Viaggio apostolico in Camerun e Angola

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Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 18:44
Dal blog di Lella...

L'importanza di un viaggio

Sarà importante, anzi lo è già, questo nuovo viaggio internazionale del Papa. E lo hanno percepito i media, sia pure riducendolo a un solo aspetto - per di più stravolto in chiave polemica - e cioè quello dei metodi per contrastare la diffusione dell'Aids.
Sì, è importante la presenza di Benedetto XVI in Camerun e Angola, come i giornalisti al seguito hanno potuto capire subito dalle sue risposte alle loro domande mentre l'aereo iniziava a sorvolare il deserto del Sahara, e come è apparso dai primi due discorsi, durante la cerimonia di benvenuto e ai vescovi. Proprio loro sono stati i primi a porgere al Papa gli auguri - che formula con affetto anche il nostro giornale - per la festa del suo santo patrono.
L'importanza del viaggio ha diversi aspetti: la visita - la terza di un Papa in poco più di un ventennio - a due grandi Paesi quali il Camerun, presentato non a torto come un'Africa in miniatura, e l'Angola; la vicinanza che anche in questo modo il vescovo di Roma vuole dimostrare a tutto il continente africano, dove il cattolicesimo è giovane e in vigorosa crescita, su radici antiche e con realizzazioni rilevanti; la dimensione collegiale, che è ancora più accentuata di quanto non sia solitamente nelle visite papali internazionali.
Questo aspetto collegiale del viaggio africano è stato sottolineato da Benedetto XVI interrogato sulla sua presunta solitudine, una raffigurazione che lo fa "un po' ridere" - ha detto testualmente. Aggiungendo subito dopo che è circondato da amici, anzi da una "rete di amicizia", formata innanzi tutto dal cardinale segretario di Stato e dai suoi più stretti collaboratori, in un impegno quotidiano di tipo collegiale, come storicamente è quello della Curia romana, segnato dalle udienze abituali, dalle visite degli episcopati, dalle riunioni plenarie delle congregazioni - ha voluto spiegare a chi non vuole capire. In una circolarità tra centro e periferia sempre più accentuata.
Nel lavoro di ogni giorno è compresa la preparazione, lunga e coscienziosa, dei viaggi, divenuti da quasi mezzo secolo una forma nuova del servizio papale. Come questo, al quale non solo simbolicamente prendono parte i responsabili più alti della Segreteria di Stato, ma anche un cardinale vescovo proveniente dall'Africa, il cardinale prefetto e l'arcivescovo segretario (anch'egli africano) della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, l'arcivescovo segretario del Sinodo dei vescovi.
Grazie a questa preparazione, in continuo scambio con le rappresentanze pontificie nei diversi Paesi e con gli episcopati, le visite internazionali del vescovo di Roma portano frutti, immediati - come appare in queste ore dall'entusiasmo autentico e commovente dei fedeli camerunesi - e durevoli. Benedetto XVI viaggia, come i suoi predecessori, per testimoniare e annunciare il Signore. E questo ha effetti politici in senso alto. Anche ora nel sollecitare il continente africano e tutta la comunità internazionale a un impegno comune che aiuti a superare la crisi globale.

g. m. v.

(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2009)


Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 18:46
Dal blog di Lella...

SUL SITO DEL VATICANO SPARISCE IL TERMINE "PRESERVATIVO"

Il Vaticano, nel pubblicare la trascrizione integrale dell'intervista concessa ai giornalisti dal Papa martedì durante il volo verso il Camerun, ha corretto le parole usate da Benedetto XVI sui preservativi.
Nel testo che compare sul bollettino e sul sito della Santa Sede, Ratzinger afferma: «....Direi che non si può superare questo problema dell'Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c'è l'anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il problema».
Dalla sbobinatura della registrazione in possesso dei giornalisti, le parole di Benedetto XVI risultano invece nel seguente modo: «...direi che non si può superare questo problema dell'Aids solo con i soldi, che sono necessari, ma se non c'è l'anima che sa applicarli, non aiutano; non si può superare con la distribuzione di preservativi che, al contrario, aumentano il problema».

© Copyright Corriere online


Eheheheheh!!!! Il Vaticano censura il Papa?????
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Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 18:49
Dal blog di Lella...

PAPA: CHI COMANDA NON SI GONFI D'ORGOGLIO,SPESSO SOTTOPOSTI MEGLIO DI LUI

(ASCA) - Roma, 18 mar

Chi comanda non deve ''gonfiarsi d'orgoglio a motivo del suo rango piu' elevato, ma sapra' che il suo inferiore puo' essere migliore di lui, cosi' come Gesu' e' stato sottomesso a Giuseppe'': lo ha detto oggi pomeriggio papa Benedetto XVI, celebrando i vespri nella grande basilica di Marie Reine des Apotres, davanti ai preti, religiosi e suore della capitale del Camerun, Yaounde', insieme ai rappresentanti delle chiese protestanti e ortodosse locali. Il pontefice ha tenuto una lunga riflessione spirituale, di fronte ad una Chiesa molto legata al senso di gerarchia come quella africana, e ha citato Origene per ricordare che ''spesso un uomo di minor valore e' posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l'inferiore ha piu' valore di colui che sembra comandargli''. ''Quando chi ha ricevuto una dignita' comprende questo, non si gonfiera' d'orgoglio a motivo del suo rango piu' elevato, ma sapra' che il suo inferiore puo' essere migliore di lui, cosi' come Gesu' e' stato sottomesso a Giuseppe'', ha proseguito il pontefice. Per il papa, il ministero pastorale vissuto nel sacerdozio ''richiede molte rinunce, ma e' anche sorgente di gioia''. Ai sacerdoti presenti, ha chiesto di ''rispondere con fedelta' alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesu'! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all'assemblea''.

Asca


Africa. Papa: Imitate San Giuseppe, servire i piu' deboli e umili

Vespri con i religiosi, i preti e i vescovi del Camerun

Roma, 18 mar. (Apcom)

Ultimo appuntamento della seconda giornata della visita del Papa a Yaoundè: celebrazione dei vespri con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i rappresentanti di altre confessioni cristiane nel Camerun nella Basilica Marie Reine des Apotres nel quartiere di Mvolyè. Benedetto XVI si sofferma a lungo sulla figura di San Giuseppe, di cui domani la Chiesa ne ricorda la festa. "Lui è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre - ha affermato - e tuttavia esercita una paternità piena e intera. San Giuseppe ha dato prova di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l'esilio e la povertà che ne deriva".
Il Papa ha invitato dunque i sacerdoti a vivere "questa paternità nel vostro ministero quotidiano". "Vivendo questa amicizia profonda con Cristo - ha detto - troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo". E poi l'invito: "Possiate rimanere fedeli alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro vescovo e davanti all'assemblea. Abbiate il coraggio di offrire un 'sì' generoso a Cristo".
Rivolgendosi a chi è impegnato nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, il Papa ha esortato a "rivolgere lo sguardo a San Giuseppe" che "ci insegna che si può amare senza possedere". "Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle perone più umili - ha concluso - soprattutto mediante l'esercizio delle opere di misericordia, l'educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna e in tanti altri modi".

© Copyright Apcom


Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 19:07
Dal blog di Lella...

INCONTRO CON I VESCOVI DEL CAMERUN PRESSO LA CHIESA CHRIST-ROI IN TSINGA DI YAOUNDÉ

Lasciato il Palais de l’Unité, alle ore 11.00 il Papa si reca in auto alla chiesa Christ-Roi nel quartiere Tsinga di Yaoundé dove ha luogo l’incontro con i Vescovi del Camerun.
Introdotto dall’indirizzo di saluto del Presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, l’Arcivescovo di Yaoundé, S.E. Mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO AI VESCOVI DEL CAMERUN

Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell’Episcopato,

Questo incontro con i Pastori della Chiesa Cattolica in Camerun rappresenta per me una grande gioia. Ringrazio il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, Arcivescovo di Yaoundé, per le amabili parole che mi ha rivolto in vostro nome. E’ la terza volta che il vostro Paese accoglie il Successore di Pietro e, come voi sapete, il motivo del mio viaggio è innanzitutto un’occasione per incontrare i popoli dell’amato continente africano ed anche per consegnare ai Presidenti delle Conferenze episcopali l'Instrumentum laboris della seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per Africa.
E questa mattina, attraverso di voi, desidero salutare con affetto tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali. La grazia e la pace del Signore Gesù siano con ciascuno di voi, con tutte le famiglie del vostro grande e bel paese, con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti e le persone impegnate con voi nell’annuncio del Vangelo!

In questo anno consacrato a san Paolo, è particolarmente opportuno ricordarci l’urgente necessità di annunciare il Vangelo a tutti. Questo mandato, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo rimane una priorità, giacché numerose sono ancora le persone che attendono il messaggio di speranza e di amore che permetterà loro di «conoscere la libertà, la gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21). Con voi dunque, cari Fratelli, sono le vostre comunità diocesane tutte intere ad essere inviate per rendere testimonianza del Vangelo.
Il Concilio Vaticano II ha ricordato con forza che « l’attività missionaria attiene profondamente alla natura stessa della Chiesa » (Ad gentes, n. 6). Per guidare e stimolare il Popolo di Dio in questo compito, i Pastori devono essere essi stessi, prima di tutto, annunciatori della fede per condurre a Cristo nuovi discepoli. L’annuncio del Vangelo è proprio del Vescovo che, come san Paolo, può così proclamare : « Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perchè è una necessità che mi si impone : guai a me se non annunciassi il Vangelo ! » (1 Co 9, 16). Per confermare e purificare la loro fede, i fedeli hanno bisogno della parola del loro Vescovo, che è il catechista per eccellenza.

Per assumere questa missione d’evangelizzazione e rispondere alle molteplici sfide della vita del mondo d’oggi, al di là degli incontri istituzionali, che sono in sé necessari, una profonda comunione deve unire tra loro i Pastori della Chiesa.

La qualità dei lavori della vostra Conferenza episcopale, che ben riflettono la vita della Chiesa e della società camerunense, vi permettono di cercare insieme risposte alle molteplici sfide che la Chiesa deve affrontare e, attraverso le vostre Lettere pastorali, di offrire direttive comuni per aiutare i fedeli nella loro vita ecclesiale e sociale. La viva coscienza della dimensione collegiale del vostro ministero deve indurvi a realizzare fra di voi le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dall’accoglienza e dalla stima reciproca alle diverse attenzioni di carità e di collaborazione concreta (cf. Pastores gregis, n. 59). Una effettiva collaborazione fra le diocesi, segnatamente per una migliore ripartizione dei sacerdoti nel vostro Paese, non può che favorire le relazioni di solidarietà fraterna con le Chiese diocesane più povere così che l’annuncio del Vangelo non soffra della mancanza di ministri.

Questa solidarietà apostolica si estenderà con generosità ai bisogni delle altre Chiese locali, e in particolare a quelle del vostro continente. Così apparirà chiaramente che le vostre comunità cristiane, sull’esempio di quelle che vi hanno recato il messaggio evangelico, sono esse stesse una Chiesa missionaria.

Cari Fratelli nell’Episcopato, il Vescovo e i suoi sacerdoti sono chiamati a intrattenere relazioni di particolare comunione, fondate sulla loro speciale partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, anche se in gradi diversi.

La qualità dei legami con i sacerdoti che sono i vostri principali e irrinunciabili collaboratori, è di fondamentale importanza. Vedendo nel loro Vescovo un padre e un fratello che li ama, che li ascolta e li rinfranca nelle prove, che presta un'attenzione privilegiata al loro benessere umano e materiale, essi sono incoraggiati a farsi carico pienamente del loro ministero in modo degno ed efficace.

L’esempio e la parola del loro Vescovo è per essi un aiuto prezioso per dare alla loro vita spirituale e sacramentale un posto centrale nel loro ministero, incoraggiandoli a scoprire e vivere sempre più profondamente che lo specifico del pastore è essere innanzitutto un uomo di preghiera e che la vita spirituale e sacramentale è una straordinaria ricchezza dataci per noi stessi e per il bene del popolo che ci è affidato.

Vi invito infine a vigilare con particolare attenzione alla fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate agli impegni assunti con la loro ordinazione e con il loro ingresso nella vita religiosa, affinché perseverino nella loro vocazione, per una maggiore santità della Chiesa e per la gloria di Dio.

L'autenticità della loro testimonianza richiede che non vi sia alcuna differenza tra ciò che essi insegnano e ciò che vivono ogni giorno.

Nelle vostre diocesi numerosi giovani si presentano come candidati al sacerdozio. Possiamo solo ringraziarne il Signore.

E’ essenziale che sia fatto un serio discernimento. A tal fine, vi incoraggio, nonostante le difficoltà organizzative a livello pastorale che talvolta possono sorgere, a dare priorità alla selezione e alla formazione dei formatori e dei direttori spirituali. Essi devono avere una conoscenza personale e approfondita dei candidati al sacerdozio ed essere in grado di garantire loro una formazione umana, spirituale e pastorale solida che faccia di loro degli uomini maturi ed equilibrati, ben preparati per la vita sacerdotale. Il vostro costante sostegno fraterno aiuterà i formatori a svolgere il loro compito con l'amore per la Chiesa e la sua missione.

A partire dalle origini della fede cristiana in Camerun, i religiosi e le religiose hanno dato un contributo fondamentale alla vita della Chiesa. Con voi rendo grazie a Dio e mi compiaccio dello sviluppo della vita consacrata tra le figlie e i figli del vostro Paese, che ha consentito anche la manifestazione dei carismi propri dell’Africa nelle comunità sorte nel vostro Paese. In effetti, la professione dei consigli evangelici è come « un segno che può e deve attirare efficacemente i membri della Chiesa a compiere generosamente i doveri della vocazione cristiana » (Lumen gentium, n. 44).
Nel vostro servizio per annunciare il Vangelo, siete anche aiutati da altri operatori pastorali, in particolare i catechisti. Nell'evangelizzazione del vostro Paese essi hanno avuto e hanno ancora un ruolo determinante. Li ringrazio per la loro generosità e la fedeltà al servizio della Chiesa. Per loro tramite si realizza una autentica inculturazione della fede.

La loro formazione umana, spirituale e dottrinale è dunque essenziale. Il sostegno materiale, morale e spirituale che i pastori offrono per compiere la loro missione in buone condizioni di vita e di lavoro, è anche per essi l'espressione del riconoscimento da parte della Chiesa dell'importanza del loro impegno per l'annuncio e lo sviluppo della fede.

Tra le numerose sfide che incontrate nella vostra responsabilità di Pastori, vi preoccupa particolarmente la situazione della famiglia. Le difficoltà dovute in special modo all’impatto della modernità e della secolarizzazione con la società tradizionale, vi incitano a preservare con determinazione i valori fondamentali della famiglia africana, facendo della sua evangelizzazione in modo approfondito una delle principali priorità. Nel promuovere la pastorale familiare, voi vi impegnate a favorire una migliore comprensione della natura, della dignità e del ruolo del matrimonio che richiede un amore indissolubile e stabile.

La liturgia occupa un posto importante nella manifestazione della fede delle vostre comunità. Di solito queste celebrazioni ecclesiali sono festose e gioiose, esprimendo il fervore dei fedeli, felici di essere insieme, come Chiesa, per lodare il Signore.

E’ dunque essenziale che la gioia così manifestata non sia un ostacolo ma un mezzo per entrare in dialogo e in comunione con Dio, per mezzo di una effettiva interiorizzazione delle strutture e della parole di cui si compone la liturgia, in modo che essa traduca ciò che succede nel cuore dei credenti, in unione reale con tutti i partecipanti. La dignità delle celebrazioni, soprattutto quando esse si svolgono con un grande afflusso di partecipanti, ne è un segno eloquente.

Lo sviluppo di sette e movimenti esoterici come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa, come anche del relativismo, sono un invito pressante a dare un rinnovato impulso alla formazione dei giovani e degli adulti, in particolare nel mondo universitario e intellettuale. In questa prospettiva, desidero incoraggiare e lodare gli sforzi dell'Istituto cattolico di Yaoundé e di tutte le istituzioni ecclesiali la cui missione è quella di rendere accessibile e comprensibile a tutti la Parola di Dio e l'insegnamento della Chiesa. Sono lieto di sapere che nel vostro paese i fedeli laici sono sempre più impegnati nella vita della Chiesa e della società. Le numerose associazioni di laici che fioriscono nelle vostre diocesi, sono segno dell’opera dello Spirito nel cuore dei fedeli e contribuiscono a un nuovo annuncio del Vangelo. Sono lieto di evidenziare e incoraggiare la partecipazione attiva delle associazioni femminili nei vari settori della missione della Chiesa, dimostrando così una reale consapevolezza della dignità della donna e la sua specifica vocazione nella comunità ecclesiale e nella società. Ringrazio Dio per l’impegno che i laici da voi manifestano di contribuire al futuro della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana e i doni dello Spirito Santo, essi sono abilitati e impegnati ad annunciare il Vangelo servendo la persona e la società. Vi incoraggio pertanto vivamente a perseverare nei vostri sforzi per dare ad essi una solida formazione cristiana che consenta loro di « svolgere pienamente il loro ruolo di animazione cristiana dell’ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che è una caratteristica della vocazione secolare del laicato ». (Ecclesia in Africa, n. 75).

Nel contesto della globalizzazione in cui ci troviamo, la Chiesa ha un interesse particolare per le persone più bisognose. La missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l'esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli.

In questo modo, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti. D'altra parte, la Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, vuole risvegliare la speranza nei cuori degli esclusi. E’ anche dovere dei cristiani, specialmente dei laici che hanno responsabilità sociali, economiche, politiche, di lasciarsi guidare dalla dottrina sociale della Chiesa, per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto in cui ciascuno potrà vivere dignitosamente.

Signor Cardinale, cari Fratelli nell’Episcopato, al termine del nostro incontro vorrei esprimere ancora la mia gioia di trovarmi nel vostro paese e di incontrare il popolo camerunense. Vi ringrazio per la vostra accoglienza calorosa, segno della generosa ospitalità africana. La Vergine Maria, Nostra Signora d’Africa, vegli su tutte le vostre comunità diocesane. A Lei affido l’intero popolo camerunense, e di gran cuore vi imparto una affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli delle vostre diocesi.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 19:22
Dal blog di Lella...

