+PetaloNero+
00venerdì 6 novembre 2009 15:33
L'attesa del Papa a Brescia e Concesio sulle orme di Paolo VI e Sant'Arcangelo Tadini
Sulle orme dell’amato Paolo VI, domenica prossima il Papa sarà in visita pastorale a Brescia e a Concesio luoghi che hanno visto la nascita e la formazione di Giovanni Battista Montini. La prima tappa del percorso verso la città lombarda, sarà una sosta al Santuario di Botticino Sera, comune della Valverde, che custodisce l’urna con le spoglie di Sant’Arcangelo Tadini. Le strade sono già vestite a festa con stendardi e bandierine dai colori vaticani, spiccano i manifesti di Tadini e del Papa che viene a venerare il sacerdote, canonizzato ad aprile, e che, a fine ‘800, nel perfetto spirito della Rerum Novarum, unì all’opera pastorale un’intensa attività sociale a tutela del lavoro e della famiglia. L’attesa della comunità nelle parole del parroco Don Raffaele Licini, al microfono della nostra inviata Gabriella Ceraso:
R. – Accogliere il Papa in questa nostra parrocchia è sicuramente qualcosa di irripetibile. Il Papa ci insegna come lui si fa pellegrino presso Sant’Arcangelo Tadini, anche noi dobbiamo camminare continuamente nella direzione di lui, perché il grande desiderio che aveva Tadini era che tutte le anime fossero portate in cielo.
D. – La presenza del Papa è anche per omaggiare nell’Anno Sacerdotale il sacerdote Arcangelo Tadini. Che modello di sacerdozio ha incarnato?
R. – Sant’Arcangelo è un uomo del tutto in armonia con la Chiesa: dal punto di vista della fede, della disciplina, dell’obbedienza … anzi, si dice che fosse anche abbastanza aggrappato alla tradizione. Un uomo così capace di essere in rapporto con il Signore da vedere in questo rapporto il bisogno di tutte le persone e in modo particolare di chi a quel tempo faceva fatica nella vita, organizzando quello che è stato l’impegno anche dal punto di vista lavorativo, nella costruzione della filanda e anche nel mettere accanto a queste persone che lavoravano delle suore operaie perché il lavoro fosse colto nel suo insieme nell’aspetto grande del suo valore. Non più solamente come una fucina di visioni atee verso la Chiesa, ma invece un ambiente bisognoso del fermento del Vangelo, un mondo – quindi – da incontrare più che da contrastare.
D. – Il messaggio che lascia questa figura, secondo lei, quello più forte …
R. – Lui diceva: la mia scienza è la croce. La mia forza è la stola. C’è dentro tutta la sua caratteristica di prete, ma anche di un uomo che veramente voleva far sì che l’azione del Vangelo riuscisse davvero ad entrare nel cuore di tutte le persone.
Allo scopo di evangelizzare il mondo del lavoro attraverso la condivisione della fatica, Sant’Arcangelo Tadini, nel 1900, fondò la Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, oggi presenti in Europa, America e Africa. Saranno loro, domenica, a presentare al Papa il progetto di un nuovo centro di formazione per i ragazzi del Burundi. Sentiamo suor Emma Ghidoni, madre generale della Casa di Brescia, sempre al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Ci ha chiamate lui “Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth”, quindi donne consacrate ma operaie tra le operaie, e ci ha affidato il compito di educare le lavoratrici, cioè formarle non con grandi discorsi ma dando soprattutto l’esempio nel guadagnarci il pane.
D. – Quindi, educazione ma anche evangelizzazione dei luoghi di lavoro …
R. – Dare a queste persone che lavorano il senso del lavoro cristiano, che è un modo per realizzarsi e per essere collaboratori anche nella creazione di Dio.
D. – Certo, oggi c’è anche il problema di un lavoro che manca …
R. – Questo è un problema davvero molto grande che condividiamo anche noi, perché anche noi siamo precarie: passiamo attraverso le agenzie interinali. Noi non abbiamo grandi redditi! Le nostre comunità scelgono abitazioni in quartieri popolari: facciamo pastorale giovanile, facciamo pastorale per la catechesi, eccetera. Però, la nostra specificità è quella di condividere la vita semplice delle persone.
D. – Suor Emma, Sant’Arcangelo Tadini vi ha dato come modello di vita quello della famiglia di Nazareth: perché?
R. – Perché questa bella icona ci sembra il modello più vero della vita nella sua quotidianità, come è stato per Gesù, Maria e Giuseppe per 30 anni, nel silenzio e nella semplicità.
D. – Suore Emma, voi siete presenti anche nel resto del mondo: in Inghilterra, in Brasile, molto e soprattutto in Africa, in Burundi. Ed è lì che nasce un centro di formazione nuovo il cui progetto voi volete presentare proprio al Papa. Come nasce questa idea?
R. – In Burundi la nostra comunità è stata un dono che la diocesi di Brescia aveva offerto a Paolo VI dopo il decreto sull’attività missionaria della Chiesa “ad gentes”. E lì adesso noi Suore Operaie siamo presenti: nelle piantagioni, nella lavorazione del thè … Abbiamo voluto quasi come continuità presentare al Santo Padre il dono di una nuova missione: vorremmo portare comunque avanti il nostro carisma di aiutare i giovani non solo a trovare un lavoro, ma a viverlo proprio in modo cristiano.
Benedetto XVI a Brescia per onorare la memoria di Paolo VI
Nel 30° anniversario della morte di Papa Montini
ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- L'8 novembre prossimo Benedetto XVI sarà a Brescia e a Concesio per onorare la memoria di Giovanni Battista Montini nella terra che lo vide nascere e inaugurare la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, costruita accanto alla casa natale del Pontefice defunto.
“Due Pontefici accomunati dalla loro altissima spiritualità”, ha detto il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche lui di Brescia, parlando a L'Osservatore Romano dei legami tra Joseph Ratzinger e Papa Montini, che lo creò Cardinale nel 1977.
“A unirli – ha sottolineato il porporato – è soprattutto una profonda vita interiore e una comune donazione a Cristo e alla Chiesa”, così come “la fedeltà al Concilio Vaticano II” e “l'impegno nel difendere il vero spirito del Concilio” attraverso un'ermeneutica della “continuità nel rinnovamento”.
Per entrambi, ha aggiunto, la Chiesa è “chiamata a custodire e trasmettere il depositum fidei e ad essere comunità unita dall'amore”.
Benedetto XVI era già stato a Brescia quando era ancora Cardinale il 22 marzo del 1986, per tenere una lunga conferenza sul tema “Teologia e Chiesa”, durante un incontro organizzato dalla redazione italiana della rivista cattolica internazionale “Communio”.
Il Papa arriverà intorno alle 9.30 all'aeroporto di Ghedi. Si recherà poi nella Chiesa di S. Maria Assunta, a Botticino, per una visita privata e per raccogliersi in preghiera davanti all’urna che contiene i resti di Sant'Arcangelo Tadini, il parroco bresciano che nel ‘900 fondò la Congregazione delle Suore operaie e che il 26 aprile scorso lo stesso Pontefice ha indicato a tutta la Chiesa come intercessore e modello, dichiarandolo santo.
Il Pontefice si trasferirà quindi a Brescia dove presiederà la concelebrazione eucaristica in piazza Duomo, cui seguirà la recita dell'Angelus. Nel pomeriggio farà tappa a Concesio per la visita alla casa che diede i natali a Papa Montini, l'incontro con alcuni familiari del Pontefice defunto e l'inaugurazione dell'elegante complesso architettonico – con l’archivio, la biblioteca, la Collezione Paolo VI di arte moderna e contemporanea, l’auditorium, le sale di studio e i laboratori didattici – che ospiterà la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, un tempo a Brescia.
