Viaggio apostolico in Giordania e Israele

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Paparatzifan
00giovedì 14 maggio 2009 22:23
Dal blog di Lella...

A Nazaret moltissimi giovani attorno al Papa

La voglia di pace tra le nuove generazioni in Terra Santa

dal nostro inviato Gianluca Biccini

"Peace. Salam. Shalom".
E' impressa su magliette bianche la voglia di pace dei giovani cristiani che vivono in Israele. Le hanno indossate a migliaia nell'anfiteatro naturale nella capitale della Galilea, dove Benedetto XVI ha presieduto, giovedì mattina, la più imponente celebrazione in Terra Santa. Di sicuro il più grande raduno di cattolici in territorio di Israele.
Il gran caldo non ha scoraggiato gli oltre quarantamila fedeli, soprattutto ragazzi e ragazze, giunti da tutta la regione, che si sono raccolti attorno al Successore di Pietro nella nuovissima struttura all'aperto, realizzata al Monte del Precipizio, proprio nel luogo in cui, secondo l'evangelista Luca, la folla tentò di far cadere Gesù dalla rupe.
Per celebrare la conclusione dell'anno della famiglia indetto dagli ordinari di Terra Santa, il Papa è giunto da Gerusalemme in elicottero in questi luoghi, nei quali Cristo visse durante l'infanzia e la giovinezza. Oggi Nazaret è la maggiore città araba di Israele con i suoi 42.000 abitanti, metà dei quali cristiani. All'eliporto è stato accolto dal sindaco Ramiz Jaraisy, dal vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario del Patriarca latino per Israele, e dall'arcivescovo maronita di Haifa, monsignor Nabil Sayyah, incaricato della pastorale per la famiglia nell'assemblea degli ordinari di Terra Santa.
Dopo aver compiuto un giro in papamobile tra l'entusiasmo della folla, ha celebrato la messa di rito latino - con preghiere e canti anche in greco, in arabo e in inglese - cui sono stati aggiunti elementi della liturgia melkita.
A nome dei presenti, l'ordinario greco-melkita per la Galilea, arcivescovo Elias Chacour, vice presidente dell'assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, ha salutato il Papa.
Con Benedetto XVI hanno concelebrato i cardinali, i vescovi e i prelati del seguito, il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, numerosi vescovi locali.
"Abbiamo tutti bisogno di ritornare a Nazaret" ha detto il Pontefice all'omelia ripetendo le parole di Paolo VI, per riscoprire nella Santa Famiglia il modello autentico di ogni vita familiare cristiana. La famiglia, del resto, è il primo mattone di una società accogliente. E ciò pare particolarmente necessario qui in Galilea, dove negli ultimi anni si sono create tensioni che hanno danneggiato i rapporti fra la comunità cristiana e quella musulmana.
Come aveva fatto durante la messa ad Amman in Giordania, il Papa è tornato a parlare della dignità delle donne, forza vitale di tutto il tessuto sociale, come madri, come lavoratrici o come consacrate. A Nazaret un pensiero lo ha rivolto anche al proprio patrono, san Giuseppe, offerto come un modello anche per i padri di oggi.
Al termine della messa, il Papa ha benedetto tre prime pietre di altrettante nuove realtà destinate a sorgere quali modelli di pacifica convivenza: il parco memoriale intitolato a Giovanni Paolo II; l'università che prenderà il nome di Benedetto XVI; e un Centro per la famiglia. Quest'ultimo nascerà grazie al milione di euro raccolti dai fedeli delle diocesi bavaresi di Monaco, Ratisbona e Passau durante la visita del Pontefice nel settembre 2006. Donati per suo volere al Custode di Terra Santa per la costruzione di un nuovo centro di trentamila metri quadrati vicino alla Basilica dell'Annunciazione, fu il presidente di Cor Unum il 14 dicembre 2006 a rendere nota questa decisione del Papa. In quella circostanza vennero donati anche cinquantamila dollari per la costruzione di una scuola nel villaggio di Mughar. Una realtà educativa nei luoghi dove vissero i genitori di Gesù e dove potranno sedere sugli stessi banchi bambini cristiani, drusi e musulmani.
Il Papa è dunque passato dal luogo della nascita di Gesù a quello della sua infanzia. Nel pomeriggio precedente, infatti, nel corso della sua visita di un giorno nei territori palestinesi, dopo la messa nella piazza della Mangiatoia aveva sostato in preghiera alla Grotta della Natività. È accaduto nel primo pomeriggio, dopo il pranzo con gli ordinari di Terra Santa e con la comunità dei frati minori della "Casa Nova", struttura di accoglienza per i pellegrini praticamente attaccata alla Basilica della Natività.
Passando attraverso la chiesa francescana intitolata a Santa Caterina d'Alessandria, Benedetto XVI è sceso attraverso una delle due scale che consentono l'accesso alla piccola cripta nel luogo in cui, secondo la tradizione, è nato Gesù; il punto esatto è simbolicamente segnato da una stella d'argento in cui è incisa, in latino, la frase "Qui dalla Vergine Maria è nato Cristo Gesù". Il Successore di Pietro ha pregato in silenzio. Tra l'altro ha potuto anche ammirare il presepe e il piccolo altare che ricorda i magi, dove i cattolici celebrano la messa. Com'è noto infatti l'accesso alla Basilica della Natività è regolato da uno status quo che ripartisce proprietà e competenze tra tre Chiese cristiane: greco-ortodossa, armena e cattolica.

(©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2009)


Paparatzifan
00giovedì 14 maggio 2009 22:36
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PAPA: A NAZARETH PREGA MANO NELLA MANO CON RABBINO E IMAM

Il penultimo giorno della sua visita in Terra Santa, papa Benedetto XVI lo dedica a Nazareth, la citta' della famiglia di Gesu' che negli ultimi dieci anni ha vissuto momenti di tensione tra cristiani e musulmani a causa del progetto di costruire una moschea a breve distanza dalla basilica dell'Annunciazione.
E, simbolicamente, a conclusione della giornata arriva, fuori programma, il canto-preghiera mano nella mano del pontefice con un rabbino ed un imam, al termine dell'incontro interreligioso nell'Auditorium del Santuario dell'Annunciazione.
In conseguenza di questo clima, le autorita' israeliane avevano individuato la giornata di oggi come particolarmente sensibile dal punto di vista della sicurezza.
Tanto delicata era, a loro dire, la situazione, da aver proibito al pontefice di effettuare il tradizionale giro in papamobile, come gia' aveva fatto Giovanni Paolo II nel 2000.
Una decisione che ha provocato le vivaci proteste del sindaco di Nazareth Ramiz Jaraisy, per il quale non c'era ''alcun allarme'' sicurezza in citta'.
A Nazareth, ha aggiunto, cristiani e islamici vivono in pace: ''Sono cristiano e sono stato eletto per tre volte da una citta' dove i musulmani sono maggioranza. Si tende a trasformare in divisioni politiche le differenze di fede, e questo e' un errore''. Non a caso, a inizio giornata, il pontefice, nell'omelia della grande messa celebrata questa mattina nell'anfiteatro del Monte del Precipizio, di fronte a circa 30mila persona, aveva invitato cristiani e musulmani a respingere ''il potere distruttivo dell'odio e del pregiudizio, che uccidono l'anima umana prima che il corpo''.
Rivolgendosi alle persone ''di buona volonta' di entrambe le comunita''', aveva poi chiesto di superare le ''tensioni'' e di edificare ''ponti'', trovando i ''modi per una pacifica convivenza''.
Nel pomeriggio, papa Ratzinger ha avuto invece l'atteso incontro con il premier israeliano Nethanyahu. Un incontro che e' caduto - impossibile dire se per scelta o coincidenza - all'indomani delle sua forti parole a sostegno della creazione di uno Stato palestinese e per la fine dell'embargo a Gaza e alla vigilia del giorno che per i palestinesi segna la Nakba, la 'tragedia' della perdita della casa e della patria con la proclamazione dello Stato israeliano nel 1948.
Secondo quanto riferito dal direttore della Sala Stampa vaticana, p. Federico Lombardi, il pontefice e il premier israeliano hanno parlato per 15 minuti in privato della situazione del processo di pace, facendo anche il punto degli incontri che i due leader hanno avuto negli ultimi giorni con il re di Giordania Abudllah e con il presidente egiziano Mubarak.
In particolare, Netanyahu ha raccontato di aver chiesto al papa una parola forte contro l'Iran e le minacce del suo presidente Ahmadinejad: ''Gli ho detto che e' impossibile che all'inizio del XXI secolo ci sia uno Stato che dice di voler distruggere lo Stato israeliano, e che nessuno faccia sentire aggressivamente la propria voce per condannarlo. Penso che in lui abbiamo trovato un orecchio attento''.
La vera sorpresa della giornata, pero', arriva al termine dell'incontro interreligioso che ha preceduto i vespri nella basilica dell'Annunciazione.
Al termine della cerimonia, il rabbino Alon Goshen-Gottstein, direttore dell'Elijah Interfaith Institute, ha proposto di pregare tutti insieme su un canto da lui composto che chiede a Dio ''Shalom, Salam'', pace.
A quel punto, gli esponenti cristiani, ebrei e musulmani si sono alzati in piedi e Benedetto XVI ha preso per mano i suoi due vicini, il rabbino David Rosen e un imam.
Quella del rabbino, e' stato il commento di p. Lombardi, all'unico momento di 'preghiera' interreligiosa del viaggio, e' stata ''un'idea geniale e creativa, perche' nessuno puo' obiettare che non si possa cantare insieme Dona nobis pacem''.

© Copyright Asca


Paparatzifan
00giovedì 14 maggio 2009 22:39
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PAPA: 40MILA A NAZARETH, DIFENDERE BAMBINI E FAMIGLIA

(AGI) - Nazareth, 14 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

L'enorme spianata naturale, alla periferia di Nazareth, non basta a contenerli cosi' come e' incontenibile il loro entusiasmo: sono moltissimi, certamente piu' dei 40 mila attesi, i fedeli presenti alla messa di Benedetto XVI nella citta' dove e' cresciuto Gesu' e dove i suoi familiari diedero vita alla prima comunita' cristiana locale.
"Di sicuro il piu' grande raduno di cattolici in territorio di Israele", commenta l'Osservatore Romano.
Ed e' vero perche' l'unico precedente e' quel mega-incontro dei giovani di tutto il mondo con Giovanni Paolo II a Tiberiade, nel 2000, ma stavolta la folla e' tutta di cristiani del Medio Oriente e gremisce la conca alla base del Monte del Precipizio, proprio
nel luogo in cui, secondo l'evangelista Luca, la folla tento' di far cadere Gesu' dalla rupe. Compiuto il giro, Joseph Ratzinger, raggiante per l'accoglienza caldissima che gli fanno, raggiunge il palco che e' stato preparato.
Prende la parola il vicario greco melkita di Nazareth, Elias Chacour: "l'esodo dei cristiani ci angoscia con dolore e ci mostra una prospettiva poco incoraggiante", esordisce dando voce alla preoccupazione della Chiesa locale per le scuole cattoliche che in Israele, spiega, "lottano per la sopravvivenza, pur essendo di altissimo livello".
"Santita' - afferma il vescovo greco-cattolico nel suo applauditissimo intervento - abbiamo bisogno delle sue preghiere e del suo sostegno morale e spirituale.
Continuiamo ad aspettare piu' sostegno dalle autorita' israeliane, come cittadini di questo Paese: siamo convinti che rispetteranno i nostri diritti. Le nostre istituzioni educative, le nostre scuole sono la nostra prima priorita' perche' questo e' lo strumento per diffondere il messaggio di Cristo, per diffondere lo spirito di riconciliazione.
Le nostre scuole lottano fanno grandi sacrifici, ma andiamo avanti".
Gli applausi lo sommergono quando indica al Pontefice gli sfollati di Bourom e Ikreth, presenti nelle prime file, che "aspettano con speranza un sostegno per poter ritornare ai loro villaggi e vivere nelle loro case cosi' come fanno gli altri cittadini di questo Paese".
Il Papa non lascia cadere queste denunce e una ad una le riprende nei vari momenti della giornata che prevede anche un colloquio con il premier Banjamin Netanyahu definito importante dal custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.
Cosi' all'omelia lancia un forte appello al Governo Israeliano perche' sostenga le famiglie senza discriminazioni etniche e religiose, ricordando che l'Antico Testamento - dal quale l'ebraismo trae i suoi insegnamenti - "presenta la famiglia come la prima scuola della sapienza". "Possiamo giungere ad apprezzare, all'interno della societa' piu' ampia - promette - il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l'istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far si' che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di Dignita'".
In particolare il Papa chiede aiuti per le donne che in Medio Oriente "sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della societa', hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno cosi' urgente bisogno: un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare le virtu' della misericordia e del perdono". Un tema che ritorna nel pomeriggio, quando si rivolge ai credenti delle diverse fedi, "cristiani, ebrei, musulmani, drusi, e persone di altre religioni" per ricordare loro che insieme debbono impegnarsi a "salvaguardare i bambini dal fanatismo e dalla violenza, mentre li preparano ad essere costruttori di un mondo migliore". "Le nostre diverse tradizioni religiose - afferma poco prima di comporre una catena umana con tutti i presenti dando la mano al rabbino David Rosen, presidente del Comitato ebraico per il dialogo con i cristiani, e a un imam - hanno in se' potenzialita' notevoli in ordine alla promozione di una cultura della pace, specialmente attraverso l'insegnamento e la predicazione dei valori spirituali piu' profondi
della nostra comune umanita'.
Plasmando i cuori dei giovani, noi plasmiamo il futuro della stessa umanita'".
Nel suo discorso ai leader religiosi fa poi cenno alla lunga controversia che ha opposto la Chiesa Cattolica e la comunita' musulmana di Nazareth sui diritti territoriali dei rispettivi luoghi santi: "vi incoraggio a continuare ad esercitare il vicendevole rispetto, mentre vi adoperate ad alleviare le tensioni concernenti i luoghi di culto, garantendo cosi' un ambiente sereno per la preghiera e la meditazione, qui e in tutta la Galilea".
Queste tensioni oggi non si avvertono a Nazareth ma il problema esiste se la polizia - attirandosi le critiche del sindaco Ramiz Jaraisy - limita l'uso della papamobile al solo giro nella spianata e proibisce la permanenza in citta' dell'imam Nizam Sakhafa, che si e' distinto per i toni accesi sia nella polemica decennale tra moschea e santuario che negli attacchi mediatici di questi giorni al viaggio del Papa.
E Ratzinger invita "le persone di buona volonta' di entrambe le comunita' a riparare il danno che e' stato fatto, e in fedelta' al comune credo in un unico Dio, Padre dell'umana famiglia, ad operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza".
"Ognuno - chiede - respinga il potere distruttivo dell'odio e del pregiudizio, che uccidono l'anima umana prima ancora che il corpo". In serata arriva infine l'appello a tutti i cristiani del Medio Oriente a non fuggire via.
"Abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui nella terra che Egli ha santificato con la sua stessa presenza: come Maria, voi avete
un ruolo da giocare nel piano divino della salvezza".
"Nello Stato di Israele e nei Territori Palestinesi i cristiani formano una minoranza della popolazione e a volte sembra che la loro voce conti poco: una situazione che richiama alla mente quella di Maria a Nazareth, ma Dio ha guardato all'umilta' della sua serva e ha ricolmato di beni l'affamato".

© Copyright (AGI)


Paparatzifan
00giovedì 14 maggio 2009 22:43
Dal blog di Lella...

Viaggio in Terrasanta La posizione vaticana sulla questione mediorientale non era mai stata affermata in maniera così netta

Il Papa: «I muri possono essere abbattuti»

Il Pontefice ai palestinesi: «Sì allo Stato indipendente». Peres: fermiamo le barriere

DAL NOSTRO INVIATO

Gian Guido Vecchi

BETLEMME

E’ un attimo, prima che s’alzi a parlare un tizio sposta il piccolo palco d’un metro, ecco, così l’inquadratura è perfetta: la figura bianca di Benedetto XVI che parla nel campo profughi Aida, alle spalle il muro colorato qua e là di dipinti e scritte («Voglio indietro la mia palla! Grazie») diventa l’immagine della giornata e forse del pellegrinaggio.
Anche perché «in un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte è tragico vedere che vengono tuttora eretti muri», scandisce il pontefice, e «il muro che incombe su di noi», quella colata di cemento alta otto metri «che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie» è l’immagine della «dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi». Il Papa tedesco di muri ne sa qualcosa, e si congeda da Betlemme con una speranza: «Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, tutti sanno che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti».
In sintonia con il pontefice, Shimon Peres, presidente israeliano: «Bisogna fermare l’uso delle armi e della violenza. Bisogna fermare i muri — ha detto in un’intervista all’Osservatore Romano, pubblicata oggi —. Nessuno in definitiva vuole i muri, di cui tutti pagano costi altissimi».
Nell’attesa la situazione è quella che è, «so quanto avete sofferto e continuate a soffrire» dice ad Abu Mazen che parla di «muro dell’apartheid». La posizione di Benedetto XVI e della Chiesa su queste «terre martoriate » non è mai stata affermata in modo così netto: «Signor presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti». E nel pomeriggio, davanti ai profughi, precisa che con «patria» intende «uno Stato palestinese indipendente ».
E’ una giornata di festa per le cinquemila persone che riescono ad assistere alla messa nella piazza della Mangiatoia, per i bambini dell’ospedale infantile della Caritas, per i profughi. Ma pure una giornata in cui, sospira il Papa, «ho visto con angoscia la situazione dei rifugiati che come la Sacra Famiglia hanno dovuto abbandonare le loro case».
Il Papa prega alla Grotta nella Natività e affronta tutte le questioni più urgenti. Chiede «una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi». Una soluzione che «non può essere che politica» ed esige un appoggio esterno: «Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli. E’ vitale il sostegno della comunità internazionale », purché «palestinesi e israeliani siano disposti a rompere il ciclo delle aggressioni».
Hamas si dice «delusa», c’è chi lamenta non abbia parlato di «occupazione», ma tra i rifugiati c’è soddisfazione perché ha nominato la parola «muro» e per la citazione (peraltro neutra) degli «eventi del maggio 1948», la nascita di Israele che per loro è la «Nakba» («catastrofe ») ricordata domani. Ma il Papa invita ad essere «strumenti di pace». Durante la messa si rivolge ai 48 fedeli che hanno avuto il permesso «dalla martoriata Gaza» (le richieste erano 250), assicura il suo «caloroso abbraccio» alle famiglie dei morti «nel recente conflitto » e soprattutto prega perché «l’embargo sia tolto presto».
Allo stesso tempo si rivolge ai ragazzi del campo Aida, ai «tanti giovani presenti oggi nei territori palestinesi» e scandisce: «Abbiate il coraggio di resistere a ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 01:52
Il Papa a Nazareth per mostrare che la famiglia è indispensabile
Commento di padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

NAZARETH, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha mostrato a Nazareth che ciò di cui ha realmente bisogno la società è riscoprire la famiglia, spiega l'amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, una istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Padre Caesar Atuire, che accompagna in questi giorni il Santo Padre nel suo viaggio in Terra Santa, ha detto che il penultimo giorno del pellegrinaggio papale è servito a far capire qual è l'aintidoto per far sì che la società non si tramuti in un “agglomerato di individui” condannati alla solitudine.

Con l'affollata Messa – circa 40 mila le persone presenti – svoltasi questo giovedì presso il Monte del Precipizio, nella città di Nazareth, il Papa ha voluto chiudere l’Anno della Famiglia celebrato dalla Chiesa nella Terra Santa e benedire la prima pietra di un Centro internazionale per la Famiglia.

"Abbiamo tutti bisogno - ha detto il Pontefice - di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana".

"Qui, sull’esempio di Maria, di Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancor di più la santità della famiglia, che, nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite", ha aggiunto.

"Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto importante è la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore!", ha poi esclamato.

Nel sottolineare l'importanza di questa tappa del pellegrinaggio papale, padre Atuire ha ricordato che “Dio è voluto entrare nella storia dell'umanità come un essere umano, come ciascuno di noi, incarnandosi nel corpo di una donna per poi crescere in un contesto familiare”.

“A due passi dalla Basilica dell'Annunciazione c'è anche la Chiesa di San Giuseppe che commemora il luogo in cui è vissuta la Sacra Famiglia”, spiega il sacerdote.

In questo modo, ha detto, riusciamo a comprendere che “la società umana non è un insieme, un agglomerato di individui ma una comunità di famiglie”.

“Il Papa ha voluto dare risalto al tema della famiglia come tema decisivo per l'attualità di oggi, soprattutto dato che viviamo in una società nella quale la famiglia è soggetta a molte minacce”, e nella quale alcuni “intendono equiparare alla famiglia altre realtà che non lo sono”.
Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:18
Dal blog di Lella...

Il Papa in Terra Santa parla a tutti e a nome di tutti

di padre Thomas D. Williams, LC

GERUSALEMME, giovedì, 14 maggio 2009 (ZENIT.org).

Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme per recarsi a Betlemme questo mercoledì mattina, tra le continue cavillosità dei commentatori locali.
Non ho potuto fare a meno di levare il mio cuore a Dio, grato per questo gentile Papa tedesco. Ho capito quanto sia unica la sua missione in questa terra lacerata che vede continui battibecchi su tutto, dalla terra alle minuzie dottrinali.
Il fatto è che il Santo Padre non è venuto in Terra Santa per avere un ruolo politico, nemmeno per il suo “partito” personale. Non è venuto semplicemente come rappresentante della Chiesa cattolica, ma a nome di ogni persona coinvolta, a nome dell'umanità stessa.
Benedetto XVI parla a nome degli ebrei, lodando la loro eredità religiosa e difendendo il loro diritto alla sicurezza e all'autogoverno. Parla a nome dei palestinesi e del loro diritto alla sovranità e alla libertà. Parla a nome dei musulmani richiamandoli al meglio della loro tradizione, con le profonde convinzioni religiose e il culto sentito nei confronti dell'unico Dio. Parla per i cristiani, nel loro difficile status di minoranza esigua e sofferente. In poche parole, parla a tutti e a nome di tutti.
E' questo l'aspetto singolare della voce e del messaggio del Papa. Paradossalmente, tra tutte le manipolazioni del messaggio di Benedetto XVI e tra tutte le lamentele per il fatto di non sostenere sufficientemente alcun gruppo, vediamo la grandezza e l'unicità della sua presenza qui. Nessun altro leader del mondo può parlare con la stessa autorità morale o con la sua autentica imparzialità. Il suo rifiuto di giocare un ruolo politico è la ragione per la quale il suo messaggio è spesso respinto, e anche il motivo per cui questo è così disperatamente importante.
Tra coloro che hanno sollevato il maggior clamore per la presunta assenza di rimorso da parte di Benedetto XVI nei confronti della Shoah c'è il rabbino Ysrael Meir Lau, presidente del Memoriale dello Yad Vashem, che ha criticato il discorso del Papa perché “privo di ogni compassione, di ogni rimorso, di ogni dolore per la terribile tragedia dei sei milioni di vittime”.
Se vi capita di guardare le trasmissioni, Lau è la persona che stava alla destra del Papa con un atteggiamento tale da far pensare che avesse appena mangiato qualcosa che il suo stomaco trovava particolarmente indigesto.
Il rabbino Lau non è nuovo alle critiche contro il papato. E' stato anche un instancabile denigratore di Papa Pio XII, anche quando questo significava distorcere la verità. Durante le commemorazioni del 1998 a Berlino per il 60° anniversario della Notte dei Cristalli – il 9 novembre 1938, evento che ha aperto l'era delle persecuzioni contro gli ebrei in Germania –, Lau, allora rabbino capo di Israele, è stato invitato a parlare.
Durante il suo discorso appassionato, ha formulato la domanda incriminante: “Pio XII, dov'eri? Perché sei rimasto in silenzio riguardo alla Notte dei Cristalli?”. Il giorno successivo, due giornali italiani riportavano quella domanda come titolo, con questo catenaccio: “Il vergognoso silenzio di Pio XII”. L'unico problema è che Pio XII non è stato eletto fino al marzo 1939, quattro mesi dopo la Notte dei Cristalli, ma non ho ancora visto il rabbino Lau affrettarsi ad esprimere rimorso per la sua diffamazione di Papa Pio XII.
Mentre mi recavo in Israele, ho avuto l'occasione di rileggere l'autobiografia di Benedetto XVI, "Memorie 1927-1977". Sono rimasto ancora una volta colpito da come la sua infanzia sia stata brutalmente interrotta dall'ascesa al potere di Hitler, e da come tanti tedeschi di buona volontà siano stati ingiustamente accusati di nazismo.
Se bisogna credere alle critiche contro il Papa, chiunque sia vissuto in Germania negli anni Trenta e Quaranta è necessariamente colpevole di connivenza.
Fortunatamente, alcune autorevoli voci ebraiche stanno iniziando ad essere ascoltate a Gerusalemme quando chiedono ai critici di lasciare in pace il Papa. Ad esempio, Noah Frug, leader del Consorzio delle Organizzazioni dei Sopravvissuti all'Olocausto in Israele, ha affermato che le critiche contro il Papa sono esagerate. “E' venuto qui per avvicinare la Chiesa e l'ebraismo, e dovremmo considerare la sua visita positiva e importante”, ha dichiarato.
Questo mercoledì l'attenzione si è spostata su Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù, ma anche parte dei Territori palestinesi.
Arrivando a Betlemme, Benedetto XVI ha espresso subito la propria sentita solidarietà con i palestinesi sofferenti, e ha ribadito la posizione della Santa Sede circa il loro diritto alla sovranità. “Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”, ha detto.
In teoria questo non dovrebbe provocare alcun disaccordo, visto che la posizione ufficiale dello Stato di Israele coincide con quella della Santa Sede. Anche Israele sostiene il diritto dei palestinesi a una patria sovrana, se questa soluzione potesse essere realizzata senza detrimento per la sicurezza israeliana. Ovviamente il punto è proprio questo.
Qui in Terra Santa ho parlato con molte persone di vari background, e l'unica cosa che sembrano avere in comune è la sofferenza. Ognuno mi voleva parlare delle difficoltà e delle ingiustizie che subisce, a livello personale o storico. Ognuno aveva una storia di dolore da raccontare. Nessuno sembra ricordare di aver mai commesso ingiustizie, ma tutti ricordano di averle subite. E non posso fare a meno di chiedermi, in una terra di tanto dolore, una terra la cui gente si fregia del fatto di “ricordare”, se a volte il perdono non sia una virtù ancor più necessaria.
A Betlemme Benedetto XVI ha chiesto ai cristiani di essere “un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione”. E' ciò che egli stesso cerca di essere – con la sua presenza, le sue parole e la sua determinazione paziente a predicare costantemente la Buona Novella “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tim 4:2).

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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]

© Copyright ZENIT


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:20
Dal blog di Lella...

Papa/ 'Papamobile' vietata per strade Nazareth, sindaco protesta

Forze sicurezza israeliane l'hanno permessa solo alla messa

Lo Shin Bet lo aveva fatto sapere per mezzo stampa: la 'papamobile' non era consigliata a Nazareth per motivi di sicurezza.
Ma il sindaco della maggiore città araba di Israele non ha gradito la decisione.
"E' uno sbaglio", afferma. Benedetto XVI ha potuto usare l'automobile con i vetri alti che gli permettono di essere visto da tutti i fedeli solo nell'anfiteatro allestito per la celebrazione della messa mattutina. Non per le strade della città, non per raggiungere la basilica della Natività.
"La gente ha atteso il Papa lungo la strada per vederlo e salutarlo", afferma Ramiz Jaraisy incontrando i giornalisti internazionali presenti all'Hotel Golden Crown di Nazaret. "Gli è stato impedito.
Nel 2000 Wojtyla ha usato la 'papamobile' a Nazaret e ora no. E' una decisione molto sbagliata. Ma ovviamente - aggiunge - non potevamo interferire e cambiare le decisioni prese dalle forze di sicurezza israeliane".
Gli allarmi per la sicurezza circolati sui quotidiani israeliani? "Non c'è fondamento. Sono solo scuse", risponde. "Con la 'papamobile' ha visitato Gerusalemme est e ovest, Betlemme, il campo di rifugiati di Aida. Ora vorrei sapere: lì la sicurezza era migliore? Non mi piace quella decisione". Il primo cittadino di Nazareth, poi, liquida velocemente la questione della moschea che alcuni esponenti musulmani volevano costruire accanto alla basilica della Natività nel 1999. Inizialmente autorizzata, poi vietata dal Governo israeliano. "Non è una questine religiosa, è politica. Io sono cristiano e sono stato eletto per tre volte sindaco di Nazaret, una città al sessantacinque per cento musulmana. I politici perseguono obiettivi politici. Purtroppo la religione è usata per ottenere obiettivi politici. In questa splendida atmosfera non voglio parlare di quella vicenda - conclude Jaraisy, leader del Fronte per la giustizia e la pace - ma è alle nostre spalle".

© Copyright Apcom


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:25
Dal blog di Lella...

Amargura y esperanza ante las reacciones del mundo judío

José Luis Restán

Produce especial amargura escuchar las críticas de algunos exponentes judíos tras los primeros pasos de Benedicto XVI en Israel. Parece como si en lugar de un encuentro franco entre hermanos, estuviéramos siempre ante un examen al que una parte somete a la otra: el examinado siempre es, naturalmente, el Papa (y con él todos los católicos) y nunca se consigue la nota para aprobar.
No hablo ya de la franja lunática que en todas partes existe. De aquellos que afirman que esta era la oportunidad de que el Papa se clarificase sobre el Holocausto, o de que pidiese excusas por sus devaneos con el nazismo. Insultos tan aberrantes sólo pueden proceder de mentes enfermas por la ideología. Lo que realmente produce fatiga es escuchar el enésimo lamento de algunos rabinos, diputados o periodistas israelíes, que presumen de paciencia y buena disposición, pero que nunca están satisfechos. Resulta que el hondísimo y conmovedor discurso de Benedicto XVI en el memorial del Holocausto, no ha satisfecho las expectativas de algunos. ¿La causa? El Papa no ha mencionado la palabra “nazismo”, y no ha pedido perdón, como cabeza de la Iglesia y como alemán. Parece grotesco, pero es preciso esforzarse y dialogar con esta pretensión insatisfecha.
En primer lugar el Papa no tiene que repetir siempre todos y cada uno de los argumentos implicados. Son decenas sus discursos sobre la Shoá, y nada menos que en el campo de Auswitch ya evocó la particular conmoción que tiene para él afrontar esta tragedia, precisamente por ser un Papa que procede de Alemania. Respecto al nazismo y su significado, será difícil encontrar alguien (en la Iglesia y fuera de ella) que haya diagnosticado con tanta precisión las raíces culturales y morales de este horror, y cómo éste se cebó precisamente en el pueblo de la Primera Alianza. Ayer, nada más tomar tierra su avión en Tel Aviv, denunció que “la cabeza repugnante del antisemitismo vuelve a levantarse hoy”, y pidió todos los esfuerzos para desarraigar ese veneno de los corazones y de las instituciones. Pero no es bastante, nunca es bastante, porque para algunos un Papa es “a priori” sospechoso, y más si ha crecido en suelo alemán en la época lúgubre en que el nazismo sojuzgó a Europa.
En Yad Vashem, Benedicto XVI ha querido sumergirse en el sufrimiento indecible de millones de víctimas hebreas, ha querido detenerse ante sus nombres (que nunca podrán ser borrados), honrarles y proclamar que también para su incomprensible dolor existe una última salida, un rayo de esperanza, porque el Dios omnipotente y misericordioso sigue vivo, aunque nos parezca escondido. Todo el discurso del Papa nacía de la sabiduría contenida en la Toráh de Israel. Ha sido un alegato estremecedor contra el negacionismo, el reduccionismo y el olvido, y al mismo tiempo una proclamación de confianza total en el Dios de Abraham, de Isaac y de Jacob, el Dios que permanece fiel a sus promesas y que no puede abandonar a su pueblo.
Digámoslo claramente: Benedicto XVI tenía que hacer suyo ese sufrimiento abrumador como hermano, como creyente y como pastor de la Iglesia. Pero no tenía por qué pedir perdón, ni como alemán ni como Papa, de un crimen del que no tiene responsabilidad alguna.
Ser alemán no puede ser un estigma, y fueron miles los que sufrieron la represión del régimen totalitario. En cuanto a la Iglesia, insinuar que ella fue responsable de los crímenes del nazismo va más allá de cuanto a estas alturas se puede soportar. ¿Es este el avance en la clarificación de nuestra atormentada historia, fruto de un diálogo de decenios? ¿No han servido de nada documentos como la “Nostra Aetate” o “Nosotros recordamos”, dedicado a la Shoá? ¿Ya se han borrado las palabras conmovedoras de Juan Pablo II en la Sinagoga de Roma o ante el Muro de las lamentaciones?
Por fortuna, no todos los representantes del mundo judío han reaccionado del mismo modo. Por ejemplo el presidente del Comité de los supervivientes del Holocausto, Noah Frug, ha recordado que el Papa ha llegado a Israel para avecinar a la Iglesia y a los judíos, y que sus gestos y palabras han sido importantes en esa dirección. “El Papa no es el presidente de una organización sionista, entonces ¿por qué le criticamos?”. Toda una lección de buen sentido, como hermosa ha sido la lección del rabino de Nueva Cork, Jacob Neusner, que ha destacado la capacidad de Benedicto XVI para guiar el imprescindible diálogo de las tres grandes religiones monoteístas.
Esperemos que tras el ruido de las quejas, se abra paso mansamente la impresionante plegaria del Papa en Yad Vashem, nacida del corazón de la Biblia que compartimos. Que nuestros hermanos judíos suspendan la sospecha permanente y acepten el abrazo de la paz que Benedicto XVI lleva a Israel en nombre de toda la Iglesia. Porque sean cuales sean nuestras cuitas, hay un hecho irreversible, el vínculo indisoluble entre el pueblo hebreo y el pueblo de la Iglesia. Hacer visible este vínculo es una de las tareas que se ha impuesto el actual pontífice, aunque le acompañe el dolor de la incomprensión de algunos a los que más estima.

www.paginasdigital.es/v_portal/apartados/pl_portada.asp?te=15


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:27
Dal blog di Lella...

Dove di solito si urla il Papa sussurra

Verbum caro hic factum est.
Qui il verbo si è fatto carne.
Così è scritto nella grotta dell’Annunciazione, custodita all’interno della grande basilica che sorge a Nazareth, tappa odierna del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa.
Questa formula sintetica descrive le origini del Cristianesimo, il Mistero dell’Incarnazione, attraverso cui Dio si fa uomo e lega il trascendente alla concretezza della vita terrena oltre l’immaginabile.
Questa è anche la peculiarità della Terra Santa, dove la dimensione spirituale e quella materiale si incontrano e si scontrano da millenni come in nessun altro posto al mondo, dove la religione e la politica si intrecciano in maniera inscindibile, contribuendo a rendere questi luoghi così affascinanti ed allo stesso tempo così complicati. Questa è anche un po’ l’essenza del lungo viaggio del Papa, che è prima di tutto un pellegrinaggio nei luoghi della vita terrena di Cristo, ma che ha inevitabilmente anche delle ricadute politiche.
Intorno alla visita del Papa la tensione è letteralmente palpabile. Migliaia di poliziotti e militari che spesso fanno trasparire un po’ di fastidio e di tracotanza, come in occasione della messa nella Valle di Josaphat; il centro stampa in Israele chiuso nel giorno in cui il Papa va a Betlemme, visita di cui i mezzi d’informazione israeliani non hanno trasmesso immagini; le polemiche futili scoppiate sui giornali israeliani dopo che Benedetto XVI aveva usato la parola “uccisi” anziché “assassinati” riferendosi alle vittime della shoah nella sua visita alla Yad Vashem; il Gran Muftì che gli chiede di condannare “l’aggressione perpetrata contro i luoghi santi dell’Islam e lo sterminio del popolo palestinese”.
Questi sono alcuni esempi di come le molte tensioni politiche e religiose tendano ad avviluppare la visita del Papa nella loro spirale, cercando di farne prima di tutto un viaggio politico.
È invece impressionante come tutto il pellegrinaggio di Benedetto XVI sia stato sinora improntato alla delicatezza, all’attenzione, all’accoglienza, alla comprensione. Dove normalmente si urla, il Papa sussurra.
Non per timore, ma per andare aldilà delle reciproche recriminazioni, per invitare al dialogo, alla ricerca instancabile eppure indispensabile del terreno comune che lega tutti i figli di Abramo.
Il Papa non è un leader politico: si può capire la grandezza del suo messaggio solo leggendo attentamente le sue parole e tenendo presente che si pone un orizzonte un po’ più ampio della quotidianità politica.
In quest`ottica, Benedetto XVI ha affidato alla Chiesa di Terra Santa il grande compito di non cedere sotto il peso della paura e delle difficoltà, al fine di continuare la propria opera di “ponte” ed ha richiamato tutti i cristiani a sostenere quella piccola comunità in tale missione. L’abitudine a lottare con le tante difficoltà del presente non deve impedire l’ingresso alla reciproca comprensione e, in definitiva, alla dimensione del perdono. Come dice sempre Mons. Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme: “sessanta anni di guerra sui luoghi sacri dovrebbero essere sufficienti per farci capire che la violenza non è la soluzione”.

Stefano Costalli PiùVoce.net


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:31
Dal blog di Lella...

Il Papa in Israele

A Nazaret i cristiani oggi si vedono

Giorgio Bernardelli

Ore 13: A Nazaret i cristiani oggi si vedono

Quella di questa mattina a Nazaret è stata la Messa della famiglia. Il Papa ha ricordato ancora un volta che la politica non può essere l'unica chiave attraverso cui leggere questo viaggio.
Nel luogo dove Gesù crebbe accanto ai suoi genitori, Benedetto XVI ha citato le parole che qui disse già Paolo VI: «Abbiamo tutti bisogno di tornare a Nazareth, per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana».
E ha benedetto la prima pietra di un Centro internazionale che dovrebbe diventare un punto di riferimento sulla spiritualità cristiana della famiglia.
È importante anche questa sottolineatura in Terra Santa. Perché altrimenti c'è il rischio di vedere questo ripercorrere i passi del Maestro come un viaggio esotico, come un un itinerario che parla di qualcun altro. Invece ogni viaggio nei Luoghi di Gesù per un cristiano è prima di tutto l'occasione per rileggere il Vangelo dentro la propria vita.
Se devo essere sincero, però, la cosa che mi ha colpito di più questa mattinata sono state le immagini della folla di Nazareth. I siti dei giornali israeliani - che non gonfiano certo i numeri - parlano di 40 mila persone.
Non si erano mai visti tanti cristiani insieme da queste parti (Nazaret ha 60 mila abitanti in tutto...). Ed è un segno importante. Perché, certo, ci saranno anche alcune migliaia di pellegrini arrivati dall'estero per l'occasione, ma il grosso sono i cristiani delle parrocchie di Israele. I famosi cristiani di Terra Santa di cui tanto si parla, qui a Nazaret oggi hanno un volto, per una volta sono loro la folla. Credo che questo ritrovarsi insieme intorno al Papa sia qualcosa di importante per questa Chiesa locale dalla vita così travagliata.
Per chi è appassionato del genere nemmeno stamattina sono mancati gli accenni «politici».
Il più importante lo ha fatto il Papa stesso, quando ha parlato dei rapporti con i musulmani di Nazaret che - soprattutto tra il 1997 e il 2002 - sono stati molto tesi (quando venne Giovanni Paolo II si era ancora nel pieno della battaglia sulla moschea che volevano costruire accanto alla basilica dell'Annunciazione).
Oggi comunque - nonostante le Cassandre della vigilia - il clima è sembrato molto più sereno (ma aspettiamo di vedere pomeriggio, quando le celebrazioni del Papa saranno dentro Nazaret).

Infine una curiosità: questo pomeriggio è in programma anche l'incontro (privato) con Benjamin Netanyahu. La novità di oggi è che il premier vi arriverà direttamente da Aqaba, dove questa mattina ha incontrato il re giordano Abdallah II.
Il tutto a pochi giorni dal viaggio che farà a Washington, per il suo primo incontro con Barack Obama. La prima speranza è che abbia qualcosa di importante da riferite al Papa.
La seconda è che qualcuno gli abbia dato da leggere i discorsi pronunciati da Benedetto XVI ieri a Betlemme: il sito del ministero degli Esteri israeliano - che ha una sezione ad hoc sulla visita del Papa con tutti i discorsi - guarda caso è rimasto fermo a martedì 12 maggio...

© Copyright Missionline


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:34
Dal blog di Lella...

PAPA: NO ISRAELE A RICHIESTA VATICANO DI VISTI PER PRETI PAESI ARABI

ASCA

Israele ha respinto la richiesta del Vaticano di emettere visti multi-ingresso per i preti dei Paesi arabi.
Lo ha reso noto un responsabile dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Il ministro dell'Interno Eli Yishai, ha fatto sapere il responsabile, ha rifiutato di autorizzare l'emissione di visti per piu' ingressi per circa 500 sacerdoti provenienti da nazioni del mondo arabo nonostante una richiesta in tal senso della Santa Sede.
La decisione rischia di avvelenare ulteriormente l'atmosfera della vista di cinque giorni del pontefice in Israele e nei territori palestinesi, la sua prima da quando e' diventato papa nel 2005. Benedetto XVI incontrera' il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu piu' tardi in giornata a Nazareth, dove in mattinata ha celebrato una messa.
Il papa si e' attirato critiche nello Stato ebraico poco dopo essere arrivato nel Paese lunedi', con molti che hanno sottolineato come durante la sua visita al memoriale dell'Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme non sia mostrato sufficientemente solidale e non si sia scusato in quanto tedesco.

© Copyright Asca


Sembra che il Papa sia obbligato a caricarsi di tutte le colpe del passato!
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Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 08:42
Dal blog di Lella...

L’intervista: Shimon Peres traccia un bilancio della visita del Pontefice

«Benedetto XVI combatte la religione della violenza»

Il presidente d’Israele: voce chiara contro l’antisemitismo

Francesco Battistini

GERUSALEMME

Presidente, in Israele pensano che questo Papa sia stato troppo freddo. Che sia mancato il grande gesto...

«Non sono un critico teatrale. Credo che la cerimonia sia stata rispettosa. Quel che lei chiama mancanza di gesti, è una mancanza nell’organizzazione. Quando fai queste cose in pubblico, devi essere attento alla sensibilità delle altre persone. Certo, se il discorso dell’aeroporto l’avesse fatto a Yad Vashem, probabilmente sarebbe stato tutto diverso. Ma lui ha fatto un discorso forte al suo arrivo e così, il terzo della giornata, è sembrato una ripetizione».