Celebrazione dei Vespri nella Basilica Marie Reine des Apôtres nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé - Discorso del Santo Padre (18 marzo 2009)

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,
cari Sacerdoti e Diaconi,
cari fratelli e sorelle consacrati,
cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,
cari fratelli e sorelle!

Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.

Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina.Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: “Uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore “del mondo visibile ed invisibile”. E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale.

Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: “Servite il Signore che è Cristo!” (Col 3,24).

Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore “fedele e saggio”. L’abbinamento dei due aggettivi non è casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.

Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti “abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv 15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti.

Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. “Chi governa sia come colui che serve” (Lc 22,26), dice Gesù.

Ed Origene scriveva: “Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe” (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).

Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un “sì” generoso a Cristo!

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico.

San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei.

Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni.

La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come “il missionario dai piedi nudi” ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli.Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato.

Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione.

La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un “uomo giusto” (Mt 1,19) perché la sua esistenza è “aggiustata” sulla parola di Dio.

La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’.

Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui.

E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere “la fede e la verità” nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.

Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, “Regina degli Apostoli”, perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

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Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 21:47
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Il Papa, l’Aids e la malafede di Francia, Germania e Ue

di Riccardo Bonacina

Sull’aereo che portava il Papa nel suo primo viaggio in Africa, rispondendo ad una domanda di un giornalista di France 2 sulla posizione della Chiesa riguardo il problema della lotta all’Aids e dell’uso dei preservativi, Benedetto XVI, come è ormai noto, ha detto: «non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano con cure gratuite, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici, al contrario, il rischio è di aumentare il problema». Insomma, una posizione meno rozza e tranchant di quelle restituite dai media (per chi fosse interessato alla trascrizione dell’intervista e farsi un’idea un po’ più personale qui il testo).

Per chiunque abbia un minimo di conoscenza, e magari anche un minimo di frequentazione con i progetti di sviluppo e di assistenza sanitaria in Africa, queste parole di Ratzinger appaiono più di buon senso che di dottrina.

È vero, verissimo, che la pubblicità e la distribuzione di preservativi sia nelle megalopoli che nelle zone rurali hanno spesso creato più problemi che benefici e che sono servite più alla coscienza e ai budget delle agenzie occidentali piuttosto che alle popolazioni. Per battere l’Aids, come ha giustamento detto il Papa occorrono tre cose: a) “cure gratis”, b) “una umanizzazione della sessualità” a tutela soprattutto delle donne, c) “una vera amicizia per le persone sofferenti capace di sacrificio”. Insomma, una sfida un pochino più complessa della distribuzione del preservativo, e mi si permetta, un pochino più giusta, ragionevole, umana.

Certo, vallo a spiegare alle Big Farma, ballo a spiegare ai pagatissimi funzionari delle Agenzie Onu. Per loro (anche per i loro tour nella prostituzione locale) il preservativo basta e avanza, altro che cure gratis, altro che educazione alla sessualità (entra la quale sta l’uso del preservativo, altrimenti davvro fa danni), altro che amicizia a rischio della propria vita. Il Papa, del resto, se ne intende, tante sono le esperienze laiche o religiose che hanno vinto la battaglia con armi più complesse del preservativo. Dice con giusto orgoglio Benedetto XVI: «Penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà». Basti pensare al progetto Dream della Comunità di Sant’Egidio in Mozambico e ai suoi sorprendenti risultati.

Ora, i media, come sempre, hanno fatto di questo dibattitto serio, carne da macello e attaccare il Papa è ormai di moda in un continente che (povero illuso Giovanni Paolo II) si voleva richiamasse le proprie origini cristiane! Tutto questo, però, sta nell’ordine carnevalesco dell’oggi. Ma c’è qualcosa che è davvero intollerabile. Sono le prese di posizione dì governi come Francia e Germania e della Commissione europea. Questo no, risparmiatecelo, ministri e ministre arrossite un po’ di vergogna!

A salire in cattedra, oggi, infatti sono stati gli stessi responsabili di aver fatto carta straccia di tutti gli impegni internazionali da qualche decennio in qua, e questo fa un po’ incazzare.

A parlare sono gli stessi rappresentanti di quei Governi che non arrossiscono neppure per aver fallito e tradito l’obiettivo fissato alla conferenza di Barcellona del 2002 di destinare agli aiuti internazionali lo 0,33 per cento del PIL entro il 2006. Di aver tradito e fallito un ulteriore impegno, quello preso nel 2004 sugli Obiettivi del Millennio, quando firmarono e controfirmarono con inchiostro invisibile l’impegno di innalzare la quota per la cooperazione allo sviluppo sino allo 0,7% del Pil entro il 2015. E ancora la promessa del G8 2005 che disse di voler raddoppiare l’aiuto all’Africa.Come stiano le cose l’ha spiegato poche settimane fa l’Ocse.
”I Paesi donatori avevano promesso di aumentare i loro finanziamenti di circa 50 miliardi di dollari l’anno entro il 2015, a partire dai livelli del 2004 - si legge nel Development Co-operation Report pubblicato in questi giorni - ma le proiezioni dell’OCSE rispetto alla destinazione di questi fondi registrano una caduta complessiva di circa 30 miliardi ciascun anno. I numeri sono abbastanza eloquenti: tra 2006 e 2007 i Paesi di area Ocse hanno diminuito il loro impegno dell’8,5% a livello internazionale, con punte del 29,6% per il Regno unito, del 29,8% del Giappone, del 16,4% della Francia e dell’11,2% del Belgio. Anche l’Italia perde terreno: meno 2,6% nel 2007”. La crisi economica e finanziaria, infatti, ”che si e’ scatenata nei Paesi sviluppati, e sta ora colpendo i Paesi in via di sviluppo: riducendo i loro livelli di crescita e di commercio, di abbassare i margini che ricevono per risorse naturali, abbassando l’impatto delle rimesse e bloccando i flussi di investimenti verso i loro Paesi. Considerati i differenti gruppi di Paesi, l’Europa risulta aver aumentato i propri contributi del 3,1%, ma i Paesi europei membri dell’Ocse hanno ridotto il proprio impegno del 6,6%, i G7 del 13,9% mentre i Paesi non G7 hanno aumentato i loro contributi del 5,4%.
L’OCSE/DAC chiede inoltre che Donatori E beneficiari coordinino meglio le loro attivita’, considerato che oggi circa 225 realta’ bilaterali e 242 multilaterali finanziano oltre 35mila attivita’ ogni anno. Il Rapporto rivela infatti che per 24 Paesi poveri meno di 15 donatori nel loro complesso assicurano meno del 10% degli interventi totali in quei Paesi, mentre il resto e’ ancora piu’ frammentato con grande dispendio di sforzi e di costi di transazione.

Da Vita.blog


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Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 21:54
Dal blog di Lella...

Le parole pronunciate dal Papa sulla prevenzione dell'Aids e dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede

A proposito degli echi suscitati da alcune parole del Papa sul problema dell’Aids, la Sala Stampa precisa che il Santo Padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’Aids: primo, con l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità e con il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia; due: con la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’Aids e nel metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative ed istituzioni sanitarie; tre: con l’assistenza umana e spirituale dei malati di Aids come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa.

Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’Aids e tutelare la vita umana.

Di seguito, le Parole del Santo Padre pronunciate sull'aereo:

- Domanda del giornalista della televisione francese France 2:

Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? Très Saint Père, Vous serait-il possible de répondre en français à cette question?

- Risposta del Santo Padre: Lei parla bene italiano … Dunque, io direi il contrario. Penso che la realtà più efficiente, più presente, più forte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto – visibilmente e anche invisibilmente – per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, tante altre cose, a tutte le suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi. Sono necessari, ma se non c’è l’anima che li sappia applicare, non aiutano, non si può superare con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema.
La soluzione può essere solo una duplice: la prima, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, una disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, per essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano con sé anche veri e visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dargli forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.

© Copyright Radio Vaticana


Da notare che hanno riportato la parola "preservativi" al posto di "profilattici" come avevano riprodotto nella versione precedente non rispettando le essatte parole del Papa
! [SM=g7841]

Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 22:02
Dal blog di Lella...

PAPA: CHIESA CONDANNA PROMISCUITA' PRIMA CHE IL CONDOM

(AGI) - CdV, 18 mar.

(di Salvatore Izzo)

"La posizione della Chiesa in merito all'uso del preservativo come prevenzione dell'Aids non e' cambiata, resta quella di Giovanni Paolo II", ha dichiarato oggi a Yaounde' il portavoce vaticano padre Federico Lombardi sommerso dalla marea montante delle polemiche suscitate dalla frettolosa sintesi diffusa ieri dai media circa le affermazioni fatte dal Papa sull'aereo che lo portava in Africa.

E non e' bastato nemmeno diffondere il testo integrale delle dichiarazioni, che escludevano qualunque nuova condanna e si basavano sull'esperienza concreta dei cattolici impegnati nella lotta all'Aids.

Le stesse polemiche, d'altra parte, avevano accolto Giovanni Paolo II a San Francisco nel 1987 e anche in quel caso non ci fu nulla da fare per frenarle, nemmeno basto' che il Papa abbracciasse e baciasse un bambino malato di Aids.

Fuori dal Centro visitato dal Pontefice polacco, infatti, gay e lesbiche vestiti da "papa" distribuivano ai passanti condom come se fossero caramelle . Ed e' proprio questo che la Chiesa non vuole fare: distribuire essa stessa i condom. Un rifiuto che davvero non ne impedisce il libero commercio, anche in Africa. Quanto a verificare se questi mezzi poi sono sufficienti a sradicare l'Aids, il problema resta aperto: i medici cattolici, ad esempio, sono d'accordo con Ratzinger e dicono di no, avvertendo anzi che il preservativo puo' dare una falsa sicurezza e quindi ha l'effetto di favorire i rapporti promiscui e finisce cosi' con il favorire anche la diffusione dell'Aids.
Il problema riguardo al "no" ribadito dal Vaticano pero' e' un altro, sganciato dagli effetti pratici del condom sull'epidemia: la Chiesa ha legittimamente una sua dottrina morale sul matrimonio, unico luogo lecito per i rapporti sessuali e distribuire i condom confliggerebbe proprio con il Catechismo che al numero 2391 recita: "l'unione carnale e' moralmente legittima solo quando tra l'uomo e la donna si sia instaurata una comunita' di vita definitiva. L'amore umano non ammette la prova". Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro". Inoltre, per il Catechismo (come per l'enciclica 'Humanae Vitae' e il Magistero convergente degli ultimi Papi) "e' intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione". Sono questi in realta' i termini del problema.
Alcuni teologi, vescovi e cardinali, tra i quali l'ex arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, hanno pero' sostenuto la liceita' del preservativo se utilizzato all'interno di una coppia sposata, quando uno dei coniugi e' sieropositivo e non puo' sottrarsi ai doveri coniugali. Ed e' solo cosa fare in questa disgraziata eventualita' che divide dalla dottrina tradizionale quanti nella Chiesa sostengono la linea piu' morbida. "Non sara' la Chiesa a promuovere il profilattico" e su questo punto non possono esserci posizioni diverse, ha assicurato qualche mese fa il card. Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, sottolineando che fuori dal matrimonio i rapporti sessuali non sono mai leciti e dunque il problema non e' il condom. Su questo, ha rilevato, c'e' identita' di vedute anche con l'ex arcivescovo di Milano. Quanto all'ipotesi di un pronunciamento in merito, che sembra ora piuttosto improbabile, Barragan ha spiegato: "abbiamo chiesto ai nostri teologi ed ai nostri consultori di condurre uno studio su questo punto specifico, se cioe' all' interno di una coppia di cui uno dei due coniugi si e' infettato puo' essere lecito l'uso. Al termine daremo le nostre conclusioni al Papa e lui dira' cosa e' piu' conveniente fare". Il cardinale messicano ha raccontato che anche Giovanni Paolo II era preoccupato della piaga dell'Aids ma ha precisato che sara' ora Benedetto XVI a decidere se pronunciarsi su questo problema, con un documento che, dunque, "potrebbe esserci come non esserci".

© Copyright (AGI)



Speriamo sia chiara di una volta per tutte quale è la posizione della Chiesa! Basta di polemiche!!! Non abbiamo scoperto l'America proprio adesso! Questa posizione, nessuno dei massmedia me lo può negare, era arcisaputa già da anni e non c'è da meravigliarsi! Allora piantatela di attaccare il Papaaaaa!!!!!!! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 22:07
Dal blog di Lella...

COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE , 18.03.2009

A proposito degli echi suscitati da alcune parole del Papa sul problema dell’Aids, il Direttore della Sala Stampa, P. Federico Lombardi, precisa che il Santo Padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’Aids: primo, con l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità e con il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia; due: con la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’Aids e nel metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative ed istituzioni sanitarie; tre: con l’assistenza umana e spirituale dei malati di Aids come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa.

Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’Aids e tutelare la vita umana.

Bollettino Ufficiale Santa Sede


Proporrei un corso accelerato di catechismo per giornalisti. Forse così impareranno a mettersi in testa gli insegnamenti della Chiesa e anche risparmiarci le polemiche!
[SM=g8468]

Paparatzifan
00mercoledì 18 marzo 2009 22:14
Dal blog di Lella...

Dichoso el que no se escandalice

José Luis Restán

De nuevo la Iglesia en el ojo del huracán. De nuevo la palabra del Papa manipulada, entresacada, reducida y convertida en diana para una ferocidad inusitada, a la que se suman como mansos borregos, los que como Sarkozy sólo están preocupados de seguir la corriente de los mass media y de no salirse un milímetro de la pétrea dictadura del politically correct.

Volando hacia África Benedicto XVI ha tenido la osadía de decir que el mero reparto masivo de preservativos no es la forma adecuada de afrontar el flagelo del SIDA.
Lo dice el hombre que es cabeza de una comunidad cuyos miembros se entregan cada día en miles de puestos avanzados, en la línea de fuego más expuesto de esta terrible guerra contra el SIDA. Lo dice con la cabeza y el corazón de quien hace suyo ese sufrimiento indecible que diezma poblaciones enteras, que siembre de huérfanos las calles, que hunde en la desesperación a millones de hombres y mujeres. Terrible flagelo, lo ha llamado. Y lo sabe porque le informan cada día sus obispos, sus voluntarios, sus curas y monjas que pagan un alto precio en esta lucha. Y lo sabe porque aunque lo machaquen como si fuera un déspota alienígena, el suyo es un corazón de pastor que se conmueve con cada dolor de los suyos y de los que están lejanos, y la suya es una razón que vuela más alto de cuanto soñaron los que le atacan con una saña implacable.
Si falta el alma, dijo el Papa en el avión, si los africanos no se ayudan en este trabajo de cambio profundo de la mente, de la libertad y de las relaciones comunitarias, los eslóganes publicitarios servirán de muy poco, y la distribución masiva de preservativos corre el riesgo de aumentar el problema. ¡Gran escándalo! El dogma del sexo seguro puesto en cuarentena por el anciano Papa. ¿Acaso no es una evidencia sangrante el fracaso de las inversiones mil millonarias en preservativos para frenar la expansión de la pandemia? ¿Acaso no ha sido Uganda el único país que ha cosechado éxitos notables al basar su política en una vuelta a las tradiciones familiares de fidelidad matrimonial y estabilidad familiar? ¿Acaso esa difusión masiva acompañada de frívolos mensajes no contribuye a crear un clima que desactiva todo esfuerzo educativo, todo intento de cambio de mentalidad? Todo esto es pecado decirlo. En el inmenso talk-show en que se ha convertido nuestro mundo todo está permitido, todo se recibe bien, todo menos que el obispo de Roma se atreva a decir una palabra cabal, llena de razón y de corazón, que contradiga a los gurús del relativismo, empeñados en desmontar pieza a pieza el maravilloso significado de la sexualidad humana.
El mensaje del Papa hunde sus raíces en la experiencia milenaria de la Iglesia, en su presencia activa en el lecho del dolor, no como los diseñadores de campañas que trabajan en sus despachos enmoquetados muy lejos de la tragedia. Hay que humanizar la sexualidad, ha subrayado un Benedicto XVI atento a cada pliegue de la crisis cultural en curso. Porque en la desarticulación de la sexualidad humana, en su descomposición incoada por la ideología del 68 nos jugamos mucho, y parece que la Iglesia es la única que atesora coraje suficiente para denunciarlo, y lo que puede parecer más sorprendente, sabiduría humana para reconstruirla en su pleno significado.
Hace falta ese cambio cultural y espiritual que ignoran culpablemente las campañas de las grandes agencias internacionales. Y hace falta indispensablemente el amor-caridad junto a los enfermos, los moribundos y los huérfanos. Ese que ha plasmado a lo largo de los siglos toda una cultura de la atención sanitaria de inequívoca raíz cristiana. África sabe mucho de ese amor, y por eso ha acogido con su fe llena de alegría al Papa. Sorda a las polémicas cargadas de rencor que llegan desde occidente como un mar embravecido. Allí se ve cada día que esta fe vivida es portadora de esperanza invencible, fuerza para construir la historia.


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+PetaloNero+
00giovedì 19 marzo 2009 01:39
Discorso del Papa nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé



YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì sera da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé, la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi, i diaconi, i membri di movimenti ecclesiali e con i rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.








* * *

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,

Cari Sacerdoti e Diaconi, cari fratelli e sorelle consacrati,

Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.

Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina.

Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: "Uno solo è il Padre vostro" (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore "del mondo visibile ed invisibile". E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: "Servite il Signore che è Cristo!" (Col 3,24).

Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore "fedele e saggio". L’abbinamento dei due aggettivi non casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.

Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti "abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento" (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. "Chi governa sia come colui che serve" (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: "Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe" (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).

Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un "sì" generoso a Cristo!

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come "il missionario dai piedi nudi" ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli.

Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un "uomo giusto" (Mt 1,19) perché la sua esistenza è "aggiustata" sulla parola di Dio.

La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’. Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere "la fede e la verità" nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.

Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, "Regina degli Apostoli", perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]







Benedetto XVI: San Giuseppe, modello di amore senza possesso


Per i Vespri nella Basilica “Marie Reine des Apôtres” di Yaoundé





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- “San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere” e resta il modello per tutti coloro che vogliono “votare la loro esistenza a Cristo”.

E' quanto ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì sera, presiedendo nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, diaconi, membri di movimenti ecclesiali e rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.

