+PetaloNero+
00lunedì 23 marzo 2009 01:27
Omelia per la Messa nella Spianata di Cimangola a Luanda
LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica mattina da Benedetto XVI nel presiedere la Santa Messa con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa (Angola e São Tomé, Botswana, Sud Africa e Swaziland, Lesotho, Mozambico, Namibia e Zimbabwe) nella Spianata di Cimangola a Luanda.
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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle in Cristo!
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Queste parole ci colmano di gioia e di speranza, in quanto attendiamo il compimento delle promesse di Dio. Motivo di particolare gioia è, oggi, per me potere come Successore dell’Apostolo Pietro celebrare questa Messa con voi, miei fratelli e sorelle in Cristo venuti da varie regioni dell’Angola, di São Tomé e Príncipe e da molti altri Paesi. Con grande affetto nel Signore, saluto le comunità cattoliche di Luanda, Bengo, Cabinda, Benguela, Huambo, Huíla, Kuando Kubango, Kunene, Kwanza Norte, Kwanza Sul, Lunda Norte, Lunda Sul, Malanje, Namibe, Moxico, Uíje e Zaire.
In modo speciale, saluto i miei Fratelli Vescovi, i membri dell’Associazione Inter-regionale dei Vescovi dell’Africa Australe, raccolti intorno a questo altare del Sacrificio del Signore. Ringrazio il Presidente del CEAST, Arcivescovo Damião Franklin, per le sue gentile parole di benvenuto e, nelle persone dei loro Pastori, saluto tutti i fedeli della nazioni di Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, South Africa, Swaziland e Zimbabwe.
La prima lettura di oggi ha una particolare risonanza per il Popolo di Dio in Angola. E’ un messaggio di speranza rivolto al Popolo eletto nella lontana regione del loro esilio, un invito a ritornare in Gerusalemme per ricostruire il Tempio del Signore. La vivace descrizione della distruzione e della rovina causata dalla guerra rispecchia l’esperienza personale di tante persone in questo Paese durante le terribili devastazioni della guerra civile. Com’è vero che la guerra può "distruggere tutto ciò che ha valore" (cfr 2 Cr 36,19): famiglie, intere comunità, il frutto della fatica degli uomini, le speranze che guidano e sostengono le loro vite e il loro lavoro! Questa esperienza è fin troppo familiare all’Africa nel suo insieme: il potere distruttivo della guerra civile, il precipitare nel vortice dell’odio e della vendetta, lo sperpero degli sforzi di generazioni di gente perbene. Quando la Parola del Signore – una Parola che mira all’edificazione dei singoli, delle comunità e dell’intera famiglia umana – è trascurata, e quando la Legge di Dio è "ridicolizzata, disprezzata e schernita" (cfr ibid., v. 16), il risultato può essere solo distruzione ed ingiustizia: l’umiliazione della nostra comune umanità e il tradimento della nostra vocazione ad essere figli e figlie del Padre misericordioso, fratelli e sorelle del suo Figlio diletto.
Traiamo quindi conforto dalle parole consolanti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura! La chiamata a ritornare e a ricostruire il tempio di Dio ha un significato particolare per ciascuno di noi. San Paolo, della cui nascita celebriamo quest’anno il bimillennario, ci dice che "siamo il tempio del Dio vivente" (2 Cor 6, 16). Come sappiamo, Dio dimora nei cuori di quanti pongono la loro fiducia in Cristo, sono rinati nel Battesimo e sono resi tempio dello Spirito Santo. Anche adesso, nell’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa, Dio ci chiama a riconoscere il potere della sua presenza in noi, a riappropriarci del dono del suo amore e del suo perdono e a diventare messaggeri di questo amore misericordioso entro le nostre famiglie e comunità, a scuola e al posto di lavoro, in ogni settore della vita sociale e politica.
Qui in Angola, questa Domenica è stata riservata come giorno di preghiera e di sacrificio per la riconciliazione nazionale. Il Vangelo ci insegna che la riconciliazione - una vera riconciliazione - può essere soltanto frutto di una conversione, di un cambiamento del cuore, di un nuovo modo di pensare. Ci insegna che solo il potere dell’amore di Dio può cambiare i nostri cuori e farci trionfare sul potere del peccato e della divisione. Quando eravamo "morti per i nostri peccati" (cfr Ef 2, 5) il suo amore e la sua misericordia ci hanno offerto la riconciliazione e la vita nuova in Cristo. È questo il nucleo dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo, ed è importante per noi richiamare alla memoria che solo la grazia di Dio può creare in n oi un cuore nuovo! Solo il suo amore può cambiare il nostro "cuore di pietra" (Ez 11, 19) e metterci in grado di costruire invece di demolire. Solo Dio può fare nuove tutte le cose!
Sono venuto in Africa proprio per predicare questo messaggio di perdono, di speranza e di una nuova vita in Cristo. Tre giorni fa, a Yaoundé, ho avuto la gioia di rendere pubblico l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata al tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Vi chiedo oggi di pregare, in unione con tutti i nostri fratelli e sorelle in tutta l’Africa, per questa intenzione: che ogni cristiano in questo grande Continente sperimenti il tocco risanante dell’amore misericordioso di Dio e che la Chiesa in Africa diventi "per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione" (Ecclesia in Africa 79).
Cari amici, è questo il messaggio che il Papa porta a voi e ai vostri figli. Dallo Spirito Santo avete ricevuto la forza di essere i costruttori di un domani migliore per il vostro amato Paese. Nel Battesimo vi è stato dato lo Spirito per essere araldi del Regno di Dio, Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cfr Messale Romano, Prefazio di Cristo Re). Nel giorno del vostro Battesimo avete ricevuto la luce di Cristo. Siate fedeli a questo dono, certi che il Vangelo può confermare, purificare e nobilitare i profondi valori umani presenti nella vostra cultura nativa e nelle vostre tradizioni: famiglie unite, profondo senso religioso, gioiosa celebrazione del dono della vita, apprezzamento della saggezza degli anziani e delle aspirazioni dei giovani. E poi siate riconoscenti per la luce di Cristo! Mostratevi riconoscenti verso coloro che ve l’hanno portata: generazioni e generazioni di missionari che tanto hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo umano e spirituale di questo Paese. Siate riconoscenti per la testimonianza di tanti genitori ed insegnanti cristiani, di catechisti, sacerdoti, religiose e religiosi, che hanno sacrificato la loro propria vita per trasmettervi questo tesoro prezioso! Ed affrontate la sfida che questo grande patrimonio vi pone. Rendetevi conto che la Chiesa, in Angola e in tutta l’Africa, ha il compito di essere, davanti al mondo, un segno di quell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata mediante la fede in Cristo Redentore.