Il regalo di Benedetto XVI è già su una credenza, oltre le poltrone. Questa mattina, il primo appuntamento di Shimon Peres è con quattro militari, un blocco d’appunti giallo e una parola sulla copertina: «Iran». La cronaca diventa subito storia, alla residenza di via Jabotinsky, e il bilancio sulla visita del Papa è da consegnare alla memoria: «Tutte le visite dei Papi in Israele sono più adatte agli storici che ai giornalisti. Benedetto XVI ha toccato i temi più profondi del nostro tempo. Il nuovo antisemitismo, una malattia che la gente deve saper trattare. Il Papa ha preso le distanze, una voce chiara. Anche se il nostro problema, oggi, è questa confusione su Dio».

Confusione?

«C’è voluto molto tempo per passare dagli idoli a un solo, invisibile Dio. Pochissimo, per far diventare Dio il capo del terrorismo. Tutti i terroristi parlano in nome di Dio. Abbiamo due dei: uno per la morte, l’altro per la pace. Oggi il problema non è distinguere fra Stato e Chiesa o fra ebrei, cristiani, musulmani. Serve una netta separazione fra violenza e fede. Non c’è spazio per la confusione e penso che questo Papa stia facendo il suo meglio, anche se purtroppo la gente non presta attenzione a tutto quel che dice. Il punto non è se sbaglia una parola. Il punto è il confronto quotidiano, non teorico, con questi temi. Non ci sono solo pirati che prendono le navi: ci sono Al Qaeda e l’Iran che lo fanno nel nome di Dio. E Dio non ha mai detto che la cosa migliore da fare sia produrre uranio ».

Col Papa, avete parlato anche delle proprietà della Chiesa: il Cenacolo sarà finalmente nella piena disponibilità dei cattolici?

«Ci sono sei luoghi, in Israele, di proprietà del Vaticano. Ci hanno chiesto di non confiscarli. Abbiamo consultato i nostri esperti biblici e promesso che non li confischeremo, a meno che ci siano pubbliche necessità. Esattamente come faremmo con le moschee».

I cristiani si sentono emarginati, qui...

«C’è un problema in tutto il Medio Oriente. I cristiani si sono ridotti dal 20 al 2 per cento. Stavano in 23 Paesi, oggi hanno perso la maggioranza in molti posti. Uno Stato cristiano, il Libano, è sparito. Molte scuole sono state chiuse. Noi abbiamo scelto di rispettare la libertà d’educazione: in Galilea, c’è un’università cristiana riconosciuta dal governo. Non siamo Ahmadinejad che va in giro con una mazzetta di soldi e compra tutto quel che è in vendita, dal Venezuela alla Bolivia. Non è questa la via: non hai bisogno d'una carta di credito, per credere in Dio».

Il Papa ha detto che ogni popolo deve stare nella sua casa: è la soluzione «due popoli, due Stati», che Netanyahu sembra osteggiare.

«Netanyahu non ha detto nulla. Neanche d’essere contro. Ha solo chiesto tempo. Il governo ha sempre sostenuto l’idea d’uno Stato palestinese, come il Papa e gli Usa. Ora possiamo discuterne, ma non dire che c’è un contrasto. Netanyahu andrà a Washington, non penso si cerchi un confronto aspro. Per quanto Israele sia preoccupato, l’amicizia con l'America è preziosissima. Dobbiamo capire che non siamo i leader nel mondo. E’ difficile essere modesti (ride), ma non abbiamo alternative. Considerata la nostra dimensione. L’Iran non è un problema d’Israele, è un problema mondiale. L’ho sentito dire anche da Putin e da Obama. Ma la comunità internazionale è divisa. Se qualcuno dice sì e altri no, Ahmadinejad ci guadagna. Non sanno quanto sia pericoloso: è l’unico leader del mondo che vuole distruggere un altro membro dell'Onu. Solo una politica comune, con vere sanzioni economiche, può salvarci dal ricorso alle armi. Ora dicono che Ahmadinejad deve fronteggiare un’opposizione. Ma guai a fare le previsioni del tempo, prima delle elezioni iraniane. C’è un proverbio cinese: se vuoi imparare a disegnare, disegna quand’è inverno. Senza fiori, gli alberi sono nudi. Bisogna guardare alle cose iraniane con occhio invernale».

Obama si prepara a fare uno «storico discorso » al mondo islamico. Temete un cambio di politica?

«C'è un club di gente che ha sempre paura, ma io non mi sono mai iscritto. I fanatici sono il nemico, non gli islamici. Non vogliamo la guerra. Viviamo in un mondo di differenze e oggi democrazia non è solo il diritto di essere uguali, ma l'eguale diritto di essere diversi. Se non permetti la qualità della differenza, non puoi avere democrazia. Loro hanno diritto d'essere diversi, come ce l'ho io».

Non è la posizione di Lieberman, il ministro antiarabo...

«Non conosco un governo che abbia fatto le cose promesse prima delle elezioni. Non lo dico in modo negativo: bisogna fare una coalizione coi partiti e poi con la realtà. Pensi a Begin. Diceva che non avrebbe mai ceduto il Sinai. Era sincero. Ma non poteva prevedere che una mattina Sadat avrebbe preso l'aereo e in un'ora sarebbe arrivato a Gerusalemme, cambiando il clima. I politici non possono voltare la schiena alla Storia. Non mi sarei mai immaginato che Sharon avrebbe accettato la soluzione dei due Stati, o lasciato Gaza. L'ha fatto. Le situazioni evolvono, non stanno nel freezer».

Ha citato Gaza. Quattro mesi dopo la guerra, tutto è uguale a prima: il blocco, i razzi...

«Gaza non è un problema israeliano, è un problema arabo. Israele hamesso limitimolto chiari a quell'attacco: abbastanza forte perché perdessero la voglia di spararci, non così forte da obbligarci a rimanere là. La guerra è una cosa complicata, a volte la situazione era impossibile: usavano ambulanze, moschee, bambini come scudi. La gente dimentica la differenza: quando la democrazia combatte il terrorismo, la democrazia è trasparente, il terrorismo è un mondo segreto. Non mi piace vedere la gente di Gaza morire. Ma non capiamo perché continuano a spararci. Dicono che siamo occupanti. Ma noi non siamo lì dentro. Può esistere un'occupazione platonica? ».

© Copyright Corriere della sera, 14 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 09:41
Dal blog di Lella...

«I muri non durano per sempre»

Per lui non ci sono figli e figliastri

Elio Maraone

«Il Papa è con voi. Oggi sono qui in persona, ma ogni giorno accompa gno spiritualmente ciascuno di voi nei miei pensieri e nelle mie preghiere». Così Be nedetto XVI si rivolge ai piccoli ospiti del Baby Hospital, il centro per l’infanzia di Be tlemme sostenuto dalle Conferenze epi scopali tedesca e svizzera, e le parole del pellegrino vestito di bianco, che si com muove accarezzando un bimbo nato pre maturo, possono valere per un’intera gior nata tramata di uno speciale affetto per «i più vulnerabili».
Ma l’affetto, anzi, l’amore del Papa non è fazioso, anche ieri ha fatto chiaramente ca pire che per lui non ci sono figli e figliastri, e che, in altre parole, questo suo è un pel legrinaggio di pace che tiene ugualmente presenti le legittime aspirazioni dei popo li israeliano e palestinese, per i quali la San ta Sede propugna la nascita di due Stati in dipendenti, sovrani, con confini interna­zionalmente riconosciuti. Il Papa ieri non si è dunque scostato da questa linea, ma illuminando idealmente l’intera giornata con la luce di quel «faro di speranza» (il Baby Hospital) «circa la pos sibilità che l’amore ha di prevalere sull’o dio », ha tenuto specialmente, e diremmo teneramente nella Piazza della Mangiatoia a ricordare la storia dolorosa dei palesti nesi. «Il mio cuore – esordisce – si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza (...) vi chiedo di por tare alle vostre famiglie il mio caloroso ab braccio (...) siate sicuri della mia solidarietà nell’immensa opera di ricostruzione che vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto».
Ma dopo tan te sofferenze, «al di sopra di tutto – aggiunge il Papa – siate testimoni della potenza del la vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto (...) La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante di u na nuova infrastruttura 'spirituale'». Con tono appassionato, il Papa aggiunge: «sia te un ponte di dialogo e di collaborazione nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressio ne e della frustrazione». Ma, per duro e do­loroso che sia il momento, la fiducia del Papa nell’uomo non vacilla. «Voi – dice – a vete le risorse umane per edificare la cul tura della pace», e insomma, conclude e cheggiando le parole dell’angelo ai pasto ri di Betlemme, e quelle memorabili di Gio vanni Paolo II, «non abbiate paura».
L’esortazione che ha concluso l’omelia in piazza accompagna un ragionamento che si rivolge al mondo politico. Per esempio, durante la cerimonia mattutina di benve nuto a Betlemme, Benedetto XVI si era fat to nuovamente supplice, come il giorno del suo arrivo in Israele. «Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto – aveva detto– ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione (...) Una coesistenza giusta e pacifica (...) può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazio ne e mutuo rispetto», tra l’altro puntando ad alleggerire «i gravi problemi riguardan ti la sicurezza», «così da permettere una maggiore libertà di movimento, con spe ciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi». I palestinesi, e il Papa lo sa e lo dice, sono le vittime mag giori della situazione attuale, ma questo non li assolve di tutto. «Non permettete – dice loro Benedetto XVI – che le perdite di vite e le distruzioni (...) suscitino amarez ze e risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione di ricorrere ad atti di violenza o di terrori smo ».
A sera, concludendo la «memorabile gior nata, il Papa posa pensoso lo sguardo sul muro che separa i due popoli, sui profughi del campo di Aida. È colpito profonda mente, al presidente palestinese Mahmud Abbas dice: «Con angoscia ho visto la si tuazione dei rifugiati, ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie», e la sua memoria corre al muro di Berlino. Sospi ra, il Papa tedesco, ma subito lancia paro le che sono riassunto e sigillo di un giorno, e non soltanto di un giorno: «I muri non du rano per sempre».

© Copyright Avvenire, 14 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 09:56
Dal blog di Lella...

«I muri non durano per sempre»

Per lui non ci sono figli e figliastri

Elio Maraone

«Il Papa è con voi. Oggi sono qui in persona, ma ogni giorno accompa gno spiritualmente ciascuno di voi nei miei pensieri e nelle mie preghiere». Così Be nedetto XVI si rivolge ai piccoli ospiti del Baby Hospital, il centro per l’infanzia di Be tlemme sostenuto dalle Conferenze epi scopali tedesca e svizzera, e le parole del pellegrino vestito di bianco, che si com muove accarezzando un bimbo nato pre maturo, possono valere per un’intera gior nata tramata di uno speciale affetto per «i più vulnerabili».
Ma l’affetto, anzi, l’amore del Papa non è fazioso, anche ieri ha fatto chiaramente ca pire che per lui non ci sono figli e figliastri, e che, in altre parole, questo suo è un pel legrinaggio di pace che tiene ugualmente presenti le legittime aspirazioni dei popo li israeliano e palestinese, per i quali la San ta Sede propugna la nascita di due Stati in dipendenti, sovrani, con confini interna­zionalmente riconosciuti. Il Papa ieri non si è dunque scostato da questa linea, ma illuminando idealmente l’intera giornata con la luce di quel «faro di speranza» (il Baby Hospital) «circa la pos sibilità che l’amore ha di prevalere sull’o dio », ha tenuto specialmente, e diremmo teneramente nella Piazza della Mangiatoia a ricordare la storia dolorosa dei palesti nesi. «Il mio cuore – esordisce – si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza (...) vi chiedo di por tare alle vostre famiglie il mio caloroso ab braccio (...) siate sicuri della mia solidarietà nell’immensa opera di ricostruzione che vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto».
Ma dopo tan te sofferenze, «al di sopra di tutto – aggiunge il Papa – siate testimoni della potenza del la vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto (...) La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante di u na nuova infrastruttura 'spirituale'». Con tono appassionato, il Papa aggiunge: «sia te un ponte di dialogo e di collaborazione nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressio ne e della frustrazione». Ma, per duro e do­loroso che sia il momento, la fiducia del Papa nell’uomo non vacilla. «Voi – dice – a vete le risorse umane per edificare la cul tura della pace», e insomma, conclude e cheggiando le parole dell’angelo ai pasto ri di Betlemme, e quelle memorabili di Gio vanni Paolo II, «non abbiate paura».
L’esortazione che ha concluso l’omelia in piazza accompagna un ragionamento che si rivolge al mondo politico. Per esempio, durante la cerimonia mattutina di benve nuto a Betlemme, Benedetto XVI si era fat to nuovamente supplice, come il giorno del suo arrivo in Israele. «Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto – aveva detto– ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione (...) Una coesistenza giusta e pacifica (...) può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazio ne e mutuo rispetto», tra l’altro puntando ad alleggerire «i gravi problemi riguardan ti la sicurezza», «così da permettere una maggiore libertà di movimento, con spe ciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi». I palestinesi, e il Papa lo sa e lo dice, sono le vittime mag giori della situazione attuale, ma questo non li assolve di tutto. «Non permettete – dice loro Benedetto XVI – che le perdite di vite e le distruzioni (...) suscitino amarez ze e risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione di ricorrere ad atti di violenza o di terrori smo ».
A sera, concludendo la «memorabile gior nata, il Papa posa pensoso lo sguardo sul muro che separa i due popoli, sui profughi del campo di Aida. È colpito profonda mente, al presidente palestinese Mahmud Abbas dice: «Con angoscia ho visto la si tuazione dei rifugiati, ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie», e la sua memoria corre al muro di Berlino. Sospi ra, il Papa tedesco, ma subito lancia paro le che sono riassunto e sigillo di un giorno, e non soltanto di un giorno: «I muri non du rano per sempre».

© Copyright Avvenire, 14 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 10:04
Dal blog di Lella...

TERRA SANTA/ Magister: così l’impolitico Benedetto XVI ha posto le condizioni della pace e deluso i laicisti

INT. Sandro Magister

venerdì 15 maggio 2009

L’occasione è ghiotta e l’Economist non se la lascia sfuggire. “Un capitolo di gaffe: la visita del papa in Terra Santa - titola il settimanale britannico - ha aggiunto un altro disastro nelle pubbliche relazioni alla lista già esistente”.
Anche ammesso che le ragioni profonde che hanno indotto Benedetto XVI ad andare in Terra santa per sostenere la speranza e la testimonianza dei cristiani siano riconducibili ad un panel di “pubbliche relazioni”, cosa sulla quale, se non altro per onestà intellettuale, è lecito nutrire qualche dubbio, è sul “disastro” che l’autorevole settimanale si lascia sfuggire la mano. “Disastro” perché il Papa è andato allo Yad Vashem e “ha parlato di ‘milioni’ di ebrei vittime dell'Olocausto e non di sei milioni”: “un’omissione - secondo l’Economist - che ha avuto l'effetto di riaprire la questione appena chiusa dei lefebvriani e del vescovo Richard Williamson che aveva negato l'esistenza dell'Olocausto”.
«Ma se l’Economist fosse stato più attento - commenta Sandro Magister - si sarebbe accorto che l’omissione non c’è stata affatto, perché di sei milioni di ebrei uccisi il Papa ha parlato, appena sbarcato all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la mattina dell’11 maggio».
È vero. Può testimoniare il presidente Shimon Peres. «È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele - ha detto il Papa, e ci scuseranno i lettori la lunga citazione - io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e dipregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile».

Siamo al ridicolo, dice Magister, al quale ilsussidario.net ha chiesto un primo bilancio del viaggio apostolico di Benedetto XVI, che partirà oggi stesso da Tel Aviv per far ritorno a Roma.
Ma la realtà è ben più seria, ed è l’esistenza di un «copione» - spiega Magister - da soddisfare sempre e comunque, quando si cita il dramma della persecuzione ebraica.
Quel copione “scritto” in anticipo, ancor prima che il papa parlasse, sulla questione ebraica. Un canovaccio non esente da rischi, se ha impedito a molti - ma non a tutti - di cogliere la portata, la reale portata, di quello che Benedetto XVI ha detto nel Memoriale della Shoah.

Magister, il pellegrinaggio di Benedetto XVI volge al termine. Tentiamone un bilancio. Ieri il Custode dei luoghi santi padre Pizzaballa, faceva notare che tutto quello che ha un significato religioso, o anche semplicemente umano, in Terra santa diventa politica. Lei cosa pensa?

In un certo senso concordo: è un viaggio che inesorabilmente ha effetti e contraccolpi politici. La questione capitale a mio giudizio è capire se il terreno politico è quello principale sul quale Benedetto XVI ha voluto collocare il senso del suo viaggio. Non lo credo. Ciò non toglie che il papa sia perfettamente consapevole degli effetti politici del suo gesto. Lo si è visto anche mercoledì, quando Benedetto XVI è andato nei territori: sia a Betlemme che nel campo dei rifugiati ha detto cose politiche molto esplicite, che però non rappresentano una novità nella linea della Santa Sede sul conflitto israelo-palestinese. Il Papa è andato oltre la sfera prettamente politica.

Si riferisce per esempio al tema del muro spirituale e a quello, ad esso legato, del perdono?

Sì. Nei discorsi “politici” questa dimensione ulteriore è chiaramente visibile. Quando ha detto, a proposito del muro così contestato e controverso, che la questione vera è abbattere i muri che si creano nei cuori degli uomini, tra un uomo e il suo prossimo. È un compito che mette in gioco delle scelte personali, che in quanto tali sono in grado di cambiare le cose a livello pubblico. Lo stesso è avvenuto nell’omelia di Betlemme, come nell’omelia della Messa nella valle di Giosafat: Benedetto XVI ha lanciato messaggi molto espliciti ai cristiani, invitandoli a non abbandonare la loro terra.

È comprensibile che il Papa chieda ai cristiani di rimanere: quella è anche la loro terra, al pari di ebrei e musulmani…

Certo, il Papa ha chiesto loro di restare ed era nelle aspettative, ma l’argomento con cui lo ha fatto è eminentemente teologico. Ha detto: restate, perché avete il privilegio unico di essere a contatto diretto con la memoria storica della salvezza. Siete in grado, come gli apostoli, di vedere e di toccare i luoghi in cui la salvezza si è innestata, e quindi avete una missione di testimonianza eccezionale di fronte al mondo. E li ha esortati a restare fedeli a questa missione. L’approccio con cui Benedetto XVI guarda a cose molto concrete, e quindi anche molto politiche - come la permanenza dei cristiani in Terra santa - è sostanzialmente profetico, religioso.

Questo viaggio segna un’evoluzione nel rapporto tra Santa Sede e Stato di Israele?

Più che il rapporto con lo Stato di Israele politicamente inteso, sul quale le parole di Benedetto XVI sono state molto misurate e molto sobrie, direi che il capitolo del rapporto tra ebraismo e cristianesimo è uno dei grandi assi portanti di questo viaggio. Anche per quanto riguarda la storia dell’ebraismo e quindi la Shoah il Papa ha detto delle cose molto originali. Che proprio per questo hanno disorientato parte degli osservatori.

Allude alle polemiche che hanno seguito la visita al Memoriale di Yad Vashem?

Persino lo Ha’aretz, il giornale più liberal in Israele, ha pubblicato parole dure, un attacco impietoso nei confronti delle parole di Benedetto XVI. Perché molti intellettuali israeliani sono rimasti così sconcertati?
Perché avevano in mente un copione - che era poi il loro - e vigilavano per vedere se e come il Papa rispettasse questo copione. E il Papa non lo ha fatto.
Ha aperto delle pagine di riflessione ancora in parte inedite sul mistero della persecuzione di Israele, centrando la sua riflessione sul nome, sul valore biblico fortissimo che ha il concetto di nome.

Dunque il Papa ha tradito le aspettative: quelle di chi si era ostinatamente preparato a sentire altro.

Infatti quelli rimasti attaccati al “manoscritto” - preparato da loro - non hanno più saputo da che parte voltarsi. Ma è una riflessione che è stata moltissimo apprezzata, in campo ebraico, da chi l’ha colta. Il nome è l’identificazione della persona e l’identificazione della missione che la persona ha, tanto è vero che il Papa ha ricordato come Dio abbia dato un nome nuovo ad Abramo dopo la chiamata e lo stesso è avvenuto con Giacobbe. Il nome nuovo corrisponde a una missione. E questi nomi sono incisi indelebilmente nel pensiero e nel cuore di Dio. Anche quando il male assoluto arriva a voler togliere tutto all’uomo, non può però togliergli il nome, perché questo è difeso per l’eternità da Dio.

E per quanto riguarda i rapporti col mondo musulmano?

Si sono giocati nella prima parte del viaggio, perché il Regno di Giordania è un po’ il cenacolo culturale da cui è uscita la Lettera dei 138: uno dei frutti più promettenti generati dalla lezione di Ratisbona, che a mio parere ha segnato un tornante straordinario nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’islam, da cui è partito un dialogo faticoso, incipiente ma portato finalmente sulle questioni reali: il rapporto fede, ragione e violenza. Al capitolo aggiunto da Papa Ratzinger in Giordania ha fatto riscontro l’ampio e interessante discorso tenuto dal principe GhaziBin Talal, in occasione della visita alla moschea di Amman.

Dove sta, a suo avviso, il valore della riflessione papale?

Il rapporto tra cristianesimo e islam è centrato non su un impossibile “negoziato” tra le due fedi - cosa semplicemente impensabile - ma sulla consapevolezza che dall’unica fede nell’unico Dio creatore derivi l’uguaglianza di natura di tutti gli uomini. Quindi i diritti dell’uomo sono esattamente quelli scritti nella creazione stessa e questo è il terreno comune su cui islam e cristianesimo possono servire l’unità della famiglia umana, secondo quanto detto dal Papa non solo in Giordania ma anche a Gerusalemme, dopo aver visitato la Cupola della roccia.