San Giuseppe, ha ricordato, “ha vissuto alla luce del mistero dell'Incarnazione” e “non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore”.

Per questo, “ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza”.

“In lui non c’è separazione tra fede e azione”, ha riconosciuto il Papa, perché “la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni”.

“Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un 'uomo giusto' perché la sua esistenza è 'aggiustata' sulla parola di Dio”.

Pur non essendo il padre biologico di Gesù, San Giuseppe esercita “una paternità piena e intera”.

Essere padre, ha spiegato il Pontefice, “è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita”, e in questo senso ha dato prova “di una grande dedizione”.

“Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio”, ha ricordato, sottolineando che “la sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo”.

“Si tratta di non essere un servitore mediocre – ha aggiunto –, ma di essere un servitore 'fedele e saggio'”.

Il Papa ha spiegato che l’abbinamento dei due aggettivi non è casuale, perché “suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida”.

“San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei”.

Gesù Cristo, “radice” del sacerdozio

Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a vivere la paternità espressa da Giuseppe nel loro ministero quotidiano, ribadendo che la “radice” del sacerdozio è Gesù Cristo.

“La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere”, ha affermato.

“Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore”.

Il Pontefice ha quindi auspicato che la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale Cristo ci viene donato, sia il centro della vita sacerdotale, diventando quindi anche quello della missione ecclesiale.

Accanto a questo, ha invitato i presbiteri a coltivare una “relazione confidente” con i loro Vescovi, esortandoli a “rispondere con fedeltà alla chiamata” del Signore e a non lasciarsi turbare “dalle difficoltà del cammino”.

“Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un 'sì' generoso a Cristo!”, ha esclamato.

San Giuseppe, uomo ecumenico

Benedetto XVI ha quindi ricordato che la vita di San Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, “è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa”.

Il suo esempio, infatti, “sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia’”.

“Questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida”, ha riconosciuto il Papa parlando ai “cari amici membri delle altre confessioni cristiane”.

Questa sfida “ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre”.

Nell'Anno Paolino, il Pontefice ha quindi invitato a rivolgersi all'“Apostolo delle Nazioni” “per ascoltare e apprendere la fede e la verità nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo”.






Il Papa ai Vescovi del Camerun: evangelizzazione e riconciliazione


Durante la Messa con l'episcopato presso la chiesa di Cristo Re a Yaoundé





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Nel suo secondo giorno in Camerun, durante un incontro tenutosi presso la chiesa di Cristo Re a Yaoundé, Benedetto XVI ha rivolto un forte invito ai Vescovi a lavorare intensamente per annunciare il Vangelo e superare i particolarismi delle diverse etnie.

Nel contesto attuale della globalizzazione, ha detto infatti il Papa, “la missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l'esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli”.

“In questo modo – ha aggiunto –, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti”.

Nel suo discorso di benvenuto al Papa, poco prima, il Presidente della Conferenza episcopale del Camerun, l'Acivescovo di Yaoundé, monsignor Simon-Victor Tonyé Bakot, si era detto cosciente che “la riconciliazione, la giustizia e la pace non cadono dal cielo come la manna”.

“Occorre ricercarle assiduamente presso colui che può concederle, cioè Dio stesso, ascoltando la sua voce, obbedendo ai suoi comandi”, aveva afferamto.

In particolare, il presule aveva evidenziato come non basti “guidare il popolo e metterlo al lavoro; bisogna che il Vescovo stesso si metta all'opera, che evangelizzi prima ancora di organizzare l'evangelizzazione nella sua diocesi”.

E proprio sull'annuncio del Vangelo, ha posto l'accento il Papa nell'esortare la Chiesa del Camerun a guardare al modello di San Paolo, in quest’anno giubilare dedicato all’Apostolo delle Genti. Il Vescovo – ha detto il Papa – è infatti il “catechista per eccellenza”, e il suo compito è di “confermare e purificare” la fede delle anime che gli sono state affidate.

Per fare ciò, Benedetto XVI ha sottolineato la necessità di una profonda unione tra i Pastori e una solidarietà apostolica che coinvolga catechisti e sacerdoti.

Non è mancato poi un invito a rivolgere particolare attenzione ai giovani che si avvicinano al sacerdozio: “E’ essenziale che sia fatto un serio discernimento. A tal fine, vi incoraggio, nonostante le difficoltà organizzative a livello pastorale che talvolta possono sorgere, a dare priorità alla selezione e alla formazione dei formatori e dei direttori spirituali”.

“Essi – ha continuato – devono avere una conoscenza personale e approfondita dei candidati al sacerdozio ed essere in grado di garantire loro una formazione umana, spirituale e pastorale solida che faccia di loro degli uomini maturi ed equilibrati, ben preparati per la vita sacerdotale”.

E poi l’esortazione del Santo Padre ai Vescovi del Camerun a seguire con particolare dedizione pastorale le famiglie, i cui valori fondamentali, come il matrimonio e l’amore indissolubile e stabile, vengono messi a rischio dalla modernità e della secolarizzazione.

Quindi ancora un appello ad essere vicini ai giovani esposti a numerosi pericoli: “Lo sviluppo di sette e movimenti esoterici come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa, come anche del relativismo, sono un invito pressante a dare un rinnovato impulso alla formazione dei giovani e degli adulti, in particolare nel mondo universitario e intellettuale.”

“In questa prospettiva, desidero incoraggiare e lodare gli sforzi dell'Istituto cattolico di Yaoundé e di tutte le istituzioni ecclesiali la cui missione è quella di rendere accessibile e comprensibile a tutti la Parola di Dio e l'insegnamento della Chiesa”, ha affermato.

Il Papa ha quindi rivolto parole di apprezzamento per i laici del Paese, impegnati nella vita della Chiesa e della società, ringraziando l’associazionismo femminile per il suo contributo alla promozione della dignità della donna.

Benedetto XVI aveva iniziato la sua seconda giornata in terra africana con la celebrazione della messa nella cappella della Nunziatura apostolica a Yaoundé. Successivamente si era recato in visita di cortesia al palazzo del Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya.

Si è trattato di un incontro cordiale, durato circa trenta minuti, al termine del quale ha avuto luogo lo scambio dei doni: Benedetto XVI ha donato un mosaico raffigurante san Paolo, mentre il Presidente ha ricambiato con un quadro raffigurante il Papa in barca mentre visita l'Africa e una statua di san Giuseppe per ricordare l'onomastico del Pontefice.






La Santa Sede spiega le parole del Papa sul preservativo


Padre Lombardi risponde alle polemiche da parte di Governi e istituzioni





YAOUNDÉ, mercoledì, 18 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il portavoce vaticano ha commentato le parole di Benedetto XVI sulla lotta contro l'Aids, spiegando che per la Chiesa la priorità è rappresentata da istruzione, ricerca e assistenza umana e spirituale, e non dall'opzione esclusiva per la diffusione dei preservativi.

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi S.I., ha pubblicato questo mercoledì pomeriggio da Yaoundé un comunicato in risposta alle interpretazioni da parte dei mezzi di comunicazione e anche dei rappresentanti governativi della risposta che il Papa ha dato questo martedì ai giornalisti durante il viaggio da Roma al Camerun.

Un editoriale pubblicato dal direttore de “L'Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, constata che alcuni media hanno ridotto il messaggio del Papa sull'Aids “a un solo aspetto - per di più stravolto in chiave polemica -, e cioè quello dei metodi per contrastare la diffusione dell'Aids”.

Basandosi sulla versione parziale che i mezzi informativi hanno offerto questo martedì delle parole del Papa nel suo riferimento all'Aids e al preservativo, rappresentanti di istituzioni e Governi hanno rivolto dure accuse al Santo Padre.

A questo proposito, il direttore esecutivo del Fondo Mondiale per la Lotta all'Aids, Michel Kazatchkine, ha espresso la sua “profonda indignazione” e ha chiesto al Papa di ritrattare le sue affermazioni, considerate “inaccettabili” perché rappresentano “una negazione dell'epidemia”.

Anche esponenti dei Governi di Francia e Belgio hanno attaccato con violenza il Santo Padre.

Padre Lombardi ha precisato nella sua dichiarazione “che il Santo Padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel combattere il terribile flagello dell’Aids”.

Il portavoce ha spiegato le tre linee d'azione nella lotta contro l'Aids esposte da Benedetto XVI, in primo luogo “l’educazione alla responsabilità delle persone nell’uso della sessualità” e “il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia”.

In secondo luogo, ha citato “la ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’Aids” e il “metterle a disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative ed istituzioni sanitarie”; infine, “l’assistenza umana e spirituale dei malati di Aids come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel cuore della Chiesa”.

“Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore, più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’Aids e tutelare la vita umana”, ha concluso padre Lombardi.





Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:41
Dal blog di Lella...

Papa in Africa, affondo sull’Aids:
«Cure gratis, inutili i preservativi»


«Castità e sesso responsabile per frenare l’epidemia di Hiv»

FRANCA GIANSOLDATI

dal nostro inviato

YAOUNDE’ (Camerun)

Contro l’Aids castità e sesso responsabile (tra coniugi). Altro che preservativi. Lo dice da subito, prima di arrivare a destinazione, quasi volesse sgombrare il campo da possibili equivoci: Papa Ratzinger va in Africa non per illustrare un programma politico o dare ricette economiche ma per fornire indirizzi di carattere morale e infondere speranza. Violenza, povertà, corruzione, sistemi ingiusti e fame. Nella lunga lista non poteva mancare l’Aids, malattia che colpisce 22 milioni di persone secondo i dati dell’Unaids.
Interpellato su quanto sta facendo la Chiesa per fermare il flagello, il Papa prima rompe un tabù e pronuncia la parola «preservativo» (termine curiosamente censurato dall’entourage papale nel testo delle domande ammesse in conferenza stampa), poi lo mette al bando definitivamente. L’uso non è ammesso anche in qualità di male minore, non rientra tra gli strumenti tollerati dalla morale cattolica, nemmeno per limitare il contagio. Il ragionamento papale fa leva sul concetto di «umanizzazione della sessualità», intesa come atto sessuale responsabile, frutto di amore, rigorosamente all’interno del matrimonio. Con orgoglio rivendica poi l’operato delle strutture cattoliche presenti in Africa, l’insegnamento verso i giovani, l’attività dei dispensari dei missionari, gli ospedali dei camilliani, i programmi di recupero di Sant’Egidio, l’azione generosa delle suore nei confronti degli orfani. In molti paesi, ha detto alla vigilia del viaggio il cardinale Cordes, se non ci fossero le strutture cattoliche il loro sistema sanitario non esisterebbe nemmeno. A rafforzare la convinzione del Papa - castità e sesso responsabile - c’è l’esempio ugandese: il governo ha adottato un programma che insegna, tra i metodi preventivi, anche l’astinenza e i risultati avrebbero dimostrato che il tasso di infezione è sceso progressivamente dal 9,51% all’8,30%. «Non si puo superare il problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, se non c’è l'anima che sa applicare un aiuto. Non si può superare il problema con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano i problemi». La soluzione, prosegue Benedetto XVI, non può essere che duplice, da una parte promuovendo un «nuovo modo di comportarsi, e secondo una vera amicizia con le persone sofferenti». Davanti al presidente camerunense Paul Biya, in carica da oltre vent’anni, alla guida di uno dei governi più corrotti dell’Africa, nella lista nera di Amnesty International per le persecuzioni agli oppositori politici, va tutto il suo apprezzamento per le cure gratuite garantite ai malati anche se sorvola sul resto definendo il Camerun - sic et simpliciter - Terra di speranza, terra di vita, terra di pace, terra di giovani.

L’impatto con l’Africa è forte, fortissimo. A cominciare dai diciotto chilometri di gente allegramente assiepata ai bordi del nastro asfaltato a due corsie che dall’aeroporto in mezzo al nulla alla periferia di Yaoundè si snoda fino al centro della capitale camerunense.

Avranno di certo impressionato il Papa teologo, tanto era l’entusiasmo e la vitalità. Uno spettacolo. Dai bambini in ciabatte e magliette che sventolavano fazzoletti, ai muscolosi suonatori di bonghi, alle giovani madri coi neonati aggrappati al collo, e poi comitive di ragazze con curiosi abiti souvenir, con su stampato lo stemma di Benedetto XVI. L’associazione camerunense SunAids ha subito manifestato imbarazzo per una presa di posizione che sicuramente non mancherà di fare discutere anche all’interno della Chiesa, dato che da qualche anno era in corso un dibattito tra teologi sulla possibilità di usare il profilattico all’interno di una coppia in cui uno dei due coniugi è infetto. Questioni di carattere dottrinale hanno indotto il Papa teologo a fare chiarezza e far calare definitivamente la pietra tombale.

© Copyright Il Messaggero, 18 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:43
Dal blog di Lella...

Viaggio in Africa Il Santo Padre promuove una «umanizzazione della sessualità»

Gian Guido Vecchi

«La Chiesa combatte l'Aids I preservativi non servono»

Il Papa in Camerun: «La mia solitudine? Un mito» Benedetto XVI accolto da canti e balli di decine di migliaia di fedeli, con vesti multicolori, bandierine e striscioni

DAL NOSTRO INVIATO
YAOUNDÉ (Camerun)

In aereo la domanda l'aveva messo di buon umore. «Se mi sento solo? Per la verità devo un po' ridere su questo mito della mia solitudine». Benedetto XVI parlava dei suoi incontri quotidiani, compresi i vecchi «compagni di messa» che sono appena andati a trovarlo.

Ancora non poteva immaginare l'accoglienza della gente di Yaoundé, decine di migliaia di sorrisi, vesti multicolori, canti, balli, bandierine e striscioni tra il verde lucente dei banani e la terra rossa lungo i trenta chilometri di strada dalla foresta intorno all'aeroporto al centro della capitale del Camerun: «Amo la gioia della fede in Africa».

Il Papa inizia il suo primo viaggio nel continente dimenticato e affronta subito, con l'abituale chiarezza, alcuni temi chiave: parla dell'Aids e dice che «non si può superare questo dramma con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema », cita come esempio «particolarmente encomiabile » che nel Paese «i malati siano curati gratis» dal centro cardinal Léger, scandisce che «di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all'abuso di potere un cristiano non può mai rimanere in silenzio ».
Sbarcato dall'aereo, accolto dai vescovi e dal presidente camerunense Paul Biya — al potere da 27 anni e onnipresente accanto al Papa nei giganteschi fotomontaggi sparsi a Yaoundé — Benedetto XVI sillaba la denuncia più severa: «Il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù ».
Miseria, ingiustizie, malattie. In un Paese dove un quarto degli abitanti è cattolico— e lungo la strada sfilano innumerevoli gli studenti delle scuole della Chiesa » Benedetto XVI elogia la «terra di vita, dove il governo parla in difesa dei diritti dei non nati». Sull'aereo, sereno e imperturbabile davanti ai giornalisti, il pontefice ha risposto all'obiezione di chi considera la posizione della Chiesa sull'Aids non realistica e inefficace: «Io direi il contrario. Penso che la realtà più efficiente, più presente e forte nella lotta contro Aids sia proprio la Chiesa cattolica con le sue strutture, i suoi movimenti e comunità». Perché il dramma non si supera «con i soldi, pure necessari». Ci vuole «l'anima». E i preservativi «peggiorano il problema». La soluzione non può che essere «l'umanizzazione della sessualità e una vera amicizia verso le persone sofferenti».
Benedetto XVI, e prima il cardinale Ratzinger, del resto lo ha sempre detto. Che lo ripeta ora, in un continente che conta il 67% dei sieropositivi del pianeta, può anche essere un messaggio a quei religiosi cattolici che i preservativi, da queste parti, li distribuiscono come «male minore». In generale, il Papa invita la Chiesa alla «purificazione dei cuori». Vale anche per l'economia e la crisi più che mai nefasta in Africa: Benedetto XVI conferma di aver rinviato l'enciclica sociale, ormai pronta, proprio quando «si è scatenata la crisi e abbiamo ripreso il testo» per rispondere in base «agli elementi reali». L'etica, ripete, deve stare «dentro» l'economia e «rinnovarla » dall'interno. Solidarietà, redistribuzione della ricchezza. «Spero che l'enciclica possa essere un elemento di aiuto, una forza per superare la crisi».

© Copyright Corriere della sera, 18 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:46
Dal blog di Lella...

Lessico vaticano

Quella parola che nessuno aveva usato prima di lui

DAL NOSTRO INVIATO

YAOUNDÉ (Camerun)

Nella domanda dei giornalisti, pudicamente, erano rimasti innominati.

Ma Benedetto XVI, grande teologo e docente, conosce il valore delle parole e ama chiamare le cose con il loro nome.

Così l'ha detto lui, e la parola è risuonata in coda al Boeing 777: «Preservativi». Scatenando ricerche negli archivi e domande agli storici vaticani: ma un Papa li aveva mai nominati? A quanto pare no. Magari «profilattici», ma preservativi no. Lo stesso Benedetto XVI, nel 2006, aveva ripetuto lo stesso concetto dicendo che «la fedeltà nel matrimonio e l'astinenza al di fuori di esso sono la via migliore per evitare l'infezione e fermare la diffusione dell'Aids», lasciando il resto sottinteso.
G. G. V.

© Copyright Corriere della sera, 18 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:51
Dal blog di Lella...