Nel Vangelo di oggi vi sono parole pronunciate da Gesù che suscitano una certa impressione: Egli ci dice che la sentenza di Dio sul mondo è già stata emessa (cfr Gv 3, 19ss). La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo! Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata Nazione di Angola. Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta – una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori. E che dire di quell’ insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione, conduce inevitabilmente all’edonismo, all’evasione in false utopie attraverso l’uso della droga, all’irresponsabilità sessuale, all’indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all’eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto?
La parola di Dio, però, è una parola di speranza senza limiti. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito … perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3, 16–17). Dio non ci dà mai per spacciati! Egli continua ad invitarci ad alzare gli occhi verso un futuro di speranza e ci promette la forza per realizzarlo. Come dice san Paolo nella seconda lettura di oggi, Dio ci ha creati in Cristo Gesù per vivere una vita giusta, una vita in cui pratichiamo opere buone secondo la sua volontà (cfr Ef 2, 10). Ci ha donati i suoi comandamenti, non come un fardello, ma come una fonte di libertà: della libertà di diventare uomini e donne pieni di saggezza, maestri di giustizia e di pace, gente che ha fiducia negli altri e cerca il loro vero bene. Dio ci ha creati per vivere nella luce e per essere luce per il mondo intorno a noi! È questo che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: "Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio" (Gv 3, 21).
"Vivete, dunque, secondo verità!" Irraggiate la luce della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre famiglie e comunità! Siate testimoni della santa verità che rende liberi uomini e donne! Voi sapete in base ad un’amara esperienza che, rispetto alla repentina furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro. Richiede tempo, fatica e perseveranza: deve iniziare nei nostri cuori, nei piccoli sacrifici quotidiani necessari per essere fedeli alla legge di Dio, nei piccoli gesti mediante i quali dimostriamo di amare i nostri vicini - tutti i nostri vicini senza riguardo alla razza, all’etnia o alla lingua - nella disponibilità a collaborare con loro per costruire insieme su basi durevoli. Fate sì che le vostre parrocchie diventino comunità dove la luce della verità di Dio e il potere dell’amore riconciliante di Cristo non siano soltanto celebrati, ma espressi in opere concrete di carità. E non abbiate paura! Anche se questo significa essere un "segno di contraddizione" (Lc 2, 34) di fronte ad atteggiamenti duri e ad una mentalità che vede gli altri come strumenti da usare piuttosto che come fratelli e sorelle da amare, da rispettare e da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza.
Permettetemi di concludere con una parola rivolta in particolare ai giovani dell’Angola e a tutti i giovani dell’Africa. Cari giovani amici, voi siete la speranza del futuro del vostro Paese, la promessa di un domani migliore! Cominciate fin da oggi a crescere nella vostra amicizia con Gesù, che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14, 6): un’amicizia nutrita ed approfondita mediante la preghiera umile e perseverante. Cercate la sua volontà su di voi, ascoltando quotidianamente la sua parola e permettendo alla sua legge di modellare la vostra vita e le vostre relazioni. In questo modo diventerete profeti saggi e generosi dell’amore salvifico di Dio; diventerete evangelizzatori dei vostri stessi compagni, guidandoli con il vostro esempio personale ad apprezzare la bellezza e la verità del Vangelo e verso la speranza di un futuro plasmato dai valori del Regno di Dio. La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza! Non abbiate paura di rispondere generosamente alla chiamata di Dio a servirlo sia come sacerdoti, religiose o religiosi, sia come genitori cristiani o in tante altre forme di servizio che la Chiesa vi propone.
Cari fratelli e sorelle! Alla fine della prima lettura di oggi, Ciro re di Persia, ispirato da Dio, ingiunge al Popolo eletto di ritornare nella sua amata Patria e di ricostruire il Tempio del Signore. Che queste parole del Signore siano un appello all’intero Popolo di Dio in Angola e in tutta l’Africa del Sud: Alzatevi! Ponde-vos a caminho! (2 Cr 36, 23). Guardate al futuro con speranza, confidate nelle promesse di Dio e vivete nella sua verità. In questo modo costruirete qualcosa destinato a perdurare e lascerete alla generazioni future un’eredità durevole di riconciliazione, di giustizia e di pace. Amen.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Preghiera di Benedetto XVI a Maria per la pace in Africa
Parole introduttive all'Angelus nella Spianata di Cimangola a Luanda
LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus pronunciato questa domenica da Benedetto XVI al termine della celebrazione eucaristica nella spianata di Cimangola con i Vescovi dell’Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa.
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Cari fratelli e sorelle,
al termine della nostra Celebrazione eucaristica, mentre la mia Visita pastorale in Africa sta giungendo alla sua conclusione, ci volgiamo ora a Maria, la Madre del Redentore, per implorarne l’amorevole intercessione su di noi, sulle nostre famiglie, e sul nostro mondo.
In questa preghiera dell’Angelus, ricordiamo il "sì" incondizionato di Maria alla volontà di Dio. Attraverso l’obbedienza di fede della Vergine, il Figlio è venuto nel mondo per portarci perdono, salvezza e vita in abbondanza. Facendosi uomo come noi in tutto fuorché nel peccato, Cristo ci ha insegnato la dignità e il valore di ogni membro della famiglia umana. E’ morto per i nostri peccati, per raccoglierci insieme nella famiglia di Dio.
La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace.
Oggi io affido alle vostre preghiere il lavoro di preparazione per la prossima Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui celebrazione prevista per la fine di quest’anno. Ispirati dalla fede in Dio e fiduciosi nelle promesse di Cristo, possano i cattolici di questo Continente diventare sempre più pienamente lievito di evangelica speranza per tutte le persone di buona volontà che amano l’Africa, sono dedite al progresso materiale e spirituale dei suoi figli, e alla diffusione della pace, della prosperità, della giustizia e della solidarietà in vista del bene comune.
La Vergine Maria, Regina della Pace, continui a guidare il popolo dell’Angola nel compito della riconciliazione nazionale dopo la devastante e disumana esperienza della guerra civile. Le sue preghiere ottengano per tutti gli Angolani la grazia di un autentico perdono, del rispetto per gli altri, della cooperazione che sola può portare avanti l’immensa opera della ricostruzione. La Santa Madre di Dio, che ci addita il Figlio suo, nostro fratello, ricordi a noi cristiani di ogni luogo il dovere di amare il nostro prossimo, di essere costruttori di pace, di essere i primi a perdonare a chi ha peccato contro di noi, così come noi siamo stati perdonati.
