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Enciclica "Caritas in veritate"

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2010 00:26
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10/07/2009 01:54
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La Caritas: serve una globalizzazione etica per guidare lo sviluppo
Commenta la nuova Enciclica "Caritas in Veritate"



CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- Caritas Internationalis sostiene che l'enfasi sulla giustizia e sul bene comune nella nuova Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate offra una nuova visione dell'economia, della politica e della società basata su un dovere condiviso di prendersi cura dell'umanità e dell'ambiente.

L'Enciclica papale, ricorda un comunicato inviato dalla Caritas a ZENIT, riflette la Populorum progressio di Papa Paolo VI più di 40 anni dopo la sua pubblicazione alla luce della globalizzazione e del collasso dell'economia di libero mercato nel 2008.

Il segretario generale di Caritas Internationalis Lesley-Anne Knight ha affermato che "la Caritas in Veritate sottolinea come una ricerca cieca del profitto sull'etica sia diventata dannosa per le popolazioni e il pianeta. L'Enciclica arriva in un momento chiave per lo sviluppo, con decenni di progresso a rischio. Il numero di persone affamate è aumentato di 100 milioni, arrivando l'anno scorso a oltre un miliardo".

"La crisi ha mostrato fallimenti del sistema generati da speculazioni per il beneficio di una manciata di persone e a spese di milioni di famiglie povere, ma la crisi offre un'occasione unica di rimodellare la globalizzazione perché lavori per la maggioranza", ha aggiunto la Knight.

"L'Enciclica offre passi concreti che i policy makers dovrebbero compiere per riportarci sulla via del vero sviluppo - ha osservato -. Ci ricorda che la finanza e lo sviluppo possono lavorare per tutta l'umanità e non solo per gli azionisti. Il ritorno a un modello più equo basato su un dovere collettivo è fondamentale per ridurre il gap tra i ricchi e i poveri".

La Caritas, ha proseguito la Knight, "loda il fatto che Papa Benedetto XVI abbia sottolineato la necessità di aumentare gli aiuti".

"Mentre il G8 si riunisce a L'Aquila, i Paesi ricchi come Francia e Italia stanno tagliando gli aiuti ai poveri. Ci appelliamo a loro perché mantengano la promessa di impegnare lo 0,7% del PIL negli aiuti esteri".

Allo stesso modo, il segretario generale dell'organizzazione ha rilevato che "la sfida del Papa di riformare le Nazioni Unite e le istituzioni economiche arriva al momento giusto. L'ONU, il FMI e la Banca Mondiale devono assicurare una maggiore partecipazione dei Paesi poveri al processo decisionale".

La Caritas ricorda anche come il Papa parli del dovere di difendere l'ambiente. "Speriamo che i leader del mondo ascoltino il suo appello a un consenso internazionale e che chi inquina debba pagare i costi".

"Come dice il Papa, gli abitanti dei Paesi ricchi devono cambiare il proprio stile di vita e i loro consumi irresponsabili se vogliamo difendere le risorse".

"Il messaggio ai lavoratori umanitari e ai cooperatori per lo sviluppo in tutto il mondo è che nel nostro amore per l'umanità lottiamo per la giustizia e per il bene comune - ha concluso la Knight -. La Caritas loda l'affermazione per cui la vera carità guarda alle cause della povertà e ai mezzi per sconfiggerla".









Benedetto XVI invita a ripensare al concetto di felicità


di Tommaso Cozzi*

ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- L'enciclica "Caritas in Veritate" può apparire come un ammonimento nei confronti di soggetti ed istituzioni preposti alla gestione della "cosa comune": governi, istituzioni finanziarie, organismi internazionali, ecc... Tali aspetti sono stati trattati da Benedetto XVI con il chiaro scopo di affrontare, tra gli altri, il tema del bene comune. Tuttavia vi sono aspetti rilevanti che riguardano l'uomo nella sua essenza ed individualità, nella sua umanità più diretta ed immediata. Tali aspetti riguardano il concetto di "felicità".

Il mondo tecnicizzato del nostro tempo tende a far coincidere il concetto di felicità con il raggiungimento del benessere materiale attraverso la disponibilità e l'acquisizione di beni, risorse, utilità e servizi, e a confondere la felicità individuale e privata con il benessere collettivo. Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità si è sempre più trasformato nell'imperativo edonistico del "dover essere felice" ad ogni costo. Quanto questa idea di felicità sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità che sembrano caratterizzare l'identità dell'uomo moderno. Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il crescente progresso economico ed il benessere individuale, l'aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita.

Appare pertanto coerente quanto evidenziato nel Cap. 6 della "Caritas in Veritate" (Lo sviluppo dei popoli e la tecnica) con il contenuto del Cap. 7, par. 2 (La parabola del buon samaritano) del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI laddove si legge: "L'attualità della parabola è ovvia. Se l'applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell'Africa - e non solo dell'Africa - ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché (...) abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236). "Si, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l'uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell'abbondanza di beni materiali".

