, 5 maggio 2009


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    00 06/05/2009 01:33
    Da Petrus

    Terra Santa, il Papa lascerà una preghiera nel ‘Muro del pianto’ come fece Giovanni Paolo II. Previsti saluti in arabo per i cristiani della Cisgiordania presenti in Galilea

    CITTA’ DEL VATICANO - In segno di rispetto nei confronti dell'ebraismo, anche Papa Benedetto XVI lascerà una preghiera, come fece Giovanni Paolo II nel 2000, in una fessura tra le pietre che costituiscono il Muro occidentale di Gerusalemme (impropriamente detto il 'muro del pianto'), meta degli ebrei di tutto il mondo. Il viaggio che Benedetto XVI compirà in Israele, in Giordania e nella Cisgiordania palestinese (8-15 maggio) avviene "in un contesto non facile", ammette il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in un briefing di presentazione dell'evento. Mentre cresce l'attesa per le mosse che compirà il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, è recente l'attacco israeliano di Gaza, c'è un nuovo governo israeliano, tra i palestinesi continuano le tensioni tra Fatah e Hamas, mentre il presidente iraniano Ahmadinejad continua a minacciare Israele. "C'è un complesso di situazioni e tensioni per cui il viaggio del Papa sarà un atto di speranza e fiducia per la pace e la riconciliazione - commenta Lombardi -, una testimonianza di impegno per situazioni non facili". Tra i dettagli del programma resi noti da Lombardi, la probabile presenza di cristiani della Cisgiordania nella Messa che il Papa celebrerà a Nazareth, in Galilea. "Il Papa darà loro il benvenuto anche in arabo", afferma il gesuita. Nel corso del viaggio - che toccherà inoltre i luoghi-simbolo della Shoah come il memoriale dello Yad Vashem in Israle - non è previsto che il Papa parli nella sua lingua madre, il tedesco. "I discorsi saranno tutti in inglese", dice il gesuita. Padre Lombardi smentisce, poi, l'allarme emerso di recente sui quotidiani israeliani circa la sicurezza della 'papamobile' per l'incolumità di Benedetto XVI a Nazareth. "Tra i fedeli si muoverà in 'papamobile' per poterli salutare", chiarisce. Se a Nazareth dovrebbero accorrere 20 mila pellegrini, ad Amman, in Giordania, sono previsti circa 35 mila fedeli mentre circa 7 mila sono attesi in una Messa all'aperto che - a differenza di Wojtyla - celebrerà al Josafat Valley di Gerusalemme. Una folla di pellegrini, ancorché contenuta, è attesa anche per la visita che Ratzinger compirà al Santo sepolcro di Gerusalemme, l'ultimo giorno, e che potrebbe concludersi con una passeggiata fino al Golgota, dove, per la tradizione, fu crocifisso Gesù. Ad accompagnare il Papa saranno, oltre al segretario di Stato Tarcisio Bertone e il Sostituto alla Segreteria di Stato, Fernando Filoni, i Cardinali responsabili delle Chiese orientali (Leonardo Sandri), dei rapporti con l'ebraismo (Walter Kasper) e del dialogo interreligioso (Jean-Louis Tauran). Il Papa troverà ad accoglierlo anche i Cardinali John Patrick Foley, Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia, che lì presiederà le cerimonie conclusive per l'anno dedicato dalla Chiesa locale alla famiglia. Il Papa incontrerà poi a Betlemme anche i presidenti dei vescovi svizzeri e tedeschi, Kurt Koch e Robert Zoellitsch, quando visiterà il Caritas Baby Hospital che da quegli episcopati è finanziato.






    Il Papa in Terra Santa, opportunità storica per il dialogo con l'islam
    Amman, Gerusalemme e Betlemme, tappe verso un'intesa migliore

    di Jesús Colina

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 5 maggio 2009 (ZENIT.org).- Sia nel mondo musulmano che in quello cristiano, il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa suscita aspettative per l'impatto che avrà sulle relazioni tra l'islam e il cattolicesimo.