Qui, nell’Africa del Sud, vogliamo pregare Nostra Signora in modo particolare di intercedere per la pace, la conversione dei cuori e per la fine del conflitto nella vicina regione dei Grandi Laghi. Il Figlio suo, Principe della Pace, porti guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza.
Con questa fiducia, noi ora ci volgiamo a Maria, nostra Madre, e nel recitare la preghiera dell’Angelus, preghiamo per la pace e la salvezza dell’intera famiglia umana.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
Discorso del Papa ai movimenti cattolici per la promozione della donna
LUANDA, domenica, 22 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell’incontrarsi, presso la parrocchia di Santo António, nella periferia di Luanda, con alcune rappresentanze di Movimenti cattolici per la promozione della donna.
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Carissimi fratelli e sorelle,
«Non hanno più vino» – disse Maria supplicando Gesù affinché lo sposalizio potesse continuare nella festa, come del resto sempre deve essere: «Gli invitati a nozze non possono digiunare quando hanno con loro lo sposo» (cfr Mc 2, 19). Poi la Madre di Gesù si recò dai servi per raccomandar loro: «Fate quello che vi dirà» (cfr Gv 2, 1-5). E quella mediazione materna rese possibile il «vino buono», premonitore di una nuova alleanza tra l’onnipotenza divina e il cuore umano povero ma disponibile. È ciò che, del resto, era già successo in passato quando – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – «tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!"» (Es 19, 8).
Queste stesse parole salgano dal cuore di quanti siamo radunati qui in questa chiesa di Sant’Antonio, sorta grazie alla benemerita opera missionaria dei Frati minori cappuccini, i quali la vollero quale nuova Tenda per l’Arca dell’Alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo in cammino. Su di loro e su quanti collaborano e traggono beneficio dall’assistenza religiosa e sociale qui elargita, il Papa traccia una benevola e incoraggiante Benedizione. Saluto con affetto ciascuno dei presenti: Vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, e in modo particolare voi, fedeli laici, che abbracciate consapevolmente i doveri d’impegno e di testimonianza cristiana che derivano dal sacramento del Battesimo e, per gli sposati, anche dal sacramento del Matrimonio. E, dettato dalla ragione principale che ci raduna qui, un mio saluto carico di affetto e di speranza va alle donne, alle quali Dio ha affidato le sorgenti della vita: Vivete e scommettete sulla vita, perché il Dio vivente ha scommesso su di voi! Con animo grato, saluto i responsabili e gli animatori dei Movimenti ecclesiali che hanno a cuore, tra l’altro, la promozione della donna angolana. Ringrazio Mons. José de Queirós Alves e ai vostri rappresentanti per le parole che mi hanno rivolto, illustrando gli affanni e le speranze di tante silenziose eroine quali sono le donne in questa Nazione amata.
Tutti esorto ad un’effettiva consapevolezza delle condizioni sfavorevoli a cui sono state – e continuano ad essere – sottoposte tante donne, esaminando in quale misura la condotta e gli atteggiamenti degli uomini, a volte la loro mancanza di sensibilità o di responsabilità, possano esserne la causa. I disegni di Dio sono diversi. Abbiamo sentito nella lettura che tutto il popolo rispose insieme: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» Dice la Sacra Scrittura che il Creatore divino, nell’esaminare l’opera compiuta, vide che qualcosa mancava: tutto sarebbe stato buono, se l’uomo non fosse stato solo! Come poteva l’uomo solo essere ad immagine e somiglianza di Dio che è uno e trino, di Dio che è comunione? «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cfr Gn 2, 18). Dio di nuovo si mise all’opera per creare l’aiuto che mancava, e lo dotò in modo privilegiato introducendo l’ordine dell’amore, che non vedeva abbastanza rappresentato nella creazione.
Come sapete, fratelli e sorelle, quest’ordine dell’amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, alla vita trinitaria, essendo lo Spirito Santo l’ipostasi personale dell’amore. Orbene, «nel fondamento del disegno eterno di Dio – come diceva il compianto Papa Giovanni Paolo II – la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per gettare la sua prima radice» (Lett. ap. Mulieris dignitatem, 29). Infatti, nel vedere l’affascinante incanto che irradia dalla donna a causa dell’intima grazia che Dio le ha donata, il cuore dell’uomo si illumina e si rivede in essa: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2, 23). La donna è un’altro «io» nella comune umanità. Bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna: sono ambedue persone, differentemente da ogni altro essere vivente del mondo attorno a loro.
Ambedue sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole riconoscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche complementari di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. Chi non avverte, oggi, il bisogno di dare più spazio alle «ragioni del cuore»? In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto. Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni devastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e non… Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi.
Carissimi fratelli e sorelle, la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi, quando in realtà una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche poste da donne. Lasciate che, fra tante donne straordinarie, vi parli di due: Teresa Gomes e Maria Bonino. Angolana la prima, è deceduta l’anno 2004 nella città di Sumbe, dopo una vita coniugale felice da cui sono nati 7 figli; incrollabile è stata la sua fede cristiana e ammirevole il suo zelo apostolico, soprattutto negli anni 1975 e 1976 quando una feroce propaganda ideologica e politica si abbatté sopra la parrocchia di Nostra Signora delle Grazie di Porto Amboim, riuscendo quasi a far chiudere le porte della chiesa. Allora Teresa divenne la leader dei fedeli che non si arrendevano alla situazione, sostenendoli, proteggendo coraggiosamente le strutture parrocchiali e tentando ogni possibile strada per avere di nuovo la santa Messa. Il suo amore alla Chiesa la rese instancabile nell’opera dell’evangelizzazione, sotto la guida dei sacerdoti.
Quanto a Maria Bonino: era una pediatra italiana, offertasi volontaria per varie missioni in quest’Africa amata, e divenuta la responsabile del Reparto pediatrico dell’Ospedale provinciale d’Uíje negli ultimi due anni della sua vita. Votata alle cure quotidiane di migliaia di bambini lì ricoverati, Maria dovette pagare con il sacrificio più alto il servizio ivi reso durante una terribile epidemia della febbre emorragica di Marburg, finendo lei stessa contagiata; anche se trasferita a Luanda, qui decedette e qui riposa dal 24 marzo del 2005 – si compie dopodomani il quarto anniversario. La Chiesa e la società umana sono state – e continuano ad essere – enormemente arricchite dalla presenza e dalle virtù delle donne, in particolare di quelle che si sono consacrate al Signore e, poggiando su di Lui, si sono messe al servizio degli altri.