© Copyright Il Sussidiario, 15 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 10:08
Dal blog di Lella...

Quel saluto in arabo a una folla così variopinta

NAZARETH

Il papa saluta in arabo «assalam aleikum» (la pace sia con voi) e apre così la messa più popolata del suo viaggio in Terra Santa, davanti a decine di migliaia di persone arrivate a Nazareth da ogni parte di Israele ma anche da Europa e Stati Uniti.
Radunando tanti fedeli sul Monte del Precipizio, Ratzinger ha realizzato un desiderio già espresso da Wojtyla nel 2000, quando però per motivi di sicurezza non fu possibile per Giovanni Paolo II celebrare la messa sulla collina.
Inizialmente stimate in 25 mila, le persone hanno gradualmente riempito i posti a sedere, fino a occupare le 40 mila sedie dell'anfiteatro. Sulla collina, anche molte famiglie con piccoli bambini.
Tra la folla c'erano alcuni gruppi di arabi cristiani della comunità locale, come Samira e Sadi, 25 e 28 anni, genitori di un bimbo di 4, Christian. Vivono a Nazareth e fanno parte del 17% degli abitanti di fede cristiana della città, a maggioranza musulmana, ma che ha un sindaco cristiano. «Vedere il Papa è già per noi una grande emozione, ma sentirlo parlare in arabo è qualcosa che non scorderemo», ha detto Sadi. Ed effettivamente il saluto "assalam aleikum" che Benedetto XVI ha pronunciato in apertura della messa ha entusiasmato gli animi. Dal canto suo la folla gli ha risposto gridando varie volte "Yaèesh El Baba" (Viva il Papa). «Anche se siamo una minoranza non ci sentiamo soli – ha aggiunto Sadi – questa è la terra di Cristo e noi le apparteniamo, lui ci ha vissuto, noi ci siamo nati».
Qualche posto più in là erano sedute due donne indiane in abiti tradizionali arancione e fucsia. Diversi di nazionalità, ieri i fedeli erano tutti uguali nell'abbigliamento: indossavano il cappellino giallo e bianco con lo stemma della Città del Vaticano e la maggior parte anche una t-shirt con la frase sul retro «I am with the Pope in Nazareth». Cori e canti hanno animato la celebrazione mentre striscioni e bandiere hanno sventolato per ore. Qualche pullman sostava lì dalle due di notte quando, ha raccontato la polizia, hanno cominciato ad arrivare i primi pellegrini.

© Copyright Gazzetta del sud, 15 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 10:08
Dal blog di Lella...

I bunker dell'integralismo islamico sono rimasti sbarrati e silenziosi

Una grande "festa" nella città blindata Alla fine la sfida s'è risolta senza intoppi

Alessandro Logroscino

NAZARETH

Aveva tuonato per settimane contro la visita di Benedetto XVI, bollandolo come «nemico dell'Islam» e scagliando anatemi contro le autorità islamiche moderate ben disposte ad accoglierlo sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Ma al dunque lo sceicco Nazim Abu Salim Sakhafa, imam radicale della moschea di Shihab-e-Din, a Nazareth, è sparito dalla circolazione: allontanato dalla polizia a scanso di guai proprio nel giorno in cui il Papa è arrivato nella sua città.
Una festa blindata, non c'è che dire, ma che non ha impedito il bagno di folla nella giornata forse più temuta per l'ordine pubblico dell'intera visita del pontefice in Terrasanta. La sfida di Nazareth si è risolta alla fine senza intoppi.
La gran parte della gente, come era prevedibile, ha accolto papa Ratzinger con calore. Mentre i bunker dell'integralismo islamico sono rimasti sbarrati e silenziosi. Il Movimento Islamico, una fazione politica radicale legalmente riconosciuta in Israele, ha mantenuto la promessa: ignorando l'ospite, ma senza disturbarlo. Mentre l'incendiario sceicco Salim, promotore fino alla vigilia di campagne di boicottaggio a colpi di volantini, poster e sermoni, è stato messo in condizione di non nuocere con un tempestivo trasferimento coatto. Troppe provocazioni – si è ritenuto – nella storia di un personaggio che secondo molti rappresenta a Nazareth solo una nicchia rumorosa, ma che è stato pur sempre protagonista di pericolose contese interconfessionali: a cominciare da quella innescata dal progetto di allargamento-monstre della sua moschea, all'ombra del santuario dell'Annunciazione.
Le autorità si sono mostrate soddisfatte per il funzionamento della macchina della sicurezza. Capace di mobilitare in totale 80.000 uomini dall'arrivo del Papa a Tel Aviv, l'11 maggio, e di manifestarsi ieri con una presenza capillare, fatta di posti di blocco, percorsi obbligati, zone off limits: nelle strade e stradine di Nazareth come sull'altura del Monte del Precipizio, dove è stato innalzato l'anfiteatro nuovo di zecca inaugurato dalla più affollata messa papale di questo viaggio. «Si è trattato di una visita molto complessa, ma finora tutto si svolto secondo i piani e la situazione è rimasta sotto controllo», ha commentato ai giornalisti il ministro della Sicurezza Interna, Yitzhak Aharonovic.
A esprimere qualche lamentela il sindaco, Ramiz Jaraisy (arabo e cristiano), secondo il quale la decisione dei servizi segreti israeliani di restringere al minimo l'attraversamento di Nazareth in papamobile del papa – a differenza di quanto accaduto a Gerusalemme – è stata «sbagliata» ed eccessiva. Un modo per limitare il contatto con la gente, ha recriminato Jaraisy, sottolineando di essere stato «eletto tre volte anche dalla maggioranza musulmana», a conferma del clima generale di convivenza religiosa e buone relazioni in città.

© Copyright Gazzetta del sud, 15 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 10:13
Dal blog di Lella...

Israele nega al Pontefice i visti per 500 religiosi

di Andrea Tornielli

nostro inviato a Nazareth

Nel giorno in cui Benedetto XVI incontra il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ormai a poche ore dalla conclusione della visita del Pontefice in Terra santa, arriva la notizia - anticipata ieri mattina dal quotidiano Ma’ariv - di 500 visti d’ingresso negati a sacerdoti, religiosi e religiose provenienti da Paesi arabi che la Santa sede aveva richiesto.
L’incontro del Pontefice con Netanyahu era previsto alle 15.50. Il premier israeliano, di ritorno dalla Giordania dove ha parlato con il re Abdallah II in vista dell’ormai prossimo incontro con il presidente americano Barack Obama, è arrivato puntualissimo al convento francescano che sorge a fianco della basilica dell’Annunciazione di Nazareth, accolto dal Custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa. Ratzinger è arrivato con qualche minuto di ritardo, e si è scusato con l’ospite. Netanyahu gli ha risposto: «Ero disposto ad aspettarla anche di più... ».
Il colloquio è durato circa un quarto d’ora e il direttore della Sala stampa della Santa sede, padre Federico Lombardi, ha detto che è stato incentrato «soprattutto sui temi del processo di pace in Medio oriente e i modi per farlo progredire».
Il premier israeliano ha invitato il Papa ad alzare la voce contro l’Iran e l'antisemitismo di Ahmadinejad, ma si è parlato anche della dei visti e Netanyahu ha assicurato che ne saranno concessi di più.
Dopo l’incontro tra Benedetto XVI e il premier, si sono riunite le delegazioni israeliana, composta da sei persone, e vaticana, guidata dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Questo secondo colloquio è stato interamente dedicato ai problemi relativi all’attuazione dell’accordo economico e finanziario tra Israele e Santa sede, e il problema dei visti. Il governo israeliano, che nell’Accordo fondamentale siglato con il Vaticano nel 1993 si era impegnato a garantire il flusso di religiosi provenienti dal Medio Oriente e da altri Paesi, negli ultimi anni ha ristretto le concessioni. Ci sono parrocchie che attendono il loro pastore impossibilitato da mesi ad entrare in Israele. E proprio ieri si è saputo che il ministro dell’Interno Yishai ha respinto la richiesta del Vaticano di emettere visti multi-ingresso per circa 500 religiosi dei Paesi arabi. Anche se le trattative hanno subito un’accelerazione negli ultimi mesi, l’attuazione dell’accordo economico e finanziario è ancora lontana. Tra i problemi da affrontare c’è la restituzione di 40 proprietà occupate durante la guerra del 1948, come ad esempio l’area dove sorgeva la sede della delegazione apostolica sul monte Sion.
Per quanto riguarda i luoghi santi, il contenzioso è innanzitutto su quanti di questi vengono riconosciuti tali da Israele. La Santa sede chiede che questi luoghi - gli edifici e i terreni annessi - possano continuare a svolgere la loro propria missione e siano dichiarati inespropriabili anche in futuro. Il ministero del Turismo israeliano, invece, vorrebbe trasformare in senso più turistico alcune di queste proprietà, ad esempio costruendo una funivia per salire sul monte Tabor e attrezzandolo con aree da picnic, oppure realizzando una «passeggiata ecologica» lungo tutto il bagnasciuga che circonda la chiesa del Primato, quella di Tabga e Cafarnao. Infine, le esenzioni fiscali: il Vaticano chiede che siano esentati dalle tasse le istituzioni quali scuole e ospedali.

© Copyright Il Giornale, 15 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 10:19
Dal blog di Lella...

La giornata trascorsa a Betlemme

Tra danze e canti il racconto di una tragedia

dal nostro inviato Gianluca Biccini

Una nuova pagina dell'amore di Benedetto XVI verso gli ultimi, i senza voce, gli emarginati e rifiutati.
L'ha scritta mercoledì pomeriggio toccando di persona le sofferenze dei piccoli ricoverati al Caritas baby hospital e dei rifugiati nel campo profughi di Aida.
Della visita alla struttura pediatrica è divenuta simbolo la foto del Pontefice con in braccio il piccolo Elias, che pesa solo due chili e mezzo. Ha già fatto il giro del mondo. Al nosocomio Benedetto XVI ha lasciato in dono un modernissimo apparecchio per respirare.
Successivamente si è recato nel campo profughi di Aida. A ridosso del muro di separazione, con i suoi cinquemila abitanti è il più popoloso delle tre realtà di questo genere, nate tra il 1949 e il 1950 nei pressi di Betlemme. Gli altri sono Azza e Deheisheh, visitato da Giovanni Paolo II nel 2000, e in tutto ospitano oltre quindicimila palestinesi di varie generazioni.
Immagini eloquenti della sofferenza umana passata sotto gli occhi del Papa. Le case costruite di terra con il tempo hanno preso il posto delle tende. Il grande sogno di questa gente è simboleggiato dalle "chiavi del ritorno", che un gruppo di bambini in abiti tradizionali hanno mostrato al Papa durante una coreografia musicale di benvenuto.
Ad Aida vivono anche 14 famiglie cristiane. Gli abitanti godono di un discreto livello di istruzione.
Alcuni murales, raffiguranti villaggi abbandonati e gli altri 59 campi profughi palestinesi, sparsi tra i Territori e i paesi arabi vicini, stanno a testimoniare delle capacità artistiche di numerosi abitanti del campo. Per organizzare i preparativi è stato costituito un comitato: tra i suoi membri ci sono Ziyad Al Bandak, presidente del governo locale; padre Majdi Syriani, sacerdote del patriarcato latino, e Aissa Qaraqe membro del Parlamento, che ha fatto da speaker durante l'incontro con il Papa.
"Il diritto al ritorno è sacrosanto": una delle scritte più ricorrenti sugli striscioni in arabo, mentre alcune madri sollevavano in alto le foto dei figli uccisi o dispersi e gridavano a Benedetto XVI il loro dolore.
La cerimonia si è svolta nel cortile della scuola per le ragazze. Dopo i saluti rivoltigli dalla responsabile dell'Unrwa, signora Abu Zayd, da un rappresentante della comunità locale, Semir Aita, che ha illustrato il dramma dei suoi fratelli dispersi nell'immensa area mediorientale, e dal presidente Abu Mazen, il Pontefice ha pronunciato il suo discorso.
Parole, quelle di Benedetto XVI, interrotte da vari applausi. Soprattutto quando ha espresso solidarietà a tutti i palestinesi senza casa che aspirano a poter tornare nei luoghi natii o ad avere una patria propria, o quando - come aveva fatto alla messa del mattino - ha ricordato le vittime del conflitto di Gaza, esortando però nel contempo a rompere il circolo vizioso delle aggressioni. Al termine del suo discorso Benedetto XVI ha anche annunciato che la Santa Sede intende stabilire una commissione bilaterale di lavoro permanente, così com'è stata delineata nell'accordo firmato in Vaticano con l'Autorità palestinese il 15 febbraio di nove anni fa. Quindi sono salite sul palco tre bambine, i cui padri sono prigionieri. Hanno offerto al Papa testi di alcune loro preghiere. Infine gli sono stati presentati alcuni doni, tra cui una stola che Benedetto XVI ha indossato.
Infine, a conclusione della giornata a Betlemme, il Papa ha restituito la visita di cortesia al presidente dell'Autorità palestinese. Nella circostanza, prima della cerimonia di congedo, ha avuto modo di incontrare rappresentanti delle comunità giunti da Gaza e dalla Cisgiordania. Un momento senza discorsi pubblici, ma che conferma la dimensione di questo pellegrinaggio di Benedetto XVI, improntato all'ascolto, al conforto e all'offerta di speranza.

(©L'Osservatore Romano - 15 maggio 2009)


+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 16:53
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXVIII)


INCONTRO ECUMENICO AL PATRIARCATO GRECO-ORTODOSSO DI JERUSALEM



Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Delegazione Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Patriarcato Greco-Ortodosso di Jerusalem per l’incontro ecumenico. Al Suo arrivo, alle ore 9.15, il Papa è accolto da Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III che lo accompagna alla Sala del Trono dove sono riunite le rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Dopo il discorso del Patriarca, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

è con profonda gratitudine e gioia che compio questa visita al Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme; un momento che ho a lungo desiderato. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Teofilo III per le sue gentili parole di saluto fraterno, che ricambio con calore. Esprimo a voi tutti la mia cordiale gratitudine per avermi offerto questa opportunità di incontrare ancora una volta i molti leader di Chiese e comunità ecclesiali presenti.

Stamani il mio pensiero va agli storici incontri che ebbero luogo qui, in Gerusalemme, fra il mio predecessore, il Papa Paolo VI, e il Patriarca Ecumenico Atenagora I, come pure quello fra Papa Giovanni Paolo II e Sua Beatitudine il Patriarca Diodoros. Questi incontri, in essi comprendendo la mia visita odierna, sono di grande significato simbolico. Essi ricordano che la luce da Oriente (cfr Is 60,1; Ap 21,10) ha illuminato il mondo intero sin dal momento stesso in cui un "sole che sorge" venne a visitarci (Lc 1,78) e ci rammentano anche che da qui il Vangelo venne predicato a tutte le nazioni.

Stando in questo santo luogo, a fianco della Chiesa del Santo Sepolcro, che segna il posto dove il nostro crocifisso Signore risorse dai morti per l’intera umanità, e vicino al Cenacolo, dove nel giorno di Pentecoste "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (At 2,1), chi potrebbe non sentirsi sospinto a porre la pienezza della buona volontà, della sana dottrina e del desiderio spirituale nel nostro impegno ecumenico? Elevo la mia preghiera affinché il nostro odierno incontro possa imprimere nuovo slancio ai lavori della Commissione Internazionale Congiunta per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse, aggiungendosi ai recenti frutti di documenti di studio e di altre iniziative congiunte.

Di particolare gioia per le nostre Chiese è stata la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". La calorosa accoglienza da lui ricevuta e il suo toccante intervento sono state sincere espressioni della profonda gioia spirituale che scaturisce dall’ampiezza con cui la comunione è già presente tra le nostre Chiese. Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione. Nello stendere le braccia sulla croce, Gesù ha rivelato la pienezza del suo desiderio di attirare ogni persona a sé, raccogliendoli tutti insieme in unità (cfr Gv 12,32). Alitando il suo Spirito su di noi, ha rivelato il suo potere di renderci capaci di partecipare alla sua missione di riconciliazione (cfr Gv 19,30; 20,22-23). In quell’alito, mediante la redenzione che unisce, sta la nostra missione! Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione (cfr 2 Cor 5,19), che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione. Tuttavia, inviati nel mondo (cfr Gv 20,21), resi saldi dalla forza unificante dello Spirito Santo (cfr ibid., v.22), chiamati ad annunciare la riconciliazione che attira ogni uomo a credere che Gesù è il Figlio di Dio (cfr ibid., 31), noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre, che invia il Figlio affinché il mondo conosca il suo amore per noi (cfr Gv 17,23).

Circa due mila anni orsono, lungo queste stesse strade, un gruppo di greci chiese a Filippo: "Signore, vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21). È una richiesta che ci viene fatta di nuovo oggi, qui in Gerusalemme, nella Terra Santa, in questa regione e in tutto il mondo. Come dobbiamo rispondere? La nostra risposta viene udita? San Paolo ci allerta sulla gravità della nostra risposta, sulla nostra missione di insegnare e di predicare. Egli dice: "La fede viene dall’ascolto, e l’ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,17). È perciò imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore.

Cari Amici, mentre vi incoraggio a proclamare con gioia il Signore risorto, desidero riconoscere l’opera svolta a questo scopo dai Capi delle comunità cristiane, che regolarmente si incontrano in questa città. Mi sembra che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa. La priorità fondamentale di ogni leader cristiano è di nutrire la fede degli individui e delle famiglie affidati alle sue premure pastorali. Questa comune preoccupazione pastorale farà sì che i vostri incontri regolari siano contrassegnati dalla sapienza e dalla carità fraterna necessarie per sostenervi l’un l’altro e per affrontare tanto le gioie quanto le difficoltà particolari che segnano la vita della vostra gente. Prego perché si comprenda che le aspirazioni dei Cristiani di Gerusalemme sono in sintonia con le aspirazioni di tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro religione: una vita contrassegnata da libertà religiosa e da coesistenza pacifica, e – in particolare per le giovani generazioni – il libero accesso all’educazione e all’impiego, la prospettiva di una conveniente ospitalità e residenza familiare e la possibilità di trarre vantaggio da una situazione di stabilità economica e di contribuirvi.

Beatitudine, La ringrazio ancora una volta per la gentilezza nell’avermi invitato qui, assieme agli altri ospiti. Su ciascuno di voi e sulle comunità da voi rappresentate invoco l’abbondanza delle benedizioni di Dio che donano forza e sapienza! Possa ciascuno di voi essere rinvigorito dalla speranza di Cristo che non delude!


Al termine dell’incontro ecumenico nel Patriarcato Greco-Ortodosso, alle ore 10.00, il Santo Padre si reca a piedi al Santo Sepolcro.






PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXIX)


VISITA ALLA BASILICA DEL SANTO SEPOLCRO DI JERUSALEM



Alle ore 10.15 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca nella Basilica del Santo Sepolcro di Jerusalem, luogo - secondo la tradizione - della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione di Cristo.

Al Suo arrivo il Papa è accolto, come da protocollo, dai sei rappresentanti delle tre entità: la Chiesa greco-ortodossa, la Custodia di Terra Santa e la Chiesa armena apostolica, responsabili dello "statu quo".

Il Santo Padre sosta in preghiera presso la Pietra dell’Unzione e , dopo il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., visita la Tomba vuota della Risurrezione.

Infine, dopo un breve discorso del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici in Cristo,

l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – "il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri" – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore "ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente", vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal e il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, per le loro gentili parole di benvenuto. Desidero esprimere alla stessa maniera il mio apprezzamento per l’accoglienza riservatami dai Gerarchi della Chiesa ortodossa greca e della Chiesa armeno-apostolica. Con animo grato prendo atto della presenza di rappresentanti delle altre comunità cristiane della Terra Santa. Saluto il Cardinale John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Saluto pure i Cavalieri e le Dame dell’Ordine qui presenti, con gratitudine per la loro inesauribile dedizione a sostegno della missione della Chiesa in queste terre rese sante dalla presenza terrena del Signore.

Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo "fu crocifisso, morì e fu sepolto", e che "il terzo giorno risuscitò dai morti". Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, "non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci "trafiggere il cuore" (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.

La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5). Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.

Quest’antica chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo "sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale" (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.

Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo. Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore. In quella tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova. Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo. "Egli è la nostra pace", che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr Ef 2,14). Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.

Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli Vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa. Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo. Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero. Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto. Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace. Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme. Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno. A voi tutti e a quanti vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia Benedizione Apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.


Al termine della visita, il Papa si reca nella Cappella delle Apparizioni per una breve adorazione del Santissimo e poi sale al Golgota per raccogliersi in preghiera sul luogo del Calvario. Si trasferisce quindi in auto al Patriarcato Armeno Apostolico di Jerusalem.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XXX)


VISITA ALLA CHIESA PATRIARCALE ARMENA APOSTOLICA DI JERUSALEM



Alle ore 11.10, il Santo Padre Benedetto XVI giunge alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Jerusalem, che ha sede nel Monastero di San Giacomo, ed è accolto dal Patriarca Sua Beatitudine Torkom II Manoukian.