Parallelamente al par. 68 dell'enciclica si legge "Il tema dello sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello dello sviluppo di ogni singolo uomo. La persona umana per sua natura è dinamicamente protesa al proprio sviluppo" . E ancora, al n. 70 "Lo sviluppo tecnologico può indurre l'idea dell'autosufficienza della tecnica stessa quando l'uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire".

In sostanza Benedetto XVI si interroga e ci interroga sul senso ultimo dell'agire umano, con specifico riferimento all'utilizzo di tutti quegli strumenti, di tutti quei mezzi predisposti non solo allo sviluppo economico, ma, attraverso esso ed in conseguenza di esso, allo sviluppo dell'uomo e cioè alla sua intima felicità.

Qual è il ruolo giocato dalle imprese nell'utilizzo delle tecnologie, intese non solo in senso "meccanico", ma anche in senso manageriale (la "tecnic" di gestione delle imprese e degli uomini)?

La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L'economia, infatti, è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base (tecniche e metodi dei "saperi"), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità.

Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all'esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell'umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione.

Cosa fare in concreto traendo spunto dalla "Caritas in Veritate"?

Già la Centesimus Annus indicava delle vie, peraltro condivise da quanti propongono una visione umanizzante dei processi economici (cfr A. Sen): fissare obiettivi che siano simultaneamente di valore economico e di valore antropologico, ma che siano, soprattutto, concretamente realizzabili. In altri termini gli obiettivi, affinché siano veri e carismatici (cioè significativi nel fine ultimo e "donanti", più che "facenti"), dovranno essere, nel futuro più prossimo ed immediato, pianificati in termini di risultato economico e di significato umano e che non siano irraggiungibili. Si propone, insomma, una sorta di "contratto implicito nell'umanità e per l'umanità".

* Il prof. Tommaso Cozzi è docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Bari.










Senza difesa della vita non c'è sviluppo
Il direttore dell'Istituto Acton commenta l'Enciclica "Caritas in Veritate"

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- Innumerevoli i commenti all'Enciclica "Caritas in Veritate", diffusa dalla Santa Sede martedì 7 luglio. Tra questi, molto interessante è quello di Kishore Jayabalan, direttore dell'Istituto Acton, la sede romana dell'Acton Institute, intervistato da ZENIT.

Qual è il suo parere complessivo sull'Enciclica "Caritas in Veritate"?

Jayabalan: La mia prima reazione è stata pensare che è un documento lungo e non facile da leggere e riassumere velocemente. Ma appena ho cominciato a leggere e rileggere ne ho apprezzato la grande portata e il significato.

La base etica e morale per l'economia di mercato è molto spesso trascurata. Anche i suoi sostenitori tendono a presentare argomenti utilitaristici a favore del mercato, mentre gli avversari tendono a biasimare il libero scambio di beni e servizi per tutti i tipi di fenomeni culturali che hanno poco a che fare con l'economia stessa. Quando le cose vanno bene e tutti guadagnano soldi nessuno vuole sentir parlare di avidità e materialismo, ma una volta che la bolla scoppia ognuno sembra diventare un moralista e un profeta con un sorprendente senno di poi. Questo è quello che Benedetto ha definito "moralismo a buon mercato".

In realtà il Papa ci ricorda la necessità di rendere più etica e virtuosa la nostra vita quotidiana. Quindi, in questa Enciclica, Benedetto XVI realizza che non ha alcun senso esprimere solo condanne, e sceglie invece di sfidare le persone a impegnarsi spiritualmente e intellettualmente, con una "fede veramente adulta". I frutti di questa Enciclica si vedranno nel momento in cui gli esperti nei settori della finanza e dell'economia comprenderanno e cercheranno di applicare questo nuovo modo di pensare e di agire.

Quali sono i punti che lei ha più apprezzato? E quali quelli innovativi?

Jayabalan: In un recente passato ho lavorato su questioni ambientali presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e per questo ho molto apprezzato la sezione dell'Enciclica che parla di ecologia, soprattutto nella parte in cui si criticano gli abusi come l'idolatria pagana della natura. In molti modi, le questioni ambientali sono al centro del dibattito antropologico perché ci impongono di pensare e di distinguere tra il Creatore e il suo ordine della creazione. L'invito dell'Enciclica a un'ecologia umana che difenda la vita, in particolare quella dei concepiti, la giustizia sociale e anche lo sviluppo a livello internazionale è stato molto apprezzato.

