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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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11/05/2009 20:02
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Discorso di Benedetto XVI al Memoriale di "Yad Vashem"

GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI durante la sua visita al Memoriale di "Yad Vashem", monumento alla Memoria dell’Olocausto a Gerusalemme.

* * *

"Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato" (Is 56,5).

Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – "memoriale"; shem – "nome". Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram "Abraham" perché doveva diventare il "padre di molti popoli" (Gn 17,5). Giacobbe fu chiamato "Israele" perché aveva "combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto" (cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham.

Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!

La Chiesa Cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9).

Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9).

Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!

Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

"Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie;
Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà;
«Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore" (3,22-26).

Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]





Discorso del Papa al "Notre Dame of Jerusalem Center"


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo lunedì da Benedetto XVI nell’Auditorium del "Notre Dame of Jerusalem Center", dove si è incontrato con i rappresentanti di alcune Organizzazioni per il dialogo interreligioso.

* * *

Cari Fratelli Vescovi,

Distinti Capi Religiosi,

Cari Amici,

è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto espresse a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.

" Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì...e prese la moglie Saràh" con sé (Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.

La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione ci mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola. Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.

Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.

La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.

Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro, alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.

La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.

Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel "vuoto" non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.

Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]






Il Papa presenta il dialogo interreligioso come via per la pace
La sicurezza è più che assenza di minacce

di Inma Álvarez


GERUSALEMME, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è tornato a chiedere la pace in Terra Santa nel suo secondo discorso in Israele, durante la cerimonia offerta questo lunedì pomeriggio dal Presidente Shimon Peres nel Palazzo presidenziale di Gerusalemme, insistitendo in particolare sull'importanza del dialogo interreligioso.

Alla cerimonia, durante la quale il Papa ha piantato simbolicamente un albero nel giardino interno del Palazzo, erano presenti numerose personalità politiche e religiose. Grazie alle telecamere, il mondo ha potuto assistere a momenti spontanei tra il Papa e il leader israeliano.

Il Pontefice ha ricordato che la pace “è prima di tutto un dono divino” che bisogna cercare con tutto il cuore.

“Il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio”, ha detto il Papa ai presenti. “È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità”.

I leader religiosi, ha aggiunto, “devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come 'ricco di amore e di fedeltà'”.

Nel suo discorso, il Vescovo di Roma ha citato le Sacre Scritture per ricordare che in esse la sicurezza “non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza”.

“Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili”, ha aggiunto.

“Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace”, ha esclamato.

Il Pontefice ha anche insistito sul fatto che non si raggiungerà la pace se ogni popolo cerca solo i propri interessi, perché “i valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti”.

In questo senso, ha affermato che bisogna “guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il 'Tu' come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella”, assicurando il diritto di tutti “all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego”.

“Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze?”, ha chiesto.

“Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza”.

Un numero considerevole di uomini, donne e giovani, ha aggiunto, sta “lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.

Il Papa ha infine ricordato che la stessa Gerusalemme “è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”.

“Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana”, ha concluso.




Il Papa al Memoriale dell'Olocausto: milioni di ebrei hanno perso la vita ma non i nomi. Le loro sofferenze non siano mai negate, sminuite o dimenticate


Il Papa ha iniziato oggi la seconda parte del suo pellegrinaggio: ha lasciato la Giordania ed è giunto in Israele. A Tel Aviv la cerimonia di benvenuto. Poi l'attesa visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Ecco le sue parole nella Sala della Rimembranza: “Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi... Possano i nomi di queste vittime non perire mai! – ha aggiunto il pontefice - Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”. Quindi ha aggiunto: “Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente”. Poi ha concluso con queste parole: “Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare”.




I credenti di tutte le religioni promuovano ciò che li unisce per annunciare insieme al mondo che Dio esiste: così il Papa nell'incontro interreligioso


“Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune”: così benedetto XVI nell’ultimo impegno della giornata, l’Incontro con le Organizzazioni per il Dialogo Interreligioso, presso l’Auditorium del “Notre Dame of Jerusalem Centre” di Gerusalemme. “Noi – ha detto il Pontefice - vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra”. Poi ha aggiunto: “non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo…Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca”. E ha così concluso: “Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!”.



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