Discorsi, omelie, udienze, angelus e altri documenti

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Paparatzifan
00domenica 30 ottobre 2011 14:08
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 30.10.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia di questa domenica, l’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo «non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio» (1 Ts 2,13).
In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi.

Nel brano odierno, Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore. Gesù sottolinea che costoro «dicono e non fanno» (Mt 23,3); anzi, «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4).

La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente. Per questo Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui (cfr Mt 11,29-30).

Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: «Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio» (Sermo I de Tempore, Dom. XXII post Pentecosten, Opera omnia, IX, Quaracchi, 1901, 442). «Gesù siede sulla "cattedra" come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 89). È Lui il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso. Scrive il beato Antonio Rosmini: «Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero» (Idea della Sapienza, 82, in: Introduzione alla filosofia, vol. II, Roma 1934, 143). Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.

Cari amici, il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11). Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera.

Je suis heureux de saluer ce matin les pèlerins de langue française, particulièrement la paroisse Saint-Nicolas, de la Principauté de Monaco. Alors que s’achève le mois du Rosaire, je vous invite à vous tourner avec confiance vers la Vierge Marie. À son école, apprenons à connaître Jésus, son Fils, afin de marcher à sa suite sur les chemins de l’Évangile. Que la tendresse maternelle de la Mère du Seigneur apporte à chacun réconfort et soutien, en particulier aux personnes qui souffrent ou qui sont dans l’épreuve ! Bon dimanche à tous !

I am pleased to greet the English-speaking visitors and pilgrims present. In the Gospel of today’s liturgy, Christ urges us to combine humility with our charitable service towards our brothers and sisters. Indeed, may we always imitate his perfect example of service in our daily lives. I invoke God’s blessings upon all of you!

Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium verbindet der Herr wahre menschliche Größe mit der Haltung des Dienens. Der Dienende macht deutlich, wie wir auf Gottes Liebe antworten können. Im Dienen öffnen wir unser Herz für den Herrn, der selbst gekommen ist, nicht um bedient zu werden, sondern um zu dienen. Zugleich werden wir zu den Menschen gesandt, um auch ihnen mit unserer Liebe zu dienen. Gott befähigt uns dazu, daß in allem, was wir tun, seine Liebe zu uns durchscheinen kann. Bitten wir darum, Diener Gottes und damit Diener der Menschen sein zu können. – Dazu schenke der Herr euch allen seinen Segen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la parroquia de Santa María Magdalena, de La Nou de Gaià. En el Evangelio de este domingo, el Señor nos exhorta a comportarnos siempre con rectitud de espíritu, entregándonos de corazón al servicio de nuestros hermanos como verdaderos hijos de Dios. Pidamos a la Virgen María, nuestra Madre celestial, que interceda por nosotros para que, cada vez más unidos interiormente a Cristo, sepamos dar un testimonio eficaz de su amor. Feliz domingo.

Saúdo agora os peregrinos de língua portuguesa, de modo especial os fiéis brasileiros da Paróquia de São Cristovão, da Diocese de São João da Boa Vista. Possa esta visita a Roma confirmar a vossa fé, como os Apóstolos Pedro e Paulo, na Boa Nova de Jesus Cristo! Por ela, sabemos que somos filhos no Filho e entramos no seio da Santíssima Trindade. Desça, sobre vós e vossas famílias, a minha Bênção Apostólica.

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. W dzisiejszej Ewangelii słyszymy: „Jeden jest Ojciec wasz, Ten w niebie i jeden jest wasz Nauczyciel, Chrystus" (por. Mt 23, 8-9). To On uczy nas jak żyć miłością Ojca. Dlatego pochodzące od Ojca zasady moralne Ewangelii, nie mogą być przedmiotem wątpliwości, przetargów, dyskusji. Ewangelia wiedzie nas do konkretnych czynów, w których przejawia się miłość pochodząca od Boga Ojca. Na ich wypełnianie z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Nel Vangelo odierno abbiamo sentito: "Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è il vostro Maestro, il Cristo (cfr. Mt 23, 8-9). È Lui che ci insegna come vivere l’amore del Padre. Per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione. Il Vangelo ci conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre. Per questo impegno vi benedico di cuore.]

Rivolgo un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione. Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola "Settanni" di Rutigliano. A tutti auguro una buona domenica!

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Paparatzifan
00lunedì 31 ottobre 2011 19:37
Dal blog di Lella...

LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DEL BRASILE PRESSO LA SANTA SEDE, 31.10.2011

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Signor Almir Franco de Sá Barbuda, Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo Ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Signor Almir Franco de Sá Barbuda:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Ambasciatore,

Nel ricevere le Lettere Credenziali che l'accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Federativa del Brasile presso la Santa Sede, le porgo i miei rispettosi voti di benvenuto e la ringrazio per le significative parole che mi ha rivolto, manifestando in esse i sentimenti che nutre nell'animo nell'iniziare questa nuova missione. Ho visto con grande soddisfazione i saluti che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza la signora presidente della Repubblica, Dilma Rousseff, e chiedo a lei, Signor Ambasciatore, di voler cortesemente trasmetterle la mia gratitudine al riguardo e di assicurarla dei miei deferenti voti di migliore successo nello svolgimento della sua alta missione, come pure le mie preghiere per la prosperità e il benessere di tutti i brasiliani, il cui affetto, sperimentato nella mia visita pastorale del 2007 è rimasto indelebilmente impresso nei miei ricordi. Constato con vivo apprezzamento e profonda riconoscenza la disponibilità manifestata dalle diverse sfere governative della Nazione, come pure dalla sua Rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede, a sostegno della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà, Dio volendo, nel 2013 a Rio de Janeiro.

Come lei, Signor Ambasciatore, ha ricordato, il Brasile, poco dopo aver ottenuto la sua indipendenza come Nazione, ha stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ciò non è stato altro che il culmine della feconda storia comune del Brasile e della Chiesa cattolica, che ha avuto inizio in quella prima messa celebrata il 26 aprile 1500 e che ha lasciato testimonianze in tante città battezzate con il nome di santi della tradizione cristiana e in numerosi monumenti religiosi, alcuni dei quali elevati a simbolo d'identificazione mondiale del Paese, come la statua del Cristo Redentore con le sue braccia aperte, in un gesto di benedizione all'intera nazione. Tuttavia, al di là degli edifici materiali, la Chiesa ha contribuito a forgiare lo spirito brasiliano caratterizzato da generosità, laboriosità, apprezzamento per i valori familiari e difesa della vita umana in tutte le sue fasi.

Un capitolo importante in questa feconda storia comune è stato scritto con l'Accordo firmato fra la Santa Sede e il Governo brasiliano nel 2008. Tale Accordo, lungi dall'essere una fonte di privilegi per la Chiesa o presupporre un affronto alla laicità dello Stato, mira solo a dare un carattere ufficiale e giuridicamente riconosciuto all'indipendenza e alla collaborazione fra queste due realtà. Ispirata dalle parole del suo Divino Fondatore, che ordinò di dare «a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21), la Chiesa ha espresso così la sua posizione nel Concilio Vaticano II: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini» (Costituzione Pastorale Gaudium et spes, n. 76). La Chiesa spera che lo Stato, a sua volta, riconosca che una sana laicità non deve considerare la religione come un semplice sentimento individuale che si può relegare nell'ambito privato, ma come una realtà che, essendo anche organizzata in strutture visibili, ha bisogno che la sua presenza comunitaria pubblica venga riconosciuta.

Per questo corrisponde allo Stato garantire la possibilità del libero esercizio di culto di ogni confessione religiosa, come pure le sue attività culturali, educative e caritative, sempre che ciò non sia in contrasto con l'ordine morale e pubblico. Ebbene, il contributo della Chiesa non si limita a concrete iniziative assistenziali, umanitarie, educative, e così via, ma tiene presente, in modo particolare, la crescita etica della società, promossa dalle molteplici manifestazioni di apertura al trascendente e per mezzo della formazione di coscienze sensibili al compimento dei doveri di solidarietà. Pertanto l'Accordo firmato fra il Brasile e la Santa Sede è la garanzia che permette alla comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana.

Fra questi campi di reciproca collaborazione, mi compiaccio di sottolineare qui, Signor Ambasciatore, quello dell'educazione, al quale la Chiesa ha contribuito con innumerevoli istituzioni educative, il cui prestigio è riconosciuto da tutta la società. In effetti, il ruolo dell'educazione non si può ridurre a una mera trasmissione di conoscenze e di abilità che mirano alla formazione di un professionista, ma deve includere tutti gli aspetti della persona, dal suo lato sociale al suo anelito di trascendenza. Per questo motivo è opportuno riaffermare che l'insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, così come è stato confermato nel suddetto Accordo del 2008, lungi dal significare che lo Stato assume o impone un determinato credo religioso, indica il riconoscimento della religione come un valore necessario per la formazione integrale della persona. E l'insegnamento in questione non si può ridurre a una generica sociologia delle religioni, poiché non esiste una religione generica, aconfessionale. Così l'insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, oltre a non ferire la laicità dello Stato, garantisce il diritto dei Paesi a scegliere l'educazione dei propri figli, contribuendo in tal modo alla promozione del bene comune.

Infine, nel campo della giustizia sociale, il Governo brasiliano sa di poter contare sulla Chiesa come partner privilegiato in tutte le sue iniziative che mirano allo sradicamento della fame e della miseria. La Chiesa «non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia» (Lettera Enciclica Deus caritas est, n. 28), per cui si mostrerà sempre felice di contribuire all'assistenza ai più bisognosi, aiutandoli a liberarsi della loro situazione d'indigenza, di povertà e di esclusione.

Signor Ambasciatore, nel concludere questo incontro, le rinnovo i miei voti di buon esito della sua missione. Nel suo svolgimento, saranno sempre a sua disposizione i diversi Dicasteri che formano la Curia Romana. Da Dio Onnipotente, per intercessione di Nossa Senhora Aparecida, invoco abbondanti Benedizioni per la sua persona, per quanti le sono cari e per la Repubblica Federativa del Brasile, che lei, Eccellenza, a partire da ora, ha l'onore di rappresentare presso la Santa Sede.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00martedì 1 novembre 2011 14:13
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 01.11.2011

Alle ore 12 di oggi, Solennità di tutti i Santi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

La Solennità di Tutti i Santi è occasione propizia per elevare lo sguardo dalle realtà terrene, scandite dal tempo, alla dimensione di Dio, la dimensione dell’eternità e della santità. La Liturgia ci ricorda oggi che la santità è l’originaria vocazione di ogni battezzato (cfr Lumen gentium, 40).
Cristo infatti, che col Padre e con lo Spirito è il solo Santo (cfr Ap 15,4), ha amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla (cfr Ef 5,25-26). Per questa ragione tutti i membri del Popolo di Dio sono chiamati a diventare santi, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo: «Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Siamo dunque invitati a guardare la Chiesa non nel suo aspetto solo temporale ed umano, segnato dalla fragilità, ma come Cristo l’ha voluta, cioè «comunione dei santi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 946).

Nel Credo la professiamo “santa”, in quanto è il Corpo di Cristo, è strumento di partecipazione ai santi Misteri, in primo luogo l’Eucaristia, e famiglia dei Santi, alla cui protezione veniamo affidati nel giorno del Battesimo.

Oggi veneriamo proprio questa innumerevole comunità di Tutti i Santi, i quali, attraverso i loro differenti percorsi di vita, ci indicano diverse strade di santità, accomunate da un unico denominatore: seguire Cristo e conformarsi a Lui, fine ultimo della nostra vicenda umana.

Tutti gli stati di vita, infatti, possono diventare, con l’azione della grazia e con l’impegno e la perseveranza di ciascuno, vie di santificazione.

La Commemorazione dei fedeli defunti, cui è dedicata la giornata di domani, 2 novembre, ci aiuta a ricordare i nostri cari che ci hanno lasciato, e tutte le anime in cammino verso la pienezza della vita, proprio nell’orizzonte della Chiesa celeste, a cui la Solennità di oggi ci ha elevato. Fin dai primi tempi della fede cristiana, la Chiesa terrena, riconoscendo la comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi. La nostra preghiera per i morti è quindi non solo utile ma necessaria, in quanto essa non solo li può aiutare, ma rende al contempo efficace la loro intercessione in nostro favore (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 958).

Anche la visita ai cimiteri, mentre custodisce i legami di affetto con chi ci ha amato in questa vita, ci ricorda che tutti tendiamo verso un’altra vita, al di là della morte. Il pianto, dovuto al distacco terreno, non prevalga perciò sulla certezza della risurrezione, sulla speranza di giungere alla beatitudine dell’eternità, «momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità» (Spe salvi, 12). L’oggetto della nostra speranza infatti è il gioire alla presenza di Dio nell’eternità. Lo ha promesso Gesù ai suoi discepoli dicendo: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Alla Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, affidiamo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste, mentre invochiamo per i fratelli e le sorelle defunti la sua materna intercessione.

DOPO L’ANGELUS

Je salue cordialement les pèlerins francophones venus pour cette prière mariale. La Solennité de Tous les Saints nous rend proches de tous ceux et de toutes celles que Dieu a fait entrer dans sa lumière. En ce jour, souvenons-nous que, nous aussi, nous sommes en marche vers la sainteté. En chacun de nous brille déjà une étincelle de la lumière de Dieu, qui est appelée à resplendir. Mettons-nous à l’écoute des Béatitudes où Jésus nous enseigne comment progresser sur le chemin qui conduit à la gloire du ciel. Alors, nous trouverons le bonheur de partager la vie de Dieu avec tous les saints. Bonne fête de la Toussaint à tous !

I am pleased to wish all of you a happy All Saints Day! This wonderful feast, along with tomorrow’s commemoration of the faithful departed, speaks to us of the beauty of our faith and of the joy that awaits us in heaven with our loved ones who have fallen asleep in Christ. Let us therefore pray earnestly that we may all be joyfully united one day in the Father’s house. God bless you all!

Mit Freude heiße ich zum Hochfest Allerheiligen alle deutschsprachigen Pilger und Gäste willkommen. Besonders grüße ich heute die Mitglieder des Generalrates des Internationalen Kolpingwerkes. Es heißt, die Heiligen sind das gelebte Evangelium. An ihnen sehen wir, daß die Botschaft Christi nicht ein unerreichbares Ideal ist, sondern konkret gelebt, in unser ganz persönliches Leben hinein umgesetzt werden kann. Lassen wir uns von den Heiligen anstecken, von ihrer Treue und Liebe zu Christus und von ihrem Erfindungsreichtum, das Evangelium auch heute gleichsam greifbar zu machen. Und bitten wir sie um ihre Fürsprache, daß wir Gottes Liebe zu den Menschen sichtbar machen und so wirklich „Licht der Welt" sein mögen. Gesegneten Festtag!

Saludo con afecto a los fieles de lengua española presentes en esta oración mariana. En la solemnidad de Todos los Santos, la Liturgia nos invita a contemplar el amor infinito de Dios, que se refleja en la victoria de los que ya gozan de su gloria en el cielo. Es el amor del Padre que nos llama a ser hijos suyos, nos entrega a su propio Hijo para redimirnos con su sangre purificadora. Por eso nos proclama dichosos aun cuando sufrimos tribulación, porque en Él tenemos nuestra esperanza. Respondamos con generosidad y coherencia a ese don, que ha sido derramado en nuestros corazones, siendo Santos como Dios es Santo, para que también en nosotros se manifieste su gloria. Que Dios os bendiga.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Bracia i siostry, w Uroczystość Wszystkich Świętych z radością myślimy o tych, których Bóg już wprowadził do swojej chwały. Są błogosławieni: cieszą się nieśmiertelnym życiem, „ujrzeli Boga takim, jakim jest" (por. 1 J 3,3). Niech świadectwo ich wiary i świętość życia będą dla nas drogowskazem na drodze wiodącej do domu Ojca. Niech ta myśl umacnia waszą nadzieję, gdy stajecie w modlitewnej zadumie nad grobami waszych bliskich. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Fratelli e sorelle, nella Solennità di Tutti i Santi con gioia pensiamo a tutti coloro che Dio ha già introdotto nella sua gloria. Sono i beati: godono della vita immortale, "vedono Dio cosi come è" (cfr. 1 Gv 3,3). La testimonianza della loro fede e santità di vita sia per noi di esempio sulla via che ci conduce alla casa del Padre. Questo pensiero rafforzi la vostra speranza, quando sosterete in preghiera davanti ai sepolcri dei vostri cari. Vi benedico di cuore.]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai giovani di Valenzano e ai ragazzi di Modena che hanno da poco ricevuto il Sacramento della Confermazione. Un caloroso saluto rivolgo a quanti hanno partecipato questa mattina alla "Corsa dei Santi", organizzata dalla Fondazione "Don Bosco nel mondo". San Paolo direbbe che tutta la vita è una "corsa" verso la santità: voi ci date un buon esempio! A tutti auguro una buona festa.

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Paparatzifan
00mercoledì 2 novembre 2011 16:55
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L’UDIENZA GENERALE, 02.11.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la sua meditazione sull’odierna Commemorazione di tutti i fedeli defunti e sulla realtà della morte.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti e un appello per la riuscita del vertice di Capi di Stato o di Governo del G-20 che si tiene domani e dopodomani a Cannes.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle!

Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno.

Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.

Come già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.

Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo scopriamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.
Perché è così?

Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro.

La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.

Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.

Oggi il mondo è diventato apparentemente molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, sarebbe una copia di quella presente.

Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può anche vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).

Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha attraversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attraverso l’oscurità.
Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie!

APPELLO DEL SANTO PADRE

Il 3 e il 4 novembre prossimi - domani e dopo domani - i Capi di Stato o di Governo del G-20 si riuniranno a Cannes, per esaminare le principali problematiche connesse con l’economia globale. Auspico che l’incontro aiuti a superare le difficoltà che, a livello mondiale, ostacolano la promozione di uno sviluppo autenticamente umano e integrale.

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Paparatzifan
00giovedì 3 novembre 2011 19:04
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SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO, 03.11.2011

Alle ore 11.30 di questa mattina, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi defunti nel corso dell’anno.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

All’indomani della Commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, ci siamo riuniti intorno all’altare del Signore per offrire il suo Sacrificio in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che, nel corso dell’ultimo anno, hanno concluso il loro pellegrinaggio terreno. Con grande affetto ricordiamo i venerati membri del Collegio Cardinalizio che ci hanno lasciato: Urbano Navarrete, S.I., Michele Giordano, Varkey Vithayathil, C.SS.R., Giovanni Saldarini, Agustín García-Gasco Vicente, Georg Maximilian Sterzinsky, Kazimierz Świątek, Virgilio Noè, Aloysius Matthew Ambrozic, Andrzej Maria Deskur. Insieme con essi presentiamo al trono dell’Altissimo le anime dei compianti Fratelli nell’Episcopato. Per tutti e per ciascuno eleviamo la nostra preghiera, animati dalla fede nella vita eterna e nel mistero della comunione dei santi. Una fede piena di speranza, illuminata anche dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.

Il brano tratto dal Libro del profeta Osea ci fa pensare immediatamente alla risurrezione di Gesù, al mistero della sua morte e del suo risveglio alla vita immortale. Questo passo di Osea – la prima metà del capitolo VI – era profondamente impresso nel cuore e nella mente di Gesù. Egli infatti – nei Vangeli – riprende più di una volta il versetto 6: "voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti". Invece il versetto 2 Gesù non lo cita, ma lo fa suo e lo realizza nel mistero pasquale: "Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza". Alla luce di questa parola, il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione la via della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme, e l’oracolo del profeta Osea risuonava nelle sue stesse parole: "Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà" (Mc 9,31).

L’evangelista annota che i discepoli "non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo" (v. 32). Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del "terzo giorno". Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. E’ il battesimo della passione (cfr Lc 12,50), che Gesù ha ricevuto per noi e di cui scrive san Paolo nella Lettera ai Romani. L’espressione che l’Apostolo utilizza – "battezzati nella sua morte" (Rm 6,3) – non cessa mai di stupirci, tale è la concisione con cui riassume il vertiginoso mistero. La morte di Cristo è fonte di vita, perché in essa Dio ha riversato tutto il suo amore, come in un’immensa cascata, che fa pensare all’immagine contenuta nel Salmo 41: "Un abisso chiama l’abisso / al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati" (v. 8). L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo (cfr Rm 8,9), né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: "Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui" (Rm 8,8). Questo "vivere con Gesù" è il compimento della speranza profetizzata da Osea: "… e noi vivremo alla sua presenza" (6,2).

In realtà, è solo in Cristo che tale speranza trova il suo fondamento reale. Prima essa rischiava di ridursi ad un’illusione, ad un simbolo ricavato dal ritmo delle stagioni: "come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera" (Os 6,3). Al tempo del profeta Osea, la fede degli Israeliti minacciava di contaminarsi con le religioni naturalistiche della terra di Canaan, ma questa fede non è in grado di salvare nessuno dalla morte. Invece l’intervento di Dio nel dramma della storia umana non obbedisce a nessun ciclo naturale, obbedisce solamente alla sua grazia e alla sua fedeltà. La vita nuova ed eterna è frutto dell’albero della Croce, un albero che fiorisce e fruttifica per la luce e la forza che provengono dal sole di Dio. Senza la Croce di Cristo, tutta l’energia della natura rimane impotente di fronte alla forza negativa del peccato. Era necessaria una forza benefica più grande di quella che manda avanti i cicli della natura, un Bene più grande di quello della stessa creazione: un Amore che procede dal "cuore" stesso di Dio e che, mentre rivela il senso ultimo del creato, lo rinnova e lo orienta alla sua meta originaria e ultima.

Tutto questo avvenne in quei "tre giorni", quando il "chicco di grano" cadde nella terra, vi rimase per il tempo necessario a colmare la misura della giustizia e della misericordia di Dio, e finalmente produsse "molto frutto", non rimanendo solo, ma come primizia di una moltitudine di fratelli (cfr Gv 12,24; Rm 8,29). Ora sì, grazie a Cristo, grazie all’opera compiuta in Lui dalla Santissima Trinità, le immagini tratte dalla natura non sono più soltanto simboli, miti illusori, ma ci parlano di una realtà. A fondamento della speranza c’è la volontà del Padre e del Figlio, che abbiamo ascoltato nel Vangelo di questa Liturgia: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io" (Gv 17,24). E tra costoro, che il Padre ha dato a Gesù, ci sono anche i venerati Fratelli per i quali offriamo questa Eucaristia: essi "hanno conosciuto" Dio mediante Gesù, hanno conosciuto il suo nome, e l’amore del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo, ha dimorato in loro (cfr Gv 12,25-26), aprendo la loro vita al Cielo, all’eternità. Rendiamo grazie a Dio per questo dono inestimabile. E, per intercessione di Maria Santissima, preghiamo perché questo mistero di comunione, che ha riempito tutta la loro esistenza, si compia pienamente in ciascuno di essi.