L'allora Cardinale Ratzinger presiedette proprio il primo dei Colloqui internazionali promossi dall'Istituto, che si tenne nel 1980 a Roma sulla prima enciclica di Paolo VI, "Ecclesiam suam".
Lo stesso giorno Benedetto XVI conferirà il “Premio internazionale Paolo VI”, definito dal suo predecessore il “Nobel cattolico” e giunto alla sua sesta edizione, che verrà attribuito alla collana di fonti cristiane antiche “Sources Chrétiennes”.
In una intervista a Famiglia Cristiana, il Vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, ha detto che il viaggio del Santo Padre “è un omaggio alla fierezza della città per quel grande Papa, che mai i bresciani hanno ostentato ma che è conficcata nel cuore di ogni cittadino”, e alla sua “passione per il dialogo con il Vangelo in mano”.
"Quello che ci aspettiamo dal Papa – ha detto invece mons. Monari in un'intervista apparsa sul magazine allegato al settimanale diocesano 'La Voce del Popolo' - è che compia anche a Brescia quella che è la sua missione, ossia l'annuncio del Vangelo".
La visita del Papa, ha sottolineato, deve essere vista anche come “una conferma che il cammino che la nostra Chiesa ha fatto e ancora sta facendo è corretto, vissuto in comunione, riconosciuto come autentico dal Vescovo di Roma”.
Riflettendo poi sull'esempio di Sant’Arcangelo Tadini, il sacerdote che si battè per dare dignità al lavoro e ai lavoratori, il Vescovo si è quindi detto convinto che la cosa fondamentale che la Chiesa può fare è “quella di custodire il senso vero del lavoro”, e richiamare costantemente a “un’economia rispettosa della dignità umana, a reale servizio dell’uomo”.
Alla domanda se la presenza di Benedetto XVI potrà essere di qualche beneficio alla causa di beatificazione di Paolo VI, mons. Molinari ha risposto: “Lo spero, non tanto per la beatificazione in quanto tale, ma perché sono convinto che ci sia un tesoro di spiritualità originale nella vita di Paolo VI e che la diffusione di questo tesoro possa aiutare e arricchire la Chiesa di oggi”.
In occasione della visita, mons. Luciano Monari consegnerà a Benedetto XVI il dono della diocesi che consiste in un’offerta per le iniziative di carità del Papa, “perché – si legge in una lettera diffusa in tutta la diocesi – egli ne possa disporre a favore dei bisogni delle Chiese più povere, soprattutto le Chiese tribolate dell’Africa”.
+PetaloNero+
00sabato 7 novembre 2009 00:08
L’omaggio di Papa Ratzinger al grande Pontefice bresciano
di Renzo Allegri
ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- La visita di Papa Ratzinger a Brescia è indicata con il termine di “pastorale”, che ha vari significati religiosi, ma è impossibile dissociarla da ciò che la città lombarda richiama subito alla mente e cioè Papa Montini, Papa Paolo VI, bresciano e che alla sua città fu sempre molto legato.
Papa Montini ha governato la Chiesa dal 1963 al 1978: quindici anni, molto tormentati per l’Italia e nel mondo, ma anche molto significativi. Sul soglio di Pietro, è succeduto a Giovanni XXIII ed ha preceduto Giovanni Paolo II: due giganti nella storia del Papato. E lui, in mezzo, non è stato da meno.
E’ difficile dare un giudizio sintetico ed emblematico di questo Papa. Molti, ingannati dalla sua riservatezza, lo hanno descritto come una persona timida, riservata, chiusa in se stessa, restia a comunicare con gli altri e qualcuno lo chiamava ironicamente “Paolo mesto”. Ma attraverso le testimonianze delle persone che lo conobbero a fondo e che vissero accanto a lui si ricava un ritratto del tutto diverso.
Secondo gli storici è ancora poco conosciuto, ma tutti ritengono che la sua importanza sia stata gigantesca e lo definiscono “Papa della Chiesa”, “Papa dell’umanità”, “Papa della Pace”. E’ stato lui a inaugurare il “ministero itinerante”, esaltato poi da Karol Wojtyla. Paolo VI ha compiuto, infatti, nove pellegrinaggi fuori d’Italia, tra i quali spicca il viaggio in Terra Santa nel 1964. Nessun Pontefice, escluso San Pietro, era mai stato, prima di lui, nella terra dove nacque Gesù.
Apparteneva a un’antica famiglia lombarda: i Montini. Nacque a Concesio, in provincia di Brescia, nel 1897 e gli venne imposto il nome di Giovanni Battista. Suo padre, Giorgio, era avvocato e giornalista, e diresse per anni il battagliero giornale cattolico “Il cittadino di Brescia”. La madre, Giuditta Alghisi, si dedicò esclusivamente all’educazione dei tre figli.
Da giornalista mi sono interessato in varie occasioni di Papa Montini e lungo gli anni ho raccolto testimonianze molto significative. Eccone alcune, che certamente pochi conoscono.
Nel 1968 conobbi a Camignone, in provincia di Brescia, un signor di 89 anni che si chiamava Ezechiele Malizia. Era stato il primo maestro elementare di Paolo VI. “Avevo 24 anni quando la mamma di Giambattista Montini mi portò il suo ragazzo perché doveva cominciare la prima classe elementare”, mi raccontò. “Ero maestro al Collegio Arici, a Brescia. Conoscevo la famiglia Montini perché avevo già avuto come scolaro il fratello maggiore del Papa, Ludovico Montini. Giambattista fece con me la prima e la seconda elementare e alcuni mesi della quarta. Non l'ho mai dimenticato. Si distingueva fra tutti, e non perché fosse tranquillo: era piuttosto. come si suoi dire, una piccola peste. Il motoperpetuo. Magrolino, sparuto, sembrava avesse l’argento vivo addosso. La mamma, quando lo portò a scuola, venne a raccomandarmelo. Temeva che nessuno riuscisse a tenerlo a freno. Devo dire che faticai un po’ anch’io tanto è vero che per tenerlo a freno e perchè stesse attento alla lezioni fui costretto a farlo sedere nel primo banco, proprio davanti alla cattedra, così era continuamente sotto controllo”.
Discolo ed emotivo. Molto emotivo, al punto che l’emotività gli procurava forti disturbi di stomaco e di intestino. Dopo le elementari non potè più andare a scuola. Il ginnasio e il liceo li fece da privatista. Andava solo a dare gli esami ed era sempre il primo della classe. Nella primavera del 1969, ci fu un grave attentato terroristico alla Chiesa di Concesio, dove Montini era stato battezzato. Un attentato proprio contro di lui, come dimostrava il contenuto farneticante dei volantini lasciati dagli attentatori. Il Papa, informato dell’attentato, pianse di dolore.
In quell’occasione conobbi monsignor Francesco Galloni, che nel 1914, giovane sacerdote, era vice-parroco in quella chiesa. "La casa dei Montini distava settecento metri dalla chiesa", mi raccontò. "Tutte le sere, Giovambattista, insieme alla madre e ai fratelli, veniva in chiesa per una preghiera. Era la sua abituale passeggiata serale. Diventammo subito amici. Apparentemente, Battista era un giovane come tutti gli altri, amava stare in compagnia, ridere, scherzare ma in lui si avvertiva qualche cosa che lo rendeva diverso”.
