Viaggio apostolico in Giordania e Israele

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Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 16:11
Dal blog di Lella...

Il Papa: la comunità internazionale difenda i cristiani iracheni

Fa appello perché sia loro assicurato “il fondamentale diritto di pacifica coesistenza”

di Mirko Testa

ROMA, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).

La comunità internazionale compia ogni sforzo necessario per assicurare ai cristiani iracheni il giusto diritto di cittadinanza nel loro paese.
E' stato l'appello lanciato da Benedetto XVI nel visitare questo sabato mattina la Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman.
Nel discorso rivolto per l'occasione di fronte ai Capi religiosi musulmani, al Corpo diplomatico e ai Rettori delle Università giordane, il Santo Padre ha richiamato il dramma dei fedeli iracheni, salutando Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, presente all'incontro insieme a mons. Shleimun Warduni, Vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei.
“La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania”, ha detto il Papa.
L'invasione delle truppe statunitensi in Iraq nel 2003 ha spinto circa 1,8 milioni di persone a trovare scampo nei paesi limitrofi. In particolare, i rifugiati iracheni di religione cristiana, che vivono attualmente in Giordania, sono in tutto all'incirca 20 mila.
“Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni”, ha sottolineato il Santo Padre.
Successivamente il Pontefice ha espresso il proprio “apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società”.
“Ancora una volta – ha concluso – , chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”.
A testimoniare la sensibilità del Santo Padre su tali questioni, 40 bambini della comunità caldea dei rifugiati iracheni – secondo quanto rivelato dall'agenzia SIR – riceveranno la Prima Comunione dalle mani Benedetto XVI, domenica 10 maggio, nel corso della Messa nell’International Stadium di Amman.
Le parole del Papa riflettono un dramma che continua a consumarsi nel silenzio di gran parte della stampa, nonostante l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) abbia annunciato di voler rivedere, per la prima volta dalla fine del 2007, le linee guida che stabiliscono i criteri di accettazione dei richiedenti asilo iracheni, alla luce del miglioramento della situazione in Iraq.
Nella sua Relazione 2009 la Commissione negli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF) ha infatti indicato l'Iraq come un paese che continua ad essere fonte di preoccupazioni.
E' notizia del 26 aprile scorso l'uccisione di tre cristiani a Kirkuk, a opera di alcuni uomini armati, che segue da vicino l'omicidio di altri 4 cristiani a Kirkuk, Baghdad e Mosul.
Secondo quanto riferito dal sito “Baghdadhope” i Vescovi che hanno partecipato al recente Sinodo della Chiesa caldea tenutosi nel seminario di Ankawa, nel nord dell' Iraq, hanno chiesto al governo iracheno di facilitare il ritorno dei rifugiati e degli sfollati iracheni cristiani anche attraverso una politica di compensazione che rafforzi la presenza cristiana.

© Copyright Zenit


Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 16:16
Dal blog di Lella...

Papa/ Benedetto XVI in raccoglimento dentro moschea di Amman

Lombardi: Nessuna preghiera cristiana in luogo musulmano

APCOM

Il Papa "ha sostato in raccoglimento" all'interno della moschea al-Hussein Bin Talal di Amman (Giordania): lo ha riferito il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, che ha precisato che Benedetto XVI non ha "pregato" nel luogo di culto musulmano.
"Non sarebbe esatto dire che il Papa ha pregato nella preghiera - ha spiegato Lombardi rispondendo alle domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa ad Amman - ma è giusto dire che ha sostato in raccoglimento rispettoso in un luogo dove innumerevoli persone pregano e si rivolgono anch'esse davanti a Dio".
Benedetto XVI, ad ogni modo, non ha recitato "una preghiera cristiana in un luogo di culto di un'altra religione".
Papa Ratzinger, peraltro, non si è tolto le scarpe nell'entrare nella moschea giordana. "Il Papa - ha spiegato il direttore della sala stampa vaticana - non si è tolto le scarpe. Era pronto a farlo ed alcuni del suo seguito, tra cui io, lo abbiamo fatto, ma gli accompagnatori non hanno chiesto cche si togliessero le scarpe perché avevano preparato degli itinerari con stuoie molto spesse su cui era previsto che gli ospiti potessero camminare".
Benedetto XVI è stato guidato, nella moschea, dal principe Ghazi Bin Talal e dall'architetto che aveva progettato la moschea. La visita è durata alcuni minuti.

© Copyright Apcom


Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 16:26
Dal blog di Lella...

Gerusalemme, la Caritas denuncia

I cristiani costretti a restare a casa durante la visita di Benedetto XVI, afferma l'organizzazione cattolica.

MARCO TOSATTI

La Caritas di Gerusalemme, citando il quotidiano arabo gerusalemita Al Quds, ha reso noto che la polizia israeliana ha ordinato "per ragioni di sicurezza" ai cristiani abitanti nella parte storica della Città Santa di restare nelle loro case durante la visita del papa.
Le stradine all'interno delle mura ottomane saranno chiuse anche ai residenti oltre che ai turisti, mentre non sarà permessa l'apertura di nessun negozio, riferisce l'organizzazione umanitaria cattolica.
Benedetto XVI, che sarà in Israele dall'11 al 15 maggio, entrerà nella Città Vecchia (divisa in quattro rioni, due cristiani, un ebraico e uno musulmano) il 12 maggio, per la visita al Muro occidentale e alla Spianata delle Moschee e il 15 maggio, per gli incontri col patriarca ortodosso e armeno e una preghiera al Santo Sepolcro.
La Caritas di Gerusalemme, sempre riprendendo al Quds, aggiunge che nei giorni scorsi un cristiano, Samer Andrea Karkar, proprietario di un ristorante italiano e di un supermercato vicino al Patriarcato latino, è stato picchiato senza motivo dalla polizia israeliana mentre cercava di portare i suoi nipotini a casa, in una strada che era stato bloccata per essere bonificata e ripulita in vista dell'arrivo del papa.
E' stato ricoverato in ospedale. Nel ricordare i numerosi pestaggi subiti dai cristiani nelle settimane scorse da parte delle forze dell'ordine di Israele, la Caritas cita 'Al Quds' che si interroga sulla effettiva "praticabilità " di una visita del papa, nel "momento più difficile" per i cristiani di Terra Santa "sottoposti a persecuzioni religiose e ad un quotidiano capitolo di politiche razziste da parte delle autorità di occupazione che prendono di mira gli abitanti della città ".

dal blog di Marco Tosatti


Ci auguriamo che non sia vero!
[SM=g7707]

Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 17:07
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Barkat: «Sotto questa terra le radici sono ebraiche. Il Papa? Lo aspetto a braccia aperte»

Al Papa chiederà un impegno per la pace in Medio Oriente

E la sua città non conoscerà divisioni: zona ebraica e zona araba devono vivere senza confini territoriali. Nir Barkat è da soli sei mesi sindaco di Gerusalemme, ma la strada sembra già tracciata. L'obiettivo è «trasformare la città in una delle più influenti del mondo».
Del resto, lui è un pratico. Uno che a trent'anni decide di lasciare la brillante carriera militare e scommettere sull'imprenditoria high tech. E se oggi nei nostri computer abbiamo un software anti-virus lo dobbiamo anche alla sua azienda fondata negli Anni Ottanta, la Brm. È così che Nir Barkat diventa un imprenditore facoltoso, che solo nel 2003 decide di tuffarsi in politica. Un percorso che lo porta alla vittoria delle ultime elezioni municipali nella Città Santa. Barkat, Benedetto XVI atterrerà in Israele per la sua prima visita ufficiale in Terra Santa. Gerusalemme come lo accoglierà? «Attendiamo Papa Benedetto XVI a braccia aperte nella Città Santa di Gerusalemme. Io stesso sarò lì a porgli il nostro messaggio di benvenuto, e il Comune saprà fornire il pieno sostegno ai servizi di sicurezza israeliani». Cosa le dirà? «Sarà un messaggio in cui chiederemo impegno nel perseverare una pace continua in tutta Gerusalemme, nel rispetto della libertà di tutte le religioni». Dopo alcuni mesi di tensione (la revoca della scomunica al lefevriano negazionista e la polemica su Pio XII, ndr) sarà anche l'occasione per archiviare i malintesi? «Aspettiamo il suo saluto. Ma è certo che noi abbiamo già degli ottimi rapporti con la Comunità cattolica in Israele e con i rappresentanti della Santa Sede». La pace in Medio Oriente passa per Gerusalemme. Per ottenerla sarebbe disposto a ritrattare la sovranità territoriale della zona Est della città? «Gerusalemme deve assolutamente rimanere unita. Io non supporto alcun piano per dividere la città. Questa è una nostra convinzione. È radicata. Fa parte delle nostre idee per il semplice fatto che ovunque si inizi a scavare con una pala, a Gerusalemme si trovano radici ebraiche. E al di là delle ideologie, la divisione non sarebbe un modo pratico di gestire la città. Non vi è alcun buon esempio con una città divisa. Non è un modello che può funzionare oggi e non ha mai funzionato nella storia. Soprattutto, dividendo Gerusalemme non si fa altro che concentrarsi sulle nostre differenze. La mia convinzione è che le persone devono essere avvicinate, ma possiamo farlo solo puntando su una città unita». In campagna elettorale parlò di grandi cambiamenti. Cosa è stato fatto? «Per cambiare Gerusalemme ci vorrà molto tempo. Abbiamo già mutato l'approccio amministrativo col cittadino, lavorando molto su accountability e trasparenza. Inoltre tutti i comitati comunali ora sono aperti al pubblico. Abbiamo anche quadruplicato il bilancio del comparto Cultura, passando da 5 a 20 milioni di shekel. In pochi giorni è stato lanciato il primo grande piano per Gerusalemme, che durerà cinquant'anni e garantirà una migliore pianificazione della città. Abbiamo accelerato sulla costruzione della Light Rail System mettendo un comitato di supervisione con 30 dei 31 membri del Consiglio della città. Le sfide sono molte». Tra queste, Gerusalemme sta vivendo il problema della «fuga» dei giovani dalla città. Come invertire la tendenza? «Stiamo cercando di capire le ragioni per cui i giovani lasciano Gerusalemme. Quello che stiamo già facendo è regolamentare il mercato degli immobili, in modo da creare abitazioni a prezzi accessibili in tutta la città. Stiamo dando un importante impulso anche nel campo dell'economia, con la creazione di nuovi posti di lavoro per i residenti. Io stesso voglio coinvolgere direttamente i giovani, a tutti i livelli, nelle attività della città». E a breve, quando il Papa sarà tornato in Vaticano, sfileranno i carri del Gay Pride. Teme scontri con gli ultraortodossi? «Nella mia storia mi sono sempre contraddistinto per far camminare assieme più gruppi. Mi adopererò per assicurare che lo stato di diritto sia rispettato e le sue leggi protette, e che gli organizzatori siano il più possibile sensibili alle diverse realtà della città».

© Copyright Il Tempo, 9 maggio 2009


Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 17:15
Dal blog di Lella...

Joseph Ratzinger pellegrino in Terra Santa

Da Amman

Giacomo Galeazzi*

Appena arrivati ad Amman, si resta colpiti dalla città blindata, ma anche dalla cortesia che tutti dimostrano verso chi è giunto al seguito di Benedetto XVI, la cui autorevolezza anche qui è riconosciuta molto oltre i confini della comunità cristiana. Dal Monte Nebo (da cui, come Mosè, osserva la Terra promessa), nella Giordania, "buon esempio di convivenza interreligiosa", all'ascesa al Golgota di venerdì, il Papa ripercorre i "luoghi della salvezza" in un Medio Oriente in piena diaspora cristiana. In Giordania, Benedetto XVI ha trovato ad attenderlo una comunità cristiana numericamente esigua (il 2% della popolazione) ma che può risultare fondamentale nel processo di pace. La decisione di entrare nel difficile scenario del Medio Oriente dalla porta della Giordania, fermandosi per di piu' tre giorni dove nel 2000 Giovanni Paolo II restò invece solo qualche ora, ha il senso di valorizzare la comunità cristiana locale, premiare il re Abdullah per essere garante della liberta' religiosa e appoggiare il tentativo del Paese di mediare nel conflitto israelo-palestinese. "Anche in questo- spiega il nunzio apostolico in Giordania, l'Arcivescovo Francis Assisi Chullikat -, la Chiesa in Giordania sta svolgendo un ruolo molto attivo e la coesistenza pacifica, che è molto evidente qui in Giordania, può essere un segnale di speranza ed incoraggiamento per tutte le comunità cristiane della regione". Non a caso, Abdullah, in quel di Washington, ha appena promesso a Obama una nuova bozza del piano saudita, incassando la disponibilità di Abu Mazen e della Siria. Particolarmente toccante è stato l'incontro al "Regina Pacis" Sono circa 240 i disabili che vengono assistiti dal centro di solidarietà visitato da Benedetto XVI: un impegno gravoso per una ventina di addetti, tra cui tre suore comboniane, di cui una italiana, Adriana Biollo, di Venezia. "E' vero, è un grande impegno, ma la gioia di fare del bene a chi ne ha più bisogno ripaga di tutto", dice timidamente la religiosa. Per essere precisi, poi aggiunge: "Noi assistiamo 37 ragazzi, di età compresa tra gli otto e 16 anni. Ogni giorno i nostro autisti li vanno a prendere e a sera li riaccompagnano a casa. Poi, altri 200, che hanno bisogno di cure o di fisioterapia, e vengono autonomamente". Sono in massima parte musulmani. "Si perché i cristiani si vergognano. Per lo più ritengono che avere un disabile in casa sia un disonore, pensano che gli altri figli rischino di non riuscire a sposarsi", dice suor Adriana scuotendo la testa. E invece è importante aiutarli, e sapere come fare. Molti degli assistiti del centro hanno fatto progressi notevoli. Come un ragazzo che è arrivato al “Regina Pacis” che aveva 10 anni e non parlava. La sua storia sta particolarmente a cuore a suor Adriana:
"Si pensava che fosse muto - racconta -, ma con la pazienza, l'aiuto di specialisti e con la fisioterapia è migliorato al punto che adesso lavora con noi, nel settore dei mosaici. Meno male che i suoi genitori hanno deciso di portarcelo". Il “Regina Pacis”, avviato nel 2004, è ora un esempio tale da essere considerato il 'Centro Madre' di una trentina di iniziative dello stesso tipo, anche se non dello stesso livello, avviate e coordinate dal Patriarcato Latino. "I fondi arrivano da Cielo", rimarca ancora la suora italiana, sottolineando che "gli abitanti di questa zona dicono che siamo angeli, ci ammirano e ci vogliono bene". E lei vuole davvero bene ai suoi assistiti. Nelle scorse ore, ha aiutato Haida a raggiungere l'altare della Chiesa del “Regina Pacis” per consegnare al Papa un bouquet di gigli gialli. Suor Adriana ha spinto la sua carrozzella, ma ha avuto anche la possibilità di bisbigliare due parole al Santo Padre: "Gli ho chiesto una benedizione speciale per questo luogo, e anche per me". Mentre in Israele vengono completati i preparativi in vista della venuta del Pontefice, prevista per lunedì, le autorità e i mass media indicano nel suo discorso nel Museo dell'Olocausto ‘Yad Vashem’ il momento più significativo dell'intero viaggio. "Ci aspettiamo che il Papa faccia riferimento alla Shoah e alla sua memoria, nel presente e nel futuro", afferma il direttore di ‘Yad Vashem’, Avner Shalev. Le parole di papa Ratzinger a Yad Vashem saranno trasmesse in diretta a centinaia di milioni di fedeli e avranno risonanza mondiale. Con il successore di Pietro nella Città Santa, la polizia israeliana avvierà l’operazione "Tonaca Bianca", che mobiliterà 80mila agenti di polizia e di altre forze di sicurezza. I profughi palestinesi del campo di Aida attendono Benedetto XVI per fargli conoscere da vicino la loro situazione. A Betlemme il Pontefice celebrerà Messa nella piazza della Mangiatoia, di fronte alla basilica della Natività. Nel pomeriggio visiterà il campo profughi di Aida, come aveva già fatto Giovanni Paolo II nel 2000. Nel mondo palestinese resta marginale la polemica su questa visita per i timori, documentati da un approfondito dossier di "Asianews", che Israele sfrutti il pellegrinaggio a suo vantaggio e una patina di frustrazione per il fatto che non sia stato possibile mettere in conto una visita a Gaza, colpita dall’offensiva israeliana di dicembre e da un embargo che dura da anni. Ma a Betlemme e nel campo profughi oggetto della visita si è contenti. “Venendo da noi - dicono al campo -, il Papa compie un gesto strordinario. Conoscerà la realtà palestinese da vicino, camminerà vicino al Muro e lui, come tedesco, capirà bene i nostri sentimenti, perché anche il suo Paese è stato diviso da un muro”.
Il campo di Aida, a nord di Betlemme, contiene circa 5mila persone. Di queste, solo 14 famiglie sono cristiane. Una papa-mobile mobile coperta é stata approvata intanto dai servizi di sicurezza dello Stato ebraico per conciliare esigenze di sicurezza e desiderio del Pontefice di stare il più a contatto possibile con i fedeli. Il quotidiano “Haaretz” scrive che Benedetto XVI dovrà suo malgrado cimentarsi con il "ricordo" lasciato nel 2000 dal suo predecessore Giovanni Paolo II. "Si tratta di due Pontefici del tutto diversi fra di loro - sostiene il quotidiano israeliano -. Il primo molto a suo agio fra le persone, mentre il secondo è più uomo di libri". L'incidente diplomatico più temuto dalla diplomazia pontificia guidata in missione dal segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, è una eventuale stretta di mano ad altp potenziale polemico con esponenti di Hamas della Cisgiordania. "Un muro non basta per nascondere un orizzonte dalla sua terra", sintetizzano i volontari salesiani della Ong ‘Vis’. Dove è nato Gesù, le incognite del viaggio-rompicapo di Benedetto XVI in Terra Santa sono simboleggiate dal convento di Betlemme delle suore missionarie del Cuore immacolato. Malgrado le condanne della comunità internazionale, l'oasi di spiritualità francescana è tagliata in due dalla "barriera difensiva" israeliana, alta nove metri e lunga 670 chilometri tra passaggi ai raggi x, gabbie metalliche, controlli di permessi e passaporti. Il sindaco di Betlemme è un cristiano, perché così è per tradizione, eletto con i voti di Hamas grazie ad un accordo del 2005. Mercoledì, per entrarci, il Papa passerà nella doppia porta d'acciaio nel Muro usata di solito dall'esercito di Israele per far transitare le proprie camionette, "Altro che porta d'onore", evidenziano al Patriarcato latino di Gerusalemme, infastidito dalla questione del palco ad Haida fatto rimuovere dagli israeliani per non mostrare al mondo il Papa con alle spalle quel muro ritenuto dall'Anp la "prova più scandalosa" della segregazione. "La Santa Sede ha ceduto perché altrimenti il governo Netanyahu avrebbe bloccato i cristiani a Gaza", scuotono la testa gli organizzatori della tappa nei Territori palestinesi. Mai come in questo viaggio (senza dubbio il più complesso fin qui di un denso pontificato), i pericoli diplomatici sono dietro ogni angolo.
A ulteriore riprova della determinzione e del coraggio di Benedetto XVI. Sull'aereo papale, oltre alla "prima volta" della troupe di “Al Jazeera”, vola Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano. "Il Papa conosce bene i nodi culturali e politici della visita e raccomanda per la Terra Santa soluzioni pacifiche, negoziali - getta acqua sul fuoco il giornalista -. La sua soluzione è di due Stati che abbiano lo stesso diritto alla sovranità e alla sicurezza secondo la formula ‘pace nella giustizia’ per israeliani e palestinesi". Il Vaticano, cui il presidente Peres ha appena promesso la restituzione dei siti cristiani scatenando le proteste della destra religiosa, intende tenere distinta la questione dei luoghi santi per le tre religioni, in attesa di una qualche forma di garanzia internazionale. Il Papa, ribadisce la Santa Sede, è qui come "pellegrino" e non cerca ruoli di mediatore.

*Giornalista, vaticanista de ‘la Stampa’


Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 17:19
Dal blog di Lella...

Papa/ Giordania, Rania su Twitter racconta visita Santo Padre

La regione ha bisogno di un messaggio di pace

APCOM

La regina Rania ha deciso di iscriversi sul social network Twitter in occasione della visita di papa Benedetto XVI in Giordania. Lo ha annunciato il suo ufficio.
"Vi informiamo che la regina Rania è su Twitter (http://twitter.com/QueenRania) per tenervi informati in occasione della visita del papa in Giordania", ha spiegato un breve comunicato.
"Bisogna prestare ascolto al discorso del Papa.
La nostra regione ha molto bisogno di un messaggio di pace", ha scritto la regina.
"Giornata speciale qui ad Amman: non tutti i giorni il papa è in visita", aveva scritto prima.
Il papa è arrivato ad Amman oggi, nel quadro del suo pellegrinaggio di una settimana in Terra santa.
Al termine dell'incontro al palazzo reale Husseiniyeh, il sovrano giordano e il Santo padre hanno sottolineato "la necessità di rafforzare il dialogo e la coesistenza tra i musulmani e i cristiani", ha spiegato un comunicato ufficiale. Il re ha detto al papa che il regno giordano sostiene gli sforzi in vista di una pace globale in Medio Oriente.

© Copyright Apcom


+PetaloNero+
00sabato 9 maggio 2009 21:13
I Vespri nella Cattedrale di San Giorgio. Il Papa incoraggia i cristiani a testimoniare la speranza di Cristo risorto


Nel pomeriggio il Papa ha presieduto la Celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i Movimenti ecclesiali nella Cattedrale Greco-Melkita di San Giorgio in Amman. Benedetto XVI ha incoraggiato questa piccola comunità cristiana a testimoniare l’amore di Dio e la speranza di Cristo risorto: “non abbiate paura – ha detto - di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!”. Il Papa ha quindi ribadito la necessità “di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo”: tra queste gli “influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane”. “Tuttavia – ha aggiunto - con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite”.



[Radio Vaticana]




Benedetto XVI nella Cattedrale greco-melkita di S. Giorgio ad Amman


AMMAN, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo sabato sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Cattedrale greco-melkita di S. Giorgio ad Amman, la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i membri di Movimenti ecclesiali.

* * *

Cari Fratelli e Sorelle,

è una grande gioia per me celebrare i Vespri con voi questa sera nella Cattedrale Greco-Melchita di San Giorgio. Saluto cordialmente Sua Beatitudine Gregorios III Laham, il Patriarca Greco-Melchita che ci ha raggiunti da Damasco, l’Arcivescovo emerito Georges El-Murr e Sua Eccellenza Yaser Ayyach, Arcivescovo di Petra e Filadelfia, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto a cui volentieri corrispondo con sentimenti di rispetto. Saluto anche i capi delle altre Chiese Cattoliche presenti nell’Est – Maronita, Sira, Armena, Caldea e Latina – come anche l’Arcivescovo Benediktos Tsikoras della Chiesa Greco Ortodossa. A tutti voi, come anche ai Sacerdoti, alle Religiose e ai Religiosi, ai Seminaristi e ai fedeli laici qui riuniti questa sera, esprimo il mio sincero grazie per avermi offerto questa opportunità di pregare con voi e di sperimentare qualcosa della ricchezza delle nostre tradizioni liturgiche.

La Chiesa stessa è un popolo pellegrino; come tale, attraverso i secoli, è stato segnato da eventi storici determinanti e da pervasive vicende culturali. Purtroppo alcune di queste hanno incluso periodi di disputa teologica o di repressione. Tuttavia vi sono stati momenti di riconciliazione - che hanno fortificato meravigliosamente la comunione della Chiesa - e tempi di ricca ripresa culturale ai quali i Cristiani Orientali hanno contribuito grandemente. Le Chiese particolari all'interno della Chiesa universale attestano il dinamismo del suo cammino terreno e manifestano a tutti i fedeli il tesoro di tradizioni spirituali, liturgiche, ed ecclesiastiche che indicano la bontà universale di Dio e la sua volontà, manifestata in tutta la storia, di attirare tutti entro la sua vita divina.

L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente. Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio – come San Giorgio ha fatto in modo drammatico secondo il racconto popolare – per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo. In realtà le vicissitudini della storia hanno fortificato i membri delle Chiese particolari ad abbracciare questo compito con energia e ad impegnarsi decisamente in rapporto alle realtà pastorali odierne. La maggior parte di voi ha antichi legami con il Patriarcato di Antiochia, e così le vostre comunità sono ben radicate qui nel Vicino Oriente. E proprio come due mila anni or sono fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati Cristiani per la prima volta, così anche oggi, come piccole minoranze in comunità disseminate in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore. La pubblica dimostrazione della vostra fede cristiana non è certamente ristretta alla sollecitudine spirituale che avete l'uno per l'altro e per la vostra gente, per quanto essenziale ciò sia. Ma le vostre numerose iniziative di universale carità si estendono a tutti i Giordani – Musulmani e di altre religioni – ed anche al vasto numero di rifugiati che questo regno accoglie così generosamente.

Cari fratelli e sorelle, il primo Salmo (103) che abbiamo pregato questa sera ci presenta gloriose immagini Dio, Creatore generoso, attivamente presente nella sua creazione, che sostenta la vita con grande bontà e sapiente ordine, sempre pronto a rinnovare la faccia della terra. Il brano dell’epistola, che abbiamo appena sentito, presenta tuttavia un quadro diverso. Ci avverte, non in modo minaccioso ma realisticamente, dell’esigenza di essere vigili, di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo (cfr Ef 6, 10-20). Alcuni probabilmente saranno tentati di pensare che vi sia una contraddizione; ma riflettendo sulla nostra ordinaria esperienza umana riconosciamo la lotta spirituale, avvertiamo il bisogno quotidiano di entrare nella luce di Cristo, di scegliere la vita, di cercare la verità. Di fatto, questo ritmo – sottrarci al male e circondarci con la forza di Dio – è ciò che celebriamo in ogni Battesimo, l'ingresso nella vita cristiana, il primo passo lungo la strada dei discepoli del Signore. Richiamando il battesimo che Cristo ha ricevuto da Giovanni nelle acque del Giordano, la comunità prega perché colui che sta per essere battezzato sia liberato dal regno dell'oscurità e portato nello splendore del regno di luce di Dio, e così riceva il dono della vita nuova.