Quindi, nella Chiesa dove si trovano riunite alcune centinaia di fedeli, dopo il discorso del Patriarca Armeno Apostolico, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Beatitudine,

La saluto con fraterno affetto nel Signore, ed esprimo i migliori oranti auguri per la Sua salute ed il Suo ministero. Sono riconoscente per l’opportunità di visitare questa Chiesa Cattedrale di San Giacomo nel cuore dell’antico quartiere Armeno di Gerusalemme, e di incontrare il distinto clero del Patriarcato, insieme con i membri della comunità Armena della Città Santa.

Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli. Negli ultimi decenni, abbiamo sperimentato, per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. Considero una grande benedizione l’essermi incontrato l’anno scorso con il Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I. La loro visita alla Santa Sede, ed i momenti di preghiera che abbiamo condiviso, ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei Cristiani.

In spirito di gratitudine al Signore, desidero anche esprimere il mio apprezzamento per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali. Questo dialogo, sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro. Un particolare segno di speranza è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato. Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Fin dai primi secoli cristiani, la comunità Armena di Gerusalemme ha avuto una illustre storia, segnata come non ultima cosa da uno straordinario rifiorire di vita e cultura monastica collegate con i luoghi santi e con le tradizioni liturgiche che si sono sviluppate attorno ad essi. Questa venerabile Chiesa cattedrale, assieme al Patriarcato e alle varie istituzioni educative e culturali con esso connesse, rendono testimonianza di questa lunga e distinta storia. Prego affinché la vostra comunità possa costantemente trarre nuova vita da queste ricche tradizioni ed essere confermata nella fedele testimonianza a Gesù Cristo e alla potenza della sua risurrezione (cfr Fil 3,10) in questa Città Santa. Ugualmente assicuro le famiglie presenti, e in particolare i bambini e i giovani, di un speciale ricordo nelle mie preghiere. Cari amici, a mia volta chiedo a voi di pregare con me affinché tutti i Cristiani della Terra Santa lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace.

Beatitudine, La ringrazio una volta ancora per il cortese benvenuto e cordialmente invoco le più ricche benedizioni di Dio su di Lei e su tutto il clero e i fedeli della Chiesa Apostolica Armena nella Terra Santa. Che la gioia e la pace del Cristo Risorto siano sempre con voi.


Al termine della visita alla Chiesa Patriarcale Armena Apostolica, il Papa rientra in auto alla Delegazione Apostolica di Jerusalem.



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=850&sett...

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+PetaloNero+
00venerdì 15 maggio 2009 17:51
Discorso del Papa al termine del suo viaggio in Terra Santa


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI nel corso della cerimonia di congedo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

* * *

Signor Presidente,

Signor Primo Ministro,

Eccellenze, Signore e Signori,

Mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me. Ho avuto fruttuosi colloqui con le Autorità civili, sia in Israele, sia nei Territori Palestinesi, e ho constatato i grandi sforzi che entrambi i Governi stanno compiendo per assicurare il benessere delle persone. Ho incontrato i Capi della Chiesa cattolica in Terra Santa e mi rallegro di vedere il modo in cui lavorano insieme nel prendersi cura del gregge del Signore. Ho anche avuto la possibilità di incontrare i responsabili delle varie Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché i capi di altre religioni in Terra Santa. Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto.

Signor Presidente, Lei ed io abbiamo piantato un albero di olivo nella Sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele. L’albero di olivo, come Ella sa, è un’immagine usata da San Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra Cristiani ed Ebrei. Nella sua Lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei Gentili sia come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell’albero di olivo buono che è il Popolo dell’Alleanza (cfr 11, 17-24). Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.

La cerimonia al Palazzo Presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti. Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.

Signor Presidente, La ringrazio per il calore della Sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo Paese da amico degli Israeliani, così come sono amico del Popolo Palestinese. Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la "two-State solution" (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere "luce per le Nazioni" (Is 42,6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.

Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor Presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il Suo compito e quello dell’Autorità Palestinese. Ma Le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo La accompagnano mentre Ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.

Mi resta solo da esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito in modi diversi alla mia visita. Sono profondamente grato al Governo, agli organizzatori, ai volontari, ai media, a quanti hanno dato ospitalità a me e a coloro che mi hanno accompagnato. Siate certi di essere ricordati con affetto nelle mie preghiere. A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi. Shalom!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Il viaggio di Benedetto XVI è stato un successo?
di padre Thomas D. Williams, LC*


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Seguendo la cronologia dell'infanzia di Gesù, questo giovedì l'attenzione si è spostata dalla città natale di Betlemme a Nazareth. Alle prime luci dell'alba, Benedetto XVI ha lasciato Gerusalemme in elicottero e si è recato nella terra in cui Gesù ha trascorso la maggior parte della sua vita terrena, dall'infanzia fino all'età di circa 30 anni.

Nell'omelia della Messa che ha celebrato al mattino, il Papa ha ricordato a quanti lo ascoltavano che Nazareth è anche il luogo dell'Annunciazione – dove l'angelo Gabriele proclamò a Maria che sarebbe stata la madre del Messia, e dove il Verbo si è fatto carne.

Nazareth è il luogo in cui Gesù ha imparato il mestiere di falegname da Giuseppe. Accanto a questo, ha spiegato il Santo Padre, “imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro”.

Nazareth era anche la città natale di Maria, e il Papa ha colto l'occasione per approfondire, per la seconda volta durante questo viaggio, l'importanza delle donne nella Chiesa e nella società. Nazareth, ha sottolineato, “ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti”.

Come madri di famiglia, come lavoratrici o nella vita consacrata, “le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella 'ecologia umana' di cui il mondo, e anche questa terra, hanno così urgente bisogno”, ha aggiunto.

Tutte queste riflessioni – e innumerevoli altre che il Papa ha offerto in questi giorni – portano a una necessaria conclusione. Anche se non lo si può capire da tanti resoconti, il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa non è stato in primo luogo politico; è stato spirituale. Fin dall'inizio il Papa ha insistito nel definirlo “pellegrinaggio” piuttosto che “viaggio” o “visita”. E nonostante il suo aspetto fortemente pubblico, un pellegrinaggio ha sempre una dimensione intensamente personale. Il Papa è, in primo luogo e sopra ogni cosa, un credente cristiano, un discepolo del Signore Gesù.

Pensate un momento a ciò che deve significare per Benedetto XVI visitare la Galilea per la prima e probabilmente unica volta come Papa. La Galilea, dove San Pietro ha incontrato Gesù per la prima volta, dove è stato chiamato e ha lasciato tutto per seguirlo, non sapendo che sarebbe stato il primo Papa della Chiesa di Cristo e uno dei suoi primi martiri.

Pensate a cosa ha significato per lui in questi giorni trovarsi a Gerusalemme e visitare i Luoghi Santi. Gerusalemme, dove Gesù è stato rinnegato da Pietro, tradito da Giuda, dove ha istituito la Santa Eucaristia e ha dato la vita per noi sulla croce. Gerusalemme, dove Gesù è risorto dai morti ed è asceso al cielo.

Il Santo Padre è un uomo profondamente spirituale, e desiderava compiere questo pellegrinaggio. E' il viaggio che ha desiderato più di ogni altro. Sotto le onde increspate di tante attività e opposizioni, c'è un luogo calmo come le profondità del mare in cui il Papa si ritira imperturbato, un luogo dove si trova da solo con Dio. Come Maria, serba tutte queste cose e le pondera nel suo cuore (cfr. Lc 2:19).

In questo contesto, percepiamo il pieno senso della splendida espressione di Sant'Agostino ai fedeli di Ippona: “Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano”. In Terra Santa Benedetto XVI è stato entrambe le cose. Per noi – in realtà per tutte le Nazioni e per tutti i popoli – è il Vescovo di Roma e Vicario di Gesù Cristo. E' un leader, un profeta di pace, un predicatore del Vangelo e un maestro delle Nazioni. Per noi, si prende cura del gregge di Cristo e conferma i suoi fratelli nella fede. Con noi Benedetto XVI è un semplice cristiano, un pellegrino che visita i Luoghi Santi e trae forza dalla grazia che è presente qui. Con lui ci meravigliamo davanti al mistero della Provvidenza di Dio e alla maestà delle sue opere.

In questi giorni mi è stato chiesto spesso se il viaggio del Papa sia stato un “successo”. Lo è stato senz'altro, ma non per le ragioni che molti si aspetterebbero. Sono sicuro che il Pontefice stesso risponderebbe che un cambiamento reale e duraturo – di quelli che contano – non è il risultato di programmi politici, argomenti ingegnosi o della capacità di guadagnarsi l'approvazione delle masse. E' l'opera della grazia di Dio nel cuore umano.

Benedetto XVI è arrivato come strumento di quella grazia e, come diceva San Francesco, come mezzo della pace di Dio. E' questo che è chiamato a fare, e come servo buono e fedele è proprio quello che ha fatto.



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*Padre Thomas D. Williams, Legionario di Cristo, è un teologo statunitense che vive a Roma. Attualmente sta seguedo per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione ha deciso di scivere una cronaca del viaggio anche per ZENIT.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]









Il Papa: cristiani uniti, per portare il messaggio di riconciliazione
Incontro ecumenico al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme



GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'unità dei cristiani è un imperativo ancora più avvertito in Terra Santa, dove è necessario portare un messaggio forte di riconciliazione.

E' quanto ha detto in sintesi, questo venerdì, Benedetto XVI durante l’incontro ecumenico tenutosi al Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, di fronte alle rappresentanze delle Comunità cristiane di Terra Santa.

Ringraziando per l'invito il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, Benedetto XVI ha auspicato un nuovo slancio nel dialogo teologico bilaterale tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel suo insieme.

A questo proposito ha ricordato la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Sua Santità Bartolomeo I, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma dedicato al tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa".

“Una simile esperienza ecumenica testimonia chiaramente il legame fra l’unità della Chiesa e la sua missione”, ha sottolineato il Papa.

“Non meraviglia, perciò, che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione, che noi sperimentiamo la vergogna della nostra divisione”, ha poi affermato.

“Chiamati ad annunciare la riconciliazione”, ha detto, “noi dobbiamo trovare la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre”.

E' “imperativo che i Capi cristiani e le loro comunità rechino una testimonianza vigorosa a quanto proclama la nostra fede: la Parola eterna, che entrò nello spazio e nel tempo in questa terra, Gesù di Nazareth, che camminò su queste strade, chiama mediante le sue parole e i suoi atti persone di ogni età alla sua vita di verità e d’amore”.

“Mi sembra – ha poi concluso – che il servizio più grande che i Cristiani di Gerusalemme possano offrire ai propri concittadini sia di allevare ed educare una nuova generazione di Cristiani ben formati ed impegnati, solleciti nel desiderio di contribuire generosamente alla vita religiosa e civile di questa città unica e santa”.

Il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme è una Chiesa ortodossa di tradizione bizantina che conta all'incirca 65 membri in tutta la Terra Santa e la cui successione apostolica si fa risalire fino a quel Giacomo “fratello” di Gesù, nominato da Paolo come una delle “colonne” della Chiesa, insieme a Pietro e Giovanni, e che fu Vescovo di Gerusalemme, dalla partenza di Pietro per Roma fino al martirio avvenuto durante la Pasqua del 62.

Il Patriarcato è stato istituito dal Concilio di Calcedonia nel 451, ed ha rotto i legami con Roma in occasione del Grande Scisma del 1054. Dal 1534, i Patriarchi di Gerusalemme sono tutti di origine greca, un fatto che ha provacato non poche tensioni con il clero di lingua araba.

Il Patriarcato è assistito da un Santo Sinodo di 18 membri, nominati dal Patriarcato stesso, ed eletto tra i membri di una confraternita monastica, la Fratellanza del Santo Sepolcro, istituita nel XVI sec.

Nella Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme, la nomina o la destituzione di un Patriarca devono essere confermate dallo Stato d'Israele, dal regno di Giordania e dell’Autorità Palestinese.

Il Patriarca Teofilo III, di nazionalità greca, è stato eletto all'unanimità nuovo Patriarca durante il Sinodo dell'agosto 2005, in sostituzione di Ireneos I che il Sinodo pan-ortodosso di Costantinopoli aveva deposto dall'incarico il 24 maggio dello stesso anno, perché accusato di aver venduto segretamente immobili e terreni appartenenti al Patriarcato.






Il Papa fa sì che la pace risuoni in Terra Santa
Bilancio di padre Federico Lombardi


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, sostiene che Benedetto XVI abbia compiuto la missione che si era proposto di svolgere in Terra Santa: far sì che la pace risuoni nei vari angoli religiosi, sociali e politici.

"In quest'ultimo viaggio il Papa ha parlato molto di pace, come aveva promesso: trenta discorsi, un solo messaggio, che ridice, senza stancarsi, quest'unico tema, con innumerevoli variazioni: pace fra israeliani e palestinesi; pace fra ebrei, musulmani e cristiani; pace nella Chiesa, fra le confessioni e i riti; pace nella società e nella famiglia; pace fra Dio, l'uomo e le creature; pace nei cuori, nel Medio Oriente e nel mondo...pace, pace, pace", ha spiegato il sacerdote.

"Ha parlato molto, ma ha anche ascoltato, almeno altrettanto e forse più ancora", ha aggiunto facendo un bilancio per "Octava Dies", il settimana del Centro Televisivo Vaticano, di questa visita che dall'8 al 15 maggio ha portato il Santo Padre in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi.

"Benedetto è un Papa dell'ascolto - constata il portavoce vaticano -. Quante persone gli hanno parlato, quante cose gli hanno detto, con quanta passione, con quanta diversità di atteggiamento e di prospettive! Quanto è difficile fare la pace, soprattutto nel punto cruciale di ogni tensione: Gerusalemme!".

Secondo padre Lombardi, "il Papa ha fatto dunque un pellegrinaggio nei luoghi, ma ancor più nei cuori. E non è passato solo nei luoghi più santi del cristianesimo, ma anche in quelli dell'ebraismo e dell'Islam: Yad Vashem, il Muro del pianto, la Cupola della roccia. Ha fatto suoi i sentimenti di tutti i pellegrini delle tre religioni per i quali chiede l'accesso ai luoghi santi. Un Papa cristiano, ma un Papa per tutti, al disopra delle divisioni. Un esempio da seguire".

Il portavoce vaticano ricorda che "quando Giovanni Paolo II era stato in Terra Santa, il nuovo Muro non esisteva. Anche qui dunque è venuto coraggiosamente il nuovo Papa pellegrino, per chiedere a Dio e agli uomini che i muri di divisione si abbattano, a cominciare da quelli che chiudono e dividono i cuori. 'Mai più spargimento di sangue! Mai più terrorismo! Mai più guerra!'".

"Con questo grido termina il pellegrinaggio della speranza, in un momento cruciale per l'avvenire della pace nella Terra Santa. Il Papa ha fatto tutto quello che poteva e continuerà a farlo. Dio accompagni ora tutti gli sforzi degli operatori di pace, religiosi, civili e politici", ha concluso.






Benedetto XVI si congeda dalla Terra Santa
Auspica che “la soluzione di due Stati divenga realtà”

di Roberta Sciamplicotti


TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Dopo una mattinata densa di incontri importanti soprattutto per il dialogo ecumenico, Benedetto XVI si è congedato questo venerdì dalla Terra Santa al termine di una settimana ricca di eventi memorabili.

Dopo aver salutato la Delegazione Apostolica di Gerusalemme, si è recato in auto all’eliporto di Mount Scopus, da dove è partito in elicottero alla volta di Tel Aviv.

Al suo arrivo all'aeroporto Ben Gurion, è stato accolto dal Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e dal Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, che lo hanno salutato calorosamente. La banda e il picchetto militare d'onore hanno fatto da sfondo alla cerimonia di congedo.

Prima dei discorsi ufficiali, varie personalità hanno salutato il Papa: i Ministri del Governo israeliano, leader militari ed esponenti delle varie religioni, i responsabili della copertura stampa e il direttore dell'El Al, la compagnia aerea israeliana che ospiterà il Pontefice nel suo rientro a Roma. Era presente anche il Custode di Terra Santa, il sacerdote francescano Pierbattista Pizzaballa.

Nel suo discorso di congedo, il Pontefice ha ricordato i tanti incontri che hanno costellato il suo pellegrinaggio, da quelli con le autorità civili israeliane e palestinesi a quelli con i capi della Chiesa cattolica e delle varie Chiese cristiane.

“Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto”, ha affermato.

Il Papa ha quindi parlato dei rapporti ebraico-cristiani, sottolineando che i membri delle due religioni traggono nutrimento “dalle medesime radici spirituali” e che nonostante le tensioni del passato sono ora “fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia”.

“Uno dei momenti più solenni” della settimana in Terra Santa, ha proseguito Benedetto XVI, è stata la visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem, che gli ha riportato alla mente la visita ad Auschwitz, il 28 maggio 2006, dove milioni di ebrei “furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio”.

“Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato”, ha dichiarato.

Ricordando di essersi recato in Israele “da amico degli Israeliani, così come sono amico del popolo palestinese”, il Papa ha affermato che “nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli”.

Per questo, ha lanciato un forte appello alla pace: “Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra!”.

“Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti – ha continuato –. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la 'two-State solution' (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno”.

Definendo il muro di separazione “una delle visioni più tristi” del suo viaggio, il Papa ha auspicato che in futuro le popolazioni della Terra Santa “possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione”.

Nel suo discorso al Pontefice, il Presidente israeliano Peres lo ha ringraziato per la visita che ha compiuto in Israele, definendola un “esempio dell'esercizio dei valori spirituali” e dicendosi certo che contribuirà al buon andamento dei rapporti tra Israele e la Santa Sede.

Il Capo di Stato ha confessato di aver apprezzato particolarmente le parole pronunciate da Benedetto XVI visitando lo Yad Vashem, quando ha esortato a non dimenticare mai la Shoah, e ha sostenuto che le dichiarazioni papali hanno toccato “il cuore e la mente” degli israeliani.

Esprimendo la propria condanna per il fanatismo religioso, Peres ha aggiunto di sperare che la leadership spirituale del Papa aiuterà a capire che Dio non è il Dio del terrorismo, ma della pace e della tolleranza, e che getterà “ponti di comprensione e dialogo” perché si possa vivere in un futuro “una vita senza paure, una vita senza lacrime”.

Sotto il soffio di una brezza che faceva volare la berretta dei Cardinali e Vescovi del seguito papale, la banda ha poi eseguito l'inno vaticano, seguito da quello israeliano.

Dopo aver salutato il Presidente Peres e il premier Netanyahu, stringendo a lungo le mani di entrambi e baciando sulle guance il Capo di Stato, Benedetto XVI è quindi salito a bordo di un B777 della El Al, che ha decollato poco dopo alla volta di Roma.





Il Papa incontra il Patriarca armeno-ortodosso Torkom II
Nella Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme

di Roberta Sciamplicotti


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- L'incontro tra Benedetto XVI e il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, Sua Beatitudine Torkom II Manoukian, avvenuto questo venerdì mattina a Gerusalemme, è stato un “ulteriore passo” fondamentale nel dialogo ecumenico.

La visita del Papa al Patriarca si è svolta nella sede della Chiesa Patriarcale Armena Apostolica di Gerusalemme, nel Monastero di San Giacomo, dove si erano riunite alcune centinaia di fedeli.

“Il nostro odierno incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli”, ha affermato il Papa nel suo discorso a Torkom II Manoukian.

Negli ultimi decenni si è verificata, “per grazia di Dio, una significativa crescita nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena”, ha sottolineato il Pontefice, ricordando come “una grande benedizione” il suo incontro dello scorso anno con il Catholicos e Supremo Patriarca di tutti gli Armeni Karekin II e con il Catholicos di Cilicia Aram I, la cui visita alla Santa Sede, insieme ai momenti di preghiera condivisi, “ci hanno rafforzati nell’amicizia ed hanno confermato il nostro impegno per la sacra causa della promozione dell’unità dei cristiani”.

Il Pontefice ha voluto esprimere il suo apprezzamento “per il deciso impegno della Chiesa Apostolica Armena a proseguire nel dialogo teologico fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali”, dialogo che, “sostenuto dalla preghiera, ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse per il futuro”.

Un “particolare segno di speranza”, ha osservato Benedetto XVI, è il recente documento sulla natura e la missione della Chiesa preparato dalla Commissione Mista e presentato alle Chiese per essere studiato e valutato.

“Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra gli uomini e le donne del nostro tempo”, ha auspicato.

Allo stesso modo, ha chiesto ai presenti di unirsi alla sua preghiera perché tutti i cristiani della Terra Santa “lavorino assieme con generosità e zelo annunciando il Vangelo della nostra riconciliazione in Cristo, e l’avvento del suo Regno di santità, di giustizia e di pace”.

E' probabile che i primi armeni siano giunti a Gerusalemme al seguito dei romani nel I secolo a.C., ma lo stanziamento vero e proprio della comunità armena avvenne nel corso del V secolo, quando gruppi di pellegrini vi si insediarono stabilmente.

Il Quartiere Armeno occupa circa un sesto della Città Vecchia di Gerusalemme, l'estremità sud-ovest. Dopo aver raggiunto in passato un picco di circa 25.000 membri, la comunità è attualmente composta da 3.000 fedeli. Altri 2.000 vivono in altre zone della Terra Santa, soprattutto a Betlemme, Jaffa, Haifa, Ramleh e Ramallah. Il Quartiere Armeno di Gerusalemme viene chiuso la sera per riaprire alle prime luce dell'alba.

Il Patriarca Torkom II Manoukian è stato eletto nel 1990 ed è il 96° successore del Patriarca Armeno di Gerusalemme.

Anche Giovanni Paolo II incontrò il Patriarca durante il suo viaggio in Terra Santa, il 26 marzo 2000.