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Paparatzifan
00venerdì 4 novembre 2011 20:00
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LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DELLA COSTA D’AVORIO PRESSO LA SANTA SEDE, 04.11.2011

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Signor Joseph Tebah-Klah, Ambasciatore della Costa d’Avorio presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Signor Joseph Tebah-Klah:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in occasione della presentazione delle Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica della Costa d'Avorio presso la Santa Sede. Le esprimo la mia riconoscenza per i cordiali saluti che mi ha appena rivolto a nome di Sua Eccellenza il dottor Alassane Dramane Ouattara, Presidente della Repubblica. Le sarei grato se volesse trasmettergli i voti che formulo per la sua persona e per lo svolgimento del suo alto incarico al servizio della nazione. Prego inoltre il Principe della Pace affinché lo guidi e lo sostenga nei suoi sforzi per progredire lungo le vie di una pace duratura, di modo che tutti coloro che abitano nella terra ivoriana possano condurre una vita tranquilla e degna, serena e felice. Attraverso di lei, vorrei assicurare tutto il popolo ivoriano della mia amicizia.

Lei, Signor Ambasciatore, ha appena ricordato la ferma volontà dei responsabili del suo Paese di non lesinare sforzi per giungere a una riconciliazione nazionale e a una coesione sociale solida e vera. A tale proposito, saluto la creazione della Commissione Dialogo-Verità-Riconciliazione. Possa mostrarsi sollecita nelle sue attività e lavorare in totale imparzialità! Ho seguito con grande preoccupazione il drammatico sviluppo della crisi post-elettorale che il suo Paese ha vissuto. Essa ha messo in pericolo la coesione sociale e ha portato a divisioni ancora attuali. Per il bene di tutti i suoi abitanti, possa la Costa d'Avorio impegnarsi con determinazione lungo il cammino della concordia e della promozione della dignità umana e ritrovare l'unità nazionale! Il salmo 133 dice: «Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme» (v. 1). È questo cammino di riconciliazione che bisogna intraprendere poiché l'Africa e il mondo vi guardano con attenzione e fiducia.

La grave crisi che la Costa d'Avorio ha appena attraversato ha provocato anche gravi violazioni dei diritti dell'uomo e numerose perdite di vite umane. Perciò incoraggio il suo Paese a promuovere tutte le iniziative che conducono alla pace e alla giustizia.

Non bisogna avere paura di fare luce sui crimini e su tutti gli attentati commessi contro i diritti delle persone. Il vivere insieme sarà possibile e armonioso solo attraverso la ricerca della verità e della giustizia. E questo vivere insieme passa per il rispetto dei diritti inalienabili dell'altro che è, di fatto, un altro me, come pure per il riconoscimento e il rispetto del carattere sacro di ogni vita umana. Infatti la vita viene da Dio ed è sacra per la sua origine divina. Così, la perdita di una vita umana, qualunque essa sia -- piccola o grande, ricca o povera -- è sempre un dramma, soprattutto quando l'uomo ne è responsabile.

Signor Ambasciatore, desidero incoraggiare i responsabili del suo Paese a impegnarsi risolutamente lungo la via di un governo trasparente ed equo, e saluto il codice di buona condotta dei membri del governo adottato nella prima metà dello scorso agosto. Per realizzare il bene comune, occorrono rigore, giustizia e trasparenza nella gestione delle questioni pubbliche. Spetta ai responsabili politici fare tutto il possibile affinché le ricchezze del Paese vadano equamente a beneficio di ogni cittadino.

Come molti Paesi africani, la Costa d'Avorio presenta una diversità di religioni e di etnie. È una grande ricchezza. Il vivere insieme deve essere sempre ardentemente auspicato e incoraggiato. Come ho detto nella mia prima Enciclica: «Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca» (Deus caritas est, n. 28). A tal fine il buon funzionamento delle scuole e di altre istituzioni a carattere educativo è indispensabile. Di fatto, cosa sarebbero il futuro e lo sviluppo di una nazione senza istituzioni educative forti in cui si insegnino e si promuovano i valori morali, intellettuali, umani e spirituali? Sono certo che questo cantiere educativo è già una delle priorità per costruire la Costa d'Avorio di domani che auspico sia dinamica e prospera, pacifica e responsabile.

La Chiesa, da parte sua, partecipa con la sua specificità allo sforzo di ricostruzione. Essa non desidera sostituirsi allo Stato, ma può, attraverso le sue numerose istituzioni in tutti gli ambiti educativi e sanitari, recare conforto e cure all'anima, e questo aiuto è spesso più necessario del sostegno materiale, soprattutto quando occorre lenire tante ferite del corpo e dell'anima. Per mezzo di lei, Eccellenza, saluto i Vescovi e i fedeli del suo caro Paese.

Lei, Eccellenza, ha appena inaugurato ufficialmente il suo mandato presso la Santa Sede. Fra l'altro, esso coincide con il quarantesimo anniversario dell'instaurazione delle relazioni diplomatiche fra il suo Paese e la Santa Sede. Formulo i miei voti migliori per il felice svolgimento della sua missione. Sia certo di trovare sempre presso i miei collaboratori attenzione e comprensione cordiali. Invocando l'intercessione della Vergine Maria, prego il Signore di effondere generose benedizioni su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, come pure sui dirigenti e sul popolo ivoriano.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00venerdì 4 novembre 2011 20:03
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI PER L'INIZIO DELL'ANNO ACCADEMICO DELLE PONTIFICIE UNIVERSITÀ ROMANE

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

E’ una gioia per me celebrare questi Vespri con voi, che formate la grande comunità delle Università Pontificie romane. Saluto il Cardinale Zenon Grocholewski ringraziandolo per le cortesi parole che mi ha rivolto e soprattutto per il servizio che svolge come Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, coadiuvato dal Segretario e dagli altri collaboratori. Ad essi, e a tutti i Rettori, i Professori e gli studenti rivolgo il mio più cordiale saluto.

Settant’anni or sono il Venerabile Pio XII, con il Motu proprio «Cum Nobis» (cfr. AAS 33 [1941], 479-481)istituiva la Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali, con gli scopi di promuovere le vocazioni presbiterali, di diffondere la conoscenza della dignità e della necessità del ministero ordinato e di incoraggiare la preghiera dei fedeli per ottenere dal Signore numerosi e degni sacerdoti. In occasione di tale anniversario, questa sera vorrei proporvi alcune riflessioni proprio sul ministero sacerdotale.

Il Motu proprio «Cum Nobis» rappresentò l’inizio di un vasto movimento di iniziative di preghiera e di attività pastorali. Fu una risposta chiara e generosa all’appello del Signore: «La messe è abbondante; ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,37). Dopo l’avvio della Pontificia Opera, altre se ne svilupparono ovunque. Tra queste vorrei ricordare il «Serra International», fondato da alcuni imprenditori degli Stati Uniti e intitolato a Padre Junípero Serra, Frate francescano spagnolo, con lo scopo di incoraggiare e sostenere le vocazioni al sacerdozio ed assistere economicamente i seminaristi. Ai membri del Serra, che ricordano il 60° anniversario del riconoscimento della Santa Sede, rivolgo un cordiale pensiero. La Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali fu istituita nella ricorrenza liturgica di San Carlo Borromeo, venerato protettore dei Seminari. A Lui chiediamo anche in questa celebrazione di intercedere per il risveglio, la buona formazione e la crescita delle vocazioni al presbiterato.

Anche la Parola di Dio, che abbiamo ascoltato nel brano della Prima Lettera di Pietro, invita a meditare sulla missione dei Pastori nella comunità cristiana. Fin dagli albori della Chiesa è stato evidente il rilievo conferito alle guide delle prime comunità, stabilite dagli Apostoli per l’annuncio della Parola di Dio attraverso la predicazione e per celebrare il sacrificio di Cristo, l’Eucaristia. Pietro rivolge un appassionato incoraggiamento: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi» (1 Pt 5,1).

San Pietro rivolge tale appello in forza della sua personale relazione con Cristo, culminata nelle drammatiche vicende della passione e nell’esperienza dell’incontro con Lui risorto dai morti. Pietro, inoltre, fa leva sulla reciproca solidarietà dei Pastori nel ministero, sottolineando la sua e la loro appartenenza all’unico ordine apostolico: dice infatti di essere «anziano come loro», il termine greco è sumpresbyteros. Pascere il gregge di Cristo è vocazione e compito ad essi comune e li rende particolarmente legati tra loro, perché uniti a Cristo con un vincolo speciale. Infatti, il Signore Gesù ha paragonato più volte Se stesso ad un pastore premuroso, attento a ciascuna delle sue pecore. Ha detto di sé: «Io sono il Buon Pastore» (Gv 10,11). E San Tommaso d’Aquino commenta: «Sebbene i capi della Chiesa siano tutti pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: “Io sono il buon pastore”, allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore» - così san Tommaso d'Aquino nel suo Commento al Vangelo di san Giovanni (Esposizione su Giovanni, cap. 10, lect. 3).

E’ grande la visione che l’apostolo Pietro ha della chiamata al ministero di guida della comunità, concepita in continuità con la singolare elezione ricevuta dai Dodici. La vocazione apostolica vive grazie al rapporto personale con Cristo, alimentato dalla preghiera assidua e animato dalla passione di comunicare il messaggio ricevuto e la stessa esperienza di fede degli Apostoli. Gesù chiamò i Dodici perché stessero con Lui e per inviarli a predicare il suo messaggio (cfr Mc 3,14). Vi sono alcune condizioni perché vi sia una crescente consonanza a Cristo nella vita del sacerdote. Vorrei sottolinearne tre, che emergono dalla Lettura che abbiamo ascoltato: l’aspirazione a collaborare con Gesù alla diffusione del Regno di Dio, la gratuità dell’impegno pastorale e l’atteggiamento del servizio.

Innanzitutto, nella chiamata al ministero sacerdotale c’è l’incontro con Gesù e l’essere affascinati, colpiti dalle sue parole, dai suoi gesti, dalla sua stessa persona. E’ l’avere distinto, in mezzo a tante voci, la sua voce, rispondendo come Pietro «Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). E’ come essere stati raggiunti dall’irradiazione di Bene e di Amore che promana da Lui, sentirsene avvolti e partecipi al punto da desiderare di rimanere con Lui come i due discepoli di Emmaus - «resta con noi perché si fa sera» (Gv 24,29) e di portare al mondo l’annuncio del Vangelo. Dio Padre ha inviato il Figlio eterno nel mondo per realizzare il suo piano di salvezza. Cristo Gesù ha costituito la Chiesa perché si estendessero nel tempo gli effetti benefici della redenzione. La vocazione dei sacerdoti ha la sua radice in questa azione del Padre realizzata in Cristo, attraverso lo Spirito Santo.

Il ministro del Vangelo allora è colui che si lascia afferrare da Cristo, che sa «rimanere» con Lui, che entra in sintonia, in intima amicizia, con Lui, affinché tutto si compia “come piace a Dio” (1 Pt 5,2), secondo la sua volontà di amore, con grande libertà interiore e con profonda gioia del cuore.

In secondo luogo, si è chiamati ad essere amministratori dei Misteri di Dio «non per vergognoso interesse, ma con animo generoso», dice san Pietro nella Lettura di questi Vespri (ibidem). Non bisogna mai dimenticare che si entra nel sacerdozio attraverso il Sacramento, l’Ordinazione, e questo significa appunto aprirsi all’azione di Dio scegliendo quotidianamente di donare se stessi per Lui e per i fratelli, secondo il detto evangelico: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). La chiamata del Signore al ministero non è frutto di meriti particolari, ma è dono da accogliere e a cui corrispondere dedicandosi non a un proprio progetto, ma a quello di Dio, in modo generoso e disinteressato, perché Egli disponga di noi secondo la sua volontà, anche se questa potrebbe non corrispondere ai nostri desideri di autorealizzazione. Amare insieme a Colui che ci ha amati per primo e ha dato tutto se stesso. E’ l’essere disponibili a lasciarsi coinvolgere nel suo atto di amore pieno e totale al Padre e ad ogni uomo consumato sul Calvario. Mai dobbiamo dimenticare – come sacerdoti – che l’unica ascesa legittima verso il ministero di Pastore non è quella del successo, ma quella della Croce.

In questa logica essere sacerdoti vuol dire essere servi anche con l’esemplarità della vita. «Fatevi modelli del gregge» è l’invito dell’apostolo Pietro (1 Pt 5,3). I presbiteri sono dispensatori dei mezzi di salvezza, dei sacramenti, specialmente dell’Eucaristia e della Penitenza, non ne dispongono a proprio arbitrio, ma ne sono umili servitori per il bene del Popolo di Dio. E’ una vita, allora, segnata profondamente da questo servizio: dalla cura attenta del gregge, dalla celebrazione fedele della liturgia, e dalla pronta sollecitudine verso tutti i fratelli, specie i più poveri e bisognosi. Nel vivere questa «carità pastorale» sul modello di Cristo e con Cristo, in qualsiasi posto il Signore chiama, ogni sacerdote potrà realizzare pienamente se stesso e la propria vocazione.

Cari fratelli e sorelle, ho offerto qualche riflessione sul ministero sacerdotale. Ma anche le persone consacrate e i laici, penso particolarmente alle numerose religiose e laiche che studiano nelle Università Ecclesiastiche di Roma, come pure coloro che prestano il loro servizio come docenti o come personale in detti Atenei, potranno trovare elementi utili per vivere più intensamente il periodo che trascorrono nella Città Eterna.

E’ importante per tutti, infatti, imparare sempre di più a «rimanere» con il Signore, quotidianamente, nell’incontro personale con Lui per lasciarsi affascinare e afferrare dal suo amore ed essere annunciatori del suo Vangelo; è importante cercare di seguire nella vita, con generosità, non un proprio progetto, ma quello che Dio ha su ciascuno, conformando la propria volontà a quella del Signore; è importante prepararsi, anche attraverso uno studio serio e impegnato, a servire il Popolo di Dio nei compiti che verranno affidati.

Cari amici, vivete bene, in intima comunione con il Signore, questo tempo di formazione: è un dono prezioso che Dio vi offre, specialmente qui a Roma dove si respira, in modo del tutto singolare, la cattolicità della Chiesa. San Carlo Borromeo ottenga la grazia della fedeltà a tutti coloro che frequentano le Facoltà ecclesiastiche romane. A voi tutti, per intercessione della Vergine Maria, Sedes Sapientiae, il Signore conceda un proficuo anno accademico. Amen.

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Paparatzifan
00domenica 6 novembre 2011 13:54
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 06.11.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Le Letture bibliche dell’odierna liturgia domenicale ci invitano a prolungare la riflessione sulla vita eterna, iniziata in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Su questo punto è netta la differenza tra chi crede e chi non crede, o, si potrebbe ugualmente dire, tra chi spera e chi non spera. Scrive infatti san Paolo ai Tessalonicesi: «Non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» (1 Ts 4,13).

La fede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo segna, anche in questo campo, uno spartiacque decisivo. Sempre san Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che, prima di accogliere la Buona Notizia, erano «senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12). Infatti, la religione dei greci, i culti e i miti pagani, non erano in grado di gettare luce sul mistero della morte, tanto che un’antica iscrizione diceva: «In nihil ab nihilo quam cito recidimus», che significa: «Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo».

Se togliamo Dio, se togliamo Cristo, il mondo ripiomba nel vuoto e nel buio. E questo trova riscontro anche nelle espressioni del nichilismo contemporaneo, un nichilismo spesso inconsapevole che contagia purtroppo tanti giovani.

Il Vangelo di oggi è una celebre parabola, che parla di dieci ragazze invitate ad una festa di nozze, simbolo del Regno dei cieli, della vita eterna (Mt 25,1-13).
E’ un’immagine felice, con cui però Gesù insegna una verità che ci mette in discussione; infatti, di quelle dieci ragazze: cinque entrano alla festa, perché, all’arrivo dello sposo, hanno l’olio per accendere le loro lampade; mentre le altre cinque rimangono fuori, perché, stolte, non hanno portato l’olio. Che cosa rappresenta questo «olio», indispensabile per essere ammessi al banchetto nuziale? Sant’Agostino (cfr Discorsi 93, 4) e altri antichi autori vi leggono un simbolo dell’amore, che non si può comprare, ma si riceve come dono, si conserva nell’intimo e si pratica nelle opere. Vera sapienza è approfittare della vita mortale per compiere opere di misericordia, perché, dopo la morte, ciò non sarà più possibile. Quando saremo risvegliati per l’ultimo giudizio, questo avverrà sulla base dell’amore praticato nella vita terrena (cfr Mt 25,31-46). E questo amore è dono di Cristo, effuso in noi dallo Spirito Santo.

Chi crede in Dio-Amore porta in sé una speranza invincibile, come una lampada con cui attraversare la notte oltre la morte, e giungere alla grande festa della vita.

A Maria, Sedes Sapientiae, chiediamo di insegnarci la vera sapienza, quella che si è fatta carne in Gesù. Lui è la Via che conduce da questa vita a Dio, all’Eterno. Lui ci ha fatto conoscere il volto del Padre, e così ci ha donato una speranza piena d’amore. Per questo, alla Madre del Signore la Chiesa si rivolge con queste parole: "Vita, dulcedo, et spes nostra". Impariamo da lei a vivere e morire nella speranza che non delude.

DOPO L’ANGELUS

Seguo con apprensione i tragici episodi che si sono verificati nei giorni scorsi in Nigeria e, mentre prego per le vittime, invito a porre fine ad ogni violenza, che non risolve i problemi, ma li accresce, seminando odio e divisione anche fra i credenti.

Je salue cordialement les pèlerins francophones. Dans l’évangile de ce dimanche, le Seigneur nous invite à la vigilance du cœur pour savoir chercher et reconnaître chaque jour sa présence. Face aux incertitudes de l’existence, n’ayons pas peur de nous en remettre à Lui. Donnons-lui la première place dans notre vie, et nous marcherons avec assurance vers le bonheur éternel. Que la Vierge Marie nous accompagne sur le chemin de la foi et de l’espérance ! Je vous bénis de grand cœur.

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Angelus. In today’s Gospel, Jesus invites us to be prepared, like the wise maidens, for the definitive encounter with him who will come to complete his work of salvation at the end of time. May the light of faith always guide us and may the gift of Christian love grow strong in our hearts and in our deeds as we journey to the eternal wedding feast. I wish you all a pleasant stay in Rome, and a blessed Sunday!

Ganz herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache, besonders den Tölzer Knabenchor und seine Begleiter. Im Monat November denken wir gerne an unsere Verstorbenen. Wir hoffen, daß der Tod nicht das Ende ist, da Gott nicht aufhört, jeden Menschen in seiner Einzigartigkeit zu lieben. Diese Hoffnung ist wie das Licht der Jungfrauen im heutigen Evangelium. Wir leben in der Erwartung, Christus, dem Licht des Lebens, zu begegnen. Diese Spannung soll nicht in der Routine des Alltags erlöschen. Bitten wir den Herrn, daß wir auf das Öl in unseren „Lampen" achten und beständig bleiben im Gebet, im Hören des Wortes Gottes, im Empfang der Sakramente, damit wir einst am himmlischen Hochzeitsmahl teilnehmen dürfen. Gottes Geist geleite euch auf allen euren Wegen.

Saludo a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los fieles de la parroquia de San Agustín, de Guadalix, España, de la Arquidiócesis de Maracaibo y la Diócesis de Cabimas, Venezuela, acompañados por sus Obispos. La liturgia de este día nos hace una invitación a vivir la sabiduría de la vigilancia, para entrar en el banquete eterno. El encuentro con Dios, no se improvisa, es algo que debe recorrer la vida entera. A Dios "le encuentran los que le buscan". Recuerdo, que mañana hace un año, en Barcelona, tuve la alegría de dedicar la Basílica de la Sagrada Familia, admirable suma de técnica, belleza y fe, que concibió el Siervo de Dios Antonio Gaudí, genial arquitecto. Bon diumenge. Feliz domingo a todos.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, em particular os membros do Instituto das Filhas do Sagrado Coração de Jesus, que vieram do Brasil em peregrinação aos lugares de origem da fundadora, Santa Teresa Verzeri, no décimo aniversário da sua canonização. Desejo abundantes graças divinas, às suas filhas e irmãs espirituais e aos seus devotos, para construírem a vida sobre aquela rocha firme que é Cristo vivo na sua Igreja. Deus a todos guarde e abençoe!

Lepo pozdravljam slovenske vernike iz Šmartnega v Tuhinju! Naj vas to vaše romanje okrepi, da boste prinašali v svoje okolje močno luč vere in krščanske ljubezni in boste tako vedno pripravljeni na srečanje z nebeškim Ženinom. Naj bo z vami moj blagoslov!

[Saluto cordialmente i fedeli sloveni da Šmartno v Tuhinju! Questo vostro pellegrinaggio vi rafforzi affinché portiate nei vostri ambienti la forte luce della fede e dell’amore cristiano, per essere sempre pronti ad accogliere lo Sposo celeste. Vi accompagni la mia Benedizione!]

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. W dzisiejszej Ewangelii Chrystus przypomina nam: „Czuwajcie, bo nie znacie dnia, ani godziny" (Mt 25, 13). Idąc za przykładem świętych czuwajmy, aby nie gasły lampy naszej wiary i miłości. Wówczas będziemy mogli wyczekiwać nieznanego dnia i godziny przyjścia Pana bez lęku, a z nadzieją i pokojem. Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Nel Vangelo di oggi Cristo ci ricorda: "Vegliate, perché non sapete né giorno né l’ora" (Mt 25, 13). Seguendo l’esempio dei Santi vegliamo, affinché non si spengano le lampade della nostra fede e dell’amore. Allora potremo attendere il giorno ignoto e l’ora della venuta del Signore senza timore, ma con la speranza e con la pace. Dio vi benedica!]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al gruppo di Veruno, con il Sindaco e altri amministratori, come pure ai fedeli provenienti da Rieti e da Piedimonte di Barano d’Ischia.