"Credo di essere stato la prima persona cui confidò che voleva diventare sacerdote. Fu alla fine del liceo. Sapeva che io andavo ogni anno sul colle di San Genesio, sopra Lecco, in un eremo di religiosi Camaldolesi, per pregare e meditare, e chiese di venire con me. Mi pareva che stesse riflettendo per prendere una importante decisione. Arrivati, bussammo alla porta dell'eremo. Venne ad aprirci padre Matteo che io conoscevo. Chiesi ospitalità per alcuni giorni di ritiro. Padre Matteo disse che per me il posto c’era ma che la regola proibiva di far entrare nel monastero un laico, quindi niente posto per Battista. Insistetti, venne consultato anche il Superiore, niente da fare. 'Se il giovanotto vuole restare', disse il Padre Superiore, 'deve adattarsi a dormire nel ripostiglio della legna, dietro il convento; gli presteremo un pagliericcio'. 'Molto volentieri', disse Giambattista tutto felice. Ci fermammo una settimana e per tutto quel tempo, Montini, abituato a vivere in una casa signorile e con una salute delicatissima, dormì per terra, in un ripostiglio per la legna. E fu in quel ripostiglio che prese la decisione di diventare sacerdote".
Montini venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Brescia il 29 maggio del 1920. A novembre si trasferì a Roma per studiare al “Seminario Lombardo” e alla “Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici” per prepararsi alla carriera diplomatica. Tra il 1922 e il 1924 conseguì tre lauree: in Filosofia, in Diritto Canonico e in Diritto Civile. Nel 1925 venne nominato Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).
A Bergamo conobbi il dottor Ugo Galli, medico chirurgo, che a metà degli anni Venti era studente universitario a Roma e apparteneva alla FUCI. "Era un brutto periodo per noi universitari cattolici", mi racconto il dottor Galli. "Il fascismo ci aveva dichiarato guerra. Montini aveva portato nella Fuci entusiasmo giovanile e passione. Creò un gruppo misto di giovani e ragazze che lavoravano insieme nell’aiuto ai poveri. Tutte le settimane andava con loro nei quartieri di periferia, tra la gente più misera. Ma allora, nell’ambito cattolico, era impensabile che ragazzi e ragazze lavorassero insieme. Infatti, arrivarono disposizioni dall’alto e Montini dovette sciogliere il gruppo. Lo fece con dolore, ma senza alcun commento”.
"Un fucino, studente di musica, molto bravo, soffriva di esaurimento e aveva una malattia agli occhi che stava per renderlo cieco. Preso dallo sconforto, si uccise. Fu un grave dolore per tutti ma soprattutto per Montini. Appariva sconvolto ma non perse la sua calma. Informò i parenti, organizzò il funerale. Tanto fece che riuscì a ottenere il funerale religioso anche se, allora, la Chiesa negava ai suicidi le esequie religiose. Queste due iniziative fanno capire quanto grande fosse l’umanità e la sensibilità di Giambattista Montini e quanto aperta la sua visione del mondo e della vita".
Vari e straordinari episodi su Giovanni Battista Montini me li raccontò Laura Montini, prima cugina di Paolo VI, che incontrai a Brescia nel 1998. Aveva allora 79 anni ed è ancora sulla breccia. "Battista", mi disse "aveva un cuore tenerissimo, una capacità affettiva grandissima, era amante della musica, della poesia, della letteratura, della bellezza. Sempre desideroso di rendere felici gli altri. Quando veniva a cena da noi, prima di andarsene si recava sempre in cucina per ringraziare la cuoca e la cameriera”.
"Nel novembre del 1953 persi mio padre e a Natale, per dimenticare il dolore, decisi di andare a Roma. Battista era allora Segretario di Stato di Pio XII. Temevo che fosse occupatissimo, invece si mostrò felice di vedermi e volle che restassi sua ospite per diversi giorni. Furono giorni che non ho mai dimenticato. Si prese cura del mio dolore con una tenerezza paterna. Nonostante gli impegni, trascorse con me molto tempo. Nel pomeriggio di Capodanno volle accompagnarmi con la sua automobile a Ostia, per una passeggiata lungo il mare. Verso il tramonto, la luce si fece soffusa e le onde avevano colori fantastici. Di fronte a quello spettacolo della natura, vidi Battista commuoversi. Anch’io era incantata. Ma lui era rapito, emozionato tanto da non riuscire a parlare”.
"Quando ripartii per Brescia, mi consegnò una busta con dentro molti soldi e un biglietto in cui diceva: 'Questi soldi sono per i tuoi poveri'. L’amore per i poveri è un aspetto della sua vita che pochi conoscono. Fin da quando era un ragazzo aveva per i poveri un amore sconfinato. Li aiutava in tutti i modi. Regalava loro tutto quello che poteva, e lo faceva sempre di nascosto".
+PetaloNero+
00sabato 7 novembre 2009 15:13
Il Papa a Brescia: il programma della visita
E’ tutto pronto a Brescia, Concesio e Botticino Sera per l’arrivo del Papa, domani, alla sua prima visita pastorale nella terra di Paolo VI, a trent’anni dalla morte, e di Sant’Arcangelo Tadini. Un lungo percorso scandito da momenti di grande intensità spirituale. Piazze e strade sono vestite dei colori vaticani, bianco e giallo, e le composizioni floreali e i manifesti dicono “grazie” al Papa pellegrino. Il servizio della nostra inviata a Brescia Gabriella Ceraso:
Oggi un timido sole riscalda Brescia e la sua provincia allontanando per un po’ l’unica variante quasi certa sulla giornata di domani, la pioggia. Ma in realtà neanche questo turba l’attesa della festa. La domenica col Papa sarà comunque l’abbraccio gioioso dei 50mila. In tanti, infatti, secondo il vescovado, parteciperanno all'evento. Luogo d’incontro, le 3 tappe principali, ma anche il lungo percorso di oltre 30 km in papa-mobile, animato in ogni tratto da 473 parrocchie e sotto lo sguardo di 2700 volontari. Dopo l’arrivo allo scalo militare di Ghedi alle 9.30, il primo bagno di folla è nel comune del marmo, Botticino Sera, dove il Papa, che si inginocchia davanti le spoglie di Sant'Arcangelo Tadini, iniziatore della Mutua operaia, è vissuto come un evento straordinario. Intorno alle 10 quindi l’arrivo in piazza Paolo VI, cuore della diocesi di Brescia, per la concelebrazione eucaristica e la recita dell’Angelus. Quattro i maxischermi montati nel centro storico: solo 12mila però, per motivi di spazio, le presenze davanti al grande palco bianco sul sagrato del Duomo. Un colpo d’occhio per un luogo che, tra edifici e chiese, narra la storia di una fede millenaria e di una intensa passione civile. Ultima tappa della giornata, il pomeriggio, a Concesio, nella Valtrompia. Qui il ricordo di Paolo VI, filo conduttore della visita, si fa realtà. Nulla è cambiato nella casa natale e al fonte battesimale di Giovan Battista Montini, a Sant’Antonino, dove ad attendere il Papa ci saranno oltre 300 fedeli, per un tuffo nella memoria al lontano settembre 1897. Ma a Concesio c’è anche lo scrigno con l’eredità del Papa bresciano, timoniere della Chiesa post-conciliare: è la nuova sede dell’Istituto Paolo VI che il Santo Padre viene ad inaugurare, conferendo il premio - che porta il nome di Montini - alla collana patristica francese “Sources Chrétiennes” per il contributo dato alla comprensione della tradizione cristiana. Fede e cultura si uniscono dunque in questa visita e nel ricordo di Paolo VI, che, a dieci anni dalla presenza del Papa polacco, Benedetto XVI viene a confermare suo predecessore in un magistero dalla straordinaria attualità.