Sui preservativi l’Europa attacca il Papa

di Andrea Tornielli

nostro inviato a Yaoundé (Camerun)

Benedetto XVI continua il suo viaggio in Africa, tra le folle che lo accolgono calorosamente e non appare nemmeno sfiorato dall’onda di polemiche che in varie parti del mondo sono state sollevate contro le parole da lui pronunciate sulla distribuzione di preservativi per combattere l’Aids, che non risolve «ma anzi aumenta il problema».
Durissime le reazioni che arrivano dalla Francia, dove il portavoce del ministro degli Esteri Eric Chevallier ha definito le parole papali «una minaccia per le politiche che regolano la sanità pubblica»; mentre il ministro della Sanità belga, Laurette Onkelinx, ritiene che esse «potrebbero distruggere anni di prevenzione e informazione e mettere in pericolo molte vite umane». Reazioni durissime anche in Germania: perfino il vescovo ausiliario di Amburgo ha criticato il Papa, mentre il ministro della Sanità Ulla Schmidt, e quello della cooperazione hanno firmato un comunicato nel quale si afferma che «i preservativi salvano la vita, tanto in Europa quanto in altri continenti». Il governo spagnolo ha deciso di inviare in Africa un milione di condom per combattere l’Aids e la Ue non ha nascosto le sue perplessità: uno dei portavoce ha dichiarato che la Commissione «sostiene da sempre l’uso dei preservativi. La loro funzione, come uno degli elementi contro la diffusione dell’Hiv, è nota». Il New York Times, nell’editoriale di ieri, giudica «irresponsabile accusare i preservativi di peggiorare l'epidemia», quando le autorità sanitarie internazionali li considerano invece «una componente fondamentale di ogni programma di prevenzione». «Ma questo Papa vive nel XXI secolo?», si è chiesto invece Alain Fogue, portavoce del «Mocpat», gruppo camerunense che promuove campagne per il trattamento dei malati. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, a domanda sull'argomento, ha risposto invece con un «no comment».
Si sono levate anche voci in difesa delle parole di Ratzinger. «Se noi guardiamo alle iniziative, in termini di sanità pubblica, intraprese in Africa negli ultimi 20 anni - ha detto a Radio Vaticana il responsabile scientifico del progetto “Dream” della comunità di Sant'Egidio, il medico epidemiologo Leonardo Palombi -, noi osserviamo che il largo impiego di condom non ha contenuto l’epidemia e non la sta contenendo in Europa orientale». E il professor Gianluigi Gigli, già presidente della Federazione mondiale dei medici cattolici, ha portato l’esempio della Thailandia: «Dove ci si è basati solo sul profilattico, non si è ottenuto nulla: la situazione è addirittura peggiorata. Se ci si limita solo al profilattico, il rischio si moltiplica a causa del moltiplicarsi dei rapporti che la falsa sicurezza stessa genera».
Di fronte alla valanga di polemiche, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi ha dichiarato che «Benedetto XVI ha posto l’enfasi sull’educazione e la responsabilità. Non ci si può aspettare che questo viaggio cambi la posizione della Chiesa cattolica nei confronti del problema dell’Aids». «La Chiesa – ha aggiunto - concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore».

Intanto il sito Internet della Santa Sede ha pubblicato ieri la trascrizione ufficiale dell’intervista concessa dal Papa ai giornalisti sull’aereo.

Il passaggio sui preservativi è stato ritoccato e le parole «ma anzi aumenta il problema» sono diventate «il rischio è di aumentare il problema». In un primo momento era stata corretta anche la parola «preservativi», trasformata nel più asettico «profilattici». Ma poi, il testo è stato cambiato di nuovo tornando a «preservativi», anche se soltanto nella versione pubblicata sul bollettino online della Sala Stampa, e non in quello presente nella sezione dello stesso sito vaticano dedicata ai viaggi papali. Segno di una certa fibrillazione che l’ennesimo caso mediatico ha provocato.

© Copyright Il Giornale, 19 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 18:55
Dal blog di Lella...

E nella fornace di Yaoundé Benedetto richiama ai valori

di Redazione

Il lussuosissimo palazzo presidenziale, circondato da fontane, decorato con fiori fatti venire appositamente dalla Francia e imbandierato con i colori vaticani bianco e giallo, contrasta con la povertà di casupole e baracche che spuntano sulla distesa di terra rossa nei quartieri vicini. Anche soltanto percorrendo in auto le vie di Yaoundé Benedetto XVI è messo di fronte alle contraddizioni di un Paese che rispecchiano quelle dell’intero Continente.

Il Papa è contento, nonostante l’umidità all’80 per cento renda il clima soffocante.

La visita di cortesia al presidente Paul Biya – da vari decenni incontrastato signore del Camerun – avviene nella residenza di rappresentanza, una costruzione moderna in cima a una collina che sovrasta la capitale.
Non ci sono discorsi ufficiali, ma un incontro a tu per tu di mezz’ora, mentre il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone vede il primo ministro e discute con lui del futuro accordo tra Stato e Chiesa. Poi, i saluti e lo scambio dei doni: Benedetto XVI offre un mosaico raffigurante San Paolo, e riceve un calice in oro e avorio, un statua di San Giuseppe (proprio oggi, 19 marzo, ricorre l’onomastico del Pontefice) e un quadro naïf che lo raffigura mentre benedice il Continente africano. La «première dame» e i figli del Presidente si inginocchiano a turno davanti a Ratzinger, che prima di lasciare il palazzo appoggia la mano sulla criniera di un leone impagliato messo a guardia della sala.

Le strade sono piene di gente che canta, balla, sventola bandiere.

Poco distante dalla residenza presidenziale c’è la parrocchia di Cristo re in Tsinga, dove il Papa è atteso da una trentina di vescovi camerunensi. Il caldo, dentro, è davvero opprimente. Nel discorso Benedetto XVI invita i vescovi a vigilare «con particolare attenzione sulla fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate», perché «l’autenticità della loro testimonianza richiede che non vi sia alcuna differenza tra ciò che essi insegnano e ciò che vivono ogni giorno».
Non è soltanto un richiamo al rispetto della castità, problema peraltro presente, ma si può estendere anche alla piaga della corruzione, che non risparmia il mondo ecclesiale, come dimostra lo scandalo dei fondi per la costruzione della cattedrale di Yaoundé, misteriosamente scomparsi.
In una terra dove il ballo e il canto sono connaturati e accompagnano i momenti essenziali della vita, il Papa spende una parola anche sulla liturgia: «Di solito le celebrazioni ecclesiali sono festose e gioiose, esprimendo il fervore dei fedeli, felici di essere insieme, come Chiesa, per lodare il Signore. È dunque essenziale che la gioia così manifestata non sia un ostacolo ma un mezzo per entrare in dialogo e in comunione con Dio». Un richiamo all’importanza della dignità della liturgia.
Nel pomeriggio Ratzinger ha presieduto i vespri nella basilica di Maria Regina degli apostoli, mentre in città si scatenava un improvviso acquazzone. Nell’omelia ha parlato della figura di San Giuseppe, che «ci insegna che si può amare senza possedere».
AnTor

© Copyright Il Giornale, 19 marzo 2009


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 19:55
Dal blog di Lella...

Viaggio Nella sua missione in Camerun Benedetto XVI raccoglie una grande partecipazione popolare: oltre un milione di persone nei 29 km di percorso dall'aeroporto alla Nunziatura

Il Papa: «In Africa non c'è ateismo»

Un monito ai vescovi: «Vi invito a vigilare su fedeltà e coerenza dei sacerdoti»

Giuseppe De Carli

YAOUNDÉ

Del chiasso mediatico internazionale sul preservativo che, a parere di Papa Benedetto XVI, non sconfiggerebbe l'AIDS, a Yaoundé, capitale del Camerun, non giunge neppure l'eco. La parola, usata per la prima volta da un Papa, non accende né la fantasia né le discussioni.

Il viaggio apostolico africano viaggia su due binari ben distinti: quello che è raccontato dalla stampa, specie occidentale, e quello che invece è recepito dalle popolazioni locali attraverso il «passaparola», l'organizzazione capillare delle diocesi, l'impegno dei missionari. «Un trionfo», titola il principale quotidiano del Paese.

E in tv scorrono continuamente le immagini dell'accoglienza a Benedetto XVI. Più di un milione di persone sui 29 chilometri dall'aeroporto alla nunziatura.
Degli undici viaggi internazionali del Papa bavarese questo, in terra d'Africa, si pone in cima quanto a successo, ad entusiasmo popolari. Perché tanta gente? «Perché il Papa - risponde padre Marco Pagani del Pime, da 17 anni missionario in Camerun - viene non per fare affari o incontrarsi con la classe dirigente. Viene per loro. Per la gente, i bambini, le famiglie, gli ammalati, i preti e i catechisti. Viene per guardare in faccia gli africani. Questo la gente lo avverte e fa festa. Il Papa tornerà a Roma e avrà con sé tutto il popolo camerunense». La seconda giornata della visita si snoda fra il palazzo presidenziale, l'incontro coi vescovi, la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i diaconi. Quasi lo spartiacque fra due Paesi diversi. Quello della politica e della società civile, e quello religioso. Dalle difficoltà di sempre ai motivi di speranza. Basti un dato: nell'elenco Onu dei Paesi più corrotti del mondo, nel 2007, il Camerun appariva al primo posto. Secondo gli esperti è un «costume», una mentalità che vede nell'esercizio del potere la possibilità di elargire favori. Le piaghe che flagellano questa nazione compaiono in un lungo «cahiers de doléances» stilato dai vescovi: sottosviluppo cronico, mancanza di iniziative imprenditoriali, appropriazioni indebite, furti di bestiame, spreco delle risorse pubbliche, concorsi truccati, giovani disoccupati. Una "vita cristiana che non riflette la fede in Cristo, principe della giustizia e della verità". C'e' l'aspetto socio-politico e c'è quello religioso. «In Africa, grazie a Dio - ha detto il Papa - non si pone il problema dell'ateismo». La gente crede «naturalmente» a Dio, sia che appartenga alla Chiesa cattolica o protestante, che all'Islam (è il 20% della popolazione), che alle religioni tradizionali. «Vi invito a vigilare - ammonisce però Benedetto XVI incontrando i vescovi - alla fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate perché perseverino nella loro vocazione e siano coerenti con gli impegni assunti». La missione del vescovo non è solo quella di vigilare, lui è «il principale difensore dei poveri; è suo dovere promuovere e favorire l'esercizio della carità, manifestazione dell'amore del Signore per i piccoli».

© Copyright Il Tempo, 19 marzo 2009


+PetaloNero+
00giovedì 19 marzo 2009 19:59
VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009) (V)


INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ MUSULMANA DEL CAMERUN, ALLA NUNZIATURA APOSTOLICA DI YAOUNDÉ


Alle ore 8.45 di questa mattina, nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé il Santo Padre Benedetto XVI incontra alcuni rappresentanti della Comunità Musulmana del Camerun.

Dopo il saluto del Signor Amadou Bello, Presidente dell’ACIC (Association Culturelle Islamique du Cameroun), il Papa pronuncia il saluto che riportiamo di seguito:

SALUTO DEL SANTO PADRE

Cari amici,

lieto dell’occasione che mi è data di incontrare rappresentanti della comunità musulmana in Camerun, esprimo il mio cordiale ringraziamento al Signor Amadou Bello per le gentili parole rivoltemi in vostro nome. Il nostro incontro è un segno eloquente del desiderio che condividiamo con tutti gli uomini di buona volontà – in Camerun, nell’intera Africa e in tutto il mondo – di cercare occasioni per scambiare idee su come la religione rechi un contributo essenziale alla nostra comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza pacifica di tutti i membri della famiglia umana. Iniziative in Camerun come l’Association Camerounaise pour le Dialogue Interreligieux mostrano come tale dialogo accresca la comprensione vicendevole e sostenga la formazione di un ordine politico stabile e giusto.

Il Camerun è la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello stesso ambiente. I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nel nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr Lumen gentium, 16). Insieme essi offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i malati e i sofferenti. Plasmando la loro vita secondo queste virtù e insegnandole ai giovani, cristiani e musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene comune.

Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è "ragionevole" va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il "ragionevole" include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.

Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.

Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore. Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune!

Con questi sentimenti esprimo ancora una volta la mia gratitudine per questa promettente opportunità di incontrarvi durante la mia visita in Camerun. Ringrazio Dio onnipotente per le benedizioni che Egli ha concesso a voi e ai vostri concittadini e prego affinché i legami che uniscono cristiani e musulmani nella loro profonda venerazione dell’unico Dio continuino a rafforzarsi così che essi diventino un riflesso più chiaro della saggezza dell’Onnipotente che illumina i cuori dell’intera umanità.



Il Papa ai musulmani del Camerun: "credere in Dio lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso"


Prima della Santa Messa, il Papa si è incontrato questa mattina con i rappresentanti della Comunità musulmana del Camerun, che ha ricevuto nella nunziatura apostolica. Benedetto XVI si è detto grato di questa “promettente opportunità” per rafforzare “i legami che uniscono cristiani e musulmani”, che credono "in un Dio unico e misericordioso". Il servizio di Roberta Gisotti.

“Un segno eloquente” questo incontro - ha esordito Benedetto XVI – del desiderio di “scambiare idee su come la religione rechi un contributo essenziale” alla “comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza pacifica”. Ha incoraggiato il Papa il dialogo interreligioso, che accresce e sostiene “la formazione di un ordine politico stabile e duraturo”, laddove in Camerun migliaia di cristiani e musulmani, “spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede” negli stessi luoghi, testimoniando i “valori fondamentali”: famiglia, responsabilità sociale, obbedienza a Dio, amore verso i malati e i sofferenti:

“My friends, I believe a particularly urgent task of religion today...
“Amici - ha detto il Papa - io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana”, “un dono di Dio”, “elevata mediante la rivelazione e la fede”. E dunque “credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso”.

Da qui l’invito “ad aiutare gli altri” a “scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo”, perché tutti “possono scoprire che ciò che è ‘ragionevole’ va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare”; ‘ragionevole’ che “include anche la bontà” e “un vivere onesto”.

“This insight prompts us to seek all that is right and just..."
Una visione che induce “a cercare – ha spiegato il Santo Padre – tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri”.

"Genuine religion thus widens the horizon of human..."
“Una religione genuina” allarga infatti “l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana”. Per questo “rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione – ha ribadito Benedetto XVI - si sostengono a vicenda”.

Prima del commiato l’auspicio che “l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace , la giustizia e il bene comune!”




VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN CAMERUN E ANGOLA (17-23 MARZO 2009) (VI)


Alle ore 10 di questa mattina, nello Stadio "Amadou Ahidjo" di Yaoundé, nella ricorrenza liturgica di San Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, e sua festa onomastica, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di omaggio dell’Arcivescovo di Yaoundé, S.E. Mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, dopo la proclamazione del Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell’Episcopato,
Cari fratelli e sorelle,

sia lodato Gesù Cristo che ci riunisce oggi in questo stadio, per farci penetrare più profondamente nella sua vita! Gesù Cristo ci raduna in questo giorno in cui la Chiesa, qui in Camerun come su tutta la terra, celebra la festa di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria. Inizio coll’augurare un’ottima festa a tutti coloro che, come me, hanno ricevuto la grazia di portare questo bel nome, e chiedo a san Giuseppe di accordare loro una protezione speciale guidandoli verso il Signore Gesù Cristo tutti i giorni della loro vita. Saluto anche le parrocchie, le scuole e i collegi, le istituzioni che portano il nome di san Giuseppe. Ringrazio Mons. Tonyé Bakot, Arcivescovo di Yaoundé, per le sue gentili parole e rivolgo un saluto caloroso ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali d’Africa venuti a Yaoundé in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Come possiamo entrare nella grazia specifica di questo giorno? Fra poco, a conclusione della Messa, la liturgia ci svelerà il punto culminane della nostra meditazione, quando ci farà dire: «Con questo nutrimento ricevuto al tuo altare, Signore, hai saziato la tua famiglia, gioiosa di festeggiare san Giuseppe; custodiscila sempre sotto la tua protezione e veglia sui doni che le hai fatto». Voi vedete, noi domandiamo al Signore di custodire sempre la Chiesa sotto la sua costante protezione – ed Egli lo fa! – esattamente come Giuseppe ha protetto la sua famiglia e ha vegliato sui primi anni di Gesù bambino.

Il Vangelo ce lo ha appena ricordato. L’Angelo gli aveva detto: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20), ed è esattamente quello che ha fatto: «Egli fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24). Perché san Matteo ha tenuto ad annotare questa fedeltà alle parole ricevute dal messaggero di Dio, se non per invitarci ad imitare questa fedeltà piena di amore?

La prima lettura che abbiamo appena ascoltato non parla esplicitamente di san Giuseppe, ma ci dice molte cose su di lui. Il profeta Natan va a dire a Davide su ordine del Signore stesso: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te» (2 Sam 7,12). Davide deve accettare di morire senza vedere la realizzazione di questa promessa, che si tradurrà in atto «quando i suoi giorni saranno compiuti» ed egli dormirà «con i suoi padri». Così vediamo che uno dei desideri più cari dell’uomo, quello di essere testimone della fecondità della sua azione, non è sempre esaudito da Dio. Penso a quelli tra di voi che sono padri e madri di famiglia: essi hanno molto legittimamente il desiderio di dare il meglio di loro stessi ai lori figli e li vogliono vedere pervenire ad una vera riuscita. Tuttavia, non bisogna ingannarsi circa questa riuscita: quello che Dio domanda a Davide è di darGli fiducia. Davide stesso non vedrà il suo successore, colui che avrà un trono «stabile per sempre» (2 Sam 7,16), perché questo successore annunciato sotto il velo della profezia è Gesù. Davide si fida di Dio. Ugualmente, Giuseppe dà fiducia a Dio quando ascolta il suo messaggero, il suo Angelo, dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente.

E voi, cari padri e madri di famiglia che mi ascoltate, avete fiducia in Dio che fa di voi i padri e le madri dei suoi figli di adozione? Accettate che Egli possa contare su di voi per trasmettere ai vostri figli i valori umani e spirituali che avete ricevuto e che li faranno vivere nell’amore e nel rispetto del suo santo Nome? In questo nostro tempo, in cui tante persone senza scrupoli cercano di imporre il regno del denaro disprezzando i più indigenti, voi dovete essere molto attenti. L’Africa in generale, ed il Camerun in particolare, sono in pericolo se non riconoscono il Vero Autore della Vita! Fratelli e sorelle del Camerun e dell’Africa, voi che avete ricevuto da Dio tante qualità umane, abbiate cura delle vostre anime! Non lasciatevi affascinare da false glorie e da falsi ideali. Credete, si, continuate a credere che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è il solo ad amarvi come voi vi aspettate, che è il solo a potervi soddisfare, a poter dare stabilità alle vostre vite. Cristo è l’unico cammino di Vita.

Solo Dio poteva dare a Giuseppe la forza di far credito all’angelo. Solo Dio vi darà, cari fratelli e sorelle che siete sposati, la forza di educare la vostra famiglia come Egli vuole. DomandateGlielo! Dio ama che gli si domandi quello che egli vuole donare. DomandateGli la grazia di un amore vero e sempre più fedele, ad immagine del Suo amore. Come dice magnificamente il Salmo: il suo «amore è edificato per sempre, [la sua] fedeltà è più stabile dei cieli» (Sal 88, 3).