Questo dinamico movimento dalla morte alla novità della vita, dalle tenebre alla luce, dalla disperazione alla speranza, che sperimentiamo in modo così drammatico durante il Triduo e che viene celebrato con grande gioia nel periodo pasquale, ci assicura che la Chiesa stessa rimane giovane. Essa vive perché Cristo è vivo, è veramente risorto. Vivificata dalla presenza dello Spirito, essa avanza ogni giorno conducendo uomini e donne al Dio vivente. Cari Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, cari fedeli laici, i nostri rispettivi ruoli di servizio e missione all'interno della Chiesa sono la risposta instancabile di un popolo pellegrino. Le vostre liturgie, la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale sono una vivente testimonianza della vostra tradizione che si dispiega. Voi amplificate l'eco della prima proclamazione del Vangelo, ravvivate gli antichi ricordi delle opere di Dio, fate presenti le sue grazie di salvezza e diffondete di nuovo il primo raggio della luce pasquale e il tremolio delle fiamme di Pentecoste.

In tal modo, imitando Cristo ed i patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento, noi partiamo per condurre il popolo dal deserto verso il luogo della vita, verso il Dio che ci dà vita in abbondanza. Questo caratterizza tutti i vostri lavori apostolici, la cui varietà e qualità sono molto apprezzate. Dagli asili infantili ai luoghi di istruzione superiore, dagli orfanotrofi alle case per anziani, dal lavoro con i rifugiati all’accademia di musica, alle cliniche mediche e agli ospedali, al dialogo interreligioso e alle iniziative culturali, la vostra presenza in questa società è un meraviglioso segno della speranza che ci qualifica come cristiani.

Tale speranza giunge ben oltre i confini delle nostre comunità cristiane. Così spesso voi scoprite che le famiglie di altre religioni, per le quali voi lavorate e offrite il vostro servizio di carità universale, hanno preoccupazioni e difficoltà che oltrepassano i confini culturali e religiosi. Ciò è particolarmente avvertito per quanto riguarda le speranze e le aspirazioni dei genitori per i loro bambini. Quale genitore o persona di buona volontà non si sentirebbe turbato di fronte agli influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane? Tuttavia, con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite.

Desidero concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai presenti che sono in formazione per il sacerdozio e la vita religiosa. Guidati dalla luce del Signore Risorto, infiammati dalla sua speranza e rivestiti della sua verità e del suo amore, la vostra testimonianza porterà abbondanti benedizioni a coloro che incontrerete lungo la strada. Di fatto, la stessa cosa vale per tutti i giovani Cristiani Giordani: non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!

Cari Amici, con sentimenti di grande rispetto per tutti voi riuniti con me questa sera in preghiera, di nuovo vi ringrazio per le vostre preghiere per il mio ministero come Successore di Pietro e assicuro voi e quanti sono affidati alla vostra cura pastorale un ricordo nella mia preghiera quotidiana.


[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Paparatzifan
00sabato 9 maggio 2009 22:03
Dal blog di Lella...

Gli incontri del Pontefice nella seconda giornata ad Amman

Nel segno del dialogo tra culture e religioni

dal nostro inviato Gianluca Biccini

La visita alla moschea Al-Hussein Bin Talal, la sottolineatura che la religione non può essere mai causa di divisione tra gli uomini, l'appello per i cristiani dell'Iraq, affinché sia assicurato loro il diritto a una pacifica coesistenza con i loro concittadini. Il Papa, incontrando i capi religiosi musulmani della Giordania, il corpo diplomatico accreditato ad Amman e i rettori delle università locali, ha scritto stamane, sabato 9 maggio, una pagina capitale del suo dodicesimo viaggio internazionale.
Dopo la sosta di preghiera al Monte Nebo, il Pontefice si è infatti recato al Museo hascemita e alla Moschea intitolata al padre dell'attuale sovrano.
Qui ha pronunciato il suo discorso più lungo tra quelli previsti in questa prima tappa del pellegrinaggio in Terra Santa.
Ha incontrato l'élite di un Paese che ha fatto della collaborazione tra musulmani e cristiani e della libertà di culto un modello per tutta la regione mediorientale.
Proveniente in auto da Madaba, Benedetto XVI è giunto verso le 11.30 al museo, situato accanto agli uffici reali di Amman. Ha ammirato reperti di grande valore legati alla vita e alla predicazione di Maometto. Poi è entrato nella moschea. È stata la terza volta che un Pontefice ha sostato in un luogo di culto musulmano. La prima fu con Papa Wojtyla, a Damasco nel 2001. La seconda con lo stesso Benedetto XVI nel 2006 a Istanbul, in Turchia, nella Moschea blu.
Dedicata al defunto re Hussein, la nuova moschea è stata inaugurata l'11 aprile 2006 vicino agli uffici della corte reale. Il Papa è stato accolto dal principe Ghazi Bin Talal, cugino del sovrano e suo consigliere per gli affari religiosi, e dall'architetto che ha realizzato l'edificio. Insieme lo hanno accompagnato nella visita al luogo di preghiera, soffermandosi in particolare sul palco di legno prezioso intarsiato, da cui l'imam tiene la predica. Pochi minuti anche per il silenzioso raccoglimento interiore.
A proposito della visita alla moschea, aveva suscitato qualche sorpresa il fatto che il Papa non avesse tolto le scarpe prima di entrare.
"Il Papa lo stava facendo - ha successivamente spiegato padre Lombardi - come stavamo facendo tutti. Gli accompagnatori ci hanno fatto entrare in moschea attraverso un determinato percorso per evitare di toglierci le scarpe". "Il Papa - ha spiegato ancora padre Lombardi ai giornalisti - era certamente disposto a toglierle ma, ripeto, non ce n'è stato bisogno".
Anzi per convincere il Papa che si poteva camminare in moschea con le scarpe, poiché erano state sistemate appositamente delle stuoie sul pavimento, è stato per primo il principe Ghazi Bin Talal a entrare in moschea senza toglierle e così hanno fatto anche gli accompagnatori.
Conclusa la visita alla moschea, in uno spazio all'esterno, è avvenuto l'incontro nel segno del dialogo tra le culture e tra le religioni, durante il quale alla presenza del cardinale Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, il Pontefice ha parlato del dramma dei rifugiati iracheni, molti dei quali riparati proprio in Giordania.
Mettendo in guardia dalle manipolazioni ideologiche della religione, contro l'ideologia corrente secondo cui esse falliscono nelle loro aspirazioni e sono causa di divisione, di odi e di violenze, Benedetto XVI ha evidenziato come proprio nel regno hascemita musulmani e cristiani offrano un esempio incoraggiante di cooperazione. Quindi ha invitato a sviluppare questa collaborazione reciproca soprattutto nei campi dell'insegnamento e della ricerca scientifica e del servizio alla società.
Nel pomeriggio precedente il Papa aveva restituito la visita ai sovrani nel Palazzo reale. Al termine della prima giornata in Giordania era rientrato nella nunziatura apostolica ad Abdoun, nella parte occidentale della capitale. Dalla collina si vede Amman tutta bianca, a motivo del colore candido delle pietre con le quali sono costruiti gli edifici. Una città in continua espansione, come testimonia il gran numero di cantieri aperti.
Davanti alla nunziatura il Papa era stato accolto con entusiasmo da tante persone, anche musulmane, venute a dare il benvenuto a chi considerano un artefice di pace. E di pace parlano anche i mass media giordani riportando con grande evidenza le notizie riguardanti la visita di Benedetto XVI sia nei notiziari radio-televisivi che sulle prime pagine dei principali quotidiani.

(©L'Osservatore Romano - 10 maggio 2009)


+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 01:52
Benedetto XVI rivendica il contributo dei cristiani in Medio Oriente
Minoranze che custodiscono una tradizione bimillenaria



AMMAN, sabato, 9 maggio 2009 (ZENIT.org).- Questo sabato Benedetto XVI ha voluto rendere omaggio ai cristiani di tradizione orientale che in Medio Oriente costituiscono, normalmente, delle piccole comunità all'interno di una maggioranza musulmana e che offrono un contributo determinante alla Chiesa universale e alla società in cui si trovano.

La celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i Movimenti ecclesiali, svoltasi questo sabato sera nella cattedrale greco-melchita di San Giorgio, ha mostrato la bellezza di un rito sconosciuto in buona parte dell'Occidente.

La Chiesa greco-melchita, che ha sede a Damasco (Siria), è una chiesa orientale di rito bizantino che, pur facendo parte delle Chiese orientali che si separarono da Roma nel 1054, in occasione dello Scisma d'Oriente, è tornata alla piena comunione con la Sede di Pietro nel 1724.

All'incontro era presenti oltre ai fedeli greco-melchiti, anche rappresentanti dei diversi riti della Chiesa in Giordania: maronita, siro, armeno, caldeo e latino.

Le manifestazioni di estremo calore da parte dei 1.500 presenti nei confronti dal Papa, apparso particolarmente sorridente, ha fatto scattare in alcune occasioni gli uomini della sicurezza.

A fare gli onori di casa ci ha pensato Sua Beatitudine Gregorios III Laham, Patriarchia di Antiochia dei greco-melchiti, con un emozionate discorso, in cui è risalito alle origini cristiane di questa terra, arrivando poi ad esclamanere due volte, prima in francese e poi in arabo: “Non emigreremo mai”.

Il Patriarca ha sottolineato che l'attuale conflitto in Medio Oriente costituisce la prima causa di emigrazione da questi luoghi ed ha avvertito che se questo esodo continuerà ininterrottamente, la presenza cristiana scomparirà dal Medio Oriente.

Per questo, è importante una “pace giusta e duratura”, ha affermato lodando i ripetuti appelli del Papa in favore della Terra Santa, del Libano, della Siria e dell'Iraq.

Da parte sua, il Papa ha spiegato che “proprio come due mila anni or sono fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati Cristiani per la prima volta, così anche oggi, come piccole minoranze in comunità disseminate in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore”.

“Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio [...] per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo”, ha sottolineato il Santo Padre.

Infine, Benedetto XVI ha concluso il suo discorso rivolgendosi ai giovani per incoraggiarli ad abbracciare la vita sacerdotale o religiosa: “non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!”.

+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 16:36
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VIII)


SANTA MESSA NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN


Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto all’International Stadium di Amman, dove, alle ore 10.00, presiede la Santa Messa della IV Domenica di Pasqua, secondo il rito latino.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, dopo la proclamazione del Santo Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:



OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

sono lieto di poter celebrare questa Eucaristia insieme con voi all'inizio del mio pellegrinaggio in Terra Santa. Ieri dalle alture del Monte Nebo, restando in piedi, ho sostato e guardato a questa grande terra, la terra di Mosè, Elia e Giovanni il Battista, la terra nella quale le antiche promesse di Dio furono adempiute con l'arrivo del Messia, Gesù nostro Signore. Questa terra è testimone della sua predicazione e dei miracoli, della sua morte e risurrezione, e dell’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa, il sacramento di un’umanità riconciliata e rinnovata. Meditando sul mistero della fedeltà di Dio, ho pregato perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità. Veramente, come San Pietro ci dice oggi nella prima lettura, "non vi è, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

La gioiosa celebrazione del Sacrificio eucaristico di oggi esprime la ricca diversità della Chiesa Cattolica nella Terra Santa. Saluto tutti voi, con affetto, nel Signore. Ringrazio Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le sue gentili parole di benvenuto. Il mio saluto va anche ai molti giovani delle scuole cattoliche che oggi portano il loro entusiasmo in questa Celebrazione eucaristica.

Nel Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama: "Io sono il buon pastore... che dà la propria vita per le pecore" (Gv 10,11). Come Successore di san Pietro al quale il Signore ha affidato la cura del suo gregge (cfr Gv 21,15-17), ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente; non dimenticate mai la grande dignità che deriva dalla vostra eredità cristiana, e non venite mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i vostri fratelli e sorelle della Chiesa in tutto il mondo!

"Io sono il buon pastore", ci dice il Signore, "conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Oggi in Giordania abbiamo celebrato la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Meditando sul Vangelo del Buon Pastore, chiediamo al Signore di aprire i nostri cuori e le nostre menti sempre di più per ascoltare la sua chiamata. Davvero, Gesù "ci conosce", anche più profondamente di quanto noi conosciamo noi stessi, ed ha un piano per ciascuno di noi. Sappiamo pure che dovunque egli ci chiami, troveremo felicità e appagamento; di fatto troveremo noi stessi (cfr Mt 10,39). Oggi invito i molti giovani qui presenti a considerare come il Signore li stia chiamando a seguirlo e a edificare la sua Chiesa. Sia nel ministero sacerdotale o nella vita consacrata, sia nel sacramento del matrimonio, Gesù ha bisogno di voi per far ascoltare la sua voce e per lavorare per la crescita del suo Regno.

Nella seconda lettura di oggi, san Giovanni ci invita a "pensare al grande amore con il quale il Padre ci ha amati" facendoci suoi figli adottivi in Cristo. L'ascolto di queste parole ci deve rendere riconoscenti per l'esperienza dell'amore del Padre che abbiamo avuto nelle nostre famiglie, mediante l'amore dei nostri padri e madri, nonni, fratelli e sorelle. Durante la celebrazione del presente Anno della Famiglia, la Chiesa in tutta la Terra Santa ha pensato alla famiglia come a un mistero di amore che dona la vita, mistero racchiuso nel piano di Dio con una sua propria vocazione e missione: irradiare l'amore divino che è la sorgente e il compimento di ogni altro amore delle nostre vite. Possa ogni famiglia cristiana crescere nella fedeltà a questa sua nobile vocazione di essere una vera scuola di preghiera, dove i fanciulli imparano il sincero amore di Dio, dove maturano nell'autodisciplina e nell’attenzione ai bisogni degli altri, e dove, modellati dalla sapienza che proviene dalla fede, contribuiscono a costruire una società sempre più giusta e fraterna. Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società.

Un importante aspetto della nostra riflessione in questo Anno della Famiglia, è stato la particolare dignità, vocazione e missione delle donne nel piano di Dio. Quanto la Chiesa in queste terre deve alla testimonianza di fede e di amore di innumerevoli madri cristiane, Suore, maestre ed infermiere, di tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere 1'amore! Fin dalle prime pagine della Bibbia, vediamo come uomo e donna creati ad immagine di Dio, sono chiamati a completarsi l'un l'altro come amministratori dei doni di Dio e suoi collaboratori nel comunicare il dono della vita, sia fisica che spirituale, al nostro mondo. Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29) come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.

Cari Amici, ritorniamo alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi. Credo che esse contengano un messaggio speciale per voi, suo gregge fedele, in queste terre dove Egli una volta abitò. "Il buon pastore", Egli ci dice, "dà la propria vita per le sue pecore". All'inizio della Messa abbiamo chiesto al Padre di "darci la forza del coraggio di Cristo nostro pastore", che rimase costante nella fedeltà alla volontà del Padre (cfr Colletta, della Messa della quarta domenica di Pasqua). Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre. La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il "stroncare" vite innocenti.

"Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Rallegratevi perché il Signore vi ha fatti membri del suo gregge e conosce ciascuno di voi per nome! Seguitelo con gioia e lasciatevi guidare da Lui in tutte le vostre strade! Gesù sa quante sfide vi stanno davanti, quali prove dovete sopportare e conosce il bene che voi fate in suo nome. Abbiate fiducia in Lui, nel durevole amore che Egli porta per tutti i membri del suo gregge e perseverate nella vostra testimonianza al trionfo del suo amore. Che san Giovanni Battista, patrono della Giordania, e Maria, Vergine e Madre, vi sostengano con il loro esempio e la loro preghiera e vi conducano alla pienezza della gioia negli eterni pascoli, dove sperimenteremo per sempre la presenza del Buon Pastore e conoscere per sempre le profondità del suo amore. Amen.



PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IX)


RECITA DEL REGINA COELI NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN



Al termine della Santa Messa nell’International Stadium di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI guida la recita del Regina Coeli con i fedeli presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:




PAROLE DEL SANTO PADRE


Cari Amici,

durante la Messa ho parlato del carisma profetico delle donne, come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace. L’esempio supremo delle virtù femminili è la Beata Vergine Maria: la Madre della Misericordia e Regina della Pace. Mentre ora ci rivolgiamo a lei, invochiamo la sua materna intercessione per tutte le famiglie di queste terre, affinché possano veramente essere scuole di preghiera e scuole di amore. Chiediamo alla Madre della Chiesa di volgere lo sguardo misericordioso su tutti i Cristiani di queste terre; con l’aiuto delle sue preghiere possano essere veramente una cosa sola nella fede che professano e nella testimonianza che offrono. A lei che ha risposto così generosamente all’annuncio dell’angelo ed ha accettato la chiamata a diventare la Madre di Dio, chiediamo di dare coraggio e fortezza a tutti i giovani che oggi discernono la propria vocazione, così che anch’essi possano dedicare generosamente se stessi a compiere la volontà del Signore.

In questo tempo pasquale è col titolo di Regina Caeli che noi ci rivolgiamo alla Beata Vergine. Come frutto della Redenzione conquistata dalla morte e risurrezione del Figlio suo, anche Lei fu innalzata ad una gloria eterna e coronata quale Regina dei Cieli. Con grande fiducia nella potenza della sua intercessione, ci rivolgiamo a lei ora con gioia nei nostri cuori e con amore per la nostra gloriosa sempre Vergine Madre, ed invochiamo le sue preghiere.


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica dove pranza con i Patriarchi e i Vescovi e con i Membri del Seguito.






L'incoraggiamento del Papa ai cristiani della Giordania nella Messa ad Amman. L'omaggio alla testimonianza di fede e amore delle donne di Terra Santa


“Che il coraggio di Cristo … vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa” in queste antiche terre”: è quanto ha detto il Papa stamani nell’omelia della Messa da lui presieduta nell’International Stadium di Amman, alla presenza di almeno 30 mila persone. Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa e alla loro testimonianza di fede e di amore. Oggi è la terza ed ultima giornata del viaggio del Papa in Giordania. Domani il trasferimento a Gerusalemme. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

(Canto)

E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la Messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e che hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento.‘Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità":


"I have long awaited this opportunity to stand before...
Ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente".

Di tutti questi sentimenti si è fatto portavoce, all’inizio della celebrazione di stamattina, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, rivolgendo il suo saluto al Papa a nome di tutti i cittadini giordani, musulmani e cristiani, dell’Assemblea dei vescovi e patriarchi della Terra Santa, e con tutti i fedeli giunti dai Paesi arabi vicini. “Siamo ansiosi di mostrarLe, ha aggiunto, la nostra ospitalità arabo-giordana". Riferendosi poi alla giornata di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi in Giordania, il Patriarca ha scherzato dicendo che c’è un problema con i seminaristi in Terra Santa, perchè il seminario di Beit Jala, per la prima volta, è troppo pieno! Il Patriarca Twal ha ricordato anche le migliaia di migranti che sono giunte in Giordania per lavoro, specialmente dall’Asia, come pure i milioni di rifugiati, in gran parte palestinesi, che sono stati accolti in questo Paese. A cui si sono aggiunti circa un milione gli iracheni, tra cui quarantamila cristiani, ai quali la Chiesa insieme alla Caritas assicura assistenza materiale e spirituale. Una realtà ben presente al Papa, che ne ha preso spunto per rivolgere un forte invito alla Chiesa giordana e a tutta la Terra Santa:


"Fidelity to your Christian roots, fidelity to the Church’s mission...
La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società".


Questo, ha proseguto il Papa, significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano lo "stroncare" vite innocenti.

Ed al tema dell’amore, quello con il quale Dio ci ha amati, Benedetto XVI ha poi dedicato l’altra parte della sua omelia, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio:


"The strong Christian families of these lands are a great legacy...
Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai a mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società".

Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa, ricordando che la Chiesa in queste terre deve molto alla loro testimonianza di fede e di amore. Innumerevoli madri cristiane, suore, maestre e infermiere, e tutte quelle donne , ha detto ancora il Papa, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore!


"Sadly, this God-given dignity and role of women has not always...
Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava 'il carisma profetico' delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29)".


Un carisma che si manifesta nel loro essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.


(Canto)






Un bilancio molto positivo: così padre Lombardi sulla tappa giordana del pellegrinaggio di Benedetto XVI


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi raggiunto telefonicamente ad Amman da Sergio Centofanti:

R. – Il bilancio è necessariamente molto positivo, perché il Papa ha potuto svolgere tutti gli incontri che erano in programma con grandissima serenità, con un’accoglienza molto calda, molto amichevole, da parte sia delle autorità dello Stato, della famiglia reale, sia da parte del mondo musulmano e poi anche grazie agli incontri con la comunità cristiana. Mi pare molto saggio avere iniziato questo viaggio attraverso una porta di pace, una porta di serenità. In questo momento, la Giordania è nel quadro del Medio Oriente un Paese sostanzialmente sereno e quindi il fatto di iniziare l’itinerario del Medio Oriente da questo punto, credo che abbia reso l’avvio di questo viaggio di pace particolarmente positivo.


D. – Quali finora le immagini più forti di questo pellegrinaggio?


R. – Di immagini dal punto di vista visivo, direi il Papa sul Monte Nebo, il Papa che guarda verso la valle del Giordano, verso la Terra Promessa, dal luogo da cui Mosè ha guardato: è stato un momento di grandissima intensità, di evocazione spirituale profondissima e anche uno sguardo verso le altre tappe del viaggio e al rapporto con il mondo ebraico. Poi, direi, naturalmente il Papa nella Moschea – la sua seconda Moschea dopo quella di Istanbul – dove si vede che diventa, in un certo senso, sempre più normale, naturale, che il Papa in atteggiamento amichevole entri in un luogo di preghiera dei musulmani. Questo è un segno del progresso del rapporto positivo tra cristiani e musulmani nel corso di questi anni. Un’altra immagine bella, che riguarda il calore della comunità cristiana che accoglie il Papa, è quella nella cattedrale dei greco-melkiti, in cui veramente l’entusiasmo dell’accoglienza è stato impressionante.


D. – Quindi, con i musulmani si possono dire definitivamente superati i fraintendimenti di Ratisbona…


R. – Io credo che fossero già stati superati da un bel po’, perché i chiarimenti erano stati dati abbondantemente. Però, come sappiamo, quando c’è un malinteso che tocca profondamente, ci vuole poi tutta una serie di passi, di tempi, per risanare completamente tutte le conseguenze. E quindi, non c’è poi neanche da stupirsi che continuino dei riferimenti a quel momento difficile. Abbiamo, però, già più di due anni di esperienze positive, che da quel momento sono cominciate. Il principe Gazi, nel suo discorso, ha evocato Regensburg, ma ha detto chiaramente che è un capitolo definitivamente superato e poi ha salutato il Papa come Successore di Pietro, il che in bocca ad un capo autorevole del mondo musulmano è un saluto molto significativo.


D. – Il Papa ha avuto parole di grande incoraggiamento e apprezzamento per la minoranza cristiana in Giordania...


R. – Certamente. E’ una Chiesa che è viva e ha potuto dimostrarlo qui al Papa, non solo con l’accoglienza e con la cordialità e l’intensità dei momenti di preghiera insieme, ma sono anche state solennizzate alcune circostanze importanti: al Centro Regina Pacis per i giovani e gli handicappati è stata inaugurata una nuova ala. Nell’Università di Madaba è stata posta la prima pietra ed è un’iniziativa di grandissimo rilievo, non solo per la Giordania, ma per tutto il Medio Oriente, in cui lo sviluppo che potrà avere il contributo che la Chiesa dà alla cultura nel Paese sarà estremamente significativo. E poi le due pietre delle due chiese latina e greco-melkita, nella zona del Battesimo di Cristo, significano che anche fisicamente crescono i luoghi in cui la Chiesa si incontra. Certamente, il fatto che il passaggio del Papa sia stato collegato a queste belle circostanze, dice che è una Chiesa che si sente viva, vitale, e che guarda in avanti.


D. – Ora il pellegrinaggio in Terra Santa prosegue in Israele e nei Territori palestinesi. Quali le speranze?


R. – Le speranze sono che gli scopi che il Papa ha già detto molte volte, anche prima di partire, vengano raggiunti: che possa essere veramente un messaggio di pace, di riconciliazione, di incoraggiamento per le comunità cristiane che si trovano in difficoltà, che un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia, un messaggio di amore possa dare un contributo efficace per migliorare la situazione in tutta l’area.






L'appello del Papa a non dimenticare i cristiani iracheni. Najim: speriamo che la comunità internazionale si svegli


Benedetto XVI durante il suo viaggio in Giordania più volte ha espresso la sua vicinanza ai cristiani iracheni: quelli che sono rimasti nel loro Paese e quanti sono fuggiti. Ha chiesto il sostegno per i profughi e ha lanciato un nuovo appello alla comunità internazionale perché faccia “tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”. In Giordania sono oltre 40 mila sono cristiani. Quali sono le loro difficoltà? Sergio Centofanti lo ha chiesto al corepiscopo Philip Najim, visitatore per i fedeli Caldei in Europa:

R. – Le difficoltà sono enormi e, essendo ospiti in quel Paese, approfitto dell’occasione per ringraziare il governo e Sua Maestà, il Re di Giordania, per questa accoglienza ai nostri iracheni sia musulmani che cristiani. Nonostante tutto, sappiamo che il Paese è piccolo e limitato nelle sue risorse, quindi gli iracheni si trovano in grande difficoltà e in grande sofferenza: è molto difficile per loro vivere una vita normale. Speriamo che un giorno la comunità internazionale si svegli, attraverso anche l’appello del Santo Padre, e dia una mano a questi profughi iracheni, perché possano vivere la loro vita con dignità.