Mons. Monari: Brescia, città tra forte tradizione cristiana e secolarismo. Interviste col sindaco e i giovani
Una colletta per le Chiese più povere soprattutto dell’Africa. E’ il dono che la diocesi di Brescia ha preparato per il Papa e che gli consegnerà per mano del vescovo Luciano Monari all’arrivo in Piazza Paolo VI. “Un gesto concreto di carità collettiva” ha spiegato il presule, “per ricambiare il momento di grazia che Benedetto XVI ci concede con la sua presenza”. Ma quali i significati attribuiti a questa giornata dalla Chiesa bresciana? Gabriella Ceraso lo ha chiesto allo stesso mons. Monàri:
R. – Il primo è naturalmente quello della comunione che ci lega con la Chiesa di Roma. Che venga il Papa di Roma a parlare a noi vuol dire il riconoscimento del cammino della Chiesa bresciana come autentica Chiesa cattolica e vuol dire anche accogliere, dalla voce del Successore di Pietro, l’annuncio del Vangelo con un’energia ed una luminosità particolare. Questo è il primo, grande significato. Il secondo è la memoria di Paolo VI, al quale siamo particolarmente affezionati. Vorremmo riuscire a dare una testimonianza di fede, che sia in qualche modo degna del Papa che abbiamo avuto.
D. – Qual è il clima che si è creato ed anche le attese di tutta la comunità?
R. – Il clima è quello dell’ospitalità gioiosa e semplice per poter riconoscere nel Papa una persona che sta vivendo con impegno e con una grande fedeltà il Vangelo nel confronto con le sfide che la cultura di oggi pone.
D. – Qual è la comunità che troverà il Papa, quali le peculiarità ma anche le sfide?
R. – Il Papa trova una Chiesa che ha una tradizione cristiana molto forte e soprattutto una tradizione d’impegno anche laicale nella società, nella scuola, nella sanità. Trova una città che ha i problemi del confronto con la pluralità delle culture, perché da noi ci sono tantissimi immigrati. C’è poi il problema fondamentale della secolarizzazione che è proprio del nostro mondo contemporaneo.
D. – La terra bresciana è anche terra di forti attività economiche, di lavoro. In tal senso la stessa “Caritas in veritate” ha dato forte peso allo sviluppo umano integrale. Sotto questo profilo, cosa si augura che possa anche lasciare il Papa?
R. – Che ci aiuti a comprendere lo sviluppo umano in tutta la sua ricchezza, perché è uno sviluppo che comporta sviluppo economico e tecnologico, ma è uno sviluppo che richiede soprattutto una crescita di umanità, quindi di capacità dell’uomo di gestire gli strumenti che ha a disposizione, avendo degli scopi, creando dei legami di comunione e di fraternità con gli altri, sviluppando un senso di responsabilità.
D. – Chi ci sarà in Piazza Paolo VI ad accogliere il Papa?
R. – Abbiamo tentato di far entrare i rappresentanti di tutte le realtà che ci sono nella diocesi. Speriamo che questo sia percepito proprio per quello che vuole essere, cioè il segno di una comunione che lega tutti.
Anche la società civile e le sue istituzioni lavorano da mesi alla preparazione di questa visita. Festoso e rinnovato appare il volto del centro storico lungo il percorso della papamobile. ”Attendiamo un Pontefice il cui magistero ci richiama alla centralità delle radici cristiane” ha detto il sindaco Adriano Paròli, non nascondendo che la preparazione non riguarda solo i lavori pubblici. Sentiamolo al microfono della nostra inviata Gabriella Ceraso.
R. – Ci sono una serie di opere che si stanno affrontando, perché l’accoglienza sia fatta con la massima sicurezza. E’ chiaro che la preparazione anche spirituale è un evento per la città e richiama certamente il Papa bresciano, Paolo VI. Però l’insegnamento e il magistero di Papa Ratzinger saranno al centro di questa visita, di tutti coloro che parteciperanno e che si aspettano molto. E’ certamente uno di quei momenti che lascia il segno, che dà la possibilità di fare quei passi che la città e la comunità chiedono.
D. – C’è una gloriosa tradizione che ha Brescia, in cui si intreccia l’impegno civico, l’impegno culturale, ma anche l’ardore della fede. E’ rimasta questa eredità?
R. – Brescia ha questa grande capacità, da un lato di accoglienza, dall’altro di condivisione. Il volontariato, come terzo settore, è una presenza fatta di grande coscienza. Alla fine l’uomo non è solo e non può costruire da sé il proprio futuro e il proprio presente. Con questa coscienza stiamo guardando alla venuta del Papa e speriamo di poter davvero far tesoro della presenza del Pontefice.
Ad attendere il Papa in Piazza Duomo a Brescia ci saranno anche i giovani. 2500 circa troveranno posto nel settore vicino al passaggio della papa mobile, in 130 invece dagli Oratori e dalla parrocchie della provincia si occuperanno dell’accoglienza dei pellegrini. Sentiamo le loro emozioni al microfono di Gabriella Ceraso.
R. – Noi cerchiamo di esserci, a prescindere dal fatto che sia una cosa fatta apposta per noi. Anche alla luce di quello che diceva prima Giovanni Paolo II delle sentinelle del mattino e di quello che dice adesso Benedetto XVI, è implicito che comunque noi ci siamo.
D. – Le emozioni, le sensazioni, i sentimenti in questo momento?
R. – Chi viene è una persona carismatica. E’ un’attesa di parole di conforto, parole di fratellanza, soprattutto in un periodo un poco grigio come quello che stiamo vivendo, di crisi economica e di insicurezza sociale. Per cui è speranza in parole di aiuto, di conforto allo spirito.
D. – C’è qualcosa in particolare, una parola proprio per voi, qualcosa che vi può aiutare anche ad andare avanti?
R. – Una parola di fiducia nei confronti dei giovani, perché penso che quando uno sente che qualcuno ha fiducia in lui tira fuori anche le qualità nascoste e con coraggio affronta le situazioni, i momenti difficili.
D. – Perché avete scelto di vivere insieme queste ultime ore?
R. – Noi, facendo un servizio di accoglienza all’interno della piazza, durante la celebrazione, abbiamo deciso di trovarci insieme in modo tale da potere rappresentare il volto giovane e comunque festante della diocesi a chi arriva in piazza per sentire la voce del Papa.
D. – Le tue sensazioni oggi...in attesa di...
R. – ...di aspettare il momento, di aspettare la domenica e cercare di vivere questo giorno con gli altri volontari nel migliore dei modi, per accrescere ancora la mia fede, la mia speranza e donare il mio sorriso ai pellegrini che arriveranno in piazza.
D. – Questa visita si svolge nel segno di Paolo VI. Che cosa rappresenta per voi questa figura?
R. – La figura di Paolo VI, specialmente per i giovanissimi, al di là di un retaggio storico, è difficile da inquadrare. Però, proprio alla luce di quello che è stato il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, si sta scoprendo, o meglio riscoprendo, la figura di questo Papa, come sicuramente un precursore dei tempi, un Papa con uno sguardo sul futuro, attento a problematiche che oggi la Chiesa si sta trovando effettivamente ad affrontare.(Montaggio a cura di Maria Brigini)
+PetaloNero+
00lunedì 9 novembre 2009 00:42
Discorso del Papa in visita alla parrocchia Sant'Antonino di Concesio
Dove il futuro Paolo VI venne battezzato nel 1897
CONCESIO, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questa domenica pomeriggio visitando a Concesio la chiesa parrocchiale di Sant'Antonino, nella quale Giovanni Battista Montini venne battezzato il 30 settembre 1897.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Con questo incontro si chiude la Visita pastorale a Brescia, terra natale del mio venerato Predecessore Paolo VI. Ed è per me un vero piacere concluderla proprio qui, a Concesio, dove egli nacque ed iniziò la sua lunga e ricca vicenda umana e spirituale. Ancor più significativo - anzi emozionante - è sostare in questa vostra chiesa che è stata anche la sua chiesa. Qui, il 30 settembre 1897, egli ricevette il Battesimo e chi sa quante volte vi è tornato a pregare; qui, probabilmente, ha meglio compreso la voce del divino Maestro che lo ha chiamato a seguirlo e lo ha condotto, attraverso varie tappe, sino ad essere suo Vicario in terra. Qui risuonano ancora le ispirate parole che, diventato Cardinale, Giovanni Battista Montini pronunciò cinquant'anni fa, il 16 agosto 1959, quando tornò a questo suo fonte battesimale. "Qui sono diventato cristiano - egli disse - ; sono diventato figlio di Dio, ho avuto il dono della fede" (G.B. Montini, Discorsi e Scritti Milanesi, II, p. 3010). Ricordandolo mi piace salutare con affetto tutti voi suoi compaesani, il vostro Parroco e il Sindaco insieme al Pastore della diocesi, Mons. Luciano Monari, e a quanti hanno voluto essere presenti a questo breve eppure intenso momento di intimità spirituale.
