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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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10/05/2009 16:36
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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VIII)


SANTA MESSA NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN


Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto all’International Stadium di Amman, dove, alle ore 10.00, presiede la Santa Messa della IV Domenica di Pasqua, secondo il rito latino.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Sua Beatitudine Fouad Twal, dopo la proclamazione del Santo Vangelo il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:



OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

sono lieto di poter celebrare questa Eucaristia insieme con voi all'inizio del mio pellegrinaggio in Terra Santa. Ieri dalle alture del Monte Nebo, restando in piedi, ho sostato e guardato a questa grande terra, la terra di Mosè, Elia e Giovanni il Battista, la terra nella quale le antiche promesse di Dio furono adempiute con l'arrivo del Messia, Gesù nostro Signore. Questa terra è testimone della sua predicazione e dei miracoli, della sua morte e risurrezione, e dell’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa, il sacramento di un’umanità riconciliata e rinnovata. Meditando sul mistero della fedeltà di Dio, ho pregato perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità. Veramente, come San Pietro ci dice oggi nella prima lettura, "non vi è, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati" (At 4,12).

La gioiosa celebrazione del Sacrificio eucaristico di oggi esprime la ricca diversità della Chiesa Cattolica nella Terra Santa. Saluto tutti voi, con affetto, nel Signore. Ringrazio Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le sue gentili parole di benvenuto. Il mio saluto va anche ai molti giovani delle scuole cattoliche che oggi portano il loro entusiasmo in questa Celebrazione eucaristica.

Nel Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama: "Io sono il buon pastore... che dà la propria vita per le pecore" (Gv 10,11). Come Successore di san Pietro al quale il Signore ha affidato la cura del suo gregge (cfr Gv 21,15-17), ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente; non dimenticate mai la grande dignità che deriva dalla vostra eredità cristiana, e non venite mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i vostri fratelli e sorelle della Chiesa in tutto il mondo!

"Io sono il buon pastore", ci dice il Signore, "conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Oggi in Giordania abbiamo celebrato la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Meditando sul Vangelo del Buon Pastore, chiediamo al Signore di aprire i nostri cuori e le nostre menti sempre di più per ascoltare la sua chiamata. Davvero, Gesù "ci conosce", anche più profondamente di quanto noi conosciamo noi stessi, ed ha un piano per ciascuno di noi. Sappiamo pure che dovunque egli ci chiami, troveremo felicità e appagamento; di fatto troveremo noi stessi (cfr Mt 10,39). Oggi invito i molti giovani qui presenti a considerare come il Signore li stia chiamando a seguirlo e a edificare la sua Chiesa. Sia nel ministero sacerdotale o nella vita consacrata, sia nel sacramento del matrimonio, Gesù ha bisogno di voi per far ascoltare la sua voce e per lavorare per la crescita del suo Regno.

Nella seconda lettura di oggi, san Giovanni ci invita a "pensare al grande amore con il quale il Padre ci ha amati" facendoci suoi figli adottivi in Cristo. L'ascolto di queste parole ci deve rendere riconoscenti per l'esperienza dell'amore del Padre che abbiamo avuto nelle nostre famiglie, mediante l'amore dei nostri padri e madri, nonni, fratelli e sorelle. Durante la celebrazione del presente Anno della Famiglia, la Chiesa in tutta la Terra Santa ha pensato alla famiglia come a un mistero di amore che dona la vita, mistero racchiuso nel piano di Dio con una sua propria vocazione e missione: irradiare l'amore divino che è la sorgente e il compimento di ogni altro amore delle nostre vite. Possa ogni famiglia cristiana crescere nella fedeltà a questa sua nobile vocazione di essere una vera scuola di preghiera, dove i fanciulli imparano il sincero amore di Dio, dove maturano nell'autodisciplina e nell’attenzione ai bisogni degli altri, e dove, modellati dalla sapienza che proviene dalla fede, contribuiscono a costruire una società sempre più giusta e fraterna. Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società.