D. – Qual è la situazione pastorale di questi profughi cristiani?


R. – E’ una situazione veramente molto difficile, perché non si trova un luogo di culto specifico per questi migranti iracheni. Noi abbiamo una un sacerdote messo a loro disposizione, al loro servizio, perché possa dare ancora questa speranza: che la Chiesa vive e vive ancora nel cammino di fede di queste persone che speriamo possano anche attraverso la loro sofferenza dare una testimonianza di Cristo, la testimonianza di essere attaccati a Cristo e di vivere la Parola di Cristo.


D. – Il Papa ha lanciato un appello a non abbandonare i cristiani in Iraq, che vivono momenti di grandi difficoltà...


R. – Questi cristiani devono essere sostenuti, devono essere incoraggiati, devono essere aiutati e non devono essere dimenticati. Tutto l’Iraq non deve essere dimenticato. La comunità internazionale deve continuare a sostenere questo popolo che ancora soffre.


D. – Continuano le violenze anticristiane in Iraq?


R. – Ci sono violenze non soltanto anticristiane, ci sono violenze anche contro le altre etnie. Ci sono delle forze oscure che vogliono creare una divisione del popolo iracheno, perché creando queste divisioni rallentano il processo di pace, rallentano il processo dello sviluppo dell’Iraq. Perciò chiediamo al popolo iracheno di essere unito e di dimenticare gli interessi personali, per alleviare questa sofferenza.






Domani il Papa a Gerusalemme con la visita allo Yad Vashem, Memoriale dell'Olocausto


Questo pomeriggio il Papa visita il Sito del Battesimo sul Giordano dove operava San Giovanni Battista: qui benedice le prime pietre delle Chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. Domani inizia la seconda tappa del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa: il Pontefice partirà in mattinata per Tel Aviv dove sarà accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Nel pomeriggio, a Gerusalemme, la visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto, e più tardi l'incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso. Ma ascoltiamo il servizio del nostro inviato a Gerusalemme Roberto Piermarini:

Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa ha un carattere esclusivamente spirituale ma – come hanno ribadito il nunzio in Israele mons. Franco ed il Patriarca latino di Gerusalemme mons. Twal – in questa regione, religione e politica si sovrappongono. Il governo israeliano - che ha riempito Gerusalemme di striscioni di benvenuto e di bandiere vaticane – sta dando grande risalto a questa visita papale. La pagina web in sette lingue, del Ministero del Turismo, definisce la visita “un ponte per la pace”. Il sito, offrendo informazioni sul programma della visita e dati pratici per i pellegrini che la seguiranno, sottolinea come quello di Benedetto XVI sia un pellegrinaggio di pace e di riconciliazione”.


Il Servizio Filatelico israeliano ha preparato due serie di francobolli per la visita papale: la prima con immagini dei luoghi santi e riferimenti biblici, mentre la seconda sarà emessa dopo la visita e sarà realizzata con foto scattate durante il viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. Dalla Cisgiordania il governo israeliano ha concesso migliaia di visti, ma non altrettanto ha fatto con i cristiani di Gaza che ancora non sanno se potranno partecipare alle celebrazioni pubbliche del Papa. La stampa israeliana ha annunciato – suscitando tra l’altro reazioni negative all’interno del mondo politico del Paese – che il presidente Shimon Peres avrebbe il desiderio di restituire alla Chiesa la sala del Cenacolo sul Monte Sion. Ma gli stessi francescani della Custodia di Terra Santa sono molto scettici in proposito. Ha destato tra l’altro molta impressione l’annuncio che duecento rabbini di varie denominazioni, firmeranno un messaggio di benvenuto al Papa, che verrà pubblicato sulle pagine del noto quotidiano israeliano “Haaretz”.


Sul fronte della Chiesa locale, fervono gli ultimi preparativi per accogliere nel migliore dei modi il Papa ma – come dicono alcuni degli organizzatori – “la nostra povera Chiesa ha avuto poco meno di due mesi per accoglierlo”. Quello che si teme, è che le ossessionanti misure di sicurezza messe a punto a Gerusalemme dalle autorità israeliane, possano “blindare” il pellegrinaggio “creando un clima così pesante – ci confessa un francescano di Terra Santa – che costringerà il Papa a non sentire la presenza dei nostri fedeli, ma a passare tra due ali di soldati. Durante la visita verranno chiusi tutti gli accessi alla Città Vecchia ed anche l’immenso bazar. I cristiani sono stati invitati a partecipare alle messe pubbliche che si terranno a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, - ha detto il religioso - ma se continuerà a persistere un clima di paura, molti di loro preferiranno seguire le celebrazioni in televisione”. In Terra Santa intanto, stanno giungendo dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’America Latina e dall’Australia, 7 mila giovani del Cammino neocatecumenale, che avranno incontri di preghiera con la Chiesa locale di Israele e Palestina nelle parrocchie latine, greco-cattoliche e maronite; visiteranno anche ospedali, scuole cattoliche e case di riposo. Un segno di comunione e di incoraggiamento per questa piccola Chiesa di Terra Santa, che guarda con speranza all’arrivo del Papa.







Il rabbino Rosen: la visita del Papa, evento d'importanza enorme. Padre Manns: un messaggio di riconciliazione


Ma in che modo la società israeliana sta attendendo la visita del Papa? Ci risponde il rabbino David Rosen, presidente del "Comitato ebraico internazionale per le relazioni inter-religiose", al microfono di Sara Fornari:


R. – You know, it’s very difficult thing, maybe an impossible thing, …
Vede, è cosa molto difficile, forse addirittura impossibile, parlare della società israeliana. Avrà sicuramente sentito la battuta che dice: “dove ci sono due ebrei, ci sono tre opinioni”. Ci sono molti elementi diversi, in questa società. Ma il Papa è una figura mondiale, e la sua visita è un evento d’importanza enorme ed io credo che la grande maggioranza di israeliani siano molto emozionati e molto felici e che abbiano grandi aspettative per quanto riguarda la sua visita. Credo che ci sia stata una comprensione di fondo che questa visita abbia una grandissima importanza per l’immagine stessa di Israele nonché per quanto riguarda i suoi rapporti con la Chiesa.


D. – In particolare, quali sono le attese delle comunità religiose ebraiche?


R. – Yes … well, you know the other joke: just because I am paranoid, it doesn’t mean …
Sì … bè, conosce anche l’altra battuta: “solo perché sono paranoico, non significa che non cercheranno di uccidermi”. Cioè: noi ebrei abbiamo una storia tragica. E le ferite della nostra storia sono molto profonde. E la nostra memoria è molto antica. Ora, coloro che sono più “moderni” e si muovono nel mondo, sanno che il mondo “fuori” è cambiato e che il mondo cristiano è cambiato e che c’è stato un cambiamento enorme per quanto riguarda i rapporti cattolico-ebraici. Invece, coloro che non vivono nel mondo, inteso come concetto più ampio, ma vivono nel loro proprio mondo, hanno minori possibilità di conoscere tutto questo. Ed è per questo che pensano che il mondo cristiano sia se non proprio ostile, sicuramente piuttosto “freddo” nei riguardi della gente ebraica e delle tradizioni ebraiche. E quindi, la loro reazione è una reazione dovuta alla mancanza di familiarità con i cambiamenti che ci sono stati. Ed ecco perché la visita di Giovanni Paolo II, nel 2000, ed ora la visita di Papa Benedetto XVI sono così importanti: perché contribuiscono a cambiare gli atteggiamenti, aiuta la gente a comprendere che esiste un rapporto positivo. Invece, molta gente, ancora oggi – specialmente nell’ambito di comunità religiose più chiuse, specialmente nelle comunità ultraortodosse – è meno consapevole di tutto ciò e quindi un po’ più diffidente e conseguentemente un po’ meno interessata. Non saranno ostili alla visita: potrebbero essere un po’ più distaccati dal suo significato.


D. – Personalmente, cosa si aspetta da questa visita?


R. – Well, let me tell you what Pope Benedict XVI told to us when we last ..
Le racconterò cosa ci ha detto Papa Benedetto XVI l’ultima volta che lo abbiamo incontrato: eravamo in quattro ed eravamo una delegazione dei rabbini capo d’Israele, eravamo con lui nel suo studio privato. Lui ci disse di sperare che la sua visita potesse ulteriormente far progredire le relazioni cattolico-ebraiche e che potesse anche far progredire il processo di pace in Terra Santa e in tutta la regione. Anche io spero che questo accada: sarà un po’ più difficile far progredire il processo di pace, perché non credo che dipenda soltanto da Benedetto XVI. Ma per quanto riguarda i rapporti tra cattolici ed ebrei, non c’è alcun dubbio che la sua visita potrà rappresentare un grande progresso sulla via dei cambiamenti storici che sono già avvenuti negli ultimi 50 anni.


Sul messaggio che il Papa porterà in Israele e nei Territori palestinesi ascoltiamo, al microfono di Roberto Piermarini, il padre francescano Frederick Manns, storico della Custodia di Terra Santa:

R. – Il Papa parlerà di nuovo di riconciliazione tra questi due popoli. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio di Gesù. Bisogna perdonare anche ai nemici ed è molto difficile, perché il giudaismo e l’islam accettano il perdono, ma solo Dio può perdonare. Per gli ebrei è il giorno del Kippur, per i musulmani è la misericordia di Dio, che può perdonare. Che l’uomo sia chiamato a perdonare, questa è la novità dei cristiani: “Amatevi come io ho amato voi”, dice il Signore. L’amore autentico significa dare la vita per gli altri. Il Buon Pastore, abbiamo visto al Sepolcro, ha dato la vita per le pecore. Qui, in questa terra vivono due popoli, che sono chiamati a riconciliarsi. I figli di Ismaele e i figli di Isacco, riconciliandosi porteranno la gioia al padre Abramo, che finalmente potrà rallegrarsi di vedere il giorno del Signore, che sarà il giorno della grande riconciliazione. Per questo motivo – il Papa l’ha ripetuto – bisogna pregare molto. Solo con l’aiuto dello Spirito del Signore, l’uomo potrà avere un cuore nuovo e uno spirito nuovo, e con questo cuore nuovo e questo spirito nuovo la riconciliazione sarà possibile. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio che il Papa proclama da anni. Bisogna però ripeterlo.




Il Papa sul Monte Nebo: profezia per un mondo che cerca Dio
Spiega l'amministratore delegato dell'ORP

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita che Benedetto XVI ha compiuto questo sabato al Monte Nebo, dal quale si dice che Mosè poté vedere la Terra Promessa, si è trasformata in una profezia per il mondo attuale che cerca Dio alla cieca, considera padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Il sacerdote, che accompagna il Santo Padre nel suo pellegrinaggio in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, ha spiegato il motivo per il quale il Papa ha deciso di iniziare la sua visita in Terra Santa visitando la montagna alta poco più di 800 metri dalla quale si possono vedere la valle del Giordano, la città di Gerico e a volte, quando non c'è nebbia, anche Gerusalemme. Il 9 marzo 2000 si recò in questo luogo anche Giovanni Paolo II.

"Ogni Papa è come un Mosè che porta il popolo all'incontro con Dio", ha spiegato a ZENIT il sacerdote, ricordando che ciascun pellegrinaggio ha come obiettivo ultimo l'incontro con il Signore. Nel caso del Vescovo di Roma, constata, accanto a lui peregrina il popolo cristiano, anche i mezzi di comunicazione del mondo che lo accompagnano.

Come pastore della Chiesa, cerca di dissipare quelle nubi che, come sul Monte Nebo, impediscono alla gente di vedere la propria meta, "la terra promessa", ha affermato.

Il luogo in cui è morto Mosè, ha ricordato padre Atuire, è la porta privilegiata alla Terra Santa. "Ogni pellegrino che si incammina verso Gerusalemme, seguendo le orme del popolo di Israele che ha camminato 40 anni nel deserto, iniziando dal Monte Nebo, realizza lo stesso percorso alla ricerca della città di Dio e della terra che Dio ha promesso".

Alla luce di questo incontro con Dio, il sacerdote commenta la storica visita realizzata questo sabato da Benedetto XVI alla moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, il secondo tempio islamico che visita nel suo pontificato.

Con questo gesto, ha osservato, il Papa "sottolinea una realtà comune a tutte le religioni: come persone credenti, in qualche modo abbiamo davanti a noi una sfida, perché viviamo in un mondo sempre più secolarizzato".

Con la visita, constata, il Papa ha superato parte dei pregiudizi promossi negli ultimi anni da alcune persone che l'hanno voluto presentare come una persona chiusa al dialogo.

"Il Papa è un uomo aperto all'incontro con l'altro senza paure, senza pregiudizi, perché insieme possiamo fare qualcosa per migliorare questo mondo", ha concluso padre Atuire.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




Il Papa permette ai cattolici di sentirsi "arabi, giordani e cristiani"
Lascia in eredità la riscoperta del luogo del Battesimo di Gesù

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Giordania permette ai cattolici del Paese di sentirsi "arabi, giordani e cristiani", riconosce Nader Twal, guida turistica, in un buon italiano imparato in sette anni di studio a Roma.

Nato a Madaba, nella stessa parrocchia di Sua Beatitudine Fouad Twal, con il quale condivide il cognome, ha confessato a ZENIT che in questi giorni sta vivendo momenti unici e che questo pellegrinaggio rappresenta un sostegno decisivo per i cristiani che vivono nel Paese.

"I cristiani del settore pubblico potranno andare alla Messa del Papa di domenica, anche se per loro è un giorno di lavoro. E' una decisione del Governo per promuovere la convivenza tra cristiani", ha spiegato.

"Io come cristiano dico sempre: sono arabo, sono giordano e sono cristiano", spiega Twal. "Come cristiani siamo il 3%, come cattolici l'1,5%. Vediamo in questa visita un sostegno alla presenza dei cristiani, perché noi portiamo questa religione da 2000 anni", ha detto emozionato.

La visita, ha aggiunto, "è importante anche perché ha permesso l'incontro con il Re e la Regina, con i capi dei musulmani, e questo è decisivo per parlare di convivenza, di cose umane, non dogmatiche; argomenti che toccano questa zona del Medio Oriente che è sempre in conflitto".

Secondo Twal, abituato a mostrare ai pellegrini la ricchezza biblica del suo Paese, questa domenica si vivrà uno dei momenti più simbolici per il futuro del cristianesimo giordano quando il Papa si avvicinerà alle rive del fiume Giordano, in quello che è considerato il luogo del Battesimo di Cristo, per benedire le prime pietre delle chiese dei latini e dei greco-melchiti.

"Purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa. La benedizione è un richiamo, visto che ci saranno più di 1.300 giornalisti che coprono questa visita, un richiamo per la Chiesa in tutto il mondo. La visita al Giordano dovrebbe essere una meta importante nei pellegrinaggi in Terra Santa", ha concluso Twal.




www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=828&sett...
Paparatzifan
00domenica 10 maggio 2009 19:27
Dal blog di Lella...

Il Papa sul trenino elettrico

Il papa sul trenino elettrico del sito giordano del battesimo, con il re e la regina di Giordania.
Per la gioia di fotografi e telecamere Benedetto XVI e' salito sul primo vagone del trenino ecologico di Betania sulle sponda giordana del fiume, per arrivare alla riva del Giordano.
Oltre ai sovrani hashemiti, sono con Benedetto XVI sulla vettura ecologica il principe Ghazi Bin Talal e il segretario personale del papa mons. Georg Gaensawein.
Il pontefice sorride, a tratti divertito, e mostrando interesse per il paesaggio.

© Copyright Rainews24 online


[SM=g9433]


Paparatzifan
00domenica 10 maggio 2009 19:45
Dal blog di Lella...

Papa: Donne in Terra Santa profetesse di amore e di pace

Folla entusiasta circonda Benedetto tenuta a freno da gendarmi

da APCOM

Il Papa torna a lodare il "carisma profetico delle donne, come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace", a conclusione di una messa ad Amman, in Giordania.
Prima di concludere la messa nel moderno stadio cittadino Benedetto XVI ha recitato la consueta preghiera domenicale del Regina coelis. Il Papa ha invocato l'intercessione della Madonna "su tutti i Cristiani di queste terre; con l'aiuto delle sue preghiere possano essere veramente una cosa sola nella fede che professano e nella testimonianza che offrono".
Applausi, canti arabi e cori in italiano "viva il Papa", "Benedetto in Giordania" hanno accompagnato la conclusione della cerimonia religiosa.
Tenuta con difficoltà a freno dai gendarmi vaticani, la folla, punteggiata di bandierine vaticane e giordane, ha circondato con calorosa insistenza il Papa e il suo seguito che hanno sfilato via dal palco verso la sagrestia.

© Copyright Apcom


Ho trovato i fedeli giordani, molto, ma mooooolto entusiasti!!!! [SM=g8431] [SM=g8431] [SM=g8431] [SM=g8431] [SM=g8431] [SM=g8431]


+PetaloNero+
00domenica 10 maggio 2009 20:37
Discorso del Papa sul luogo del Battesimo di Gesù al Giordano
"La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo"



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica pomeriggio a Betania oltre il Giordano, nella zona in cui predicò Giovanni il Battista e che fu testimone della vita pubblica di Gesù, dopo aver benedetto le prime pietre di due chiese cattoliche, una latina e l'altra greco-melchita.

* * *

Altezze Reali,

Cari Fratelli Vescovi,

Cari Amici,
è con grande gioia spirituale che vengo a benedire le prime pietre delle due Chiese Cattoliche che saranno costruite al di là del fiume Giordano, un posto segnato da molti avvenimenti memorabili nella storia biblica. Il profeta Elia, il Tisbita, proveniva da questa area non lontano dal nord di Galaad. Qui vicino, di fronte a Gerico, le acque del Giordano si aprirono davanti ad Elia che fu portato via dal Signore in un carro di fuoco (cfr 2 Re 2,9-12). Qui lo Spirito del Signore chiamò Giovanni, figlio di Zaccaria, a predicare la conversione dei cuori. Giovanni l'Evangelista pose in questa area anche l'incontro tra il Battista e Gesù, che in occasione del battesimo venne "unto" dallo Spirito di Dio disceso come colomba, e fu proclamato amato Figlio del Padre (cfr Gv 1,28; Mc 1,9-11).

Saluto con gioia Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia per la Chiesa Greco-Melchita. Saluto con affetto anche Sua Beatitudine l'Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme. Estendo con calore i miei migliori saluti a Sua Beatitudine Michel Sabbah, ai Vescovi Ausiliari presenti, particolarmente all'Arcivescovo Joseph Jules Zerey e al Molto Reverendo Salim Sayegh, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto. Sono lieto di salutare tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici che ci accompagnano oggi. Rallegriamoci nel riconoscere che i due edifici, uno Latino, l'altro Greco-Melchita, serviranno ad edificare, ognuno secondo le tradizioni della propria comunità, l'unica famiglia di Dio.

La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l'unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, rigettata dai costruttori ma preziosa agli occhi di Dio e da Lui scelta come pietra angolare (cfr 1 Pt 2,4-5.7). Con Lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio (cfr Ef 2,20-22; 1 Pt 2,5). Sant'Agostino amava riferirsi al mistero della Chiesa come al Christus totus, il Cristo intero, il pieno e completo Corpo di Cristo, Capo e membra. Questa è la realtà della Chiesa; essa è Cristo e noi, Cristo con noi. Egli è con noi come la vite è con i suoi tralci (cfr Gv 15,1-8). La Chiesa è in Cristo una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia che promana da Lui. Attraverso la Chiesa Cristo purifica i nostri cuori, illumina le nostre menti, ci unisce con il Padre e, nell'unico Spirito, ci conduce ad un quotidiano esercizio di amore cristiano. Confessiamo questa gioiosa realtà come l'Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa.

Entriamo nella Chiesa mediante il Battesimo. La memoria del battesimo stesso di Cristo è vivamente presente davanti a noi in questo luogo. Gesù si mise in fila con i peccatori ed accettò il battesimo di penitenza di Giovanni come un segno profetico della sua stessa passione, morte e resurrezione per il perdono dei peccati. Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo. Il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese. Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù. Le vostre vite, in obbedienza alla sua parola, sono trasformate nella sua immagine e somiglianza. Sforzandovi di essere fedeli al vostro impegno battesimale di conversione, testimonianza e missione, sappiate che siete fortificati dal dono dello Spirito Santo.

Cari Fratelli e Sorelle, possa la contemplazione di questi misteri arricchirvi di gioia spirituale e coraggio morale. Con l'Apostolo Paolo, vi esorto a crescere nella intera serie di nobili atteggiamenti che vanno sotto il nome benedetto di agape, amore Cristiano ( cfr 1 Cor 13,1-13). Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall'esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità. Continuate ad essere grati a coloro che vi guidano e vi servono fedelmente come ministri di Cristo. Fate bene ad accettare la loro guida nella fede sapendo che nel ricevere l'insegnamento apostolico che essi trasmettono, accogliete Cristo e accogliete l'Unico che l'ha inviato ( cfr Mt 10,40).

Miei cari Fratelli e Sorelle, procediamo ora a benedire queste due pietre, l'inizio di due nuovi edifici sacri. Voglia il Signore sostenere, rafforzare ed incrementare le comunità che in essi eserciteranno il loro culto. E benedica tutti voi con il suo dono di pace. Amen!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




La visita al Sito del Battesimo. Il Papa: promuovete il dialogo anche quando rivendicate diritti legittimi

Nel pomeriggio il Papa si è trasferito nella regione di Betania al di là del Giordano, per una visita al “Sito del Battesimo” dove operava San Giovanni Battista. Qui ha presieduto il rito di Benedizione delle prime pietre delle chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. “La prima pietra di una chiesa – ha detto il Pontefice - è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana”. Poi si è rivolto ai fedeli con questo invito: “Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall’esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità”.




Una domenica di grande festa per Il Santo Padre in Giordania


E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento.‘Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità.”

E grande è stata anche la festa che ha accolto il Papa nel pomeriggio durante la sua visita al sito del battesimo, a Betania dell’oltre Giordano.

Il servizio di Pietro Cocco



L’immagine è di quelle che rimangono a futura memoria. In modo del tutto inaspettato, ad attendere il Papa al sito del battesimo, oltre a una folla numerosa, c’erano il Re Abdullah, la regina Rania e il Principe Ghazi che lo hanno accompagnato lungo tutto il percorso archeologico. Benedetto XVI è salito su una delle macchine elettriche preparate per l’occasione, insieme ai suoi ospiti, ed al Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal; mentre uno dei responsabili del sito, alla guida, illustrava loro alcune delle più significative scoperte di archeologia biblica avvenute in quell’area, dove l’evangelista Giovanni pose l’incontro tra il Battista e Gesù. Il convoglio di dodici macchine elettriche si è snodato per una decina di minuti lungo il percorso che corre di fianco al Giordano, che segna il confine tra la Giordania e Israele, mostrando un’immagine di grande familiarità e cordialità.

Ed una grande gioia e festa ha poi accompagnato il momento della benedizione delle prime pietre delle due nuove chiese, una latina e l’altra greco-melkita, che sorgeranno nell’area del sito del batteimo. C’era infatti una folla numerosa insieme ai Patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme, Gregorio III Laham e Fouad Twal, i loro ausiliari e gli ordinari di Terra Santa.
E gioia e coraggio sono stati i due sentimenti a cui si è riferito il Papa, più volte, per invitare i cristiani della Terra Santa ad essere pietre vive della Chiesa e costruttori di ponti tra le persone di diverse fedi e culture, e così arricchire il tessuto della società.

La prima pietra di una chiesa, ha detto, è simbolo di Cristo. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, che fa della Chiesa una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia, luogo di dimora per Dio. E’ questa realtà che può donare la gioia e il coraggio per crescere in quei nobili atteggiamenti, ha detto ancora Papa Benedetto, che vanno sotto il nome di agape, amore cristiano:

"Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità."

Ed al tema dell’amore, Benedetto XVI aveva dedicato l’omelia del mattino, alla Messa celebrata nello stadio di Amman, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio.
In particolare il Papa ha ricordato che la Chiesa in Terra Santa deve molto alla testimonianza di fede e di amore di tante donne, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore:

"Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29). "

Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.



Da Amman, Pietro Cocco, RV
Paparatzifan
00domenica 10 maggio 2009 22:06
Dal blog di Lella...