"Qui sono diventato cristiano... ho avuto il dono della fede". Cari amici, permettete che colga questa occasione per richiamare, partendo proprio dall'affermazione di Papa Montini e riferendomi ad altri suoi interventi, l'importanza del Battesimo nella vita di ogni cristiano. Il Battesimo - egli afferma - può dirsi "il primo e fondamentale rapporto vitale e soprannaturale fra la Pasqua del Signore e la Pasqua nostra" (Insegnamenti IV, [1966], 742), è il Sacramento mediante il quale avviene "la trasfusione del mistero della morte e risurrezione di Cristo nei suoi seguaci" (Insegnamenti XIV, [1976], 407), è il Sacramento che inizia al rapporto di comunione con Cristo. "Per mezzo del Battesimo - come dice San Paolo - siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti..., così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Paolo VI amava sottolineare la dimensione cristocentrica del Battesimo, con cui ci siamo rivestiti di Cristo, con cui entriamo in comunione vitale con Lui e a Lui apparteniamo.
In tempi di grandi mutamenti all'interno della Chiesa e nel mondo, quante volte Paolo VI ha insistito su questa necessità di restare saldi nella comunione vitale con Cristo! Solo così infatti si diventa membri della sua famiglia che è la Chiesa. Il Battesimo - egli annotava - è la "porta attraverso la quale gli uomini entrano nella Chiesa" (Insegnamenti XII, [1974], 422), è il Sacramento con cui si diventa "fratelli di Cristo e membra di quella umanità, destinata a far parte del suo Corpo mistico e universale, che si chiama la Chiesa" (Insegnamenti XIII, [1975], 308). L'uomo rigenerato dal Battesimo, Dio lo rende partecipe della sua stessa vita, e "il battezzato può efficacemente tendere a Dio-Trinità, suo fine ultimo, a cui è ordinato, allo scopo di avere parte alla sua vita e al suo amore infinito" (Insegnamenti XI, [1973], 850).
Cari fratelli e sorelle, vorrei tornare idealmente alla visita a questa vostra chiesa parrocchiale che l'allora Arcivescovo di Milano fece 50 anni or sono. Ricordando il suo Battesimo, si interrogava su come aveva custodito e vissuto questo grande dono del Signore, e, pur riconoscendo di non averlo né compreso abbastanza, né abbastanza assecondato, confessava: "Vi voglio dire che la fede che ho ricevuto in questa chiesa col sacramento del Santo Battesimo è stata per me la luce della vita... la lampada della mia vita" (Op. cit., pp. 3010.3011). Facendo eco alle sue parole, ci potremmo domandare: "Come vivo io il mio Battesimo? Come faccio esperienza del cammino di vita nuova di cui parla san Paolo?". Nel mondo in cui viviamo - per usare ancora un'espressione dell'Arcivescovo Montini - spesso c'è "una nube che ci toglie la contentezza di vedere con serenità il cielo divino... c'è la tentazione di credere che la fede sia un vincolo, una catena da cui bisogna sciogliersi, che sia una cosa antica se non sorpassata, che non serve" (ibid., p. 3012), per cui l'uomo pensa che basti "la vita economica e sociale per dare una risposta a tutte le aspirazioni del cuore umano" (ibid.). A questo riguardo, quanto mai eloquente è invece l'espressione di sant'Agostino, il quale scrive nelle Confessioni che il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Dio (cfr I,1). Solo se trova la luce che lo illumina e gli dà pienezza di significato l'essere umano è veramente felice. Questa luce è la fede in Cristo, dono che si riceve nel Battesimo, e che va riscoperta costantemente per essere trasmessa agli altri.
Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dono immenso ricevuto il giorno in cui siamo stati battezzati! In quel momento Cristo ci ha legati per sempre a sé, ma, da parte nostra, continuiamo a restare uniti a Lui attraverso scelte coerenti con il Vangelo? Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell'edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni. Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all'interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell'individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo! Ci aiuti dal Cielo Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, che il Servo di Dio Paolo VI ha amato e onorato con grande devozione. Vi sono ancora grato per la vostra accoglienza, cari fratelli e sorelle, e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, a tutti imparto di cuore una speciale benedizione.
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Benedetto XVI: la risposta di Paolo VI all'"emergenza educativa"
Inaugurazione della nuova sede dell'Istituto dedicato a quel Papa
BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato dal Papa questa domenica pomeriggio nell'Auditorium "Vittorio Montini" di Brescia per l'inaugurazione della nuova sede dell'Istituto Paolo VI e l'assegnazione del VI Premio Internazionale Paolo VI (Premio per l'Educazione).
* * *
Signor Cardinale,
venerati Fratelli Vescovi e sacerdoti,
cari amici,
vi ringrazio cordialmente per avermi invitato a inaugurare la nuova sede dell'Istituto dedicato a Paolo VI, costruita accanto alla sua casa natale. Saluto ognuno di voi con affetto, ad iniziare dai Signori Cardinali, i Vescovi, le Autorità e le Personalità presenti. Un saluto particolare rivolgo al presidente Giuseppe Camadini, grato per le cortesi parole che mi ha indirizzato, illustrando le origini, lo scopo e le attività dell'Istituto. Prendo parte volentieri alla solenne cerimonia del "Premio internazionale Paolo VI", assegnato quest'anno alla collana francese "Sources Chrétiennes". Una scelta dedicata all'ambito educativo, che intende porre in rilievo - come è stato ben sottolineato - l'impegno profuso da questa storica collana, fondata nel 1942, tra gli altri, da Henri De Lubac e Jean Daniélou, per una rinnovata scoperta delle fonti cristiane antiche e medioevali. Ringrazio il Direttore Bernard Meunier per il saluto che mi ha rivolto. Colgo questa propizia occasione per incoraggiarvi, cari amici, a porre sempre più in luce la personalità e la dottrina di questo grande Pontefice, non tanto dal punto di vista agiografico e celebrativo, quanto piuttosto - e questo è stato giustamente rimarcato - nel segno della ricerca scientifica, per offrire un apporto alla conoscenza della verità e alla comprensione della storia della Chiesa e dei Pontefici del secolo XX. Nella misura in cui è meglio conosciuto, il Servo di Dio Paolo VI viene sempre più apprezzato e amato. Mi ha unito al grande Papa un legame di affetto e devozione sin dagli anni del Concilio Vaticano II. Come non ricordare che nel 1977 è stato proprio Paolo VI ad affidarmi la cura pastorale della diocesi di Monaco, creandomi anche Cardinale? Sento di dover a questo grande Pontefice tanta gratitudine per la stima che ha manifestato nei miei confronti in diverse occasioni.