“Possa la nostra amicizia essere come una preghiera che sale a Dio come incenso, come il profumo del sacrificio della sera offerto sulla Croce dal suo Figlio prediletto!”, auspicò in quell'occasione, confessando di sentirsi nel Patriarcato “un fratello tra fratelli che insieme cercano di costruire la Chiesa di Cristo”.

Il Patriarcato Armeno di Gerusalemme è uno dei tre custodi dei Luoghi Santi cristiani in Terra Santa, insieme al Patriarcato Latino e a quello Greco-Ortodosso. E' sottoposto all'autorità del Catholicos dell'Armenia e di tutti gli armeni, attualmente Karekin II.

La Chiesa Apostolica Armena è infatti caratterizzata da due Catholicosati: quello di Etchmiadzin (in Armenia), residenza di Karekin II, e quello di Cilicia, con sede in Libano. I Catholicosati sono indipendenti a livello amministrativo ma in completa comunione.

Ci sono poi due Patriarcati, di Gerusalemme e di Costantinopoli, che dipendono dal punto di vista spirituale da Etchmiadzin. Il Patriarca di Costantinopoli è Mesrope II Mutafyan.
Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 22:25
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Il Papa lascia la Terra Santa: Non più muri. Israele freddo

"Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra!"

Il Papa che, sorridente, si fa poggiare sulle spalle la 'kefiah'. Il Papa che chiede una "sovrana patria Palestinese".
Il Papa che, davanti al muro israeliano in Cisgiordania (che gli israeliani preferiscono chiamare barriera difensiva), sostiene che "i muri si possono abbattere".
Papa Ratzinger lascia Israele spiegando di essere "amico" tanto degli israeliani quanto dei palestinesi, ma l'entusiasmo che lo ha accolto tra la gente della Cisgiordania non ha nulla a che vedere con il rispetto privo di polemiche aperte, ma venato di malumore e freddezza, con cui viene salutato a Tel Aviv.
Fin dalla lettura mattutina dei giornali, negli ambienti ecclesiastici si è capito che, nonostante tutti gli sforzi messi in atto dai collaboratori di Ratzinger, tra il Papa tedesco e lo Stato ebraico non è scoppiata la simpatia.
Benedetto XVI arrivava in Israele sulla scorta di una solida diffidenza, che affonda le radici nella sua biografia e nella sua coscrizione obbligatoria nella Hitlerjugend, e matura, nel corso degli ultimi mesi, con la revoca della scomunica al vescovo lefebvriano Williamson, vocale negazionista della Shoah, con la liberalizzazione della messa in latino e della sua preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei (in verità modificata da Ratzinger proprio per venire incontro agli ebrei), con il sostegno dato dal Papa alla causa di beatificazione di Pio XII, accusato dagli ebrei di aver taciuto di fronte all'Olocausto.
Eppure Ratzinger - il teologo, il Papa e, prima ancora, il cardinale - ha più volte dimostrato attenzione e affetto per l'ebraismo. Nulla da fare.
Non manca chi, in Israele, lo apprezzi e lo protegga. Il Papa compie anche gesti simbolici rilevanti, come pregare in silenzio al 'muro del pianto'.
Allo Yad Vashem, però, qualcosa non funziona.
Ratzinger non cita la sua infanzia in Germania, non parla di nazismo, non pronuncia nessun 'mea culpa' per l'antisemitismo di stampo cristiano.
Sceglie un taglio più spirituale, quasi poetico, che prescinde dalla sensibilità che gli ebrei hanno per gli aspetti storici e politici della Shoah. E non viene capito.
Qualche rabbino - compreso il presidente del memoriale Lau - parla di "occasione mancata".
Qualcun'altro lo difende. "L'uomo non ha una personalità emozionale, e quello che volevano gli israeliani era un espressione emozionale che si collegasse al dolore degli ebrei", afferma David Rosen, pontiere dei rapporti tra Gran Rabbinato e Santa Sede.
"Le critiche riflettono un'aspettativa irrealistica fondata sul precedente di Giovanni Paolo II".
Proprio alla visita di Wojtyla nel 2000 - quando pronunciò, lui sì, una sorta di 'mea culpa' - fa riferimento il 'Jerusalem post', che definisce il Papa polacco una "rock star" e il Pontefice tedesco "freddo, distante".
All'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, prima di imbarcarsi sul velivolo El Al che lo riporta a casa (non prima di averlo fornito di carta d'imbarco), Benedetto XVI torna, in realtà, sul tema dell'olocausto.
Parla degli ebrei che "furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un'ideologia di antisemitismo e odio" e ribadisce che "quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato".
Il discorso non passa inosservato in Israele, molti apprezzano, ma di nuovo c'è chi mugugna perché non ha menzionato, neppure questa volta, le responsabilità storiche della Chiesa.
E' però l'intreccio tra politica e religione, tra ebraismo e Stato di Israele, tra islam e Territori palestinesi, che, per tutto il viaggio e ancora alla sua chiusa, non fa decollare le simpatie tra israeliani e Benedetto XVI.
Secondo il quotidiano 'Haaretz', i suoi discorsi in Terra Santa si sono trasformati in una "concorrenza tra israeliani e palestinesi sul riconoscimento delle loro difficoltà e sulla giustezza delle loro cause. I palestinesi hanno vinto la competizione".
Lasciato alle spalle il discorso di Ratisbona che aveva irritato il mondo arabo-musulmano (e che continua a essere criticato, ormai, solo dagli ambienti più radicali), la società palestinese ha reagisto entusiasticamente alla visita di Ratzinger a Betlemme, con tanto di tappa in un campo profughi, immagini televisive della 'papamobile' sullo sfondo del muro israeliano, parole a favore dei diritti della "Palestina".
I palestinesi - loro sì - sentono che Ratzinger usa il loro linguaggio, intercetta la loro sensibilità, dà voce alle loro sofferenze.
Ancora oggi, all'aeroporto di fronte a Netanyahu (che ha vinto le elezioni contestanto la soluzione di due Stati per due popoli), il Papa afferma, chiaro e tondo, che venga "universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti", e che "sia ugualmente riconosciuto che il Popolo Palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente".
Che "la 'two-State solution' divenga realtà e non rimanga un sogno".
E ancora: "Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro", afferma, per poi esprimere una preghiera affinché "i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione".
I media israeliani rilanciano subito la notizia evitando di usare il termine "muro", a Ramallah Abu Mazen incassa un altro punto a suo favore.
"Non più spargimento di sangue!", ha detto il Papa davanti a Netanyahu e al presidente israeliano Shimon Peres, che lo ha accompagnato e sostenuto per tutte le giornate israliene di ratzinger. "Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento".
Nei Territori palestinesi e nel resto del mondo arabo - dove i cristiani, peraltro, sono una minoranza ignorata se non perseguitata - queste parole vengono interpretate come un 'endorsment' alla linea dell'Autorità palestinese.
Anche in Giordania, del resto, dove è iniziato il viaggio papale, re Abdullah aveva spronato il Papa a chiedere la fine della "occupazione" dei palestinesi.
E, per uno slancio di accoglienza nei confronti del Pontefice che ama la messa in latino, aveva fatto distribuire ai giornalisti presenti ad Amman anche una traduzione nella lingua di Cicerone. "...denique gentes palestinorum videant finem occupationis dolorumque", vi si leggeva. Indirizzato al Romano Pontefice che suscita entusiasmi, ormai, anche nella terra di Maometto.

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Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 22:38
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L'amicizia che nasce da una tomba vuota

Amico degli israeliani e amico dei palestinesi. Chi volesse riassumere in una sola espressione il senso politico del viaggio del Papa in Terra Santa può senz'altro riprendere le parole da lui stesso usate nel congedarsi dal Paese intravisto da Mosè morente sul monte Nebo, dai luoghi dei profeti e di Giovanni Battista, dalle strade percorse da Gesù, dalla Giudea alla Galilea e nella città santa di Gerusalemme.
Luoghi santi dove Benedetto XVI, come successore di Pietro e vescovo di Roma, è tornato in pellegrinaggio per ripetere, a nome della Chiesa cattolica, parole di pace trasparenti e univoche. Anche se - forse proprio per la loro chiarezza che disturba quanti non cercano la convivenza - alcuni non le hanno volute capire, tentando polemiche infondate che non meritano attenzione. Tanto più quando si vogliono impartire lezioni che non hanno ragione di essere.
Israeliano e palestinese, dunque, si è dichiarato il Papa tedesco. Con una sintesi forte che richiama alla memoria la celebre frase di John Kennedy, il presidente statunitense definitosi, quasi mezzo secolo fa nella Berlino divisa, un berlinese.
In questo modo Benedetto XVI ha voluto sottolineare la volontà di amicizia verso tutti i popoli della regione, sulla quale da decenni gravano le tenebre della violenza e della divisione, della guerra e della diffidenza.
Il successore del pescatore non ha armi né potere, ma confida nella parola di Cristo, nell'autorità morale delle religioni e nella ragione umana, e con questa fiducia ha incontrato diversi leader politici per sostenere quanti - e ce ne sono - operano davvero per superare la logica dei muri e gettare ponti di comprensione. Con l'obiettivo di giungere a una pace fondata sulla giustizia e sulla sicurezza per tutti, nel rifiuto del terrorismo e della violenza.
Se questo è il chiarissimo significato politico del viaggio papale, non bisogna dimenticare il rinnovato intento di amicizia verso il mondo islamico e la conferma della volontà di una profonda intesa con l'ebraismo. Importanti per questo sono stati gli incontri ad Amman, Betania, Gerusalemme, Nazaret, l'onore reso - sulle orme dei suoi predecessori - ai sei milioni di ebrei sterminati nella Shoah e la ripetuta inequivocabile condanna di ogni antisemitismo.
In Terra Santa Benedetto XVI ha confermato l'irrevocabile scelta ecumenica della Chiesa di Roma e rinnovato il sostegno alla minuscola minoranza cattolica di Terra Santa, chiamata nella sofferenza e nelle difficoltà a essere lievito di riconciliazione. Ma tutto nasce da una tomba vuota.
Quella dove avevano messo Gesù e verso la quale in una mattina di primavera, quasi venti secoli fa, corsero a perdifiato Giovanni - il più giovane, che arrivò subito e si fermò sulla soglia - e Pietro, che entrò per primo. Come di nuovo ha fatto il suo successore.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2009)


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 22:53
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IL CORAGGIO DI BENEDETTO XVI

di Alberto Bobbio

La missione di Benedetto XVI in Terra Santa ha riaperto tutti i dossier del Medio Oriente.
Negli ultimi mesi, dopo la guerra a Gaza, le elezioni in Israele e soprattutto quelle americane, tutti gli attori di questa complicata scena si erano affrettati a chiuderli, per evitare che la partita diventasse globale e quindi più esposta al giudizio interno e internazionale. Joseph Ratzinger, in Giordania e in Israele, ha rimesso tutto sul tavolo invitando il mondo a sedersi attorno. Quella supplica fatta a Tel Aviv e ripetuta a Betlemme potrà cambiare qualcosa?
Il Papa ha detto una cosa che il solito club della paura, che governa le cose in Medio Oriente, non vuole sentirsi dire, e cioè che per la pace occorre il coraggio che non si trova mai. Ratzinger ha proposto un punto di vista che è morale prima che politico, intrecciato attorno a diritti fondamentali: libertà, indipendenza, sicurezza. Praticamente ha posto il tema del diritto alla vita. Qualcuno adesso comincerà con le solite domande.
Il Papa è stato poco religioso e troppo politico? Filo-palestinese, oppure filo-israeliano? Le parole forti di Betlemme saranno naturalmente passate al setaccio, ma c’è già chi fa notare lo squilibrio rispetto al silenzio sulle minacce iraniane a Israele. La missione di Ratzinger non aveva questo scopo. Se uno decide di andare ad riaprire tutti i dossier è quasi naturale che scontenterà qualcuno, provocando precisazioni e reazioni. In Medio Oriente nessuno si mette di fronte la complessità della situazione. Di solito si propongono soluzioni facili a questioni complesse.
L’esempio del Muro è una di queste: ha fatto aumentare la rabbia. E quando il Papa ha detto che i muri si possono abbattere, come è avvenuto a Berlino, è venuto giù il cielo in Israele e il solito club della paura si è rimesso in moto.
Ma anche ad Hamas non è piaciuta la giornata del Papa a Betlemme, perché ha parlato di conflitto e non di guerra e ha evitato il termine occupazione. Allo Yad Vashem non è piaciuto il criterio universale di analisi della memoria dell’Olocausto, quasi che Ratzinger sia venuto per scipparla agli ebrei.
Il problema è che ogni visione, anche quelle strategiche, da queste parti è sempre troppo corta, povera di sforzo corale. Così falliscono. Il fatto che il Papa lo abbia detto ha dato fastidio. Allora è scattato il parallelo con Wojtyla, nel senso che Giovanni Paolo, lui sì, si è comportato bene. Al Muro del Pianto ha posato la sua mano tremante sulle pietre. A Betlemme parlò esplicitamente di diritto al ritorno. Ratzinger ha invece sbagliato tutto. A chi stima il giochetto si può far notare la scelta della Valle di Giosafat, appena sotto il Getsemani, cioè il luogo della riflessione sulle decisioni di estrema difficoltà, per la celebrazione della Messa di Gerusalemme, nella quale il Papa ha affrontato la questione cruciale della Città Santa, il problema dei problemi, su cui nessuno ha diritto di rivendicazione.
E poi la scelta di parlare al campo profughi di Haida, quello dove il Muro nessuno lo può nascondere se non abbattendolo. Non sono altrettanti gesti significativi?
Ha riaperto dossier politici con rilevanza interreligiosa e dossier interreligiosi con rilevanza politica, come quello della fuga dei cristiani dalla Terra Santa. Sul piano diplomatico ha messo fretta a tutti, aiutato dal re di Giordania. Nei prossimi giorni gli israeliani e i palestinesi andranno da Obama. Anche lui ha fretta. Netanyahu cercherà di convincerlo a rallentare, visto che non può fargli cambiare politica. Abu Mazen farà il contrario, E allora si vedrà quanto è contata la missione di Benedetto XVI.

© Copyright Eco di Bergamo, 15 maggio 2009


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 23:03
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PAPA: AMICO DEI DUE POPOLI, MA I MEDIA LO ATTACCANO

(AGI) - Tel Aviv, 15 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

''Sono venuto a visitare questo Paese da amico degli Israeliani, cosi' come sono amico del Popolo Palestinese'', ripete nel discorso conclusivo del suo pellegrinaggio in Terra Santa sottolineando che ''nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi puo' evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli.
Nessun amico puo' fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni''.
''Mai piu' spargimento di sangue, mai piu' scontri. Mai piu' terrorismo. Mai piu' guerra'', scandisce all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv tornando per l'ennesima volta in questa settimana una pace duratura basata sulla giustizia, vera riconciliazione e guarigione''.
''Il muro - confida - e' stata per me una delle visioni piu' tristi: mentre lo costeggiavo ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessita' di simili strumenti di sicurezza e separazione, ma rispettandosi e fidandosi l'uno dell'altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione''.
E ancora una volta, prima di imbarcarsi sul Boeing 777 dell'El Al, ''ricorda i tanti ebrei, madri, padri, mariti, mogli, fratelli, sorelle, amici, furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un'ideologia di antisemitismo e odio''. ''Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato.
Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor piu' gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno'', ribadisce di nuovo dopo le critiche che gli sono state rivolte per non aver citato il nazismo nella sua visita allo Yad Vashem, che si sommano agli attacchi continuati in questi giorni sui media israeliani e inglesi per il perdono concesso ai vescovi lefebvriani, deciso ignorando che uno di loro si era dichiarato negazionista.
''Ci nutriamo delle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia'', aggiunge riguardo al dialogo interreligioso che era stato interrotto a causa di quell'incomprensione e che ora e' ripreso.
Il portavoce Federico Lombardi sottolinea ai giornalisti che Benedetto XVI ''ha scelto di compere il viaggio nonostante le tensioni e le difficolta' del momento nella direzione del coraggio, che e' un coraggio cristiano, testimonianza di fede e di speranza e mi pare proprio che abbia avuto ragione, perche' il suo messaggio viene capito come un messaggio di amore, di speranza e di pace''. E in Israele - come hanno mostrato le tv intervistandoli - questo messaggio e' stato capito dalle persone comuni, mentre da parte di alcuni intellettuali sono arrivati attacchi subito amplificati dai giornali.
Ed e' apparsa clamorosamente evidente una sfasatura tra la tv - anche quella pubblica - che mostrava il Papa e i suoi gesti e faceva ascoltare le sue parole raccogliendo poi commenti largamente positivi e la carta stampata che e' apparsa monopolizzata dai critici.
Fino all'accusa mossa al Pontefice di non aver detto che la Shoah ha assassinato 6 milioni di morti, mentre proprio il giorno dell'arrivo Joseph Ratzinger proprio queste parole aveva pronunciato.
E' stata singolare anche la distanza tra le parole dette in tv ieri dal premier Netanyahu - che ha dato atto al Papa della sua condanna di ''ogni violenza, dall'antisemitismo al terrorismo'' - e la durezza del commento che gli ha attribuito il Haaretz.
Amichevole e' stato invece in ogni occasione il presidente Shimon Peres che ha espresso apprezzamento e gratitudine anche nel discorso di saluto all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. La sua visita in Terrasanta, ha detto, ha toccato ''i cuori e le menti'' di coloro che lo hanno ascoltato cosi' come ''il ricordo della Shoah e la condanna dell'antisemitismo''.
Lei, ha aggiunto Peres rivolto a Ratzinger, ha dato ''un contributo significativo allo sviluppo di nuove relazioni'' tra Vaticano e Israele e ''una profonda dimostrazione del dialogo duraturo avviato fra il popolo ebraicoe centinaia di milioni di fedeli cristiani nel mondo''.
Per Peres, in partocolare, hanno avuto ''un peso sostanziale'' le affermazioni pronunciate dal pontefice sull'Olocausto, ''la Shoah che non deve essere dimenticata o negata e sulla necessita’ di ''combattere intensamente l'antisemitismo e la discriminazione, in ogni forma e in ogni luogo''.
Il presidente Peres ha poi assicurato al Papa la volonta' di arrivare alla pace ''con i vicini e con i nemici lontani'' e ha citato l'appello di Benedetto XVI ''per una soluzione del conflitto e il suo impegno per lapromozione della pace e della sicurezza fra noi e i nostri vicini e per una vita senza paure e senza lacrime''.

© Copyright (AGI)


Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 23:12
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PAPA: SULLE ORME DI PAOLO VI CHE ABBRACCIO' ATENAGORA

(AGI) - Gerusalemme, 15 mag.

Quarantacinque anni dopo lo storico abbraccio di Paolo VI con Atenagora, Benedetto XVI si e' recato questa mattina - ultimo giorno della sua visita in Terra Santa - al Patriarcato Greco Ortodosso di Gerusalemme.
"Ho a lungo desiderato questo momento", ha confidato al patriarca Teofilo III ricambiando il suo abbraccio "con calore" e ringraziandolo "per avermi offerto questa opportunita' di incontrare ancora una volta i molti leader di Chiese e comunita' ecclesiali presenti a Gerusalemme".
"Stamani - ha detto - il mio pensiero va agli storici incontri che ebbero luogo qui, in Gerusalemme, fra il mio predecessore, il Papa Paolo VI, e il Patriarca Ecumenico Atenagora I, come pure quello fra Papa Giovanni Paolo II e Sua Beatitudine il Patriarca Diodoros".
Tutti e tre questi incontri, ha aggiunto comprendendo in essi la sua visita odierna, "sono di grande significato simbolico". L'abbraccio tra Paolo VI e Atenagora a Gerusalemme nel gennaio 1964 fu l'inizio dell'ecumenismo contemporaneo, dovuto alla volonta' di Papa Montini e alla carismatica iniziativa del Patriarca ortodosso. .
"Avendo voluto incontrarci noi due, - aveva detto Paolo VI al Patriarca - abbiamo trovato insieme il Signore. Seguiamo dunque questa via sacra che si apre davanti a noi.
E Lui stesso verra' a unirsi al nostro cammino, come lo fece una volta con i due discepoli di Emmaus". Tra il Papa e il Patriarca nacque un rapporto di amicizia, di fiducia e di comunione profonda e da allora si sviluppo' il dialogo tra cattolici e ortodossi. E nove anni fa, compiendo il medesimo gesto, Giovanni Paolo II si auguro' che "il ricordo dell'abbraccio tra Paolo VI e Atenagora I favorisca un rinnovato impegno di comunione tra cattolici e ortodossi".
Camminando dunque sui passi dei due Papi che in epoca contemporanea lo hanno preceduto a Gerusalemme, Joseph Ratzinger ha detto di sentirsi "sospinto a porre la pienezza della buona volonta', della sana dottrina e del desiderio spirituale nel nostro impegno ecumenico".
"Elevo la mia preghiera affinche' il nostro odierno incontro - ha aggiunto rivolto a Teofilo - possa imprimere nuovo slancio ai lavori della Commissione Internazionale Congiunta per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse, aggiungendosi ai recenti frutti di documenti di studio e di altre iniziative congiunte".
E ricordando infine la partecipazione del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, al recente Sinodo dei Vescovi a Roma ha espresso, nel congedarsi dal Patriarcato "profonda gioia spirituale per l'ampiezza con cui la comunione e' gia' presente tra le nostre Chiese".
Benedetto XVI si e' poi spostato a piedi dal Patriarcato Greco ortodosso alla vicina Basilica del Santo. Sepolcro, camminando tra le botteghe del quartiere cristiano della citta' vecchia. "Oggi, a distanza di circa venti secoli - ha detto dopo essere stato incensato davanti alla pietra dell'unzione e aver pregato a lungo in ginocchio all'interno della grotta dove fu deposto' Gesu' morto oggi inclusa in una piccola cappella al centro della navata - il successore di Pietro, il vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione.
Sulle orme dell'Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesu' Cristo il terzo giorno risuscito' dai morti, innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati".
"Quest'antica chiesa dell'Anastasis - ha poi aggiunto tornando sul tema dell'ecumenismo - reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelo' nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita - ha scandito rivolto ai patriarchi e vescovi delle diverse confessioni e riti presenti a Gerusalemme - guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto.
Possa - ha chiesto il Papa - la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunita' ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre - ha concluso - aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia".
Le parole e i gesti di Benedetto XVI nella Basilica del Santo Sepolcro hanno riportato oggi questo tempio straordinario - costruito da Costantino nel IV secolo e poi riedifaco piu' volte dopo distruzioni e incendi - agli onori delle cronache nella sua giusta dimensione di Luogo santo come la Basilica della Nativita' di Betlemme e il Cenacolo, che si trova sul Monte Sion, del quale la Chiesa Cattolica attende da nove anni la restituzione promessa dal Governo israeliano in occasione della visita di Giovanni Paolo II.
Il Santo Sepolcro, infatti, la scorsa Pasqua e' stato per l'ennesima volta teatro di violenze: una rissa vi e' esplosa dopo che un gruppo di fedeli armeni, ha aggredito un religioso greco-ortodosso che sbarrava loro la strada alla grotta dove fu sepolto Gesu', alla quale ogni confessione puo' accedere secondo turni molto rigidi stabiliti in base allo ''statu quo'' che all'inizio del secolo scorso fotografo' la situzione dei Luoghi Santi in attesa di un accordo tra le diverse confessioni che poi non e' mai stato raggiunto.
''Vi sono sempre tensioni tra i religiosi delle diverse confessioni che gestiscono il Sepolcro'', aveva spiegato il portavoce della polizia israeliana motivando cosi' la presenza delle forze dell'ordine che stazionano ogni giorno all'interno della Basilica ''per prevenire lo scoppio di liti o disordini''. In realta' l'alterco tra fedeli armeni e monaco ortodosso e' trasceso forse anche a causa di quella presenza armata che poco si addice a una chiesa. E gli agenti si diedero molto da fare con i loro manganelli.