Un importante aspetto della nostra riflessione in questo Anno della Famiglia, è stato la particolare dignità, vocazione e missione delle donne nel piano di Dio. Quanto la Chiesa in queste terre deve alla testimonianza di fede e di amore di innumerevoli madri cristiane, Suore, maestre ed infermiere, di tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere 1'amore! Fin dalle prime pagine della Bibbia, vediamo come uomo e donna creati ad immagine di Dio, sono chiamati a completarsi l'un l'altro come amministratori dei doni di Dio e suoi collaboratori nel comunicare il dono della vita, sia fisica che spirituale, al nostro mondo. Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29) come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.

Cari Amici, ritorniamo alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi. Credo che esse contengano un messaggio speciale per voi, suo gregge fedele, in queste terre dove Egli una volta abitò. "Il buon pastore", Egli ci dice, "dà la propria vita per le sue pecore". All'inizio della Messa abbiamo chiesto al Padre di "darci la forza del coraggio di Cristo nostro pastore", che rimase costante nella fedeltà alla volontà del Padre (cfr Colletta, della Messa della quarta domenica di Pasqua). Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre. La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il "stroncare" vite innocenti.

"Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Rallegratevi perché il Signore vi ha fatti membri del suo gregge e conosce ciascuno di voi per nome! Seguitelo con gioia e lasciatevi guidare da Lui in tutte le vostre strade! Gesù sa quante sfide vi stanno davanti, quali prove dovete sopportare e conosce il bene che voi fate in suo nome. Abbiate fiducia in Lui, nel durevole amore che Egli porta per tutti i membri del suo gregge e perseverate nella vostra testimonianza al trionfo del suo amore. Che san Giovanni Battista, patrono della Giordania, e Maria, Vergine e Madre, vi sostengano con il loro esempio e la loro preghiera e vi conducano alla pienezza della gioia negli eterni pascoli, dove sperimenteremo per sempre la presenza del Buon Pastore e conoscere per sempre le profondità del suo amore. Amen.



PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IX)


RECITA DEL REGINA COELI NELL’INTERNATIONAL STADIUM DI AMMAN



Al termine della Santa Messa nell’International Stadium di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI guida la recita del Regina Coeli con i fedeli presenti. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:




PAROLE DEL SANTO PADRE


Cari Amici,

durante la Messa ho parlato del carisma profetico delle donne, come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace. L’esempio supremo delle virtù femminili è la Beata Vergine Maria: la Madre della Misericordia e Regina della Pace. Mentre ora ci rivolgiamo a lei, invochiamo la sua materna intercessione per tutte le famiglie di queste terre, affinché possano veramente essere scuole di preghiera e scuole di amore. Chiediamo alla Madre della Chiesa di volgere lo sguardo misericordioso su tutti i Cristiani di queste terre; con l’aiuto delle sue preghiere possano essere veramente una cosa sola nella fede che professano e nella testimonianza che offrono. A lei che ha risposto così generosamente all’annuncio dell’angelo ed ha accettato la chiamata a diventare la Madre di Dio, chiediamo di dare coraggio e fortezza a tutti i giovani che oggi discernono la propria vocazione, così che anch’essi possano dedicare generosamente se stessi a compiere la volontà del Signore.

In questo tempo pasquale è col titolo di Regina Caeli che noi ci rivolgiamo alla Beata Vergine. Come frutto della Redenzione conquistata dalla morte e risurrezione del Figlio suo, anche Lei fu innalzata ad una gloria eterna e coronata quale Regina dei Cieli. Con grande fiducia nella potenza della sua intercessione, ci rivolgiamo a lei ora con gioia nei nostri cuori e con amore per la nostra gloriosa sempre Vergine Madre, ed invochiamo le sue preghiere.


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica dove pranza con i Patriarchi e i Vescovi e con i Membri del Seguito.






