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Viaggio apostolico in San Marino...

Ultimo Aggiornamento: 24/06/2011 17:43
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15/06/2011 13:05
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BENEDETTO XVI A SAN MARINO

«Il Papa ci darà un colpo d'ala»

di Massimo Pandolfi

15/06/2011 - «Un'occasione gigantesca». Dal "Resto del Carlino", monsignor Luigi Negri parla della visita del Pontefice alla sua diocesi. Tra crisi lavorativa, rapporti con l'Italia e una gioventù assente: «Ma con lui possiamo ritrovare la nostra identità»

Monsignor Luigi Negri, emozionato?

«Un po' mi agito, un po' mi deprimo, diciamo che in questi giorni alterno diversi stati d'animo. C'è anche l'emozione, sì».

Sorride il vescovo di San Marino e del Montefeltro, la diocesi più bizzarra del mondo, 68mila anime, due stati (San Marino appunto e Italia), due regioni (Marche ed Emilia Romagna).

Cosa rappresenta per voi l'arrivo di Benedetto XVI?

«La verifica di un cammino che stiamo facendo. Quando mi chiedeva prima del mio stato d'animo, devo dirle che per l'educazione che ho ricevuto da don Giussani, questo stato d'animo è comunque fondato sempre su un giudizio».

E in questo caso, qual è il giudizio?

«Siamo di fronte a una gigantesca occasione per il nostro popolo, un popolo che con il cuore ha grande nostalgia della fede, ma con la testa pensa come il mondo. Vogliamo ritrovare la coscienza della nostra identità, la fede rappresenta il tutto dell'esistenza. È una sfida lanciata alla gente, al clero stesso».

Lei è vescovo di questa diocesi da sei anni. È cambiato qualcosa?

«Guardi, ricordo che i primi tempi, alle veglie che organizzavamo, c'erano una manciata di giovani, non dico assenti, ma lontani. Lunedì sera la veglia di preparazione per l'arrivo del Pontefice è stata straordinaria, qualitativamente e quantitativamente».

È vero che San Marino attraversa uno dei momenti più delicati della sua storia?

«È vero, e l'ultima emergenza è quella dei settemila frontalieri italiani, tredicimila famiglie, che rischiano di perdere il posto. Siamo ai livelli di Fincantieri o Pomegliano D'Arco, ma ne parlano in pochi».

I rapporti fra Italia e San Marino sono ai minimi storici. Lei un anno fa scrisse a Berlusconi: le ha risposto il premier?

«Lo ha fatto Gianni Letta. E ho parlato più volte con il ministro Frattini. A Tremonti ho chiesto in diverse occasioni un incontro: non ho ricevuto udienza».

Lei sta difendendo la piccola Repubblica che però, in un recentissimo passato, forse era stata un po' troppo spregiudicata...

«I limiti della gestione economica e finanziaria di San Marino mi sono ben presenti. Non da oggi dico che bisogna fare un salto e devo dire che da un anno e mezzo ho visto sforzi e tentativi importanti a San Marino. Però...».

Però?

«Però non c'è stata adeguata risposta del governo italiano e in particolare del ministro Tremonti, mi sembra. Sono colpito dal fatto che continui ad esserci questa chiusura italiana».

Ma lei cosa ha consigliato ai governanti italiani?

«A Frattini ho anche detto che se si pensa di trasformare San Marino in un protettorato italiano, beh, siamo sulla strada sbagliata. Queste ideologie sono finite con il nazismo e il comunismo».

Ma a San Marino c'è solo meno ricchezza o sta arrivando anche vera povertà?

«Di sicuro meno ricchezza e parecchie famiglie cominciano a faticare per arrivare a fine mese».

Il futuro?

«Non è facile. Ai sammarinesi dico da sempre che una crisi finanziaria ha anche ragioni antropologiche. San Marino deve ritrovare la sua grande tradizione di libertà. Che non vuol dire "faccio ciò che mi pare e piace", ma responsabilità e consapevolezza del proprio compito».

In questo clima difficile arriva il Papa...

«Che può darci il colpo d'ala, accendere una luce di speranza nel nostro difficile cammino. Al Papa ho scritto chiedendogli di correggerci, se necessario, di darci il senso che illumini il percorso».

Ma come ha fatto a portare il Papa nella sua diocesi?

«Diciamo che è stato un lavoro di perfetta sinergia tra il vescovo e lo stato sammarinese».

Ok, ma lei a Ratzinger, che grazie a don Giussani conosceva da anni, qualcosa avrà pur detto.

«Lo incontrai poco dopo il mio insediamento in questa diocesi e anche lui era appena diventato Papa. Gli chiesi: "Santità, venga a trovarmi"».

Risposta di Benedetto XVI?

«Mi dia un po' di tempo, siano entrambi in fase di rodaggio».

Lei è vescovo dichiaratamente ciellino. Qualcuno continua a vedere con diffidenza Comunione e Liberazione, anche all'interno della chiesa stessa.

«Non è ancora finita l'obiezione di carattere ideologico a quella che è la tradizione cattolica, pastorale e intellettuale rigenerata da don Giussani. Non sono bastati i 27 anni di pontificato di Giovanni Paolo II e neanche i primi anni di Benedetto XVI. Il cattolicesimo di don Giussani, così come quello di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, è integrale, che non vuol dire integralismo».

E che cosa vuol dire integralità?

«Non ci sono fede e vita, non ci sono fede e cultura. C`è la fede che fa la vita e la cultura».

Lei è considerato un vescovo "interventista". Scrive ai presidenti del consiglio e non si tira neanche indietro nelle questioni, diciamo così, politiche...
«Il cattolico deve essere testimone di Cristo nel mondo, punto. Prima di morire mi piacerebbe vedere un presidente della Repubblica italiana cattolico, che investa su questi valori. Poi la testimonianza si fa a seconda delle circostanze».

Le ultime circostanze (referendum, eccetera) le sono piaciute?

«Beh, onestamente non mi sembra una grande testimonianza quella delle suore che sventolano i cartelli sulla libertà dell'acqua o di certi sacerdoti che hanno detto messa con i manifesti per i sì ai referendum sopra l'altare».

© Copyright Il Resto del Carlino, 15 giugno 2011


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