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Viaggio apostolico in Giordania e Israele

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2009 21:40
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09/05/2009 16:06
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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (IV)


VISITA ALL’ANTICA BASILICA DEL "MEMORIALE DI MOSÈ", SUL MONTE NEBO



Alle ore 8.30 di questa mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI si trasferisce in auto al Monte Nebo dove visita l’antica Basilica del "Memoriale di Mosé", affidata alla Custodia Francescana di Terra Santa. In questo luogo, secondo la tradizione, il Signore mostrò a Mosè la Terra Promessa, al termine della prova del deserto, 40 anni dopo l’esodo dall’Egitto.

Al Suo arrivo, il Papa è accolto dal Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, P. José Rodríguez Carballo.

Dopo il saluto del Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Padre Ministro Generale,
Padre Custode,
Cari Amici,

in questo luogo santo, consacrato dalla memoria di Mosè, vi saluto tutti con affetto nel Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il P. José Rodríguez Carballo, per le cordiali parole di benvenuto. Colgo inoltre questa occasione per rinnovare l’espressione della mia gratitudine, e quella dell’intera Chiesa, ai Frati Minori della Custodia per la loro secolare presenza in queste terre, per la loro gioiosa fedeltà al carisma di san Francesco, come pure per la loro generosa sollecitudine per il benessere spirituale e materiale delle comunità cristiane locali e degli innumerevoli pellegrini che ogni anno visitano la Terra Santa. Qui desidero ricordare anche, con particolare gratitudine, il defunto P. Michele Piccirillo, che dedicò la sua vita allo studio delle antichità cristiane ed è sepolto in questo santuario che egli amò così intensamente.

È giusto che il mio pellegrinaggio abbia inizio su questa montagna, dove Mosè contemplò da lontano la Terra Promessa. Il magnifico scenario che ci si apre dinanzi dalla spianata di questo santuario ci invita a considerare come quella visione profetica abbracciava misteriosamente il grande piano della salvezza che Dio aveva preparato per il suo Popolo. Nella Valle del Giordano, infatti, che si snoda sotto di noi, nella pienezza dei tempi Giovanni Battista sarebbe venuto a preparare la via del Signore. Nelle acque del Giordano Gesù, dopo il battesimo ad opera di Giovanni, sarebbe stato rivelato come il Figlio diletto del Padre e, dopo essere stato unto di Spirito Santo, avrebbe inaugurato il proprio ministero pubblico. Fu ancora dal Giordano che il Vangelo si sarebbe diffuso, dapprima mediante la predicazione stessa e i miracoli di Cristo, e poi, dopo la sua risurrezione e l’effusione dello Spirito a Pentecoste, mediante l’opera dei suoi discepoli sino ai confini della terra.

Qui, sulle alture del Monte Nebo, la memoria di Mosè ci invita ad "innalzare gli occhi" per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino. Nelle acque del Battesimo siamo passati dalla schiavitù del peccato ad una nuova vita e ad una nuova speranza. Nella comunione della Chiesa, Corpo di Cristo, noi pregustiamo la visione della città celeste, la nuova Gerusalemme, nella quale Dio sarà tutto in tutti. Da questa santa montagna Mosè orienta il nostro sguardo verso l’alto, verso il compimento di tutte le promesse di Dio in Cristo.

Mosè contemplò la Terra Promessa da lontano, al termine del suo pellegrinaggio terreno. Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia. Sulle orme dei Profeti, degli Apostoli e dei Santi, siamo chiamati a portare avanti la missione del Signore, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio. Noi siamo chiamati ad accogliere la venuta del Regno di Cristo mediante la nostra carità, il nostro servizio ai poveri ed i nostri sforzi di essere lievito di riconciliazione, di perdono e di pace nel mondo che ci circonda. Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno. Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco (cfr Es 3,14), ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni.

Sin dai primi tempi i cristiani sono venuti in pellegrinaggio ai luoghi associati alla storia del Popolo eletto, agli eventi della vita di Cristo e della Chiesa nascente. Questa grande tradizione, che il mio odierno pellegrinaggio intende continuare e confermare, è basata sul desiderio di vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti. Qui, sulle orme degli innumerevoli pellegrini che ci hanno preceduto lungo i secoli, siamo spinti, quasi come in una sfida, ad apprezzare più pienamente il dono della nostra fede e a crescere in quella comunione che trascende ogni limite di lingua, di razza e di cultura.