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Paparatzifan
00venerdì 15 maggio 2009 23:21
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Terra Santa: la svolta di Papa Benedetto

ignazio.ingrao

Venerdì 15 Maggio 2009

Comincia da Gerusalemme la svolta di Benedetto XVI. Il viaggio pellegrinaggio in Terra santa segna un punto di non ritorno del pontificato. «Tutti si preparano ad accaparrarsi la parte migliore della torta che questa visita rappresenta» aveva detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fuad Twal, cercando di dissuadere il Papa dal progetto. «Due mesi sono troppo pochi per organizzare la visita» aveva rincarato la dose il custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa. «La guerra di Gaza potrebbe suggerire un rinvio» aveva osservato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le chiese orientali.

Il Papa non ha dato retta ai suoi collaboratori e ha voluto recarsi lo stesso in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi per un viaggio dai ritmi degni di Giovanni Paolo II. Perché tanta determinazione? Anzitutto per sostenere i cristiani in Terra santa, che sono stati decimati dall’emigrazione: nel 1947 in Israele erano circa il 7 per cento della popolazione, oggi sono meno del 2 per cento (circa 130 mila persone).

Ma soprattutto il Papa ha voluto inaugurare una nuova stagione di dialogo tra le religioni. Fino a ieri Joseph Ratzinger si è concentrato sul «dialogo tra le fedi», secondo l’impostazione che lui stesso ha fissato nel 2000 con il discusso documento Dominus Iesus: la salvezza è solo nella fede cattolica, nelle altre confessioni ci sono germi di verità che possono essere valorizzati nel dialogo che parte dai più vicini, i cristiani ortodossi, per arrivare ai più lontani, i musulmani, passando per i protestanti e gli ebrei.

Oggi Benedetto XVI mette da parte il dialogo tra le fedi e inaugura il «dialogo tra le religioni» intese come insieme di credenze, tradizioni e culture. E, per la prima volta dall’inizio del pontificato, pone le tre grandi religioni monoteiste (Cristianesimo, Islam ed Ebraismo) sullo stesso piano.

Il Papa vuole promuovere un «dialogo trilaterale» spiega Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano, volto ad arrestare «le ingiustizie, i soprusi, le violenze» compiuti in nome di Dio. Ma per avere successo in questa impresa, raccomanda Ratzinger, le tre grandi religioni devono fare affidamento sulla ragione, «illuminata dalla fede nell’unico Dio».

Si tratta di una profonda evoluzione nel pensiero del Papa, conseguenza dei malintesi e delle polemiche seguiti al discorso di Ratisbona del 2006, per quanto riguarda il rapporto con i musulmani, e al caso Williamson (il vescovo lefebvriano negazionista), a proposito del dialogo con gli ebrei.

Ma non tutti apprezzano l’iniziativa del Papa tedesco, che condanna integralismi e fondamentalismi di ogni religione, come ha dimostrato il viaggio in Terra santa. Da qui nascono le resistenze e le proteste che hanno accompagnato la visita di Benedetto XVI: i musulmani hanno criticato il riferimento al vincolo che unisce ebrei e cristiani, espresso dal Papa sul Monte Nebo, in territorio arabo-musulmano. I cristiani hanno lamentato il fatto che, giunto a Gerusalemme, il Pontefice abbia visitato anzitutto lo Yad Vashem, il memoriale ebraico dell’Olocausto. E i rabbini non sono stati soddisfatti dal discorso del Pontefice al memoriale.

«Il Papa chiede alle religioni di voltare pagina e intraprendere un cammino per la pace capace di superare i vecchi schemi» commenta Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, che da sei anni è presente in Giordania con iniziative di volontariato che coinvolgono giovani di diverse religioni.

Consapevole dei rischi di questa nuova offensiva teologico-diplomatica, Benedetto XVI ha richiamato in campo una parte della vecchia squadra di Karol Wojtyla, facendo come quegli allenatori che in vista della partita più difficile convocano i giocatori più esperti. Perciò a Gerusalemme sono rientrati in gioco svariati esponenti della curia di Giovanni Paolo II, a fianco del segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Grazie al lavoro dell’ex ministro degli Esteri vaticano, oggi presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Jean Louis Tauran, la visita del Papa alla moschea di Amman è stata un successo. Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, coadiuvato da padre Norbert Hofmann, segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, ha reso possibile la visita di Benedetto XVI allo Yad Vashem nonostante l’incidente diplomatico provocato dal caso Williamson. L’ex sostituto alla segreteria di Stato, cardinale Leonardo Sandri, promosso da Ratzinger a prefetto della Congregazione per le chiese orientali, ha convinto le comunità cristiane a sostenere la visita del Papa.

Il sottosegretario vaticano per i rapporti con gli stati, monsignor Pietro Parolin, ha portato il negoziato sull’accordo economico con Israele fino a un passo dalla conclusione. L’ex nunzio della Santa sede in Iraq, Fernando Filoni, oggi sostituto alla segreteria di Stato, ha propiziato l’incontro tra il Papa e i rifugiati iracheni accompagnato da un forte richiamo di Benedetto XVI alla protezione dei cristiani in quel paese.

Le prossime tappe saranno la verifica della possibilità di organizzare un sinodo per le chiese del Medio Oriente chiesto da alcuni vescovi e patriarchi; l’allargamento del Forum cattolico-musulmano, animato dal principe giordano Ghazi Bin Talal e dal cardinale Tauran; l’approfondimento del dialogo teologico e biblico con gli ebrei.

L’obiettivo non è solo «favorire la permanenza dei cristiani in Medio Oriente ma far sì che diventino autentico fattore di equilibrio e anima del processo di pace nell’area» spiega il vescovo maronita Boulos Sayaah.

È la nuova geopolitica di Benedetto XVI che proietta la teologia nell’orizzonte delle relazioni internazionali.


+PetaloNero+
00sabato 16 maggio 2009 01:43
Parole del Papa ai giornalisti sul volo di ritorno a Roma
“Una decisa volontà al dialogo interreligioso”



ROMA, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole rivolte questo venerdì da Benedetto XVI ai giornalisti presenti sul volo papale di ritorno a Roma, a conclusione del pellegrinaggio in Terra Santa.

* * *

Cari amici,
grazie per il vostro lavoro. Immagino come era difficile, circondato da tanti problemi, tanti trasferimenti, ecc., e vorrei ringraziare che avete accettato tutte queste difficoltà per informare il mondo su questo pellegrinaggio, invitare così anche altri al pellegrinaggio in questi luoghi santi.

Ho già fatto un breve riassunto di questo viaggio nel discorso all’aeroporto, non vorrei aggiungere molto. Potrei portare tanti, molti dettagli: la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell’esistenza umana.

Il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l’Eucaristia, dove c’è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; il Santo Sepolcro, tante altre impressioni, ma mi sembra che non sia il momento di farlo.

Forse, tre sono le impressioni fondamentali: la prima è che ho trovato dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa volontà al dialogo interreligioso, all’incontro, alla collaborazione tra le religioni.

Ed è importante che tutti vedano questo, non solo come un’azione - diciamo – per motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l’umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l’amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell’incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa.

Secondo punto: ho trovato anche un clima ecumenico molto incoraggiante. Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l’ecumenismo.

E terzo punto: ci sono grandissime difficoltà – lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito. Ma ho anche visto che c’è un profondo desiderio di pace da parte di tutti. Le difficoltà sono più visibili e non dobbiamo nascondere le difficoltà: ci sono, devono essere chiarite. Ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili per queste difficoltà.

Sono venuto come un pellegrino della pace. Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni, così proprio anche dell’Islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l’immagine della nostra esistenza, che è un camminare avanti, verso Dio e così verso la comunione dell’umanità.

Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l’unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino anche messaggeri di pace. Grazie!





Il Papa: l'Olocausto, brutale "sterminio" di un "regime senza Dio"
Una mano tesa a quanti lo avevano criticato



TEL AVIV, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è stato accusato da alcune personalità ebraiche di non aver utilizzato la parola "assassinio" e di non aver fatto riferimenti al nazismo nel suo discorso al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem. Congedandosi da Israele, il Pontefice è andato oltre a ciò che volevano i suoi accusatori, denunciando che quei morti sono stati "brutalmente sterminati" da "un regime senza Dio".

Nella cerimonia di congedo celebrata all'aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv questo venerdì, il Pontefice ha pronunciato un accorato discorso di ringraziamento, in cui ha riassunto il suo messaggio di pace per queste terre e i molti incontri di questi giorni, soffermandosi solo su uno di questi, la visita al Memoriale e il suo incontro con i sopravvissuti alla Shoah.

"Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei - madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici - furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un'ideologia di antisemitismo e odio", ha detto il Papa.

"Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso olivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno", ha aggiunto.

Alcuni rappresentanti ebraici avevano anche rimproverato il fatto che il Papa non avesse alluso alla sua origine tedesca nel discorso allo Yad Vashem. Il Papa ha risposto implicitamente citando il discorso che ha pronunciato ad Auschwitz, dove ha fatto quel riferimento (28 maggio 2006).

In quel discorso, il Papa spiegò che visitava Auschwitz "come figlio del popolo tedesco", considerando che per questo la sua visita era "un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio", condannando anche la barbarie nazista.

Con questo discorso di congedo, pronunciato davanti al Presidente israeliano Shimon Peres e al Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il Papa ha risposto alle critiche, evitando ogni polemica. Al contrario, come ha affermato, le sue erano le parole di un "amico degli israeliani".






Riunione tra il Papa e Netanyahu sulla pace in Medio Oriente
Incontro bilaterale Santa Sede-Israele sull'applicazione degli accordi



NAZARETH, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI e il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, hanno affrontato le sfide della pace in Medio Oriente nell'incontro privato che hanno avuto questo giovedì in occasione della visita papale in Terra Santa.

Nel colloquio è stato analizzato il processo di pace alla luce degli incontri che il Papa ha avuto in questo periodo con altri leader.

L'incontro, svoltosi nel convento dei francescani a Nazareth, è durato circa 15 minuti, come ha riferito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi S.I.

Concluso l'incontro privato, il Papa e il Primo Ministro israeliano hanno partecipato insieme alla riunione delle due delegazioni sulle trattative bilaterali tra Santa Sede e Israele per l'attuazione dell'Accordo Fondamentale e sulle difficoltà per il rilascio dei visti per il personale religioso.

La delegazione vaticana era composta, tra gli altri, dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, dal Sostituto della Segreteria di Stato, l'Arcivescovo Fernando Filoni, e dal Nunzio in Israele, l'Arcivescovo Antonio Franco.






Benedetto XVI: “possa la speranza levarsi sempre di nuovo”
Durante la visita nella Basilica del Santo Sepolcro

di Mirko Testa


GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il culmine del pellegrinaggio papale sulle orme di Gesù e tra le pietre vive della Terra Santa è stato una invocazione accorata affinché ritorni a sbocciare la speranza in questa terra martoriata da conflitti e tensioni apparentemente insanabili.

Dopo aver preso parte all’incontro ecumenico presso il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, Benedetto XVI ha percorso le vie strette della città vecchia per recarsi alla Basilica del Santo Sepolcro.

Sulla porta è stato accolto dai Padri di Terra Santa insieme ai rappresentanti del Patriarcato greco-ortodosso e della Chiesa armena apostolica, che in base allo “statu quo”, il decreto imperiale emesso dal Sultano turco nel 1852, sono i principali responsabili della vita delle 6 comunità cristiane presenti all'interno della Basilica.

Subito dopo padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, si è inginocchiato per baciare la “Pietra dell'Unzione”, il marmo che ricorda il luogo dove Gesù, deposto dalla croce, venne cosparso di unguenti.

“Il suo pellegrinaggio in Terra Santa – ha detto padre Pizzaballa – si conclude proprio qui, al Sepolcro vuoto di Cristo. Come non ricordare in questo momento la corsa di Pietro apostolo al Sepolcro, insieme al discepolo che Gesù amava, subito dopo la sua risurrezione?”.

“Da allora milioni di pellegrini sono giunti qui per compiere lo stesso gesto. Venire a vedere il Sepolcro vuoto – ha aggiunto –. Piegarsi per entrare nel Sepolcro e toccare queste pietre, testimoni fino ai nostri giorni, di quell’evento straordinario”.

“Il messaggio del Sepolcro vuoto non è una sorta di omaggio di pietà, ma è anzi un annuncio di gioia e di slancio, un guardare sempre al di là dell’orizzonte fino a scorgere i profili dell’alba”, ha proseguito.

“Grazie, Beatissimo Padre, per la sua alta testimonianza di Pace, consegnataci in questi intensi giorni di pellegrinaggio – ha detto il Custode di Terra Santa – . Ci sproni, ora, a seguire Gesù ovunque, senza paura, con la gioia dei figli, amati e salvati”.

C'è quindi stato l'Ingresso solenne del Papa, secondo il cerimoniale riservato molto tempo fa a tutti i gruppi di pellegrini che si recavano al Santo Sepolcro e che venivano accolti ufficialmente dal Custode di Terra Santa, incaricato da Papa Clemente VI con una bolla del 1342 di risiedere a Gerusalemme e di accogliere i fedeli.

Attraversata poi la porticina alta appena un metro e trentatré centimetri che permette di accedere al Sepolcro, il Santo Padre si è quindi inginocchiato per baciare la lastra di marmo che ricopre la roccia originale sulla quale venne deposto il corpo senza vita di Gesù.

Successivamente, nel rivolgere un breve saluto al Santo Padre il Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, ha detto “ora, siamo venuti in processione dalla pietra dell'Unzione alla Tomba vuota cantando il Te Deum, il grande inno di lode e di azione di grazie a Dio”.

“Questo Te Deum, lo cantiamo per esprimere la nostra gioia che Lei abbia potuto effettuare questo pellegrinaggio malgrado la situazione così complicata, il carico assai pesante che Lei porta e la conseguente fatica”, ha detto.

“Come Lei lo può costatare, Beatissimo Padre, la distanza tra la tomba della Resurrezione e il Golgota è assai breve”, ha osservato.

“Ugualmente noi speriamo – ha continuato – che, grazie alla preghiera della Chiesa, con l'impegno della comunità internazionale e per l'azione di tutti gli uomini di buona volontà, non resterà lontano dalle nostre croci quotidiane l'evento della pace e della giustizia”.

“Né il conflitto, né l'occupazione, né i muri di separazione, né la cultura di morte, né l'emigrazione dei cristiani non giungeranno ad abbattere il nostro morale, a spegnere la nostra speranza e ad immergerci nella gioia!”, ha esclamato infine.

Nel suo discorso il Papa ha ricordato che “qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata”.

“La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita”, ha detto.

“Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre!”, ha esclamato.

“Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace”, ha poi continuato.

“La Chiesa in Terra Santa – ha sottolineato quindi il Santo Padre –, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama”.

“Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace”, ha concluso.

Infine il Papa si è recato nella Cappella delle Apparizioni per sostare in adorazione davanti al santissimo sacramento, prima di salire al Golgota per raccogliersi di nuovo in silenziosa preghiera sul luogo del Calvario.




La visita del Papa segna una rinascita nei rapporti interreligiosi
Spiega padre Caesar Atuire

di Mercedes de la Torre

GERUSALEMME, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Terra Santa, terminata questo venerdì, ha portato una "rinascita" nelle relazioni tra ebrei, musulmani e cristiani, sostiene padre Caesar Atuire, responsabile dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Compiendo un bilancio del pellegrinaggio che ha portato il Papa in Giordania, Israele e Territori palestinesi, il sacerdote ne ha sottolineato l'ultima tappa simbolica, la visita al Santo Sepolcro, che ha avuto luogo poche ore prima che si imbarcasse per tornare a Roma.

"Il Santo Sepolcro è il luogo della resurrezione di Gesù Cristo - ha osservato -. Questo luogo segna una rinascita nella storia dell'umanità. E credo che la visita di Benedetto XVI qui in Terra Santa sia stata un momento per la rinascita delle relazioni tra cristiani, musulmani ed ebrei".

Padre Atuire ha citato come esempio le parole pronunciate dal Presidente di Israele Shimon Peres davanti al Papa, quando ha detto che mai in duemila anni di storia i rapporti tra ebrei e cristiani sono stati migliori.

"Il Papa ha scacciato le paure e le preoccupazioni esistenti prima della visita e si è sgombrato il campo per stabilire una nuova tappa nei rapporti tra cristiani ed ebrei", ha constatato.

"E lo stesso è accaduto con i musulmani. Basta ascoltare il discorso di questo giovedì a Nazareth del rappresentante musulmano per vedere che ha inizio una nuova tappa".

Padre Atuire ha ricordato che "nei quattro anni di pontificato di Benedetto XVI ci sono state tensioni con ebrei e musulmani e i mezzi di comunicazione hanno dato a intendere che con questo Papa le relazioni interreligiose hanno subito un peggioramento".

"Questo viaggio dimostra però che tali accuse non hanno fondamento. In questo senso, man mano che il viaggio evolveva è aumentato l'entusiasmo, fino al momento in cui il Papa ha preso per mano ebrei, musulmani e drusi e tutti insieme hanno cantato chiedendo a Dio la pace. E' stato il culmine di questo viaggio".

Per padre Atuire, la visita avrà anche un importante impatto tra i cristiani di Terra Santa, "che si sentono lontani dal resto del mondo. La visita del Papa ha fatto sentire loro la vicinanza della Chiesa universale e li ha confermati nella loro vocazione: essere lievito di pace per la terra".

"Anche se pochi, possono fare la differenza perché la pace giunga in questa regione - ha riconosciuto -. Hanno una vocazione al servizio della Chiesa e del mondo".

Dopo la visita papale, il sacerdote pensa che si possa "sperare che il processo di pace, che cammina con grandi difficoltà, inizi a prendere velocità. Ci sono molti elementi convergenti che stanno cercando la pace in questa terra e la visita del Papa ha dato molto coraggio a quanti cercano la pace".

"Il Papa ha confermato a Mahmoud Abbas, Presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, la necessità di creare due Stati, che vivano in sicurezza e collaborazione, garantendo il diritto al libero movimento, in cui i cittadini possano vivere in dignità con le proprie famiglie. In questo senso, è una pace non solo politica, perché nasce dal cuore".

Dopo questo viaggio, l'amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi (http://www.orpnet.org), che ha tra i suoi obiettivi quello di evangelizzare visitando i Luoghi Santi, considera che la visita del Papa "ci conferma nella nostra missione e ci esorta a portare più pellegrini in Terra Santa".

"I pellegrinaggi - ha concluso - sono anche un modo straordinario per promuovere la pace, perché suscitano contatti e amicizie, e il modo migliore per porre fine ai pregiudizi è conoscersi".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]






Il Papa trae dalla visita in Terra Santa "tre impressioni fondamentali"
Nel viaggio di ritorno commenta con i giornalisti il suo pellegrinaggio



ROMA, venerdì, 15 maggio 2009 (ZENIT.org).- Per Benedetto XVI non è facile descrivere la visita che ha appena concluso in Terra Santa. Lo ha confessato ai giornalisti presenti sull'aereo della compagnia israeliana El Al che lo ha riportato a Roma questo venerdì pomeriggio dopo una settimana in Giordania, Israele e Territori palestinesi.