L'incoraggiamento del Papa ai cristiani della Giordania nella Messa ad Amman. L'omaggio alla testimonianza di fede e amore delle donne di Terra Santa


“Che il coraggio di Cristo … vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa” in queste antiche terre”: è quanto ha detto il Papa stamani nell’omelia della Messa da lui presieduta nell’International Stadium di Amman, alla presenza di almeno 30 mila persone. Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa e alla loro testimonianza di fede e di amore. Oggi è la terza ed ultima giornata del viaggio del Papa in Giordania. Domani il trasferimento a Gerusalemme. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

(Canto)

E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la Messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e che hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento.‘Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità":


"I have long awaited this opportunity to stand before...
Ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente".

Di tutti questi sentimenti si è fatto portavoce, all’inizio della celebrazione di stamattina, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, rivolgendo il suo saluto al Papa a nome di tutti i cittadini giordani, musulmani e cristiani, dell’Assemblea dei vescovi e patriarchi della Terra Santa, e con tutti i fedeli giunti dai Paesi arabi vicini. “Siamo ansiosi di mostrarLe, ha aggiunto, la nostra ospitalità arabo-giordana". Riferendosi poi alla giornata di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi in Giordania, il Patriarca ha scherzato dicendo che c’è un problema con i seminaristi in Terra Santa, perchè il seminario di Beit Jala, per la prima volta, è troppo pieno! Il Patriarca Twal ha ricordato anche le migliaia di migranti che sono giunte in Giordania per lavoro, specialmente dall’Asia, come pure i milioni di rifugiati, in gran parte palestinesi, che sono stati accolti in questo Paese. A cui si sono aggiunti circa un milione gli iracheni, tra cui quarantamila cristiani, ai quali la Chiesa insieme alla Caritas assicura assistenza materiale e spirituale. Una realtà ben presente al Papa, che ne ha preso spunto per rivolgere un forte invito alla Chiesa giordana e a tutta la Terra Santa:


"Fidelity to your Christian roots, fidelity to the Church’s mission...
La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società".


Questo, ha proseguto il Papa, significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano lo "stroncare" vite innocenti.

Ed al tema dell’amore, quello con il quale Dio ci ha amati, Benedetto XVI ha poi dedicato l’altra parte della sua omelia, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio:


"The strong Christian families of these lands are a great legacy...
Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai a mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società".

Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa, ricordando che la Chiesa in queste terre deve molto alla loro testimonianza di fede e di amore. Innumerevoli madri cristiane, suore, maestre e infermiere, e tutte quelle donne , ha detto ancora il Papa, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore!


"Sadly, this God-given dignity and role of women has not always...
Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava 'il carisma profetico' delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29)".


Un carisma che si manifesta nel loro essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.


(Canto)






Un bilancio molto positivo: così padre Lombardi sulla tappa giordana del pellegrinaggio di Benedetto XVI


Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi raggiunto telefonicamente ad Amman da Sergio Centofanti:

R. – Il bilancio è necessariamente molto positivo, perché il Papa ha potuto svolgere tutti gli incontri che erano in programma con grandissima serenità, con un’accoglienza molto calda, molto amichevole, da parte sia delle autorità dello Stato, della famiglia reale, sia da parte del mondo musulmano e poi anche grazie agli incontri con la comunità cristiana. Mi pare molto saggio avere iniziato questo viaggio attraverso una porta di pace, una porta di serenità. In questo momento, la Giordania è nel quadro del Medio Oriente un Paese sostanzialmente sereno e quindi il fatto di iniziare l’itinerario del Medio Oriente da questo punto, credo che abbia reso l’avvio di questo viaggio di pace particolarmente positivo.


D. – Quali finora le immagini più forti di questo pellegrinaggio?


R. – Di immagini dal punto di vista visivo, direi il Papa sul Monte Nebo, il Papa che guarda verso la valle del Giordano, verso la Terra Promessa, dal luogo da cui Mosè ha guardato: è stato un momento di grandissima intensità, di evocazione spirituale profondissima e anche uno sguardo verso le altre tappe del viaggio e al rapporto con il mondo ebraico. Poi, direi, naturalmente il Papa nella Moschea – la sua seconda Moschea dopo quella di Istanbul – dove si vede che diventa, in un certo senso, sempre più normale, naturale, che il Papa in atteggiamento amichevole entri in un luogo di preghiera dei musulmani. Questo è un segno del progresso del rapporto positivo tra cristiani e musulmani nel corso di questi anni. Un’altra immagine bella, che riguarda il calore della comunità cristiana che accoglie il Papa, è quella nella cattedrale dei greco-melkiti, in cui veramente l’entusiasmo dell’accoglienza è stato impressionante.