    In questo viaggio, il Papa compirà gesti estremamente significativi: per la seconda volta nel suo pontificato entrerà in una moschea, ad Amman; incontrerà i leader religiosi islamici a Gerusalemme e a Betlemme; visiterà la Cupola della Rocca nella Spianata delle Moschee della Città Santa, un gesto che Giovanni Paolo II non ha compiuto nella sua visita del 2000.

    Il fatto che il pellegrinaggio inizi questo venerdì con la Giordania aiuterà senz'altro a promuovere queste relazioni. Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, in un incontro svoltosi lunedì con i giornalisti ha constatato che Abdallah II bin al-Hussein, monarca del Regno Hashemita, ha deciso di eludere il protocollo per esprimere la sua vicinanza al Papa durante la visita nel Paese.

    Il re, che accompagnato dalla regina Rania ha partecipato ai funerali di Giovanni Paolo II, non solo ha previsto di accogliere il Papa nella cerimonia di benvenuto, che avrà luogo all'aeroporto internazionale Queen Alia di Amman alle 14.30 dell'8 maggio, ma, con un gesto del tutto inusuale, si recherà con la regina a congedarsi dal Pontefice l'11 maggio.

    Padre Lombardi ricorda che il re sta dando un forte impulso al dialogo tra i credenti con iniziative come il Messaggio di Amman ("Amman Message"), rivolto al mondo musulmano per trovare un consenso che ponga al margine l'estremismo violento, e il Messaggio Interreligioso di Amman ("Amman Interfaith Message"), diretto in particolare al cristianesimo e all'ebraismo, per promuovere la pace e i valori condivisi all'interno dell'islam e condivisibili con le altre religioni.

    Il portavoce vaticano ha ricordato che tra i consiglieri del re in questo campo spicca il principe Ghazi bin Muhammad, coordinatore dell'iniziativa internazionale "A Common Word", il manifesto di 138 leader e saggi islamici (oggi i firmatari sono molti di più) scritto dopo gli attacchi contro Benedetto XVI per il discorso di Ratisbona (12 settembre 2006), che nel novembre scorso ha contribuito a creare il Forum Cattolico-Musulmano a Roma.

    Nel suo sforzo per promuovere le buone relazioni con i fedeli musulmani, il 9 maggio il Papa visiterà la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, inaugurata dallo stesso re Abdallah II nel 2006 e dichiarata quella "ufficiale" del Paese (è anche la più grande). Benedetto XVI ha visitato per la prima volta come Papa un luogo sacro per l'islam recandosi alla Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006.

    In seguito, il Santo Padre incontrerà i leader religiosi musulmani della Giordania, il Corpo diplomatico e i rettori delle università del Paese nel patio esterno della moschea, il momento più solenne del viaggio nel Paese per analizzare la questione del dialogo interreligioso.

    Dopo essere atterrato in Israele, il secondo giorno di visita a Gerusalemme il Papa compirà gesti inediti di rispetto per i seguaci del profeta Maometto: la mattina del 12 maggio visiterà la Cupola della Rocca (nota anche come la moschea di Omar), sulla Spianata delle Moschee, accompagnato dal Gran Muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Husayn.

    Per i musulmani la "rocca", che si trova al centro della moschea, è il luogo dal quale Maometto sarebbe salito al cielo. Anche per gli ebrei è un luogo sacro, perché era parte del Tempio di Salomone. Per i cristiani rappresenta un ricordo delle visite di Gesù al Tempio.

    Il Gran Muftì Muhammad Ahmad Husayn, sunnita, è considerato la suprema autorità giuridico-religiosa a Gerusalemme e del popolo arabo-musulmano in Palestina.