Carissimi angolani, oggi nessuno dovrebbe più dubitare del fatto che le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno «pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari. Tuttavia il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia: qui, infatti, il loro contributo per il bene e lo sviluppo sociale, anche se poco considerato, è di un valore realmente inestimabile» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 1995, n. 9). Peraltro, a livello personale, la donna sente la propria dignità non tanto quale risultato dell’affermazione di diritti sul piano giuridico, quanto piuttosto come diretta conseguenza delle attenzioni materiali e spirituali ricevute nel cuore della famiglia. La presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile. E, per lo stesso motivo, la società deve richiamare i mariti e i padri alle loro responsabilità riguardo alla propria famiglia.
Carissime famiglie, certamente vi siete rese conto del fatto che nessuna coppia umana può da sola, unicamente con le proprie forze, offrire adeguatamente ai figli l’amore e il senso della vita. Infatti, per poter dire a qualcuno: «La tua vita è buona, nonostante non ne conosca il futuro», c’è bisogno di un’autorità e di una credibilità più alte di quanto possono offrire i genitori da soli. I cristiani sanno che quest’autorità più grande è stata assegnata a quella famiglia più ampia che Dio, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e del dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, e cioè alla Chiesa. Vediamo qui al lavoro quell’Amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente, anche se non ne conosciamo il futuro. Per questo motivo, l’edificazione di ogni famiglia cristiana avviene all’interno di quella famiglia più grande che è la Chiesa, la quale la sostiene e la stringe al suo petto garantendo che sopra di essa si posa, ora e nel futuro, il «sì» del Creatore.
«Non hanno più vino» – dice Maria a Gesù. Carissime donne angolane, prendeteLa come Avvocata vostra presso il Signore. Così la conosciamo da quelle nozze di Cana: come la Donna benigna, piena di materna sollecitudine e di coraggio, la Donna che si accorge dei bisogni altrui e, volendo rimediare, li porta davanti al Signore. Presso di Lei, possiamo tutti, donne e uomini, ricuperare quella serenità e intima fiducia che ci fa sentire beati in Dio e instancabili nella lotta per la vita. Possa la Madonna di Muxima essere la stella della vostra vita; Essa vi custodisca uniti nella grande famiglia di Dio. Amen.
[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
+PetaloNero+
00lunedì 23 marzo 2009 17:14
VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009) (XVIII)
CERIMONIA DI CONGEDO DALL’ANGOLA
Questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato, alle ore 9.15 il Santo Padre lascia la Nunziatura Apostolica e si trasferisce in auto all’aeroporto internazionale "4 de Fevereiro" di Luanda dove, alle ore 10.00, ha luogo la Cerimonia di congedo dall’Angola, alla presenza delle Autorità politiche e civili, dei Vescovi dell’Angola e di un gruppo di giovani.
Dopo il discorso del Presidente della Repubblica dell’Angola, S.E. il Sig. José Eduardo dos Santos, il Papa pronuncia il discorso che pubblichiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica,
Illustrissime Autorità civili, militari ed ecclesiastiche,
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Amici tutti di Angola!
Vivamente sensibile alla presenza di Vostra Eccellenza, Signor Presidente, in quest’ora della mia partenza, voglio esprimerLe il mio apprezzamento e la mia gratitudine tanto per il distinto trattamento che mi ha riservato quanto per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere. Sia alle Autorità civili e militari che ai Pastori e ai responsabili delle comunità ed istituzioni ecclesiali coinvolte nei suddetti incontri, rivolgo i più cordiali ringraziamenti per ogni gentilezza con cui hanno voluto onorare la mia persona durante questi giorni che ho potuto passare tra voi. Una parola di riconoscenza è dovuta agli operatori dei mezzi di comunicazione sociale, agli agenti dei servizi di sicurezza e a tutti i volontari che, con generosità, efficienza e discrezione, hanno contribuito al buon esito della mia visita.
Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno. È ora di congedarmi e di ripartire alla volta di Roma, rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà.
Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini.
E da Luanda allargo lo sguardo verso l’Africa intera, dandole appuntamento per il prossimo mese di ottobre nella Città del Vaticano, quando ci raduneremo per la II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente, dove il Verbo incarnato in persona ha trovato rifugio. Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: «Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai» (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni.
Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo. Dio benedica l’Angola! Benedica ognuno dei suoi figli e figlie! Benedica il presente e il futuro di questa amata Nazione. Addio!
TELEGRAMMA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DELL’ANGOLA
Alle ore 10.30 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI lascia l’aeroporto internazionale "4 de Fevereiro" di Luanda a bordo di un B777 dell’Alitalia, diretto a Roma.
Al momento di lasciare lo spazio aereo dell’Angola, il Papa fa pervenire al Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. José Eduardo dos Santos, il seguente messaggio telegrafico:
EXCELENTÍSSIMO SENHOR JOSÉ EDUARDO DOS SANTOS
PRESIDENTE DA REPUBLICA DE ANGOLA
LUANDA
AO DEIXAR O ESPAÇO ANGOLANO VENHO RENOVARLHE MINHA DEFERENTE SAUDAÇÃO E CORDIAL AGRADECIMENTO PELA DISPONIBILIDADE FACILIDADES E BOM ACOLHIMENTO DE VOSSA EXCELÊNCIA GOVERNO AUTORIDADES E TODO DILECTO POVO ANGOLANO NO DESENROLARSE DESTA VISITA PASTORAL(.) NELA PRETENDI CHAMAR TODOS A UMA RENOVADA SOLIDARIEDADE DAS MENTES E CORAÇÕES QUE POSSIBILITE EMPENHO COMUM NA OBRA DE PACIFICAÇÃO E RECONSTRUÇÃO DA NAÇÃO INTEIRA PARA UM FUTURO MAIS DIGNO DOS SEUS FILHOS SOBRE QUEM IMPLORO CONTINUA ASSISTÊNCIA DAS BENÇAOS DE DEUS
BENEDICTUS PP XVI
Concluso il viaggio in Africa. Benedetto XVI: per ridare speranza al continente la prima sfida da vincere è quella della solidarietà
Il viaggio del Papa in Africa si è concluso. Stamani la cerimonia di congedo all’aeroporto di Luanda. Benedetto XVI ha detto di aver trovato una Chiesa viva, nonostante le difficoltà, che continua ad annunciare che è arrivato il tempo della speranza. Quindi ha lanciato un nuovo appello perché i responsabili lavorino per realizzare le giuste aspirazioni delle popolazioni alla pace, al cibo, alla casa: in questo senso - ha detto - “la prima sfida da vincere è quella della solidarietà”. Alle 18.00 di oggi l’arrivo di Benedetto XVI all'aeroporto romano di Ciampino. Il servizio del nostro inviato a Luanda Davide Dionisi:
Rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nella cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda, Benedetto XVI ha espresso così, questa mattina, sentimenti di riconoscenza e di affetto nei confronti del popolo angolano. L’entusiasmo e il calore che hanno caratterizzato i tre giorni di permanenza nella capitale, hanno lasciato il segno e la risposta del Papa non si è fatta attendere. Nel tracciare un bilancio di questa seconda parte del suo undicesimo viaggio apostolico internazionale, il Pontefice ha posto l’accento sull’efficacia e sul ruolo svolto dalla Chiesa locale, nonostante le difficoltà e gli ostacoli tipici di un Paese reduce da anni di guerra civile:
“Estou grato a Deus por ter encontrado...
Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno”.
Prima di lasciare Luanda e di salutare il popolo angolano, ha voluto lanciare un ultimo appello al presidente della Repubblica, José Eduardo Dos Santos, e alle autorità politiche e civili presenti, affinché si prodighino per il bene comune e per sostenere chi è in difficoltà. E il Santo Padre ha indicato l’unica strada capace di dare concrete risposte ai fratelli bisognosi: quella della solidarietà:
“Se me permitissem um apelo final...
Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini”.
Un messaggio finale, quello del Pontefice, rivolto non solo all’Angola, ma a tutto il continente africano, anche in vista della II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente. Un messaggio di speranza anche per coloro che ancora soffrono a causa delle guerre e delle discriminazioni:
“Agora peço a Deus que faça sentir…
Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa”.
Benedetto XVI è tornato infine ad esortare il popolo angolano ad avere fiducia nei propri mezzi e a continuare a lavorare per realizzare una civiltà dell’amore, attraverso la via del perdono e del dialogo fraterno. Prerogative, queste, utili per favorire la pace e l’intese fra i popoli, su una base di lealtà e uguaglianza:
"Irmãos e amigos de África,…
Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. Dio benedica l’Angola!”.
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Le parole del Papa in volo verso Roma
Il Papa è dunque in volo verso Roma. A bordo dell’aereo ha parlato con i giornalisti della sua esperienza in Africa. Ecco le sue parole:
“Cari amici … mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi. E così la presenza del Papa ha … aiutato a sentire questo … E dall’altra parte mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina. Questo mi ha fatto una grande impressione.
Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che sabato nel caos formatosi all’ingresso dello stadio sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una non è stata ancora identificata. Il cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra ragazza: una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La ragazza deceduta, era la prima dei suoi figli ed era una catechista. E noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.
Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – è il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra, movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria.
Poi abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo e abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale, delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa, come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.
Infine vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito per la bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti, vorrei ringraziare le autorità statali, civili, della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola “grazie” dovrebbe concludere questa avventura e grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e farete. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!”
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+PetaloNero+
00martedì 24 marzo 2009 16:25
INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON I GIORNALISTI NEL VOLO DI RITORNO DAL VIAGGIO APOSTOLICO IN CAMERUN E ANGOLA (LUNEDÌ, 23 MARZO 2009)
Ieri mattina, nel volo di ritorno dal Viaggio Apostolico in Africa, mentre l’aereo sorvolava Yaoundé, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato a salutare i giornalisti che lo avevano accompagnato in Camerun e Angola ed ha loro rivolto le parole che pubblichiamo di seguito:
PAROLE DEL SANTO PADRE
Cari amici, vedo che voi lavorate ancora. Il mio lavoro è quasi finito, invece il vostro comincia di nuovo. Grazie per questo impegno.
Mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte, l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi. Così la presenza del Papa ha, diciamo, aiutato a sentire questo e ad essere realmente nella gioia.
Dall’altra parte, mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso: Anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di consapevolezza della presenza divina. Questo ha suscitato in me una grande impressione.
Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che, venerdì sera nel caos formatosi davanti alla porta allo Stadio, sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una di loro non è stata ancora identificata. Il Cardinal Bertone e Mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra, una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La prima dei cinque - quella adesso morta - era catechista. Noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.
Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – riguarda il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere lì il mondo delle molteplici sofferenze – tutto il dolore, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana – ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando chi soffre diventa più uomo, il mondo diventa più umano. Questo è ciò che rimane iscritto nella mia memoria.
Non solo abbiamo distribuito l’Instrumentum laboris per il Sinodo, ma abbiamo anche lavorato per il Sinodo. Nella sera del giorno di San Giuseppe mi sono riunito con tutti i componenti del Consiglio per il Sinodo – 12 Vescovi – e ognuno ha parlato della situazione della sua Chiesa locale. Mi hanno parlato delle loro proposte, delle loro aspettative, e così è nata un’idea molto ricca della realtà della Chiesa in Africa: come si muove, come soffre, che cosa fa, quali sono le speranze, i problemi. Potrei raccontare molto, per esempio della Chiesa del Sud Africa, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita: essa aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe.
E finalmente vorrei ancora una volta ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla bella riuscita di questo viaggio: abbiamo visto quali preparativi lo avevano preceduto, come hanno collaborato tutti. Desidero ringraziare le autorità statali, civili, quelle della Chiesa e tutti i singoli che hanno collaborato. Mi sembra che veramente la parola "grazie" debba concludere questa avventura. Grazie ancora una volta anche a voi, giornalisti, per il lavoro che avete fatto e che continuate a fare. Buon viaggio a voi tutti. Grazie!
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Il Papa traccia un bilancio del suo viaggio in Africa
Le due maggiori impressioni: il senso di gioia e raccoglimento nelle liturgie
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 24 marzo 2009 (ZENIT.org).- Questo lunedì, sul volo di rientro a Roma dopo il viaggio in Africa, Benedetto XVI ha voluto tracciare un primo bilancio delle impressioni raccolte.
Nel parlare ai giornalisti presenti – secondo quanto riporato da “H2onews” – il Santo Padre ha detto di essere stato colpito da una parte dall’“impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo figli e famiglia di Dio”.
“Esiste questa famiglia e noi con tutti i limiti siamo in questa famiglia e Dio è con noi – ha aggiunto –. E così la presenza del Papa ha aiutato a sentire questo”.
“E dall’altra parte – ha aggiunto il Vescovo di Roma – mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso; anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di coscienza della presenza divina”.
Il Papa ha quindi espresso profondo dolore per la morte dei due ragazze coinvolte nella calca, che ha causato anche una novantina di feriti, creatasi fuori dai cancelli dello stadio Coqueiros a Luanda, dove di lì a poco si sarebbe tenuto l'incontro con i giovani angolani.