D. – Quindi, con i musulmani si possono dire definitivamente superati i fraintendimenti di Ratisbona…


R. – Io credo che fossero già stati superati da un bel po’, perché i chiarimenti erano stati dati abbondantemente. Però, come sappiamo, quando c’è un malinteso che tocca profondamente, ci vuole poi tutta una serie di passi, di tempi, per risanare completamente tutte le conseguenze. E quindi, non c’è poi neanche da stupirsi che continuino dei riferimenti a quel momento difficile. Abbiamo, però, già più di due anni di esperienze positive, che da quel momento sono cominciate. Il principe Gazi, nel suo discorso, ha evocato Regensburg, ma ha detto chiaramente che è un capitolo definitivamente superato e poi ha salutato il Papa come Successore di Pietro, il che in bocca ad un capo autorevole del mondo musulmano è un saluto molto significativo.


D. – Il Papa ha avuto parole di grande incoraggiamento e apprezzamento per la minoranza cristiana in Giordania...


R. – Certamente. E’ una Chiesa che è viva e ha potuto dimostrarlo qui al Papa, non solo con l’accoglienza e con la cordialità e l’intensità dei momenti di preghiera insieme, ma sono anche state solennizzate alcune circostanze importanti: al Centro Regina Pacis per i giovani e gli handicappati è stata inaugurata una nuova ala. Nell’Università di Madaba è stata posta la prima pietra ed è un’iniziativa di grandissimo rilievo, non solo per la Giordania, ma per tutto il Medio Oriente, in cui lo sviluppo che potrà avere il contributo che la Chiesa dà alla cultura nel Paese sarà estremamente significativo. E poi le due pietre delle due chiese latina e greco-melkita, nella zona del Battesimo di Cristo, significano che anche fisicamente crescono i luoghi in cui la Chiesa si incontra. Certamente, il fatto che il passaggio del Papa sia stato collegato a queste belle circostanze, dice che è una Chiesa che si sente viva, vitale, e che guarda in avanti.


D. – Ora il pellegrinaggio in Terra Santa prosegue in Israele e nei Territori palestinesi. Quali le speranze?


R. – Le speranze sono che gli scopi che il Papa ha già detto molte volte, anche prima di partire, vengano raggiunti: che possa essere veramente un messaggio di pace, di riconciliazione, di incoraggiamento per le comunità cristiane che si trovano in difficoltà, che un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia, un messaggio di amore possa dare un contributo efficace per migliorare la situazione in tutta l’area.






L'appello del Papa a non dimenticare i cristiani iracheni. Najim: speriamo che la comunità internazionale si svegli


Benedetto XVI durante il suo viaggio in Giordania più volte ha espresso la sua vicinanza ai cristiani iracheni: quelli che sono rimasti nel loro Paese e quanti sono fuggiti. Ha chiesto il sostegno per i profughi e ha lanciato un nuovo appello alla comunità internazionale perché faccia “tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”. In Giordania sono oltre 40 mila sono cristiani. Quali sono le loro difficoltà? Sergio Centofanti lo ha chiesto al corepiscopo Philip Najim, visitatore per i fedeli Caldei in Europa:

R. – Le difficoltà sono enormi e, essendo ospiti in quel Paese, approfitto dell’occasione per ringraziare il governo e Sua Maestà, il Re di Giordania, per questa accoglienza ai nostri iracheni sia musulmani che cristiani. Nonostante tutto, sappiamo che il Paese è piccolo e limitato nelle sue risorse, quindi gli iracheni si trovano in grande difficoltà e in grande sofferenza: è molto difficile per loro vivere una vita normale. Speriamo che un giorno la comunità internazionale si svegli, attraverso anche l’appello del Santo Padre, e dia una mano a questi profughi iracheni, perché possano vivere la loro vita con dignità.