    Un altro importante momento per il dialogo con i musulmani avverrà in occasione della visita del Papa a Betlemme, dove riceverà il benvenuto il 13 maggio da Abu Mazen, presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese. Dopo aver visitato il Campo di rifugiati Aida, in quella località, il Papa incontrerà il Presidente nel Palazzo presidenziale e converserà con rappresentanti palestinesi musulmani di Gaza e della West Bank, invitati dal Presidente.

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    00 06/05/2009 16:34
    Padre Pizzaballa: il viaggio del Papa, grande incoraggiamento per la piccola comunità cristiana di Terra Santa


    Il Papa, dunque, tra due giorni, l’8 maggio prossimo, partirà per la Terra Santa: un pellegrinaggio che in otto giorni lo porterà in Giordania, Israele e Territori palestinesi. Grande, in particolare, l’attesa della piccola comunità cristiana locale. Il nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini, ne ha parlato col custode di Terra Santa, il padre francescano Pierbattista Pizzaballa:

    R. – E’ un viaggio che è stato pensato innanzitutto per loro, proprio per queste comunità che soffrono un po’, che si sentono un po’ isolate. Questa visita quindi è un momento molto forte ed importante perché è un grande incoraggiamento ed anche un grande richiamo a tutta la Chiesa universale, a guardare in Terra Santa e a guardare queste comunità.


    D. – I cristiani di Terra Santa temono strumentalizzazioni sul piano politico per questo viaggio del Papa che ha un carattere squisitamente religioso e pastorale…


    R. – Le strumentalizzazioni in questo Paese sono sempre facilissime ma se uno dovesse fare tutti questi calcoli, alla fine, non farebbe niente. Quindi, il Papa verrà sicuramente con molta libertà, come ha dimostrato nel fare questo gesto importante per le comunità, senza escludere l’aspetto interreligioso naturalmente e quello politico. Che poi ci saranno strumentalizzazioni, non ci dobbiamo preoccupare.


    D. – Dal punto di vista ecumenico, come è stata accolta questa visita del Papa?


    R. – Tutte le chiese sono contente, anche perché è un momento forte, per tutti i cristiani - non solo per i cattolici - di visibilità innanzitutto, ma anche per far conoscere a tutto il mondo, quanto è importante che i cristiani stiano qui.


    D. – Sul piano invece interreligioso, con ebrei e musulmani?


    R. – Con ebrei e musulmani ci saranno diversi incontri per cui, sicuramente, questo aspetto è accentuato, ancora più, forse, della volta precedente con Giovanni Paolo II. Attendiamo una parola chiara. Sicuramente il Papa non può fare gesti nuovi rispetto all’ebraismo e all’Islam, perché sono già stati fatti ma potrà dire una parola forte, nuova e chiara di come deve essere il rapporto tra noi, soprattutto in questo contesto dove ci sono, come lei ha detto, anche diverse e tante strumentalizzazioni e polemiche faziose.


    D. – Padre Pizzaballa, si è sbloccato il problema dei visti per i religiosi di Terra Santa, specialmente per quelli provenienti dai Paesi arabi?


    R. – Sì e no, va a periodi. Adesso, in questo momento, forse anche legato alla visita del Papa, ci sono delle facilitazioni ma ancora non abbiamo un riferimento chiaro di procedura. Però, ultimamente, diciamo che i permessi sono arrivati.


    D. – Cosa sta facendo la Custodia di Terra Santa per l’esodo dei cristiani? E’ una ferita aperta…


    R. – Sì, l’esodo è una ferita aperta, soprattutto nell’autonomia palestinese ma anche qui a Gerusalemme. La Custodia è attiva su diversi fronti: innanzitutto nella creazione di posti di lavoro, creando opportunità di lavoro nelle scuole e nelle piccole iniziative di carattere commerciale dove i cristiani possono lavorare. Poi, nel costruire case: come Custodia, siamo qui da tanti secoli e siamo riusciti ad acquisire molti terreni sui quali cerchiamo di costruire case a prezzi agevolati per i cristiani perché è un problema molto grave per i cristiani questo, soprattutto a Gerusalemme. Si cerca quindi di facilitarli a restare qui. E poi li aiutiamo con un’opera di formazione, per quanto possibile.