Primo giorno in Terra Santa. Il Papa punta sul dialogo ma senza malintesi

Paolo Rodari

mag 9, 2009 il Riformista

Questa volta la partenza da Fiumicino è andata via liscia.
La breve conferenza stampa che Benedetto XVI ha tenuto ieri prima che il volo Alitalia decollasse per Amman, non ha infatti avuto lo strascico di polemiche come avvenuto in Africa.
Segno che la segreteria di Stato vaticana e la sala stampa della Santa Sede sono state attente, questa volta più che allora, a passare al Pontefice domande ben selezionate a priori.
Le prime parole, non a caso, sono state per l’islam. Normale che così fosse: il primo incontro del Pontefice è stato ieri con il Re Abdullah II: «La mia visita in Giordania - ha detto Benedetto XVI - mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità musulmana, e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da Sua Maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall’islam».
Quello con Abdullah II è un feeling non nuovo. Fu il Re a promuovere il Messaggio di Amman con il quale s’invitava le tre grandi religioni monoteiste - cristianesimo, islam ed ebraismo - al reciproco ascolto - «dialogo trilaterale» l’ha chiamato ieri il Papa usando un termine usato anche dal suo amico rabbino Jacob Neusner -. Uno sforzo gradito e valorizzato oltre il Tevere e l’affabilità con la quale il Papa è stato accolto ieri nella capitale giordana conferma questo stato di cose.
Non solo islam, ovviamente. Il viaggio è destinato a segnare un punto importante nel dialogo con l’ebraismo. Come lo segnerà, se bene o male, dipenderà dall’evolversi delle giornate. Ieri, però, il Papa ha detto una cosa: d’essere convinto che il dialogo con gli ebrei «nonostante i malintesi», faccia «progressi» e che questo «aiuterà la pace e il cammino reciproco». E ancora: «È importante - ha detto - che ebrei e cristiani abbiamo la stessa radice nella Bibbia e gli stessi libri dell’Antico testamento, che sono libri di liberazione: naturalmente dove per duemila anni si è stati distinti, anzi separati, non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi; c’è un cosmo semantico diverso sicché le stesse parole significano cose diverse».
Come a dire: le differenze ci sono. E da queste occorre partire e ripartire sempre. I malintesi anche ci sono: l’affaire Richard Willimson è stato uno degli ultimi. Ma da questi si può ricostruire.
Però, c’è un però. Ed è la questione dei cristiani: Ratzinger ha specificato che il Vaticano incoraggia «i cristiani della Terrasanta e del Medio Oriente a restare nelle loro terre» di cui sono «componente importante», e chiedendo per loro «cose concrete» come «scuole e ospedali».
Un messaggio diretto innanzitutto a Israele, più che al mondo ebraico, ovvero alla necessità che questi faccia dei passi concreti verso il riconoscimento della presenza cristiana nella regione. Verso la conclusione di quegli accordi fondamentali che da più di quindici anni non trovano pace.
Israele ha incassato il colpo. Anche se precedentemente aveva chiesto esplicitamente al Papa di pronunciare una chiara condanna del negazionismo. Il ministro degli Affari religiosi avea scritto a Benedetto XVI qualche giorno fa una lettera in cui esprime la «speranza» che egli «condanni chiaramente i negazionisti dell’Olocausto e i sostenitori dell’antisemitismo, diversi dei quali si dicono fedeli alla sua Chiesa».
In realtà Benedetto XVI ha già fatto quanto Israele chiede.
Nella lettera che un mese fa ha pubblicato di spiegazione della revoca della scomunica ai lefebvriani, ha assicurato la sua stima per gli ebrei, il rigetto delle tesi negazioniste e per ogni forma di antisemitismo.
Evidentemente non basta. Ma è anche vero che, probabilmente, la lettera del ministro degli Affari religiosi è stata più un qualcosa di dovuto all’interno d’un gioco diplomatico.
Benedetto XVI non ha dimenticato il processo di pace. Ieri, sull’aereo, ha assicurato che la Chiesa appoggia «posizioni realmente ragionevoli» per il processo di pace in Medio Oriente.
«Questo abbiamo già fatto e vogliamo fare in futuro», ha detto il Pontefice prima di atterrare in Giordania. Rispondendo a una domanda sul contributo del suo viaggio al processo di pace, alla vigilia dell’incontro dei leader israeliani e palestinesi con il presidente Usa Barack Obama, il Papa ha ricordato che la Chiesa può contribuire a tre livelli: con la preghiera che «apre a Dio e può agire nella storia e può portare alla pace»; con la «formazione delle coscienze» per evitare che siano «ostacolate da interessi particolari»; con la «ragione: non essendo parte politica più facilmente possiamo aiutare a vedere i criteri veri e ciò che serve realmente alla pace».
È il realismo ratzingeriano applicato alla politica estera. Non una parola di troppo, non una parola di meno.
Dopo l’incontro con Abdullah II, quello con i giovani disabili accolti dalla Chiesa Cattolica della Giordania nel Centro Regina Pacis di Amman: «Nelle nostre personali prove cogliamo l’essenza della nostra umanità, diventiamo più umani» ha detto il Papa indossando una kefiah a scacchi rossi regalatagli da due boy scout. Ad accoglierlo c’erano i due principali fautori del suo arrivo in Terra Santa: il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal e il suo vicario per la Giordania, mons. Salim Sayegh.

© Copyright Il Riformista , 9 maggio 2009


Paparatzifan
00domenica 10 maggio 2009 22:12
Dal blog di Lella...

PAPA/ Stampa araba e israeliana: Benedetto XVI ha espresso rispetto per l’Islam

Redazione sabato 9 maggio 2009

La stampa araba sottolinea oggi quanto detto da Benedetto XVI circa il "rispetto della comunità islamica", parole pronunciate dal papa ieri al suo arrivo in Giordania e trasmesse in diretta da molte tv arabe tra cui al Jazira.
"Il papa esprime il suo rispetto per i musulmani e l'Islam", il titolo che rimbalza su molte testate mediorientali, dal quotidiano libanese an-Nahar al siriano Tishrin a ad al Watan (Emirati arabi uniti).Come naturale sono proprio i giornali giordani, insieme a quelli libanesi dove la comunit cristiana particolarmente numerosa e importante, quelli che dedicano maggiora spazio al viaggio papale, quasi sempre messo in prima pagina.
E in Giordania - al-Rai, al-Dustour e il Jordan Times - in primo piano sono poste le affermazioni di re Abdallah II, che ha lanciato un appello al "dialogo tra le fedi".
I giornali dell'area del Golfo mettono invece le notizie sulla visita di papa Ratzinger nelle pagine interne. Varie televisioni arabe, comprese le due più note satellitari, al Arabiya e al Jazira, hanno trasmesso in diretta l'arrivo del papa nel regno hashemita.
Stampa israeliana - Spazio mediatico ridotto oggi in Israele a causa della festività del sabato ebraico (senza giornali in edicola) per la visita del papa in Terrasanta, cominciata ieri in Giordania edestinata a proseguire poi dall'11 nello stesso Israele e nei Territori palestinesi. Fra le testate online spicca uno dei titoli di apertura di Haaretz (liberal), che sottolinea come Benedetto XVI abbia manifestato "profondo rispetto verso l'Islam al debutto del suo viaggio in Medio Oriente". Ma evoca pure rischi non ancora sventati di "reazioni musulmane ai suoi commenti sul Profeta Maometto del 2006", riferiti al discorso di Ratisbona.
Titolo sulla manifestazione di "profondo rispetto verso l'Islam" anche sul sito del Jerusalem Post (conservatore), che sottolinea, inoltre, l'esplicito "apprezzamento del Papa agli sforzi di re Abdallah (di Giordania) per promuovere la pace in Medio Oriente". Yediot Ahronot, nella sua testata web Ynet, non mostra invece grande interesse per la tappa ad Amman della visita del pontefice.
Mantiene tuttavia nella sezione delle 'opinioni' il commento controcorrente del generale della riserva Ghiora Eiland, ex consigliere per la sicurezza nazionale, di critica alle autorità israeliane per l'atteggiamento di "ossequio" riservato al papa nell'imminenza della sua visita. Un atteggiamento che "non produce benefici diplomatici a Israele", scrive Eiland, riesumando - oltre alle presunte "ombre" della biografia giovanile di Benedetto XVI nella Germania nazista - accuse sul processo di beatificazione di Pio XII, sulla partecipazione della Santa Sede alla controversa conferenza recente dell'Onu di Ginevra sul razzismo, sul caso del vescovo tradizionalista lefebvriano Richard Williamson negatore della Shoah.
Più distaccato e concentrato sui temi specifici del viaggio il sito palestinese Maan, che avanza un paragone fra il momento giordano della visita e quello israelo-palestinese.
"Mentre in Israele e Palestina - si legge su Maan - la visita ha sollevato decine di questioni politiche... e ha innescato una guerra sotto traccia (fra leadership israeliana e palestinese) per guadagnarsi i favori del pontefice, in Giordania il messaggio papale per la pace risuona più forte rispetto al contorno politico".

© Copyright Il Sussidiario, 9 maggio 2009


Paparatzifan
00domenica 10 maggio 2009 22:21
Dal blog di Lella...

Il luogo del Battesimo di Gesù torna ad essere meta di pellegrinaggi

Il Papa benedice la prima pietra di due chiese

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).

Con la benedizione delle prime pietre di due chiese, Benedetto XVI ha voluto riscoprire e rilanciare questa domenica pomeriggio i pellegrinaggi al luogo in cui Gesù venne battezzato da Giovanni il Battista, sulle rive del fiume Giordano.

L'importanza di questo gesto non solo per la Chiesa ma anche per la stessa Giordania è stata sottolineata dalla partecipazione all'incontro dei sovrani del Paese, Abdallah II e Rania, che non era stata prevista.

I sovrani hanno accolto il Santo Padre e insieme sono saliti su una macchina da golf perché il re, seduto accanto al Papa, gli potesse illustrare le scoperte che si stanno effettuando in questo importantissimo sito archeologico, ufficialmente noto come Sito del Battesimo (Baptism site), che si trova sotto il controllo di una commissione giordana.
Le scoperte, iniziate alla fine degli anni Novanta, hanno evidenziato come il luogo sia stato meta di pellegrinaggi fin dagli inizi del cristianesimo, come dimostrano più di venti chiese, grotte e piscine battesimali risalenti ai periodi romano e bizantino. Le vicissitudini storiche, ad ogni modo, avevano interrotto i pellegrinaggi in questo luogo.
Gli archeologi sostengono che si tratti della località che il Vangelo di Giovanni (capitolo I, versetto 28) definisce "Betania oltre il Giordano", una Betania diversa da quella che si trova vicino Gerusalemme (dove ha avuto luogo il miracolo della resurrezione di Lazzaro) e che gli esegeti fino a pochi anni fa non sapevano situare.
"Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo", ha affermato il Papa.
Per questo, ha aggiunto, "il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese".
"Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù", ha augurato ai cristiani locali.
Il re Abdallah II progetta di far costruire in questo luogo cinque chiese per accogliere i pellegrini, una per ogni confessione cristiana. Due sono cattoliche, quella latina e quella greco-melchita, le cui prime pietre sono state benedette questa domenica dal Papa.
Come ha spiegato a ZENIT Nader Twal, cristiano, guida turistica, "purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa", motivo per il quale si spera che quale la visita del Papa permetta ai pellegrini di tutto il mondo di riscoprirlo.

© Copyright Zenit


+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 02:06
Il luogo del Battesimo di Gesù torna ad essere meta di pellegrinaggi
Il Papa benedice la prima pietra di due chiese



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Con la benedizione delle prime pietre di due chiese, Benedetto XVI ha voluto riscoprire e rilanciare questa domenica pomeriggio i pellegrinaggi al luogo in cui Gesù vene battezzato da Giovanni il Battista, sulle rive del fiume Giordano.

L'importanza di questo gesto non solo per la Chiesa ma anche per la stessa Giordania è stata sottolineata dalla partecipazione all'incontro dei sovrani del Paese, Abdallah II e Rania, che non era stata prevista.

I sovrani hanno accolto il Santo Padre e insieme sono saliti su una macchina da golf perché il re, seduto accanto al Papa, gli potesse illustrare le scoperte che si stanno effettuando in questo importantissimo sito archeologico, ufficialmente noto come Sito del Battesimo (Baptism site), che si trova sotto il controllo di una commissione giordana.

Le scoperte, iniziate alla fine degli anni Novanta, hanno evidenziato come il luogo sia stato meta di pellegrinaggi fin dagli inizi del cristianesimo, come dimostrano più di venti chiese, grotte e piscine battesimali risalenti ai periodi romano e bizantino. Le vicissitudini storiche, ad ogni modo, avevano interrotto i pellegrinaggi in questo luogo.

Gli archeologi sostengono che si tratti della località che il Vangelo di Giovanni (capitolo I, versetto 28) definisce "Betania oltre il Giordano", una Betania diversa da quella che si trova vicino Gerusalemme (dove ha avuto luogo il miracolo della resurrezione di Lazzaro) e che gli esegeti fino a pochi anni fa non sapevano situare.

"Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo", ha affermato il Papa.

Per questo, ha aggiunto, "il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese".

"Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù", ha augurato ai cristiani locali.

Il re Abdallah II progetta di far costruire in questo luogo cinque chiese per accogliere i pellegrini, una per ogni confessione cristiana. Due sono cattoliche, quella latina e quella greco-melchita, le cui prime pietre sono state benedette questa domenica dal Papa.

Come ha spiegato a ZENIT Nader Twal, cristiano, guida turistica, "purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa", motivo per il quale si spera che quale la visita del Papa permetta ai pellegrini di tutto il mondo di riscoprirlo.





Portavoce vaticano: in Giordania il Papa raggiunge due obiettivi
Bilancio della prima tappa del pellegrinaggio papale in Terra Santa



AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha raggiunto gli obiettivi che si era proposto in Giordania, Paese dal quale si congederà questo lunedì per recarsi in Israele, considera il portavoce vaticano.

Padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa vaticana, osserva che il bilancio di questo pellegrinaggio "è necessariamente molto positivo, perché il Papa ha potuto svolgere tutti gli incontri che erano in programma con grandissima serenità, con un'accoglienza molto calda, molto amichevole, da parte sia delle autorità dello Stato, della famiglia reale, sia da parte del mondo musulmano e poi anche grazie agli incontri con la comunità cristiana".

"Mi pare molto saggio avere iniziato questo viaggio attraverso una porta di pace, una porta di serenità - riconosce il sacerdote, che è anche direttore della "Radio Vaticana" -. In questo momento, la Giordania è nel quadro del Medio Oriente un Paese sostanzialmente sereno e quindi il fatto di iniziare l'itinerario del Medio Oriente da questo punto credo che abbia reso l'avvio di questo viaggio di pace particolarmente positivo".


Oltre alla visita al Monte Nebo, da cui Mosè vide la Terra Promessa, tra i grandi eventi del soggiorno nel Paese padre Lombardi ha sottolineato la visita di questo sabato alla moschea nazionale giordana.

Una crisi superata con l'islam

"Si vede che diventa, in un certo senso, sempre più normale, naturale, che il Papa in atteggiamento amichevole entri in un luogo di preghiera dei musulmani - ha commentato -. Questo è un segno del progresso del rapporto positivo tra cristiani e musulmani nel corso di questi anni".

In questo senso, padre Lombardi afferma che già da tempo era stata superata la crisi nelle relazioni con l'islam seguita al discorso pronunciato dal Papa nel 2006 a Ratisbona.

"Come sappiamo, quando c'è un malinteso che tocca profondamente, ci vuole poi tutta una serie di passi, di tempi, per risanare completamente tutte le conseguenze - ha ammesso -. E quindi, non c'è poi neanche da stupirsi che continuino dei riferimenti a quel momento difficile".

"Abbiamo, però, già più di due anni di esperienze positive, che da quel momento sono cominciate", ricorda. Il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, cugino e consigliere del re di Giordania, ha evocato Ratisbona nel discorso che ha rivolto al Papa dopo la visita alla moschea, "ma ha detto chiaramente che è un capitolo definitivamente superato e poi ha salutato il Papa come Successore di Pietro, il che in bocca ad un capo autorevole del mondo musulmano è un saluto molto significativo".

Sostegno alla minoranza cattolica

L'altro obiettivo che il Papa si prefiggeva di raggiungere in Giordania era il sostegno all'esigua comunità cristiana (circa il 3% della popolazione) e a quella cattolica in particolare (poco più dell'1,5%).

"Un'altra immagine bella" che il Papa porta nel cuore, ha aggiunto il portavoce, "riguarda il calore della comunità cristiana che accoglie il Papa", come è avvenuto "nella cattedrale dei greco-melkiti, in cui veramente l'entusiasmo dell'accoglienza è stato impressionante".

La Chiesa cattolica nel Paese, sostiene, è "una Chiesa che è viva e ha potuto dimostrarlo qui al Papa, non solo con l'accoglienza e con la cordialità e l'intensità dei momenti di preghiera insieme", ma anche grazie ad "alcune circostanze importanti: al Centro Regina Pacis per i giovani e gli handicappati è stata inaugurata una nuova ala. Nell'Università di Madaba è stata posta la prima pietra ed è un'iniziativa di grandissimo rilievo, non solo per la Giordania, ma per tutto il Medio Oriente, in cui lo sviluppo che potrà avere il contributo che la Chiesa dà alla cultura nel Paese sarà estremamente significativo".

"E poi le due pietre delle due chiese latina e greco-melkita, nella zona del Battesimo di Cristo, significano che anche fisicamente crescono i luoghi in cui la Chiesa si incontra. Certamente, il fatto che il passaggio del Papa sia stato collegato a queste belle circostanze, dice che è una Chiesa che si sente viva, vitale, e che guarda in avanti".

Messaggio di pace a israeliani e palestinesi

Giungendo in Israele e nei Territori palestinesi, ha concluso padre Lombardi, il Papa spera che la visita "possa essere veramente un messaggio di pace, di riconciliazione, di incoraggiamento per le comunità cristiane che si trovano in difficoltà, che un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia, un messaggio di amore possa dare un contributo efficace per migliorare la situazione in tutta l'area".


+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 17:27
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XI)


CERIMONIA DI CONGEDO DALLA GIORDANIA ALL’AEROPORTO QUEEN ALIA DI AMMAN



Questa mattina, celebrata la Santa Messa in privato, alle ore 9.15 il Santo Padre Benedetto XVI si congeda dalla Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman dove alle ore 10.00 ha luogo la Cerimonia di congedo dalla Giordania.

Dopo il discorso del Re di Giordania, Sua Maestà Abdallah II Bin Al-Hussein, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Maestà,
Eccellenze,
Cari Amici,

accingendomi alla prossima tappa del mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia, desidero ringraziare tutti voi per la calorosa accoglienza che ho ricevuto in Giordania in questi giorni. Ringrazio Sua Maestà il Re Abdullah II per avermi invitato a visitare il Regno Ascemita, per la sua ospitalità e le sue gentili parole. Esprimo anche il mio apprezzamento per il grande lavoro fatto al fine di rendere possibile la mia visita e di assicurare lo svolgimento ordinato dei vari incontri e delle celebrazioni che hanno avuto luogo. Le pubbliche autorità, assistite da un gran numero di volontari, hanno lavorato a lungo e strenuamente per dirigere le folle e organizzare i diversi eventi. La copertura dei mass-media ha consentito a innumerevoli persone di seguire le celebrazioni, anche se non hanno potuto essere fisicamente presenti. Mentre ringrazio coloro che hanno reso possibile questo, desidero estendere un particolare ringraziamento a tutti coloro che stanno ascoltando la radio o guardando la televisione, specialmente agli ammalati e a coloro che sono costretti a restare in casa.

È stata una particolare gioia per me essere presente all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica qui in Giordania. La nuova ala del Centro Regina Pacis aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie. Le due chiese che saranno costruite a Betania renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo. L’Università di Madaba deve offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile. A tutti coloro che sono impegnati in questi progetti porgo i migliori auguri e la promessa delle mie preghiere.

Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi Musulmani assieme ai membri dei Corpi diplomatici e ai Rettori dell’Università. Desidererei incoraggiare tutti i Giordani, sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto. Sua Maestà il Re è stato molto attivo nel promuovere il dialogo inter-religioso e desidero rilevare quanto il suo impegno a questo riguardo sia apprezzato. Prendo anche atto con gratitudine della particolare considerazione che egli dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. Questo spirito di apertura non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente.

Cari Amici, come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania. Di conseguenza, le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme. Ancora una volta desidero esprimere l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio in questa terra e desidero anche ringraziare le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa di ieri nello Stadio Internazionale. E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo. Li incoraggio tutti insieme a rimanere fedeli al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano.

Nel congedarmi da voi, desidero sappiate che io porto nel mio cuore il popolo del Regno Ascemita e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità, adesso e per le generazioni future. Ancora una volta, grazie. E che Dio vi benedica tutti!


Alle ore 10.30, al termine della cerimonia di congedo, il Papa parte a bordo di un Airbus 321 della Royal Jordanian diretto a Tel Aviv in Israele. L’arrivo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv è previsto per le ore 11.00 locali (le 10.00 ora di Roma).


PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XII)


CERIMONIA DI BENVENUTO IN ISRAELE ALL’AEROPORTO BEN GURION DI TEL AVIV



L’aereo con a bordo il Santo Padre, proveniente da Amman, arriva a Tel Aviv alle ore 11.00 locali (le 10.00 ora di Roma).

All’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv il Santo Padre Benedetto XVI è accolto dal Presidente dello Stato di Israele, S.E. il Sig. Shimon Peres, e dal Primo Ministro, S.E. il Sig. Benjamin Netanyahu. Sono presenti Autorità politiche e civili e gli Ordinari di Terra Santa.

Dopo la presentazione delle Delegazioni e il discorso del Presidente di Israele, Shimon Peres, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Signor Presidente,
Signor Primo Ministro,
Eccellenze, Signore e Signori,

grazie per la vostra calorosa accoglienza nello Stato di Israele, in questa terra che è considerata santa da milioni di credenti in tutto il mondo. Sono grato al Presidente, il Sig. Shimon Peres, per le sue gentili parole ed apprezzo l’opportunità offertami di compiere questo pellegrinaggio ad una terra resa santa dalle orme di patriarchi e profeti, una terra che i Cristiani tengono in particolare venerazione quale luogo degli eventi della vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Prendo il mio posto in una lunga fila di pellegrini cristiani a questi luoghi, una fila che risale indietro nel tempo fino ai primi secoli della storia cristiana e che, ne sono sicuro, continuerà a prolungarsi nel futuro. Come molti altri prima di me, vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo.

Signor Presidente, la Santa Sede e lo Stato di Israele condividono molti valori, primo fra tutti l’impegno di riservare alla religione il suo legittimo posto nella vita della società. Il giusto ordine delle relazioni sociali presuppone ed esige il rispetto per la libertà e la dignità di ogni essere umano, che Cristiani, Musulmani ed Ebrei credono ugualmente essere creato da un Dio amorevole e destinato alla vita eterna. Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili.

Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.

Durante la mia permanenza a Gerusalemme, avrò anche il piacere di incontrare molti distinti leader religiosi di questo paese. Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi. Possano adempiersi le parole della profezia di Isaia, secondo cui molte nazioni affluiranno al monte della Casa del Signore, così che Egli insegni loro le sue vie ed esse possano camminare sui suoi sentieri, sentieri di pace e di giustizia, sentieri che portano alla riconciliazione e all’armonia (cfr Is 2,2-5).

Anche se il nome Gerusalemme significa "città della pace", è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.

Ai Vescovi e ai fedeli cattolici oggi qui presenti porgo una speciale parola di saluto. In questa terra dove Pietro ha ricevuto il compito di pascere le pecorelle del Signore, giungo come successore di Pietro per compiere in mezzo a voi il mio ministero. Sarà mia speciale gioia unirmi a voi per concludere le celebrazioni dell’Anno della Famiglia, che si svolgeranno a Nazareth, patria della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Come ho detto nel mio Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, la famiglia è "la prima ed indispensabile maestra di pace" (n. 3), e pertanto ha un ruolo vitale da svolgere nel sanare le divisioni presenti nella società umana ad ogni livello. Alle comunità cristiane della Terra Santa dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra. Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi porti molto frutto nel promuovere la pace e il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia.

Signor Presidente, Signore e Signori, ancora una volta vi ringrazio per la vostra accoglienza e vi assicuro dei miei sentimenti di buona volontà. Dio dia forza al suo popolo! Dio benedica il suo popolo con la pace!


Al termine, il Santo Padre si trasferisce in elicottero a Jerusalem. L’arrivo all’eliporto di Jerusalem sul Monte Scopus è previsto per le ore 12.15. Qui il Papa è accolto dal Sindaco della Città, Sig. Nir Barkat. Quindi si reca in auto alla Delegazione Apostolica di Jerusalem dove pranza in privato.




Discorso del Papa al Palazzo presidenziale di Gerusalemme


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nel giardino interno del Palazzo presidenziale di Gerusalemme per la visita di cortesia al Presidente Shimon Peres.

* * *

Signor Presidente,

Eccellenze,

Signore e Signori,

come gentile atto di ospitalità, il Presidente Peres ci ha accolti qui nella sua residenza, offrendo a me la possibilità di salutare tutti voi e di condividere, al tempo stesso, con voi qualche breve considerazione. Signor Presidente, La ringrazio per la cortese accoglienza e per le sue calorose parole di saluto, che di cuore contraccambio. Ringrazio inoltre i musicisti che ci hanno intrattenuto con la loro elegante esecuzione.

Signor Presidente, nel messaggio augurale che Le inviai in occasione del Suo insediamento, avevo di buon grado ricordato la Sua illustre testimonianza nel pubblico servizio contrassegnato da un forte impegno nel perseguire la giustizia e la pace. Oggi desidero assicurare a Lei insieme al Primo Ministro Netanyahu ed il suo Governo appena formato, come pure a tutti gli abitanti dello Stato di Israele, che il mio pellegrinaggio ai Luoghi Santi è un pellegrinaggio di preghiera in favore del dono prezioso dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per tutta l’umanità. In verità, ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti.

La pace è prima di tutto un dono divino. La pace infatti è la promessa dell’Onnipotente all’intero genere umano e custodisce l’unità. Nel libro del profeta Geremia leggiamo: "Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza" (29,11). Il profeta ci ricorda la promessa dell’Onnipotente che "si lascerà trovare", che "ascolterà", che "ci radunerà insieme". Ma vi è anche una condizione: dobbiamo "cercarlo", e "cercarlo con tutto il cuore" (cfr ibid. 12-14).

Ai leader religiosi oggi presenti vorrei dire che il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio. Nostro è il compito di proclamare e testimoniare che l’Onnipotente è presente e conoscibile anche quando sembra nascosto alla nostra vista, che Egli agisce nel nostro mondo per il nostro bene, e che il futuro della società è contrassegnato dalla speranza quando vibra in armonia con l’ordine divino.

È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità. Di fatto, il fondamento ultimo dell’unità tra le persone sta nella perfetta unicità e universalità di Dio, che ha creato l’uomo e la donna a propria immagine e somiglianza per condurci entro la sua vita divina, così che tutti possano essere una cosa sola.