D. – Qual è la situazione pastorale di questi profughi cristiani?


R. – E’ una situazione veramente molto difficile, perché non si trova un luogo di culto specifico per questi migranti iracheni. Noi abbiamo una un sacerdote messo a loro disposizione, al loro servizio, perché possa dare ancora questa speranza: che la Chiesa vive e vive ancora nel cammino di fede di queste persone che speriamo possano anche attraverso la loro sofferenza dare una testimonianza di Cristo, la testimonianza di essere attaccati a Cristo e di vivere la Parola di Cristo.


D. – Il Papa ha lanciato un appello a non abbandonare i cristiani in Iraq, che vivono momenti di grandi difficoltà...


R. – Questi cristiani devono essere sostenuti, devono essere incoraggiati, devono essere aiutati e non devono essere dimenticati. Tutto l’Iraq non deve essere dimenticato. La comunità internazionale deve continuare a sostenere questo popolo che ancora soffre.


D. – Continuano le violenze anticristiane in Iraq?


R. – Ci sono violenze non soltanto anticristiane, ci sono violenze anche contro le altre etnie. Ci sono delle forze oscure che vogliono creare una divisione del popolo iracheno, perché creando queste divisioni rallentano il processo di pace, rallentano il processo dello sviluppo dell’Iraq. Perciò chiediamo al popolo iracheno di essere unito e di dimenticare gli interessi personali, per alleviare questa sofferenza.






Domani il Papa a Gerusalemme con la visita allo Yad Vashem, Memoriale dell'Olocausto


Questo pomeriggio il Papa visita il Sito del Battesimo sul Giordano dove operava San Giovanni Battista: qui benedice le prime pietre delle Chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. Domani inizia la seconda tappa del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa: il Pontefice partirà in mattinata per Tel Aviv dove sarà accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Nel pomeriggio, a Gerusalemme, la visita allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto, e più tardi l'incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso. Ma ascoltiamo il servizio del nostro inviato a Gerusalemme Roberto Piermarini:

Il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa ha un carattere esclusivamente spirituale ma – come hanno ribadito il nunzio in Israele mons. Franco ed il Patriarca latino di Gerusalemme mons. Twal – in questa regione, religione e politica si sovrappongono. Il governo israeliano - che ha riempito Gerusalemme di striscioni di benvenuto e di bandiere vaticane – sta dando grande risalto a questa visita papale. La pagina web in sette lingue, del Ministero del Turismo, definisce la visita “un ponte per la pace”. Il sito, offrendo informazioni sul programma della visita e dati pratici per i pellegrini che la seguiranno, sottolinea come quello di Benedetto XVI sia un pellegrinaggio di pace e di riconciliazione”.


Il Servizio Filatelico israeliano ha preparato due serie di francobolli per la visita papale: la prima con immagini dei luoghi santi e riferimenti biblici, mentre la seconda sarà emessa dopo la visita e sarà realizzata con foto scattate durante il viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. Dalla Cisgiordania il governo israeliano ha concesso migliaia di visti, ma non altrettanto ha fatto con i cristiani di Gaza che ancora non sanno se potranno partecipare alle celebrazioni pubbliche del Papa. La stampa israeliana ha annunciato – suscitando tra l’altro reazioni negative all’interno del mondo politico del Paese – che il presidente Shimon Peres avrebbe il desiderio di restituire alla Chiesa la sala del Cenacolo sul Monte Sion. Ma gli stessi francescani della Custodia di Terra Santa sono molto scettici in proposito. Ha destato tra l’altro molta impressione l’annuncio che duecento rabbini di varie denominazioni, firmeranno un messaggio di benvenuto al Papa, che verrà pubblicato sulle pagine del noto quotidiano israeliano “Haaretz”.