“Ho pregato e prego per loro”, ha detto il Pontefice.
Il ricordo del Papa è poi andato all'incontro del 19 marzo con i malati del Centro “Cardinale Paul Emile Léger” di Yaoundé, una struttura sanitaria destinata alla riabilitazione degli handicappati fondata nel 1972 dal porporato canadese dal quale prende il nome.
“Mi ha toccato il cuore vedere qui il mondo delle sofferenze molteplici, tutta la sofferenza, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana, ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti”, ha commentato il Papa.
“E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando il sofferente diventa più uomo, il mondo diventa più umano: questo rimane iscritto nella mia memoria”, ha aggiunto.
Un riferimento è andato anche all’Instrumentum laboris (documento di lavoro) per la seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 4 al 25 ottobre 2009 e che Benedetto XVI ha voluto consegnare personalmente ai Presidente delle 42 Conferenze episcopali africane, il 19 marzo, durante la Messa nello stadio "Amadou Ahidjo" di Yaoundé.
Inoltre, la sera dello stesso giorno, presso la Nunziatura Apostolica di Yaoundé il Pontefice si è riunito insieme ai membri del Consiglio Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi composto da 12 Vescovi (3 Cardinali, 8 Arcivescovi e 1 Vescovo di tradizione Caldea) per analizzare le luci e le ombre, così come le aspettative della Chiesa locale.
“Potrei raccontare molto – ha detto Benedetto XVI –, per esempio che la Chiesa del Sudafrica, che ha avuto un’esperienza di riconciliazione difficile, ma sostanzialmente riuscita, aiuta adesso con le sue esperienze il tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe”.
[Per vedere il video completo girato sul volo papale:
h2onews.org/_page_videoview.php?id_news=1683]
Il viaggio del Papa in Africa all’insegna della speranza e del realismo: la riflessione di padre Federico Lombardi
“Ho avuto la possibilità di incontrare popoli ancorati a salde tradizioni spirituali e desiderosi di progredire nel giusto benessere”: è quanto scrive Benedetto XVI in un telegramma indirizzato, ieri sera, al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, al rientro a Roma dal suo primo viaggio nel continente africano. Dal canto suo, in un messaggio inviato al Pontefice, il presidente Napolitano mette l’accento sulla “passione e determinazione” con la quale il Papa ha richiamato la comunità internazionale a sostenere “gli sforzi dei Paesi africani” in vista di uno sviluppo “fondato sulla promozione della dignità della persona e sul fermo rifiuto di ogni discriminazione”. All’indomani della conclusione del viaggio, il direttore generale della nostra emittente, padre Federico Lombardi, si sofferma sugli aspetti salienti della visita del Papa in Camerun e Angola. L’intervista è di Alessandro Gisotti:
R. – Io parlerei di realismo e di speranza perché il Papa ha guardato la realtà dell’Africa in un modo molto concreto, ha messo in luce tutti i suoi grandi problemi ma ha anche invitato a guardare lontano, in una chiave cristiana. Naturalmente, questo messaggio della speranza vale per tutti i cristiani in tutte le parti del mondo, ma per L’Africa può darsi che questa espressione abbia un significato specifico, proprio perché noi vediamo e sappiamo che ci sono dei problemi drammatici. Per questo, l’invito alla speranza è particolarmente urgente ed è giusto che il Papa abbia ricordato il valore grande di questa virtù per tutti i cristiani impegnati in questo continente.
D. – Donne e giovani sono senza dubbio i protagonisti del futuro dell’Africa. A loro il Papa ha dedicato forse i momenti più belli di questo viaggio. Una sua riflessione…
R. – E’ vero. L’incontro con i giovani è un po’ una tradizione dei viaggi del Papa, quello con le donne è stato meno comune. Anche se le donne erano sempre inserite fra le componenti attive della Chiesa, questa volta si è voluto fare ad esse anche un discorso. Dimostrare ad esse un’attenzione particolare, nella consapevolezza del loro ruolo fondamentale di accoglienza e generazione della vita, di centro della famiglia, di centro anche della società, in un certo senso, della comunità allargata tramite i doni, i carismi che la donna ha anche di aiutare alla comprensione, al dialogo, all’accettazione reciproca.
D. –In che modo questa visita del Pontefice potrà aiutare la Chiesa africana a rendere fruttuoso il Sinodo in programma ad ottobre?
R. – Io credo che sia stata una buona scelta quella di fare il viaggio del Papa in Africa prima del Sinodo per distribuire l’Instrumentum Laboris, presentarlo, perché questo dà un grande impulso alla preparazione del Sinodo; fa vedere che il Papa e la Chiesa universale sono molto interessati a questo evento, lo seguono, vi vogliono partecipare, lo accompagnano con la loro preghiera. Adesso che l’Instrumentum Laboris è pronto, è proprio un grande quadro aperto in cui inserire una quantità di riflessioni, di contributi concreti, di approfondimenti, che poi nell’Assemblea di ottobre avranno tutto il loro spazio.
D. - La visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola ha fatto bene all’Africa, ma anche il Papa torna rinfrancato dall’abbraccio caloroso e entusiasta di una Chiesa viva e dinamica. Davvero “fa ridere” - come ha detto il Santo Padre - il mito della sua solitudine…
R. – Fa sorridere, certamente, perché lui sa quanto la sua vita sia densa di rapporti con gli altri, di rapporti importanti, di ascolto, di fiducia e, quindi, non si può proprio parlare di solitudine. Abbiamo visto anche la solidarietà che i vescovi hanno voluto manifestare in questi ultimi mesi. Abbiamo visto l’entusiasmo e l’abbraccio di popolazioni numerosissime. Quindi, il Papa non si sente solo né a livello del governo della Chiesa, né a livello della gente che incontra.
D. – In Africa il viaggio del Papa è stato unanimemente considerato un successo, un contributo importante per tutta l’Africa, non solo per i cattolici. In Occidente, invece, molti media si sono fossilizzati su argomenti polemici. Ma quali sono dunque i temi forti di questo viaggio che sono passati in secondo piano?