Come in altri continenti, oggi la famiglia conosce effettivamente, nel vostro Paese e nel resto dell’Africa, un periodo difficile che la sua fedeltà a Dio l’aiuterà a superare. Alcuni valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso –ahimè! - senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore. Messo a confronto col fenomeno di una urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso.

Vi è dunque una fatalità, una evoluzione inevitabile? Certo che no! Più che mai dobbiamo «sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18). Voglio rendere omaggio qui con ammirazione e riconoscenza al notevole lavoro realizzato da innumerevoli associazioni che incoraggiano la vita di fede e la pratica della carità. Ne siano calorosamente ringraziate! Trovino nella Parola di Dio un ritorno di forza per portare felicemente a termine tutti i loro progetti al servizio di uno sviluppo integrale della persona umana in Africa, e in particolare in Camerun.

La prima priorità consisterà nel ridare senso all’accoglienza della vita come dono di Dio. Per la Sacra Scrittura come per la migliore saggezza del vostro continente, l’arrivo di un bambino è una grazia, una benedizione di Dio. L’umanità è oggi invitata a modificare il suo sguardo: in effetti, ogni essere umano, anche il più piccolo e povero, è creato «ad immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27). Egli deve vivere! La morte non deve prevalere sulla vita! La morte non avrà mai l’ultima parola!

Figli e figlie d’Africa, non abbiate paura di credere, di sperare e di amare, non abbiate paura di dire che Gesù è la Via, la Verità e la Vita, che soltanto da lui possiamo essere salvati. San Paolo è l’autore ispirato che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa per essere il «maestro dei pagani» (1Tm 2,7), quando ci dice che Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (Rm 4,18).

«Saldo nella speranza contro ogni speranza»: non è una magnifica definizione del cristiano? L’Africa è chiamata alla speranza attraverso voi e in voi! Col Cristo Gesù, che ha calpestato il suolo africano, l’Africa può diventare il continente della speranza. Noi tutti siamo membri dei popoli che Dio ha dato come discendenza ad Abramo. Ciascuno e ciascuna di noi è pensato, voluto e amato da Dio. Ciascuno e ciascuna di noi ha il suo ruolo da giocare nel piano di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Se lo scoraggiamento vi invade, pensate alla fede di Giuseppe; se l’inquietudine vi prende, pensate alla speranza di Giuseppe, discendente di Abramo che sperava contro ogni speranza; se vi prende l’avversione o l’odio, pensate all’amore di Giuseppe, che fu il primo uomo a scoprire il volto umano di Dio nella persona del bambino concepito dallo Spirito santo nel seno della Vergine Maria. Benediciamo Cristo per essersi fatto così vicino a noi e rendiamoGli grazie di averci dato Giuseppe come esempio e modello dell’amore verso di Lui.

Cari fratelli e sorelle, ve lo dico di nuovo di tutto cuore: come Giuseppe, non temete di prendere Maria con voi, cioè non temete di amare la Chiesa. Maria, Madre della Chiesa, vi insegnerà a seguire i suoi Pastori, ad amare i vostri Vescovi, i vostri preti, i vostri diaconi e i vostri catechisti, e a seguire ciò che vi insegnano e a pregare secondo le loro intenzioni. Voi che siete sposati, guardate l’amore di Giuseppe per Maria e per Gesù; voi che vi preparate al matrimonio, rispettate la vostra o il vostro futuro coniuge come fece Giuseppe; voi che vi siete consacrati a Dio nel celibato, riflettete sull’insegnamento della Chiesa nostra Madre: «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità soni i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (Redemptoris custos, 20).

Vorrei ancora rivolgere una esortazione particolare ai padri di famiglia, poiché san Giuseppe è il loro modello. San Giuseppe rivela il mistero della paternità di Dio su Cristo e su ciascuno di noi. E’ lui che può loro insegnare il segreto della loro stessa paternità, egli che ha vegliato sul Figlio dell’Uomo. Anche ogni padre riceve da Dio i suoi figli creati ad immagine e somiglianza di Lui. San Giuseppe è stato lo sposo di Maria. Anche ogni padre di famiglia si vede confidare il mistero della donna attraverso la sua propria sposa. Come San Giuseppe, cari padri di famiglia, rispettate e amate la vostra sposa, e guidate i vostri bambini, con amore e con la vostra presenza accorta, verso Dio dove essi devono essere (cfr Lc 2,49).

Infine, a tutti i giovani che sono qui, io rivolgo parole di amicizia e di incoraggiamento: davanti alle difficoltà della vita, mantenete il coraggio! La vostra esistenza ha un prezzo infinito agli occhi di Dio. Lasciatevi prendere da Cristo, accettate di donarGli il vostro amore e, perché no, voi stessi nel sacerdozio o nella vita consacrata! È il più alto servizio. Ai bambini che non hanno più un padre o che vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e abusati, e arruolati a forza in gruppi militari che imperversano in alcuni Paesi, vorrei dire: Dio vi ama, non vi dimentica e san Giuseppe vi protegge! Invocatelo con fiducia.

Dio vi benedica e vi custodisca tutti! Vi dia la grazia di avanzare verso di Lui con fedeltà. Doni alle vostre vite la stabilità per raccogliere il frutto che Egli si aspetta da voi! Vi renda testimoni del suo amore, qui, in Camerun, e fino alle estremità della terra! Io Lo prego con fervore di farvi gustare la gioia di appartenerGli, ora e per i secoli dei secoli. Amen.


CONSEGNA DELL’INSTRUMENTUM LABORIS

Cari Fratelli nell’Episcopato,
Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali e regionali
di Africa e Madagascar,

Quattordici anni or sono, il 14 settembre 1995, il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, sottoscriveva proprio qui a Yaoundé l’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa. Oggi è per me motivo di grande gioia consegnarvi il testo dell’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre. Il tema di questa Assemblea "La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace", che si colloca in continuità con l’Ecclesia in Africa, è di grande importanza per la vita del vostro Continente, ma anche per la vita della Chiesa universale. L’Instrumentum laboris è frutto della vostra riflessione, a partire dagli aspetti rilevanti della situazione ecclesiale e sociale del vostro Paese d’origine. Esso rispecchia il grande dinamismo della Chiesa in Africa, ma anche le sfide con le quali essa deve confrontarsi e che il Sinodo dovrà esaminare. Stasera avrò l’opportunità di intrattenermi più a lungo su questo tema con i membri del Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Auspico vivamente che i lavori dell’Assemblea sinodale contribuiscano a far crescere la speranza per i vostri popoli e per il Continente nel suo insieme; contribuiscano ad infondere a ciascuna delle vostre Chiese locali un nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma formulato dal Signore stesso: "Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo" (Mt 5, 13.14). Che la gioia della Chiesa in Africa di celebrare questo Sinodo sia anche la gioia della Chiesa universale!

Invito voi, cari fratelli e sorelle che vi stringete intorno ai vostri Vescovi, rappresentando in qualche modo la Chiesa presente tra tutti i popoli dell’Africa, ad accogliere nella vostra preghiera la preparazione e lo svolgimento di questo grande avvenimento ecclesiale. Che la Regina della Pace sostenga gli sforzi di tutti gli "artigiani" di riconciliazione, di giustizia e di pace! Nostra Signora d’Africa, prega per noi!


Conclusa la celebrazione allo stadio "Amadou Ahidjo", il Papa rientra alla Nunziatura Apostolica di Yaoundé dove pranza con i membri del Seguito.



L'Africa sia continente di speranza attento a quanti cercano di imporre il regno del denaro disprezzando i più indigenti: così il Papa nello Stadio di Yaoundé


Il Papa esorta la Chiesa africana ad essere speranza viva per il suo popolo. Nella Messa allo Stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé, la consegna dell’Istrumentum laboris per il secondo Sinodo per l’Africa. Nel giorno di San Giuseppe, onomastico del Pontefice, nell’omelia l’esortazione del Papa a guardare allo sposo di Maria per rinnovare pienamente la fiducia a Dio. Il servizio da Yaoundé del nostro inviato Giancarlo La Vella:

(canti)


Nella festività di San Giuseppe, suo onomastico, il Papa chiama a raccolta la Chiesa africana, esortandola ad un compito fondamentale per il futuro del continente: essere guida per le famiglie, i giovani, gli uomini e le donne, per superare le difficoltà e riscoprire una vita ricca di speranza alla luce del Vangelo. Dall’altare, posto all’interno dello Stadio di Yaoundé, accolto sotto una abitazione tradizionale africana, all’interno di una grande piroga, Benedetto XVI, davanti a circa 50 mila fedeli, ha presieduto la Santa Messa, momento culminante di questo suo viaggio e ha consegnato ai vescovi africani l’Instrumentum laboris, il documento che ispirerà il secondo Sinodo dei vescovi per l’Africa.

(musica)


E l’Africa con le sue tradizioni, le sue musiche, i suoi colori ha abbracciato con affetto il Papa, che ha ancora una volta preso a modello la figura di San Giuseppe, colui che ha dato a Dio la grande prova di fedeltà davanti allo stupefacente annuncio del divino concepimento, da parte di Maria, del Figlio di Dio. E il Santo Padre esorta i padri e le madri camerunensi ad accogliere con fiducia in Dio il ruolo di essere genitori dei suoi figli di adozione, per trasmettere loro i valori umani e spirituali, vivendo nell’amore e nel rispetto del suo santo Nome:

“At a time when so many people have no qualms...
In questo nostro tempo, in cui tante persone senza scrupoli cercano di imporre il regno del denaro, disprezzando i più indigenti, voi dovete essere molto attenti. L’Africa in generale, ed il Camerun in particolare, sono in pericolo se non riconoscono il Vero Autore della Vita! Fratelli e sorelle del Camerun, voi che avete ricevuto da Dio tante qualità umane, abbiate cura delle vostre anime! Non lasciatevi affascinare da false glorie e da falsi ideali. Credete, sì, continuate a credere che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è il solo ad amarvi come voi vi aspettate, che è il solo a potervi soddisfare, a poter dare stabilità alle vostre vite. Cristo è l’unico cammino di Vita”.

Come a Giuseppe, ha continuato il Papa, solo Dio vi darà la forza di educare la vostra famiglia come Egli vuole. Basta domandarglieLo, chiederGli la grazia di un amore vero e sempre più fedele. Solo così la famiglia può essere realmente difesa:

“Just as on other continents, the family today...
Come in altri continenti, oggi la famiglia conosce effettivamente, nel vostro Paese e nel resto dell'Africa, un periodo difficile... Alcuni valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più, come prima, la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati... La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso - ahimè! - senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore”.

La ricetta a tutto questo, per Benedetto XVI, è non lasciare la speranza: “sperare contro ogni speranza”, non avere paura di credere, di amare, di dire che Gesù è la Via, la Verità e la Vita, la vera salvezza. Così, dice ancora il Papa, l’Africa può diventare il continente della speranza, se non avrà il timore, come Giuseppe con Maria, di amare la Chiesa. Un appello, questo che il Pontefice rivolge agli sposati, ma anche ai consacrati, ricordando loro che la verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono la dignità del matrimonio, ma la presuppongono: matrimonio e verginità solo il solo modo di vivere il mistero dell’Alleanza di Dio col suo popolo. Infine, parole di incoraggiamento per i giovani, che Benedetto XVI spinge a donarsi a Cristo, anche fino al sacerdozio e alla vita consacrata. Un messaggio di comprensione e affetto del Santo Padre anche ai più piccoli, aggrediti dalla sofferenza e dalla disperazione quando non hanno più una famiglia:

“Aux enfants qui n’ont plus de père...
Ai bambini che non hanno più un padre o che vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e abusati, e arruolati a forza in gruppi militari che imperversano in alcuni Paesi, vorrei dire: Dio vi ama, non vi dimentica e San Giuseppe vi protegge! Invocatelo con fiducia”.

Poi la consegna, ad ognuno dei vescovi presenti, dell’Istrumentum laboris per il Sinodo, che il Papa ha definito come documento che rispecchia il grande dinamismo dell’Africa, ma che illustra anche le sfide con cui l’assise dovrà confrontarsi. Auspico – ha concluso il Papa – che i lavori dell’Assembla sinodale contribuiscano a far crescere la speranza nei popoli africani, continuando ad infondere a ciascuna Chiesa locale nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: “Voi siete il sale della Terra…Voi siete la luce del mondo”, ha concluso il Papa.




La Preghiera di Benedetto XVI alla Vergine Protettrice dell'Africa


Durante la Messa nello Stadio di Yaoundé è stata declamata la preghiera alla Beata Vergine Maria Protettrice dell’Africa composta dal Papa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris. Ecco il testo integrale.


“Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu hai dato al mondo la vera Luce, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e per mezzo della grazia dello Spirito Santo ci hai dato la fonte della nostra riconciliazione e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.


Madre di tenerezza e di saggezza, mostraci Gesù, il Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro cammino di conversione affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria in tutti i luoghi della nostra vita personale, familiare e sociale.


Madre piena di Misericordia e di Giustizia, con la tua docilità allo Spirito Consolatore, ottieni per noi la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, affinché diventiamo sempre più sale della terra e luce del mondo.


Madre del Perpetuo Soccorso, alla tua intercessione materna affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora d’Africa, prega per noi!”



www.radiovaticana.org/it1/videonews_ita.asp?anno=2009&videoclip=750&sett...







Discorso del Papa ai malati del Centro Card. Léger di Yaoundé



YAOUNDÉ, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI al Centro Card. Paul Emile Léger - Centre National de Réhabilitation des Handicapés di Yaoundé dove si è incontrato con alcuni bambini malati e portatori di handicap.









* * *

Signori Cardinali,

Signora Ministro per gli Affari Sociali,

Signor Ministro della Sanità,

Cari fratelli nell’Episcopato e caro Monsignor Giuseppe Djida,

Signor Direttore del Centro Cardinal Léger,

Gentile personale assistenziale, cari malati,

ho vivamente desiderato trascorrere questi momenti con voi, e sono felice di potervi salutare. Un saluto particolare rivolgo a voi, fratelli e sorelle che portate il peso della malattia e della sofferenza. Voi sapete di non essere soli nella vostra sofferenza, perché Cristo stesso è solidale con coloro che soffrono. Egli rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società. L’evangelista Marco ci offre come esempio la guarigione della suocera di Pietro: "Senza attendere oltre – sta scritto - si parla a Gesù della malata. Gesù si avvicina a lei, la prende per mano e la fa alzare" (Mc 1,30-31). In questo passo del Vangelo noi vediamo Gesù vivere una giornata tra i malati per sollevarli. Egli ci rivela anche, con gesti concreti, la sua tenerezza e la sua benevola attenzione verso tutti quelli che hanno il cuore spezzato e il corpo ferito.

Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini.

Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario, è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione, ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb19;42,2-6). I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano di consolarlo, ma usano delle parole vuote.

In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito Gesù al culmine della sua sofferenza nella sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano, Simone di Cirene. Egli venne incaricato di aiutare Gesù a portare la Sua Croce sul cammino verso il Golgota. Quest’uomo, anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca. La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato "requisito" per aiutarlo (cfr Mc 15,21); egli fu costretto, forzato a farlo. E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto. Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove.

Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. Io prego, cari fratelli e sorelle, perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale.

Dopo la risurrezione e fino ad oggi, molti sono i testimoni che si sono rivolti, con fede e speranza, al Salvatore degli uomini, riconoscendo la Sua presenza al centro della loro prova. Il Padre di tutte le misericordie accoglie sempre con benevolenza la preghiera di chi si rivolge a Lui. Egli risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri. Sta a noi discernere la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma.

I santi ce ne hanno dato un bell’esempio con la loro vita interamente affidata a Dio, nostro Padre. Santa Teresa d’Avila, che aveva messo il suo monastero sotto il patrocinio di san Giuseppe, è stata guarita da una sofferenza nel giorno stesso della sua festa. Ella ripeteva che non lo aveva mai pregato inutilmente e lo raccomandava a tutti quelli che pensavano di non saper pregare: " Non comprendo, scriveva, come si possa pensare alla Regina degli Angeli e a tutto quello che ella ha dovuto affrontare durante l’infanzia del Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe della dedizione così perfetta con la quale egli è venuto in aiuto dell’uno e dell’altra. Colui che non trova nessuno che gli insegni a pregare scelga questo ammirabile santo per maestro e non avrà più a temere di smarrirsi sotto la sua guida" ( Vita, 6). Da intercessore per la salute del corpo, la santa vedeva in san Giuseppe un intercessore per la salute dell’anima, un maestro di orazione, di preghiera.

Scegliamolo anche noi come maestro di preghiera. Non solamente noi che siamo in buona salute, ma anche voi, cari malati e tutte le famiglie. Penso particolarmente a voi che fate parte del personale ospedaliero e a tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità. Accompagnando coloro che soffrono con la vostra attenzione e con le cure che date loro, voi adempite un atto di carità e di amore che Dio riconosce: " Ero malato e mi avete visitato" ( Mt 25,36). A voi, ricercatori e medici, spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio. Voglio, assieme a voi, rendere grazie al Signore per tutti coloro che, in una maniera o in un’altra, operano a servizio delle persone che soffrono. Incoraggio i sacerdoti e i visitatori degli ammalati a impegnarsi con la loro presenza attiva ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo.