Sul fronte della Chiesa locale, fervono gli ultimi preparativi per accogliere nel migliore dei modi il Papa ma – come dicono alcuni degli organizzatori – “la nostra povera Chiesa ha avuto poco meno di due mesi per accoglierlo”. Quello che si teme, è che le ossessionanti misure di sicurezza messe a punto a Gerusalemme dalle autorità israeliane, possano “blindare” il pellegrinaggio “creando un clima così pesante – ci confessa un francescano di Terra Santa – che costringerà il Papa a non sentire la presenza dei nostri fedeli, ma a passare tra due ali di soldati. Durante la visita verranno chiusi tutti gli accessi alla Città Vecchia ed anche l’immenso bazar. I cristiani sono stati invitati a partecipare alle messe pubbliche che si terranno a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, - ha detto il religioso - ma se continuerà a persistere un clima di paura, molti di loro preferiranno seguire le celebrazioni in televisione”. In Terra Santa intanto, stanno giungendo dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’America Latina e dall’Australia, 7 mila giovani del Cammino neocatecumenale, che avranno incontri di preghiera con la Chiesa locale di Israele e Palestina nelle parrocchie latine, greco-cattoliche e maronite; visiteranno anche ospedali, scuole cattoliche e case di riposo. Un segno di comunione e di incoraggiamento per questa piccola Chiesa di Terra Santa, che guarda con speranza all’arrivo del Papa.







Il rabbino Rosen: la visita del Papa, evento d'importanza enorme. Padre Manns: un messaggio di riconciliazione


Ma in che modo la società israeliana sta attendendo la visita del Papa? Ci risponde il rabbino David Rosen, presidente del "Comitato ebraico internazionale per le relazioni inter-religiose", al microfono di Sara Fornari:


R. – You know, it’s very difficult thing, maybe an impossible thing, …
Vede, è cosa molto difficile, forse addirittura impossibile, parlare della società israeliana. Avrà sicuramente sentito la battuta che dice: “dove ci sono due ebrei, ci sono tre opinioni”. Ci sono molti elementi diversi, in questa società. Ma il Papa è una figura mondiale, e la sua visita è un evento d’importanza enorme ed io credo che la grande maggioranza di israeliani siano molto emozionati e molto felici e che abbiano grandi aspettative per quanto riguarda la sua visita. Credo che ci sia stata una comprensione di fondo che questa visita abbia una grandissima importanza per l’immagine stessa di Israele nonché per quanto riguarda i suoi rapporti con la Chiesa.


D. – In particolare, quali sono le attese delle comunità religiose ebraiche?


R. – Yes … well, you know the other joke: just because I am paranoid, it doesn’t mean …
Sì … bè, conosce anche l’altra battuta: “solo perché sono paranoico, non significa che non cercheranno di uccidermi”. Cioè: noi ebrei abbiamo una storia tragica. E le ferite della nostra storia sono molto profonde. E la nostra memoria è molto antica. Ora, coloro che sono più “moderni” e si muovono nel mondo, sanno che il mondo “fuori” è cambiato e che il mondo cristiano è cambiato e che c’è stato un cambiamento enorme per quanto riguarda i rapporti cattolico-ebraici. Invece, coloro che non vivono nel mondo, inteso come concetto più ampio, ma vivono nel loro proprio mondo, hanno minori possibilità di conoscere tutto questo. Ed è per questo che pensano che il mondo cristiano sia se non proprio ostile, sicuramente piuttosto “freddo” nei riguardi della gente ebraica e delle tradizioni ebraiche. E quindi, la loro reazione è una reazione dovuta alla mancanza di familiarità con i cambiamenti che ci sono stati. Ed ecco perché la visita di Giovanni Paolo II, nel 2000, ed ora la visita di Papa Benedetto XVI sono così importanti: perché contribuiscono a cambiare gli atteggiamenti, aiuta la gente a comprendere che esiste un rapporto positivo. Invece, molta gente, ancora oggi – specialmente nell’ambito di comunità religiose più chiuse, specialmente nelle comunità ultraortodosse – è meno consapevole di tutto ciò e quindi un po’ più diffidente e conseguentemente un po’ meno interessata. Non saranno ostili alla visita: potrebbero essere un po’ più distaccati dal suo significato.