Il pensiero oggi non può non andare alla città di Genova, duramente colpita dall’alluvione. Assicuro la mia preghiera per le vittime, per i familiari e per quanti hanno subito gravi danni. La Madonna della Guardia sostenga la cara popolazione genovese nell’impegno solidale per superare la prova.

A tutti voi, cari pellegrini, auguro una buona domenica.

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Paparatzifan
00lunedì 7 novembre 2011 19:46
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LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA PRESSO LA SANTA SEDE, 07.11.2011

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Signor Reinhard Schweppe, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo Ambasciatore, nonché i cenni biografi essenziali di S.E. il Signor Reinhard Schweppe:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenza!
Illustre Signor Ambasciatore!

È per me una gioia porgerle il benvenuto in occasione della consegna delle Lettere che lo accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede. La ringrazio per le cordiali parole e le chiedo, Eccellenza, di trasmettere al Presidente Federale, alla Cancelliere Federale e ai membri del Governo Federale il mio sincero ringraziamento. Allo stesso tempo, mi preme di assicurare tutti i connazionali tedeschi del mio profondo affetto e della mia benevolenza. Abbiamo ancora davanti agli occhi, in maniera viva, le immagini gioiose del mio viaggio in Germania, nel settembre scorso. Le molteplici dimostrazioni di simpatia e di stima che mi sono state riservate nelle varie tappe della mia visita, a Berlino, a Erfurt, a Etzelbach, nonché a Friburgo, hanno superato di gran lunga le aspettative. Ovunque ho potuto vedere come le persone anelino alla verità. Noi cristiani dobbiamo dare testimonianza alla verità, per darle forma nella vita personale, familiare e sociale.

La visita ufficiale di un Papa in Germania può essere l'occasione per riflettere su quale servizio la Chiesa cattolica e la Santa Sede possono offrire in una società pluralistica, come è presente nella nostra patria. Molti contemporanei ritengono che l'influsso del Cristianesimo come pure di altre religioni consista nel plasmare una determinata cultura e un determinato stile di vita nella società. Un gruppo di credenti marca, attraverso il proprio comportamento, certe forme di vita sociale, che vengono adottate da altre persone, imprimendo così alla società una carattere specifico. Quest'idea non è sbagliata, ma non esaurisce la visione che la Chiesa cattolica ha di se stessa.

Senza dubbio, la Chiesa è anche una comunità culturale e influenza in questo modo le società nelle quali è presente. Tuttavia, essa è convinta di non avere solo creato aspetti culturali comuni in diverse forme nei vari Paesi, e di essere stata a sua volta plasmata dalle loro tradizioni.

La Chiesa cattolica è inoltre consapevole di conoscere, attraverso la sua fede, la verità sull'uomo e quindi di avere il dovere di intervenire in favore dei valori che sono validi per l'uomo in quanto tale, indipendentemente dalle varie culture. Essa distingue fra la specificità della sua fede e le verità della ragione, a cui la fede apre gli occhi e alle quali l'uomo in quanto uomo può accedere anche a prescindere da questa fede.

Fortunatamente, un patrocinio fondamentale di tutti i valori umani universali è divenuto diritto positivo nella nostra Costituzione del 1949 e nelle dichiarazioni sui diritti dell'uomo dopo la Seconda Guerra Mondiale, perché delle persone, dopo gli orrori della dittatura, hanno riconosciuto la loro validità universale, che si basa sulla loro verità antropologica e l'hanno tradotta in diritto vigente. Oggi, si discute di nuovo di valori fondamentali dell'essere umano, nei quali si tratta della dignità dell'uomo in quanto tale. Qui la Chiesa, al di là dell'ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della nostra società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell'uomo in quanto tale. Quindi, per citare un punto particolarmente importante, non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia «già persona», oppure «ancora persona», e ancor meno ci spetta manipolare l'uomo e voler, per così dire, farlo. Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale. Tuttavia, se decidesse di «scartare» i suoi membri più bisognosi di tutela, di escludere uomini dall'essere uomini, si comporterebbe in maniera profondamente inumana e anche in modo non veritiero rispetto all'uguaglianza -- evidente per ogni persona di buona volontà -- della dignità di tutte le persone, in tutti gli stadi della vita. Se la Santa Sede interviene in campo legislativo in merito alle questioni fondamentali della dignità umana, che si pongono oggi in numerosi ambiti dell'esistenza prenatale dell'uomo, non lo fa per imporre la fede ad altri in modo indiretto, ma per difendere valori che per tutti sono fondamentalmente intellegibili come verità dell'esistenza, anche se interessi di altra natura cercano di offuscare in vari modi questa considerazione.

A questo punto, vorrei affrontare un altro aspetto preoccupante che, a quanto pare, dilaga attraverso tendenze materialistiche ed edonistiche soprattutto nei Paesi del cosiddetto mondo occidentale, ovvero la discriminazione sessuale delle donne.

Ogni persona, sia uomo, sia donna, è destinata ad esserci per gli altri. Un rapporto che non rispetti il fatto che l'uomo e la donna hanno la stessa dignità, costituisce un grave crimine contro l'umanità. È ora di arginare in maniera energica la prostituzione, nonché l'ampia diffusione di materiale dal contenuto erotico o pornografico, anche in Internet. La Santa Sede vedrà che l'impegno contro questi mali da parte della Chiesa cattolica in Germania si porti avanti in modo più deciso e chiaro.

Per quanto riguarda i tanti anni di rapporti cordiali fra la Repubblica Federale di Germania e la Santa Sede possiamo osservare complessivamente molti buoni risultati. È un bene che la Chiesa cattolica in Germania abbia eccezionali possibilità di azione, che possa annunciare il Vangelo liberamente e possa aiutare le persone nell'ambito di numerose strutture caritative e sociali. Sono veramente grato per il sostegno concreto dato a questa opera da parte delle Istituzioni federali, regionali e comunali. Fra i molti aspetti di una collaborazione positiva e apprezzabile fra lo Stato e la Chiesa cattolica desidero citare per esempio la tutela del diritto ecclesiastico del lavoro da parte del diritto statale, nonché il sostegno offerto alle scuole cattoliche e alle istituzioni cattoliche in ambito caritativo, la cui opera serve, in definitiva, al benessere di tutti i cittadini.

A lei, stimato Ambasciatore, auguro un buon inizio della sua missione e molto successo in tale compito. Nello stesso tempo, la assicuro dell'aiuto e della disponibilità dei rappresentanti della Curia Romana nello svolgimento del suo servizio. Di cuore invoco per lei, per sua moglie, e per i collaboratori e per le collaboratrici dell'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, la protezione costante di Dio e le sue abbondanti benedizioni.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00mercoledì 9 novembre 2011 18:21
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 09.11.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza S. Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul Salmo 119 (118), un lungo e solenne cantico sulla Torah, la Legge del Signore.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti ed ha pronunciato un appello per le vittime dei numerosi disastri naturali che hanno colpito varie parti del mondo, dall’America Latina al Sud-est-asiatico.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Salmo 119

Cari fratelli e sorelle,

nelle passate catechesi abbiamo meditato su alcuni Salmi che sono esempi dei generi tipici della preghiera: lamento, fiducia, lode. Nella catechesi di oggi vorrei soffermarmi sul Salmo 119 secondo la tradizione ebraica, 118 secondo quella greco-latina: un Salmo molto particolare, unico nel suo genere. Anzitutto lo è per la sua lunghezza: è composto infatti da 176 versetti divisi in 22 strofe di otto versetti ciascuna.
Poi ha la peculiarità di essere un “acrostico alfabetico”: è costruito, cioè, secondo l’alfabeto ebraico, che è composto di 22 lettere. Ogni strofa corrisponde ad una lettera di quell’alfabeto, e con tale lettera inizia la prima parola degli otto versetti della strofa. Si tratta di una costruzione letteraria originale e molto impegnativa, in cui l’autore del Salmo ha dovuto dispiegare tutta la sua bravura.
Ma ciò che per noi è più importante è la tematica centrale di questo Salmo: si tratta infatti di un imponente e solenne canto sulla Torah del Signore, cioè sulla sua Legge, termine che, nella sua accezione più ampia e completa, va compreso come insegnamento, istruzione, direttiva di vita; la Torah è rivelazione, è Parola di Dio che interpella l’uomo e ne provoca la risposta di obbedienza fiduciosa e di amore generoso. E di amore per la Parola di Dio è tutto pervaso questo Salmo, che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita. Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa liberi e porta alla felicità.

«Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola», afferma il Salmista (v. 16); e poi: «Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, perché in essi è la mia felicità» (v. 35); e ancora: «Quanto amo la tua legge! La medito tutto il giorno» (v. 97). La Legge del Signore, la sua Parola, è il centro della vita dell’orante; in essa egli trova consolazione, ne fa oggetto di meditazione, la conserva nel suo cuore: «Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te» (v. 11), è questo il segreto della felicità del Salmista; e poi ancora: «Gli orgogliosi mi hanno coperto di menzogne, ma io con tutto il cuore custodisco i tuoi precetti» (v. 69).

La fedeltà del Salmista nasce dall’ascolto della Parola, da custodire nell’intimo, meditandola e amandola, proprio come Maria, che «custodiva, meditandole nel suo cuore» le parole che le erano state rivolte e gli eventi meravigliosi in cui Dio si rivelava, chiedendo il suo assenso di fede (cfr Lc 2,19.51). E se il nostro Salmo inizia nei primi versetti proclamando “beato” «chi cammina nella Legge del Signore» (v. 1b) e «chi custodisce i suoi insegnamenti» (v. 2a), è ancora la Vergine Maria che porta a compimento la perfetta figura del credente descritto dal Salmista. E’ Lei, infatti, la vera “beata”, proclamata tale da Elisabetta perché «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45), ed è a Lei e alla sua fede che Gesù stesso dà testimonianza quando, alla donna che aveva gridato «Beato il grembo che ti ha portato», risponde: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Certo, Maria è beata perché il suo grembo ha portato il Salvatore, ma soprattutto perché ha accolto l’annuncio di Dio, perchè è stata attenta e amorosa custode della sua Parola.
Il Salmo 119 è dunque tutto intessuto intorno a questa Parola di vita e di beatitudine. Se il suo tema centrale è la “Parola” e la “Legge” del Signore, accanto a questi termini ricorrono in quasi tutti i versetti dei sinonimi come “precetti”, “decreti”, “comandi”, “insegnamenti”, “promessa”, “giudizi”; e poi tanti verbi ad essi correlati come osservare, custodire, comprendere, conoscere, amare, meditare, vivere. Tutto l’alfabeto si snoda attraverso le 22 strofe di questo Salmo, e anche tutto il vocabolario del rapporto fiducioso del credente con Dio; vi troviamo la lode, il ringraziamento, la fiducia, ma anche la supplica e il lamento, sempre però pervasi dalla certezza della grazia divina e della potenza della Parola di Dio. Anche i versetti maggiormente segnati dal dolore e dal senso di buio rimangono aperti alla speranza e sono permeati di fede. «La mia vita è incollata alla polvere: fammi vivere secondo la tua parola» (v. 25), prega fiducioso il Salmista; «Io sono come un otre esposto al fumo, non dimentico i tuoi decreti» (v. 83), è il suo grido di credente. La sua fedeltà, anche se messa alla prova, trova forza nella Parola del Signore: «A chi mi insulta darò una risposta, perché ho fiducia nella tua parola» (v. 42), egli afferma con fermezza; e anche davanti alla prospettiva angosciante della morte, i comandi del Signore sono il suo punto di riferimento e la sua speranza di vittoria: «Per poco, dice, non mi hanno fatto sparire dalla terra, ma io non ho abbandonato i tuoi precetti» (v. 87).
La legge divina, oggetto dell’amore appassionato del Salmista e di ogni credente, è fonte di vita. Il desiderio di comprenderla, di osservarla, di orientare ad essa tutto il proprio essere è la caratteristica dell’uomo giusto e fedele al Signore, che la «medita giorno e notte», come recita il Salmo 1 (v. 2); è una legge, quella di Dio, da tenere «sul cuore», come dice il ben noto testo dello Shema nel Deuteronomio. Dice:
Ascolta, Israele …
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.
Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai (6,4.6-7).

Centro dell’esistenza, la Legge di Dio chiede l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di obbedienza non servile, ma filiale, fiduciosa, consapevole. L’ascolto della Parola è incontro personale con il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte concrete e diventare cammino e sequela.

Quando gli viene chiesto cosa fare per avere la vita eterna, Gesù addita la strada dell’osservanza della Legge, ma indicando come fare per portarla a completezza, dice: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21 e par.). Il compimento della Legge è seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù, in compagnia di Gesù.

Il Salmo 119 ci porta dunque all’incontro con il Signore e ci orienta verso il Vangelo. C’è in esso un versetto su cui vorrei ora soffermarmi: è il v. 57: «La mia parte è il Signore; ho deciso di osservare le tue parole». Anche in altri Salmi l’orante afferma che il Signore è la sua “parte”, la sua eredità: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice», recita il Salmo 16 (v. 5a), «Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre» è la proclamazione del fedele nel Salmo 73 (v. 23 b), e ancora, nel Salmo 142, il Salmista grida al Signore: «Sei tu il mio rifugio, sei tu la mia eredità nella terra dei viventi» (v. 6b).
Questo termine “parte” evoca l’evento della ripartizione della terra promessa tra le tribù d’Israele, quando ai Leviti non venne assegnata alcuna porzione del territorio, perché la loro “parte” era il Signore stesso. Due testi del Pentateuco sono espliciti a tale riguardo, utilizzando il termine in questione: «Il Signore disse ad Aronne: “Tu non avrai alcuna eredità nella loro terra e non ci sarà parte per te in mezzo a loro. Io sono la tua parte e la tua eredità in mezzo agli Israeliti”», così dichiara il Libro dei Numeri (18,20), e il Deuteronomio ribadisce: «Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli: il Signore è la sua eredità, come gli aveva detto il Signore, tuo Dio» (Dt 10,9; cfr. Dt 18,2; Gs 13,33; Ez 44,28).
I sacerdoti, appartenenti alla tribù di Levi, non possono essere proprietari di terre nel Paese che Dio donava in eredità al suo popolo portando a compimento la promessa fatta ad Abramo (cfr. Gen 12,1-7). Il possesso della terra, elemento fondamentale di stabilità e di possibilità di sopravvivenza, era segno di benedizione, perché implicava la possibilità di costruire una casa, di crescervi dei figli, di coltivare i campi e vivere dei frutti del suolo. Ebbene i Leviti, mediatori del sacro e della benedizione divina, non possono possedere, come gli altri israeliti, questo segno esteriore della benedizione e questa fonte di sussistenza. Interamente donati al Signore, devono vivere di Lui solo, abbandonati al suo amore provvidente e alla generosità dei fratelli, senza avere eredità perché Dio è la loro parte di eredità, Dio è la loro terra, che li fa vivere in pienezza.
E ora, l’orante del Salmo 119 applica a sé questa realtà: «La mia parte è il Signore». Il suo amore per Dio e per la sua Parola lo porta alla scelta radicale di avere il Signore come unico bene e anche di custodire le sue parole come dono prezioso, più pregiato di ogni eredità, e di ogni possesso terreno. Il nostro versetto infatti ha la possibilità di una doppia traduzione e potrebbe essere reso pure nel modo seguente: «La mia parte, Signore, io ho detto, è di custodire le tue parole». Le due traduzioni non si contraddicono, ma anzi si completano a vicenda: il Salmista sta affermando che la sua parte è il Signore ma che anche custodire le parole divine è la sua eredità, come dirà poi nel v. 111: «Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, perché sono essi la gioia del mio cuore». È questa la felicità del Salmista: a lui, come ai Leviti, è stata data come porzione di eredità la Parola di Dio.

Cari fratelli e sorelle, questi versetti sono di grande importanza anche oggi per tutti noi. Innanzitutto per i sacerdoti, chiamati a vivere solo del Signore e della sua Parola, senza altre sicurezze, avendo Lui come unico bene e unica fonte di vera vita. In questa luce si comprende la libera scelta del celibato per il Regno dei cieli da riscoprire nella sua bellezza e forza.

Questi versetti sono importanti anche per tutti i fedeli, popolo di Dio appartenente a Lui solo, “regno di sacerdoti” per il Signore (cfr. 1Pt 2,9; Ap 1,6; 5,10), chiamati alla radicalità del Vangelo, testimoni della vita portata dal Cristo, nuovo e definitivo “Sommo Sacerdote” che si è offerto in sacrificio per la salvezza del mondo (cfr. Ebr 2,17; 4,14-16; 5,5-10; 9,11ss). Il Signore e la sua Parola: questi sono la nostra “terra”, in cui vivere nella comunione e nella gioia.

Lasciamo dunque che il Signore ci metta nel cuore questo amore per la sua Parola, e ci doni di avere sempre al centro della nostra esistenza Lui e la sua santa volontà. Chiediamo che la nostra preghiera e tutta la nostra vita siano illuminate dalla Parola di Dio, lampada per i nostri passi e luce per il nostro cammino, come dice il Salmo 119 (cfr v. 105), così che il nostro andare sia sicuro, nella terra degli uomini. E Maria, che ha accolto e generato la Parola, ci sia di guida e di conforto, stella polare che indica la via della felicità.
Allora anche noi potremo gioire nella nostra preghiera, come l’orante del Salmo 16, dei doni inaspettati del Signore e dell’immeritata eredità che ci è toccata in sorte:

Il Signore è la mia parte di eredità e mio calice …
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi:
la mia eredità è stupenda (Sal 16,5.6).

Grazie!

APPELLO DEL SANTO PADRE

In questo periodo, varie parti del mondo, a partire dall’America Latina - specie quella Centrale - fino al Sud-est asiatico, sono state colpite da alluvioni, allagamenti, frane, che hanno provocato numerosi morti, dispersi, senza tetto. Ancora una volta desidero manifestare la mia vicinanza a tutti coloro che soffrono per questi disastri naturali, mentre invito alla preghiera per le vittime e i loro familiari e alla solidarietà, affinché le istituzioni e gli uomini di buona volontà collaborino, con spirito generoso, a soccorrere le migliaia di persone provate da tali calamità.

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Paparatzifan
00giovedì 10 novembre 2011 20:26
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CONFERIMENTO AL SANTO PADRE BENEDETTO XVI DELLA CITTADINANZA ONORARIA DI NATZ-SCHABS/NAZ-SCIAVES (BOLZANO, ITALIA), 09.11.2011

Al termine dell’Udienza Generale di questa mattina, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, è stata conferita al Santo Padre la Cittadinanza onoraria del Comune di Natz-Schabs/Naz-Sciaves, in provincia autonoma di Bolzano (Italia). Nella frazione Raas/Rasa della località del Sudtirolo nacquero Elisabeth Maria Tauber (1832) e Maria Tauber-Peintner (1855), rispettivamente bisnonna e nonna materne di Joseph Ratzinger.
Alla cerimonia di consegna del certificato di cittadinanza onoraria ha preso parte una delegazione del Comune, guidata dal Sindaco, Dr. Peter Gasser.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Stimato e caro Signor Sindaco,
cari confratelli nel sacerdozio,
cari amici di Naz-Sciaves!

Posso soltanto dire di cuore "Vergelt’s Gott" [Dio ve ne renda merito] per il grande onore che mi avete fatto di essere ora cittadino onorario del vostro Comune, e di essere quindi, per così dire, di casa da voi, anche da un punto di vista legale ed anagrafico. Grazie al bel quadro che mi avete donato, posso fare sempre "passeggiate" nel vostro Comune e anche in questo modo sentirmi a casa, incluso se temo che non mi sarà più donata la possibilità di venire ancora una volta là di persona, ma di poter guardare Naz-Sciaves soltanto dall’alto. Tuttavia, con il cuore sono da voi e sono veramente contento per questo dono che mi avete fatto.

Il Sudtirolo è una terra particolare ed è impresso nel mio cuore tramite i racconti di mia madre. Io stesso non ho potuto conoscere più la bisnonna e la nonna: la nonna è morta quando avevo tre anni; tuttavia, molti racconti di lei sono rimasti, soprattutto è rimasto il fatto che, per tutta la vita, dentro di sé ha avuto nostalgia del Sudtirolo e interiormente non si è mai veramente inserita in Baviera.
Durante la sua ultima malattia disse: «Se potessi avere un secchio d’acqua di casa mia, guarirei sicuramente!» Non poteva più guarire, ma è vissuta delle "acque" della sua patria, e con ciò ha avuto una vita difficile, ma al contempo piena e ricca.

Mi viene in mente, a questo proposito, ancora un’altra piccola storia. Da ragazza, mia madre ha lavorato presso una famiglia di Kufstein; là aveva trovato un’amica, che poi sposò un fornaio e che io stesso, da piccolo, ho conosciuto. Le voleva molto bene, e l’amica le ripeteva spesso: «Mariedl, devi sapere una cosa: il Tirolo l’hanno "messo insieme" gli angeli!» Nostra madre l’ha conservato come una sorta di testamento e così l’ha tramandato anche a noi. Lei era convinta, dentro di sé, che era così. E poi, nell’anno 1940, quando avevo 13 anni, per la prima volta noi tre fratelli abbiamo fatto una gita in bicicletta e siamo andati nel Tirolo del Nord e abbiamo potuto constatare che era veramente così: che erano stati gli angeli ad averlo messo insieme. Poi, negli anni ‘50, sono venuto anche in Sudtirolo dove ho potuto percepire quella particolare vicinanza di Dio che si esprime nella bellezza di queste terre. Ma non è diventato così bello soltanto grazie alla Creazione, ma perché gli uomini hanno risposto al Creatore: se pensiamo ai campanili gotici, alle belle case, alla gentilezza e alla cordialità delle persone, alla bella musica, sappiamo che gli uomini hanno risposto, e nella collaborazione – tra il Creatore, i suoi angeli e gli uomini – è diventata una terra bellissima, una terra straordinariamente bella. E sono orgoglioso e felice di farne parte, in un modo o nell’altro.