Pertanto, i leader religiosi devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come "ricco di amore e di fedeltà" (Es 34, 6; Sal 138,2; Sal 85, 11). Cari Amici, Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio; di svelare il piano dell’Onnipotente, annunciato ad Abramo, per l’unità della famiglia umana; e di proclamare la vera natura dell’uomo quale cercatore di Dio. Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana.

La Sacra Scrittura ci offre anche una sua comprensione della sicurezza. Secondo il linguaggio ebraico, sicurezza – batah – deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza. Nel libro del profeta Isaia leggiamo di un tempo di benedizione divina: "Infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre" (32, 15-17). Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall’essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l’uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo.

Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace. Naturalmente, ci si aspetta che i leader civili e politici assicurino una giusta e adeguata sicurezza per il popolo a cui servizio essi sono stati eletti.

Questo obiettivo forma una parte della giusta promozione dei valori comuni all’umanità e pertanto non possono contrastare con l’unità della famiglia umana. I valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti (cfr Discorso alle Nazioni Unite, 18 aprile 2008). Non si possono pertanto realizzare quando cadono preda di interessi particolari o di politiche frammentarie. Il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti.

Gentili Signore e Signori, una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il "Tu" come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un "giardino ricolmo di frutti" (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia? Non può forse divenire una comunità di nobili aspirazioni, dove a tutti di buon grado viene dato accesso all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego, una società pronta ad edificare sulle fondamenta durevoli della speranza?

Per concludere, desidero rivolgermi alle comuni famiglie di questa città, di questa terra. Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze? Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza. So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto.

Signor Presidente, La ringrazio per la cortesia dimostratami e La assicuro ancora una volta delle mie preghiere per il Governo e per tutti i cittadini di questo Stato. Possa un’autentica conversione dei cuori di tutti condurre ad un sempre più deciso impegno per la pace e la sicurezza attraverso la giustizia per ciascuno.

Shalom!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]




Benedetto XVI al congedo ad Amman: cristiani e musulmani lavorino per il dialogo e la pace in Medio Oriente


Pace e prosperità: è l’augurio che Benedetto XVI ha rivolto alla Giordania nella cerimonia di congedo, stamani all’aeroporto Queen Alia di Amman. Il Papa ha ricordato i momenti forti della sua visita in terra giordana ed ha rinnovato il suo appello per la tolleranza religiosa. Dal canto suo, re Abdullah II ha ringraziato il Papa per aver onorato la Giordania della sua visita ed ha auspicato che si rafforzi il dialogo tra cristiani e musulmani. Il servizio di Alessandro Gisotti:


“Porto nel mio cuore il popolo” del Regno di Giordania “e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità”: con questo auspicio, Benedetto XVI ha lasciato Amman alla volta di Israele. Nel suo discorso di congedo, il Papa ha ringraziato tutti coloro che, dai sovrani ai volontari, si sono prodigati per il successo della visita. Quindi, ha levato un nuovo appello in favore del dialogo e della tolleranza:


“I would like to encourage all Jordanians…”
“Desidererei incoraggiare tutti i Giordani - ha detto - sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto”. Il Papa ha lodato il Re Abdullah II per il suo impegno “nel promuovere il dialogo inter-religioso”. Ed ha preso atto “con gratitudine della particolare considerazione” che dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. “Questo spirito di apertura – ha ribadito Benedetto XVI - non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente”. Ha così ripercorso idealmente le tappe principali della sua visita in Giordania:


“One of the highlights of these days…”
“Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo – ha affermato - è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi musulmani”. Ed ha espresso “particolare gioia” per essere stato presente "all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica" in Giordania. Ha citato la nuova ala del Centro Regina Pacis, che “aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie”. Ancora, le due chiese che saranno costruite a Betania e che, ha rilevato, “renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo”. Infine, il Pontefice ha parlato dell’Università di Madaba chiamata ad “offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile”. Il Papa è poi ritornato sul significato profondo di questo viaggio apostolico:


“Dear friends: as you know, it is principally as a pilgrim…”
“Cari amici – ha spiegato - come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania”. Per questo, ha confidato, “le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme”. E qui ha espresso l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio ringraziando le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa domenicale nello Stadio Internazionale di Amman:


“It was truly a joy for me to experience…”“E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo”, ha detto. Quindi, ha incoraggiato i cristiani giordani a rimanere fedeli, tutti insieme, al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano. Dal canto suo, il re Abdullah II ha sottolineato l’importanza della visita del Papa:


“It is vital that we continue the dialogue of respect that we have begun …”“E’ di vitale importanza – ha affermato il sovrano - che continuiamo il dialogo di rispetto che noi abbiamo intrapreso”, ribadendo l’impegno “ad ogni livello per diffondere la comprensione, in particolare tra i giovani”. E’ importante, ha concluso, che noi credenti “condividiamo le ricchezze morali delle nostre fedi, affinché possiamo incontrarci per sanare le divisioni e per creare un mondo migliore per tutti”.





Benedetto XVI in Israele: vengo per pregare per la pace in Terra Santa e in tutto il mondo. Mai più crimini come la Shoah


Una preghiera accorata per la pace in Terra Santa e nel mondo, la durissima condanna della Shoah e una vera e propria supplica per il raggiungimento di una soluzione giusta al conflitto israelo-palestinese: così Benedetto XVI si è presentato in Israele durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Ben Gurion a Tel Aviv. Il Papa è stato accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

“I come, to pray at the holy places to pray…”
“Vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo”.


Nel suo primo discorso in Israele, Benedetto XVI ha voluto ribadire lo scopo del suo pellegrinaggio e non ha mancato di lanciare un accorato appello per rilanciare il negoziato di pace tra israeliani e palestinesi:

“In union with people of good everywhere...”
“In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico – ha detto il Papa – quanti sono investiti di responsabilità, ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”.

In questo momento in cui il processo di pace nella regione si sta sgretolando tra rivendicazioni ed estremismi, Benedetto XVI ha detto di sperare e pregare affinché “si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità”.


Parlando al presidente Peres il Papa non ha mancato di annunciare che in questa visita onorerà la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah e pregherà “affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità”. Inoltre ha condannato con forza il risorgere dell’antisemitismo che va combattuto dovunque si trovi, promuovendo il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo. Riferendosi alla città di Gerusalemme, il Papa ha espresso la speranza che in questa Città Santa “tutti i pellegrini ai luoghi santi delle tre grandi religioni monoteiste, abbiamo la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni per prendere parte a cerimonie religiose”. Accesso che spesso le autorità israeliane limitano per motivi di sicurezza.


Infine un pensiero alla piccola Chiesa locale che è una minoranza e che è chiamata attraverso la testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, a difendere la sacralità della vita ed a recare un “particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra":


“I pray that your continuing presence in Israel...”
“Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi – ha concluso Benedetto XVI - porti molto frutto nel promuovere la pace ed il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia”.

Ad accogliere il Papa in Israele, oltre al presidente Peres e al premier Netanyahu, anche tutti i presuli di Terra Santa. Il presidente Peres nel suo discorso ha parlato di “importante missione di pace” del Papa, ha incoraggiato il dialogo ebraico-cristiano, ha sottolineato la convivenza in Israele di diversi popoli che pregano lo stesso Dio ed ha annunciato che dopo la pace con Egitto e Giordania, Israele è impegnata in negoziati di pace con i palestinesi. I giornali scrivono che Benedetto XVI viene in Israele per una visita storica come uomo di pace. Il “Jerusalem Post” parla di visita “epocale” e da più parti si sottolinea che il caso Williamson è superato. Singolare un titolo sul quotiano “Haaretz” che parla di “Mission possible”, missione possibile, la missione di pace che fa da sfondo a questo pellegrinaggio papale.





L'incontro con Shimon Peres. Il Papa: una sicurezza durevole è questione di fiducia alimentata nella giustizia


“Ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti”: così Benedetto XVI durante la visita di cortesia oggi pomeriggio al presidente israeliano Shimon Peres, nella sua residenza a Gerusalemme. “Cari Amici – ha detto il Pontefice - Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”. Poi ha aggiunto: “il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti… una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il ‘Tu’ come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un “giardino ricolmo di frutti” (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia?”. E infine ha concluso: “So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.




Il rabbino Di Segni: importanti le parole del Papa contro l'antisemitismo


Sui primi momenti del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Israele e, in particolare sulle parole del Papa all’arrivo a Tel Aviv, Fabio Colagrande ha raccolto il commento del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:

R. – Io ho seguito la cerimonia di arrivo, e devo dire che ho l’impressione che si sia svolto tutto molto bene, che sia cominciata bene, con espressioni di rispetto reciproco, sincere e positive.


D. – “Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo; questo è totalmente inaccettabile, ogni sforzo dev’essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi”. Il Papa aveva già espresso questo concetto altre volte, magari con parole diverse; che impressione le ha fatto ascoltarle, oggi, proprio per la prima volta che Benedetto XVI arriva nello Stato d’Israele?


R. – E’ importante che questi concetti – che peraltro sappiamo ben condivisi e non formali da parte di questo Papa – siano riaffermati; certamente, nel pensiero di questo Papa, la parola antisemitismo non significa soltanto ostilità razzistica antiebraica, ma l’ostilità profonda – anche teologica -. Questo Papa si è adoperato contro l’ostilità antigiudaica teologica, e quindi che lo dica adesso, in terra d’Israele, è una cosa ulteriormente importante.


D. – Quanto, secondo lei, rabbino Di Segni, questo viaggio del Papa potrà rinsaldare ancora di più i rapporti fra le due religioni?


R. - Io credo sia una tappa necessaria e indispensabile, e per questo l’auspicio è appunto che tutto vada bene, perché queste presenze, chiaramente più di ogni altra dichiarazione o documento o cerimonia, sono dati reali che fanno impressione sul grande pubblico e che per questo hanno un impatto positivo.


D. – Si parla ancora su alcuni giornali degli effetti che ha avuto il caso Williamson. Adesso che il Papa è in Israele quel caso secondo lei si può considerare chiuso, anche dopo le parole pronunciate dal Pontefice nei mesi scorsi?


R. – Io credo che il caso sia chiuso da un pezzo, nel senso che una volta che è stata chiarita la dimensione della cosa e che il Papa stesso con un gesto inconsueto ha chiesto praticamente scusa per quello che era successo, mi pare che non ci debbano essere assolutamente equivoci.



Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.


D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?


R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.


D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...


R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.


D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...


R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.


D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?


R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.





Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal


Gli appelli lanciati da Benedetto XVI a sostegno dei tanti rifugiati presenti in Giordania sono stati accolti con gioia e gratitudine dai profughi cristiani iracheni. Sean Patrick Lovett al seguito del Papa ha raccolto il commento del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly:

R. – Sono molto grato al nostro Santo Padre che mi ha detto: “Noi preghiamo per voi sempre, specialmente per l’Iraq, affinché la pace e la tranquillità siano sempre in questo Paese”. Io, a nome di tutti gli iracheni, ed a nome di tutti i cristiani dell’Iraq, ringrazio di cuore il Santo Padre per tutto ciò che sta facendo per l’Oriente. A lui rivolgo a Dio le mie umili preghiere e così tutti i nostri fedeli. In particolar modo, questa visita contribuirà molto per la pace in questi Paesi che da tanti anni sono torturati da tanti drammi.

Durante questo pellegrinaggio in Terra Santa il Papa sta incoraggiando la minoranza cristiana a perseverare nella testimonianza di fede e di amore. Ascoltiamo in proposito il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, sempre al microfono di Sean Patrick Lovett:

R. – Chiediamo sempre la vostra preghiera, la vostra solidarietà. La mia impressione è quella di tutto il popolo di Giordania e, oso dire, dei musulmani e dei cristiani: un’impressione molto, molto positiva. Stando accanto al Santo Padre, lui ha manifestato la sua gioia nel vedere questa comunità cristiana, una minoranza, anche se non abbiamo l’impressione di esserlo. Tutti cantano, tutti sono felici, tutti si sentono a casa, con rispetto ed amore per la nostra identità di arabi, giordani, cristiani. Andiamo avanti e con l’appoggio del Santo Padre, con la preghiera della Chiesa universale, tutto andrà bene. Speriamo che anche nella seconda parte di questo pellegrinaggio le cose andranno bene come qui in Giordania, speriamo bene. Siamo preparati al massimo, con tutta la nostra fragilità: però non perdiamo mai la speranza e la presenza del Santo Padre certamente sarà per noi tutti una benedizione.



Lo statu quo in Terra Santa: intervista con padre Macora


Durante la sua visita in Terra Santa il Papa visiterà alcuni luoghi, come il Santo Sepolcro, regolati dal cosiddetto “statu quo”. Si tratta di un aspetto molto delicato, soprattutto a livello ecumenico. Roberto Piermarini ne ha parlato con padre Atanasio Macora, segretario per la Commissione dello “statu quo” della Custodia di Terra Santa:

R. – Lo “statu quo” in senso stretto riguarda determinati santuari della Terra Santa, tra cui il Santo Sepolcro, la chiesa della Natività a Betlemme, il Santuario dell’Ascensione e la Tomba della Vergine, che sono condivisi da diverse comunità cristiane. Lo “statu quo” regola questa condivisione, nel senso che lo “statu quo” è un decreto che obbliga ciascuna delle diverse comunità a rimanere nel suo stato attuale, e non è consentito ad una comunità di andare oltre il proprio confine. Si tratta di questioni di pulizia, di mantenimento, di proprietà, di uso. Per esempio, per quanto riguarda il tempo liturgico: ogni comunità è obbligata a pregare nel tempo ad essa riservato e a non andare oltre.


D. – Chi regola lo “statu quo” nei Luoghi Santi?


R. – Lo “statu quo” è regolato … nell’anno 1852 dal sultano turco, che obbligava ciascuna comunità a rimanere al proprio posto, e questo veniva a confermare – a sua volta – una situazione precedente che risaliva al 1757. Quindi, lo “statu quo” non è un codice ma è l’imposizione di un cessate-il-fuoco, in cui ciascuno rimane al proprio posto. Ma è importante sottolineare che di per sé non è un codice, non c’è un testo unico al quale ciascuna comunità possa rivolgersi per provare i propri diritti.


D. – Padre Macora, il problema – secondo lei – è lo “statu quo” o la sua interpretazione?


R. – Di per sé, il problema è che non esiste un codice. Cioè, lo “statu quo” è vago, è in se stesso una cosa vaga, perché non è definito. Non abbiamo un codice comune. Per essere più precisi: negli anni Sessanta, le tre comunità maggiori del Santo Sepolcro, cioè i greci-ortodossi, i latini rappresentati dai Francescani e gli armeni, si sono messi d’accordo per fare i restauri. Per fare i restauri della Basilica, hanno dovuto stilare degli accordi scritti. Questi accordi scritti, a mio parere, prendono il posto dello “statu quo”: ormai, in alcune situazioni, esiste una specie di codice scritto al quale possiamo appellarci, dicendo: questo è nostro perché l’abbiamo aggiustato nel 1962. Quindi, lì lo “statu quo” non presenta alcun problema, c’è chiarezza. Ma lo “statu quo” è un grande problema. Ultimamente, a novembre, c’è stato grande conflitto tra armeni e greci causato da una interpretazione: ecco, queste parti vaghe creano difficoltà.


D. – La difficile questione di Gerusalemme, che sembra quasi inestricabile, influisce sullo “statu quo”?


R. – Di per sé, no. Lo “statu quo” in senso stretto, è riferito ai Luoghi Santi. Ciò nonostante, ogni tanto qualcuno usa questa espressione di “statu quo” per indicare che le potenze politiche di oggi rimangono sulle loro posizioni.


D. – Ultima domanda, padre Macora: c’è stato un problema – dovuto alla presenza di Benedetto XVI – qui, per quanto riguarda lo “statu quo”, o è stato superato ogni problema?


R. – Non c’è stato nessun problema: io ho trovato i greci e gli armeni disponibilissimi, al massimo; noi abbiamo dovuto chiedere – per esempio – qualche cortesia, qualche eccezione alle regole dello “statu quo”: ad esempio, i microfoni, perché nella Basilica del Santo Sepolcro è proibito l’uso di altoparlanti, per ovvi motivi. Se tutti ne facessero uso, non si riuscirebbe più a pregare. Però, in via eccezionale, possiamo usarli con il consenso delle altre due comunità che hanno acconsentito all’uso degli altoparlanti. Sono stati veramente bravi e io sono loro riconoscente.




La visita al Memoriale dell'Olocausto: intervista con una storica dello Yad Vashem


Benedetto XVI nel pomeriggio visiterà lo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Nella Sala della Rimembranza incontrerà sei sopravvissuti e terrà il suo discorso. Ma con quale spirito lo Yad Vashem accoglie il Papa? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Iael Nidam Orvieto, storica dell'Istituto internazionale per la ricerca del Memoriale dell'Olocausto:

R. – Con uno spirito molto positivo e con uno spirito di benvenuto. Questa visita è estremamente importante per entrambe le parti ed il Papa rappresenta un leader spirituale molto importante nel mondo. Quindi, questa visita ha un’importanza simbolica, spirituale e non solo.


D. – Qual è la particolarità di questa visita?


R. – Dal punto di vista organizzativo, proprio perché ci rendiamo conto che si tratta di un leader spirituale molto importante, abbiamo scelto dall’inizio una modalità esattamente uguale alla visita di Giovanni Paolo II. E' divisa in due parti: una parte, diciamo, cerimoniale, che vuole dare un tributo e mantenere la memoria delle vittime della Shoah; e una seconda parte durante la quale ci sono dei discorsi – appunto il discorso del Papa – ed anche questa è unica perché la visita di Giovanni Paolo II e la visita del Papa attuale sono e resteranno le uniche occasioni durante le quali, nella Tenda della Rimembranza, si sono fatti dei discorsi.


D. – Cosa significa “Yad Vashem” e cosa rappresenta questo Memoriale per il popolo di Israele?


R. – Yad Vashem significa “il monumento e la memoria”. Rappresenta il luogo, possiamo dire simbolico – molti lo vedono anche come la tomba simbolica – dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti e dai loro collaboratori. Dobbiamo ricordarci che la maggior parte delle vittime non ha una tomba e proprio nel luogo dove avverrà la cerimonia, la Tenda della Rimembranza, sono seppelliti sei calici pieni di ceneri che sono state raccolte nei sei campi di sterminio nel ’45; nel ’46 poi, sono stati portati qui in Israele e sono stati seppelliti in maniera temporanea fino all’apertura della Tenda della Rimembranza. Da quando la tenda della rimembranza è stata costruita, quella è diventata veramente la tomba simbolica dei sei milioni di vittime. Proprio per questo, scegliamo quel luogo come luogo più adatto per questo tipo di cerimonie.




I cristiani d'Israele, in attesa del Papa
Preparano la Messa che verrà celebrata martedì nel Getsemani

di Chiara Santomiero


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- “Stiamo aspettando il Papa come dei figli aspettano il padre”: riassume così Eli Hajjar, il senso della grande attesa dei cristiani di Terra Santa per la visita di Benedetto XVI da poco arrivato all’aereoporto di Tel Aviv.

Eli abita a Gerusalemme, ha 21 anni e frequenta l’Università di Betlemme. Il suo gruppo parrocchiale – una ventina tra ragazzi e ragazze – è impegnato nel catechismo per i bambini e in attività sociali a favore degli anziani soli.

In questi giorni molti di essi sono occupati nella preparazione all’accoglienza del Santo padre che domani celebrerà la Messa nel Getsemani.

“Stiamo decorando le strade attraverso le quali passerà il Papa – spiega Eli – ed alcuni partecipano alle prove del coro che animerà la liturgia. Altri provvederanno alle Letture e alla raccolta delle offerte mentre gli scout si occuperanno di suonare gli strumenti musicali e del servizio d’ordine. Tutti stiamo pregando perché il Papa abbia un viaggio tranquillo”.

“Oggi i cristiani, e specialmente noi cattolici – racconta Eli – viviamo la grande speranza che il Papa porti di nuovo pace nelle nostre vite. Anche ebrei e musulmani, da parte loro, attendono di conoscere chi è questo grande uomo, chi è il successore di Pietro”.

Un’attesa ancora più speciale per i giovani, per molti dei quali – bambini durante la visita di Giovanni Paolo II nel 2000 – è la prima occasione di incontrare un Pontefice.

Se ne avessero l’opportunità, cosa chiederebbero a Benedetto XVI? “Di non lasciarci soli. Sapere che il Papa ci è accanto, ci dà la speranza necessaria per portare avanti la nostra croce. Per piacere Santità, non smetta di avere attenzione per noi, di fare qualcosa: abbiamo bisogno di pace”.

Betlemme

Un’attesa ancora maggiore, se possibile, si vive in queste ore per la Santa Messa che il Papa celebrerà il 13 maggio nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Vincenzo Bellomo, laico fidei donum della diocesi di Mazara del Vallo, è qui da tre anni come responsabile dei progetti di aiuto sociale della Custodia di Terra Santa nel territorio di Betlemme.

“La visita a Betlemme – spiega – è la visita a un territorio chiuso e circondato, da cui si può uscire solo con i permessi. E’ un po’ come fare visita a dei carcerati, sebbene si tratti di un luogo molto speciale”.

“C’è un’attesa molto bella – racconta Bellomo – con un grande entusiasmo e una grande fiducia in questo Papa, che riesce a venire in Terra Santa all’inizio del suo pontificato. Si aspettano da lui parole di verità molto forti su Gaza e sulla situazione dei cristiani qui”.

Attualmente nel territorio di Betlemme vivono circa 15 mila cristiani, di cui 6 mila latini cioè cattolici: “I problemi economici sono rilevanti – spiega Bellomo – perché Betlemme è sempre stata satellite di Gerusalemme dal punto di vista lavorativo; questa trafila dei permessi per potervisi recare è talmente complessa, che anche chi non ha perso il lavoro in seguito alla seconda Intifada, vi ha rinunciato, con gravi ripercussioni per la situazione delle famiglie”.

Negli ultimi tempi, però, si manifesta qualche segnale di ripresa: “i pellegrinaggi sono ricominciati e si sono riavviate, di conseguenza, le attività legate all’accoglienza dei pellegrini e all’artigianato del legno di olivo, che sono le uniche risorse del territorio”.

Bellomo spera che la grande attesa dei palestinesi, anche dei non cristiani, per la visita del Santo Padre non venga delusa dai pochi posti disponibili per partecipare alle celebrazioni: “la piazza della Mangiatoia – spiega – non può accogliere più di 5 mila persone, cioè un terzo dei cristiani, senza tener conto dei musulmani e degli ebrei che pure avrebbero voluto essere presenti”.

“Alla messa di Gerusalemme, inoltre, molti posti sono stati riservati alle delegazioni straniere ma queste, a differenza dei palestinesi, possono incontrare il Papa in altre occasioni”, aggiunge.

Un ringraziamento particolare Bellomo vuole indirizzarlo a Benedetto XVI “per il suo coraggio nell’intraprendere questa visita in un momento in cui, per molti versi, sembrava sconsigliabile”.

Nazaret

L’ultima grande celebrazione eucaristica del Papa in Terra Santa sarà a Nazaret, il 14 maggio, sul Monte del Precipizio. Qui lo attenderanno i fedeli dell’Alta Galilea; padre Renato Rosso, appartenente all’ordine dei carmelitani scalzi, si sta occupando di organizzare i pullman per i fedeli della parrocchia di S. Joseph, l’unica parrocchia latina di Haifa.

Anche ad Haifa l’attesa è grande “per la visita del Papa vissuta come gesto di vicinanza e comunione ecclesiale”.

Padre Rosso è responsabile del gruppo giovani di Azione cattolica della parrocchia, frequentato da un centinaio di ragazzi e ragazze: “Per la maggior parte di loro è la prima occasione, non solo di incontrare il Papa, ma anche di entrare in contatto con altri cristiani di varie parti del mondo”.

“Come chiesa minoritaria nel contesto della Terra Santa – aggiunge – sentiamo molto il legame con la chiesa universale e anche con l’Azione cattolica: i giovani di Haifa ricordano con molta simpatia il pellegrinaggio dei giovani di Ac di tutto il mondo arrivati qui lo scorso anno”.

Ancora pace nella speranza di tutti: “Anche da parte ebraica e musulmana – conclude padre Rosso - si guarda a questo viaggio come a un segno per riaffermare la volontà di pace e trovare una soluzione per i grandi problemi della comunità palestinese”.





Israele accoglie il Papa come "vero amico" del popolo ebraico
Messaggio del Ministero degli Esteri



GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il Governo israeliano, attraverso un messaggio diffuso dal Ministero degli Esteri, ha dato il benvenuto al Papa definendolo "un vero amico dello Stato di Israele e del popolo ebraico".

Questa visita, sottolinea il comunicato, "segnerà un passo importante nello sviluppo delle relazioni tra il Vaticano e Israele", oltre a rappresentare "un enorme contributo per rafforzare il dialogo tra il cristianesimo, l'ebraismo e l'islam, come parte dello sforzo per raggiungere la pace nella regione".

In questo senso il testo, in linea con le parole pronunciate dal Papa sulla libertà religiosa nel suo discorso appena giunto all'aeroporto di Tel Aviv, afferma che Israele "è impegnato a garantire la completa libertà di culto per tutti, e a salvaguardare il libero accesso a tutti i luoghi santi".

Le autorità israeliane invitano inoltre i cristiani di tutto il mondo a "imitare l'esempio del Papa" e a recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, per "un'esperienza spirituale unica": "Israele comprende l'importanza di queste visite, e farà tutto il possibile per favorirle".

"Il pellegrinaggio in Israele costituisce un ponte di pace tra i popoli e le religioni", aggiunge il comunicato. "Israele esorta i cristiani di tutto il mondo a sostenere il messaggio della visita del Papa e a seguire il suo esempio sperimentando in prima persona un pellegrinaggio in Terra Santa".