Dopo averli ringraziato per aver affrontato non poche difficoltà "per informare il mondo su questo pellegrinaggio", il Papa ha ammesso che oltre al breve riassunto del viaggio che ha fatto nel discorso di congedo all'aeroporto di Tel Aviv potrebbe portare ancora "tanti, molti dettagli".

A questo proposito, ha citato "la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, che per noi è anche un simbolo della discesa di Dio, della discesa di Cristo nei punti più profondi dell'esistenza umana."; "il Cenacolo, dove il Signore ci ha donato l'Eucaristia, dove c'è stata la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo; il Santo Sepolcro".

Ad ogni modo, ha riconosciuto che le "impressioni fondamentali" suscitate dalla sua visita sono sostanzialmente tre, a cominciare dal fatto di aver trovato "dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa volontà al dialogo interreligioso, all'incontro, alla collaborazione tra le religioni".


"E' importante che tutti vedano questo, non solo come un'azione - diciamo - per motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l'umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l'amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell'incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa", ha confessato.


In secondo luogo, il Pontefice ha confessato di aver trovato "un clima ecumenico molto incoraggiante".

"Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l'ecumenismo", ha spiegato.


Il terzo elemento che ha colpito Benedetto XVI è la constatazione che "ci sono grandissime difficoltà - lo sappiamo, lo abbiamo visto e sentito", ma c'è anche "un profondo desiderio di pace da parte di tutti".

Le difficoltà "sono più visibili" e "devono essere chiarite", ha aggiunto, "ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili per queste difficoltà".


Il Papa ha quindi ribadito di essersi recato in Terra Santa "come un pellegrino della pace", ricordando che il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni, tra cui l'ebraismo e l'islam.

"È anche l'immagine della nostra esistenza, che è un camminare avanti, verso Dio e così verso la comunione dell'umanità", ha rimarcato.

"Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l'unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino anche messaggeri di pace", ha concluso.
+PetaloNero+
00sabato 16 maggio 2009 15:52
Il cardinale Tarcisio Bertone: i gesti del Papa, un invito alla speranza. Interviste con il cardinale Ennio Antonelli e padre Samir Khalil Samir


Uno dei principali accompagnatori del Pontefice, nei giorni del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è stato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Ecco il suo commento al microfono del nostro inviato, Roberto Piermarini:

R. - La parola del Papa, i gesti del Papa, sono stati per tutti un esempio di incoraggiamento, di speranza e di dialogo. Con obiettivi concreti, il Papa ha focalizzato piste concrete, direzioni fondate sul comandamento dell’amore, che è la parola comune di cristiani, di ebrei e di musulmani. Tutti speriamo che il Papa - e tutti i suoi collaboratori, nei loro distinti ruoli e nella loro missione, che è una missione di pace alla sequela del Papa - portino frutti abbondanti e stabili in questa regione.


D. - Dovrà portare frutti anche per quanto riguarda la Commissione per gli Accordi fondamentali, visto che sono molti anni che non riesce a decollare…


R. - Il colloquio con il capo del governo Netanyahu è stato molto positivo e ha toccato punti concreti con impegni concreti. Quindi, speriamo di decollare e anche in questo di raggiungere gli obiettivi che tutti ci aspettiamo.


D. - Eminenza, si torna dalla Terra Santa sempre con una forte emozione. Qual è l’aspetto che ricorda con maggiore intensità, lei personalmente, di questo pellegrinaggio?


R. - Pensiamo soprattutto a Betlemme - non dico solo Betlemme nei Territori palestinesi, ma Betlemme luogo della nascita del Figlio di Dio fatto uomo. Pensando a tutti i bambini del mondo, ricordo la visita all’ospedale pediatrico: in quel momento ho pensato un po’ al futuro che attende tutti i bambini e i giovani del mondo e credo che tutti abbiamo pregato per loro. Tutti vogliamo costruire un mondo senza muri, senza violenza, dominato dal comandamento dell’amore, e preparare un futuro di pace e di serenità per tutti i bambini e i ragazzi del mondo.


I giornali di tutto il mondo hanno ripreso e commentato i molti discorsi pronunciati da Benedetto XVI nei giorni del suo pellegrinaggio. Padre Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane e docente di Islamistica alla Saint Joseph University di Beirut, ritiene che con la sua presenza e le sue parole improntate alla pace il Papa abbia potuto incidere in profondità nella realtà del Medio Oriente. Le sue impressioni al microfono di Luca Collodi:

D. - A me sembra che sia così, perché il Santo Padre è riuscito a dire la parola di verità e di buon senso, a promuovere un progetto basato sulla giustizia, sui bisogni di ogni essere umano. Un progetto in sintonia con il desiderio di israeliani palestinesi, espresso in termini di pace, di dialogo, di giustizia, di sicurezza. Nessuno ha potuto tirare a sé l’opinione del Papa, perché lui cerca di proporre un progetto di pace basato sulla giustizia e sul diritto.


D. - Padre Samir, un altro aspetto molto importante per il futuro di pace della Terra Santa ruguarda il ruolo delle religioni. Il Papa ha detto chiaramente “no” all’uso violento della religione. Non è la prima volta che lo dice, ma lo ha ripetuto in maniera forte in Terra Santa. Anche questo è un altro elemento fondamentale…


R. - E’ il fondamento di tutto il suo Pontificato. L’ha ripetuto in Giordania, sotto tutte le forme, soprattutto a Madaba ed alla Grande Moschea, e l’ha ripetuto in Israele, in Palestina, ovunque. Il Papa, già dal Monte Nebo, ha detto: da una parte i tre monoteismi hanno in comune tante cose, dall'altra però c'è il rischio che la religione sia corrotta da altri desideri: dalla politica, dalle ideologie nuove e vecchie, usandola per la politica, usandola per la violenza. In fin dei conti, si rifà al discorso che afferma che senza la ragione non ci sarà mai pace e che la religione ha questo scopo: unita alla ragione, può offrire una strada a tutti i popoli, una strada di pace nella giustizia. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


Giovedì scorso, durante la Messa celebrata presso il Monte del Precipizio a Nazareth, il Papa ha benedetto, al termine della celebrazione, la prima pietra per il Centro internazionale della famiglia, che sorgerà nella città dell’Annunciazione. Il nostro inviato, Roberto Piermarini, ha chiesto al cardinale Ennio Antonelli, presidente del , quali siano le finalità del nuovo Centro:

R. - Si tratta di una casa di accoglienza, che sarà destinata sia alle famiglie della Terra Santa, per momenti di spiritualità, sia alle famiglie che vengono in pellegrinaggio da ogni parte del mondo, ugualmente per momenti forti di spiritualità, e sia anche per gli operatori della Pastorale familiare per corsi brevi, esperienze, itinerari di formazione intensiva. Lo spazio non è molto, quindi per l’alloggio è prevista una cooperazione con altre strutture vicine. La casa è stata voluta da Giovanni Paolo II, e il cardinale Lopez, mio predecessore, si è dato da fare per raccogliere i primi fondi per fare un progetto di massima. Adesso si tratta di continuare questo lavoro, sia raccogliendo ulteriori fondi e sia anche rivedendo il progetto per adattarlo bene alla situazione attuale. Si tratta anche di affidare il tutto, la costruzione e la gestione, a qualche soggetto ecclesiale, che dia assoluto affidamento, in modo che la Santa Sede possa fare una convenzione con questa realtà ecclesiale.


D. - Perché è stata scelta qui in Terra Santa, proprio Nazareth?


R. – E’ intuitivo, perché Nazareth vuol dire Santa Famiglia e vuol dire anche protezione per tutte le famiglie e modello per tutte le famiglie cristiane del mondo, vuol dire luogo di inesauribile ispirazione.


D. - In questo viaggio in Terra Santa, ha sentito le necessità, le difficoltà che vivono le famiglie?


R. - Certamente, le difficoltà sono grandi. La cosa che mi ha colpito di più è stata la ricchezza di iniziative dei francescani, del Patriarcato latino, degli altri Patriarcati, per aiutare le famiglie. Per esempio, costruzioni di nuovi alloggi dati, o gratuitamente o a modico affitto, alle famiglie, perché possano avere una casa, perché possano rimanere più facilmente in questo Paese, da dove tanti cristiani sono già partiti per emigrare in altre parti del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







Padre Lombardi: viaggio del messaggio e dell'ascolto


Sul messaggio lasciato dal Papa alla Terra Santa ecco la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il messaggio che il Papa ha dato è stato un messaggio molto corrispondente a quello che egli aveva annunciato, un messaggio di pace, con molte sfaccettature diverse: pace fra gli Stati, pace fra le diverse religioni, pace fra i diversi riti della Chiesa cattolica e le diverse confessioni cristiane. Però, non è stato solo il viaggio del messaggio del Papa, che parla agli altri, ma è stato molto un viaggio del Papa che ascolta. Benedetto XVI è una persona che ascolta molto, con molta attenzione. Le persone che incontra sono persone che egli ascolta, da cui egli riceve molto. Ebbene, in questo viaggio lui ha ascoltato tantissimo. Ha ascoltato gli uomini politici di tre Stati differenti: la Giordania, Israele e i Territori palestinesi, con le loro tensioni; uomini religiosi, di tre religioni differenti, gli ebrei, i rabbini, i muftì, i capi musulmani in Giordania, in Israele e nei territori, i cristiani dei diversi riti, con i loro problemi differenti, delle diverse confessioni. Un ascolto continuo, ricchissimo, fatto con grande pazienza e con grande attenzione. E questo gli ha dato, credo, una grande esperienza, molto profonda, di cosa è la realtà umana e spirituale della Terra Santa e quindi qual è poi la profondità a cui si deve porre il cammino di pace, come ricerca di dimensioni, di ascolto, di intesa e di dialogo spirituale, culturale, sociale, politico e così via. Quindi, viaggio del messaggio e viaggio dell’ascolto. Queste sono le due dimensioni fondamentali, che mi sembra risultino, per quanto riguarda il Papa e il modo in cui ha camminato.

D. – Un pellegrinaggio sulle orme di Gesù qui in Terra Santa, ma anche un pellegrinaggio ai santuari delle altre due religioni monoteiste…

R. – Esattamente. Il Papa è venuto qui, come vengono tutti i cristiani, tutti i credenti, per ritrovare i luoghi fondamentali della nostra fede. Questo, però, è rimasto molto discreto, quasi sottotraccia, quasi meno evidente, perchè non era l’aspetto che richiamava di più l’attenzione del grande pubblico, della stampa internazionale. Il Papa è stato anche pellegrino ai luoghi santi delle altre grandi religioni con cui parlava: è stato a Yad Vashem, è stato al muro occidentale, è stato nella moschea in Giordania, è stato nella Cupola della Roccia. Quindi, è andato proprio in quei luoghi per i quali egli chiede per tutti la libertà di accesso. Il Papa, e la Chiesa, chiede anche lo statuto speciale per Gerusalemme e la possibilità di libero accesso ai luoghi santi delle tre religioni. Il Papa è stato pellegrino ai luoghi santi delle tre religioni. Direi che ha dato un grande esempio di che cosa vuol dire anche atteggiamento di dialogo interreligioso.

D. – Soprattutto, nella stampa araba ha colpito molto il coraggio di questo Papa nel suo incontro con il popolo palestinese...

R. – Certamente, credo anch’io che sia stato un viaggio di coraggio e di speranza allo stesso tempo. Il Papa era consapevole di venire in una situazione ricca di tensioni. Non è un momento facile per il Medio Oriente, per la Terra Santa e per Gerusalemme. Il Papa lo sapeva molto bene e ci si era anche domandati se era opportuno che egli venisse. Però, come già il suo predecessore, tutte le volte in cui ci sono stati dei dubbi e le persone prudenti, e anche ben intenzionate, dicevano: “Ma no, abbiamo prudenza, rimandiamo...” ha scelto nella direzione del coraggio, che è un coraggio cristiano, che è una testimonianza di fede e di speranza e mi pare proprio che abbia avuto ragione, perché poi il suo messaggio passa, il suo messaggio viene capito come un messaggio di amore, di speranza e di pace. Il Papa nei territori palestinesi ha ribadito delle linee che non sono particolarmente nuove, sono quelle della linea della Santa Sede sui temi delle vie con cui trovare la pace nella giustizia in queste terre. Dire, però, queste cose, davanti al muro, dirle nel campo dei rifugiati, dirle incontrando anche gli uomini politici d’Israele non è facile, ma i discorsi del Papa sono stati sempre estremamente equilibrati e quindi accettabili e rispettati dall’una e dall’altra parte. Egli ha sempre detto che si deve cercare veramente la pace e la riconciliazione per tutti, per l’una e per l’altra parte.

D. – Quale messaggio lascia Benedetto XVI alla Chiesa locale della Terra Santa?

R. – L’incontro con la Chiesa locale è diventato sempre più evidente, soprattutto negli ultimi giorni: il giorno di Betlemme e il giorno di Nazareth, con le grandi celebrazioni, e quella di Gerusalemme, la sera prima, che ne è stata un’introduzione. Direi invece che la Messa di Betlemme e la Messa di Nazareth sono state delle grandi feste, grandi. Non c’erano mai state. Sono state anche più grandi di quelle avvenute con Giovanni Paolo II. Questa è una cosa da osservare: Giovanni Paolo II era il primo Papa che apriva certe vie, il primo che andava al Muro del Pianto, il primo che andava nella moschea e così via. Quindi, Benedetto XVI non aveva l’effetto novità che poteva avere Giovanni Paolo II, però ha confermato una continuità, l’andare avanti sulla stessa linea. E per quanto riguarda la Chiesa va avanti anche con questi grandi momenti di festa e di celebrazione comune, numerosa, per delle comunità che sono in minoranza e che si sentono piccole, povere e disperse. Quindi, credo un momento di grande fiducia, vissuto dalle comunità cristiane locali, che è proprio quello che il Papa desiderava dare loro: una fiducia garantita dalla fede, evidentemente, ma anche con quella esperienza umana e cristiana dell’essere insieme nella celebrazione, che segna con questa esperienza vissuta e visibile una tappa di speranza che cresce.



[Radio Vaticana]
Paparatzifan
00sabato 16 maggio 2009 21:14
Dal blog di Lella...

Benedetto XVI Papa, teologo e dopo la Terra Santa anche capo di Stato

mag 16, 2009 il Riformista

Ha in qualche modo ragione il quotidiano Haaretz quando scrive - la stessa tesi la fa propria Le Monde - che «la missione di Benedetto XVI in Israele è stata molto politica».
Ha meno ragione quando condisce la cosa in termini negativi dicendo che per questo motivo chi «ha vinto» sono stati i palestinesi. Ma il carattere principalmente politico del dire e del fare del Papa in Giordania e Israele resta.
Come resta un altro dato: le cose non potevano che andare così, almeno se si paragona questo viaggio a un altro, quello in Terra Santa di Giovanni Paolo II nel 2000, un viaggio che fu pieno di contenuti politici ma percepiti dai più principalmente in termini profetici.
Wojtyla arrivò in Terra Santa con una biografia d’un certo tipo. Alla vecchia domanda yiddish: «Sarà buono con noi?», egli seppe rispondere positivamente fin dall’inizio del suo pontificato.
Era anche avvantaggiato rispetto a Ratzinger: polacco, aveva sperimentato sulla propria pelle le medesime sofferenze patite dagli ebrei durante il nazismo. Era naturale, dunque, che gli ebrei lo sentissero vicino a loro. Fu lui a definirli i «fratelli maggiori» della Chiesa cattolica. Con loro Wojtyla aveva messo in campo relazioni e aperture storiche. Egli, poi, arrivava in Terra Santa già molto malato. E la cosa lo agevolò molto a tingere di profezia i contenuti del viaggio stesso. Quanto all’islam, il 2000 non era il 2009.
Un certo fanatismo di stampo islamico non era ancora del tutto recepito nel mondo occidentale e, dunque, quanto ai rapporti coi musulmani, il suo arrivo era meno sentito.
Benedetto XVI è atterrato in Terra Santa avvertito come un nemico. Non che egli sia nemico del popolo ebraico, né dei musulmani, ma l’immagine che di sé entrambi i popoli hanno di lui non è totalmente positiva.
Perché una parte del mondo ebraico lo considera un nemico è presto detto: è a motivo del suo essere tedesco. Nemico per quel sospetto, ancora non sopito del tutto, che la sua nazionalità sia sinonimo d’un antisemitismo cronico, insito consapevolmente o meno anche nel suo dna. Paradossalmente, se Wojtyla in quanto polacco aveva gioco facile con gli ebrei e difficile con gli ortodossi di Mosca, col tedesco Ratzinger al soglio di Pietro le cose si sono ribaltate: Benedetto XVI, nonostante la sua posizione in merito, fatica con gli ebrei mentre veleggia col patriarcato moscovita.
Quanto all’islam, Ratisbona resta per una parte più estremista della galassia musulmana una macchia che qualsiasi gesto successivo ha faticato a cancellare.
Fatte queste premesse, Benedetto XVI in Giordania e Israele ha fatto il massimo. Se nel 2000 il Corriere della Sera titolava l’articolo di presentazione del viaggio di Wojtyla per la Terra Santa così: Il viaggio più difficile. Una settimana fa avrebbe dovuto usare un titolo più forte, sì da rendere esplicite le asperità di gran lunga maggiori che sulla carta aveva davanti il Pontefice tedesco.
Ratzinger si è mosso bene: sui temi sensibili per l’islam e l’ebraismo ha ribadito il suo pensiero forte senza dire di più di quanto fosse lecito, mentre ha puntato molto sull’analisi politica della situazione mediorientale concedendo punti di vista noti ma conditi di qualche novità (del muro nei termini espliciti usati in questi giorni non aveva mai parlato).
Due giorni fa l’Economist ha fatto un’analisi impietosa del viaggio dicendo che Benedetto XVI in Terra Santa «ha aggiunto alla lista un altro disastro nelle pubbliche relazioni». In sostanza il settimanale inglese ha collazionato le critiche principali che sono state mosse a Ratzinger in questi giorni: allo Yad Vashem ha parlato di milioni di ebrei vittime dell’Olocausto e non di sei milioni.
Ha parlato della tragedia della Shoah senza attribuirne la colpa (cioè non ha citato i nazisti) e, dunque, non facendo mea culpa. E poi ha creato malcontento anche in una parte del mondo islamico che voleva accuse più vivaci alla politica israeliana nella regione.
L’analisi è, appunto, impietosa. Ed è tra l’altro uscita prima del congedo di ieri nel quale il Papa ha detto che la Shoah fu lo sterminio perpetrato «sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio».
Ma pur nella sua impetuosità dice di una difficoltà reale che Benedetto XVI aveva davanti e che Wojtyla, invece, non ebbe: un pregiudizio sulla sua persona forse inestirpabile.
Ratzinger era consapevole di questo pregiudizio: già lo sperimentò a Ratisbona, durante il recente conflitto di Gaza, in Africa, e in modo potente in occasione della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani dei quali uno, il noto Richard Williamson, negazionista sulla Shoah. Ma non si è dato per perso. Ha voluto portare fino in fondo ogni cosa, superando anche le titubanze d’una parte del Vaticano spaventata dalle paure espresse dai cristiani residenti in Israele e nei territori per una visita che avrebbe potuto essere uno spot pro Israele ai danni dei palestinesi.
Benedetto XVI non è caduto in nessuna trappola. Ha mostrato quanto sia necessario un serio dialogo interreligioso.
È lui che lo vuole prima degli altri. È lui che lo vuole con l’ebraismo fondato sull’inscindibile legame che accomuna le due religioni e con l’islam sganciato d’ogni riferimento teologico: un dialogo, dunque, basato sulla ragione, su una sapienza etica che viene prima della teologia.
Affondato il colpo sul dialogo con islam ed ebraismo, condannato l’antisemitismo e ogni tesi negazionista, ha spostato l’attenzione sull’analisi politica, facendo in qualche modo il percorso inverso di quello fatto da Wojtyla nel 2000. Giovanni Paolo II, ribadita la sua idea politica quanto a Israele e a una «patria palestinese», virò con forza sul profetismo, su ciò che, in quanto polacco, si poteva permettere maggiormente: i musulmani, disse, sono nostri «fratelli» mentre gli ebrei sono «fratelli maggiori», talmente maggiori che nei loro confronti la Chiesa cattolica fa un gesto di mea culpa.
Ratzinger, invece, si è indirizzato subito sulla praticità. Come dire, parliamo prima di cose concrete: sulla tesi dei due Stati, sul muro «segno tragico», sui cristiani che debbono restare dove sono perché parte integrante di quella martoriata terra, sulla pace alla quale debbono contribuire tutti. E ieri, partendo per Roma, non a caso davanti al premier israeliano Benjamin Netanyahu e al presidente Shimon Peres, ha ridetto con parole ancora più forti la sua agenda politica: «Sono amico di entrambi i popoli non posso fare a meno di piangere per le loro sofferenze»; il «muro è stata una delle visioni più tristi»; date «uno Stato a Israele» e un patria «indipendente e sovrana» ai palestinesi (concetto ripreso nel titolo di oggi dell’Osservatore Romano, un titolo che enfatizza l’aspetto politico: Due Stati in Terra Santa, una realtà possibile. Insomma, le stesse condizioni politiche a entrambi: non hanno, dunque, vinto solo i palestinesi come scrivevano Haaretz e Le Monde.

© Copyright Il Riformista, 16 maggio 2009


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