Il mio augurio in questo momento è che rimanga tale. Lei, Signor Sindaco, ha parlato della chiesa che si trova sempre al centro del paese ed è espressione della comunione che mantiene unite le persone e, al contempo, anche segno di apertura: apre la comunità oltre la vallata verso l’intera cristianità, verso il mondo, e fa assumere responsabilità insieme. Il mio auspicio, quindi, è che rimanga così; che la natura, la creazione e l’essere degli uomini si raccordino in un’unica armonia; che la fede sia portatrice di gioia e aiuti a superare anche situazioni difficili: la bisnonna è andata via, credo, perché la casa era minacciata dalle acque; che nasca la forza per mantenere questa terra sempre e di nuovo – ogni generazione deve ricominciare – così bella com’è, bella dal di dentro; e che possa, quindi, rimanere una patria che aiuti le persone a vivere un modo giusto di essere uomini.
"Vergelt’s Gott" [Dio ve ne renda merito] per tutto e la benedizione di Dio su voi tutti!

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Paparatzifan
00giovedì 10 novembre 2011 20:39
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UDIENZA ALLA DELEGAZIONE DELL’"ISRAELI RELIGIOUS COUNCIL", 10.11.2011

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza una Delegazione dell"Israeli Religious Council", il Consiglio dei Capi religiosi di Israele.
Riportiamo di seguito il saluto che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza:

SALUTO DEL SANTO PADRE

Beatitudine,
Eccellenze,
Cari amici,

È un grande piacere per me accogliervi, membri dell'Israeli Religious Council, che rappresentate le comunità religiose esistenti in Terra Santa, e vi ringrazio per le parole cortesi che mi sono state rivolte a nome di tutti i presenti.

In questi tempi inquieti, il dialogo fra differenti religioni sta diventando sempre più importante per instaurare un clima di mutuo rispetto e di comprensione che può condurre all'amicizia e alla salda fiducia reciproche. Questo è urgente per i leader religiosi della Terra Santa che, pur vivendo in un luogo pieno di memorie sacre alle nostre tradizioni, sono quotidianamente messi alla prova dalle difficoltà del vivere insieme in armonia.

Come ho osservato nel mio recente incontro con i capi religiosi ad Assisi, oggi ci troviamo di fronte a due tipi di violenza: da una parte, l'uso della violenza in nome della religione e, dall'altra, la violenza che è conseguenza della negazione di Dio, che spesso caratterizza la vita nella società moderna. In questa situazione, come responsabili religiosi siamo chiamati a riaffermare che la relazione dell'uomo con Dio vissuta rettamente è una forza di pace. Questa è una verità che deve divenire sempre più visibile nel modo in cui viviamo insieme ogni giorno. Quindi, desidero incoraggiarvi a promuovere un clima di fiducia e di dialogo fra i leader e i membri di tutte le tradizioni religiose presenti in Terra Santa.

Condividiamo la grave responsabilità di educare i membri delle nostre rispettive comunità religiose, al fine di coltivare una comprensione reciproca più profonda e di sviluppare un'apertura verso la cooperazione con persone di tradizioni religiose diverse dalla nostra. Purtroppo, la realtà del nostro mondo è spesso frammentaria e imperfetta, anche in Terra Santa. Tutti noi siamo chiamati a impegnarci di nuovo per la promozione di una giustizia e di una dignità maggiori, per arricchire il nostro mondo e conferirgli una dimensione pienamente umana. La giustizia, insieme con la verità, l'amore e la libertà, è un requisito fondamentale per una pace sicura e duratura nel mondo. Il movimento verso la riconciliazione richiede coraggio e lungimiranza nonché la fiducia nel fatto che sarà Dio stesso a indicarci la via. Non possiamo raggiungere i nostri scopi se Dio non ci dona la forza per farlo.

Quando, nel maggio del 2009, ho visitato Gerusalemme, ho sostato davanti al Muro Occidentale e, nella preghiera scritta che ho inserito fra le pietre del Muro, ho chiesto a Dio la pace in Terra Santa. Ho scritto: «Dio di tutti i tempi, in occasione della mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”, patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani, porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni, le prove, la sofferenza e il dolore di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo. Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura, di chi è privo di speranza; manda la tua pace in questa Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione. “Buono è il Signore con chi spera in Lui, con colui che lo cerca!” (Lam, 3,25)».

Che il Signore ascolti la mia preghiera per Gerusalemme oggi e riempia i vostri cuori di gioia durante la vostra visita a Roma. Che ascolti la preghiera di tutti gli uomini e di tutte le donne che gli chiedono la pace di Gerusalemme.

Infatti, non smettiamo mai di pregare per la pace della Terra Santa, con fiducia in Dio che è nostra pace e nostro conforto! Affidando voi e coloro che rappresentate alla cura misericordiosa dell'Onnipotente, invoco volentieri su tuti voi le benedizioni divine di gioia e di pace.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00giovedì 10 novembre 2011 20:51
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DEL II CONGRESSO NAZIONALE DELLA FAMIGLIA IN ECUADOR (9-12 NOVEMBRE 2011), 10.11.2011

Dal 9 al 12 novembre 2011, si svolge in Ecuador, simultaneamente nelle città di Quito, Guayaquil, Portoviejo, Tena e Loja, il II Congresso Nazionale della Famiglia, sul tema "Familia, Trabajo y Fiesta -La familia ecuatoriana en misión: el trabajo y la fiesta al servicio de la persona y del bien común".
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato in occasione dell’apertura del Congresso Nazionale:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al venerato fratello
Antonio Arregui Yarza
Arcivescovo metropolita di Guayaquil
Presidente della Conferenza Episcopale Ecuatoriana

In occasione del Secondo Congresso Nazionale della Famiglia, saluto con affetto i pastori e i fedeli della Chiesa in Ecuador che, nel quadro della Missione Continentale auspicata ad Aparecida dall’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi e in preparazione al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà a Milano, si propongono di portare a termine un processo di riflessione sul Vangelo che permetta alle coppie sposate e alle famiglie cristiane di rispondere alla loro identità, vocazione e missione.

Il tema del Congresso, «La famiglia ecuatoriana in missione: il lavoro e la festa al servizio della persona e del bene comune», riconosce che la famiglia, nata dal patto di amore e dal dono di sé totale e sincero di un uomo e una donna nel matrimonio, non è una realtà privata, chiusa in se stessa. Essa, per sua vocazione, presta un servizio meraviglioso e decisivo al bene comune della società e alla missione della Chiesa. In effetti, la società non è una mera somma di individui, ma il risultato di rapporti fra le persone, fra uomo e donna, fra genitori e figli, fra fratelli, rapporti che si fondano sulla vita familiare e sui vincoli di affetto che da essa derivano. Ogni famiglia dona alla società, attraverso i suoi figli, la ricchezza umana che ha vissuto. A ragione si può affermare che dalla salute e dalla qualità delle relazioni familiari dipendono la salute e la qualità delle stesse relazioni sociali.

In tal senso, il lavoro e la festa riguardano in modo particolare e sono profondamente vincolati alla vita delle famiglie: condizionano le loro scelte, influenzano i rapporti fra i coniugi e fra i genitori e i figli, e incidono sui vincoli della famiglia con la società e con la Chiesa.

Attraverso il lavoro, l’uomo sperimenta se stesso come soggetto, partecipe del progetto creatore di Dio. Perciò la mancanza di lavoro e la sua precarietà attentano contro la dignità dell’uomo, creando non solo situazioni d’ingiustizia e di povertà, che spesso degenerano in disperazione, criminalità e violenza, ma anche crisi d’identità nelle persone. È pertanto urgente che nascano ovunque misure efficaci, progetti seri e adeguati, e anche una volontà incrollabile e sincera che porti a trovare cammini affinché tutti abbiano accesso a un lavoro dignitoso, stabile e ben remunerato, mediante il quale si santifichino e partecipino attivamente allo sviluppo della società, coniugando un impiego intenso e responsabile con tempi adeguati per una ricca, feconda e armoniosa vita familiare. Un ambiente familiare sereno e costruttivo, con i suoi obblighi domestici e con i suoi affetti, è la prima scuola di lavoro e lo spazio più indicato affinché la persona scopra le sue potenzialità, accresca il suo desiderio di superamento e realizzi le sue più nobili aspirazioni. Inoltre, la vita familiare insegna a vincere l’egoismo, a nutrire la solidarietà, a non disdegnare il sacrificio per la felicità dell’altro, a valorizzare ciò che è buono e retto e ad applicarsi con convinzione e generosità a favore del benessere comune e del bene reciproco, in quanto si è responsabili verso se stessi, gli altri e l’ambiente.

La festa, da parte sua, umanizza il tempo aprendolo all’incontro con Dio, con gli altri e con la natura. Per questo le famiglie hanno bisogno di recuperare il significato autentico della festa, specialmente la domenica, giorno del Signore e dell’uomo. Nella celebrazione eucaristica domenicale, la famiglia sperimenta qui e ora la presenza reale del Signore Risorto, riceve la vita nuova, accoglie il dono dello Spirito, incrementa il suo amore per la Chiesa, ascolta la Parola divina, condivide il Pane eucaristico e si apre all’amore fraterno.

Con questi sentimenti, mentre ribadisco la mia vicinanza e il mio affetto agli amatissimi figli e figlie di questa Nazione, affido i frutti di questo Congresso alla potente intercessione di Nuestra Señora de la Presentación del Quinque, celeste patrona dell’Ecuador, e come pegno di abbondanti favori divini, imparto con piacere a tutti i presenti l’implorata Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2011

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00venerdì 11 novembre 2011 20:59
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO DEI VOLONTARI CATTOLICI EUROPEI PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM" (10-11 NOVEMBRE 2011), 11.11.2011

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Incontro dei volontari cattolici dei Paesi Europei, promosso dal Pontificio Consiglio "Cor Unum" in occasione dell’Anno Europeo del Volontariato 2011.
All’Incontro, iniziato ieri nella sede del Dicastero pontificio e che si conclude oggi, prendono parte i Vescovi responsabili della pastorale caritativa delle Conferenze episcopali dei Paesi Europei e i Rappresentanti di Organismi ecclesiali nazionali e internazionali di volontariato nell’Unione Europea, provenienti da 25 Paesi.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza, dopo l’indirizzo di omaggio del Card. Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum":

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eminenze,
Cari Fratelli Vescovi,
Cari amici,

sono grato per l'opportunità di salutarvi mentre vi incontrate sotto gli auspici del Pontificio Consiglio «Cor Unum» in questo Anno Europeo del Volontariato.

Desidero cominciare ringraziando il Cardinale Robert Sarah per le cordiali parole che mi ha rivolto a vostro nome. Desidero anche esprimere profonda gratitudine a voi e, quindi, ai milioni di volontari cattolici che contribuiscono, con regolarità e generosità, alla missione caritativa della Chiesa nel mondo. Nel momento attuale, caratterizzato da crisi e incertezza, il vostro impegno è motivo di fiducia perché mostra che la bontà esiste e che sta crescendo in mezzo a noi. La fede di tutti i cattolici viene di certo rafforzata dal vedere il bene che viene fatto in nome di Cristo (cfr. Fm, 6).

Per i cristiani, il volontariato non è soltanto espressione di buona volontà. È basato sull'esperienza personale di Cristo. Fu il primo a servire l'umanità, diede liberamente la sua vita per il bene di tutti. Quel dono non si basava sui nostri meriti. Da ciò impariamo che Dio dona se stesso a noi. Inoltre: Deus caritas est -- Dio è amore, per citare una frase della Prima Lettera di Giovanni (4, 8) che ho scelto come titolo della mia prima Lettera Enciclica. L'esperienza dell'amore generoso di Dio ci sfida e ci libera per adottare lo stesso atteggiamento verso i nostri fratelli e le nostre sorelle: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8). Lo sperimentiamo in particolare nell'Eucaristia, quando il Figlio di Dio, nella frazione del pane, unisce la dimensione verticale del suo dono divino con quella orizzontale del nostro servizio ai fratelli e alle sorelle.

La grazia di Cristo ci aiuta a scoprire in noi stessi un anelito umano alla solidarietà e una fondamentale vocazione all'amore. La sua grazia perfeziona, rafforza ed eleva quella vocazione e ci consente di servire gli altri senza ricompensa, soddisfazione o alcun compenso. Qui vediamo qualcosa della grandezza della vocazione umana a servire gli altri con le stesse libertà e generosità che caratterizzano Dio stesso. Diveniamo anche strumenti visibili del suo amore in un mondo che ancora anela profondamente a quell'amore in mezzo alla povertà, alla solitudine, all'emarginazione e all'ignoranza che vediamo intorno a noi.

Di certo, il lavoro dei volontari cattolici non può rispondere a tutte queste necessità, ma ciò non ci scoraggia. Né dovremmo lasciarci sedurre da ideologie che vogliono cambiare il mondo secondo una visione puramente umana. Il poco che possiamo riuscire a fare per alleviare i bisogni umani può essere considerato come il buon seme che germoglierà e recherà molti frutti. È un segno della presenza e dell'amore di Cristo che, come l'albero del Vangelo, cresce per dare riparo, protezione e forza a tutti coloro che ne hanno bisogno.

È questa la natura della testimonianza che voi, in tutta umiltà e convinzione, offrite alla società civile. Sebbene sia dovere dell'autorità pubblica riconoscere e apprezzare questo contributo senza distorcerlo, il vostro ruolo di cristiani consiste nel prendere attivamente parte alla vita della società, cercando di renderla sempre più umana, sempre più caratterizzata da libertà, giustizia e solidarietà autentiche.

Il nostro incontro di oggi si svolge nella memoria liturgica di san Martino di Tours. Spesso ritratto mentre condivide il proprio mantello con un povero, Martino è divenuto modello di carità in tutta Europa e, di fatto, in tutto il mondo. Oggi, il lavoro di volontariato come servizio di carità è divenuto un elemento universalmente riconosciuto della nostra cultura moderna. Ciononostante, le sue origini sono ancora visibili nella particolare sollecitudine cristiana per la tutela, senza discriminazioni, della dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Se queste radici spirituali vengono negate o oscurate e i criteri della nostra collaborazione divengono meramente utilitaristici, quel che c'è di più caratteristico nel servizio che offrite rischia di andare perduto, a detrimento della società nella sua interezza.

Cari amici, desidero concludere incoraggiando i giovani a scoprire nel lavoro di volontariato un modo per accrescere il proprio amore oblativo che dona alla vita il suo significato più profondo. I giovani reagiscono prontamente alla vocazione di amore. Aiutiamoli ad ascoltare Cristo che fa udire la sua chiamata nel loro cuore e li attrae a sé. Non dobbiamo avere paura di presentare loro una sfida radicale che cambia la vita, aiutandoli a comprendere che i nostri cuori sono fatti per amare e per essere amati. È nel dono di sé che viviamo la vita in tutta al sua pienezza.

Con questi sentimenti, rinnovo la mia gratitudine a tutti voi e tutti coloro che rappresentate. Chiedo a Dio di vegliare sulle vostre numerose opere di servizio e di renderle sempre più feconde spiritualmente per il bene della Chiesa e di tutto il mondo. A voi e ai vostri volontari imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00sabato 12 novembre 2011 21:13
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UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SULLE CELLULE STAMINALI ADULTE PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA, 12.11.2011

Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Convegno Internazionale promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema: "Adult Stem Cells: Science and the Future of Man and Culture", tenutosi nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, dal 9 all’11 novembre.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza, dopo l’indirizzo di omaggio dell’Em.mo Card. Gianfranco Ravasi:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,
Eccellenze,
distinti ospiti,
cari amici,

desidero ringraziare il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, per le sue cordiali parole e per aver promosso questa Conferenza Internazionale su Cellule staminali adulte: la scienza e il futuro dell'uomo e della cultura. Desidero ringraziare anche l'Arcivescovo Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), e il Vescovo Ignacio Carrasco de Paula, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per il loro contributo a questo sforzo particolare. Una speciale parola di gratitudine va ai numerosi benefattori il cui sostegno ha reso possibile questo evento. A tale proposito, desidero esprimere l'apprezzamento della Santa Sede per tutta l'opera svolta da varie istituzioni per promuovere iniziative culturali e formative volte a sostenere una ricerca di massimo livello sulle cellule staminali adulte e a studiare le implicazioni culturali, etiche e antropologiche del loro uso.

La ricerca scientifica offre una opportunità unica per esplorare la meraviglia dell'universo, la complessità della natura e la bellezza peculiare dell'universo, inclusa la vita umana. Tuttavia, poiché gli esseri umani sono dotati di anima immortale e sono creati a immagine e somiglianza di Dio, ci sono dimensioni dell'esistenza umana che stanno al di là di ciò che le scienze naturali sono in grado di determinare.

Se questi limiti vengono superati, si corre il grave rischio che la dignità unica e l'inviolabilità della vita umana possano essere subordinate a considerazioni meramente utilitaristiche. Tuttavia, se, invece, questi limiti vengono doverosamente rispettati, la scienza può rendere un contributo veramente notevole alla promozione e alla tutela della dignità dell'uomo: infatti in questo sta la sua utilità autentica.

L'uomo, l'agente della ricerca scientifica, a volte, nella sua natura biologica, sarà l'oggetto di quella ricerca. Ciononostante, la sua dignità trascendente gli dà il diritto di restare sempre il beneficiario ultimo della ricerca scientifica e di non essere mai ridotto a suo strumento.

In questo senso, i benefici potenziali della ricerca sulle cellule staminali adulte sono considerevoli, poiché essa dà la possibilità di guarire malattie degenerative croniche riparando il tessuto danneggiato e ripristinando la sua capacità di rigenerarsi. Il miglioramento che queste terapie promettono costituirebbe un significativo passo avanti nella scienza medica, portando rinnovata speranza ai malati e alle loro famiglie. Per questo motivo, naturalmente la Chiesa offre il suo incoraggiamento a quanti sono impegnati nel condurre e sostenere ricerche di questo tipo, sempre che vengano condotte con il dovuto riguardo per il bene integrale della persona umana e il bene comune della società.

Questa condizione è della massima importanza. La mentalità pragmatica che tanto spesso influenza il processo decisionale nel mondo di oggi è fin troppo pronta ad approvare qualsiasi strumento disponibile a ottenere l'obiettivo desiderato, nonostante siano ampie le prove delle conseguenze disastrose di questo modo di pensare. Quando l'obiettivo prefissato è tanto desiderabile quanto la scoperta di una cura per malattie degenerative, è una tentazione per gli scienziati e per i responsabili delle politiche ignorare tutte le obiezioni etiche e proseguire con qualunque ricerca sembri offrire la prospettiva di un successo. Quanti difendono la ricerca sulle cellule staminali embrionali nella speranza di raggiungere tale risultato compiono il grave errore di negare il diritto inalienabile alla vita di tutti gli esseri umani dal momento del concepimento fino alla morte naturale. La distruzione perfino di una sola vita umana non si può mai giustificare nei termini del beneficio che ne potrebbe presumibilmente conseguire per un'altra. Tuttavia, in generale, non sorgono problemi etici quando le cellule staminali vengono prese dai tessuti di un organismo adulto, dal sangue del cordone ombelicale al momento della nascita o da feti che sono morti per cause naturali (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, istruzione Dignitas personae, n. 32).

Ne consegue che il dialogo fra scienza ed etica è della massima importanza per garantire che i progressi medici non vengano mai compiuti a un prezzo umano inaccettabile. La Chiesa contribuisce a questo dialogo aiutando a formare le coscienze secondo la retta ragione e alla luce della verità rivelata. Così facendo, cerca, non di impedire il progresso scientifico, ma, al contrario, di guidarlo in una direzione che sia veramente feconda e benefica per l'umanità.

Infatti, la Chiesa è convinta che tutto ciò che è umano, inclusa la ricerca scientifica, «non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato» (ibidem, n. 7). In questo modo, la scienza può essere aiutata a servire il bene comune di tutta l'umanità, con particolare riguardo per i più deboli e i più vulnerabili.

Nel richiamare l'attenzione sui bisogni degli indifesi, la Chiesa non pensa soltanto ai nascituri, ma anche a quanti non hanno accesso facile a trattamenti medici costosi. La malattia non è selettiva con le persone e la giustizia richiede che venga fatto ogni sforzo per porre i frutti della ricerca scientifica a disposizione di tutti coloro che sono nella condizione di averne bisogno, indipendentemente dalle loro possibilità economiche. Oltre a considerazioni meramente etiche, bisogna affrontare questioni di natura sociale, economica e politica per garantire che i progressi della scienza medica vadano di pari passo con una offerta giusta ed equa dei servizi sanitari. Qui, la Chiesa è in grado di offrire assistenza concreta attraverso il suo vasto apostolato sanitario, attivo in così tanti Paesi nel mondo e volto a una sollecitudine particolare per i bisogni dei poveri del mondo.

Cari amici, concludendo le mie osservazioni, desidero assicurarvi del mio ricordo speciale nella preghiera e affido alla intercessione di Maria, Salus infirmorum, tutti voi che lavorate tanto duramente per portare guarigione e speranza a quanti soffrono.

Prego affinché il vostro impegno nella ricerca sulle cellule staminali adulte porti grandi benedizioni per il futuro dell'uomo e arricchimento autentico alla sua cultura. A voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori nonché a tutti i pazienti che possono beneficiare della vostra generosa competenza e dei risultati del vostro lavoro, imparto volentieri di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica. Grazie molte!

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00domenica 13 novembre 2011 14:06
Dal blog di Lella...

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 13.11.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

La Parola di Dio di questa domenica – la penultima dell’anno liturgico – ci ammonisce circa la provvisorietà dell’esistenza terrena e ci invita a viverla come un pellegrinaggio, tenendo lo sguardo rivolto alla meta, a quel Dio che ci ha creato e, poiché ci ha fatto per sé (cfr S. Agostino, Conf. 1,1), è il nostro destino ultimo e il senso del nostro vivere. Passaggio obbligato per giungere a tale realtà definitiva è la morte, seguita dal giudizio finale. L’apostolo Paolo ricorda che "il giorno del Signore verrà come un ladro di notte" (1 Ts 5,2), cioè senza preavviso. La consapevolezza del ritorno glorioso del Signore Gesù ci sprona a vivere in un atteggiamento di vigilanza, attendendo la sua manifestazione nella costante memoria della sua prima venuta.

Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) – Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca.

Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato.

Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: "È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere" (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: "se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre" (ibidem).

Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture! Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore. La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano (cfr 1 Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1 Gv 3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri? (cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio.

DOPO L’ANGELUS

Cari amici,

Ricorre oggi la Giornata Mondiale del Diabete, malattia cronica che affligge molte persone, anche giovani. Prego per tutti questi fratelli e sorelle, e per quanti condividono ogni giorno la loro fatica; come pure per gli operatori sanitari e i volontari che li assistono.