D. – Personalmente, cosa si aspetta da questa visita?


R. – Well, let me tell you what Pope Benedict XVI told to us when we last ..
Le racconterò cosa ci ha detto Papa Benedetto XVI l’ultima volta che lo abbiamo incontrato: eravamo in quattro ed eravamo una delegazione dei rabbini capo d’Israele, eravamo con lui nel suo studio privato. Lui ci disse di sperare che la sua visita potesse ulteriormente far progredire le relazioni cattolico-ebraiche e che potesse anche far progredire il processo di pace in Terra Santa e in tutta la regione. Anche io spero che questo accada: sarà un po’ più difficile far progredire il processo di pace, perché non credo che dipenda soltanto da Benedetto XVI. Ma per quanto riguarda i rapporti tra cattolici ed ebrei, non c’è alcun dubbio che la sua visita potrà rappresentare un grande progresso sulla via dei cambiamenti storici che sono già avvenuti negli ultimi 50 anni.


Sul messaggio che il Papa porterà in Israele e nei Territori palestinesi ascoltiamo, al microfono di Roberto Piermarini, il padre francescano Frederick Manns, storico della Custodia di Terra Santa:

R. – Il Papa parlerà di nuovo di riconciliazione tra questi due popoli. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio di Gesù. Bisogna perdonare anche ai nemici ed è molto difficile, perché il giudaismo e l’islam accettano il perdono, ma solo Dio può perdonare. Per gli ebrei è il giorno del Kippur, per i musulmani è la misericordia di Dio, che può perdonare. Che l’uomo sia chiamato a perdonare, questa è la novità dei cristiani: “Amatevi come io ho amato voi”, dice il Signore. L’amore autentico significa dare la vita per gli altri. Il Buon Pastore, abbiamo visto al Sepolcro, ha dato la vita per le pecore. Qui, in questa terra vivono due popoli, che sono chiamati a riconciliarsi. I figli di Ismaele e i figli di Isacco, riconciliandosi porteranno la gioia al padre Abramo, che finalmente potrà rallegrarsi di vedere il giorno del Signore, che sarà il giorno della grande riconciliazione. Per questo motivo – il Papa l’ha ripetuto – bisogna pregare molto. Solo con l’aiuto dello Spirito del Signore, l’uomo potrà avere un cuore nuovo e uno spirito nuovo, e con questo cuore nuovo e questo spirito nuovo la riconciliazione sarà possibile. Non c’è riconciliazione senza perdono: questo è il messaggio che il Papa proclama da anni. Bisogna però ripeterlo.




Il Papa sul Monte Nebo: profezia per un mondo che cerca Dio
Spiega l'amministratore delegato dell'ORP

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita che Benedetto XVI ha compiuto questo sabato al Monte Nebo, dal quale si dice che Mosè poté vedere la Terra Promessa, si è trasformata in una profezia per il mondo attuale che cerca Dio alla cieca, considera padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell'Opera Romana Pellegrinaggi, istituzione dipendente dalla Santa Sede.

Il sacerdote, che accompagna il Santo Padre nel suo pellegrinaggio in Giordania, Israele e nei Territori palestinesi, ha spiegato il motivo per il quale il Papa ha deciso di iniziare la sua visita in Terra Santa visitando la montagna alta poco più di 800 metri dalla quale si possono vedere la valle del Giordano, la città di Gerico e a volte, quando non c'è nebbia, anche Gerusalemme. Il 9 marzo 2000 si recò in questo luogo anche Giovanni Paolo II.