L’antica tradizione del pellegrinaggio ai luoghi santi ci ricorda inoltre l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo. Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!

Cari Amici, riuniti in questo santo luogo, eleviamo gli occhi e i cuori al Padre. Mentre ci apprestiamo a recitare la preghiera insegnataci da Gesù, invochiamolo perché affretti la venuta del suo Regno, così che possiamo vedere il compimento del suo piano di salvezza e sperimentare, insieme con san Francesco e tutti i pellegrini che ci hanno preceduto segnati con il segno della fede, il dono dell’indicibile pace – pax et bonum – che ci attende nella Gerusalemme celeste.


Al termine della visita, il Santo Padre si trasferisce in auto all’Università del Patriarcato Latino di Gerusalemme a Madaba.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (V)


BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELL’UNIVERSITÀ DEL PATRIARCATO LATINO A MADABA


Alle ore 10.30 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI, dopo aver attraversato in auto il quartiere cristiano della città di Madaba, giunge nel luogo dove è in costruzione l’Università del Patriarcato Latino, per la Benedizione della prima Pietra.

Qui, alla presenza di alcune migliaia di persone, dopo l’indirizzo di omaggio del Patriarca Latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,
Cari Amici,

è per me una grande gioia benedire la prima pietra dell’Università di Madaba. Ringrazio Sua Beatitudine l’Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le gentili parole di benvenuto. Desidero estendere uno speciale saluto di apprezzamento a Sua Beatitudine il Patriarca emerito, Michel Sabbah, alla cui iniziativa ed ai cui sforzi, unitamente a quelli del Vescovo Salim Sayegh, questa nuova istituzione tanto deve. Saluto inoltre le Autorità civili, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli, come pure quanti ci accompagnano in questa importante cerimonia.

Il Regno di Giordania ha giustamente dato priorità all’obiettivo di espandere e migliorare l’educazione. So che in questa nobile missione Sua Maestà la Regina Rania è particolarmente attiva e la sua dedizione è motivo di ispirazione per molti. Mentre plaudo agli sforzi delle persone di buona volontà impegnate nell’educazione, rilevo con soddisfazione la partecipazione competente e culturalmente qualificata delle istituzioni cristiane, specialmente cattoliche e ortodosse, in questo sforzo globale. È questo retroterra che ha condotto la Chiesa Cattolica, con il sostegno delle Autorità giordane, a porre in atto i propri sforzi nel promuovere l’educazione universitaria in questo Paese ed altrove. L’iniziativa risponde, inoltre, alla richiesta di molte famiglie che, soddisfatte per la formazione ricevuta nelle scuole rette da autorità religiose, chiedono di poter avere un’analoga opzione a livello universitario.

Plaudo ai promotori di questa nuova istituzione per la loro coraggiosa fiducia nella buona educazione quale primo passo per lo sviluppo personale e per la pace ed il progresso nella regione. In questo quadro l’università di Madaba saprà sicuramente tenere presenti tre importanti obiettivi. Nello sviluppare i talenti e le nobili predisposizioni delle successive generazioni di studenti, li preparerà a servire la comunità più ampia ed elevarne gli standard di vita. Trasmettendo conoscenza ed istillando negli studenti l’amore per la verità, promuoverà grandemente la loro adesione ai valori e la loro libertà personale. Da ultimo, questa stessa formazione intellettuale affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove. Il risultato di tale processo è un’università che non è soltanto una tribuna per consolidare l’adesione alla verità e ai valori di una specifica cultura, ma anche un luogo di comprensione e di dialogo. Mentre assimilano la loro eredità culturale, i giovani della Giordania e gli altri studenti della regione saranno condotti ad una più profonda conoscenza delle conquiste dell’umanità, e saranno arricchiti da altri punti di vista e formati alla comprensione, alla tolleranza e alla pace.