Oggi la Chiesa italiana celebra la Giornata del Ringraziamento. Guardando ai frutti della terra che anche quest’anno il Signore ci ha donato, riconosciamo che il lavoro dell’uomo sarebbe vano se Lui non lo rendesse fecondo. "Solo con Dio c’è futuro nelle nostre campagne". Mentre rendiamo grazie, impegniamoci a rispettare la terra, che Dio ci ha affidato.

Chers pèlerins francophones, le Seigneur nous invite aujourd’hui à reconnaître les dons qu’il nous a faits. Il confie à chacun la responsabilité de les faire fructifier pour qu’il soit le sel de la terre et la lumière du monde. Cette parole du Christ a guidé les travaux de la Deuxième Assemblée spéciale pour l’Afrique du Synode des Évêques. Je souhaite la donner à tous alors que je vais me rendre au Bénin pour affermir la foi et l’espérance des chrétiens d’Afrique et des Îles adjacentes. Je confie à votre prière ce voyage et les habitants du cher continent africain, particulièrement ceux qui connaissent l’insécurité et la violence. Que Notre Dame d’Afrique accompagne et soutienne les efforts de toutes les personnes qui œuvrent pour la réconciliation, la justice et la paix ! Avec ma bénédiction !

I welcome the English-speaking visitors gathered for this Angelus prayer, especially the large group of Filipino pilgrims! In today’s Gospel, the parable of the talents, Jesus invites us to reflect with gratitude on the gifts we have received and to use them wisely for the growth of God’s Kingdom. May his words summon us to an ever deeper conversion of mind and heart, and a more effective solidarity in the service of all our brothers and sisters. Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of wisdom, joy and peace!

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich allen Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Besonders verbinde ich mich mit den Gläubigen, die heute nachmittag an der Seligsprechung des Märtyrerpriesters Carl Lampert in Dornbirn im Vorarlberg teilnehmen. In der dunklen Zeit des Nationalsozialismus ist an ihm das Wort des heiligen Paulus deutlich geworden: „Wir gehören nicht der Nacht und nicht der Finsternis" (1 Thess 5,5). In einem Verhör, das ihm die Freiheit in Aussicht stellte, konnte er voll Überzeugung bekennen: „Ich liebe meine Kirche. Ich bleibe meiner Kirche treu und auch dem Priesteramt. Ich stehe für Christus und liebe seine Kirche." Vertrauen wir uns der Fürsprache des neuen Seligen an, damit wir wie er einmal ganz teilnehmen dürfen an der Freude seines und unseres Herrn.

(Traduzione di lavoro del saluto in lingua tedesca a cura della Sala Stampa della Santa Sede):

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini e visitatori di lingua tedesca. Mi unisco in particolare ai fedeli che oggi pomeriggio partecipano alla beatificazione del sacerdote martire Carl Lampert a Dornbirn. Nel tempo oscuro del nazionalsocialismo, ha visto con chiarezza il significato della parola di san Paolo: "Noi non apparteniamo alla notte né alle tenebre" (1 Tess, 5,5). In occasione di un interrogatorio che avrebbe potuto portarlo alla libertà, testimoniò con convinzione: "Io amo la mia Chiesa. Io rimango fedele alla mia Chiesa e anche al sacerdozio. Io sto dalla parte di Cristo e amo la sua Chiesa". Confidiamo nell’intercessione del nuovo Beato affinché anche noi possiamo partecipare con lui alla gioia del Signore.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que han participado en esta oración mariana del Ángelus. En la liturgia de hoy, la Palabra de Dios nos exhorta a la sobriedad, a la vigilancia y a una vida cristiana activa y diligente. Los dones que el Señor ha depositado en nosotros son un tesoro que hemos de enriquecer cada día, como tierra fértil que da buenos frutos, y contribuir así a la edificación de la Iglesia y de la sociedad. Que la Virgen María nos acompañe en este servicio a la obra salvadora de Cristo. Muchas gracias y feliz domingo.

Od srca pozdravljam i blagoslivljam hrvatske hodočasnike, a osobito obitelji iz Splita. Dok se bližimo kraju ove liturgijske godine, sjetite se da je Krist početak i svršetak, naša alfa i omega, naše sve. Njegovu vodstvu povjerite svoj život. Hvaljen Isus i Marija!

[Saluto di cuore e benedico tutti i pellegrini croati, particolarmente le famiglie di Split. Mentre ci avviciniamo alla fine di questo anno liturgico, ricordatevi che Cristo è l’inizio e il compimento, nostra alfa e omega, nostro tutto. Affidate la vostra vita alla sua guida. Siano lodati Gesù e Maria!]

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Dzisiaj, z inicjatywy Stowarzyszenia Pomoc Kościołowi w Potrzebie, obchodzicie w Polsce Dzień Solidarności z Kościołem Prześladowanym. W tym roku, modlitwą i ofiarami wspieracie szczególnie Kościół w Sudanie. Życzę, by ten „Dzień" uwrażliwił wszystkich na dramat ludzkiej biedy i prześladowań, na potrzebę poszanowania godności osoby ludzkiej i prawa do wolności religijnej. Wszystkim, którzy włączają się w tę modlitwę z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. Oggi, per iniziativa dell’Associazione "Aiuto alla Chiesa che Soffre", celebrate in Polonia la Giornata della solidarietà con la Chiesa perseguitata. Quest’anno, con le vostre preghiere e con le vostre offerte, sostenete in modo particolare la Chiesa in Sudan. Vi auguro che questa "Giornata" sensibilizzi tutti al dramma dell’umana povertà e delle persecuzioni, alla necessità del rispetto dell’umana dignità e del diritto di libertà religiosa. Benedico di cuore tutti coloro che si uniscono a questa preghiera.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani che hanno preso parte al Convegno promosso dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana. Saluto il Terz’Ordine dei Minimi di Pizzo Calabro, i partecipanti all’incontro formativo per le guide dei Santuari mariani, il gruppo della Polizia Municipale di Agropoli, i fedeli di Riccione, Romagnano, Afragola, e quelli di Inarzo, che celebrano il centenario della Dedicazione della chiesa parrocchiale. Un saluto anche al gruppo Autosport di Pistoia, come pure ai volontari del Banco Alimentare, che sabato 26 novembre faranno la "colletta alimentare". A tutti auguro una buona domenica.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana


Paparatzifan
00giovedì 17 novembre 2011 18:56
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 16.11.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza S. Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, concludendo il ciclo di catechesi dedicato alla preghiera nel Libro dei Salmi, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul Salmo 110 (109), sul Re Messia.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Salmo 109

Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi terminare le mie catechesi sulla preghiera del Salterio meditando uno dei più famosi "Salmi regali", un Salmo che Gesù stesso ha citato e che gli autori del Nuovo Testamento hanno ampiamente ripreso e letto in riferimento al Messia, a Cristo. Si tratta del Salmo 110 secondo la tradizione ebraica, 109 secondo quella greco-latina; un Salmo molto amato dalla Chiesa antica e dai credenti di ogni tempo. Questa preghiera era forse inizialmente collegata all’intronizzazione di un re davidico; tuttavia il suo senso va oltre la specifica contingenza del fatto storico aprendosi a dimensioni più ampie e diventando così celebrazione del Messia vittorioso, glorificato alla destra di Dio.

Il Salmo inizia con una dichiarazione solenne:

Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi» (v. 1).

Dio stesso intronizza il re nella gloria, facendolo sedere alla sua destra, un segno di grandissimo onore e di assoluto privilegio. Il re è ammesso in tal modo a partecipare alla signoria divina, di cui è mediatore presso il popolo. Tale signoria del re si concretizza anche nella vittoria sugli avversari, che vengono posti ai suoi piedi da Dio stesso; la vittoria sui nemici è del Signore, ma il re ne è fatto partecipe e il suo trionfo diventa testimonianza e segno del potere divino.

La glorificazione regale espressa in questo inizio del Salmo è stata assunta dal Nuovo Testamento come profezia messianica; perciò il versetto è tra i più usati dagli autori neotestamentari, o come citazione esplicita o come allusione. Gesù stesso ha menzionato questo versetto a proposito del Messia per mostrare che il Messia è più che Davide, è il Signore di Davide (cfr Mt 22,41-45; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44). E Pietro lo riprende nel suo discorso a Pentecoste, annunciando che nella risurrezione di Cristo si realizza questa intronizzazione del re e che da adesso Cristo sta alla destra del Padre, partecipa alla Signoria di Dio sul mondo (cfr Atti 2,29-35). È il Cristo, infatti, il Signore intronizzato, il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio che viene sulle nubi del cielo, come Gesù stesso si definisce durante il processo davanti al Sinedrio (cfr Mt 26,63-64; Mc 14,61-62; cfr anche Lc 22,66-69). È Lui il vero re che con la risurrezione è entrato nella gloria alla destra del Padre (cfr Rom 8,34; Ef 2,5; Col 3,1; Ebr 8,1; 12,2), fatto superiore agli angeli, seduto nei cieli al di sopra di ogni potenza e con ogni avversario ai suoi piedi, fino a che l’ultima nemica, la morte, sia da Lui definitivamente sconfitta (cfr 1 Cor 15,24-26; Ef 1,20-23; Ebr 1,3-4.13; 2,5-8; 10,12-13; 1 Pt 3,22). E si capisce subito che questo re che è alla destra di Dio e partecipa della sua Signoria, non è uno di questi uomini successori di Davide, ma solo il nuovo Davide, il Figlio di Dio che ha vinto la morte e partecipa realmente alla gloria di Dio. È il nostre re, che ci dà anche la vita eterna.

Tra il re celebrato dal nostro Salmo e Dio esiste quindi una relazione inscindibile; i due governano insieme un unico governo, al punto che il Salmista può affermare che è Dio stesso a stendere lo scettro del sovrano dandogli il compito di dominare sui suoi avversari, come recita il versetto 2:

Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince con il suo amore.

Perciò, nel versetto seguente, si celebra la grandezza del re. Il versetto 3, in realtà, presenta alcune difficoltà di interpretazione. Nel testo originale ebraico si fa riferimento alla convocazione dell’esercito a cui il popolo risponde generosamente stringendosi attorno al suo sovrano nel giorno della sua incoronazione. La traduzione greca dei LXX, che risale al III-II secolo prima di Cristo, fa riferimento invece alla filiazione divina del re, alla sua nascita o generazione da parte del Signore, ed è questa la scelta interpretativa di tutta la tradizione della Chiesa, per cui il versetto suona nel modo seguente:

A te il principato nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato.

Questo oracolo divino sul re affermerebbe dunque una generazione divina soffusa di splendore e di mistero, un’origine segreta e imperscrutabile, legata alla bellezza arcana dell’aurora e alla meraviglia della rugiada che nella luce del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi. Si delinea così, indissolubilmente legata alla realtà celeste, la figura del re che viene realmente da Dio, del Messia che porta al popolo la vita divina ed è mediatore di santità e di salvezza. Anche qui vediamo che tutto questo non è realizzato dalla figura di un re davidico, ma dal Signore Gesù Cristo, che realmente viene da Dio; Egli è la luce che porta la vita divina al mondo.

Con questa immagine suggestiva ed enigmatica termina la prima strofa del Salmo, a cui fa seguito un altro oracolo, che apre una nuova prospettiva, nella linea di una dimensione sacerdotale connessa alla regalità. Recita il versetto 4:

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».

Melchìsedek era il sacerdote re di Salem che aveva benedetto Abramo e offerto pane e vino dopo la vittoriosa campagna militare condotta dal patriarca per salvare il nipote Lot dalle mani dei nemici che lo avevano catturato (cfr Gen 14). Nella figura di Melchìsedek, potere regale e sacerdotale convergono e ora vengono proclamati dal Signore in una dichiarazione che promette eternità: il re celebrato dal Salmo sarà sacerdote per sempre, mediatore della presenza divina in mezzo al suo popolo, tramite della benedizione che viene da Dio e che nell’azione liturgica si incontra con la risposta benedicente dell’uomo.

La Lettera agli Ebrei fa esplicito riferimento a questo versetto (cfr. 5,5-6.10; 6,19-20) e su di esso incentra tutto il capitolo 7, elaborando la sua riflessione sul sacerdozio di Cristo. Gesù, così ci dice la Lettera agli Ebrei nella luce del salmo 110 (109), Gesù è il vero e definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di Melchìsedek rendendoli perfetti.

Melchìsedek, come dice la Lettera agli Ebrei, era «senza padre, senza madre, senza genealogia» (7,3a), sacerdote dunque non secondo le regole dinastiche del sacerdozio levitico. Egli perciò «rimane sacerdote per sempre» (7,3c), prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote perfetto che «non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile» (7,16). Nel Signore Gesù risorto e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la morte, porta alla vita tutti i credenti. Sacerdote perenne, «santo, innocente, senza macchia» (7,26), egli, come ancora dice la Lettera agli Ebrei, «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (7,25).

Dopo questo oracolo divino del versetto 4, col suo solenne giuramento, la scena del Salmo cambia e il poeta, rivolgendosi direttamente al re, proclama: «Il Signore è alla tua destra!» (v. 5a). Se nel versetto 1 era il re a sedersi alla destra di Dio in segno di sommo prestigio e di onore, ora è il Signore a collocarsi alla destra del sovrano per proteggerlo con lo scudo nella battaglia e salvarlo da ogni pericolo. Il re è al sicuro, Dio è il suo difensore e insieme combattono e vincono ogni male.

Si aprono così i versetti finali del Salmo con la visione del sovrano trionfante che, appoggiato dal Signore, avendo ricevuto da Lui potere e gloria (cfr v. 2), si oppone ai nemici sbaragliando gli avversari e giudicando le nazioni. La scena è dipinta con tinte forti, a significare la drammaticità del combattimento e la pienezza della vittoria regale.

Il sovrano, protetto dal Signore, abbatte ogni ostacolo e procede sicuro verso la vittoria. Ci dice: sì, nel mondo c'è tanto male, c'è una battaglia permanente tra il bene e il male, e sembra che il male sia più forte. No, più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote Cristo, perché combatte con tutta la forza di Dio e, nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull'esito positivo della storia, vince Cristo e vince il bene, vince l'amore e non l'odio.

È qui che si inserisce la suggestiva immagine con cui si conclude il nostro Salmo, che è anche una parola enigmatica.

lungo il cammino si disseta al torrente,
perciò solleva alta la testa (v. 7).

Nel mezzo della descrizione della battaglia, si staglia la figura del re che, in un momento di tregua e di riposo, si disseta ad un torrente d’acqua, trovando in esso ristoro e nuovo vigore, così da poter riprendere il suo cammino trionfante, a testa alta, in segno di definitiva vittoria. E' ovvio che questa parola molto enigmatica era una sfida per i Padri della Chiesa per le diverse interpretazioni che si potevano dare. Così, per esempio, sant'Agostino dice: questo torrente è l'essere umano, l'umanità, e Cristo ha bevuto da questo torrente facendosi uomo, e così, entrando nell'umanità dell'essere umano, ha sollevato il suo capo e adesso è il capo del Corpo mistico, è il nostro capo, è il vincitore definitivo (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 20: PL 36, 1462).

Cari amici, seguendo la linea interpretativa del Nuovo Testamento, la tradizione della Chiesa ha tenuto in grande considerazione questo Salmo come uno dei più significativi testi messianici. E, in modo eminente, i Padri vi hanno fatto continuo riferimento in chiave cristologica: il re cantato dal Salmista è, in definitiva, Cristo, il Messia che instaura il Regno di Dio e vince le potenze del mondo, è il Verbo generato dal Padre prima di ogni creatura, prima dell'aurora, il Figlio incarnato morto e risorto e assiso nei cieli, il sacerdote eterno che, nel mistero del pane e del vino, dona la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio, il re che solleva la testa trionfando sulla morte con la sua risurrezione.

Basterebbe ricordare un passo ancora una volta del commento di sant’Agostino a questo Salmo dove scrive: «Era necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto accettato con fede, gioia ed atteso. Nell’ambito di queste promesse rientra codesto Salmo, il quale profetizza, in termini tanto sicuri ed espliciti, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che noi non possiamo minimamente dubitare che in esso sia realmente annunciato il Cristo» (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 3: PL 36, 1447)

L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato "fino alla fine" (cfr. Gv 13,1 e 19,30). Pregando con questo Salmo, chiediamo dunque al Signore di poter procedere anche noi sulle sue vie, nella sequela di Cristo, il re Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (cfr 1 Pt 2,9), potremo attingere con gioia alle sorgenti della salvezza (cfr Is 12,3) e proclamare a tutto il mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (cfr 1 Pt 2,9).

Cari amici, in queste ultime Catechesi ho voluto presentarvi alcuni Salmi, preziose preghiere che troviamo nella Bibbia e che riflettono le varie situazioni della vita e i vari stati d’animo che possiamo avere verso Dio. Vorrei allora rinnovare a tutti l’invito a pregare con i Salmi, magari abituandosi a utilizzare la Liturgia delle Ore della Chiesa, le Lodi al mattino, i Vespri alla sera, la Compieta prima di addormentarsi. Il nostro rapporto con Dio non potrà che essere arricchito nel quotidiano cammino verso di Lui e realizzato con maggior gioia e fiducia.

Grazie.

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Paparatzifan
00domenica 20 novembre 2011 02:07
Paparatzifan
00mercoledì 23 novembre 2011 21:23
Dal blog di Lella...

L’UDIENZA GENERALE, 23.11.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul Suo recente Viaggio Apostolico in Benin, dove si è recato in occasione del 150° anniversario dell’inizio dell’evangelizzazione del Paese e per la firma e la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale Africae munus, che raccoglie i frutti della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Viaggio Apostolico in Benin

Cari fratelli e sorelle,

sono ancora vive in me le impressioni suscitate dal recente Viaggio Apostolico nel Benin, sul quale desidero quest’oggi soffermarmi. Sgorga spontaneo dal mio animo il rendimento di grazie al Signore: nella sua provvidenza, Egli ha voluto che ritornassi in Africa per la seconda volta come successore di Pietro, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’inizio dell’evangelizzazione del Benin e per firmare e consegnare ufficialmente alle comunità ecclesiali africane l’Esortazione Apostolica postsinodale Africae munus.

In questo importante documento, dopo aver riflettuto sulle analisi e sulle proposte scaturite dalla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano nell’ottobre del 2009, ho voluto offrire alcune linee per l’azione pastorale nel grande Continente africano. In pari tempo, ho voluto rendere omaggio e pregare sulla tomba di un illustre figlio del Benin e dell’Africa, e grande uomo di Chiesa, l’indimenticabile Cardinale Bernardin Gantin, la cui venerata memoria è più che mai viva nel suo Paese, che lo considera un Padre della patria, e nell’intero Continente.

Desidero oggi ripetere il mio più vivo ringraziamento a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo mio pellegrinaggio. Anzitutto sono molto grato al Signor Presidente della Repubblica, che con grande cortesia mi ha offerto il cordiale saluto suo e di tutto il Paese; all’Arcivescovo di Cotonou e agli altri venerati Fratelli nell’episcopato, che mi hanno accolto con affetto. Ringrazio, inoltre, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi, i catechisti e gli innumerevoli fratelli e sorelle, che con tanta fede e calore mi hanno accompagnato durante quei giorni di grazia. Abbiamo vissuto insieme una toccante esperienza di fede e di rinnovato incontro con Gesù Cristo vivo, nel contesto del 150° anniversario della evangelizzazione del Benin.

Ho deposto i frutti della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ai piedi della Vergine Santa, venerata in Benin specialmente nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Ouidah.
Sul modello di Maria, la Chiesa in Africa ha accolto la Buona Novella del Vangelo, generando molti popoli alla fede. Ora le comunità cristiane dell’Africa – come sottolineato sia dal tema del Sinodo sia dal motto del mio Viaggio Apostolico – sono chiamate a rinnovarsi nella fede per essere sempre più al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Esse sono invitate a riconciliarsi al loro interno per diventare strumenti gioiosi della misericordia divina, ognuna apportando le proprie ricchezze spirituali e materiali all’impegno comune.
Questo spirito di riconciliazione è indispensabile, naturalmente, anche sul piano civile e necessita un’apertura alla speranza che deve animare anche la vita sociopolitica ed economica del Continente, come ho avuto modo di rilevare nell’incontro con le Istituzioni politiche, il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle Religioni. In questa circostanza ho voluto porre l’accento proprio sulla speranza che deve animare il cammino del Continente, rilevando l’ardente desiderio di libertà e di giustizia che, specialmente in questi ultimi mesi, anima i cuori di numerosi popoli africani. Ho sottolineato poi la necessità di costruire una società in cui i rapporti tra etnie e religioni diverse siano caratterizzati dal dialogo e dall’armonia. Ho invitato tutti ad essere veri seminatori di speranza in ogni realtà e in ogni ambiente.

I cristiani sono di per sè uomini di speranza, che non si possono disinteressare dei propri fratelli e sorelle: ho ricordato questa verità anche all'immensa folla convenuta per la celebrazione eucaristica domenicale nello stadio dell’Amicizia di Cotonou.

E’ stata questa Messa della domenica uno straordinario momento di preghiera e di festa alla quale hanno preso parte migliaia di fedeli del Benin e di altri Paesi africani, dai più anziani ai più giovani: una meravigliosa testimonianza di come la fede riesca ad unire le generazioni e sappia rispondere alle sfide di ogni stagione della vita.

Durante questa toccante e solenne celebrazione, ho consegnato ai Presidenti delle Conferenze Episcopali dell’Africa l’Esortazione Apostolica post-sinodale Africae munus - che avevo firmato il giorno prima a Ouidah - destinata ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi ed alle religiose, ai catechisti ed ai laici dell’intero Continente africano.

Affidando ad essi i frutti della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, ho chiesto loro di meditarli attentamente e di viverli in pienezza, per rispondere efficacemente alla impegnativa missione evangelizzatrice della Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio. In questo importante testo ogni fedele troverà le linee fondamentali che guideranno e incoraggeranno il cammino della Chiesa in Africa, chiamata ad essere sempre più il “sale della terra” e la “luce del mondo”.

A tutti ho rivolto l’appello ad essere costruttori instancabili di comunione, di pace e di solidarietà, per cooperare così alla realizzazione del piano di salvezza di Dio per l’umanità. Gli africani hanno risposto con il loro entusiasmo all’invito del Papa, e sui loro volti, nella loro fede ardente, nella loro adesione convinta al Vangelo della vita ho riconosciuto ancora una volta segni consolatori di speranza per il grande Continente africano.