Prima di salutarvi personalmente e congedarmi da voi, vorrei assicurare a ciascuno la mia vicinanza affettuosa e la mia preghiera. Desidero anche esprimere il mio desiderio che ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino. Affido tutti e tutte all’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre, e a quella di san Giuseppe. Che Dio ci conceda di essere gli uni per gli altri, portatori della misericordia, della tenerezza e dell’amore del nostro Dio e che Egli vi benedica!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]
+PetaloNero+
00giovedì 19 marzo 2009 20:01
L'Angola attende Benedetto XVI. Intervista con l'arcivescovo di Luanda


C’è grande attesa in Angola per la visita di Benedetto XVI, che domani arriverà nella capitale Luanda. Ad accogliere il Santo Padre saranno il presidente della Repubblica, José Eduardo Dos Santos, e l’arcivescovo della città, mons. Damião António Franklin, presidente della Conferenza episcopale dell’Angola. Il servizio da Luanda del nostro inviato, Davide Dionisi:


Vessilli bianchi e gialli con l’immagine del Papa accolgono i pellegrini che stanno raggiungendo in questi giorni da tutto il Paese la capitale per abbracciare Benedetto XVI. E’ uno scenario ricco di colori che contrasta con quanto invece accade in città. Un vero e proprio cantiere a cielo aperto, strade non ancora asfaltate e polverose ai bordi delle quali si vive di stenti. Ovunque il traffico è paralizzato e impedisce anche brevi spostamenti. Anni di guerra hanno segnato questo popolo generoso e tanto entusiasta di incontrare il suo Pastore, e i frutti di un cammino di ripresa iniziato da poco, ancora non sono visibili. Serpeggia comunque una grande voglia di riscatto che gli angolani vogliono manifestare al Papa e assicurare che il circuito virtuoso è comunque iniziato e la sua presenza sarà un ulteriore motivo di speranza. Dal 1975 al 2002 la cruenta guerra civile costò alla giovane nazione almeno cinquecentomila morti senza contare la tragedia dei mutilati, degli orfani, le vedove, i profughi e gli sfollati. Il lungo periodo bellico non ha comunque frenato l’attività della Chiesa locale, tanto che oggi si contano oltre otto milioni e mezzo, il 55 per cento della popolazione, distribuiti in 18 circoscrizioni ecclesiastiche.


Giornali e televisioni hanno cominciato a raccontare l’evento da giorni: il quotidiano più importante del Paese, Jornal de Angola, dedicava fin da ieri la prima pagina al Santo Padre con la cronaca dell’arrivo in Camerun. Lo stesso fanno i tg che propongono continuamente le testimonianze dei pellegrini. Nel frattempo la macchina procede a ritmi serrati. Hanno raggiunto la capitale i delegati diocesani che prenderanno parte agli eventi più importanti e vivranno in prima persona questa straordinaria esperienza. Benguela, Caxito, Saurimo e Lunda-Norte, sono già da ieri a Luanda. “L’obiettivo” secondo Manuel Modesto del Segretariato nazionale della pastorale giovanile “è quello di promuovere un messaggio chiaro, quello che dell’importanza del Papa nella Chiesa, inteso come leader di tutti i cattolici ed elemento cardine dell’unità dei cristiani”.


La seconda città dell’Angola, Huambo, attraverso il suo governatore provinciale Albino Malungo, ha espresso preventivamente tutto il suo entusiasmo per l’arrivo del Pontefice. Nel messaggio di benvenuto si legge che “La visita del Papa andrà a purificare il Paese”.


Con Malungo anche i rappresentanti istituzionali più alti si rincorrono nel commentare positivamente il viaggio del Papa. Ieri il capo dell’opposizione in parlamento, Alda Sachiambo, ha dichiarato che la visita di Benedetto XVI “è estremamente importante per gli angolani. Dopo una lunga guerra, oggi viviamo in un clima di riconciliazione, di pace e di ricostruzione. Si tratta di un processo storico” ha aggiunto la Sachiambo “che deve ispirarsi ai principi morali e in questo la Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo importante. Aggiungo che l’angolano è credente e la presenza del Santo Padre va a sottolineare questo autentico sentimento religioso del nostro popolo”.


Si moltiplicano intanto le iniziative per la raccolta dei fondi per non lasciare nulla al caso e presentare un Paese capace di organizzare anche grandi appuntamenti. La seconda cena di gala al Cine Tropical di Luanda, promossa dal Comitato presieduto da Don Filomeno Vieira Dias ha portato nelle casse dell’organizzazione ben 150 mila dollari. Serviranno a potenziare e a migliorare il servizio accoglienza. Ieri sera è stata la volta del concerto che ha visto la partecipazione di alcuni dei più noti musicisti del Paese. L’Angola allora è anche questa e tutto induce pensare, a giudicare dai presupposti della vigilia, che la presenza del Papa aiuterà a sottolineare proprio tali sentimenti di fede e di speranza di un popolo ancora troppo sofferente.


Sull'attesa del Papa ascoltiamo l’arcivescovo di Luanda, mons. Damião António Franklin, al microfono di Davide Dionisi:

R. – Anche quelli che non sono cattolici sono contenti di ricevere il Santo Padre. E’ una grazia, un privilegio, soprattutto in questi tempi. L’Angola ha sofferto molto e troppo con la guerra, con i conflitti. Adesso sta ricominciando una vita nuova di riconciliazione, di ricostruzione, non soltanto delle infrastrutture, ma anche del cuore. Quindi, ricevere il Santo Padre per tutti noi è una grande grazia e tutti aspettano con molto fervore e con molta attenzione. E noi cattolici vogliamo preparare il cuore, per ricevere bene il messaggio del Santo Padre.


D. – A pochi anni dalla fine della guerra, che significato assume la visita di Benedetto XVI in Angola?


R. – Viene a completare questo processo di riconciliazione, che impiega tempo, perché i cuori sono feriti da molti anni. Tra l’altro, non è facile vivere come fratelli, ma stiamo cercando di farlo. E la visita del Papa viene ad aiutare in questo senso.


D. – Eccellenza, qual è il messaggio che l’arcidiocesi di Luanda lancerà al Santo Padre, in occasione dell’incontro?


R. – Di ringraziamento e di comunione con il Santo Padre, con la Chiesa universale di cui noi siamo una porzione. Quindi, siamo contenti, ed io spero che anche tutti i fedeli possano essere consapevoli di questa grazia di Dio.

www.radiovaticana.org



Angola: radio cattolica in difficoltà spera nell'aiuto del Papa



LISBONA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Il direttore di Rádio Ecclesia, padre Maurício Kamutu, spera che la visita del Papa in Angola aiuti a diffondere le trasmissioni dell'emittente cattolica angolana in tutto il Paese.

Secondo quanto reso noto dall'agenzia Ecclesia dell'episcopato portoghese, Rádio Ecclesia, che attualmente trasmette solo nella capitale Luanda, in base alla legge in vigore, attende da 10 anni che il Governo permetta la copertura nazionale.

Padre Kamutu ha fatto sapere che nelle province la radio ha già un deficit di oltre tre milioni di dollari perché il materiale si sta deteriorando per il mancato utilizzo.

“I nostri tecnici inviati per verificare il materiale hanno constatato che gran parte di questo non si può più utilizzare”, ha dichiarato, sottolineando che sarebbe quindi necessario effettuare nuovi acquisti.
Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:47
Dal blog di Lella...

Dopo Williamson ecco il “caso condom”: la vecchia Europa contro il Papa

mar 19, 2009 il Riformista

Ovunque vada, qualsiasi cosa faccia o dica, spacca, divide e, soprattutto, raccoglie critiche. È la dura vita di Papa Ratzinger il quale, ieri, appena uscito dalla bagarre denominata “caso Williamson” è dovuto entrarne in un’altra, quella dei condom. Ad attaccarlo questa volta niente meno che il cuore della vecchia Europa, ovvero i Governi di Francia e Germania, entrambi in forma ufficiale.

È vero, le cose non possono che andare in questo modo: Benedetto XVI non adegua il propio parlare al politically correct.

Egli, semmai, difende il pensiero della Chiesa e questo, se rettamente divulgato, porta nel mondo l’evangelica “spada” e non, innanzitutto, un ulivo. Eppure, a livello di comunicazione, sul piano della prevenzione delle cosiddette tempeste diplomatiche - o mediatiche che siano - qualcosa di più si può fare e, anche ieri, si poteva fare.

Andiamo con ordine. Ecco cosa è successo. L’altro ieri il Pontefice era sul volo che lo portava verso il Camerun, tappa iniziale del suo primo viaggio africano da quando è al soglio di Pietro. Con lui una cinquantina di giornalisti. Il Papa, come faceva già Wojtyla, ha concesso loro una breve intervista. Un’intervista guidata, nel senso che le domande poste al Pontefice erano solo alcune fra tutte quelle fatte pervenire precedentemente a padre Federico Lombardi, il capo della Sala stampa vaticana. Tra le domande scelte, quella di un giornalista francese il quale ha parlato dell’Aids ricordando che, al riguardo, la posizione della Chiesa viene considerata «non realistica e non efficace». Il Papa ha risposto che, «al contrario», una delle realtà più efficaci nella lotta contro la malattia è «proprio la Chiesa cattolica» la quale con i suoi movimenti e le se associazioni - la prima citata è stata la Comunità di Sant’Egidio che in Africa grazie al progetto Dream è all’avanguardia nella cura dell’Aaids - fa parecchio in merito. Ratzinger ha poi spiegato quale sia la visione della Chiesa sulla modalità tramite la quale contrastare la malattia: non «la distribuzione dei preservativi» che altro non fa che «aumentare il problema» quanto la messa in campo di una «umanizzazione della sessualità», cioè «un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro». Per il Papa, insomma, la prima urgenza è un rinnovamento dell’uomo dal suo interno, in modo che sappia comportarsi nel giusto modo «nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro».

Alle parole del Papa nessuno ha reagito, almeno nell’immediato. La bagarre è scoppiata ventiquattro ore dopo e cioè ieri.

Francia e Germania - da una parte il ministro degli Esteri francese Eric Chevallier, dall’altra le ministre tedesche della Salute e della Cooperazione economica dello sviluppo, Ulla Schmidt e Heidemarie Wieczorek-Zeul - hanno criticato pesantemente le parole di Benedetto XVI sul preservativo. «Se non spetta a noi dare un giudizio sulla dottrina della Chiesa riteniamo che frasi del genere mettano in pericolo le politiche di sanità pubblica e gli imperativi di protezione della vita umana», ha detto Chevallier commentando le parole di Ratzinger. «I preservativi salvano la vita, tanto in Europa quanto in altri continenti» e «una moderna cooperazione allo sviluppo deve dare ai poveri l’accesso ai mezzi di pianificazione familiare e tra questi rientra in particolare anche l’impiego dei preservativi; tutto il resto sarebbe irresponsabile», hanno detto Schmidt e Wieczorek-Zeul. Parole, queste ultime, avallate pure da un vescovo cattolico, l’ausiliare di Amburgo: si chiama Hans Jochen Jaschke e ha spiegato che «i preservativi possono proteggere, anche se spesso gli uomini li rifiutano».
La sua l’ha detta pure il direttore esecutivo del Fondo mondiale per la lotta contro l’aids, Michel Kazatchikine: «Queste parole sono inaccettabili. È una negazione dell’epidemia». E, in serata, è arrivata anche la Spagna: il governo iberico ha annunciato che si appresta a inviare un milione di preservativi in Africa per combattere la diffusione della malattia.

Si poteva prevenire questa nuova bagarre? In parte no: il Papa, infatti, ha ribadito un concetto che la Chiesa non può modificare.
Un concetto che, visti anche gli innumerevoli interessi che stanno a monte della distribuzione dei preservativi, non poteva che sollevare critiche. Tra l’altro critiche non dissimili piovvero addosso a Paolo VI prima e a Giovanni Paolo II dopo.

Eppure, va detto, la difesa vaticana non è stata delle migliori. La Santa Sede ha giustamente replicato difendendo le dichiarazioni del Papa. Ma, in modo davvero ingenuo, ha cambiato nel testo ufficiale dell’intervista del Papa diramato ieri sul bollettino della Santa Sede il termine «preservativo» con quello di «profilattico», togliendo pure il passaggio in cui si sostiene che i preservativi «aumentano i problemi».

Poi entrambi gli errori sono stati riparati, ma ormai l’impressione di aver voluto correggere il Papa era stata data.

A conti fatti, cosa resta? Un altro violento attacco al Papa in forme ormai incuranti degli incidenti diplomatici che possono generare, che è segno del clima culturale e politico di ostilità preconcetta nel quale si trova ad agire il magistero di Benedetto XVI.

E un tentativo di difesa della Curia incorso ancora in una gaffe, ma che rende poco plausibile l’accusa dell’Osservatore Romano ai media di «aver stravolto le parole del Papa».

© Copyright Il Riformista, 19 marzo 2009



E' dura la vita, Papa... [SM=g8468] ma... SIAMO CON TE!!!! [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398] [SM=g6398]

Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:51
Dal blog di Lella...

Messa a Yaoundè, 60 mila persone: «Africa minacciata da stranieri senza scrupoli»

Il Papa: «Bambini maltrattati e abusati, Dio non vi dimentica»

Prima l'incontro coi musulmani: religione sana rifiuti violenza e totalitarismo

MILANO

«Ai bambini che non hanno più un padre o che vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e abusati, e arruolati in forza in gruppi militari che imperversano in alcuni Paesi: Dio vi ama, non vi dimentica e san Giuseppe vi protegge! Invocatelo con fiducia».

Così Benedetto XVI parla ai più piccoli davanti a 60mila persone nella messa celebrata stamattina all'interno dello stadio Amadou Ahidjo di Yaoundè per la consegna dell'Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo Speciale per l'Africa che metterà il tema della famiglia africana al centro dell'attenzione di tutta la Chiesa Cattolica.

Il Papa ha detto: «A tutti i giovani che sono qui, io rivolgo parole di amicizia e di incoraggiamento: davanti alle difficoltà della vita, mantenete il coraggio! La vostra esistenza ha un prezzo infinito agli occhi di Dio».
Il Papa ha anche parlato dei ragazzi delle megalopoli africane: «Sradicati e resi più fragili i membri delle giovani generazioni, spesso - ahimè - senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati, di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all'uomo una felicità profonda e duratura».

L'AFRICA MINACCIATA

All'indomani delle polemiche scaturite dalle parole dello stesso pontefice, che aveva giudicato inutile l'uso dei preservativi nella lotta all'Aids, il Papa ha poi indicato quello che, a suo avviso, è la minaccia più pericolosa che insidia il continente africano: la perdita della sua identità, del suo senso della famiglia, della sua ricchezza interiore di fronte alle «false glorie» ai «falsi ideali», portati ancora una volta da stranieri, anche se il Pontefice non cita alcun nome esplicitamente, limitandosi a parlare di «tante persone senza scrupoli». «Alcuni valori della vita tradizionale - ha affermato il pontefice - sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione delle conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati». «A volte - ha detto ancora Benedetto XVI - anche l'uomo africano è costretto a fuggire da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore». «Messo al confronto col fenomeno di una ricchezza galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente... per una sorta di esilio che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso».

L'INCONTRO CON I MUSULMANI

In mattinata Papa Benedetto XVI ha incontrato alla Nunziatura di Yaoundé, i rappresentanti dei musulmani camerunensi, che gli hanno espresso «affetto», come ha raccontato poi il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, dicendo al Pontefice «non sei solo». Parlando con loro, Benedetto XVI ha ragionato sull'importanza di «una religione genuina che rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo».
In Camerun l'Islam rappresenta circa il 22% di una popolazione di 17 milioni di persone e intrattiene buoni rapporti con le altre componenti religiose, a partire dai cattolici (il 27%). Benedetto XVI ha lodato questo esempio di convivenza sottolineando che in questa nazione cristiani e musulmani «offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell'obbedienza alla legge di Dio, e dell'amore verso i malati e i sofferenti».

FEDE E RAGIONE

Il Papa ha ripreso però anche il discorso sulla ragionevolezza delle religioni, un tema che aveva affrontato nel suo controverso discorso a Ratisbona. «Oggi - ha detto ai musulmani - un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede». Benedetto XVI ha rimarcato che «in realtà religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede». «In questo modo - ha concluso - una religione genuina allarga l'orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo».

LA FESTA DI SAN GIUSEPPE

Salutando la folla nello stadio, il ricorda che oggi si celebra la Festa di San Giuseppe. E inizia la sua omelia proprio con l’augurio di «un’ottima festa» per «tutti coloro che, come me, hanno ricevuto la grazia di portare questo bel nome». «Chiedo a San Giuseppe - dice Ratzinger - di accordare loro una protezione speciale guidandoli verso il Signore Gesù Cristo tutti i giorni della loro vita».

© Copyright Corriere online


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:55
Dal blog di Lella...

Pace, giustizia e riconciliazione nei primi interventi del Pontefice in terra africana

Il filo conduttore del viaggio

dal nostro inviato Mario Ponzi

"Riconciliazione, giustizia e pace". Sono le prime parole che il Papa ha potuto leggere sull'enorme striscione disteso accanto alla pista d'atterraggio dell'aeroporto di Yaoundé, dove è giunto martedì pomeriggio. Saranno anche il filo conduttore di questo suo undicesimo viaggio internazionale.
Sono le prime cose che ha invocato, lasciando intuire subito però che è soprattutto la giustizia quello di cui ha oggi più bisogno l'Africa. Si ascolteranno spesso queste tre parole nei discorsi di Benedetto XVI, così come in quelli dei suoi molti interlocutori, nei prossimi giorni. Ma anche la gente che scende in queste ore per le strade le ripropone in continuazione.
Non fosse altro perché sono stati distribuiti dal comitato organizzatore migliaia di abiti tipicamente africani, di vari, sgargianti colori, sui quali compaiono le scritte "Benedetto XVI portatore di riconciliazione, giustizia e pace" e la data "marzo 2009". Difficile non notarli, hanno invaso la città.
Numerosi anche gli striscioni: finemente lavorati alcuni - quelli delle parrocchie che si affacciano sul percorso del corteo papale - rudimentali i più, realizzati ora su cartoni variopinti, ora su pezzi di stoffa bianca. Il messaggio è unico: tutti acclamano al Papa, tutti reclamano con lui riconciliazione, giustizia, pace.

Sole smagliante, città pavesata a festa, uffici chiusi per consentire a tutti di vedere il Pontefice.

Yaoundé, la capitale del Camerun, ci tiene a fare bella figura. Sono chiuse anche le scuole e gli alunni, ciascuno con la propria divisa a seconda del grado e dell'istituto, sono schierati in prima fila lungo le strade.
Si è da poco concluso l'ultimo impegno della mattina nella chiesa dedicata a Cristo Re, nell'antico quartiere di Tsinga. Tra l'altro qui si sposò il Presidente Paul Biya, al quale il Papa ha reso visita stamani, poco prima di presentarsi all'incontro con i vescovi camerunesi. In precedenza, all'uscita dalla nunziatura erano ad attenderlo una sessantina di giovani della Comunità di Sant'Egidio. Il Papa si è fermato alcuni momenti con loro e ha salutato Mario Giro, il responsabile del progetto Dream che la comunità porta avanti qui in Africa assistendo oltre centomila giovani in dieci nazioni del continente.