    D. – Si sta parlando molto, e se n’è parlato anche durante la visita del 2000 di Giovanni Paolo II, della restituzione del Cenacolo. Voi, come Custodia di Terra Santa, sareste contenti di questa restituzione del Cenacolo?


    R. – Non saremmo soltanto contenti, saremmo entusiasti se ci restituissero il Cenacolo. Sono piuttosto scettico, devo dire, sulla restituzione almeno prossima. Non c’è una trattativa reale, diciamo, specifica su questo argomento, c’è una trattativa più generale sui luoghi santi. Prima o poi, arriveremo a discutere in maniera più seria anche di questo ma devo dire che, all’orizzonte, non si vede ancora nulla di chiaro e preciso.





    L'attesa del Papa in Giordania: la gioia di cristiani e musulmani


    Apertura e ospitalità sono le due parole che ricorrono in Giordania a due giorni dall’arrivo del Papa, a sottolineare il clima di grande attenzione per una visita che toccherà luoghi simbolo di questo Paese. A cominciare da quelli che rappresentano la monarchia haschemita con l’incontro con il Re Abdallah II, alla Moschea Al- Hussein Bin Talal di Amman, al memoriale di Mosè sul Monte Nebo, all’antico sito del Battesimo, dove operava San Giovanni Battista sulle rive del Giordano. Autorità civili e religiose sono univoche nel mostrare una grande concordia nella preparazione dell’accoglienza al Papa. Tutti sottolineano come la Giordania si sia sempre contraddistinta per una coesistenza pacifica tra la maggioranza musulmana e le comunità arabe cristiane che in queste terre vivono dai tempi di Gesù. Questo pomeriggio, nel Centro stampa allestito dal Governo, ne parleranno in conferenza stampa il vicario latino per la Giordania, il vescovo Salim Sayegh, e il vescovo di Petra e Filadelfia dei Greco-Melkiti, mons. Yaser Ayyash, insieme al nunzio apostolico in Giordania, l’arcivescovo Francis Assisi Chullikat. Tra i momenti più significativi della visita del Papa ci sarà anche la benedizione delle prime pietre di due nuove chiese cattoliche, una latina e l’altra greco-melkita, e di una nuova Università del Patriarcato cattolico latino a Madaba. A testimoniare che qui i cristiani arabi, piccola minoranza del tre per cento su circa cinque milioni e mezzo di abitanti, vogliono continuare a vivere e a contribuire al futuro di questo Paese e dell’intera regione. Sul clima di attesa in Giordania, ascoltiamo il portavoce della Chiesa Cattolica Latina in questo Paese, padre Rif’at Bader, intervistato dal nostro inviato ad Amman, Pietro Cocco:

    R. – Tutta la Giordania si prepara a questa visita. C’è grande gioia e grande collaborazione tra la Chiesa e le autorità, i ministri, soprattutto il ministro del turismo che si prepara a ricevere tutti i visitatori e i pellegrini che vengono per pregare con noi, soprattutto nella Messa di domenica prossima, che sarà la prima Messa domenicale celebrata in Giordania da un Papa.


    D. – Nelle settimane scorse ci sono stati anche momenti di preghiera proprio per preparare la comunità cristiana all’arrivo del Papa …


    R. – Abbiamo invitato tutti i sacerdoti, insieme ai religiosi e alle religiose, ad una giornata di preghiera e di riflessione sulla visita, perché noi crediamo che la visita sia un momento spirituale per Sua Santità ma anche per noi, credenti in Gesù Cristo, per il fatto di avere il Successore di Pietro tra noi che non soltanto parla, ma prega. Noi vogliamo pregare con lui, vogliamo pregare per lui, per tutta la Chiesa in tutto il mondo. Ecco perché abbiamo letto una preghiera speciale dei vescovi cattolici di Terra Santa in cui si mostra a tutti che la visita è un momento spirituale, che il Papa viene – come lui stesso ha detto – come pellegrino di pace, un pellegrino che quindi viene per pregare. Prima della visita avremo delle Messe speciali, reciteremo il Rosario, perché il mese di maggio è il mese di Maria: tutte le preghiere del Rosario sono per la riuscita della sua visita in Giordania.