Ho toccato con mano questi segni anche nell’incontro con i bambini e con il mondo della sofferenza.

Nella chiesa parrocchiale di Santa Rita, ho veramente gustato la gioia di vivere, l’allegria e l’entusiasmo delle nuove generazioni che costituiscono il futuro dell’Africa. Alla schiera festosa dei Bambini, una delle tante risorse e ricchezze del Continente, ho additato la figura di san Kizito, un ragazzo ugandese, ucciso perché voleva vivere secondo il Vangelo, ed ho esortato ciascuno a testimoniare Gesù ai propri coetanei.

La visita al Foyer “Pace e Gioia”, gestito dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa, mi ha fatto vivere un momento di grande commozione incontrando bambini abbandonati e malati e mi ha consentito di vedere concretamente come l’amore e la solidarietà sanno rendere presente nella debolezza la forza e l’affetto di Cristo risorto.

La gioia e l’ardore apostolico che ho riscontrato tra i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i laici, convenuti in gran numero, costituisce un segno di sicura speranza per il futuro della Chiesa in Benin.

Nell’esortare tutti ad una fede autentica e viva e ad una vita cristiana caratterizzata dalla pratica delle virtù, ho incoraggiato ciascuno a vivere la rispettiva missione nella Chiesa con fedeltà agli insegnamenti del Magistero, in comunione fra loro e con i Pastori, indicando specialmente ai sacerdoti la via della santità, nella consapevolezza che il ministero non è una semplice funzione sociale, ma è portare Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

Momento intenso di comunione è stato l’incontro con l’Episcopato del Benin, per riflettere in particolare sull’origine dell’annuncio evangelico nel loro Paese, ad opera di missionari che hanno generosamente donato la loro vita, talvolta in modo eroico, affinché l’amore di Dio fosse annunciato a tutti. Ai Vescovi ho rivolto l’invito a porre in atto opportune iniziative pastorali per suscitare nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle comunità e nei movimenti ecclesiali una costante riscoperta della Sacra Scrittura, quale sorgente di rinnovamento spirituale e occasione di approfondimento della la fede. Da tale rinnovato approccio alla Parola di Dio e dalla riscoperta del proprio Battesimo, i fedeli laici troveranno la forza per testimoniare la loro fede in Cristo e nel suo Vangelo nella loro vita quotidiana. In questa fase cruciale per l’intero Continente, la Chiesa in Africa, con il suo impegno al servizio del Vangelo, con la coraggiosa testimonianza di fattiva solidarietà, potrà essere protagonista di una nuova stagione di speranza.

In Africa ho visto una freschezza del sì alla vita, una freschezza del senso religioso e della speranza, una percezione della realtà nella sua totalità con Dio e non ridotta ad un positivismo che, alla fine, spegne la speranza. Tutto ciò dice che in quel Continente c’è una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale noi possiamo contare, sulla quale la Chiesa può contare.

Questo mio viaggio ha costituito anche un grande appello all'Africa, perché orienti ogni sforzo ad annunciare il Vangelo a coloro che ancora non lo conoscono. Si tratta di un rinnovato impegno per l’evangelizzazione, alla quale ogni battezzato è chiamato, promuovendo la riconciliazione, la giustizia e la pace.

A Maria, Madre della Chiesa e Nostra Signora d’Africa, affido coloro che ho avuto modo di incontrare in questo mio indimenticabile Viaggio Apostolico. A Lei raccomando la Chiesa in Africa. La materna intercessione di Maria «il cui cuore è sempre orientato alla volontà di Dio, sostenga ogni impegno di conversione, consolidi ogni iniziativa di riconciliazione e renda efficace ogni sforzo in favore della pace in un mondo che ha fame e sete di giustizia» (Africae munus, 175).
Grazie

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Paparatzifan
00giovedì 24 novembre 2011 18:27
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALLA CARITAS ITALIANA NEL 40° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE, 24.11.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Partecipanti all’Incontro promosso dalla Caritas Italiana, in occasione del 40° anniversario di fondazione dell’organismo della Conferenza Episcopale Italiana.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’Udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con gioia vi accolgo in occasione del 40° anniversario dell’istituzione della Caritas Italiana. Vi saluto con affetto, unendomi al ringraziamento dell’intero Episcopato italiano per il vostro prezioso servizio. Saluto cordialmente il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ringraziandolo per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto Mons. Giuseppe Merisi, Presidente della Caritas, i Vescovi incaricati delle diverse Conferenze Episcopali Regionali per il servizio della carità, il Direttore della Caritas Italiana, i direttori delle Caritas Diocesane e tutti i loro collaboratori.

Siete venuti presso la tomba di Pietro per confermare la vostra fede e riprendere slancio nella vostra missione. Il Servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: «Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica» (Insegnamenti X [1972], 989). A voi, infatti, è affidato un’importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr Fil 2,15). Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminare questa prospettiva: «Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,5-6). Questo è il distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità. «L’amore del Cristo infatti ci possiede» (2 Cor 5,14), scrive san Paolo. E’ questa prospettiva che dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in cui vivete.

Cari amici, non desistete mai da questo compito educativo, anche quando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati. Vivetelo nella fedeltà alla Chiesa e nel rispetto dell’identità delle vostre Istituzioni, utilizzando gli strumenti che la storia vi ha consegnato e quelli che la «fantasia della carità» – come diceva il beato Giovanni Paolo II – vi suggerirà per l’avvenire. Nei quattro decenni trascorsi, avete potuto approfondire, sperimentare e attuare un metodo di lavoro basato su tre attenzioni tra loro correlate e sinergiche: ascoltare, osservare, discernere, mettendolo al servizio della vostra missione: l’animazione caritativa dentro le comunità e nei territori. Si tratta di uno stile che rende possibile agire pastoralmente, ma anche perseguire un dialogo profondo e proficuo con i vari ambiti della vita ecclesiale, con le associazioni, i movimenti e con il variegato mondo del volontariato organizzato.

Ascoltare per conoscere, certo, ma insieme per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possono sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti. In questo modo le Caritas devono essere come "sentinelle" (cfr Is 21,11-12), capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa.

L’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento.

Scorrendo le pagine del Vangelo, restiamo colpiti dai gesti di Gesù: gesti che trasmettono la Grazia, educativi alla fede e alla sequela; gesti di guarigione e di accoglienza, di misericordia e di speranza, di futuro e di compassione; gesti che iniziano o perfezionano una chiamata a seguirlo e che sfociano nel riconoscimento del Signore come unica ragione del presente e del futuro.

Quella dei gesti, dei segni è una modalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso i segni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande. Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare. Rendetele, per così dire, «parlanti», preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nascono dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione verso chi fa più fatica.

Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveri a crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nella sequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i propri obblighi. Ricordiamo quanto insegna il Concilio Vaticano II: «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8). L’umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà.

Fin dall’inizio del vostro cammino pastorale, vi è stato consegnato, come impegno prioritario, lo sforzo di realizzare una presenza capillare sul territorio, soprattutto attraverso le Caritas Diocesane e Parrocchiali. È obiettivo da perseguire anche nel presente. Sono certo che i Pastori sapranno sostenervi e orientarvi, soprattutto aiutando le comunità a comprendere il proprium di animazione pastorale che la Caritas porta nella vita di ogni Chiesa particolare, e sono certo che voi ascolterete i vostri Pastori e ne seguirete le indicazioni.

L’attenzione al territorio e alla sua animazione suscita, poi, la capacità di leggere l’evolversi della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive. La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previsione, un «cuore che vede» (cfr Enc. Deus caritas est, 25). Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano. È in questa prospettiva che l’oggi interpella il vostro modo di essere animatori e operatori di carità. Il pensiero non può non andare anche al vasto mondo della migrazione. Spesso calamità naturali e guerre creano situazioni di emergenza. La crisi economica globale è un ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità. Il divario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana di tante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchi concentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici. Il crescente disagio, l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile indicano il rischio di un calo di speranza. L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza. Cari amici, aiutate la Chiesa tutta a rendere visibile l’amore di Dio. Vivete la gratuità e aiutate a viverla. Richiamate tutti all’essenzialità dell’amore che si fa servizio. Accompagnate i fratelli più deboli. Animate le comunità cristiane. Dite al mondo la parola dell’amore che viene da Dio. Ricercate la carità come sintesi di tutti i carismi dello Spirito (cfr 1 Cor 14,1).

Sia vostra guida la Beata Vergine Maria che, nella visita ad Elisabetta, portò il dono sublime di Gesù nell’umiltà del servizio (cfr Lc 1,39-43). Io vi accompagno con la preghiera e volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica, estendendola a quanti quotidianamente incontrate nelle vostre molteplici attività.
Grazie.

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Paparatzifan
00venerdì 25 novembre 2011 21:34
Dal blog di Lella...

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI, 25.11.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Partecipanti alla XXV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, che si svolge a Roma dal 24 al 26 novembre sul tema: La questione di Dio oggi. «Non dobbiamo forse nuovamente ricominciare da Dio?».
Nel corso dell’incontro, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrare tutti voi, membri e consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, riuniti per la XXV Assemblea Plenaria. Saluto in modo particolare il Cardinale Stanisław Ryłko e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto, come pure Mons. Josef Clemens, Segretario. Un cordiale benvenuto rivolgo a tutti, in modo speciale ai fedeli laici, donne e uomini, che compongono il Dicastero. Il periodo trascorso dall’ultima Assemblea plenaria vi ha visti impegnati in varie iniziative, già menzionate da sua eminenza. Vorrei anch’io ricordare il Congresso per i fedeli laici dell’Asia e la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Sono stati momenti molto intensi di fede e di vita ecclesiale, importanti anche nella prospettiva dei grandi eventi ecclesiali che celebreremo l’anno prossimo: la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e l’apertura dell’Anno della fede.

Il Congresso per i laici dell’Asia è stato organizzato l’anno scorso a Seoul, con l’aiuto della Chiesa in Corea, sul tema «Proclaiming Jesus Christ in Asia Today». Il vastissimo continente asiatico ospita popoli, culture e religioni diversi, di antica origine, ma l’annuncio cristiano ha raggiunto sinora soltanto una piccola minoranza, che non di rado - come lei ha detto eminenza - vive la fede in un contesto difficile, a volte anche di vera persecuzione. Il convegno ha offerto l’occasione ai fedeli laici, alle associazioni, ai movimenti e alle nuove comunità che operano in Asia, di rafforzare l’impegno e il coraggio per la missione. Questi nostri fratelli testimoniano in modo ammirevole la loro adesione a Cristo, lasciando intravedere come in Asia, grazie alla loro fede, si stiano aprendo per la Chiesa del terzo millennio vasti scenari di evangelizzazione. Apprezzo che il Pontificio Consiglio per i Laici stia organizzando un analogo Congresso per i laici dell’Africa, previsto in Camerun l’anno prossimo. Tali incontri continentali sono preziosi per dare impulso all’opera di evangelizzazione, per rafforzare l’unità e rendere sempre più saldi i legami tra Chiese particolari e Chiesa universale.

Vorrei inoltre attirare l’attenzione sull’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Il tema, come sappiamo, era la fede: «Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (cfr Col 2,7).

E davvero ho potuto contemplare una moltitudine immensa di giovani, convenuti entusiasti da tutto il mondo per incontrare il Signore e vivere la fraternità universale. Una straordinaria cascata di luce, di gioia e di speranza ha illuminato Madrid, e non solo Madrid, ma anche la vecchia Europa e il mondo intero, riproponendo in modo chiaro l’attualità della ricerca di Dio. Nessuno è potuto rimanere indifferente, nessuno ha potuto pensare che la questione di Dio sia irrilevante per l’uomo di oggi.

I giovani del mondo intero attendono con ansia di poter celebrare le Giornate Mondiali a loro dedicate, e so che già siete al lavoro per l’appuntamento a Rio de Janeiro nel 2013.

A tale proposito, mi sembra particolarmente importante aver voluto affrontare quest’anno, nell’Assemblea Plenaria, il tema di Dio: «La questione di Dio oggi». Non dovremmo mai stancarci di riproporre tale domanda, di "ricominciare da Dio", per ridare all’uomo la totalità delle sue dimensioni, la sua piena dignità.

Infatti, una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo, rinunciando a ogni riferimento al trascendente, si è dimostrata incapace di comprendere e preservare l’umano. La diffusione di questa mentalità ha generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima che crisi economica e sociale. L’uomo che cerca di esistere soltanto positivisticamente, nel calcolabile e nel misurabile, alla fine rimane soffocato. In questo quadro, la questione di Dio è, in un certo senso, «la questione delle questioni». Essa ci riporta alle domande di fondo dell’uomo, alle aspirazioni di verità, di felicità e di libertà insite nel suo cuore, che cercano una realizzazione. L’uomo che risveglia in sé la domanda su Dio si apre alla speranza, ad una speranza affidabile, per cui vale la pena di affrontare la fatica del cammino nel presente (cfr Spe salvi, 1).

Ma come risvegliare la domanda di Dio, perché sia la questione fondamentale?

Cari amici, se è vero che «all’inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona» (Deus caritas est, 1), la domanda su Dio è risvegliata dall’incontro con chi ha il dono della fede, con chi ha un rapporto vitale con il Signore.

Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l’ha incontrato. Qui il vostro ruolo di fedeli laici è particolarmente importante.

Come osserva la Christifideles laici, è questa la vostra specifica vocazione: nella missione della Chiesa «…un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro "indole secolare", che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale» (n. 36). Siete chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell’agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell’economia, l’uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia.

Ma la sfida di una mentalità chiusa al trascendente obbliga anche gli stessi cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio. A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte.

In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle «malattie» del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale. Quante volte, nonostante il definirsi cristiani, Dio di fatto non è il punto di riferimento centrale nel modo di pensare e di agire, nelle scelte fondamentali della vita. La prima risposta alla grande sfida del nostro tempo sta allora nella profonda conversione del nostro cuore, perché il Battesimo che ci ha resi luce del mondo e sale della terra possa veramente trasformarci.

Cari amici, la missione della Chiesa ha bisogno dell’apporto di tutti i suoi membri e di ciascuno, specialmente dei fedeli laici. Negli ambienti di vita in cui il Signore vi ha chiamati, siate testimoni coraggiosi del Dio di Gesù Cristo, vivendo il vostro Battesimo. Per questo vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre di tutti i popoli, e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.
Grazie.

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Paparatzifan
00sabato 26 novembre 2011 20:07
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UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA XXVI CONFERENZA INTERNAZIONALE DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE), 26.11.2011

Alle ore 11.20 di oggi, nella Sala Clementina, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in udienza i partecipanti alla XXVI Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che ha svolto i suoi lavori in questi giorni in Vaticano sul tema: "La pastorale sanitaria a servizio della vita alla luce del Magistero del Beato Giovanni Paolo II".
Sono presenti all’Udienza anche i Presuli incaricati per la Pastorale della Salute in seno alle rispettive Conferenze Episcopali, che il 23 novembre scorso hanno tenuto a Roma il loro primo incontro.
Dopo l’indirizzo di omaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), S.E. Mons. Zygmunt Zimowski, il Papa rivolge ai presenti il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

è motivo di grande gioia incontrarvi in occasione della XXVI Conferenza Internazionale, organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e che ha inteso riflettere sul tema: La Pastorale sanitaria a servizio della vita alla luce del magistero del Beato Giovanni Paolo II. Mi è gradito salutare i Vescovi incaricati per la Pastorale della Salute, che per la prima volta si sono riuniti presso la Tomba dell’Apostolo Pietro per verificare i modi di un’azione collegiale in quest’ambito tanto delicato e importante della missione della Chiesa. Esprimo riconoscenza al Dicastero per il suo prezioso servizio, iniziando dal Presidente, Mons. Zygmunt Zimowski, che ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto, con le quali ha illustrato anche i lavori e le iniziative di questi giorni. Il mio saluto va anche al Segretario e al Sotto-Segretario, entrambi di recente nomina, agli Officiali e al personale, come pure ai relatori e agli esperti, ai responsabili degli Istituti di Cura, agli operatori sanitari, a tutti i presenti e a quanti hanno collaborato per la realizzazione del Convegno.

Sono certo che le vostre riflessioni hanno contribuito ad approfondire il «Vangelo della Vita», preziosa eredità del magistero del beato Giovanni Paolo II. Nel 1985, egli istituì questo Pontificio Consiglio per darne concreta testimonianza nel vasto e articolato ambito della Sanità; vent’anni or sono, stabilì la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato; e, da ultimo, costituì la Fondazione «Il Buon Samaritano», come strumento di una nuova azione caritativa verso i malati più poveri in diversi Paesi, Fondazione per la quale faccio appello ad un rinnovato impegno per sostenerla.

Nei lunghi e intensi anni di Pontificato il beato Giovanni Paolo II ha proclamato che il servizio alla persona malata nel corpo e nello spirito costituisce un costante impegno di attenzione e di evangelizzazione per tutta la comunità ecclesiale, secondo il mandato di Gesù ai Dodici di sanare gli infermi (cfr Lc 9,2). In particolare, nella Lettera apostolica Salvifici doloris, dell’11 febbraio 1984, il mio venerato Predecessore afferma: «La sofferenza sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in certo senso "destinato" a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso» (n. 2). Il mistero del dolore sembra offuscare il volto di Dio, rendendolo quasi un estraneo o, addirittura, additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero. Dio si è incarnato, si è fatto vicino all’uomo, anche nelle sue situazioni più difficili; non ha eliminato la sofferenza, ma nel Crocifisso risorto, nel Figlio di Dio che ha patito fino alla morte e alla morte di croce, Egli rivela che il suo amore scende anche nell’abisso più profondo dell’uomo per dargli speranza. Il Crocifisso è risorto, la morte è stata illuminata dal mattino di Pasqua: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Nel Figlio «dato» per la salvezza dell’umanità, la verità dell’amore viene, in un certo senso, provata mediante la verità della sofferenza, e la Chiesa, nata dal mistero della Redenzione nella Croce di Cristo, «è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In tale incontro l’uomo diventa la via della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris, 3).

Cari amici, il servizio di accompagnamento, di vicinanza e di cura ai fratelli ammalati, soli, provati spesso da ferite non solo fisiche, ma anche spirituali e morali, vi pone in una posizione privilegiata per testimoniare l’azione salvifica di Dio, il suo amore per l’uomo e per il mondo, che abbraccia anche le situazioni più dolorose e terribili. Il Volto del Salvatore morente sulla croce, del Figlio consostanziale al Padre che soffre come uomo per noi (cfr ibid., 17), ci insegna a custodire e a promuovere la vita, in qualunque stadio e in qualsiasi condizione si trovi, riconoscendo la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) e chiamato alla vita eterna.

Questa visione del dolore e della sofferenza illuminata dalla morte e risurrezione di Cristo ci è stata testimoniata dal lento calvario, che ha segnato gli ultimi anni di vita del beato Giovanni Paolo II e a cui si possono applicare le parole di san Paolo: «do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). La fede ferma e sicura ha pervaso la sua debolezza fisica, rendendo la sua malattia, vissuta per amore di Dio, della Chiesa e del mondo, una concreta partecipazione al cammino di Cristo fin sul Calvario.

La sequela Christi non ha risparmiato al beato Giovanni Paolo II di prendere la propria croce ogni giorno fino alla fine, per essere come il suo unico Maestro e Signore, che dalla Croce è diventato punto di attrazione e di salvezza per l’umanità (cfr Gv 12,32; 19,37) e ha manifestato la sua gloria (cfr Mc 15,39). Nell’Omelia durante la Santa Messa di Beatificazione del mio venerato Predecessore ho ricordato come «il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una "roccia", come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno» (Omelia, 1° maggio 2011).

Cari amici, facendo tesoro del testamento vissuto dal beato Giovanni Paolo II nella propria carne, auguro che anche voi, nell’esercizio del ministero pastorale e nell’attività professionale, possiate scoprire nell’albero glorioso della Croce di Cristo «il compimento e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita» (Lett. enc. Evangelium vitae, 50). Nel servizio che prestate nei diversi ambiti della pastorale della salute, possiate sperimentare che «solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama» (Lett. Enc. Deus Caritas est, 18).

Affido ciascuno di voi, i malati, le famiglie e tutti gli operatori sanitari alla materna protezione di Maria, e volentieri imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica.

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Paparatzifan
00sabato 26 novembre 2011 20:33
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VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA (REGIONI I-II-III), 26.11.2011

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra gli Ecc.mi Presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America (Regioni I-II-III), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad limina Apostolorum" e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,

saluto con affetto nel Signore tutti voi e, attraverso di voi, i Vescovi degli Stati Uniti che nel corso del prossimo anno effettueranno le loro visite ad limina Apostolorum.

I nostri incontri sono i primi dopo la mia visita pastorale del 2008 nel vostro Paese che intendeva incoraggiare i cattolici d'America sulla scia dello scandalo e del disorientamento causato dalla crisi scatenata dagli abusi sessuali negli ultimi decenni.

Ho voluto riconoscere personalmente la sofferenza inflitta alle vittime e gli sforzi onesti compiuti per garantire l'incolumità dei nostri bambini e per affrontare in modo appropriato e trasparente le accuse quando vengono mosse. Auspico che gli sforzi coscienziosi della Chiesa per affrontare questa realtà aiuteranno tutta la comunità a riconoscere le cause, la vera portata e le conseguenze devastanti dell'abuso sessuale e a rispondere con efficacia a questa piaga che affligge tutti i livelli della società. Per lo stesso motivo, proprio come la Chiesa si attiene giustamente a parametri precisi a questo proposito, tutte le altre istituzioni, senza eccezioni, dovrebbero attenersi agli stessi criteri.

Un secondo obiettivo, ugualmente importante, della mia visita pastorale è stato quello di esortare la Chiesa in America a riconoscere, alla luce di un panorama religioso e sociale che sta cambiando in modo clamoroso, l'urgenza e le esigenze di una nuova evangelizzazione. In continuità con questo obiettivo, nei prossimi mesi intendo sottoporre alla vostra attenzione un certo numero di riflessioni che confido troverete utili per il discernimento che siete chiamati a operare nel vostro compito di guidare la Chiesa nel futuro che Cristo sta preparando per noi.