Mi piacerebbe, in questa sede, approfondire i diversi aspetti della sua personalità; limiterò però le mie considerazioni a un solo tratto del suo insegnamento, che mi pare di grande attualità e in sintonia con la motivazione del Premio di quest'anno, e cioè la sua capacità educativa. Viviamo in tempi nei quali si avverte una vera "emergenza educativa". Formare le giovani generazioni, dalle quali dipende il futuro, non è mai stato facile, ma in questo nostro tempo sembra diventato ancor più complesso. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e coloro che rivestono dirette responsabilità educative. Si vanno diffondendo un'atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori. Occorre allora trasmettere alle future generazioni qualcosa di valido, delle regole solide di comportamento, indicare alti obiettivi verso i quali orientare con decisione la propria esistenza. Aumenta la domanda di un'educazione capace di farsi carico delle attese della gioventù; un'educazione che sia innanzitutto testimonianza e, per l'educatore cristiano, testimonianza di fede.
Mi viene in mente, in proposito, questa incisiva frase programmatica di Giovanni Battista Montini scritta nel 1931: "Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità... Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità" (Spiritus veritatis, in Colloqui religiosi, Brescia 1981, p. 81). Tale testimonianza - annotava Montini nel 1933 - è resa impellente dalla costatazione che "nel campo profano, gli uomini di pensiero, anche e forse specialmente in Italia, non pensano nulla di Cristo. Egli è un ignoto, un dimenticato, un assente, in gran parte della cultura contemporanea" (Introduzione allo studio di Cristo, Roma 1933, p. 23). L'educatore Montini, studente e sacerdote, Vescovo e Papa, avvertì sempre la necessità di una presenza cristiana qualificata nel mondo della cultura, dell'arte e del sociale, una presenza radicata nella verità di Cristo, e, al tempo stesso, attenta all'uomo e alle sue esigenze vitali.
Ecco perché l'attenzione al problema educativo, la formazione dei giovani, costituisce una costante nel pensiero e nell'azione di Montini, attenzione che gli deriva anche dall'ambiente familiare. Egli è nato in una famiglia appartenente al cattolicesimo bresciano dell'epoca, impegnato e fervente in opere, ed è cresciuto alla scuola del padre Giorgio, protagonista di importanti battaglie per l'affermazione della libertà dei cattolici nell'educazione. In uno dei primi scritti dedicato alla scuola italiana, Giovanni Battista Montini osservava: "Non domandiamo altro che un po' di libertà per educare come vogliamo quella gioventù che viene al cristianesimo attratta dalla bellezza della sua fede e delle sue tradizioni" (Per la nostra scuola: un libro del prof. Gentile, in Scritti giovanili, Brescia 1979, p. 73). Montini è stato un sacerdote di grande fede e di ampia cultura, una guida di anime, un acuto indagatore del "dramma dell'esistenza umana". Generazioni di giovani universitari hanno trovato in lui, come Assistente della FUCI, un punto di riferimento, un formatore di coscienze, capace di entusiasmare, di richiamare al compito di essere testimoni in ogni momento della vita, facendo trasparire la bellezza dell'esperienza cristiana. Sentendolo parlare - attestano i suoi studenti di allora - si percepiva il fuoco interiore che dava anima alle sue parole, in contrasto con un fisico che appariva fragile.
Uno dei fondamenti della proposta formativa dei circoli universitari della FUCI da lui guidati consisteva nel tendere all'unità spirituale della personalità dei giovani: "non scompartimenti stagni separati nell'anima - egli diceva -, cultura da una parte, e fede dall'altra; scuola da un lato, Chiesa dall'altro. La dottrina, come la vita, è unica" (Idee=Forze, in Studium 24 [1928], p. 343). In altri termini, per Montini erano essenziali la piena armonia e l'integrazione tra la dimensione culturale e religiosa della formazione, con particolare accento sulla conoscenza della dottrina cristiana, e i risvolti pratici della vita. Proprio per questo, fin dal principio della sua attività, nel circolo romano della FUCI, unitamente ad un serio impegno spirituale e intellettuale, egli promosse per gli universitari iniziative caritative al servizio dei poveri, con la conferenza di San Vincenzo. Non separava mai quella che in seguito definirà "carità intellettuale" dalla presenza sociale, dal farsi carico del bisogno degli ultimi. In tal modo, gli studenti venivano educati a scoprire la continuità tra il rigoroso dovere dello studio e le missioni concrete tra i baraccati. "Crediamo - scriveva - che il cattolico non è il tormentato da centomila problemi sia pure d'ordine spirituale... No! Il cattolico è colui che ha la fecondità della sicurezza. Ed è così che, fedele alla sua fede, può guardare al mondo non come ad un abisso di perdizione, ma come a un campo di messe" (La distanza dal mondo, in Azione Fucina, 10 febbraio 1929, p. 1).
Giovanni Battista Montini insisteva sulla formazione dei giovani, per renderli capaci di entrare in rapporto con la modernità, un rapporto, questo, difficile e spesso critico, ma sempre costruttivo e dialogico. Della cultura moderna sottolineava alcune caratteristiche negative, sia nel campo della conoscenza che in quello dell'azione, come il soggettivismo, l'individualismo e l'affermazione illimitata del soggetto. Allo stesso tempo, però, riteneva necessario il dialogo a partire sempre da una solida formazione dottrinale, il cui principio unificante era la fede in Cristo; una "coscienza" cristiana matura, dunque, capace di confronto con tutti, senza però cedere alle mode del tempo. Da Pontefice, ai Rettori e Presidi delle Università della Compagnia di Gesù ebbe a dire che "il mimetismo dottrinale e morale non è certo conforme allo spirito del Vangelo". "Del resto coloro che non condividono le posizioni della Chiesa - aggiunse - chiedono a noi estrema chiarezza di posizioni, per poter stabilire un dialogo costruttivo e leale". E pertanto il pluralismo culturale e il rispetto non debbono far "mai perdere di vista al cristiano il suo dovere di servire la verità nella carità, di seguire quella verità di Cristo che, sola, dà la vera libertà" (cfr Insegnamenti XIII, [1975], 817).
Per Papa Montini il giovane va educato a giudicare l'ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un "pensiero forte" capace di un "agire forte", evitando il pericolo, che talora si corre, di anteporre l'azione al pensiero e di fare dell'esperienza la sorgente della verità. Ebbe ad affermare in proposito: "L'azione non può essere luce a se stessa. Se non si vuole curvare l'uomo a pensare come egli agisce, bisogna educarlo ad agire com'egli pensa. Anche nel mondo cristiano, dove l'amore, la carità hanno importanza suprema, decisiva, non si può prescindere dal lume della verità, che all'amore presenta i suoi fini e i suoi motivi" (Insegnamenti II, [1964], 194).
Cari amici, gli anni della FUCI, difficili per il contesto politico dell'Italia, ma entusiasmanti per quei giovani che riconobbero nel Servo di Dio una guida e un educatore, rimasero impressi nella personalità di Paolo VI. In lui, Arcivescovo di Milano e poi Successore dell'apostolo Pietro, mai vennero meno l'anelito e la preoccupazione per il tema dell'educazione. Lo attestano i numerosi suoi interventi dedicati alle nuove generazioni, in momenti burrascosi e travagliati, come il Sessantotto. Con coraggio, indicò la strada dell'incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle aspirazioni dei giovani, divenuti vittime dell'ideologia. "Voi, giovani d'oggi - egli ripeteva -, siete talora ammaliati da un conformismo, che può diventare abituale, un conformismo che piega inconsciamente la vostra libertà al dominio automatico di correnti esterne di pensiero, di opinione, di sentimento, di azione, di moda: e poi, così presi da un gregarismo che vi dà l'impressione d'essere forti, diventate qualche volta ribelli in gruppo, in massa, senza spesso sapere perché". "Ma poi - notava ancora - se voi acquistate coscienza di Cristo, e a Lui aderite... avviene che diventate interiormente liberi... saprete perché e per chi vivere... E nello stesso tempo, cosa meravigliosa, sentirete nascere in voi la scienza dell'amicizia, della socialità, dell'amore. Non sarete degli isolati" (Insegnamenti VI, [1968], 117-118).