    D. – Abbiamo visto che c’è molta attesa anche da parte della maggioranza della popolazione che è musulmana. Lei, in particolare, ha scritto anche un libro, “Apertura e ospitalità”, proprio per spiegare chi è questo capo religioso che viene a visitare la Giordania. Non è il primo evento del suo genere in assoluto – sono già venuti Paolo VI e Giovanni Paolo II – ma sicuramente è la più lunga e la più articolata, come visita …


    R. – Questa volta, abbiamo il Papa per quattro giorni: una benedizione! Questo significa che ci sono tante cose da vedere, in Giordania, e tante attività da benedire. Il libro che ho pubblicato un mese prima della visita e che si chiama “Ospitalità e apertura”, trae il titolo dal discorso di Giovanni Paolo II, nel 2000, davanti a Sua Maestà: è il Re che riceve il secondo Papa in nove anni. Ecco, è veramente una benedizione! Giovanni Paolo II disse al Re che il popolo giordano è speciale nell’ospitalità e nell’apertura per tutti. Ecco perché vediamo, in questi giorni, un’attesa grande, una gioia grande per tutti i cuori – dei musulmani, dei cristiani – perché una visita alla Giordania significa una visita al Re, una visita al governo, una visita al popolo giordano, una visita a tutti! In Giordania, infatti, si vive un modello della coesistenza, del dialogo interreligioso e questo dialogo non è soltanto un dialogo intellettuale, ma anche un dialogo di vita. Viviamo insieme, lavoriamo insieme e così condividiamo la vita: come abbiamo partecipato in passato, così è nel presente e così sarà in futuro. E questo perché c’è coesistenza, c’è amore, c’è dialogo e c’è rispetto reciproco. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Ratzinger sfida contestazioni e pericoli perché ama il suo gregge più di se stesso

    Il Papa sa che la situazione è grave. Teheran non cede sul nucleare e gli israeliani sono favorevoli a bombardare l’Iran. Mentre tra Hamas e Fatah l’intesa è lontana

    di Tempi

    Con la sua visita in Terra Santa Benedetto XVI aggiunge un altro atto potenzialmente foriero di polemiche ai difficili passi del suo drammatico pontificato.
    Stavolta sono stati un certo numero di esperti del dialogo interreligioso e di personalità cristiane e musulmane locali ad esprimere critiche pregiudiziali, paventando che il viaggio venga inteso come una legittimazione dell’operazione militare israeliana a Gaza e del governo Netanyahu, presentito come avverso al processo di pace.
    Il Papa ha confermato la visita nonostante i rischi per la sua sicurezza e l’avviso, da parte delle autorità israeliane, che potrebbe trovarsi di fronte a proteste plateali a Nazareth. Cosa lo spinge a sfidare dissensi che vengono dal suo stesso gregge e pericoli per la sua persona? La coscienza lucida della minaccia di conflagrazione che pesa sulla Terra Santa e quindi su tutta l’umanità.
    Il Papa va come «pellegrino di pace» e chiede a tutti di unirsi «alla mia preghiera per tutti i popoli della Terra Santa e della regione; possano essi ricevere il dono della riconciliazione, della speranza, della pace». Perché è cosciente della gravità della situazione. Teheran prosegue lo sviluppo del programma nucleare nonostante la mano tesa di Obama, mentre il 66 per cento degli israeliani è favorevole a un bombardamento delle installazioni in Iran senza preoccuparsi di quello che pensa il capo di Stato americano (solo il 38 per cento lo considera amico di Israele); sul fronte palestinese Hamas e al Fatah non riescono a pervenire ad alcun accordo di riconciliazione.
    Anche stavolta Benedetto XVI non si preoccupa dei dissensi e dei rischi perché, da buon pastore, è più preoccupato della salute del gregge che non della sua propria.
    Gran parte della speranza che il suo coraggio dia frutti di pace sta nella possibilità che altre personalità in Terra Santa – ebrei, cristiani e musulmani – si pongano seguendo il suo esempio.