Il successivo trasferimento dal Palazzo Presidenziale alla chiesa è avvenuto in un tripudio di folla. È proseguito dunque anche mercoledì quello che "Cameroon tribune", diffuso quotidiano di Yaoundé, in edicola questa mattina, riferendosi alla prima accoglienza, definiva in un titolo a tutta pagina "Un trionfo".

All'esterno della chiesa l'entusiasmo della folla è indescrivibile. All'interno una trentina di vescovi del Camerun e la corale della parrocchia. Il Papa è stato accolto dal parroco che lo ha accompagnato dinanzi al Santissimo per un atto di adorazione. Poi l'arcivescovo di Yaoundé, Simon-Victor Tonyé Bakot, ha salutato il Papa. Nella sua risposta Benedetto XVI ha toccato alcuni punti particolarmente significativi per la missione della Chiesa in Camerun. Espressioni di gioia che si sono prontamente rinnovate non appena il Papa è nuovamente apparso sulla porta della chiesa. E ciò nonostante la gente sia rimasta ferma sotto il sole cocente della mattina per cinque ore.
È un popolo straordinario quello camerunense. I volti sono costantemente aperti al sorriso; la cortesia fa parte della loro indole. Quel che colpisce è la loro compostezza pur nell'eccesso della gioia. Anche questa mattina, come ieri sera, si sono schierati ai lati delle strade e hanno fatto corona al Papa, ovunque egli fosse o passasse. Le grida che punteggiavano il procedere del corteo papale esprimevano un affetto sincero. Straordinario è anche come riescano a "parlare" al Papa anche se non lo possono avvicinare più di tanto. La gestualità, nelle sue diverse forme, è per l'africano un'essenziale forma di comunicazione. E dunque le strade si riempiono di canti, danze, con musiche improntate al momento con gli strumenti più insoliti. È la loro anima. Ma è anche espressione della loro religiosità. Tra le tante raffigurazioni un grande cartellone dipinto da un anonimo artista nei pressi della chiesa del Cristo Re attirava l'attenzione. Sullo sfondo di un affresco che rappresenta il sole e altri elementi naturali spicca un grande crocifisso. Cristo è raffigurato con le mani libere dai chiodi e le braccia non sono allineate alla croce ma protese verso l'alto. Attorno una scritta in francese: "Io sono la resurrezione e la vita". "La figura della croce che domina il sole e tutto il resto - ci spiega uno dei sacerdoti che accompagnano i cronisti nei diversi luoghi - corrisponde a una visione tipica della nostra gente, nella quale si incarna il senso cristiano della gioia e della speranza. Il cristianesimo per noi significa andare avanti". Bergson scriveva che "l'elemento stabile del cristianesimo è l'ordine di non fermarsi mai". E qui in Africa l'evangelizzazione ha avuto e continua ad avere, soprattutto in questo momento, il significato di uno slancio, di una spinta verso il futuro".
"Il vicario di Cristo in terra - si legge su Le Jour di questa mattina - interpella la coscienza dell'uomo camerunese e africano, dell'uomo tout court considerato nella sua piccola dimensione temporale e nella sua grande dimensione spirituale. Usa parole semplici, chiare. Non può e non deve restare inascoltato. Andiamo tutti ad ascoltarlo". Accanto all'articolo il giornale ripropone la cartina dei luoghi nei quali avverranno i prossimi incontri con il Papa. Del resto l'esperienza religiosa in Africa nasce proprio dalla consapevolezza istintiva di un fondamentale rapporto tra l'uomo e il suo creatore. Oggi nel Papa lo vedono effettivamente rappresentato in mezzo a loro. E gli si stringono attorno.
Lo hanno fatto sin dal primo momento all'aeroporto, dove è stato salutato da canti e grida ritmati dalle rappresentanze delle diverse etnie schierate, in costume tradizionale, attorno alla pista dello scalo. A ricevere il Papa - accompagnato dai cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato, Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli, e Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, dagli arcivescovi Fernando Filoni, sostituto della segreteria di Stato, Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi, Félix del Blanco Prieto, elemosiniere di Sua Santità, per lunghi anni nunzio apostolico in queste terre, Robert Sarah, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, dai monsignori Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e Alfred Xuereb, della segreteria particolare - il Presidente della Repubblica del Camerun Paul Biya, il cardinale Christian Wiyghan Tumi, l'arcivescovo di Yaoundé Tonyé Bakot, e il nunzio apostolico Eliseo Ariotti. Presenti anche i vescovi del Paese, rappresentanti di altre comunità cristiane e di altre religioni, autorità civili.
Una quarantina di minuti per la cerimonia di benvenuto e poi il corteo papale si è avviato verso la nunziatura apostolica - nei pressi del Mont Fébe, uno dei sette colli di Yaoundé - residenza del Pontefice in questi giorni. Il programma ufficiale non prevedeva nulla per la serata. Ma la festa per le strade è stata grande. Benedetto XVI in macchina aveva accanto l'arcivescovo Tonyé Bakot. A destra e a sinistra un fiume umano, dipinto dai mille colori dei costumi dei gruppi folk schierati e vitalizzato dal movimento di danze seppure solo accennate.
A uno dei suoi più stretti collaboratori il Papa ha confidato di essere rimasto affascinato dalla calorosa accoglienza che gli ha riservato il Camerun e che ne è molto soddisfatto e felice.

(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2009)


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 21:57
Dal blog di Lella...

La preghiera alla Beata Vergine Maria Protettrice dell’Africa composta dal Papa per la Santa Messa per la consegna dell’Instrumentum Laboris.

“Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu hai dato al mondo la vera Luce, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e per mezzo della grazia dello Spirito Santo ci hai dato la fonte della nostra riconciliazione e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.

Madre di tenerezza e di saggezza, mostraci Gesù, il Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro cammino di conversione affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria in tutti i luoghi della nostra vita personale, familiare e sociale.

Madre piena di Misericordia e di Giustizia, con la tua docilità allo Spirito Consolatore, ottieni per noi la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, affinché diventiamo sempre più sale della terra e luce del mondo.

Madre del Perpetuo Soccorso, alla tua intercessione materna affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora d’Africa, prega per noi!”


© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00giovedì 19 marzo 2009 22:14
Dal blog di Lella...

DISCORSO AL CONSIGLIO AFRICANO PER IL SINODO

Signori Cardinali, cari Fratelli nell’Episcopato!

E’ con profonda gioia che saluto tutti voi, in questa terra d’Africa. Per essa, nel 1994, una Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi è stata convocata dal mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, in segno di sollecitudine pastorale per questo continente ricco sia di promesse, sia di pressanti necessità umane, culturali e spirituali.
L’ho chiamato questa mattina “il continente della speranza”. Ricordo con gratitudine la firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, che ebbe luogo proprio qui 14 anni or sono, nella Festa dell’Esaltazione della Croce, il 14 settembre 1995.

La mia riconoscenza va a Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, per le parole che mi ha indirizzato a nome vostro, introducendo questo incontro in terra africana con voi, cari membri del Consiglio Speciale per l’Africa. Tutta la Chiesa guarda con attenzione a questo incontro in vista della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che, a Dio piacendo, sarà celebrata nel prossimo ottobre. Il tema è: “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14)”.
Ringrazio vivamente i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi membri del Consiglio Speciale per l’Africa, per la loro esperta collaborazione alla redazione dei Lineamenta e dell’Instumentum laboris. Vi sono riconoscente, cari Confratelli nell’Episcopato, per avere anche presentato nei vostri contributi aspetti importanti della situazione ecclesiale e sociale attuale dei vostri Paesi d’origine e della regione. Avete così sottolineato il grande dinamismo della Chiesa in Africa, ma al tempo stesso avete evocato le sfide che il Sinodo dovrà esaminare, affinché nella Chiesa in Africa la crescita non sia soltanto quantitativa ma anche qualitativa.
Cari Fratelli, in apertura della mia riflessione, mi sembra importante sottolineare che il vostro continente è stato santificato dallo stesso Signore nostro Gesù Cristo.

All’alba della sua vita terrena, alcune tristi circostanze gli hanno fatto calcare il suolo africano. Dio ha scelto il vostro continente perché diventasse dimora del suo Figlio. Mediante Gesù, Dio è venuto incontro ad ogni uomo, certamente, ma in modo particolare, incontro all’uomo africano. L’Africa ha offerto al Figlio di Dio una terra che lo ha nutrito e una protezione efficace.

Mediante Gesù, duemila anni fa, Dio stesso ha portato il sale e la luce all’Africa. Da allora, il seme della sua presenza è sepolto nelle profondità del cuore di questo amato continente ed esso germoglia a poco a poco al di là e attraverso le vicissitudini della sua storia umana.

In conseguenza della venuta di Cristo che l’ha santificata con la sua presenza fisica, l’Africa ha ricevuto una chiamata particolare a conoscere Cristo. Che gli Africani ne siano fieri!

Meditando e approfondendo spiritualmente e teologicamente questa prima tappa della kénosi, l’Africano potrà trovare le forze sufficienti per affrontare il suo quotidiano talvolta molto duro, e potrà allora scoprire immensi spazi di fede e di speranza che l’aiuteranno a crescere in Dio.

Alcuni momenti significativi della storia cristiana di questo Continente possono ricordarci il legame profondo che esiste tra l’Africa e il cristianesimo a partire dalle sue origini. Secondo la venerabile tradizione patristica, l’evangelista san Marco, che ha “trasmesso per iscritto ciò che era stato predicato da Pietro” (Ireneo, Adversus haereses III, I, 1), venne ad Alessandria a rianimare la semente sparsa dal Signore. Questo Evangelista ha reso testimonianza in Africa della morte in croce del Figlio di Dio – ultimo momento della kénosi – e della sua elevazione sovrana, perché “ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11).

La Buona Novella della venuta del Regno di Dio si è diffusa rapidamente nel nord del vostro Continente, dove ha avuto illustri martiri e santi e ha generato insigni teologi.

Dopo essere stato messo alla prova da vicissitudini storiche, il cristianesimo, durante quasi un millennio, non è rimasto che nella parte nord-orientale del Continente. Con l’arrivo degli Europei che cercavano la via delle Indie, nei secoli XV e XVI, le popolazioni sub-sahariane hanno incontrato Cristo. Furono le popolazioni costiere a ricevere per prime il battesimo. Nei secoli XIX e XX, l’Africa sub-sahariana ha visto arrivare missionari, uomini e donne, provenienti da tutto l’Occidente, dall’America Latina e anche dall’Asia. Desidero rendere omaggio alla generosità della loro risposta incondizionata alla chiamata del Signore e dal loro ardente zelo apostolico. Qui vorrei andare oltre e parlare dei catechisti africani, compagni inseparabili dei missionari nell’evangelizzazione. Dio aveva preparato il cuore di un certo numero di laici africani, uomini e donne, persone giovani e più avanti negli anni, a ricevere i suoi doni e portare la luce della sua Parola ai loro fratelli e sorelle. Laici con i laici, hanno saputo trovare nella lingua dei loro padri le parole di Dio che hanno toccato il cuore dei loro fratelli e sorelle. Hanno saputo condividere il sapore del sale della Parola e far risplendere la luce dei Sacramenti che annunciavano. Hanno accompagnato le famiglie nella loro crescita spirituale, hanno incoraggiato le vocazioni sacerdotali e religiose e sono stati il legame tra le loro comunità e i sacerdoti e i vescovi. Con naturalezza, hanno operato un’efficace inculturazione che ha portato meravigliosi frutti (cfr Mc 4,20).

Sono stati i catechisti a permettere che “la luce risplendesse davanti agli uomini “ (Mt 5,16), perché vedendo il bene che facevano, intere popolazioni hanno potuto rendere gloria al nostro Padre che è nei cieli.

Sono Africani che hanno evangelizzato Africani. Evocando il loro glorioso ricordo, saluto e incoraggio i loro degni successori che lavorano oggi con la stessa abnegazione, lo stesso coraggio apostolico e la stessa fede dei loro predecessori. Che Dio li benedica generosamente!

Durante questo periodo, la terra africana è stata anche benedetta da numerosi santi. Mi limito a nominare i gloriosi Martiri dell’Uganda, i grandi missionari Anna Maria Javouhey e Daniele Comboni, come pure Suor Anuarite Nengapeta e il catechista Isidoro Bakanja, senza dimenticare l’umile Giuseppina Bakhita.
Ci troviamo attualmente in un momento storico che coincide, dal punto di vista civile, con l’indipendenza ritrovata e, dal punto di vista ecclesiale, con l’evento del Concilio Vaticano II.

La Chiesa in Africa ha preparato e accompagnato durante questo periodo la costruzione delle nuove identità nazionali e, parallelamente, ha cercato di tradurre l’identità di Cristo secondo vie proprie.

Mentre la Gerarchia si era a poco a poco africanizzata, a partire dall’ordinazione da parte del Papa Pio XII di Vescovi del vostro continente, la riflessione teologica cominciò a svilupparsi. Sarebbe bene che i vostri teologi continuassero oggi ad esplorare la profondità del mistero trinitario e il suo significato per la vita quotidiana africana. Questo secolo permetterà forse, con la grazia di Dio, la rinascita, nel vostro continente, ma certamente sotto una forma diversa e nuova, della prestigiosa Scuola di Alessandria. Perché non sperare che essa possa fornire agli Africani di oggi e alla Chiesa universale grandi teologi e maestri spirituali che potrebbero contribuire alla santificazione degli abitanti di questo continente e della Chiesa intera? La Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha permesso di indicare le direzioni da prendere e ha messo in evidenza, tra l’altro, la necessità di approfondire e di incarnare il mistero di una Chiesa-Famiglia.

Vorrei ora suggerire qualche riflessione sul tema specifico della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, relativo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace.
Secondo il Concilio Ecumenico Vaticano II, “la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Per adempiere bene la propria missione, la Chiesa dev’essere una comunità di persone riconciliate con Dio e tra di loro. In questo modo, essa può annunciare la Buona Novella della riconciliazione alla società attuale, che conosce purtroppo in molti luoghi conflitti, violenze, guerre e odio. Il vostro continente non ne è stato risparmiato ed è stato ed è ancora triste teatro di gravi tragedie, che fanno appello ad una vera riconciliazione tra i popoli, le etnie, gli uomini.

Per noi cristiani, questa riconciliazione si radica nell’amore misericordioso di Dio Padre e si realizza mediante la persona di Gesù Cristo che, nello Spirito Santo, ha offerto a tutti la grazia della riconciliazione. Le conseguenze si manifesteranno allora con la giustizia e la pace, indispensabili per costruire un mondo migliore.
In realtà, nel contesto sociopolitico ed economico attuale del continente africano, che cosa c’è di più drammatico della lotta spesso cruenta tra gruppi etnici o popoli fratelli? E se il Sinodo del 1994 ha insistito sulla Chiesa-Famiglia di Dio, quale può essere l’apporto di quello di quest’anno, alla costruzione dell’Africa, assetata di riconciliazione e alla ricerca della giustizia e della pace? I conflitti locali o regionali, i massacri e i genocidi che si sviluppano nel Continente devono interpellarci in modo tutto particolare: se è vero che in Gesù Cristo noi apparteniamo alla stessa famiglia e condividiamo la stessa vita, poiché nelle nostre vene circola lo stesso Sangue di Cristo, che fa di noi figli di Dio, membri della Famiglia di Dio, non dovrebbero dunque più esserci odio, ingiustizie, guerre tra fratelli.

Constatando lo sviluppo della violenza e l’emergere dell’egoismo in Africa, il Cardinale Bernardin Gantin, di venerata memoria, faceva appello, fin dal 1988, a una Teologia della Fraternità, come risposta al richiamo pressante dei poveri e dei più piccoli (cfr L’Osservatore Romano, ed. francese, 12 aprile 1988, pp. 4-5).

Gli tornava forse alla memoria ciò che scriveva l’africano Lattanzio all’alba del IV secolo: “Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente uniti da legami di fraternità: chi non li riconosce è ingiusto” (Epitomé des Intitutions Divines, 54, 4-5: SC 335, p. 210). La Chiesa-Famiglia di Dio che è in Africa, già dalla Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha realizzato un’opzione preferenziale per i poveri.
Essa manifesta così che la situazione di disumanizzazione e di oppressione che affligge i popoli africani non è irreversibile; al contrario, essa pone ciascuno di fronte ad una sfida, quella della conversione, della santità e dell’integrità.

Il Figlio, mediante il quale Dio ci parla, è Lui stesso Parola fatta carne. Ciò è stato l’oggetto delle riflessioni della recente XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Diventata carne, questa Parola è all’origine di ciò che noi siamo e facciamo; è il fondamento di ogni vita. E’ dunque a partire da questa Parola che bisogna valorizzare le tradizioni africane, correggere e perfezionare la loro concezione della vita, dell’uomo e della famiglia. Gesù Cristo, Parola di vita, è sorgente e compimento di tutte le nostre vite, perché il Signore Gesù è l’unico mediatore e redentore.
E’ urgente che le comunità cristiane diventino sempre più luoghi di ascolto profondo della Parola di Dio e di lettura meditativa della Sacra Scrittura. E’ attraverso questa lettura meditativa e comunitaria nella Chiesa che il cristiano incontra Cristo risorto che gli parla e gli ridona speranza nella pienezza di vita che Egli offre al mondo.
Quanto all’Eucaristia, essa rende il Signore realmente presente nella storia. Mediante la realtà del suo Corpo e del suo Sangue, il Cristo tutto intero si rende sostanzialmente presente nelle nostre vite. E’ con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi (cfr Mt 28,20) e ci rimanda alle nostre realtà quotidiane affinché possiamo riempirle della sua presenza. Nell’Eucaristia, è messo chiaramente in evidenza che la vita è una relazione di comunione con Dio, con i nostri fratelli e le nostre sorelle, e con l’intera creazione. L’Eucaristia è sorgente di unità riconciliata nella pace.
La Parola e il Pane di vita offrono luce e nutrimento, come antidoto e viatico nella fedeltà al Maestro e Pastore delle nostre anime, perché la Chiesa in Africa realizzi il servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma di vita dato dal Signore stesso: “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13.14). Per esserlo veramente, i fedeli devono convertirsi e seguire Gesù Cristo, diventare suoi discepoli, per essere testimoni del suo potere salvifico. Durante la sua vita terrena, Gesù era “potente in opere e parole” (Lc 24,19). Con la sua risurrezione ha sottomesso ogni autorità e potere (cfr Col 2,15), ogni potenza del male per rendere liberi quanti sono stati battezzati nel suo nome. “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1). La vocazione cristiana consiste nel lasciarsi liberare da Gesù Cristo. Egli ha vinto il peccato e la morte e offre a tutti la pienezza della sua vita. Nel Signore Gesù non c’è più né giudeo né pagano, né uomo né donna (cfr Gal 3,28). Nella sua carne Egli ha riconciliato tutti i popoli. Con la forza dello Spirito Santo rivolgo a tutti questo appello: “Lasciatevi riconciliare!” (2 Cor 5,20).