Paolo VI definì se stesso "vecchio amico dei giovani": sapeva riconoscere e condividere il loro tormento quando si dibattono tra la voglia di vivere, il bisogno di certezza, l'anelito all'amore, e il senso di smarrimento, la tentazione dello scetticismo, l'esperienza della delusione. Aveva imparato a comprenderne l'animo e ricordava che l'indifferenza agnostica del pensiero attuale, il pessimismo critico, l'ideologia materialista del progresso sociale non bastano allo spirito, aperto a ben altri orizzonti di verità e di vita (cfr Insegnamenti XII, [1974], 642). Oggi, come allora, emerge nelle nuove generazioni una ineludibile domanda di significato, una ricerca di rapporti umani autentici. Diceva: "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni" (Insegnamenti XIII, [1975], 1458-1459). Maestro di vita e coraggioso testimone di speranza è stato questo mio venerato Predecessore, non sempre capito, anzi più di qualche volta avversato e isolato da movimenti culturali allora dominanti. Ma, solido anche se fragile fisicamente, ha condotto senza tentennamenti la Chiesa; non ha perso mai la fiducia nei giovani, rinnovando loro, e non solo a loro, l'invito a fidarsi di Cristo e a seguirlo sulla strada del Vangelo.
Cari amici, ancora una volta grazie per avermi dato l'opportunità di respirare, qui, nel suo paese natale e in questi luoghi pieni di ricordi della sua famiglia e della sua infanzia, il clima nel quale ebbe a formarsi il Servo di Dio Paolo VI, il Papa del Concilio Vaticano II e del dopo Concilio. Qui tutto parla della ricchezza della sua personalità e della sua vasta dottrina. Qui ci sono significative memorie anche di altri Pastori e protagonisti della storia della Chiesa del secolo passato, come ad esempio il Cardinale Bevilacqua, il Vescovo Carlo Manziana, Mons. Pasquale Macchi, suo fidato segretario particolare, Padre Paolo Caresana. Auspico di cuore che l'amore di questo Papa per i giovani, l'incoraggiamento costante ad affidarsi a Gesù Cristo - invito ripreso da Giovanni Paolo II e che anch'io ho voluto rinnovare proprio all'inizio del mio Pontificato - venga percepito dalle nuove generazioni. Per questo assicuro la mia preghiera, mentre benedico voi tutti qui presenti, le vostre famiglie, il vostro lavoro e le iniziative dell'Istituto Paolo VI.
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Omelia del Papa nella concelebrazione eucaristica a Brescia
17ma visita apostolica di Benedetto XVI in Italia
BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI presiedendo questa domenica mattina in Piazza Paolo VI a Brescia la concelebrazione eucaristica in occasione della sua visita alla città e a Concesio, luogo natale di Papa Montini.
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Cari fratelli e sorelle!
È grande la mia gioia nel poter spezzare con voi il pane della Parola di Dio e dell'Eucaristia, qui, nel cuore della Diocesi di Brescia, dove nacque ed ebbe la formazione giovanile il servo di Dio Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza! Ringrazio in particolare il Vescovo, Mons. Luciano Monari, per le espressioni che mi ha rivolto all'inizio della celebrazione, e con lui saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, e tutti gli operatori pastorali. Ringrazio il Sindaco per le sue parole e per il suo dono, e le altre Autorità civili e militari. Un pensiero speciale rivolgo agli ammalati che si trovano all'interno del Duomo.
Al centro della Liturgia della Parola di questa domenica - la 32.ma del Tempo Ordinario - troviamo il personaggio della vedova povera, o, più precisamente, troviamo il gesto che ella compie gettando nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. Un gesto che, grazie allo sguardo attento di Gesù, è diventato proverbiale: "l'obolo della vedova", infatti, è sinonimo della generosità di chi dà senza riserve il poco che possiede. Prima ancora, però, vorrei sottolineare l'importanza dell'ambiente in cui si svolge tale episodio evangelico, cioè il Tempio di Gerusalemme, centro religioso del popolo d'Israele e il cuore di tutta la sua vita. Il Tempio è il luogo del culto pubblico e solenne, ma anche del pellegrinaggio, dei riti tradizionali, e delle dispute rabbiniche, come quelle riportate nel Vangelo tra Gesù e i rabbini di quel tempo, nelle quali, però, Gesù insegna con una singolare autorevolezza, quella del Figlio di Dio. Egli pronuncia giudizi severi - come abbiamo sentito - nei confronti degli scribi, a motivo della loro ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano. Gesù, insomma, si dimostra affezionato al Tempio come casa di preghiera, ma proprio per questo lo vuole purificare da usanze improprie, anzi, vuole rivelarne il significato più profondo, legato al compimento del suo stesso Mistero, il Mistero della Sua morte e risurrezione, nella quale Egli stesso diventa il nuovo e definitivo Tempio, il luogo dove si incontrano Dio e l'uomo, il Creatore e la Sua creatura.
L'episodio dell'obolo della vedova si inscrive in tale contesto e ci conduce, attraverso lo sguardo stesso di Gesù, a fissare l'attenzione su un particolare fuggevole ma decisivo: il gesto di una vedova, molto povera, che getta nel tesoro del Tempio due monetine. Anche a noi, come quel giorno ai discepoli, Gesù dice: Fate attenzione! Guardate bene che cosa fa quella vedova, perché il suo atto contiene un grande insegnamento; esso, infatti, esprime la caratteristica fondamentale di coloro che sono le "pietre vive" di questo nuovo Tempio, cioè il dono completo di sé al Signore e al prossimo; la vedova del Vangelo, come anche quella dell'Antico Testamento, dà tutto, dà se stessa, e si mette nelle mani di Dio, per gli altri. È questo il significato perenne dell'offerta della vedova povera, che Gesù esalta perché ha dato più dei ricchi, i quali offrono parte del loro superfluo, mentre lei ha dato tutto ciò che aveva per vivere (cfr Mc 12,44), e così ha dato se stessa.
Cari amici! A partire da questa icona evangelica, desidero meditare brevemente sul mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande Papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita. La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l'oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio. Come dice la Lettera agli Ebrei - anche nel testo che abbiamo ascoltato - a Dio è bastato il sacrificio di Gesù, offerto "una volta sola", per salvare il mondo intero (cfr Eb 9,26.28), perché in quell'unica oblazione è condensato tutto l'Amore del Figlio di Dio fattosi uomo, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l'amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall'Eucaristia, dall'autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo. Sono lieto che stiate approfondendo la natura eucaristica della Chiesa, guidati dalla Lettera pastorale del vostro Vescovo.
È questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le sue forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo Pensiero alla morte, là dove, nella parte conclusiva, parla della Chiesa. "Potrei dire - scrive - che sempre l'ho amata ... e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse". Sono gli accenti di un cuore palpitante, che così prosegue: "Vorrei finalmente comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei - continua il Papa - abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla". E le ultime parole sono per lei, come alla sposa di tutta la vita: "E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo".