Da quanto ho letto, uno degli aspetti più innovativi dell'Enciclica è costituito dai punti n. 3, 11 e 20, in cui il Pontefice parla di "respiro umano universale". E' la prima volta che un tale concetto viene utilizzato per descrivere come la verità salva la carità dal fideismo, in altre parole si chiarisce come la verità ci liberi da una visione deterministica della fede, che negherebbe la libertà umana. Nel punto 11 il contesto è quello della vita eterna, che ci chiede di riconoscere "beni superiori", al di là di quelli dell'accumulo della ricchezza. Nel punto 20 vengono presentati i vari aspetti relativi allo sviluppo umano integrale, che danno "la respirazione e la direzione nello spazio" per le nostre attività sociali. Pensare in termini di "respiro umano universale" è un argomento che si contrappone alla visione di una pianificazione e di un controllo centralizzato, il che è un innovativo modo di comprendere gli aspetti spirituali della ragione umana e della libertà.


Come sono state le reazioni negli Stati Uniti?

Jayabalan: Negli Stati Uniti i commenti all'Enciclica sono stati vari. Gli oppositori all'economia di mercato hanno visto l'Enciclica come un attacco contro il capitalismo, una visione in cui il capitalismo viene visto al di fuori del regno della legge, della politica e della morale. Una concezione ideologica che non descrive la realtà del settore bancario e finanziario di oggi. Altri, come il New York Times, hanno descritto l'Enciclica di Benedetto XVI come un appello a un "nuovo ordine economico mondiale" non solo in un senso etico o morale, ma anche strutturale. Altri ancora stanno cercando di capire come l'Enciclica potrebbe influire sui comportamenti quotidiani per le operazioni di business e della finanza. Considerando che la Caritas in Veritate ha solo tre giorni di vita, è ovviamente troppo presto per saperlo.

Conosce le reazioni all'Enciclica in India ?

Jayabalan: No, perché non sono stato in India nel corso degli ultimi due giorni, ma posso immaginare che Paesi come l'India e la Cina, che hanno sperimentato un'incredibile crescita economica negli ultimi 20 anni, si troveranno d'accordo con l'Enciclica soprattutto nei passaggi in cui si denunciano i costi umani delle politiche utilitaristiche.

Credo che ci sia anche un po' di risentimento e di fastidio nei confronti degli oppositori del capitalismo, proprio nel momento in cui questi Paesi stanno per compiere un salto per diventare Nazioni sviluppate.

Le parole del Papa sulla sacralità di ogni vita umana, soprattutto nella sua prima fase e indipendentemente dal sesso, nel contesto delle politiche di sviluppo, dovrebbero essere benvenute in Paesi come l'India e la Cina che sono stati spesso oggetto di severissime politiche di controllo della popolazione. Purtroppo molti sostenitori delle politiche di riduzione delle nascite fondano le loro tesi sul concetto di "sviluppo sostenibile" e rappresentano le ONG e le istituzioni internazionali finanziate dalle Nazioni sviluppate. Nell'Enciclica il Papa spiega che la libertà religiosa è un contributo per lo sviluppo e per il bene comune. In questo modo si cerca di far capire quanto sia sbagliato impedire alla Chiesa cattolica la predicazione della sua missione. Ancora di recente, infatti, la Chiesa cristiana è stata oggetto di attacchi e persecuzioni.

L'Enciclica indica il crollo demografico e la riduzione delle nascite come la causa centrale della crisi economica. Qual è il suo parere in proposito?

Jayabalan: La mentalità per il controllo demografico e il conseguente crollo delle nascite è un fenomeno che tocca tutto il mondo. Ho già ricordato le politiche anti-natalità in Cina e in India, ma per quanto ne so non vi è una Nazione al mondo che abbia una percentuale di fertilità in crescita.

In alcuni Paesi europei come l'Italia e la Spagna, la percentuale è così bassa che la popolazione originaria è in via di riduzione. Si tratta naturalmente di politiche deleterie che generano cattive conseguenze economiche e sociali, come per esempio gravi tensioni sui sistemi pensionistici e sui mercati immobiliari. A questo proposito c'è uno studio di David P. Goldman, pubblicato sulla rivista First Things ("Demographics and Depression", maggio 2009, www.firstthings.com/article/2009/05/demographics--depression-124... in cui si spiega come il crollo demografico generi e contribuisca alle crisi economiche e alla depressione. I sistemi sociali entrano in crisi soprattutto quando ci sono troppi anziani la cui capacità produttiva è ovviamente ridotta. L'editorialista canadese della rivista, Mark Steyn, ha precisato che quando le popolazioni perdono il primordiale istinto alla riproduzione si perde anche la volontà di difendere se stessi, di creare ricchezza e, in generale, di migliorare la società. Papa Benedetto XVI non usa lo stesso linguaggio nella sua nuova Enciclica, ma sembra essere d'accordo con l'analisi generale.

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