R. – Io ho un po’ l’impressione che quello che qui in Occidente è difficile capire è l’approccio specifico con cui la Chiesa guarda allo sviluppo e al progresso dei popoli. Bisogna ripartire un po’ dalla Popolorum Progressio di Paolo VI, per capirlo meglio. La Chiesa ha una visione della dignità della persona e di ogni persona, del fatto che ognuno deve crescere nella responsabilità e nella libertà e su questo si costruisce poi una società con dei valori di convivenza, nella democrazia, nella libertà. Questo però è un lungo cammino, un cammino complesso, che prende tante dimensioni ma che parte dalla convinzione profonda che ogni singola persona ha un valore enorme davanti a Dio e ha una grande dignità, è chiamata da Dio ad assumere le sue responsabilità. Io guardavo, passando con il Papa, queste centinaia di migliaia di persone: non sono numeri, non sono animali da limitare o da governare con la forza o con delle misure semplicemente economiche o poliziesche o di altro genere. Sono delle persone. Ognuno è un volto dietro cui la Chiesa vede una persona che ha una dignità infinita e che è chiamata ad assumere le sue responsabilità e a crescere. E’ questo che mi sembra manchi in tante delle prospettive di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni nel guardare all’Africa e al suo futuro.
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00mercoledì 25 marzo 2009 16:09
L'Instrumentum laboris del Sinodo sull'Africa: l'impegno della Chiesa al fianco dei più poveri e le sfide del neocolonialismo
Dopo il viaggio del Papa in Camerun e Angola, la Chiesa è sempre più proiettata verso il Sinodo per l’Africa che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre in Vaticano. Il Papa, il 19 marzo scorso a Yaoundé, ha consegnato ufficialmente l’Instrumentum laboris ai presidenti delle Conferenze episcopali del continente. Benedetto XVI ha auspicato che i lavori dell’Assemblea sinodale possano far crescere la speranza per i popoli africani e dare nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo quanto propone il tema del Sinodo. Sui contenuti del documento di lavoro ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti.
L’Instrumentum laboris mette in evidenza le luci e le ombre dell’Africa sottolineando che “il bene che si fa è spesso più discreto ma più profondo del male bruciante e tragico riportato dai media”. Tra le evoluzioni positive segnala l’emancipazione dalle dittature e lo sviluppo “pur se timido di una cultura democratica” anche grazie all’importante e riconosciuto ruolo delle Commissioni ecclesiali giustizia e pace. C’è poi la crescita della cooperazione tra Paesi africani (Ua, Nepad, Maep) e, a livello spirituale, una grande sete di Dio che vede l’aumento dei battezzati e la crescita delle vocazioni sacerdotali e religiose, l’impegno dei catechisti, lo sviluppo di movimenti e associazioni di laici cattolici, con comunità ecclesiali molto vivaci. E poi ancora la diffusione delle università cattoliche e dei mass media d’ispirazione cristiana, soprattutto le radio. Per non parlare dell’impegno della Chiesa nel campo della sanità con centri e ospedali: in particolare contro l’Aids le strutture cattoliche coprono quasi il 30% del totale.
Di contro è forte la denuncia di quelle “forze internazionali” che sfruttano l’Africa: “fomentano le guerre con la vendita delle armi. Sostengono poteri politici irrispettosi dei diritti umani e dei principi democratici per assicurarsi, come contropartita, dei vantaggi economici”. “Le multinazionali continuano ad invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani” causando anche gravi danni all’ambiente.
Il documento denuncia anche le modalità degli aiuti internazionali che sono accompagnati “da condizioni inaccettabili” che indeboliscono ulteriormente le economie africane e aumentano il “divario tra ricchi e poveri”. Tutto questo mentre non vengono rispettate le promesse degli aiuti allo sviluppo, che continuano a diminuire. C’è poi il capitolo agricolo con l’ingiustizia subita dai contadini che sono costretti a vendere i propri prodotti a prezzi molto bassi. Denunciata anche la vasta propaganda degli Ogm che secondo alcuni dovrebbero garantire la sicurezza alimentare: è una tecnica invece – si legge – che “rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici di Ogm”.
“La globalizzazione” – da una parte “tende ad emarginare il continente africano”, dall’altra sta attuando “un processo organizzato di distruzione dell’identità africana” e dei suoi tipici valori “di rispetto degli anziani, della donna come madre, della cultura della solidarietà, dell’aiuto reciproco e dell’ospitalità, dell’unità, della vita” provocando “la destrutturazione del tessuto familiare” e della coesione sociale. “L’Africa è diventata vulnerabile di fronte all’invasione dei modelli delle potenze militari ed economiche” che stanno imponendo “un unico modello culturale e la negazione della vita” mentre “le società africane constatano, impotenti, la disgregazione delle loro culture”.
La Chiesa da parte sua vuole “far sentire il grido dei poveri” schiacciati dalla “neo-colonizzazione”, lotta contro le ingiustizie, la corruzione dilagante, lo sfruttamento e la violazione dei diritti dei bambini e delle donne. Si tratta di una “missione profetica … spesso …bloccata dalla pressione dei poteri” che utilizzano anche le sette cristiane per attaccare la Chiesa cattolica. Le sette infatti predicano spesso un Vangelo disimpegnato, disinteressandosi delle questioni sociali. Invece la Chiesa vuole essere “segno di contraddizione” e “voce di chi non ha voce” “risvegliando le coscienze cristiane alla difesa dei diritti umani”. L’Instrumentum laboris – di fronte a quanti sono interessati a far tacere la voce dei cattolici - esorta ad avere “coraggio profetico” sulla scia di quanto dice Gesù che prepara i discepoli “a vivere assieme a lui la persecuzione, gli insulti e ogni sorta d’infamia” per causa sua.
Il documento si conclude con una preghiera alla “Madre di Dio, Protettrice dell’Africa” perché attraverso di Lei i cristiani possano “essere testimoni del Signore Risorto” e diventare “sempre più sale della terra e luce del mondo”.
Sull’Instrumentum laboris ascoltiamo padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di Popoli e Missione, la rivista delle Pontificie Opere Missionarie, che ha seguito il Papa durante il suo viaggio in Africa. L’intervista è di Sergio Centofanti:
R. – Si tratta, a mio avviso, di uno strumento importantissimo, perché riesce davvero a coniugare quella che è la spiritualità cristiana, con quelle che sono le istanze della vita reale della gente. Ed è un’operazione estremamente importante, considerando - e questo il Papa lo ha sottolineato a chiare lettere - che i veri cambiamenti, prima ancora che avvenire e realizzarsi nella società in senso lato, devono avvenire nella comunità cristiana. E’ la comunità cristiana che, metabolizzando il Vangelo, attraverso l’inculturazione, poi deve essere sale della terra e luce per il mondo.