Il pellegrinaggio, insiste, "ha il valore aggiunto di unire persone di credo diversi, grazie al loro sfondo comune a livello storico e culturale. E' questa la chiave per iniziare un dialogo di pace tra credenti di religioni e credo differenti". In particolare, il Ministero propone come mete Gerusalemme e Nazareth.

Il messaggio completo è consultabile sulla pagina del Ministero: www.mfa.gov.il/MFA




Pioniere del dialogo analizza la visita papale in Israele
Baruch Tenembaum auspica un'approfondimento delle relazioni ebraico-cattoliche



GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Baruch Tenembaum, fondatore della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, spera che la visita iniziata questo lunedì da Benedetto XVI serva ad approfondire il dialogo tra cattolici ed ebrei.

In alcune dichiarazioni a ZENIT, questo pioniere del dialogo interreligioso dai tempi di Paolo VI, negli anni Sessanta, ha parlato di un'opportunità storica per intavolare “un dialogo profondo con coloro che si preoccupano davvero di consolidare il vincolo di fratellanza che unisce queste due grandi religioni”.

In occasione della visita del Santo Padre, la Fondazione Wallenberg ha rivolto un appello mondiale per ottenere testimonianze sui cattolici che salvarono gli ebrei dalla persecuzione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale (www.raoulwallenberg.net).

“Il livello di risposta è sorprendentemente alto”, informa Tenembaum. “Stiamo ricevendo decine di risposte al nostro appello, e le nostre équipes di ricercatori le stanno valutando”.

“In Israele vivono ancora molti sopravvissuti all'Olocausto, che devono la propria vita a salvatori cattolici... sarebbe un'eccellente opportunità perché il Sommo Pontefice conosca personalmente alcuni di loro”, ha aggiunto.

Uno degli attuali Ministri del Governo israeliano, Yossi Peled, è un sopravvissuto all'Olocausto. E' stato salvato in Belgio, insieme alle sue sorelle, da una famiglia cattolica.

Il fondatore della Fondazione Wallenberg ha sottolineato che “la creazione dello Stato di Israele si deve in gran parte ad Angelo Roncalli (in seguito noto come Papa Giovanni XXIII), che ha voluto intercedere presso Papa Pio XII perché non ponesse ostacoli alla votazione a favore della creazione dello Stato ebraico”.

“Angelo Roncalli, come Nunzio Apostolico a Istanbul, salvò la vita a migliaia di ebrei. La nostra Fondazione ha creato un comitato speciale per promuovere il suo riconoscimento come salvatore e preparare programmi educativi per sottolineare la sua eredità”.

Tenembaum ha anche ricordato l'importanza del dialogo autentico tra i rappresentanti delle due religioni, esortando il Vaticano ad aprire i suoi archivi e chiedendo lo stesso ad alcune istituzioni ebraiche, come lo Yad Vashem di Gerusalemme, per permettere agli storici di approfondire le loro ricerche.

A suo avviso, un dialogo fruttuoso tra la Chiesa cattolica e i leader spirituali dell'ebraismo deve abbracciare anche i grandi rabbini, come il rabbino Meir Lau (sopravvissuto all'Olocausto) e il rabbino Sha´ar Yshuv di Haifa.

“In passato, sono state commesse grandi ingiustizie, come l'espulsione degli ebrei dalla Spagna, ed è necessario approfondire questi temi – propone –. E' anche importante che quanti devono chiedere perdono lo facciano, anche se le loro vittime non sono più tra noi per perdonarli”.

“Dall'altro lato – sottolinea Tenembaum –, il popolo ebraico deve manifestare la sua eterna gratitudine per quei cattolici, uomini e donne, che rischiarono la vita per salvare i loro fratelli perseguitati dal mostro nazista”.





Concerto per la Riconciliazione a Gerusalemme
Iniziativa di Sat2000, in occasione della visita del Papa



ROMA, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il 13 maggio, in occasione della visita del Santo Padre in Terra Santa, avrà luogo a Gerusalemme un grande evento internazionale di musica e danza per favorire l'unità e la pace tra i popoli: il Concerto per la Riconciliazione.

Il concerto, patrocinato dal Comune di Roma, è stato organizzato da Sat2000, l'emittente satellitare dei Vescovi italiani. L'evento avrà come scenario l'anfiteatro romano di Bet She'an, che potrà ospitare oltre 7000 persone.

Lo spettacolo, di 120 minuti circa, vedrà sul palco musicisti e cantanti che si alterneranno alla suggestive coreografie dello spettacolo di teatro-danza Beresheet-In principio di Angelica Calo' Livne'. Ad accompagnare gli artisti il coro dell'istituto Magnificat, composto da 20 bambine ebree, cristiane e musulmane, i Gregorian e la Simphonet Raanana Orchestra.

Tra gli artisti italiani saranno presenti: Lucio Dalla, Alessandro Safina, Francesco D’Orazio e gli ItalianQuintet.

Il Presidente israeliano, Shimon Peres, sarà presente per salutare questo evento eccezionale a cui presenzieranno autorità italiane e giordane.

Verranno inoltre proiettati i videomessaggi registrati di Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma, del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e dell'Imam della moschea di Roma, Al Ghobaishi.

Sat2000 - presente sul satellite, in chiaro, al canale 801 di Sky e sul digitale terrestre - trasmetterà il concerto mercoledì, 13 maggio, alle ore 21:30.






www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=831&sett...

www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=830&sett...
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 20:02
Discorso di Benedetto XVI al Memoriale di "Yad Vashem"

GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI durante la sua visita al Memoriale di "Yad Vashem", monumento alla Memoria dell’Olocausto a Gerusalemme.

* * *

"Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato" (Is 56,5).

Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – "memoriale"; shem – "nome". Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram "Abraham" perché doveva diventare il "padre di molti popoli" (Gn 17,5). Giacobbe fu chiamato "Israele" perché aveva "combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto" (cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham.

Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!

La Chiesa Cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9).

Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9).

Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!

Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

"Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie;
Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà;
«Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (3,22-26).

Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Discorso del Papa al "Notre Dame of Jerusalem Center"


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nell’Auditorium del "Notre Dame of Jerusalem Center", dove si è incontrato con i rappresentanti di alcune Organizzazioni per il dialogo interreligioso.

* * *

Cari Fratelli Vescovi,

Distinti Capi Religiosi,

Cari Amici,

è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto espresse a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.

" Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì...e prese la moglie Saràh" con sé (Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.

La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione ci mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola. Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.

Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.

La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.

Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro, alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.

La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.

Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel "vuoto" non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.

Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]






Il Papa presenta il dialogo interreligioso come via per la pace
La sicurezza è più che assenza di minacce

di Inma Álvarez


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è tornato a chiedere la pace in Terra Santa nel suo secondo discorso in Israele, durante la cerimonia offerta questo lunedì pomeriggio dal Presidente Shimon Peres nel Palazzo presidenziale di Gerusalemme, insistitendo in particolare sull'importanza del dialogo interreligioso.

Alla cerimonia, durante la quale il Papa ha piantato simbolicamente un albero nel giardino interno del Palazzo, erano presenti numerose personalità politiche e religiose. Grazie alle telecamere, il mondo ha potuto assistere a momenti spontanei tra il Papa e il leader israeliano.

Il Pontefice ha ricordato che la pace “è prima di tutto un dono divino” che bisogna cercare con tutto il cuore.

“Il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio”, ha detto il Papa ai presenti. “È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità”.

I leader religiosi, ha aggiunto, “devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come 'ricco di amore e di fedeltà'”.

Nel suo discorso, il Vescovo di Roma ha citato le Sacre Scritture per ricordare che in esse la sicurezza “non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza”.

“Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili”, ha aggiunto.

“Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace”, ha esclamato.

Il Pontefice ha anche insistito sul fatto che non si raggiungerà la pace se ogni popolo cerca solo i propri interessi, perché “i valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti”.

In questo senso, ha affermato che bisogna “guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il 'Tu' come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella”, assicurando il diritto di tutti “all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego”.

“Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze?”, ha chiesto.

“Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza”.

Un numero considerevole di uomini, donne e giovani, ha aggiunto, sta “lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.

Il Papa ha infine ricordato che la stessa Gerusalemme “è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”.

“Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana”, ha concluso.




Il Papa al Memoriale dell'Olocausto: milioni di ebrei hanno perso la vita ma non i nomi. Le loro sofferenze non siano mai negate, sminuite o dimenticate


Il Papa ha iniziato oggi la seconda parte del suo pellegrinaggio: ha lasciato la Giordania ed è giunto in Israele. A Tel Aviv la cerimonia di benvenuto. Poi l'attesa visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Ecco le sue parole nella Sala della Rimembranza: “Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi... Possano i nomi di queste vittime non perire mai! – ha aggiunto il pontefice - Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”. Quindi ha aggiunto: “Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente”. Poi ha concluso con queste parole: “Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare”.




I credenti di tutte le religioni promuovano ciò che li unisce per annunciare insieme al mondo che Dio esiste: così il Papa nell'incontro interreligioso


“Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune”: così benedetto XVI nell’ultimo impegno della giornata, l’Incontro con le Organizzazioni per il Dialogo Interreligioso, presso l’Auditorium del “Notre Dame of Jerusalem Centre” di Gerusalemme. “Noi – ha detto il Pontefice - vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra”. Poi ha aggiunto: “non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo…Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca”. E ha così concluso: “Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!”.



[Radio Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 11 maggio 2009 20:12
PAPA: INCONTRA GENITORI SOLDATO SHALIT

(ASCA-AFP) - Gerusalemme, 11 mag - Papa Benedetto XVI ha incontrato i genitori di Gilad Shalit, il soldato israeliano prigioniero di Hamas dall'estate del 2006.

Noam e Aviva Shalit sono stati accolti dal pontefice alla residenza del presidente israeliano Shimon Peres di Gerusalemme.

''L'ufficio del presidente ha dato grande rilevanza all'incontro tra il Papa e la famiglia Shalit, proprio perche' Benedetto XVI rappresenta il miliardo di credenti cattolici di tutto il mondo'', ha precisato l'ufficio di Peres.

Israele e Hamas hanno avuto mesi di colloqui indiretti, grazie alla mediazione dell'Egitto, sulla questione della liberazione di Shalit in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi.

ghi/sam/bra

Paparatzifan
00lunedì 11 maggio 2009 23:13
Dal blog di Lella...

PAPA: MADRI PIANSERO PER SHOAH, OGGI SALVINO FIGLI

(AGI) - Gerusalemme, 11 mag.

(dell'inviato Salvatore Izzo)

Le vittime dell'Olocausto - sei milioni, ha ricordato oggi Benedetto XVI - avevano dei padri e delle madri.
"Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che vita avra'? Mai avrebbero immaginato per loro un destino cosi' lacrimevole", si e' commosso il Papa tedesco nel memoriale dello Yad Vashem di Gerusalemme, prima tappa della sua visita in Israele e occasione per una rinnovata condanna di ogni forma di negazionismo. E' stata organizzata "una insidiosa rete di bugie per convincere che certi gruppi non meritano rispetto, ma per quanto ci si sforzi, non si puo' mai portar via il nome di un altro essere umano", ha detto auspicando che le sofferenze degli ebrei "non siano mai negate, sminuite o dimenticate".
La Chiesa intera vuole "operare senza stancarsi per assicurare che l'odio non regni mai piu' nel cuore degli uomini, schierandosi accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione". Parole sgorgate dal cuore del Papa dopo l'incontro con alcuni superstiti dell'Olocausto e parenti delle vittime che lo ha molto toccato a livello personale. E lo stesso sentimento di partecipazione il Papa ha manifestato in un incontro con i genitori e i fratelli di Gilad Shalit, il giovane soldato rapito 1050 giorni fa e da allora tenuto prigioniero a Gaza.
Noam Shalit, il padre, ha detto al Pontefice di sperare che grazie all'impegno del Vaticano possano esservi progressi per Gilad e l'ufficio di Shimon Peres, che aveva organizzato l'appuntamento ha parlato di "un incontro molto importante in quanto il Papa rappresenta un miliardo e mezzo di fedeli e ha incontri con leader politici e spirituali di tutto il mondo". E proprio ai papa' e alle mamme sia israeliani che palestinesi, Benedetto XVI si e' rivolto con tono accorato nel discorso piu' "politico" della giornata. "Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia?" Al termine della visita alla residenza del presidente della Repubblica di Israele, Benedetto XVI ha introdotto con questa domanda il suo appello "alle comuni famiglie di questa citta', di questa terra" affinche' contribuisacano tutte alla causa della pace. "Quale umano obiettivo politico - si e' chiesto il Pontefice - puo' mai essere servito attraverso conflitti e violenze?". Per il Papa sono gia' in molti nei due popoli a invocare la pace e a lavorare concretamente per essa. "Odo il grido - ha affermato - di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignita', stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza. So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarieta' attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che e' loro diritto".
In questo stesso intervento il Papa ha fatto cenno al muro di divisione costruito da Israele per "controllare" l'ingresso dei palestinesi sul suo territorio, al quale ha contrapposto l'immagine biblica di "un giardino ricolmo di frutti, non segnato da blocchi e ostruzioni".
"Nel linguaggio ebraico, la parola sicurezza, che si dice 'batah', deriva - ha rilevato - da fiducia e non si riferisce soltanto all'assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza". "Naturalmente - ha ammesso il Pontefice - ci si aspetta che i leader civili e politici assicurino una giusta e adeguata sicurezza per il popolo a cui servizio essi sono stati eletti. Questo obiettivo - infatti - forma una parte della giusta promozione dei valori comuni all'umanita'" ma "i valori e i fini autentici di una societa', che sempre tutelano la dignita' umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti e non si possono pertanto realizzare quando cadono preda di interessi particolari o di politiche frammentarie". "Il vero interesse di una nazione - ha insisitito il Papa - viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti".
Dunque, ha concluso, "una sicurezza durevole e' questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell'integrita', suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l'altro negli occhi e a riconoscerlo come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella".
La prima giornata del Papa in Israele ha registrato un indubbio consenso. Da parte ebraica, va registrato il commento di Avner Shalev, il direttore del memoriale dell'Olocausto che ha definito la visita allo Yad Vashem "molto importante e positiva", anche se, ha aggiunto, un'ombra puo' essere individuata nel fatto che "il Papa non ha nominato direttamente i persecutori, cioe' i nazisti tedeschi". Ma e' stato soprattutto il presidente Shimon Peres a compiere una serie di gesti che testimoniavano grande amicizia verso il Papa: rispettando la tradizione ebraica dell'accoglienza, gli ha offerto dei frutti da mangiare insieme. Poi, scambiandosi una zappa, i due anziani ma vigorosi amici, hanno piantato insieme un albero di ulivo. "Rapporti di riconciliazione e di comprensione si stanno ora intessendo tra la Santa Sede e il popolo ebraico", mentre in Israele si diffonde "la convinzione che la pace e' realizzabile sia il desiderio bruciante di ottenerla", ha assicurato Peres nel discorso ufficiale rivolto al Papa, che ha definito "promotore di pace, grande leader spirituale e potente latore di un messaggio di pace per questa terra e per tutti". E quando Ratzinger ha chiesto agli israeliani di non creare "restrizioni" nell'accesso ai luoghi santi di Gerusalemme, Peres ha risposto: "Israele salvaguarda l'assoluta liberta' della pratica religiosa e il libero accesso ai luoghi santi. Siamo sempre felici di ricevere i pellegrini in Terra Santa da dovunque nel mondo".
In serata, l'incontro con i leader religiosi della Terra Santa ha consentito al Papa di ripetere quanto sia importante che essi non aumentino le tensioni in quest'area restando fedeli al loro ruolo, ma un imam ha pronunciato parole di fuoco contro Israele provocando imbarazzo e costernazione.

© Copyright Agi


+PetaloNero+
00martedì 12 maggio 2009 01:59
Dichiarazione del Direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, a proposito dell'incontro interreligioso presso il Centro Notre Dame di Gerusalemme


L’intervento dello sceicco Tayssir Attamimi non era previsto dagli organizzatori dell’incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo. Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio. Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente.





Portavoce vaticano: gli attacchi del delegato islamico negano il dialogo
Sull'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi al "Notre Dame of Jerusalem Center"

di Mirko Testa


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa vaticana, ha commentato negativamente l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi, che questo lunedì sera, durante l'incontro svoltosi presso il "Notre Dame of Jerusalem Center”, ha pronunciato parole d'accusa nei confronti d'Israele.

Dopo il discorso del Pontefice, lo sceicco Al-Tamimi, Presidente del Tribunale Supremo palestinese, scelto come delegato palestinese per il dialogo interreligioso, si è avvicinato al podio pronunciando un discorso in arabo, accolto con proteste degli esponenti ebraici presenti che minacciavano di abbandonare l'aula.

L'esponente islamico ha affermato all'inizio: “do il benvenuto a sua Santità, il Papa, nella città di Gerusalemme, la capitale eterna della Palestina politica, nazionale e spirituale”.

Subito dopo, nonostante i ripetuti interventi del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, Al-Tamimi ha proseguito dicendo che “da quando Israele ha occupato Gerusalemme, nel 1967, ha trasgredito tutte le leggi religiose e civili, ha distrutto le case, ha occupato le terre e vi ha edificato case per gli israeliani, cacciando via migliaia dei suoi abitanti originari”.

“Israele – ha continuato – ha fatto di Gerusalemme una prigione, vietando ai musulmani e ai cristiani di accedervi e vietando le preghiere nelle sue chiese e moschee”.

“Ha scavato sotto la Moschea di Al-Aqsa con l'intento di distruggerla per edificare la sinagoga al suo posto, rubando da essa anche i monumenti archeologici – ha affermato –. Ha scavato le tombe dei morti. Ha picchiato i credenti che pregavano e ha picchiato anche i monaci nella Chiesa della Risurrezione a Pasqua”.

“Per quanto riguarda la questione di Gaza – ha detto Al-Tamimi –, Israele non ha rispettato i diritti umani: una mancanza di rispetto dei diritti umani come mai era accaduto prima in questo secolo”.

“Santità – ha aggiunto –, vi supplico nel nome dell'Unico Dio, di condannare questi crimini, di far pressione sul Governo israeliano per fermare le offensive contro il popolo palestinese, di liberare le migliaia di detenuti nelle prigioni dell'occupazione, di distruggere il muro di separazione etnica, di rimuovere gli insediamenti e di ridare le terre occupate ai loro legittimi proprietari”.

Al-Tamimi ha quindi chiesto al Santo Padre di intercedere “per arrivare ad una pace giusta che riconosca pieni diritti al popolo palestinese nella sua libertà e indipendenza, e permettere ai rifugiati di far ritorno alle case che sono stati obbligati ad abbandonare, così da ricreare uno Stato libero per il popolo palestinese con Gerusalemme come sua capitale eterna”.

“Gerusalemme – ha concluso – è una parte importantissima della vita di oltre un miliardo e mezzo di musulmani e di oltre due miliardi di cristiani, e tutti loro devono difendere Gerusalemme e la sua identità”.

Il Papa, che non ha potuto ascoltare la traduzione del discorso, è rimasto seduto fino alla fine accennando di tanto in tanto un sorriso imbarazzato, conscio del clima teso suscitato dall'intervento dell'esponente islamico.

“L'intervento dello sceicco Taysir Al-Tamimi – ha commentato padre Lombardi – non era previsto dagli organizzatori dell'incontro. In un evento dedicato al dialogo, tale intervento è stato una negazione del dialogo”.

“Ci si augura – ha aggiunto – che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni, come egli ha chiaramente affermato in molti discorsi di questo viaggio”.

“Ci si augura anche che il dialogo interreligioso nella Terra Santa non venga compromesso da questo incidente”, ha poi concluso.

In una dichiarazione, Aviv Shiron, portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, ha detto che “è una vergogna che lo sceicco Taysir Al-Tamimi abbia approfittato di un incontro interreligioso finalizzato a promuovere il dialogo e la comprensione tra cristiani, ebrei e musulmani con l'intento di incitare contro Israele”.

Dura la reazione anche del Ministro incaricato della visita del Papa in Israele, Stas Misezhnikov, secondo il quale “la provocazione dello sceicco offende, in primo luogo e principalmente, Papa Benedetto XVI che è venuto in Terra Santa per promuovere la pace e l'unità tra i popoli della regione e di tutti gli uomini di fede”.

“Israele – ha continuato – condanna le parole di odio pronunciate dallo sceicco, che invece di promuovere la pace e la coesistenza ha scelto di piantare i semi della divisione e dello scontro tra israeliani e palestinesi e tra ebrei, musulmani e cristiani”.

“E' una vergogna che siano stati gli estremisti a rappresentare i palestinesi e i musulmani in questo importante evento in presenza della Santa Sede”, ha detto infine.

[Con informazioni di Tony Assaf, Mariaelena Finessi e Mercedes de la Torre]




Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.

D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?

R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.

D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...

R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.

D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...

R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.

D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?

R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.


[Radio Vaticana]
Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:04
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Il Papa in Israele

Un teologo allo Yad Vashem

di Giorgio Bernardelli

Mi ero sbagliato: il Papa ha detto ancora cose politicamente molto interessanti nel discorso che ha fatto questo pomeriggio presso la residenza del presidente israeliano Shimon Peres. Ma ci sarà tempo per riprendere questa sera queste parole. Adesso vale invece la pena di concentrarci sulla tappa allo Yad Vashem, uno dei momenti più attesi di questo viaggio, appena concluso.
Benedetto XVI ha parlato da Joseph Ratzinger.
In tanti in Israele in questi giorni hanno evocato il giovane Joseph Ratzinger nella Germania nazista. Quello che hanno ascoltato oggi invece è il teologo Joseph Ratzinger, con la sua riflessione intorno a quegli anni drammatici.
Il discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) l'ha incentrato su un tema estremamente caro al mondo ebraico, il tema del nome.
È partito dal significato biblico della parola Yad Vashem («un nome e una memoria») per ripercorrere la densità di significati che nella Scrittura assume la questione del nome. Nel Tempio di Gerusalemme - tanto per ricordarne uno - era il tetragramma sacro, il nome dell'Altissimo, il segno della Sua presenza. E ancora oggi il cuore del lavoro dello Yad Vashem è lo sforzo per riuscire a dare un nome a tutte le vittime della Shoah.
Così intorno al nome Benedetto XVI ha fatto ruotare tutta la sua riflessione.
«I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente», ha detto parlando delle vittime. Sono parole che guardano al tema gigantesco del «silenzio di Dio» di fronte alla tragedia della Shoah. «Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9)».
Ha parlato da uomo di fede Benedetto XVI nella «sinagoga laica» dello Yad Vashem. E, non a caso, tutti lo hanno visto pregare, mentre deponeva la corona di fiori accanto alla fiamma che ricorda le vittime.
Certo, c'è stata anche la condanna della Shoah; ma le parole più forti sull'antisemitismo le ha dette stamattina. Vanno letti insieme i due discorsi: la Chiesa condanna ogni forma di antisemitismo perché il nome di ogni uomo, di qualsiasi popolo o cultura, è scritto nel cuore dell'Altissimo.
Come reagirà l'opinione pubblica israeliana a questo discorso? Non sono così sicuro che capirà. Purtroppo le ferite di questo conflitto che insanguina questa terra da così tanti anni non hanno lasciato grande spazio alla teologia. A Gerusalemme tutti si aspettavano la «classica» condanna dell'antisemitismo e anche un accenno alle colpe dei figli della Chiesa in quegli anni tragici. Papa Benedetto ha parlato di altro: ha invitato a guardare in faccia il mistero del Male. Ho paura che in molti non capiranno. Ma spero di sbagliarmi ancora.

Ore 11,30: All'aeroporto Ben Gurion un confronto molto sottile

Benedetto XVI è arrivato in Israele e all'aeroporto ha trovato un'accoglienza in stile molto «sabra», cioè «made in Israel». L'orgoglio patriottico è una costante di ogni benvenuto al Papa. E in questo Paese un benvenuto accogliente significa non fare economia sul picchetto, sugli onori militari e sulle autorità da far salutare a Benedetto XVI appena sceso dall'aereo (c'era mezzo Parlamento e tenete presente che nella lunghissima fila non c'erano ebrei osservanti, non però per un atto di scortesia, ma solo perché oggi è una festività ebraica).
Venendo alla sostanza, anche qui i discorsi sono stati molto interessanti.
Il presidente e premio Nobel per la pace Shimon Peres ha fatto lo Shimon Peres che tutti conosciamo. Discorso alto, pieno di elogi al Papa per la sua missione spirituale e per i «semi di tolleranza» che getta nel mondo, grande fiducia nel dialogo tra ebrei e cristiani. Però il suo intento principale era - come al solito - un altro: vendere bene il marchio Israele. E anche in questo Shimon Peres non ha fatto economia: ha descritto il suo Paese come «un posto dove il rispetto della libertà religiosa è piena e tutti possono pregare senza interferenze»; e ha detto che Israele «sta negoziando con i palestinesi per arrivare alla pace». Che queste siano le speranze di Shimon Peres non lo dubitiamo. Dipingere però così la Gerusalemme di oggi ci è sembrato un tantino ottimistico.
Che a pensarlo non siamo solo noi, ma anche la Santa Sede lo si è visto dalle parole del Papa. Che ha voluto delineare subito le coordinate politiche della sua presenza, probabilmente per poi poter concentrarsi di più sull'aspetto spirituale del viaggio, che è quanto più gli sta a cuore. Di questo discorso (clicca qui per leggere il testo integrale) tre passaggi meritano qualche commento.

1) Benedetto XVI ha parlato subito dell'antisemitismo, il tema su cui l'israeliano medio più desidera ascoltarlo. E le sue parole sono state inequivocabili:

Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.

Lotta all'antisemitismo - dunque - non solo come eredità del passato, ma soprattutto come impegno presente.

2) Esattamente come ad Amman anche a Tel Aviv il Papa ha detto che non basta proclamare a parole la libertà religiosa: bisogna rispettarla nei fatti. E a Israele ha chiesto un impegno ben preciso:

Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi.