    © Copyright Tempi, 6 maggio 2009


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    Alla vigilia del viaggio il messaggio del Papa alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi

    In Terra Santa per condividere sofferenze e speranze di tutti

    "Attendo con ansia di poter essere con voi e di condividere le vostre aspirazioni e speranze, sofferenze e lotte". Lo ha detto il Papa alla vigilia della partenza per la Terra Santa, in un messaggio alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi, letto al termine dell'udienza generale di mercoledì 6 maggio, in piazza San Pietro. Di seguito ne diamo la traduzione italiana.

    Miei cari amici,

    questo venerdì lascerò Roma per la mia Visita Apostolica in Giordania, Israele e Territori Palestinesi.
    Stamane, attraverso questa trasmissione radiofonica e televisiva, desidero cogliere l'opportunità di salutare tutte le popolazioni di quei Paesi.
    Attendo con ansia di poter essere con voi e di condividere le vostre aspirazioni e speranze, sofferenze e lotte. Verrò fra voi come pellegrino di pace.
    La mia intenzione principale è di visitare i luoghi resi santi dalla vita di Gesù e lì di pregare per il dono della pace e dell'unità per le vostre famiglie e per tutti coloro per i quali la Terra Santa e il Medio Oriente sono la casa. Fra i numerosi incontri religiosi e civili che si svolgeranno nel corso della settimana, vi saranno quelli con rappresentanti delle comunità musulmane ed ebraiche, con le quali si sono compiuti grandi progressi nel dialogo e nello scambio culturale. Saluto con affetto particolare i cattolici della regione e chiedo loro di unirsi a me nella preghiera affinché la visita rechi molti frutti per la vita spirituale e civile di quanti vivono in Terra Santa. Lodiamo tutti Dio per la sua bontà! Che possiamo essere tutti persone di speranza! Che possiamo essere tutti determinati nel nostro desiderio e nei nostri sforzi di pace!

    © Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

    (©L'Osservatore Romano - 7 maggio 2009)


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    Le troppe interpretazioni già pronte del viaggio di Ratzinger