"Ogni Papa è come un Mosè che porta il popolo all'incontro con Dio", ha spiegato a ZENIT il sacerdote, ricordando che ciascun pellegrinaggio ha come obiettivo ultimo l'incontro con il Signore. Nel caso del Vescovo di Roma, constata, accanto a lui peregrina il popolo cristiano, anche i mezzi di comunicazione del mondo che lo accompagnano.

Come pastore della Chiesa, cerca di dissipare quelle nubi che, come sul Monte Nebo, impediscono alla gente di vedere la propria meta, "la terra promessa", ha affermato.

Il luogo in cui è morto Mosè, ha ricordato padre Atuire, è la porta privilegiata alla Terra Santa. "Ogni pellegrino che si incammina verso Gerusalemme, seguendo le orme del popolo di Israele che ha camminato 40 anni nel deserto, iniziando dal Monte Nebo, realizza lo stesso percorso alla ricerca della città di Dio e della terra che Dio ha promesso".

Alla luce di questo incontro con Dio, il sacerdote commenta la storica visita realizzata questo sabato da Benedetto XVI alla moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, il secondo tempio islamico che visita nel suo pontificato.

Con questo gesto, ha osservato, il Papa "sottolinea una realtà comune a tutte le religioni: come persone credenti, in qualche modo abbiamo davanti a noi una sfida, perché viviamo in un mondo sempre più secolarizzato".

Con la visita, constata, il Papa ha superato parte dei pregiudizi promossi negli ultimi anni da alcune persone che l'hanno voluto presentare come una persona chiusa al dialogo.

"Il Papa è un uomo aperto all'incontro con l'altro senza paure, senza pregiudizi, perché insieme possiamo fare qualcosa per migliorare questo mondo", ha concluso padre Atuire.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




Il Papa permette ai cattolici di sentirsi "arabi, giordani e cristiani"
Lascia in eredità la riscoperta del luogo del Battesimo di Gesù

di Mercedes de la Torre

AMMAN, domenica, 10 maggio 2009 (ZENIT.org).- La visita di Benedetto XVI in Giordania permette ai cattolici del Paese di sentirsi "arabi, giordani e cristiani", riconosce Nader Twal, guida turistica, in un buon italiano imparato in sette anni di studio a Roma.

Nato a Madaba, nella stessa parrocchia di Sua Beatitudine Fouad Twal, con il quale condivide il cognome, ha confessato a ZENIT che in questi giorni sta vivendo momenti unici e che questo pellegrinaggio rappresenta un sostegno decisivo per i cristiani che vivono nel Paese.

"I cristiani del settore pubblico potranno andare alla Messa del Papa di domenica, anche se per loro è un giorno di lavoro. E' una decisione del Governo per promuovere la convivenza tra cristiani", ha spiegato.

"Io come cristiano dico sempre: sono arabo, sono giordano e sono cristiano", spiega Twal. "Come cristiani siamo il 3%, come cattolici l'1,5%. Vediamo in questa visita un sostegno alla presenza dei cristiani, perché noi portiamo questa religione da 2000 anni", ha detto emozionato.

La visita, ha aggiunto, "è importante anche perché ha permesso l'incontro con il Re e la Regina, con i capi dei musulmani, e questo è decisivo per parlare di convivenza, di cose umane, non dogmatiche; argomenti che toccano questa zona del Medio Oriente che è sempre in conflitto".

Secondo Twal, abituato a mostrare ai pellegrini la ricchezza biblica del suo Paese, questa domenica si vivrà uno dei momenti più simbolici per il futuro del cristianesimo giordano quando il Papa si avvicinerà alle rive del fiume Giordano, in quello che è considerato il luogo del Battesimo di Cristo, per benedire le prime pietre delle chiese dei latini e dei greco-melchiti.

"Purtroppo questo sito che ha fatto nascere la fede cristiana è ancora dimenticato anche dalla Chiesa. La benedizione è un richiamo, visto che ci saranno più di 1.300 giornalisti che coprono questa visita, un richiamo per la Chiesa in tutto il mondo. La visita al Giordano dovrebbe essere una meta importante nei pellegrinaggi in Terra Santa", ha concluso Twal.




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