Questa è stata una risposta involontaria a Peres: purtroppo non è vero che a Gerusalemme tutti possono pregare liberamente senza interferenze. I cristiani dei Territori palestinesi al Santo Sepolcro ci possono andare due volte all'anno, a Natale e a Pasqua, quando la nunziatura ottiene dei permessi particolari. Per un religioso di nazionalità giordana o palestinese ottenere i visti di residenza in Israele è un percorso a ostacoli. Quanto poi ai musulmani, appena c'è un qualsiasi motivo di tensione, il primo provvedimento che viene adottato è vietare a chi ha meno di 45 anni di salire a pregare alla Spianata delle Moschee. Quello della coniugazione tra l'esigenza della sicurezza e il rispetto della libertà religiosa è un problema molto serio a Gerusalemme.

3) Benedetto XVI ha parlato del processo di pace.

Anche se il nome Gerusalemme significa "città della pace", è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.

Un invito - neanche troppo velato - rivolto al nuovo governo del premier Netanyahu (che stava proprio lì di fianco) il cui ministro degli Esteri Lieberman sostiene esplicitamente che i negoziati con i palestinesi sono solo parole vuote.

Infine un'annotazione di colore: per i prossimi cinque giorni scordiamoci la confusione di Amman intorno al Papa. Anche la sicurezza israeliana nelle sue proverbiali procedure non gioca al risparmio. Dieci uomini intorno all'auto su cui il Papa ha percorso i duecentro metri interni all'aeroporto tra il palco e l'elicottero. Dieci minuti di attesa in auto prima di poter salire a bordo. Tutto questo dentro un aeroporto che è il luogo più controllato al mondo e in un momento in cui il suo spazio aereo era chiuso e perlustrato dai caccia dell'aviazione. Cari amici inviati al seguito del Papa: questa volta Benedetto XVI mi sa che lo vedrete col binocolo.

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Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:08
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Papa a Yad Vashem non cita nazisti ma condanna chi nega Shoah

Il rabbino Lu: Occasione persa. Ratzinger contro antisemitismo

Il Papa tedesco allo Yad Vashem.
Non cita i nazisti - e in Israele il fatto non passa inosservato - ma arriva dopo aver detto per la prima volta chiaro e tondo, appena giunto sul suolo di Israele, che nella Shoah sono morti "sei milioni di ebrei". E, soprattutto, torna ancora una volta a stigmatizzare senza mezzi termini - davanti a sei sopravvissuti ai lager - chi nega o minimizza la Shoah. Nel 2000 Wojtyla aveva scelto un altro profilo. Il Papa polacco era partito dai ricordi personali ("Ricordo i miei amici e vicini ebrei, alcuni dei quali sono morti, mentre altri sono sopravvissuti") per poi pronunciare uno storico 'mea culpa' a nome della Chiesa cattolica. La Chiesa, disse, "è profondamente rattristata per l'odio, gli atti di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei da cristiani in ogni tempo e in ogni luogo". Nulla di tutto questo per Ratzinger. Non tanto per la sua estraneità al nazismo, tutta cattolico-bavarese, palese nelle sue biografie più o meno autorizzate.
Né perché del nazismo Benedetto XVI ha già parlato più volte, anche ad Auschwitz, non senza suscitare controversie sull'interpretazione delle colpe del popolo tedesco. Papa Ratzinger sceglie di fare un discorso più spirituale che storico. Ricorda i nomi delle vittime della furia nazista e assicura che "sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente". Poi la tanto attesa critica del negazionismo. Scontata, per un Papa intellettuale e abituato a parlare degli ebrei come "amici", ma necessaria, dopo che, per sua decisione, la Santa Sede ha revocato la scomunica al vescovo lefebvriano Richard Williamson, secondo cui le camere a gas non sono mai esistite e a morire nei campi di concentramento sono state alcune migliaia di ebrei. "Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate!", afferma. "E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell'uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!". Un riferimento che fa 'pendant' con le nette dichiarazioni pronunciate dal Papa la mattina, ancora sulla pista dell'aeroporto Ben Gurion. Quando ha voluto "onorare la memoria di sei milioni di ebrei vittime della Shoah", ha pregato che "l'umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità" ed ha denunciato - parole gradite agli israeliani intimoriti dalle minacce dell'iraniano Ahmadinejad - che l'antisemitismo "continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile". Certo, il Papa, come rileva a conclusione dell'incontro il rabbino Meir Lu, presidente dello Yad Vashem - prontamente rilanciato dal 'Jerusalem Post' - "non c'era menzione dei tedeschi, o dei nazisti, che hanno compiuto il massacro. E non c'era una parola di compassione o lutto per la sofferenza di sei milioni di vittime". Insomma, una "occasione persa". All'interno del memoriale, peraltro, era risuonata la condanna dei "nazisti tedeschi" pronunciata dallo speaker della cerimonia. Lo Zentralrat der Juden - l'organizzazione ebraica tedesca - aveva, da parte sua, auspicato che il Papa, nella visita, chiedesse "scusa" per la persecuzione degli ebrei da parte dei cristiani. Su Pio XII - di cui una targa nel museo dello stesso Yad Vashem critica i silenzi sulla shoah - nessuna polemica. Anche se il Papa, in termini generali, afferma: "Come Vescovo di Roma e Successore dell'Apostolo Pietro, ribadisco - come i miei predecessori - l'impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l'odio non regni mai più nel cuore degli uomini".

Apcom


Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:14
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Papa/ Rappresentante Mufti critica Israele, imbarazzo in sala

Arringa in arabo. Twal cerca di intervenire. Incontro interrotto

Gerusalemme, 11 mag. (Apcom)

Un rappresentante musulmano invitato ad un incontro interreligioso con il Papa, a Gerusalemme, ha preso la parola per una lunga intemerata in arabo contro Israele.
Nell'imbarazzo generale, alcuni esponenti ebrei hanno lasciato la sala, un altro, convinto dagli organizzatori, è rimasto in sala scuotendo la testa.
Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha tentato di fermare, senza successo, il religioso islamico. Benedetto XVI - che aveva già tenuto il suo discorso - ha assistito alla scena con volto perplesso e - in assenza di traduzione dall'arabo - senza comprendere il senso dell'arringa.
Ratzinger si è consultato, con un sorriso, con il suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone. Alla fine il rappresentante musulmano ha concluso con "Shukran" (grazie, in arabo) e l'incontro è stato interrotto in anticipo. L'evento è accaduto al Notre Dame of Jerusalem Center.

Fonte Apcom


Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:16
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PAPA IN ISRAELE/ I genitori del soldato Shalit incontrano Benedetto XVI

Noam e Aviva Shalit, genitori del soldato Noam Shalit, prigioniero di Hamas a Gaza dal giugno del 2006, si sono incontrati oggi a Gerusalemme con Papa Benedetto XVI nella residenza del presidente Shimon Peres.
A quanto si è appreso, nel corso del breve colloquio Noam Shalit ha chiesto l'aiuto del Papa per facilitare la liberazione del figli e gli ha consegnato un messaggio.
Si suppone che sia una lettera indirizzata al figlio e che Noam abbia chiesto i buoni uffici della Santa Sede perché gli arrivi. Hamas tiene il soldato in stretto isolamento in un sito segreto, impedendogli di comunicare con i genitori e di ricevere visite della Croce Rossa Internazionale. Solo una volta, a quanto risulta, i genitori sarebbero riusciti a far pervenire una lettera al figlio grazie all' aiuto del presidente francese Nicolas Sarkozy. Dal soldato è pervenuta solo una lettera con l'implorazione di fare tutto il possibile per ottenere la sua liberazione al più presto. I contatti tra Israele e Hamas sono stati finora indiretti e condotti soprattutto con la mediazione dell' Egitto, finora però le parti non sono riuscite ad arrivare a un accordo per uno scambio di prigionieri.

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Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:27
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PAPA: INCONTRO CON PERES, TRA I PREZIOSI DONI UNA BIBBIA IN MINIATURA

Papa Benedetto XVI ha ricevuto una piccola Bibbia della grandezza di un chicco di sabbia e uno speciale tipo di grano proveniente dalla Terra Santa.
Durante il loro storico incontro il presidente Shimon Peres ha presentato al pontefice un Vecchio Testamento che gli scienziati locali hanno ridotto a un chip di silicone della grandezza di una capocchia di spillo.
La Bibbia, scritta in ebraico, e' stata incisa su un chip della grandenzza di 0,5 millimetri quadrati dagli scienziati del Technion, l'Istituto di Tecnologia di Israele. Il chip e' stato collocato in una custodia di vetro che ha una lente di ingradimento con spiegazioni tecniche della Bibbia in miniatura in ebraico e inglese e i primi 13 versi del Libro della Genesi ingranditi 10.000 volte.
Tre studenti (un musulmano, un ebreo e un cristiano) hanno inoltre consegnato al Papa, in visita in Israele, una spiga di una nuova specie di frumento battezzato proprio ''Benedetto XVI'' in onore del suo viaggio. Tra i regali offerti dai bambini anche frutta e cereali: grano; orzo; uva; fichi; melograni; olive e datteri noti nell'ebraismo come le ''sette specie'' pronunciate anche nel Vecchio Testamento e prodotte in Terra Santa.
Il Papa ha invece regalato a Peres un dipinto di una Menorah, il tradizionale candelabro ebreo. Il Sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha infine consegnato al pontefice un'antica mappa della Terra Santa raffigurata al centro del mondo.

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Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 06:31
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Peres e Netanyahu accolgono Benedetto XVI a Tel Aviv

Linea aerea giordana gli augura un viaggio di pace per tutti

Il presidente israeliano Shimon Peres e il primo ministro Benjamin Netanyahu hanno accolto all'aeroporto di Tel Aviv Papa Benedetto XVI giunto attorno alle 10.15 (11.15 ora locale) in Israele dalla Giordania. Tra le autorità presenti sul piazzale del Ben Gurion Airport, il Papa ha salutato le diverse personalità religiose e civili e, tra di esse, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, Tzipi Livni (Kadima) e il ministro della Difesa, Ehud Barak (Labour). La linea aerea Royal Jordanian, che ha portato il Papa da Amman a Tel Aviv, ha salutato Benedetto XVI all'atterraggio augurando "che il suo viaggio possa essere un messaggio di pace per tutti gli uomini". Dopo l'esecuzione degli inni di Israele e della Santa Sede e il saluto alle autorità, Peres e Papa Ratzinger terranno un discorso ufficiale prima di trasferirsi a Gerusalemme.

Papa/ Sull'aereo giordano, le bandiere di Vaticano e Israele

Atterrato stamane all'aeroporto di Ben Gurion

Cristianesimo, ebraismo e Islam, tutti insieme sull'aereo che ha portato papa Benedetto XVI nella Terra santa. La bandiera del Vaticano e quella con la stella di David dello Stato di Israele sono state spiegate sulla fusoliera dell'aereo della Royal Jordanian, le linee aeree giordane, appena atterrato sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion di Tel Aviv, in arrivo da Amman, con a bordo il Pontefice. La simbolica immagine è stata notata anche dal giornalista in studio della tv satellitare araba al Jazeera che trasmetteva, in diretta, le immagini dell'arrivo del capo della Chiesa cattolica.

Papa a Peres: No restrizioni a pellegrinaggi a Gerusalemme

A aeroporto di Tel Aviv lo accolgono anche Netanyahu e Lieberman

Cristianesimo, ebraismo e islam hanno in comune "una speciale venerazione" per la "città santa di Gerusalemme": è a partire da questa considerazione che Papa Benedetto XVI, appena giunto all'aeroporto di Tel Aviv a bordo di un aereo della Royal Jordanian, si è rivolto alle autorità israeliane presenti - Peres, Netanyahu, Lieberman ed altri - affermando: "E' mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi".

M.O./ Papa: supplico israeliani e palestinesi per pace giusta

A cristiani:difendete sacralità vita, contribuite a fine ostilità

Anche se il nome di Gerusalemme significa città della pace "è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa", secondo Papa Benedetto XVI appena giunto in Israele. "Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile - ha detto Benedetto XVI in un discorso ufficiale all'aeroporto di Tel Aviv - dipendono dall'esito dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà - ha detto Ratzinger - supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all'interno di confini sicuri e internazionalmente riconosciuti". "Alle comunità cristiane della Terra Santa - ha detto ancora il Papa - dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perchè terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra".

Papa: Antisemitismo continua a sollevare testa ripugnante

In Israele: Inaccettabile, qui ricordo 6 milioni morti in Shoah

L'antisemitismo "continua a sollevare la sua ripugnante testa inmolte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile": lo ha detto il Papa giunto in Israele. All'aeroporto di Tel Aviv, ha detto che è "giusto e conveniente", per lui, avere "l'opportunità di onorare la memoria di sei milioni di ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l'umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità".

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Paparatzifan
00martedì 12 maggio 2009 07:30
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IL PAPA E L’ISLAM, LA FORZA DI UNA SCELTA

Un dialogo senza ambiguità

Angelo Panebianco

Benedetto XVI è giunto oggi a Tel Aviv dopo la sua prima tappa in Giordania.
Questo lungo viaggio in Terra santa del Papa avrà certamente an cora molti momenti sa lienti ma un primo bilan cio è reso possibile dal l’accoglienza che gli è sta ta fin qui riservata e dalle parole, forti e inequivoca bili, che egli ha già pro nunciato sui rapporti fra il cristianesimo, l'ebrai smo e l'islam.
Il viaggio del Papa è di estrema delicatezza. Non solo perché si svolge nei luoghi che sono, oggi co me mille anni fa, il terre no di incontro/scontro fra le tre religioni mono teiste.
E non solo perché è proprio lì, in Medio Oriente, che si addensa no, si sovrappongono e si intrecciano i più gravi ele menti di conflitto che mi naccino oggi la stabilità mondiale. E' di estrema delicatezza anche perché il Papa vi è giunto prece duto da una lunga scia di polemiche e incompren sioni che hanno fin qui se gnato i suoi rapporti sia con l'ebraismo che con l'islam.
Sul Monte Nebo, in Giordania, Benedetto XVI ha colto l'occasione per ri badire con solennità quanto ha peraltro già detto e scritto in molte oc casioni.
Ha affermato con enfasi quanto speciale sia il rapporto fra cristianesi mo e ebraismo, quanto «inseparabile» sia il vin colo che li unisce. Forse non tutte le incompren sioni spariranno di colpo ma sono state poste le ba si per un loro superamen to. Benedetto XVI ha par lato così agli ebrei ma an che, contestualmente, ai cristiani. Ha voluto dire agli uni e agli altri che an che gli ultimi detriti so­pravvissuti dell'antico an tigiudaismo cristiano de vono essere spazzati via senza indugio dalle co scienze. Inoltre, la sua presenza in Israele oggi, nella condizione presen te, vale più di mille rico noscimenti diplomatici. E' un'implicita affermazio ne del diritto all'esistenza dello Stato di Israele con tro coloro che vorrebbero cancellarlo.
Altrettanto delicato, e forse anche più delicato, è il rapporto con l'islam. E non solo a causa degli eventi che seguirono il di scorso di Ratisbona. E' più delicato anche per ché il Papa è impegnato in una assai difficile e complessa operazione che investe, al tempo stes­so, la sfera religiosa e quella mondana. Una ope razione complessa che na sce dal riconoscimento, più volte ribadito da Bene detto XVI, che il rapporto fra il cristianesimo e l'islam è di natura diversa da quello che lega il cri stianesimo e l'ebraismo. Quella relazione speciale che c'è, e va riconosciuta, fra cristianesimo ed ebrai smo, non c'è, non ci può essere, fra cristianesimo e islam.
Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, al l’epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e an che in occasione del viag gio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulma no, in modo da renderlo davvero proficuo sgom brando il campo dai ma lintesi.
Ciò che il Papa vuol fare è di chiarire che fra cristianesimo e islam non ci può essere dialogo religioso (le due fedi sono, su questo terreno, inconciliabili) ma ci deve essere invece, fra cristiani e musulmani, un incontro inter-culturale e civile (un dialogo che potremmo anche definire laico).
Anche per ribadire questo il Pontefice è rimasto in meditazione ma non ha pregato durante la sua visita alla moschea Hussein.
E' un mo do, l'unico modo, per spazzare via equivoci e ipocrisie rendendo possibile il rispetto reciproco e un dialogo forse foriero di buone conseguenze per le persone, cristiani e musulmani, coinvolte.
In Giordania, per lo meno, il senso della presenza del Papa sembra essere stato compre so dagli islamici che lo hanno accolto. Così come sono state comprese le parole che il Papa ha dedicato alla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi. Benedet to XVI, naturalmente, è stato attento a non mettere a carico del solo mondo islamico (oltre a tutto, ciò non sarebbe stato nemmeno veritiero) la tentazione e la pratica della violenza. Ma è certo che le sue parole sulla violenza (così come quelle rivolte ai cristia ni del Medio Oriente sul ruolo delle donne) rappresentano una sponda che il capo della cristianità ha offerto a quella parte del mondo islamico che patisce la violenza dei fondamentalisti ancor più di quanto la patiscano gli occidentali.
La presenza del Papa, e i suoi atti e le sue parole, sono assai dispiaciute ai fondamentalisti, nonché a quei personaggi ambigui, di confine (il più celebre dei quali è Tariq Ramadan), che circola no e predicano in Occidente. Ed è un bene che sia così. Il viaggio del Papa può aiutare l'azione degli uomini, musulmani, ebrei o cristiani, alla ricerca di una pacifica convi venza proprio perché ricorda a tutti quanta mistificazione ci sia nell'uso a scopi politici della religione e nella violenza che quell'uso porta sempre con sé.

© Copyright Corriere della sera, 11 maggio 2009


+PetaloNero+
00martedì 12 maggio 2009 16:56
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVI)


VISITA DELLA CUPOLA DELLA ROCCIA E VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI, ALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE DI JERUSALEM



Alle 8.45 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI lascia la Delegazione Apostolica e si trasferisce in auto alla Spianata delle Moschee di Jerusalem. Alle ore 9 il Papa arriva alla Cupola della Roccia, il più antico monumento islamico in Terra Santa. Qui è accolto dal Gran Mufti e dal Presidente del Consiglio del "Waqf" (beni religiosi islamici). Dopo una breve visita del luogo, il Santo Padre è accompagnato all’edificio di "al-Kubbah al-Nahawiyya" dove sono presenti importanti esponenti della Comunità musulmana.

Dopo il saluto del Gran Mufti e del Presidente del Consiglio del Waqf, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Amici Musulmani,

As-salámu ‘aláikum! Pace a voi!

Ringrazio cordialmente il Gran Muftì, Muhammad Ahmad Hussein, insieme con il Direttore del Jerusalem Islamic Waqf, Sheikh Mohammed Azzam al-Khatib al-Tamimi e il Capo del Awquaf Council, Sheikh Abdel Azim Salhab, per le parole di benvenuto che essi mi hanno rivolto a vostro nome. Sono profondamente grato per l’invito a visitare questo sacro luogo e volentieri porgo i miei ossequi a voi e ai capi della comunità Islamica in Gerusalemme.

La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.

In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno.

Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’ umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo. Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità. Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.

Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana. In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.

Questo pone una grave responsabilità su di noi. Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità. L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto.

Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.

Cari Amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede. Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale "tutte le famiglie della terra si diranno benedette" (Gn 12,3; cfr Rm 4,16-17). Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia. Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale. Mentre Musulmani e Cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana. Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.

Con questi pensieri, umilmente chiedo all’Onnipotente di donarvi pace e di benedire tutto l’amato popolo di questa regione. Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si trasferisce in auto al "Western Wall" di Jerusalem.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVII)

VISITA AL "WESTERN WALL" DI JERUSALEM


Alle ore 10 il Santo Padre giunge al "Western Wall", comunemente detto "Muro del Pianto", un frammento del muro di sostegno del lato occidentale della Spianata del Tempio, ed è accolto dal Rabbino Capo e dal Presidente della Fondazione che gestisce il luogo sacro.

Il Rabbino Capo legge un salmo in ebraico, quindi il Santo Padre ne legge uno in latino e sosta poi in silenziosa preghiera davanti al Muro.

Di seguito pubblichiamo il testo della preghiera scritta sul biglietto che il Santo Padre Benedetto XVI depone tra le fenditure del Muro del Pianto:

TESTO DELLA PREGHIERA

God of all the ages,

on my visit to Jerusalem, the "City of Peace",

spiritual home to Jews, Christians and Muslims alike,

I bring before you the joys, the hopes and the aspirations,

the trials, the suffering and the pain of all your people throughout the world.

God of Abraham, Isaac and Jacob,

hear the cry of the afflicted, the fearful, the bereft;

send your peace upon this Holy Land, upon the Middle East,

upon the entire human family;

stir the hearts of all who call upon your name,

to walk humbly in the path of justice and compassion.

"The Lord is good to those who wait for him,

to the soul that seeks him" (Lam 3:25)!



VISITA DI CORTESIA AI DUE GRAN RABBINI DI JERUSALEM

Conclusa la visita al "Western Wall", alle ore 10.45 il Papa si reca in auto al Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato a Gerusalemme per la Visita di cortesia ai due Rabbini Capo di Israele: il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar.

La visita inizia con il colloquio privato. Successivamente, nel corso della parte pubblica dell’incontro, dopo i discorsi dei due Gran Rabbini, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Distinti Rabbini,
Cari Amici,

vi sono riconoscente per l’invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell’ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita.

Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo.

Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall’inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000.

Il nostro odierno incontro è un’occasione molto appropriata per rendere grazie all’Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione.

Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei.

La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l’amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione.

Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri ( Sl 139,23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Dt 6,5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19,18). Grazie !


Al termine, il Papa si reca in auto al Cenacolo.




PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (XVIII)

PREGHIERA DEL "REGINA COELI" NEL CENACOLO CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA


Lasciato il Centro "Hechal Shlomo", il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto al Cenacolo, luogo storico della Pentecoste, dove giunge alle ore 11.50 per la recita del "Regina Coeli" con gli Ordinari di Terra Santa.

L’incontro inizia con il canto del "Veni Creator" e il saluto del Custode di Terra Santa, P. Pierbattista Pizzaballa, OFM.

Prima di guidare la recita del "Regina Coeli", il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Caro Padre Custode,

è con grande gioia che io vi saluto, Ordinari della Terra Santa, in questo Cenacolo dove, secondo la tradizione, Dio aprì il suo cuore ai discepoli da Lui scelti e celebrò il Mistero Pasquale, e dove lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste ispirò i primi discepoli ad uscire e a predicare la Buona Novella. Ringrazio Padre Pizzaballa per le calorose parole di benvenuto che mi ha rivolto a vostro nome. Voi rappresentate le comunità cattoliche della Terra Santa che, nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani, onorati un tempo dalla presenza di Gesù, il nostro Dio vivente. Questo particolare privilegio dà a voi e al vostro popolo un posto speciale nell’affetto del mio cuore come Successore di Pietro. "Quando Gesù seppe che la sua ora era venuta di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Il Cenacolo ricorda l'Ultima Cena di nostro Signore con Pietro e gli altri Apostoli ed invita la Chiesa ad orante contemplazione. Con questo stato d’animo ci ritroviamo insieme, il Successore di Pietro con i Successori degli Apostoli, in questo stesso luogo dove Gesù rivelò nell'offerta del suo corpo e del suo sangue le nuove profondità dell'alleanza di amore stabilita tra Dio e il suo popolo. Nel Cenacolo il mistero di grazia e di salvezza, del quale siamo destinatari ed anche araldi e ministri, può essere espresso solamente in termini di amore. Poiché Egli ci ha amati per primo e continua ad amarci, noi possiamo rispondere con l’amore (cfr Deus caritas est, 2). La nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino. Le nostre vite diventano un'accettazione grata, docile ed attiva del potere di un amore che ci viene donato. Questo amore trasformante, che è grazia e verità (cfr Gv 1,17), ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio (cfr At 4,13). Nel Buon Pastore che dona la sua vita per il suo gregge, nel Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, voi, miei cari Fratelli, trovate il modello del vostro stesso ministero nel servizio del nostro Dio che promuove amore e comunione.

L’invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa. Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio. Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Lo Spirito conduce dolcemente i nostri cuori verso l'umiltà e la pace, verso l'accettazione reciproca, la comprensione e la cooperazione. Questa disposizione interiore all’unità sotto l’impulso dello Spirito Santo è decisiva perché i Cristiani possano realizzare la loro missione nel mondo (cfr Gv 17, 21).

Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme. Le parole chiare di Gesù sull'intimo legame tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, sulla misericordia e sulla compassione, sulla mitezza, la pace e il perdono sono un lievito capace di trasformare i cuori e plasmare le azioni. I Cristiani nel Medio Oriente, insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità. Mi piace ripetere ad essi quello che affermai nel Messaggio di Natale del 2006 ai cattolici nel Medio Oriente: "Esprimo con affetto la mia personale vicinanza in questa situazione di insicurezza umana, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Ripeto alle vostre comunità le parole del Redentore: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno' (Lc 12,32). " (Messaggio di Natale di Sua Santità Papa Benedetto XVI ai cattolici che vivono nella Regione del Medio Oriente, 21 dicembre 2006).

Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace. Apprezzo i vostri sforzi di offrir loro, come a cittadini maturi e responsabili, assistenza spirituale, valori e principi che li aiutino nello svolgere il loro ruolo nella società. Mediante l’istruzione, la preparazione professionale ed altre iniziative sociali ed economiche la loro condizione potrà essere sostenuta e migliorata. Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente. In questo contesto desidero esprimere il mio apprezzamento per il servizio offerto ai molti pellegrini e visitatori che vengono in Terra Santa in cerca di ispirazione e rinnovamento sulle orme di Gesù. La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una comprensione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore. Molte memorabili esperienze di pellegrini della Terra Santa sono state possibili grazie anche all’ospitalità e alla guida fraterna offerte da voi, specialmente dai Frati francescani della Custodia. Per questa servizio, vorrei assicurarvi l'apprezzamento e la gratitudine della Chiesa Universale e esprimo il desiderio che, nel futuro, pellegrini in numero ancora maggiore vengano qui in visita.