Nessuna differenza etnica o culturale, di razza, di sesso o di religione deve divenire tra voi motivo di contesa. Voi siete tutti figli dell’unico Dio, nostro Padre, che è nei cieli. Con questa convinzione sarà finalmente possibile costruire un’Africa più giusta e pacifica, all’altezza delle legittime attese di tutti i suoi figli.

Infine, vi invito a incoraggiare la preparazione dell’evento sinodale recitando anche con i fedeli la preghiera che conclude l’Instrumentum laboris che ho consegnato stamani, e ciò per la buona riuscita dell’Assemblea Sinodale.
Preghiamo ora insieme, cari Fratelli:

“Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu hai dato al mondo la luce vera, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e con la grazia dello Spirito Santo ci hai donato la sorgente della nostra riconciliazione e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.
Madre di tenerezza e di sapienza, mostraci Gesù, Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro cammino di conversione, affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria in ogni ambito della nostra vita personale, familiare e sociale.
Madre piena di Misericordia e di Giustizia, per la tua docilità allo Spirito Consolatore, ottienici la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, perché diventiamo sempre più il sale della terra e la luce del mondo.
Madre del Perpetuo Soccorso, alla tua materna intercessione affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora dell’Africa, prega per noi!”.

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Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 08:10
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Il commento

L’ipocrisia di chi vuol dare lezioni al Pontefice

Andrea Tornielli

C’è qualcosa di paradossale nelle durissime reazioni che da molte parti d’Europa come pure da Oltreoceano si sono levate contro le parole pronunciate martedì scorso da Benedetto XVI in volo verso il Camerun. Il Papa infatti non ha fatto che ribadire la posizione della Chiesa sulla lotta all’Aids, affermando peraltro ciò che studi scientifici e statistici hanno sancito: pensare di combattere e vincere la pandemia distribuendo profilattici è poco realistico.
Il preservativo può aiutare a contenere la trasmissione del virus, ma al tempo stesso favorisce comportamenti sessuali a rischio, che sono uno dei maggiori veicoli del contagio.

Bisognerà pur ricordare che in una significativa percentuale di casi il profilattico non basta a proteggere dall’Hiv, e che in molte zone dell’Africa il contagio avviene a causa delle pessime condizioni igieniche, ad esempio delle strutture sanitarie, o viene contratto dai figli di madri sieropositive non adeguatamente curate al momento del parto.

I dati attestano che la pandemia è diminuita solo nei Paesi dove si è lavorato nel campo educativo per modificare i comportamenti sessuali e gli stili di vita, anche se affermarlo non è politicamente corretto e disturba notevoli interessi economici.

Il paradosso dell’ultima tempesta mediatica sta nel fatto che a salire in cattedra contro Ratzinger sono stati i rappresentanti di quei governi responsabili di aver cestinato tutti gli impegni internazionali in favore dell’Africa.

Gli stessi che hanno fallito l’obiettivo fissato alla conferenza di Barcellona del 2002 di destinare agli aiuti internazionali lo 0,33 per cento del Pil entro il 2006; l’impegno del 2004 sugli obiettivi del Millennio, che prevedeva l’innalzamento della quota per la cooperazione allo sviluppo sino allo 0,7 per cento del Pil entro il 2015. Così come la promessa del G8 del 2005, che annunciò di voler raddoppiare l’aiuto all’Africa. La Chiesa, invece, resta la presenza che in tutto il Continente maggiormente si impegna nell’assistenza dei malati di Aids e nell’educazione a un esercizio più responsabile della sessualità.

Certo non si può non osservare che ancora una volta il meccanismo comunicativo della Santa Sede ha lasciato a desiderare: la trascrizione ufficiale dell’intervista papale è stata «aggiustata», sono state aggiunte parole, altre sono state modificate.

Non solo si è corretto «preservativi» con «profilattici» (salvo poi cambiare nuovamente dopo che le agenzie di stampa se n’erano accorte); si è anche mutata la frase sui preservativi che non risolvono ma «anzi aumentano il problema», diventata «il rischio è di aumentare il problema». Chi legge la versione ufficiale avrà l’impressione che i giornalisti abbiano stravolto le parole del Pontefice.

Ma ciò che il Papa ha detto è quello che riportavano i giornali di mercoledì, quello che i Tg avevano fatto sentire dalla sua viva voce.
Non quello che gli zelanti correttori hanno pubblicato.

© Copyright Il Giornale, 20 marzo 2009


Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 08:19
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Chantal, la first lady cotonata soccorsa da Ratzinger

di Redazione

È stata protagonista delle giornate camerunensi di Papa Ratzinger.
Sempre a fianco del marito, il presidente Paul Biya, con l’immancabile capigliatura foltissima e cotonata, simile alla criniera di un leone, e i tacchi vertiginosi, nonostante sia già naturalmente più alta del presidente consorte.
Chantal, la sorridente «première dame» del Camerun, avvolta in lunghi abiti variopinti, ha presenziato a quasi tutte le tappe della visita di Benedetto XVI a Yaoundé: l’arrivo all’aeroporto, la visita di cortesia, i vespri di mercoledì, la messa di ieri. Durante l’incontro al palazzo presidenziale, si è inginocchiata davanti al Pontefice per una speciale benedizione, e a causa dei tacchi alti e del vestito lungo, non sarebbe più riuscita a rialzarsi, se Ratzinger non le avesse offerto il braccio.

© Copyright Il Giornale, 20 marzo 2009


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Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 11:33
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Il condom mediatico occulta le colpe dell'Occidente

Ci stavamo quasi cascando.
Per un attimo abbiamo veramente pensato che al centro della polemica ci fossero l’Aids e il preservativo. Ma poi, mettendo insieme un paio di dati, ci siamo ricreduti. Non c’entrano i profilattici, non c’entrano l’Aids e il Papa.

Il problema è che l’attenzione che il pontefice sta attirando sull’Africa potrebbe svelare alcune magagne dell’Occidente, se solo la gente se ne accorgesse.

A parlare sono i dati dell’Ocse nel Development Cooperation Report reso pubblico nei giorni scorsi. Uno tra tutti: quegli stessi Paesi che oggi gridano contro il Papa per le sue parole sul condom, hanno tra il 2006 e il 2007 diminuito i loro aiuti verso il continente africano dell’8,5%.
Con picchi piuttosto alti: la Francia – che ha iniziato la polemica – ha diminuito gli aiuti del 16,4%. D’altronde tanta violenza polemica sul preservativo faceva sorgere un po’ il sospetto: ormai di studi che ne rilevano l’insufficienza come unico mezzo della lotta all’Aids ce ne sono fin troppi.
Uno dei più recenti è dell’Università di Harvard (pubblicato su Science nel 2008) che mostra come la strategia “solo preservativo” in 25 anni in Africa ha dato pochi risultati. Lo sa bene l’OMS visto che ogni anno, nonostante la diffusione dei condom, registra un aumento dell’epidemia.
E poi la Chiesa conosce perfettamente la situazione: da sola copre circa il 30% dei servizi sanitari del continente, ricevendo degli aiuti internazionali solo il 5%.
Ci si sarebbe aspettato un costruttivo scambio di opinioni tra esperti. Invece hanno prevalso accuse e stracciamenti di vesti.
Da qui il sospetto: non è che tutta questa polemica è un bel preservativo mediatico per evitare che la gente si infetti, scoprendo che l’Occidente fa poco per l’Africa?

(Bruno Mastroianni Docente di comunicazione)

© Copyright Metro, 20 marzo 2009


Eheheheheh!!!! [SM=g6794] Francia ed altri: IPPOCRITI!!!!
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Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 11:35
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Africa/ Il Papa lascia il Camerun: si operi per giustizia e pace

Il saluto prima di volare per l'Angola: Dio benedica questo Paese

Roma, 20 mar. (Apcom)

"Dio benedica questo bellissimo Paese, l''Africa in miniatura', un Paese di promesse, un Paese di gloria": con questo augurio il Papa lascia il Camerun, prima tappa del suo viaggio in Africa che lo porta ora in Angola. Durante la cerimonia di congedo, all'aeroporto Nsimalen di Yaondè, Benedetto XVI ha ringraziato per "la generosa accoglienza" ricevuta. "Il calore del sole africano ha trovato il suo riflesso nel calore dell'ospitalità che mi è stata offerta", ha detto Ratzinger davanti alle autorità politiche ed ecclesiastiche riunite all'aeroporto, presente anche il presidente Paul Biya.
"Popolo del Camerun - ha detto Ratzinger - vi incito a cogliere l'importanza del momento che il Signore vi ha dato. Rispondete alla sua chiamata che vi impegna a portare riconciliazione, guarigione e pace alle vostre comunità e alla vostra società. Operate per eliminare l'ingiustizia, la povertà e la fame ovunque le troviate".
Il Papa ha ricordato i momenti salienti della sua permanenza in Camerun, in particolare la visita "molto commovente" al centro cardinal Leger per i malati e i disabili. "Era molto commovente osservare la cura riservata ai malati e ai disabili - ha osservato il Pontefice - alcuni tra i membri più vulnerabili della nostra società. Questa compassione simile a quello di Cristo è un segno sicuro di speranza per il futuro della Chiesa e per il futuro dell'Africa".
Benedetto XVI ha infine ricordato l'incontro con i membri della comunità musulmana in Camerun, "altro momento culminante che porterò con me". "Mentre continuiamo nel nostro cammino verso una più grande comprensione reciproca - ha concluso Benedetto XVI - prego affinchè cresciamo anche nel vicendevole rispetto e stima e fortifichiamo la nostra decisione di collaborare per proclamare la dignità donata da Dio alla persona umana, un messaggio che un mondo in crescente secolarizzazione ha bisogno di sentire"
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Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 11:36
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CONGEDO DEL PAPA DAL CAMERUN

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Presidente,
onorevoli rappresentanti delle Autorità civili,
venerato Cardinal Tumi,
cari Confratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!

Mentre mi preparo a lasciare il Camerun, avendo compiuto la prima fase della mia visita apostolica in Africa, desidero ringraziare tutti voi per la generosa accoglienza che mi avete riservato in questi giorni. Il calore del sole africano ha trovato il suo riflesso nel calore dell’ospitalità che mi è stata offerta. Ringrazio il Presidente e i membri del Governo per la loro cortese accoglienza. Ringrazio i miei Confratelli nell’Episcopato e tutti i fedeli cattolici che durante le liturgie vissute insieme hanno dato un esempio così suggestivo di un culto gioioso ed esuberante. Sono anche lieto che membri di altre comunità ecclesiali abbiano potuto essere presenti ad alcune delle nostre assemblee e rinnovo i miei saluti rispettosi a loro ed ai loro responsabili. Vorrei esprimere il mio grande apprezzamento per tutto il lavoro fatto dalle autorità civili per assicurare un andamento tranquillo della mia visita. Ma soprattutto voglio ringraziare tutti coloro che hanno pregato intensamente affinché questa visita pastorale potesse portare frutto per la vita della Chiesa in Africa. E vi chiedo di continuare a pregare perché la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi dia prova di essere un tempo di grazia per la Chiesa in tutto il Continente, un tempo di rinnovamento e di nuovo impegno nella missione di portare il messaggio salvifico del Vangelo ad un mondo lacerato.

Molte delle scene di cui sono qui stato testimone mi rimarranno profondamente impresse nella memoria.

Nel Cardinal Léger Center era molto commovente osservare la cura riservata ai malati e ai disabili, alcuni tra i membri più vulnerabili della nostra società. Questa compassione simile a quella di Cristo è un segno sicuro di speranza per il futuro della Chiesa e per il futuro dell’Africa.
Il mio incontro con membri della comunità musulmana qui in Camerun è stato un altro momento culminante che porterò con me. Mentre continuiamo nel nostro cammino verso una più grande comprensione reciproca, prego affinché cresciamo anche nel vicendevole rispetto e stima e fortifichiamo la nostra decisione di collaborare per proclamare la dignità donata da Dio alla persona umana, un messaggio che un mondo in crescente secolarizzazione ha bisogno di sentire.
La ragione principale per venire in Camerun era naturalmente quella di visitare la comunità cattolica. È stata una grande gioia per me passare alcuni momenti fraterni con i Vescovi e celebrare la Liturgia della Chiesa insieme con tanti fedeli. Sono venuto qui precisamente per condividere con voi il momento storico della promulgazione dell’ Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Questo è veramente un momento di grande speranza per l’Africa e per il mondo intero.

Popolo del Camerun, vi incito a cogliere l’importanza del momento che il Signore vi ha dato! Rispondete alla sua chiamata che vi impegna a portare riconciliazione, guarigione e pace alle vostre comunità ed alla vostra società!

Operate per eliminare l’ingiustizia, la povertà e la fame ovunque le troviate! Dio benedica questo bellissimo Paese, “l’Africa in miniatura”, un Paese di promesse, un Paese di gloria. Dio benedica tutti voi!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00venerdì 20 marzo 2009 12:28
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LA CHIESA SOTTO ATTACCO

Gli attacchi concentrici a un Papa «scomodo»

Elio Maraone

«The pope is wrong» (il Papa sbaglia) nel riferirsi criticamente all’uso dei preservativi, sentenziano New York Times e Washington Post, in un singolare e significativo sincronismo che li porta a ribadi re la «consistente» efficacia del profilattico nella lotta all’Aids, specialmente in Africa. Abbiamo detto «singolare e significativo sincro nismo» perché è rara la coincidenza di giudizio fra le due maggiori testate statunitensi, due co razzate della comunicazione che sparano, a suon di editoriali, sulla navicella di San Pietro, e sul Pa pa in persona.
Lasciamo ai margini la questione della discutibile e discussa efficacia del preservativo, soprattutto se presentato come strumento principe, per non dire unico, di prevenzione, e osserviamo invece, con preoccupazione crescente, come a ritmo cre scente i media internazionali e gli stessi governi (ieri è stata la volta del primo ministro lussem burghese, il popolare Jean-Claude Juncker che si è detto «allarmato» dalle dichiarazioni del Pon tefice) e potentati, dei quali sono spesso espres sione, letteralmente si impegnino nell’aggres sione di Benedetto XVI, quasi mai argomentan dola razionalmente, ma per il semplice motivo che egli è emblema della Chiesa cattolica e av­ventura incarnata di quell’emblema.
Per dirla in altre parole, che egli fa il suo mestie re, quello del Papa, memore, come ha detto il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, che «ciascuno svolge la sua missione ed è coe rente con il suo ruolo». Scherzoso,l’'a parte' del leader della Lega Umberto Bossi, che dice: «Cer to, se tutti facessero come me, che mi tengo mia moglie... l’Aids non si diffonderebbe».

Tuttavia, l’aggressione mediatica e politica delle scorse settimane e di queste ore impressiona per inedita virulenza ed estensione, tanto da far so spettare una strategia comune, concertata da par te dei centri di potere e, parallelamente, di for mazione del consenso laicisti, secolaristi, nichi listi.

La Francia, e non è una sorpresa, guida l’ag gressione, tanto che il suo ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, non ha esitato a dire che il Pa pa «rivela poca comprensione della reale situa zione dell’Africa», mentre Le Monde, il paludato Le Monde, ha pubblicato una vignetta blasfema che vede la barca della Chiesa solcare un mare di africani, con a bordo Gesù che «dopo la molti plicazione dei pani» realizza «quella dei preservativi», ac compagnato da un rassegnato Benedet to XVI. La volgarità, in quella che è diventata u na vera battaglia mediatica, non è più un tabù, è anzi un must, come direbbero a Londra dove si stampa quel Times, un tempo signorile, che ora pubblica una vignetta raffigurante un Papa ghi gnante con in capo un preservativo al posto del la tiara. La satira deve essere libera, ma dovrebbe, cre diamo, conoscere un limite nelle sensibilità altrui, tanto più quando questa satira, come, e più in generale, la libertà di espressione, si esercitano in un Paese-isola e in un continente che formal mente avevano fatto del rispetto delle fedi un ob bligo, come insegnano le (peraltro giustificate) levate di scudi ufficiali e ufficiose contro opere an tisemite o anti-islamiche.
Per la Chiesa cattolica e il suo Pontefice questo obbligo al rispetto evi dentemente non vale più, come hanno dimo strato in questi giorni non soltanto molti media europei, ma anche burocrati tedeschi, belgi e spa gnoli.

Abbiamo insomma un panorama intellettual mente, umanamente devastato e devastante, do ve molti media e potentati (segnaliamo, tra i re centi critici del Papa, il Fondo monetario inter nazionale) si esibiscono in una sorta di tiro al pic cione cattolico, avendo sostituito la legittima pra tica del dissenso con quella dell’intimidazione, quasi che si volesse (e forse è proprio così) che la Chiesa tacesse la verità, abdicando alla propria missione di salvezza.

Con qualche eccezione (è il caso del Daily Tele graph, che dà ragione al Papa) questa infame pra tica si allarga, anche in Italia, accusando tra l’al tro il Papa, di «attentato alla vita». Peccato che la predica venga dal pulpito dei sostenitori dell’a borto inteso anche come forma di pianificazio ne familiare, e di coloro che stanno riducendo a un solo aspetto, per giunta stravolgendolo, il viag gio del Papa in Africa, ossia quello dei modi per combattere la diffusione dell’Aids. Chissà se l’Oc cidente, quell’Occidente sazio ed egoista, anche stasera, invece di pensare alle sue gravi respon sabilità nei confronti dell’Africa, andrà a letto con un solo pensiero, un solo sogno: il preservativo.

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2009


Sono fortunati, i figli del diavolo, che noi cattolici non siamo musulmani fanatici...
[SM=g7934] Sì, immaginatevi!!!! [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707] [SM=g7707]

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