Molti di voi hanno condiviso con me la preoccupazione per le gravi sfide a una testimonianza coerente presentate da una società sempre più secolarizzata. Tuttavia, considero significativo che vi sia anche un maggiore senso di preoccupazione da parte di molti uomini e di molte donne, indipendentemente dalle loro opinioni religiose o politiche, per il futuro delle nostre società democratiche. Osservano un crollo preoccupante delle fondamenta intellettuali, culturali e morali della vita sociale, e un senso crescente di spaesamento e di insicurezza, in particolare fra i giovani, di fronte agli ampi cambiamenti sociali.

Nonostante i tentativi di tacitare la voce della Chiesa nella pubblica arena, molte persone di buona volontà continuano a guardare a essa per trarne saggezza, discernimento e sana guida nell'affrontare questa crisi di vasta portata. Il momento attuale può quindi essere visto, in termini positivi, come una esortazione a mettere in pratica la dimensione profetica del vostro ministero episcopale pronunciandovi, con umiltà ma anche con insistenza, in difesa della verità morale e offrendo una parola di speranza in grado di aprire il cuore e la mente alla verità che rende liberi.

Nello stesso tempo, la gravità delle sfide che la Chiesa in America, sotto la vostra guida, è chiamata ad affrontare nel prossimo futuro non può essere sottovalutata. Gli ostacoli alla fede e alla pratica cristiane posti da una cultura secolarizzata influenzano negativamente anche la vita dei credenti, portando a volte a quel “leggero attrito” da parte della Chiesa che avete sollevato con me durante la mia visita pastorale.

Immersi in questa cultura, i credenti sono quotidianamente turbati dalle obiezioni, dalle questioni inquietanti e dal cinismo di una società che sembra aver perso le proprie radici, da un mondo in cui l'amore di Dio è divenuto freddo in così tanti cuori. L'evangelizzazione, quindi, appare non solo come un compito da intraprendere ad extra. Noi stessi siamo i primi ad avere bisogno di rievangelizzazione. Come con tutte le crisi spirituali, sia individuali sia comunitarie, sappiamo che la risposta definitiva può scaturire soltanto da un'autovalutazione rigorosa, critica e costante e da una conversione alla luce della verità della Chiesa. Solo attraverso questo rinnovamento interiore potremo discernere e soddisfare le esigenze spirituali della nostra epoca con la verità eterna del Vangelo.

Qui, non posso non esprimere il mio apprezzamento per il progresso reale che i Vescovi americani hanno fatto, individualmente e come Conferenza, nell'affrontare tali questioni e nel cooperare per elaborare una visione pastorale comune, i cui frutti si possono vedere, per esempio, nei vostri documenti recenti sulla cittadinanza dei fedeli e sull'istituzione del matrimonio. L'importanza di queste espressioni autorevoli della vostra sollecitudine comune per l'autenticità della vita e della testimonianza della Chiesa nel vostro Paese dovrebbe essere evidente a tutti.

In questi giorni, la Chiesa negli Stati Uniti sta elaborando la traduzione riveduta del Messale Romano. Sono grato dei vostri sforzi per garantire che questa nuova traduzione ispiri una catechesi permanente che evidenzi la natura autentica della liturgia e, soprattutto, il valore unico del sacrificio salvifico di Cristo per la redenzione del mondo. Un senso indebolito del significato e dell'importanza del culto cristiano può portare soltanto a un senso indebolito della vocazione specifica ed essenziale del laicato che consiste nel permeare l'ordine temporale di spirito evangelico. L'America ha un'orgogliosa tradizione di rispetto per la domenica. Questa eredità deve essere consolidata come esortazione al servizio del Regno di Dio e al rinnovamento del tessuto sociale secondo la sua verità immutabile.

Alla fine, comunque, il rinnovamento della testimonianza della Chiesa del Vangelo nel vostro Paese è legato in modo essenziale al ripristino di una visione comune e di un senso di missione da parte di tutta la comunità cattolica. So che questa è una preoccupazione vicina al vostro cuore, come rispecchiato dai vostri sforzi volti a incoraggiare la comunicazione, il dibattito e la testimonianza coerente a ogni livello della vita delle vostre chiese locali. Penso in particolare all'importanza delle università cattoliche e ai segni di un senso rinnovato della loro missione ecclesiale, come attestato da dibattiti che celebrano il decimo anniversario della Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae e da iniziative quali il simposio tenutosi di recente presso la Catholic University of America sull'attività intellettuale per la nuova evangelizzazione. I giovani hanno il diritto di ascoltare con chiarezza l'insegnamento della Chiesa e, ancora più importante, di essere inspirati dalla coerenza e dalla bellezza del messaggio cristiano cosicché a loro volta possano infondere nei coetanei un amore profondo per Cristo e per la sua Chiesa.

Cari Fratelli Vescovi, sono consapevole dei problemi numerosi, pressanti e a volte apparentemente irrisolvibili che affrontate ogni giorno nell'esercizio del vostro ministero. Con la fiducia scaturita dalla fede, e con grande affetto, vi offro queste parole di incoraggiamento e affido volentieri voi e il clero, i religiosi e i laici delle vostre Diocesi all'intercessione di Maria Immacolata, patrona degli Stati Uniti. A tutti voi imparto la mia Benedizione Apostolica quale pegno di saggezza, forza e pace nel Signore.

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00domenica 27 novembre 2011 18:27
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CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI OFFERTO DAL GOVERNO DEL PRINCIPATO DELLE ASTURIE, 26.11.2011

Questo pomeriggio, alle ore 18, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, ha luogo un Concerto in onore del Santo Padre Benedetto XVI, offerto dal Governo del Principato delle Asturie.
In programma musiche di Manuel de Falla (1876-1946), Isaac Albéniz (1860-1909) / Jesús Rueda (1961), Richard Strauss (1864-1949), Nikolai Rimsky-Korsakov (1844-1908), eseguite dall’Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, diretta dal Maestro Maximiano Valdés.
Mecenate dell’evento la Fondación María Cristina Masaveu Peterson, il cui Presidente, Signor Fernando Masaveu, indirizza in apertura parole di omaggio al Santo Padre.
Al termine del concerto il Papa rivolge agli illustri Ospiti, agli Artisti e a tutti i presenti il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità, e cari amici!

Agradezco de corazón al Gobierno del Principado de Asturias y a la Fundación María Cristina Masaveu Peterson, con su Presidente, el Señor Fernando Masaveu, por el espléndido concierto que nos han ofrecido, y que nos ha dado la posibilidad de hacer como un viaje interior, llevados por la música, a través del folclore, los sentimientos y el corazón mismo de España. Un gracias muy especial a la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, dirigida por el maestro Maximiano Valdés, por la magnífica ejecución con la cual nos ha transmitido también un poco del hondo y rico carácter de la población española, y particularmente asturiana. Y gracias igualmente a todos los que han hecho posible disfrutar de este momento, así como al Señor Arzobispo de Oviedo y a cuantos están aquí presentes en esta significativa ocasión.

Questa sera, per così dire, è stato trasferito in quest’Aula un "pezzo" di Spagna. Abbiamo avuto modo non solo di ascoltare musiche di alcuni tra i più celebri compositori di quella terra, come Manuel de Falla o Isaac Albéniz, ma anche del tedesco Richard Strauss e del russo Nikolai Rimsky-Korsakov, affascinati da quello che, nel libretto di sala, viene definito "more hispano", cioè la maniera "ispanica" di essere, come pure di comporre e di interpretare la musica. Ed è proprio questo l’elemento che accomuna i pezzi così vari che abbiamo ascoltato; essi hanno una caratteristica di fondo: la capacità di comunicare musicalmente sentimenti, emozioni, anzi direi quasi il tessuto quotidiano della vita. E questo soprattutto perché chi compone "more hispano" è quasi naturalmente portato a fondere in armonia gli elementi del folclore, della canzone popolare, che vengono dal vivere di ogni giorno, con quella che chiamiamo "musica colta". Ed è un insieme di sentimenti che ci sono stati trasmessi questa sera: la "alegría de vivir", la gioia di vivere, il clima della festa, che traspare in composizioni come le tre Danze de "El sombrero de tres picos" di de Falla, o la lotta contro il male descritta nella celebre "Danza ritual del fuego" dello stesso autore; la vita animata dei quartieri delle città, come in "Lavapiés", da "Iberia" di Albéniz; il dramma di una vita che non trova pace, come quella di don Juan, che non riesce a vivere l’amore in modo autentico e, alla fine, si rende conto del vuoto della sua esistenza; il capolavoro di Strauss ha reso perfettamente il passaggio dall’euforia che anima il brano alla tristezza del vuoto espressa nel mesto finale.

Ma c’è un altro elemento che emerge costantemente nelle composizioni "more hispano" ed è quello religioso di cui è profondamente intrisa la gente della Spagna; lo aveva colto molto bene Rimsky-Korsakov, che nello splendido Capriccio Spagnolo, utilizzando canti e balli folcloristici di Spagna, include vari temi di melodie popolari religiose, come nella prima sezione del pezzo dove si riconosce un’antica invocazione asturiana con cui si chiede la protezione della Vergine Maria e di san Pietro, o il secondo movimento in cui appare un canto gitano alla Madonna.

Sono le meraviglie che opera la musica, questo linguaggio universale che ci permette di superare ogni barriera e di entrare nel mondo dell’altro, di una Nazione, di una cultura, e ci permette anche di volgere la mente e il cuore verso l’Altro con la "A" maiuscola, di innalzarci, cioè, al mondo di Dio.

Gracias una vez más al Gobierno de Asturias, a la Fundación, a los profesores de la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, al maestro Maximiano Valdés, a los organizadores, a los venidos de Asturias y a todos ustedes. Que la Virgen María «que brilla en la altura más bella que el sol, y es Madre y es Reina», como reza el himno a la celestial patrona de esas tierras, les proteja siempre con su maternal ternura.

Auguro a tutti un buon cammino d’Avvento e di cuore vi imparto la mia Benedizione.

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Paparatzifan
00domenica 27 novembre 2011 18:51
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 27.11.2011

Alle ore 12 di oggi, prima domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi iniziamo con tutta la Chiesa il nuovo Anno liturgico: un nuovo cammino di fede, da vivere insieme nelle comunità cristiane, ma anche, come sempre, da percorrere all’interno della storia del mondo, per aprirla al mistero di Dio, alla salvezza che viene dal suo amore.

L’Anno liturgico inizia con il Tempo di Avvento: tempo stupendo in cui si risveglia nei cuori l’attesa del ritorno di Cristo e la memoria della sua prima venuta, quando si spogliò della sua gloria divina per assumere la nostra carne mortale.

"Vegliate!". Questo è l’appello di Gesù nel Vangelo di oggi. Lo rivolge non solo ai suoi discepoli, ma a tutti: "Vegliate!" (Mt 13,37). E’ un richiamo salutare a ricordarci che la vita non ha solo la dimensione terrena, ma è proiettata verso un "oltre", come una pianticella che germoglia dalla terra e si apre verso il cielo. Una pianticella pensante, l’uomo, dotata di libertà e responsabilità, per cui ognuno di noi sarà chiamato a rendere conto di come ha vissuto, di come ha utilizzato le proprie capacità: se le ha tenute per sé o le ha fatte fruttare anche per il bene dei fratelli.

Anche Isaia, il profeta dell’Avvento, ci fa riflettere oggi con una preghiera accorata, rivolta a Dio a nome del popolo. Egli riconosce le mancanze della sua gente, e a un certo punto dice: "Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità" (Is 64,6). Come non rimanere colpiti da questa descrizione?

Sembra rispecchiare certi panorami del mondo post-moderno: le città dove la vita diventa anonima e orizzontale, dove Dio sembra assente e l’uomo l’unico padrone, come se fosse lui l’artefice e il regista di tutto: le costruzioni, il lavoro, l’economia, i trasporti, le scienze, la tecnica, tutto sembra dipendere solo dall’uomo. E a volte, in questo mondo che appare quasi perfetto, accadono cose sconvolgenti, o nella natura, o nella società, per cui noi pensiamo che Dio si sia come ritirato, ci abbia, per così dire, abbandonati a noi stessi.

In realtà, il vero "padrone" del mondo non è l’uomo, ma Dio. Il Vangelo dice: "Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati" (Mc 13,35-36).

Il Tempo di Avvento viene ogni anno a ricordarci questo, perché la nostra vita ritrovi il suo giusto orientamento, verso il volto di Dio. Il volto non di un "padrone", ma di un Padre e di un Amico.

Con la Vergine Maria, che ci guida nel cammino dell’Avvento, facciamo nostre le parole del profeta. "Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani" (Is 64,7).

DOPO L’ANGELUS

Domani cominceranno a Durban, in Sud Africa, i lavori della Convenzione dell’ONU sui cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto. Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future.

En ce début d’année liturgique, j’accueille avec joie les pèlerins francophones venus pour la prière de l’Angélus. Ce premier dimanche de l’Avent nous invite à demeurer vigilant. Menacé par l’assoupissement, ne laissons pas s’endormir notre dynamisme spirituel. Notre monde a besoin de veilleurs et de porteurs d’espérance. N’attendons pas passivement, mettons en œuvre activement et joyeusement ce temps de grâce en ouvrant tout grand nos cœurs et nos esprits à la lumière de l’Évangile. À la suite de la Vierge Marie, veillons et prions dans l’attente du retour du Seigneur ! Bonne et heureuse année liturgique !

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer. Today, the Church begins the celebration of Advent, which marks the beginning of a new liturgical year and our spiritual preparation for the celebration of Christmas. Let us heed the message in today’s Gospel by entering prayerfully into this holy season, so that we may be ready to greet Jesus Christ, who is God with us. I wish you all a good Sunday. May God bless all of you!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache an diesem ersten Adventssonntag. Im Kirchenlied „O Heiland reiß die Himmel auf" klingt der Flehruf des Propheten Jesaja nach, den wir heute in der ersten Lesung gehört haben: „Reiß doch den Himmel auf und komm herab!" (63, 19b). Auch wir dürfen uns in der Zeit des Advent diesen Ruf zu eigen machen im festen Vertrauen, daß Gott unser Beten hört, daß ihn alle Not berührt und er als Heiland, als der, der alles heil machen will, zu uns kommt. Der Herr schenke Euch eine gesegnete Adventszeit.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Iniciamos hoy el tiempo de Adviento que nos dispone a celebrar la venida del Señor a nuestra tierra, y que aviva también nuestra esperanza en su venida gloriosa. Este misterio nos invita a ser administradores vigilantes de la casa de Dios, que es el mundo. Invoquemos a la Virgen Madre, que nos enseñe a ser cada vez más testigos de la acción y presencia de Dios en medio de todos, y poder así recibir un día los bienes que nos tiene prometidos. Feliz domingo.

Saúdo com particular afecto os peregrinos de língua portuguesa presentes nesta oração do Angelus, nomeadamente os fiéis vindos de Lisboa e de Setúbal. O tempo do Advento convida-nos a fazer nossa a primeira vinda do Filho de Deus a fim de nos prepararmos para o seu regresso glorioso. Neste sentido, tomai por modelo e intercessora a Virgem Maria. E que Deus vos abençoe!

Słowo pozdrowienia przekazuję wszystkim Polakom. Nieszporami I Niedzieli Adwentu rozpoczęliśmy nowy rok liturgiczny. Dzieje świata, Kościoła, każdego z nas, znów przenika atmosfera refleksji, nadziei, radosnego oczekiwania. Ożywa w nas wspomnienie narodzin Mesjasza, Zbawiciela, zapowiedź Jego powtórnego przyjścia w chwale. Czuwajmy, by nasze serca – myśli, uczucia, pragnienia – „były bez zarzutu w dzień Pana naszego Jezusa Chrystusa" (1 Kor 1,8). Na czas adwentowego czuwania z serca wam błogosławię.

[Rivolgo il mio saluto a tutti i Polacchi. Con i Vespri della I Domenica d’Avvento abbiamo iniziato il nuovo anno liturgico. Un’atmosfera di riflessione, di speranza e di gioiosa attesa pervade di nuovo la storia del mondo, della Chiesa e di ciascuno di noi. Si ravviva in noi il ricordo della nascita del Messia, il Salvatore, l’annunzio della sua nuova venuta nella gloria. Dobbiamo vigilare affinché i nostri cuori – pensieri, sentimenti, desideri – "siano irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Cor 1,8). Per questo tempo di vigilanza d’Avvento, vi benedico di cuore.]

Rivolgo un cordiale saluto ai responsabili europei della Società di San Vincenzo De Paoli, e li incoraggio nel loro impegno per affrontare con lo spirito del Vangelo vecchie e nuove povertà.

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Lugano, Torino, Trieste e Avellino; il gruppo di ragazzi della Diocesi di Milano che si preparano alla professione di fede; e un saluto speciale anche alla comunità cubana della diocesi di Bergamo e al "Servizio universitario africano" di Roma. A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino di Avvento.

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Paparatzifan
00lunedì 28 novembre 2011 21:30
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COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE: UDIENZA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL LIBANO, 28.11.2011

Oggi, nel Palazzo Apostolico, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza Sua Eccellenza il Sig. Najib Mikati, Presidente del Consiglio dei Ministri del Libano. Successivamente, il Primo Ministro ha reso visita all’Em.mo Segretario di Stato, Card. Tarcisio Bertone, il quale era accompagnato dall’Ecc.mo Segretario per i Rapporti con gli Stati, Mons. Dominique Mamberti.

Nel corso dei cordiali colloqui sono stati messi in rilievo il ruolo che il Libano riveste per la regione e per il mondo intero e la sua vocazione a offrire un messaggio di libertà e di rispettosa convivenza delle diverse comunità cristiane e musulmane che lo compongono.

Si è auspicata una maggiore stabilità politica e una più proficua collaborazione e dialogo fra i diversi responsabili della vita sociale e istituzionale, anche per poter affrontare efficacemente le sfide che si presentano al Paese a livello interno e internazionale.

Nel prosieguo dei colloqui ci si è soffermati sulla situazione del Medio Oriente, con riferimento anche alla delicata situazione in Siria. Al riguardo si è sottolineata l’urgenza che tutti si impegnino per una convivenza pacifica, fondata sulla giustizia, sulla riconciliazione e sul rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti inalienabili. Si è richiamato, infine, il contributo fondamentale che a tale scopo possono offrire i Cristiani chiamati a essere artefici di concordia e di pace e la cui permanenza è essenziale per il bene della Regione.

Bollettino Ufficiale Santa Sede


Paparatzifan
00lunedì 28 novembre 2011 21:33
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UDIENZA AGLI STUDENTI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "SORELLA NATURA", 28.11.2011

Alle ore 12.20 di oggi, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza scolari e studenti delle Scuole italiane partecipanti al progetto Ambientiamoci a scuola promosso dalla Fondazione "Sorella Natura" di Assisi, in occasione della "Giornata per la Custodia del Creato", che si celebra domani 29 novembre, nell’anniversario della proclamazione di San Francesco di Assisi quale Patrono dei cultori dell’ecologia. Sono presenti nell’Aula Paolo VI il Presidente della Fondazione, Signor Roberto Leoni e il Presidente onorario, Cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, SDB, che rivolge al Papa un indirizzo di omaggio.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’incontro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,
illustri Autorità,
cari ragazzi e giovani!

E’ con grande gioia che do a tutti voi il mio benvenuto a questo incontro dedicato all’impegno per "sorella natura", per usare il nome della Fondazione che lo ha promosso. Saluto cordialmente il Cardinale Rodríguez Maradiaga e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro e per il dono della preziosa riproduzione del Codice 338, che contiene le fonti francescane più antiche. Saluto il Presidente, Signor Roberto Leoni, come pure le Autorità e Personalità e i numerosi insegnanti e genitori. Ma soprattutto saluto voi, cari ragazzi e ragazze, cari giovani! E’ proprio per voi che ho voluto questo incontro, e vorrei dirvi che apprezzo molto la vostra scelta di essere "custodi del creato", e che in questo avete il mio appoggio pieno.

Prima di tutto dobbiamo ricordare che la vostra Fondazione e questo stesso incontro hanno una profonda ispirazione francescana. Anche la data odierna è stata scelta per fare memoria della proclamazione di san Francesco d’Assisi quale Patrono dell’ecologia da parte del mio amato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, nel 1979. Tutti voi sapete che san Francesco è anche Patrono d’Italia. Forse però non sapete che a dichiararlo tale fu il Papa Pio XII, nel 1939, quando lo definì "il più italiano dei santi, il più santo degli italiani". Se dunque il santo Patrono d’Italia è anche Patrono dell’ecologia, mi pare giusto che le giovani e i giovani italiani abbiano una speciale sensibilità per "sorella natura", e si diano da fare concretamente per la sua difesa.

Quando si studia la letteratura italiana, uno dei primi testi che si trovano nelle antologie è proprio il "Cantico di Frate Sole", o "delle creature", di san Francesco d’Assisi: "Altissimo, onnipotente, bon Signore…". Questo cantico mette in luce il giusto posto da dare al Creatore, a Colui che ha chiamato all’esistenza tutta la grande sinfonia delle creature. "…tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione… Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature". Questi versi fanno parte giustamente della vostra tradizione culturale e scolastica. Ma sono anzitutto una preghiera, che educa il cuore nel dialogo con Dio, lo educa a vedere in ogni creatura l’impronta del grande Artista celeste, come leggiamo anche nel bellissimo Salmo 19: "I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento… Senza linguaggi, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio" (v. 1.4-5). Frate Francesco, fedele alla Sacra Scrittura, ci invita a riconoscere nella natura un libro stupendo, che ci parla di Dio, della sua bellezza e della sua bontà. Pensate che il Poverello di Assisi chiedeva sempre al frate del convento incaricato dell’orto, di non coltivare tutto il terreno per gli ortaggi, ma di lasciare una parte per i fiori, anzi di curare una bella aiuola di fiori, perché le persone passando elevassero il pensiero a Dio, creatore di tanta bellezza (cfr Vita seconda di Tommaso da Celano, CXXIV, 165).