    "Il Papa entra in una cristalliera molto delicata, dove le strumentalizzazioni sono sempre in agguato”.
    Le parole con cui padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha descritto la prossima visita di Benedetto XVI in Terra Santa sono significative.
    A pochi giorni dalla partenza per la Giordania, prima tappa papale, sale il livello di allerta.
    Anche il portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, ha definito il viaggio “importante, interessante”, ma anche “molto complesso”. La tensione non è questione delle ultime ore. Con le prime voci non ufficiali sulla visita del Papa in Israele e Palestina hanno iniziato a girare anche i dubbi, le perplessità e le voci di dissenso. Per un po’ di tempo hanno viaggiato sotto traccia poi, a un certo punto, sono emerse alla luce del sole. I più titubanti – per usare un eufemismo – sono i cristiani di Terra Santa, in stragrande maggioranza palestinesi.
    Mons. Twal, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista rilasciata a metà aprile al sito delle Edizioni Terra Santa, legato alla Custodia, ha parlato di “disappunto”, “interrogativi”, “inquietudini” e “timori” per descrivere lo stato d’animo dei cristiani palestinesi davanti alla visita del Papa in Israele e Palestina. Motivo della preoccupazione? “Le loro inquietudini risiedono semplicemente nella domanda: ‘Che cosa dirà?’, o meglio ‘Che cosa gli si farà dire?’”.
    L’uso strumentale del viaggio del Papa è il terrore dei cristiani di Terra Santa. Per molti non serve nemmeno aspettare che pronunci i discorsi.
    Il fatto che arrivi senza che Israele abbia ancora firmato l’Accordo fondamentale con il Vaticano (promessa fatta a Giovanni Paolo II) è già un cedimento. Sono una minoranza schiacciata, presa di mira e hanno paura. Faticano a dire al Papa “Ahlan wa sahlan!”, “Benvenuto!”.
    E poco importa che il Papa sia forse l’unica personalità internazionale che può permettersi di toccare in un solo viaggio il Muro del Pianto e la spianata delle moschee, lo Yad Vashem e un campo profughi come quello di Aida.
    In alcuni di questi posti terrà dei discorsi, in altri avrà solo incontri. Ma in una regione in cui vive “un popolo estremamente sensibile” – parole di Twal – anche i piccoli gesti preoccupano. Come ha affermato padre David Nehaus, capo della comunità di lingua ebraica in Israele, “ogni parola e ogni azione del Papa saranno meticolosamente analizzate”.
    Lo farà la stampa internazionale, lo faranno soprattutto israeliani e palestinesi pronti a contendersi le dichiarazioni come legittimazione o sconfessione politica.
    Lo schema sembra già pronto e le avvisaglie ci sono già state. Prima l’allarme attentati lanciato dallo Shin Bet che i cristiani considerano un modo per ostacolare l’arrivo dei fedeli. Poi la richiesta di ambulanze senza la stella di Davide nelle tappe in territorio palestinese. E ancora il palco papale di Nazareth, costruito a ridosso del muro, giusto per mettere in chiaro le cose. Il Papa lo ha ripetuto più volte: “Vado come pellegrino di pace”. Nessuno dubita delle sue intenzioni, pochi credono che ci riuscirà.
    A Gerusalemme, come Oltretevere, tanti preannunciano un’inevitabile strumentalizzazione. Benedetto XVI sembra destinato a ritrovarsi in mezzo a moderni mercanti del Tempio, tutti presi dai loro affari, che lo tireranno per la talare.
    Ma fra le tante interpretazioni già pronte, bisognerebbe almeno includere anche quella del Papa. O dovrebbero farlo almeno i cristiani, a Gerusalemme come a Roma.

    © Copyright Il Foglio, 6 maggio 2009


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    Le troppe interpretazioni già pronte del viaggio di Ratzinger