Che cosa si può aggiungere a parole così alte ed intense? Soltanto vorrei sottolineare quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev'essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea. L'incontro e il dialogo della Chiesa con l'umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore a Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita, dai primi anni di sacerdozio fino al Pontificato. Egli ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l'uomo contemporaneo possa incontrare Lui, Cristo, perché di Lui ha assoluto bisogno. Questo è l'anelito di fondo del Concilio Vaticano II, a cui corrisponde la riflessione del Papa Paolo VI sulla Chiesa. Egli volle esporne programmaticamente alcuni punti salienti nella sua prima Enciclica, Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964, quando ancora non avevano visto la luce le Costituzioni conciliari Lumen gentium e Gaudium et spes.
Con quella prima Enciclica il Pontefice si proponeva di spiegare a tutti l'importanza della Chiesa per la salvezza dell'umanità e, al tempo stesso, l'esigenza che tra la Comunità ecclesiale e la società si stabilisca un rapporto di mutua conoscenza e di amore (cfr Enchiridion Vaticanum, 2, p. 199, n. 164). "Coscienza", "rinnovamento", "dialogo": queste le tre parole scelte da Paolo VI per esprimere i suoi "pensieri" dominanti - come lui li definisce - all'inizio del ministero petrino, e tutt'e tre riguardano la Chiesa. Anzitutto, l'esigenza che essa approfondisca la coscienza di se stessa: origine, natura, missione, destino finale; in secondo luogo, il suo bisogno di rinnovarsi e purificarsi guardando al modello che è Cristo; infine, il problema delle sue relazioni con il mondo moderno (cfr ibid., pp. 203-205, nn. 166-168). Cari amici - e mi rivolgo in modo speciale ai Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio -, come non vedere che la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l'hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l'oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall'altra? La riflessione di Papa Montini sulla Chiesa è più che mai attuale; e più ancora è prezioso l'esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo. "Il mistero della Chiesa - leggiamo sempre nell'Enciclica Ecclesiam suam - non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev'essere un fatto vissuto, in cui ancora prima di una sua chiara nozione l'anima fedele può avere quasi connaturata esperienza" (ibid., p 229, n. 178). Questo presuppone una robusta vita interiore, che è - così continua il Papa - "la grande sorgente della spiritualità della Chiesa, modo suo proprio di ricevere le irradiazioni dello Spirito di Cristo, espressione radicale e insostituibile della sua attività religiosa e sociale, inviolabile difesa e risorgente energia nel suo difficile contatto col mondo profano" (ibid., p. 231, n. 179). Proprio il cristiano aperto, la Chiesa aperta al mondo hanno bisogno di una robusta vita interiore.
Carissimi, che dono inestimabile per la Chiesa la lezione del Servo di Dio Paolo VI! E com'è entusiasmante ogni volta rimettersi alla sua scuola! È una lezione che riguarda tutti e impegna tutti, secondo i diversi doni e ministeri di cui è ricco il Popolo di Dio, per l'azione dello Spirito Santo. In questo Anno Sacerdotale mi piace sottolineare come essa interessi e coinvolga in modo particolare i sacerdoti, ai quali Papa Montini riservò sempre un affetto e una sollecitudine speciali. Nell'Enciclica sul celibato sacerdotale egli scrisse: "«Preso da Cristo Gesù» (Fil 3,12) fino all'abbandono di tutto se stesso a lui, il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell'amore col quale l'eterno Sacerdote ha amato la Chiesa suo corpo, offrendo tutto se stesso per lei... La verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l'amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio" (Sacerdotalis caelibatus, 26). Dedico queste parole del grande Papa ai numerosi sacerdoti della Diocesi di Brescia, qui ben rappresentati, come pure ai giovani che si stanno formando nel Seminario. E vorrei ricordare anche quelle che Paolo VI rivolse agli alunni del Seminario Lombardo il 7 dicembre 1968, mentre le difficoltà del post-Concilio si sommavano con i fermenti del mondo giovanile: "Tanti - disse - si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta... Non si tratta di un'attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza. Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera" (Insegnamenti VI, [1968], 1189). Cari fratelli, gli esempi sacerdotali del Servo di Dio Giovanni Battista Montini vi guidino sempre, e interceda per voi sant'Arcangelo Tadini, che ho poc'anzi venerato nella breve sosta a Botticino.
Mentre saluto ed incoraggio i sacerdoti, non posso dimenticare, specialmente qui a Brescia, i fedeli laici, che in questa terra hanno dimostrato straordinaria vitalità di fede e di opere, nei vari campi dell'apostolato associato e dell'impegno sociale. Negli Insegnamenti di Paolo VI, cari amici bresciani, voi potete trovare indicazioni sempre preziose per affrontare le sfide del presente, quali, soprattutto, la crisi economica, l'immigrazione, l'educazione dei giovani. Al tempo stesso, Papa Montini non perdeva occasione per sottolineare il primato della dimensione contemplativa, cioè il primato di Dio nell'esperienza umana. E perciò non si stancava mai di promuovere la vita consacrata, nella varietà dei suoi aspetti. Egli amò intensamente la multiforme bellezza della Chiesa, riconoscendovi il riflesso dell'infinita bellezza di Dio, che traspare sul volto di Cristo.
Preghiamo perché il fulgore della bellezza divina risplenda in ogni nostra comunità e la Chiesa sia segno luminoso di speranza per l'umanità del terzo millennio. Ci ottenga questa grazia Maria, che Paolo VI volle proclamare, alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, Madre della Chiesa. Amen!
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Il Papa ricorda la grande devozione mariana di Paolo VI
Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
BRESCIA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI introducendo la preghiera mariana dell'Angelus al termine dell'Eucaristia celebrata in Piazza Paolo VI a Brescia.
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Al termine di questa solenne celebrazione, ringrazio cordialmente quanti ne hanno curato l'animazione liturgica e coloro che in diversi modi hanno collaborato alla preparazione e alla realizzazione della mia visita pastorale qui a Brescia. Grazie a tutti! Saluto anche quanti ci seguono mediante la radio e la televisione, come pure da Piazza San Pietro, in modo speciale i numerosi volontari dell'Unione Nazionale Pro Loco d'Italia. In quest'ora dell'Angelus desidero ricordare la profonda devozione che il Servo di Dio Giovanni Battista Montini nutriva per la Vergine Maria. Egli celebrò la sua Prima Messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, cuore mariano della vostra città, non molto lontano da questa Piazza. In tal modo, pose il suo sacerdozio sotto la materna protezione della Madre di Gesù, e questo legame lo ha accompagnato per tutta la vita.
Via via che le sue responsabilità ecclesiali aumentavano, egli andava infatti maturando una visione sempre più ampia ed organica del rapporto tra la Beata Vergine Maria e il mistero della Chiesa. In tale prospettiva, rimane memorabile il Discorso di chiusura del 3° Periodo del Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964. In quella sessione venne promulgata la Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che - sono parole di Paolo VI - "ha come vertice e coronamento un intero capitolo dedicato alla Madonna". Il Papa fece notare che si trattava della più ampia sintesi di dottrina mariana, mai elaborata da un Concilio Ecumenico, finalizzata a "manifestare il volto della santa Chiesa, alla quale Maria è intimamente congiunta" (Enchiridion Vaticanum, Bologna 1979, p. [185], nn. 300-302). In quel contesto proclamò Maria Santissima "Madre della Chiesa" (cfr ibid., n. 306), sottolineando, con viva sensibilità ecumenica, che "la devozione a Maria... è mezzo essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e così congiungerle al Padre, nell'amore dello Spirito Santo" (ibid., n. 315).
Facendo eco alle parole di Paolo VI, anche noi oggi preghiamo: O Vergine Maria, Madre della Chiesa, a Te raccomandiamo questa Chiesa bresciana e l'intera popolazione di questa regione. Ricordati di tutti i tuoi figli; avvalora presso Dio le loro preghiere; conserva salda la loro fede; fortifica la loro speranza; aumenta la carità. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (cfr ibid., nn. 317.320.325).
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