Cari Fratelli, nell’indirizzare insieme la nostra gioiosa preghiera a Maria, Regina del Cielo, mettiamo con fiducia nelle sue mani il benessere e il rinnovamento spirituale di tutti i Cristiani in Terra Santa, così che, sotto la guida dei loro Pastori, possano crescere nella fede, nella speranza e nella carità, e perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace.



BREVE VISITA ALLA CONCATTEDRALE LATINA DI JERUSALEM

Conclusa la visita al Cenacolo, il Santo Padre raggiunge in auto il Patriarcato Latino di Gerusalemme e alle ore 12.30 compie una breve visita alla Concattedrale latina dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Nella Concattedrale sono riunite circa 300 persone, tra cui alcune religiose contemplative.

Dopo un breve momento di Adorazione del Santissimo Sacramento e il saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, S.B. Fouad Twal, il Santo Padre pronuncia il saluto che pubblichiamo di seguito:

SALUTO DEL SANTO PADRE

Beatitudine, La ringrazio per le Sue parole di benvenuto. Ringrazio anche il Patriarca emerito ed assicuro entrambi dei miei fraterni auguri e delle mie preghiere.

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, sono lieto di essere qui con voi oggi in questa Concattedrale, dove la comunità cristiana di Gerusalemme continua a riunirsi come ha fatto da secoli, fin dai primi giorni della Chiesa. Qui, in questa città, Pietro per primo predicò la Buona Novella di Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando circa tremila anime si unirono al numero dei discepoli. Ancora qui i primi cristiani "erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" ( At 2,42). Da Gerusalemme il Vangelo si è diffuso "per tutta la terra...fino ai confini del mondo" (Salmo 19, 4), ed in ogni tempo lo sforzo dei missionari del Vangelo è stato sostenuto dalle preghiere dei fedeli, raccolti attorno all’altare del Signore, per invocare la forza dello Spirito Santo sull’opera della predicazione.

Soprattutto sono state le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere "l’amore profondo nel cuore della Chiesa" (Lettera alla sorella Maria del Sacro Cuore), che sostiene l’opera dell’evangelizzazione. Desidero esprimere una particolare parola di apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa che sono qui presenti, e ringraziarvi per la vostra generosa dedizione ad una vita di preghiera e di abnegazione. Sono particolarmente grato per le preghiere che offrite per il mio ministero universale e vi chiedo di continuare a raccomandare al Signore il mio servizio al popolo di Dio in tutto il mondo. Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di "pregare per la pace di Gerusalemme" ( Sal 122,6), di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione.


Al termine, il Papa pranza con gli Ordinari di Terra Santa, con gli Abati e con i Membri del Seguito papale, nel Patriarcato Latino di Jerusalem. Quindi rientra alla Delegazione Apostolica.




Omelia di Benedetto XVI nella valle di Giosafat di Gerusalemme



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo pomeriggio la Santa Messa nella valle di Giosafat di Gerusalemme, che si trova di fronte alla Basilica del Gethsemani e all’Orto degli Ulivi.

* * *

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

"Cristo è risorto, alleluia!". Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere "la via della pace" (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella "stanza al piano superiore", che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.

Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.

Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di "cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio" (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: "Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria" (Col 3,4)!

L’esortazione di Paolo di "cercare le cose di lassù" deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).

Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.

Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, "una voce che parla di pace" ( cf. Sl 85,8)!

Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.

Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.

Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, "vide e credette" (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a "vedere e credere" nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad "ascoltare" con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a "toccare" le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.

Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni "pietra pesante" posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





La preghiera del Papa nel Cenacolo: sostenere le comunità cattoliche in Terra Santa


La presenza dei cristiani nei luoghi in cui visse Gesù è “vitale” e va sostenuta e consolidata perché sia promotrice di pace. L’appello di Benedetto XVI è risuonato questa mattina fra le mura del Cenacolo, nel quale il Papa ha recitato il Regina Coeli assieme agli ordinari di Terra Santa. Poco dopo, nella Concattedrale latina di Gerusalemme, la nuova preghiera di Benedetto XVI per la fine del conflitto e delle sofferenze che patisce il Medio Oriente. Il servizio di Alessandro De Carolis:

(Canto Veni Creator)

“Fare tutto quello che è in vostro potere”. E’ la frase-chiave di un discorso che considera la realtà dei cristiani di Terra Santa di oggi dal luogo in cui quelli di venti secoli fa, sparuti e impauriti, prendevano coscienza della loro missione. Tra le mura in stile gotico e sotto le arcate e le volte a crociera che danno volto alla Sala superiore del Cenacolo, Benedetto XVI ha affrontato come pastore supremo della Chiesa la questione delle comunità cattoliche della Terra Santa. Comunità, ha detto con riconoscenza, che “nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani”. Tuttavia, al Papa sono ben noti i bisogni concreti e le difficoltà ambientali che costellano la quotidianità della Chiesa locale. E dunque, ha affermato il Pontefice:


“Dear brother bishops, count on my support…
Cari fratelli vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace (...) Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente.”

Assistenza spirituale, valori e principi, ma anche istruzione, preparazione professionale, iniziative sociali ed economiche. Tutto questo la Chiesa di Terra Santa mette in campo per migliorare la condizione dei cristiani del posto. Ma Benedetto XVI guarda più in alto. “Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa - ha detto - la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme”:


“The different christian Churches found here…
Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio".


“Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo - ha riconosciuto il Papa - specialmente a partire dal Concilio Vaticano II”. Un impulso proprio del luogo che vide irradiare gli Apostoli della forza e della luce dello Spirito Santo. E “questo amore trasformante, che è grazia e verità”, ha ribadito il Papa:


“Prompt us, as individuals and communities…
Ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio”.

(Canto Regina Coeli)


Dal Cenacolo alla Concattedrale latina di Gerusalemme, edificata nel 1847 e dedicata al Santissimo Nome di Gesù. Affetto e calore hanno accolto Benedetto XVI, al quale ha rivolto un indirizzo di saluto il Patriarca, mons. Fouad Twal, sottolineando, fra l’altro che:

“I sacerdoti, seminaristi, religiosi, religiose e laici che Lei vede davanti a sé hanno passato lunghi anni- talvolta tutta la loro vita- a pregare e a servire in Terra Santa. Essi rappresentato un tesoro inestimabile, dediti e implicati come sono nella vita della nostra famiglia cristiana di Terra Santa”.


Il Papa ha nuovamente ringraziato tutti i presenti per la loro testimonianza di fede e in particolare le religiose contemplative - alcune delle quali presenti nella Concattedrale - per le preghiere a sostegno del suo ministero. Ed ha concluso:


“In the words of the Psalmist, I ask you also…
Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di ‘pregare per la pace di Gerusalemme’, di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione."

(Canto)






Il Papa sulla Spianata delle Moschee e al Muro del Pianto: ragione, libertà e carità liberano l'uomo da odio e vendetta


Giornata intensa e fitta d’impegni quella odierna. La quinta giornata del pellegrinaggio in Terra Santa ha portato il Papa in tre luoghi simbolo delle tre grandi religioni monoteistiche: la Spianata delle Moschee, il Muro del Pianto, il Cenacolo. Parlando al Gran Muftì, Benedetto XVI ha sottolineato che ragione, libertà e carità liberano l’uomo dall’odio e dalla vendetta. Al Muro del Pianto poi il Papa ha elevato la sua accorata preghiera di pace. Ai Gran Rabbini d’Israele ha ricordato che ebrei e cristiani sono chiamati a difendere insieme la vita, la famiglia e la libertà religiosa. Ma diamo la linea al nostro inviato Roberto Piermarini:

Nell’incanto di minareti, sinagoghe e campanili, in una splendida giornata di sole che solo Gerusalemme sa offrire nelle giornate importanti, Benedetto XVI è entrato oggi nel cuore della vecchia Città Santa, un viaggio nei ‘santuari’ per eccellenza delle altre due religioni monosteiste: la Spianata delle Moschee, il più grande centro islamico dopo La Mecca e Medina e il Muro del Pianto, cuore della vita ebraica ed ultimo bastione del vecchio tempio di Gerusalemme. Nell’incantevole cornice della Cupola della Roccia, Benedetto XVI come è nella tradizione islamica, si è tolto le scarpe per entrare nel Mausoleo sovrastato dalla grande cupola dorata. Rivolgendosi al Gran Muftì - che ha parlato al Papa sulle violazioni e sulle limitazioni di Israele contro il popolo palestinese ed i luoghi santi - il Papa ha detto che la Cupola della Roccia fa riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo ed è qui che le vie delle tre grandi religioni si incontrano:


“In a world sadly torn by divisions...”
“In un mondo tristemente lacerato da divisioni - ha affermato - questo luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato ed a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Benedetto XVI ha ricordato che la fedeltà all’unico Dio ci porta a riconoscere che gli esseri umani sono legati l’uno all’altro, perchè tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune. “Marcati con l’indelebile immagine del divino – ha detto il Papa – essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana. Questo pone una grave responsabilità ma i cristiani affermano che i doni divini della reagione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa ed il destino comune della famiglia umana mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro ed a servirlo nella carità. “Questa è la ragione – ha sottolineato il Papa – perchè operiamo per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”. Dalla Spianata delle Moschee Benedetto XVI si è quindi spostato al Muro dei Pianto – che contiene pietre del tempio di Erode - dove lo attendeva il Rabbino Capo. Insieme hanno letto un salmo in ebraico e in latino: un’invocazione di pace per Gerusalemme. Benedetto XVI si è quindi raccolto in preghiera davanti al Muro ed ha lasciato un messaggio tra le fessure delle grandi pietre levigate. Ecco il testo:


Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
dimora spirituale per ebrei, cristiani e musulmani,
porto davanti a Te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le angosce, le sofferenze e le pene di tutto il Tuo popolo sparso nel mondo.
Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, degli impauriti, dei disperati,
manda la Tua pace su questa Terra Santa, sul Medio Oriente,
sull’intera famiglia umana;
risveglia il cuore di tutti coloro che chiamano il Tuo nome
affinché vogliano camminare umilmente sul cammino della giustizia e della pietà.
“Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l`anima che lo cerca”. (Lam 3, 25)



(Canto – Centro Shlomo)


Nel vicino Centro “Hechal Shlomo” sede del Gran Rabbinato d’Israele, Benedetto XVI ha espresso la soddisfazione per i frutti del dialogo ed ha incoraggiato una più convinta cooperazione fra le due comunità nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo:


“Jews and Christians alike concerned...”
“Ebrei e Cristiani – ha detto auspicando un dialogo sempre più intenso - sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana”.




Il commento di padre Lombardi sul pellegrinaggio del Papa a Gerusalemme


Sugli eventi del Papa a Gerusalemme ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto Piermarini:

D. - Padre Lombardi, come ha vissuto il Papa la visita allo Yad Vashem?

R. - Naturalmente è uno dei momenti culminanti di questi giorni perché è un Memoriale di una tragedia immensa e sappiamo che posto ha questa tragedia nella storia del popolo di Israele ed anche nella coscienza dell’umanità di oggi. Quindi, il Papa l’ha vissuto in un modo estremamente compreso, estremamente profondo, con la più chiara e viva intenzione di dimostrare la sua partecipazione alla grande tragedia passata di questo popolo, ed anche alla sua sensibilità di ricordare quello che è avvenuto, per evitare che si possa ripetere qualche cosa di simile in futuro, evitarlo assolutamente in ogni modo.

D. - La stampa israeliana parla di “discorso tiepido” del Papa allo Yad Vashem...

R. - Ovviamente io non sono d’accordo cioè è un discorso detto con la consueta finezza e delicatezza del Papa che non usa toni reboanti o teatrali ma che toccava un tema profondissimo che è quello della memoria e del nome; il nome, come sappiamo, da un punto di vista biblico, dice l’identità delle persone. Quindi, ricordare tutte queste persone che sono nel cuore di Dio e che sono nell’eternità, che devono rimanere anche nella nostra memoria proprio anche come monito per il futuro. Il Papa ha avuto dei momenti intensissimi nel discorso quando ricordava l’esperienza dei genitori che pensano quale nome dare al loro bambino. Quindi era un discorso di profondissima sensibilità ed emozione, però espresso con toni sempre misurati e moderati come il Papa fa. Questo è il suo stile che però, chi lo conosce, apprezza moltissimo.

D. - In che clima si è svolta la visita alla Spianata delle Moschee?

R. – Un clima piuttosto sereno. Questa immensa spianata fa molto impressione, la Cupola della Roccia è un edificio splendido e il Papa è stato accolto all’ingresso di questa moschea; si è tolto le scarpe come è abituale in questi luoghi musulmani di culto, è entrato e, accompagnato dal Gran Muftì e da un altro dignitario e da alcuni loro collaboratori, gli è stata data un’ampia spiegazione della moschea e del suo significato anche spirituale, per tutti i musulmani del mondo. Purtroppo ci sono lavori in corso quindi, in realtà, si vedevano dei grandi tendaggi, la famosa Roccia custodita sotto la Cupola non l’abbiamo potuta vedere.

D. - Superato l’incidente dello sceicco che ha arringato contro Israele nell’incontro interreligioso?

R. – Per noi, sì, bisogna vedere se anche la stampa o gli altri, lo considereranno un incidente di percorso o continueranno a girarci attorno. Certamente è stato un incidente spiacevole che ha turbato il clima dell’incontro di ieri sera e noi, come dicevo, speriamo che non turbi, in seguito, i rapporti interreligiosi nella Terra Santa che sono difficili. Gli incontri di questi giorni fanno capire come effettivamente fare un cammino di comprensione mutua fra le diverse religioni, qui, costruire veramente la pace, è molto difficile. Il Papa dà un esempio di pazienza, di ascolto, di invito fiducioso ad atteggiamenti dello spirito che possano costruire la via alla pace. Speriamo che venga ascoltato.





Domani il Papa a Betlemme


Oggi pomeriggio il Papa presiederà la Messa nella Valle di Giosafat: domani il trasferimento nei Territori Autonomi Palestinesi. Benedetto XVI giungerà in mattinata a Betlemme dove incontrerà il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Subito dopo celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia. Nel pomeriggio il Pontefice visiterà la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il campo profughi di Aida. In serata il rientro a Gerusalemme. Sul significato di questa visita ascoltiamo padre Jerzy Kraj, guardiano di Betlemme, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Per noi e per la popolazione di Betlemme è un segno della storia di 20 secoli della cristianità, come presenza di una comunità viva. Abbiamo una Basilica che ricorda l’inizio della vita terrena di Gesù, ma accanto a questa Basilica, da sempre, c’è una comunità viva. E allora noi siamo qui per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli uomini, compresi quelli che vengono come pellegrini in Terra Santa.


D. – Padre Jerzy, che cosa chiede il pellegrino che viene a Betlemme?


R. – Il pellegrino che viene tocca soprattutto i luoghi santi, come sorgenti della fede. Qui si tocca l’inizio della vita di Dio in mezzo a noi. Allora, il pellegrino arriva qui, per toccare con mano quella viva presenza di Dio. Io credo che adorando nella grotta della Natività, il luogo storico che ricorda l’inizio della presenza di Gesù in mezzo a noi, si celebra l’amore di Dio, che si è rivelato in mezzo a noi.


D. – All’interno della Basilica, qual è il rapporto con le altre confessioni cristiane?


R. – Abbiamo tre comunità qui: i francescani come rappresentanti della Chiesa cattolica, i greco-ortodossi e gli armeni. I rapporti sono relativamente buoni. Ci sono alle volte delle tensioni, ma nell’insieme bisogna riconoscere che c’è una buona collaborazione, perchè nel cuore di tutti c’è forse un amore troppo geloso di questo luogo e in questo amore geloso a volte c’è una specie di rivalità, ma rivalità, credo, guidata soprattutto dall’autenticità del luogo santo.


D. – E' rimasto ancora qualcosa dell’assedio che c’è stato qui in questa Basilica per molti giorni? E’ rimasto qualche segno o è tutto cancellato ormai?


R. – Ci sono segni sul muro esterno della Basilica di qualche pallottola volante, che ha lasciato schegge sulla pietra antica. Il resto è stato soprattutto cancellato dalla memoria positiva, memoria di una testimonianza di custodire il luogo e offrirlo a tutti i pellegrini e anche ai cristiani locali.


D. – Gesù Cristo si è incarnato a Betlemme per portare al mondo la pace, ma è veramente difficile la pace in questa terra così travagliata?


R. – La pace è soprattutto un impegno morale. E’ difficile perchè l’uomo ancora non ha colto la pace di Dio, di Gesù, che porta ad un rinnovamento del cuore. Finché noi cercheremo di costruire la pace sugli accordi politici, non arriverà mai un’autentica pace, collaborazione, riconciliazione dei popoli qui in Terra Santa, tra i palestinesi e gli israeliani. Occorre un rinnovamento interiore. I cristiani sono segno di questo ponte, di questa visione positiva, di fermento dall’interno per costruire una pace non basata sulle dichiarazioni, ma soprattutto sull’amore che Cristo ci ha portato.


D. – E lei personalmente che cosa si aspetta da questa visita del Papa?


R. – Un segno positivo per noi custodi dei luoghi santi. I francescani quest’anno ricordano i 700 anni dei documenti delle autorità musulmane per poter custodire questo luogo. Ci ricordiamo le storie non facili, gli anni difficili. Ricordo con tanta gioia la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II nel 2000. La stessa attesa, la stessa gioia in questa visita di Benedetto XVI, come segno del terzo Papa dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, che viene qui a confermare la comunità cristiana e a seminare segni di pace e anche di riconciliazione tra la popolazione locale.







“Giustizia” e “misericordia”, bussola per i credenti nell'unico Dio
Visita di Benedetto XVI alla “Cupola della Roccia”

di Mirko Testa


GERUSALEMME, martedì, 12 maggio (ZENIT.org).- I fedeli delle tre grandi religioni monoteistiche hanno il compito di spendersi per l'edificazione di un modo di pace, guidati dalla giustizia e dalla misericordia che discendono dall'unico Dio.

E' quanto ha detto, questo martedì mattina, Benedetto XVI nell'incontrarsi con importanti esponenti della comunità musulmana nell'edificio "al-Kubbah al-Nahawiyya", che si trova sulla Spianata delle Moschee.

Anche Giovanni Paolo II visitò il 26 marzo 2000 la Spianata delle Moschee, però rispetto al suo predecessore Benedetto XVI ha avuto l'opportunità questa volta di varcare la soglia della “Cupola della Roccia” (detta anche Moschea di Omar), accompagnato dal Gran Mufti di Gerusalemme Muhammad Ahmad Husayn, sunnita, considerato la suprema autorità giuridica islamica a Gerusalemme e del popolo arabo-musulmano in Palestina.

La "Cupola della Roccia", costruita fra il 687 e il 691, è il più antico monumento islamico in Terra Santa. E' stato stato eretto dove, secondo la tradizione, sorgeva il tempio di Salomone, distrutto nel 70 d.C. sotto l'impero di Tito.

In questo luogo, ha detto il Papa, “le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto”.

L'area infatti “al-Haram al-Sharif” (Nobile Santuario), su cui sorge la Moschea di Omar è un suolo sacro per le tre religioni monoteistiche abramitiche.

I musulmani ritengono che la "roccia" al centro della moschea sia il punto da cui Maometto sarebbe asceso al cielo (la stessa su cui Abramo avrebbe offerto Ismaele in sacrificio a Dio). Per gli ebrei è terra sacra in quanto sede del Tempio di Salomone. Per i cristiani ricorda le numerose visite di Gesù al Tempio e le sue dispute con i sacerdoti e altri episodi della sua vita pubblica.

“In un mondo tristemente lacerato da divisioni – ha aggiunto –, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.

Il punto di partenza, ha indicato, deve essere la fede nell’Unico Dio, “infinita sorgente della giustizia e della misericordia”.

“Coloro che confessano il suo nome – ha detto – hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana”.

Da qui, ha incoraggiato il Santo Padre, discende il pressante appello a lavorare per “l’unità dell’intera famiglia umana”.

“L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto”, ha continuato.

“Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta”, ha aggiunto il Papa.

“Impegniamoci a vivere in spirito di armonia e di cooperazione, dando testimonianza all’Unico Dio mediante il servizio che generosamente ci rendiamo l’un l’altro”, ha infine concluso.





La stampa laica trascura i tesori dei discorsi papali
Padre Thomas Wiliams commenta il pellegrinaggio in Terra Santa



GERUSALEMME, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il sacerdote della Congregazione dei Legionari di Cristo, padre Thomas Williams (www.thomasdwilliams.com), un teologo statunitense che vive a Roma, segue per la CBS News la storica visita di Benedetto XVI in Terra Santa. Per l'occasione offrirà una cronaca del suo viaggio anche a ZENIT. Di seguito riportiamo il suo primo commento.

* * *

Sono arrivato in Israele domenica sera, per essere qui per l'arrivo di Benedetto XVI lunedì mattina. Il proverbiale sistema di sicurezza israeliano è stato aumentato per la visita del Santo Padre, ma nonostante polizia e telecamere ovunque siamo riusciti ad attraversare l'aeroporto con ritardi minimi. Per fortuna non ero andato in Messico la settimana scorsa, visto che dei cartelli invitavano quanti c'erano stati a recarsi al posto sanitario dell'aeroporto per gli accertamenti contro l'influenza A.

Gerusalemme dista solo 30 miglia dall'Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, per cui il viaggio non è durato più di 45 minuti. Il mio taciturno autista Hezi mi dava segnalazioni occasionali durante il viaggio (indicando anche il suo quartiere) mentre attraversavamo rombando l'autostrada con la sua malridotta Subaru bianca, ma è diventato estremamente cordiale quando gli ho detto che non mi dava fastidio se fumava in macchina.

Quando la Città Santa di Gerusalemme è apparsa all'orizzonte, emergendo dal panorama come una versione bianco-mediterraneo della Città di Smeraldo di Oz, mi ha tolto il fiato. E' solo la mia seconda visita in Terra Santa, e camminare dove ha camminato Gesù e guardare la città che ha amato così profondamente è una sensazione indescrivibile.

La città è abbellita per la visita del Papa con bandiere bianche e gialle che costellano il viale principale intorno alla Città Vecchia, intervallate dalle bandiere dello Stato di Israele, bianche con la stella di Davide blu. Gli emblemi papali non sono gli unici segni da notare, ovviamente, e molti cartelloni annunciano l'arrivo sugli schermi della versione cinematografica di “Angeli e demoni”. Ovunque, qui, il sacro e il profano sono fianco a fianco.

In questo pellegrinaggio papale precedente all'arrivo del Pontefice in Israele sono già avvenute molte cose. Benedetto XVI ha trascorso tre giorni proficui nel Regno di Giordania, dove ha visitato il Monte Nebo, da dove Mosè fece spaziare lo sguardo dal fiume Giordano alla Terra Promessa, così come la Moschea Al-Hussein Bin Talal, dove ha pronunciato un brillante discorso sul dialogo interreligioso e interculturale.

Questo mi fa venire in mente una riflessione per me ricorrente in questi giorni. Molte persone hanno sentore di ciò che Papa Benedetto dice o scrive quando qualche sua frase o qualche azione suscita proteste e viene ripresa dai media secolari. Ciò porta a una visione del tutto parziale e ingiustamente negativa del Papa. Quasi chiunque, quindi, sa che un commento a Ratisbona (Germania) nel 2006 ha infastidito i musulmani, e che ha rimesso la scomunica a quattro Vescovi scismatici, uno dei quali nega l'Olocausto, ma pochi hanno letto le sue Encicliche sull'amore e sulla speranza, o ascoltato i suoi discorsi su San Paolo e i Padri della Chiesa.

Questa domenica Benedetto XVI ha celebrato una Messa all'aperto nell'International Stadium di Amman, dove un altro gioiello di questo tipo è sfuggito all'attenzione dei media. In questo Paese a maggioranza musulmana, il Papa ha scelto di esporre un'approfondita riflessione sulla dignità delle donne, riferendosi al loro “carisma profetico” e lodandole come “portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace”.

“Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore”, ha aggiunto.

Arrivando in Israele questo lunedì mattina, il Papa ha subito voluto dissipare ogni dubbio residuo circa la sua posizione sull'Olocausto ebraico. Nel suo primo discorso, all'aeroporto di Tel Aviv, ha affermato: “È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo”.

Il Papa non vuole che resti un'ombra di dubbio sulla sua ripugnanza nei confronti dell'antisemitismo, e sta cercando di uccidere rapidamente il drago prima che sollevi la sua terribile testa. Si spera che la sua evidente buona volontà ne susciti una uguale da parte di tutti coloro che lo ascoltano.

La sua toccante visita al Memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem lunedì pomeriggio ha offerto un'ulteriore conferma del suo impegno per promuovere le relazioni tra ebrei e cristiani e presentare una posizione unita a favore dei diritti umani. Dopo l'incontro, ho parlato con molti ebrei per la strada e la maggior parte di loro è stata soddisfatta di come sono andate le cose, anche se un uomo mi ha detto che il Papa avrebbe dovuto dire che milioni di ebrei sono stati “assassinati” e non “uccisi”. Onestamente ho qualche problema nel percepire questo livello di cavillosità semantica, ma ovviamente lui pensava che fosse importante.

Finora nelle sue varie attività in Terra Santa il Papa non solo ha evitato i problemi che molti avevano previsto, ma ha anche perseguito attivamente una via molto più elevata, sfidando i suoi ascoltatori alla pace, alla giustizia, al dialogo e al rispetto reciproco. Nei prossimi giorni ci si aspetta ancor di più.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]






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