    "Il Papa entra in una cristalliera molto delicata, dove le strumentalizzazioni sono sempre in agguato”.
    Le parole con cui padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha descritto la prossima visita di Benedetto XVI in Terra Santa sono significative.
    A pochi giorni dalla partenza per la Giordania, prima tappa papale, sale il livello di allerta.
    Anche il portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, ha definito il viaggio “importante, interessante”, ma anche “molto complesso”. La tensione non è questione delle ultime ore. Con le prime voci non ufficiali sulla visita del Papa in Israele e Palestina hanno iniziato a girare anche i dubbi, le perplessità e le voci di dissenso. Per un po’ di tempo hanno viaggiato sotto traccia poi, a un certo punto, sono emerse alla luce del sole. I più titubanti – per usare un eufemismo – sono i cristiani di Terra Santa, in stragrande maggioranza palestinesi.
    Mons. Twal, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista rilasciata a metà aprile al sito delle Edizioni Terra Santa, legato alla Custodia, ha parlato di “disappunto”, “interrogativi”, “inquietudini” e “timori” per descrivere lo stato d’animo dei cristiani palestinesi davanti alla visita del Papa in Israele e Palestina. Motivo della preoccupazione? “Le loro inquietudini risiedono semplicemente nella domanda: ‘Che cosa dirà?’, o meglio ‘Che cosa gli si farà dire?’”.
    L’uso strumentale del viaggio del Papa è il terrore dei cristiani di Terra Santa. Per molti non serve nemmeno aspettare che pronunci i discorsi.
    Il fatto che arrivi senza che Israele abbia ancora firmato l’Accordo fondamentale con il Vaticano (promessa fatta a Giovanni Paolo II) è già un cedimento. Sono una minoranza schiacciata, presa di mira e hanno paura. Faticano a dire al Papa “Ahlan wa sahlan!”, “Benvenuto!”.
    E poco importa che il Papa sia forse l’unica personalità internazionale che può permettersi di toccare in un solo viaggio il Muro del Pianto e la spianata delle moschee, lo Yad Vashem e un campo profughi come quello di Aida.
    In alcuni di questi posti terrà dei discorsi, in altri avrà solo incontri. Ma in una regione in cui vive “un popolo estremamente sensibile” – parole di Twal – anche i piccoli gesti preoccupano. Come ha affermato padre David Nehaus, capo della comunità di lingua ebraica in Israele, “ogni parola e ogni azione del Papa saranno meticolosamente analizzate”.
    Lo farà la stampa internazionale, lo faranno soprattutto israeliani e palestinesi pronti a contendersi le dichiarazioni come legittimazione o sconfessione politica.
    Lo schema sembra già pronto e le avvisaglie ci sono già state. Prima l’allarme attentati lanciato dallo Shin Bet che i cristiani considerano un modo per ostacolare l’arrivo dei fedeli. Poi la richiesta di ambulanze senza la stella di Davide nelle tappe in territorio palestinese. E ancora il palco papale di Nazareth, costruito a ridosso del muro, giusto per mettere in chiaro le cose. Il Papa lo ha ripetuto più volte: “Vado come pellegrino di pace”. Nessuno dubita delle sue intenzioni, pochi credono che ci riuscirà.
    A Gerusalemme, come Oltretevere, tanti preannunciano un’inevitabile strumentalizzazione. Benedetto XVI sembra destinato a ritrovarsi in mezzo a moderni mercanti del Tempio, tutti presi dai loro affari, che lo tireranno per la talare.
    Ma fra le tante interpretazioni già pronte, bisognerebbe almeno includere anche quella del Papa. O dovrebbero farlo almeno i cristiani, a Gerusalemme come a Roma.

    © Copyright Il Foglio, 6 maggio 2009


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    00 07/05/2009 02:10
    Da Petrus

    In Israele 60.000 poliziotti per l'operazione 'Tonaca bianca'

    CITTA’ DEL VATICANO - La polizia israeliana prevede di mobilitare 60mila uomini per garantire la sicurezza del Papa nella sua imminente visita in Israele, dall'11 al 15 maggio. L'operazione, definita "tonaca bianca", prevede l'impiego di 60mila poliziotti da tutto il Paese, parte dei quali in abito civile. Lo ha annunciato il capo della polizia, David Cohen, durante una conferenza stampa a Gerusalemme, alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI che inizierà venerdì dalla Giordania, per proseguire l'11 in Terra Santa. "E' una visita storica, di grande importanza nazionale e internazionale", ha detto. "Sarà un'operazione molto complessa e contiamo di non aver intoppi durante questa visita storica". Il capo della polizia ha inoltre precisato di non aver ricevuto minacce particolari fino ad oggi. "Si tratta di una visita civile con un significato religioso - ha aggiunto - faremo tutto il possibile per rendere minima la visibilità dell'operazione di sicurezza". Le strade principali di Gerusalemme saranno chiuse al traffico durante la visita del Papa, così come lo spazio aereo. "Gerusalemme è un punto molto sensibile, particolarmente la città vecchia e Gerusalemme Est, dove il Papa visiterà i luoghi santi delle tre religioni", ha spiegato il comandante della polizia di Gerusalemme, Aharon Franco, precisando che 28mila poliziotti saranno in servizio solamente a Gerusalemme.

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