D. – Dal documento di lavoro emerge una grande vitalità della Chiesa in Africa...
R. – Sicuramente, basterebbe riflettere sulla straordinaria testimonianza sia del clero locale che di tanti religiosi e missionari che, in questi anni, soprattutto in alcuni scenari infuocati, sono stati davvero una sorta di forza di interposizione pacificatrice tra gli opposti schieramenti. Poi, poco importa che questo sia avvenuto in un contesto bellico e, o, nell’ambito di una baraccopoli alla periferia di questa o quella capitale. La Chiesa in questi anni, non ha svolto solo un’attività solidale, ma devo dire ha anche promosso la sussidiarietà, quel senso di corresponsabilità che deve essere sperimentato dai fedeli laici.
D. – Il documento è una forte denuncia di quelle potenze che sfruttano l’Africa...
R. – La percezione dei vescovi africani, ma anche di tanti missionari è che purtroppo l’Africa rappresenti ancora oggi un boccone prelibato. Sta di fatto che è un continente che galleggia sul petrolio, con immense risorse minerarie, e la questione di fondo è che l’Africa viene davvero sfruttata, è una terra di conquista. In fondo, il messaggio forte che si evince dall’Instrumentum laboris è che le Afriche – io preferirei parlare al plurale, essendo un grande continente, tre volte l’Europa – non sono povere, come dice qualcuno, ma semmai sono impoverite. Le Afriche non chiedono la beneficenza, per intenderci, la carità pelosa, ma invocano soprattutto giustizia. Di fatto, da una parte si dice “aiutiamo le Afriche ad uscire dal sottosviluppo”, ma la questione di fondo è che sono più i soldi che dalle Afriche vanno al nord del mondo, di quelli che dal nord del mondo giungono nelle Afriche.
D. – La Chiesa è impegnata per la giustizia, per la pace, al fianco dei più poveri, eppure l’Instrumentum laboris denuncia che è sottoposta a gravi attacchi. Chi è che vuol far tacere la voce della Chiesa?
R. – Diciamo che la presenza di tante comunità cristiane disseminate nel continente molte volte è una presenza scomoda. Ma per quale motivo? Perché queste comunità sostengono la gente e non è che si schierino con questo o quel potentato. Da questo punto di vista vi è una grande attenzione, proprio perché questa è insita nel magistero sociale della Chiesa, nei confronti dei diritti umani, della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Ora, siccome, purtroppo, l’abbiamo visto in più circostanze, a dettare le regole del gioco tante volte sono le oligarchie locali, gli interessi di parte, legati soprattutto al business delle materie prime, ecco che allora tante volte la presenza dei religiosi, dei missionari, in determinati contesti geostrategici, è davvero visto, non solo con sospetto, ma sono presenze davvero scomode che, molte volte, l’abbiamo visto, hanno determinato situazioni, fatti, episodi di vero e proprio martirio.
D. – L’Instrumentum vuole rilanciare la speranza in Africa...
R. – Sì, la speranza, che poi a pensarci bene è l’ottimismo di Dio. Insomma, capire e comprendere che, comunque, con tutti i problemi, le difficoltà, le questioni aperte che l’Africa si trascina dietro - quasi fossero una sorta di pesante fardello - bisogna guardare al futuro con speranza, perché la storia del continente africano è comunque storia di salvezza. Se manca questa prospettiva teologale, se manca questa prospettiva evangelica, non andiamo da nessuna parte, e questo il Papa l’ha fatto intendere chiaramente. I gesti di carità che si realizzano nell’ambito della comunità cristiana, ma anche nella sua azione evangelizzatrice ad extra, sono davvero segni di speranza, che fanno prefigurare davvero un futuro migliore.
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I vescovi del Camerun: gli africani hanno capito bene il messaggio del Papa, i media occidentali no
Un esempio di cattiva informazione che ha cercato di oscurare il significato autentico del viaggio del Papa in Africa: è quanto denunciano i vescovi del Camerun in un comunicato che torna sulle polemiche alimentate da alcuni media occidentali sulle parole di Benedetto XVI a proposito dell’uso dei preservativi per prevenire l’Aids. Il servizio di Alessandro Gisotti:
I media occidentali “hanno trascurato gli aspetti essenziali” del messaggio del Papa in Africa su povertà, riconciliazione, giustizia e pace: è quanto scrivono i vescovi del Camerun, che, in una nota, definiscono “molto grave” l’atteggiamento di alcuni mass media. In particolare, i presuli denunciano che la polemica sui preservativi ha oscurato il dramma di tanti africani che muoiono a causa di malattie, povertà e guerre fratricide. Né, lamenta l’episcopato del Camerun, si sono ricordati gli sforzi straordinari della Chiesa africana per debellare l’Aids. Un impegno che si concretizza nelle tante strutture cattoliche che accolgono e danno assistenza morale, medica e spirituale ai malati di Aids.
Se i media dell’occidente non hanno capito la portata del viaggio di Benedetto XVI in Africa, lo hanno invece compreso bene i camerunensi che, sottolinea il comunicato, hanno accolto il Papa con gioia ed entusiasmo. I fedeli africani sanno che il Santo Padre “mette l’uomo al centro delle sue preoccupazioni e richiama l’insegnamento di Cristo”. I vescovi ribadiscono, infine, che la Chiesa permette ad ognuno di valorizzare la propria dignità di figlio adottivo di Dio. E ricordano che, anche nella cura dei malati di Aids, la Chiesa cattolica porta uno sguardo nuovo sull’uomo e sul mondo.
Vescovo angolano: la visita del Papa è stata "molto positiva"
LUANDA, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il Vescovo di Cabinda, monsignor Filomeno Vieira Dias, ha definito "molto positiva" la visita di Benedetto XVI in Angola.
Secondo quanto riferisce l'Agenzia Ecclesia, il presule ha affermato questo martedì, durante un incontro con i giornalisti nel Centro Aníbal de Melo di Luanda, che la visita papale "ci aiuterà a riflettere su ciò che la Chiesa è chiamata a fare per raggiungere tutti coloro che sono emarginati, che non hanno ancora avuto l'opportunità di avere un contatto vivo con il Vangelo".
Circa l'incidente di sabato durante il quale sono morte due ragazze, il Vescovo ha spiegato che il gruppo papale non ha avuto "informazioni ufficiali" sulla questione, ma che non appena il Pontefice è venuto a conoscenza dell'accaduto "ha reagito immediatamente" e ha incaricato il Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, di accompagnare la cosa da vicino.
Monsignor Vieira Dias ha affermato che durante l'incontro che Benedetto XVI ha avuto venerdì con il Presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, non è stata affrontata la questione dell'estensione dei segnali di Rádio Ecclesia, emittente cattolica angolana. (cfr. ZENIT, 19 marzo 2009).