Cari amici, la Chiesa, considerando con apprezzamento le più importanti ricerche e scoperte scientifiche, non ha mai smesso di ricordare che rispettando l’impronta del Creatore in tutto il creato, si comprende meglio la nostra vera e profonda identità umana. Se vissuto bene, questo rispetto può aiutare un giovane e una giovane anche a scoprire talenti e attitudini personali, e quindi a prepararsi ad una certa professione, che cercherà sempre di svolgere nel rispetto dell’ambiente.
Se infatti, nel suo lavoro, l’uomo dimentica di essere collaboratore di Dio, può fare violenza al creato e provocare danni che hanno sempre conseguenze negative anche sull’uomo, come vediamo, purtroppo, in varie occasioni. Oggi più che mai ci appare chiaro che il rispetto per l’ambiente non può dimenticare il riconoscimento del valore della persona umana e della sua inviolabilità, in ogni fase della vita e in ogni condizione. Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la natura sono un tutt’uno, ma entrambi possono crescere ed avere la loro giusta misura se rispettiamo nella creatura umana e nella natura il Creatore e la sua creazione. Su questo, cari ragazzi, sono convinto di trovare in voi degli alleati, dei veri "custodi della vita e del creato".

E ora vorrei cogliere questa occasione per rivolgere una parola specifica anche agli insegnanti e alle Autorità qui presenti. Vorrei sottolineare la grande importanza che ha l’educazione anche in questo campo dell’ecologia. Ho accolto volentieri la proposta di questo incontro proprio perché esso coinvolge tanti giovanissimi studenti, perché ha una chiara prospettiva educativa. E’ infatti ormai evidente che non c’è un futuro buono per l’umanità sulla terra se non ci educhiamo tutti ad uno stile di vita più responsabile nei confronti del creato. E sottolineo l’importanza della parola "creato", perché il grande e meraviglioso albero della vita non è frutto di un’evoluzione cieca e irrazionale, ma questa evoluzione riflette la volontà creatrice del Creatore e la sua bellezza e bontà. Questo stile di responsabilità si impara prima di tutto in famiglia e nella scuola. Incoraggio, pertanto, i genitori, i dirigenti scolastici e gli insegnanti a portare avanti con impegno una costante attenzione educativa e didattica con questa finalità. Inoltre, è indispensabile che questo lavoro delle famiglie e delle scuole sia sostenuto dalle istituzioni preposte, che oggi sono qui ben rappresentate.

Cari amici, affidiamo questi pensieri e queste aspirazioni alla Vergine Maria, Madre dell’intera umanità. Mentre abbiamo appena iniziato il Tempo di Avvento, Ella ci accompagni e ci guidi a riconoscere in Cristo il centro del cosmo, la luce che illumina ogni uomo e ogni creatura. E san Francesco ci insegni a cantare, con tutta la creazione, un inno di lode e di ringraziamento al Padre celeste, datore di ogni dono. Vi ringrazio di cuore per essere venuti numerosi e accompagno volentieri il vostro studio, il vostro lavoro e il vostro impegno con la mia Benedizione. Ho parlato di cantare, cantiamo insieme il Padre Nostro, la grande preghiera insegnata da Gesù a noi tutti.

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Paparatzifan
00mercoledì 30 novembre 2011 18:09
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L’UDIENZA GENERALE, 30.11.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, nell’ambito del ciclo di catechesi sulla preghiera iniziato lo scorso 4 maggio, il Santo Padre Benedetto XVI ha incentrato oggi la Sua meditazione sulla preghiera nella vita di Gesù.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera attraversa tutta la vita di Gesù

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, «la preghiera è pienamente rivelata ed attuata in Gesù» (541-547). A Lui vogliamo guardare nelle prossime catechesi.

Un momento particolarmente significativo di questo suo cammino è la preghiera che segue il battesimo a cui si sottopone nel fiume Giordano. L'Evangelista Luca annota che Gesù, dopo aver ricevuto, insieme a tutto il popolo, il battesimo per mano di Giovanni il Battista, entra in una preghiera personalissima e prolungata: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo» (Lc 3,21-22). Proprio questo «stare in preghiera», in dialogo con il Padre illumina l'azione che ha compiuto insieme a tanti del suo popolo, accorsi alla riva del Giordano. Pregando, Egli dona a questo suo gesto, del battesimo, un tratto esclusivo e personale.

Il Battista aveva rivolto un forte appello a vivere veramente come «figli di Abramo», convertendosi al bene e compiendo frutti degni di tale cambiamento (cfr Lc 3,7-9). E un gran numero di Israeliti si era mosso, come ricorda l’Evangelista Marco, che scrive: «Accorrevano… [a Giovanni] tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). Il Battista portava qualcosa di realmente nuovo: sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie questo invito, entra nella grigia moltitudine dei peccatori che attendono sulla riva del Giordano. Ma, come ai primi cristiani, anche in noi sorge la domanda: perché Gesù si sottopone volontariamente a questo battesimo di penitenza e di conversione? Non ha da confessare peccati, non aveva peccati, quindi anche non aveva bisogno di convertirsi. Perché allora questo gesto? L’Evangelista Matteo riporta lo stupore del Battista che afferma: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14) e la risposta di Gesù: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15). Il senso della parola «giustizia» nel mondo biblico è accettare pienamente la volontà di Dio. Gesù mostra la sua vicinanza a quella parte del suo popolo che, seguendo il Battista, riconosce insufficiente il semplice considerarsi figli di Abramo, ma vuole compiere la volontà di Dio, vuole impegnarsi perché il proprio comportamento sia una risposta fedele all’alleanza offerta da Dio in Abramo. Discendendo allora nel fiume Giordano, Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio.

In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre. Raccogliendosi in preghiera, Gesù mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con il Padre riceve la conferma della sua missione. Nelle parole che risuonano dal Cielo (cfr Lc 3,22) vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione. La voce divina lo definisce «Il Figlio mio, l’amato», richiamando Isacco, l'amatissimo figlio che il padre Abramo era disposto a sacrificare, secondo il comando di Dio (cfr Gen 22,1-14). Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22b), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22a), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Gv 1,32-34; 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa. Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini.

Sullo sfondo di questa straordinaria preghiera sta l’intera esistenza di Gesù vissuta in una famiglia profondamente legata alla tradizione religiosa del popolo di Israele. Lo mostrano i riferimenti che troviamo nei Vangeli: la sua circoncisione (cfr Lc 2,21) e la sua presentazione al tempio (cfr Lc 2,22-24), come pure l’educazione e la formazione a Nazaret, nella santa casa (cfr Lc 2,39-40 e 2,51-52). Si tratta di «circa trent’anni» (Lc 3,23), un tempo lungo di vita nascosta e feriale, anche se con esperienze di partecipazione a momenti di espressione religiosa comunitaria, come i pellegrinaggi a Gerusalemme (cfr Lc 2,41). Narrandoci l'episodio di Gesù dodicenne nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (cfr Lc 2,42-52), l'evangelista Luca lascia intravedere come Gesù, che prega dopo il battesimo al Giordano, ha una lunga abitudine di orazione intima con Dio Padre, radicata nelle tradizioni, nello stile della sua famiglia, nelle esperienze decisive in essa vissute. La risposta del dodicenne a Maria e Giuseppe indica già quella filiazione divina, che la voce celeste manifesta dopo il battesimo: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Uscito dalle acque del Giordano, Gesù non inaugura la sua preghiera, ma continua il suo rapporto costante, abituale con il Padre; ed è in questa unione intima con Lui che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazaret al suo ministero pubblico.

L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: «Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta» (541).

Nella narrazione evangelica, le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. «Il luogo deserto» (cfr Mc 1,35; Lc 5,16) in cui spesso si ritira, «il monte» dove sale a pregare (cfr Lc 6,12; 9,28), «la notte» che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35; 6,46-47; Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre.

Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi.

La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte. L'Evangelista Marco racconta una di queste notti, dopo la pesante giornata della moltiplicazione dei pani e scrive: «E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,45-47). Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse, la sua preghiera diventa più prolungata e intensa. Nell’imminenza della scelta dei Dodici Apostoli, ad esempio, Luca sottolinea la durata notturna della preghiera preparatoria di Gesù: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).

Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come prego io? come preghiamo noi? Quale tempo dedico al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro?

Nell’Esortazione apostolica Verbum Domini ho parlato dell’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura. Raccogliendo quanto emerso nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ho posto un accento particolare sulla forma specifica della lectio divina. Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono, che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra; soprattutto, la continuità e la costanza sono importanti.

Proprio l’esperienza esemplare di Gesù mostra che la sua preghiera, animata dalla paternità di Dio e dalla comunione dello Spirito, si è approfondita in un prolungato e fedele esercizio, fino al Giardino degli Ulivi e alla Croce.

Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio. Anzi, nel percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano, possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana è vero che, camminando, si aprono cammini.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra l’esistenza. Grazie.

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Paparatzifan
00mercoledì 30 novembre 2011 18:10
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I, PATRIARCA ECUMENICO, PER LA FESTA DI S. ANDREA, 30.11.2011

Nel quadro del tradizionale scambio di Delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea, il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, guida la Delegazione della Santa Sede per la Festa del Patriarcato Ecumenico. Quest’anno le celebrazioni hanno un carattere particolarmente festivo ricorrendo il XX anniversario della elezione di Sua Santità Bartolomeo I quale Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico. Il cardinale Koch è accompagnato dal Vescovo Brian Farrell, Segretario del Dicastero, e dal Rev.do Andrea Palmieri, officiale della Sezione Orientale del medesimo Dicastero. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il Nunzio Apostolico in Turchia, S.E. Mons. Antonio Lucibello.
La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. Il cardinale Koch ha consegnato al Patriarca Ecumenico un messaggio autografo del Santo Padre, di cui ha dato pubblica lettura alla conclusione della Divina Liturgia, accompagnato da un dono. Il cardinale ha inoltre incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto in una conversazione sull’ecumenismo con i religiosi e le religiose presenti in quella città.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

A Sua Santità Bartolomeo I,
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca ecumenico

«Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede»(Rm 15, 13).

Nella comunione della fede che abbiamo ricevuto dagli Apostoli e nella carità fraterna che ci lega, mi unisco di tutto cuore alla celebrazione solenne che Vostra Santità presiede nella festa dell'apostolo e martire sant'Andrea, fratello di Pietro e santo protettore del Patriarcato ecumenico, per augurare a Vostra Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli, un'abbondanza di doni celesti e di benedizioni divine. Le mie preghiere, come pure quelle di tutti i fratelli e sorelle cattolici, accompagnano le vostre per invocare da Dio, nostro Padre, che ama la sua Chiesa e la edifica sul fondamento degli Apostoli, la pace nel mondo intero, la prosperità della Chiesa e l'unità di tutti coloro che credono in Cristo. La delegazione che vi ho inviato, guidata dal mio venerabile fratello, il Cardinale Kurt Koch, al quale ho affidato questo messaggio augurale, costituisce il segno tangibile della mia partecipazione e le porta il saluto fraterno della Chiesa di Roma.

Conservo nel mio cuore il ricordo ancora molto vivo del nostro ultimo incontro, quando ci siamo recati insieme, come pellegrini della pace, alla città di Assisi, per riflettere sul profondo rapporto che unisce la ricerca sincera di Dio e della verità a quella della pace e della giustizia nel mondo.

Rendo grazie al Signore che mi ha permesso di rafforzare con Vostra Santità i vincoli di amicizia sincera e di fraternità autentica che ci uniscono, e di rendere testimonianza al mondo intero dell'ampia visione che condividiamo riguardo alle responsabilità alle quali siamo chiamati in quanto cristiani e pastori del gregge che Dio ci ha affidato.

Le circostanze attuali, siano esse di ordine culturale, sociale, economico, politico o ecologico, pongono ai cattolici e a gli ortodossi esattamente la stessa sfida. L'annuncio del mistero della salvezza, attraverso la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, ha oggi bisogno di essere rinnovato con forza in numerose regioni che, per prime, accolsero la luce e che ora subiscono gli effetti di una secolarizzazione in grado di impoverire l'uomo nella sua dimensione più profonda. Di fronte all'urgenza di un simile compito, abbiamo il dovere di offrire all'umanità intera l'immagine di persone che hanno acquisito una maturità nella fede, capaci di riunirsi malgrado le tensioni umane, grazie alla ricerca comune della verità, consapevoli che il futuro dell'evangelizzazione dipende dalla testimonianza di unità resa dalla Chiesa e dalla qualità della carità, come ci insegna il Signore nella preghiera che ci ha lascito: «perché tutti siano una cosa sola... e il mondo creda» (Gv 17, 21). È per me motivo di grande conforto constatare che anche Vostra Santità, da quando è stata chiamata al ministero di Arcivescovo di Costantinopoli e di Patriarca ecumenico, venti anni fa, ha sempre avuto a cuore la questione della testimonianza della Chiesa e della sua santità, nel mondo contemporaneo.

Santità, in questo giorno in cui celebriamo la festa dell'apostolo Andrea, leviamo ancora una volta la nostra ardente supplica al Signore affinché ci consenta di progredire lungo il cammino della pace e della riconciliazione. Che possiamo, con l'intercessione di sant'Andrea e dei santi Pietro e Paolo, santi patroni rispettivamente della Chiesa di Costantinopoli e della Chiesa di Roma, ricevere il dono dell'unità che ci viene dall'alto!

Con questi sentimenti di fede, di carità e di speranza, le riformulo, Santità, i miei voti più ferventi e scambio con lei un abbraccio fraterno in Cristo nostro Signore.

Dal Vaticano, 24 novembre 2011

Benedetto XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)


Paparatzifan
00giovedì 1 dicembre 2011 02:20
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MESSAGGIO DEL PAPA ALLE PONTIFICIE ACCADEMIE

Al Venerato Fratello
il Cardinale GIANFRANCO RAVASI
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

In occasione della XVI Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie sono lieto di farLe pervenire il mio cordiale saluto, che volentieri estendo ai Presidenti e agli Accademici, in particolare a Lei, Venerato Fratello, quale Presidente del Consiglio di Coordinamento. Rivolgo altresì il mio saluto ai Signori Cardinali, ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e alle Religiose, ai Signori Ambasciatori e a tutti i partecipanti a questo significativo appuntamento.

L’annuale Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie è diventata, infatti, tradizione consolidata, in cui si offre sia l’occasione di un incontro tra i membri delle diverse Accademie riunite nel Consiglio di Coordinamento, sia l’opportunità di valorizzare, attraverso il Premio delle Pontificie Accademie, istituito dal mio Venerato Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, il 23 novembre 1996, quanti, sia giovani studiosi o artisti, sia Istituzioni, con la loro ricerca e il loro impegno culturale, contribuiscono a promuovere un nuovo umanesimo cristiano.

Desidero, perciò, ringraziarLa per l’attenzione che rivolge a tutte e a ciascuna Accademia, e per l’impulso che ha voluto trasmettere ad esse perché siano davvero, e con efficacia, Istituzioni di qualificato livello accademico a servizio della Santa Sede e di tutta la Chiesa.
La XVI Seduta Pubblica è stata organizzata dalla Pontificia Accademia Romana di Archeologia e dalla Pontificia Accademia “Cultorum Martyrum”, che vantano entrambe una storia più che secolare, ricca di straordinarie figure di archeologi, studiosi e cultori delle antichità cristiane e delle memorie martiriali. Il tema proposto per questa Seduta Pubblica, “Testimonianze e Testimoni. I martyria e i campioni della fede”, ci offre l’occasione per riflettere su un elemento che mi sta particolarmente a cuore: la storicità del cristianesimo, il suo intrecciarsi continuamente con la storia per trasformarla in profondità grazie al lievito del Vangelo e della santità vissuta e testimoniata. La ricerca storica, e soprattutto quella archeologica, mirano a indagare sempre più accuratamente e con strumenti di ricerca quanto mai sofisticati le memorie, le testimonianze del passato; tra queste rivestono, per noi, un particolare interesse quelle delle antiche comunità cristiane.

Si tratta, evidentemente, di testimonianze materiali, costituite da tutti quegli elementi – edifici ecclesiali, complessi cimiteriali, epigrafi e sculture, affreschi e decorazioni, manufatti di ogni genere – che, se studiati e compresi secondo corrette metodologie, ci permettono di riscoprire non pochi aspetti della vita delle passate generazioni come pure della esperienza di fede delle antiche comunità cristiane, che lascia tracce sempre più consistenti nell’ambiente in cui viene vissuta. L’indagine archeologica può oggi avvalersi di straordinari mezzi tecnologici per le diverse fasi dello scavo e della ricerca sul campo, come pure per il recupero di manufatti deteriorati dal tempo e dalle più avverse condizioni di conservazione. Penso, ad esempio, all’uso delle immagini satellitari, che si prestano a molteplici forme di analisi, producendo risultati impensabili fino a qualche decennio fa; o all’applicazione della tecnica del laser per il recupero di affreschi ricoperti da incrostazioni, come è avvenuto recentemente nella catacomba romana di Santa Tecla, dove sono stati riscoperti affreschi di eccezionale valore storico e artistico, tra cui antichissime immagini degli Apostoli.

Ma la tecnologia, pur utilissima, da sola non basta. Sono necessarie, innanzitutto, una reale competenza dei ricercatori, maturata attraverso studi approfonditi e tirocini faticosi, e la loro passione autentica per la ricerca, motivata proprio dall’interesse per l’esperienza umana, e quindi anche religiosa, che si cela e poi si rivela attraverso le testimonianze materiali, comprese, appunto, come testimonianze, cioè come messaggi che ci giungono dal passato e che, interpellando la nostra intelligenza e la nostra coscienza, contribuiscono ad approfondire le nostre conoscenze e, in definitiva, anche la visione del presente e della stessa nostra esistenza.

Se questo può valere per ogni indagine archeologica, a maggior ragione vale quando si studiano i monumenti cristiani, e particolarmente i martyria, le testimonianze archeologiche e monumentali che attestano il culto della comunità cristiana per un campione della fede, per un martire. Tra i tanti siti archeologici in cui emergono i segni della presenza cristiana, uno eccelle su tutti e suscita un singolare interesse: la Terra Santa, con le diverse località in cui si è concentrata l’attività di ricerca archeologica. Il territorio, già fortemente segnato dalla presenza del popolo di Israele, diviene anche l’ambito per eccellenza in cui ricercare i segni della presenza storica di Cristo e della prima comunità dei suoi discepoli. L’attività di indagine archeologica svolta negli ultimi decenni in Terra Santa, grazie all’impegno di grandi e appassionati ricercatori, come ad esempio Padre Bagatti, Padre Corbo e il compianto Padre Piccirillo, recentemente scomparso, ha portato a notevolissime scoperte e acquisizioni, contribuendo così a definire sempre meglio le coordinate storico-geografiche sia della presenza giudaica sia di quella cristiana.

Altro polo strategico dell’indagine archeologica è certamente la città di Roma con il suo territorio, in cui le memorie cristiane si sovrappongono e si intrecciano con quelle della civiltà romana. Qui a Roma, ma anche in molte altre località dove il Cristianesimo si diffuse già nei primi secoli della nostra éra, si possono ancor oggi ammirare e studiare numerosi elementi monumentali, a cominciare proprio dai martyria, che attestano non solo una generica presenza cristiana, ma soprattutto una forte testimonianza dei cristiani e di coloro che per Cristo hanno donato la propria vita, i martiri. Monumenti architettonici, tombe particolarmente solenni e decorate con cura, ristrutturazioni dei percorsi catacombali o addirittura di quelli urbani, così come tanti altri elementi artistici, attestano che la comunità cristiana, sin dalle origini, ha voluto esaltare le figure dei campioni della fede come modelli e punti di riferimento per tutti i battezzati.

I numerosissimi interventi monumentali e artistici dedicati ai martiri, documentati appunto dalle indagini archeologiche e da tutte le altre ricerche connesse, scaturiscono da una convinzione sempre presente nella comunità cristiana, di ieri come di oggi: il Vangelo parla al cuore dell’uomo e si comunica soprattutto attraverso la testimonianza viva dei credenti. L’annuncio della novità cristiana, della bellezza della fede in Cristo ha bisogno di persone che, con la propria coerenza di vita, con la propria fedeltà, testimoniata se necessario fino al dono di se stessi, manifestano l’assoluto primato dell’Amore su ogni altra istanza. Se osserviamo con attenzione l’esempio dei martiri, dei coraggiosi testimoni dell’antichità cristiana, come anche dei numerosissimi testimoni dei nostri tempi, ci accorgiamo che sono persone profondamente libere, libere da compromessi e da legami egoistici, consapevoli dell’importanza e della bellezza della loro vita, e proprio per questo capaci di amare Dio e i fratelli in maniera eroica, tracciando la misura alta della santità cristiana. I campioni della fede, lungi dal rappresentare un modello conflittuale col mondo e con le realtà umane, annunciano e testimoniano, al contrario, l’amore ricco di misericordia e di condiscendenza di Dio Padre che in Cristo Crocifisso, il “testimone fedele” (cfr Ap 1,5), è entrato nella nostra storia e nella nostra umanità, non per avversarla o sottometterla ma per trasformarla profondamente e renderla così nuovamente capace di corrispondere pienamente al suo disegno di amore.

Anche oggi la Chiesa, se vuole efficacemente parlare al mondo, se vuole continuare ad annunciare fedelmente il Vangelo e far sentire la sua presenza amichevole agli uomini e alle donne che vivono la loro esistenza sentendosi “pellegrini della verità e della pace”, deve farsi, anche nei contesti apparentemente più difficili o indifferenti all’annuncio evangelico, testimone della credibilità della fede, deve cioè saper offrire testimonianze concrete e profetiche attraverso segni efficaci e trasparenti di coerenza, di fedeltà e di amore appassionato e incondizionato a Cristo, non disgiunto da un’autentica carità, dall’amore per il prossimo.

Ieri come oggi, il sangue dei martiri, la loro tangibile ed eloquente testimonianza, tocca il cuore dell’uomo e lo rende fecondo, capace di far germogliare in sé una vita nuova, di accogliere la vita del Risorto per portare risurrezione e speranza al mondo che lo circonda. Proprio per incoraggiare quanti vogliono offrire il loro contributo alla promozione e alla realizzazione di un nuovo umanesimo cristiano, attraverso la ricerca archeologica e storica, accogliendo la proposta formulata dal Consiglio di Coordinamento, sono lieto di assegnare ex aequo il Premio delle Pontificie Accademie Ecclesiastiche allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e alla Dott.ssa Daria Mastrorilli. Desidero inoltre che, come segno di apprezzamento e di incoraggiamento, si offra la Medaglia del Pontificato alla Dott.ssa Cecilia Proverbio. Augurando, infine, un impegno sempre più appassionato nei rispettivi campi di attività, affido ciascuno alla materna protezione della Vergine Maria, Regina dei Martiri, e di cuore imparto a Lei, Signor Cardinale, e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.

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