Questo tipo di educazione "più ampia" è ciò che ci si aspetta dalle istituzioni dell’educazione superiore e dal loro contesto culturale, sia esso secolare o religioso. In realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia. San Paolo esortava i primi cristiani ad aprire le proprie menti a tutto "quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode" (Fil 4,8). Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà. Il cuore umano può essere indurito da un ambiente ristretto, da interessi e da passioni. Ma ogni persona è anche chiamata alla saggezza e all’integrità, alla scelta basilare e più importante di tutte del bene sul male, della verità sulla disonestà, e può essere sostenuta in tale compito.

La chiamata all’integrità morale viene percepita dalla persona genuinamente religiosa dato che il Dio della verità, dell’amore e della bellezza non può essere servito in alcun altro modo. La fede matura in Dio serve grandemente per guidare l’acquisizione e la giusta applicazione della conoscenza. La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. Senza dubbio questa è una delle speranze di quanti promuovono questa Università, il cui motto è Sapientia et Scientia. Allo stesso tempo, la scienza ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. "La natura intellettuale della persona umana si completa e deve completarsi per mezzo della sapienza, che attira dolcemente la mente dell’uomo a cercare ed amare le cose vere e buone" (cfr Gaudium et spes, 15). L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica. Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento. Pertanto, la sapienza religiosa ed etica, rispondendo alle questioni sul senso e sul valore, giocano un ruolo centrale nella formazione professionale. Conseguentemente, quelle università dove la ricerca della verità va di pari passo con la ricerca di quanto è buono e nobile offrono un servizio indispensabile alla società.

Con tali pensieri in mente, incoraggio in maniera speciale gli studenti cristiani della Giordania e delle regioni vicine a dedicarsi responsabilmente ad una giusta formazione professionale e morale. Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito.

Cari Amici, desidero rinnovare le mie congratulazioni al Patriarcato Latino di Gerusalemme ed il mio incoraggiamento a quanti hanno preso a cuore questo progetto, insieme a quanti sono già impegnati nell’apostolato dell’educazione in questa Nazione. Il Signore vi benedica e vi sostenga. Prego affinché i vostri sogni diventino presto realtà, affinché possiate vedere generazioni di uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni, capaci di occupare il loro posto nella società, dotati di perizia professionale, bene informati nel loro campo ed educati ai valori della saggezza, dell’onestà, della tolleranza e della pace. Su di voi, sui tutti i vostri futuri studenti e sul personale di questa Università e sulle loro famiglie, invoco le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente. Grazie!


Al termine, il Santo Padre si reca in auto alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman.





PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009) (VI)



VISITA AL MUSEO HASHEMITA ED ALLA MOSCHEA "AL-HUSSEIN BIN TALAL" DI AMMAN


Alle ore 11.30 il Santo Padre Benedetto XVI arriva al Museo Hashemita. Qui viene accolto dal Direttore del Museo che lo accompagna all’interno per una breve visita.

Quindi si reca nella Moschea "Al-Hussein Bin Talal" dove viene accolto dall’Imam. Al termine della visita alla Moschea, il Papa si reca all’esterno del luogo di culto per l’incontro con i Capi religiosi musulmani.



INCONTRO CON I CAPI RELIGIOSI MUSULMANI, IL CORPO DIPLOMATICO ED I RETTORI DELLE UNIVERSITÀ GIORDANE, AD AMMAN

Alle ore 11.45, all’esterno della Moschea "Al-Hussein Bin Talal" di Amman, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Capi religiosi musulmani, il Corpo Diplomatico ed i Rettori delle Università giordane.

Dopo il saluto del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal - uno dei firmatari del Messaggio indirizzato, nell’ottobre 2007, da 138 dotti islamici al Papa e ai leader cristiani per promuovere la pace nel mondo - il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE


Altezza Reale,
Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,

è motivo per me di grande gioia incontrarvi questa mattina in questo splendido ambiente. Desidero ringraziare il Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal per le sue gentili parole di benvenuto. Le numerose iniziative di Vostra Altezza Reale per promuovere il dialogo e lo scambio inter-religioso ed inter-culturale sono apprezzate dai cittadini del Regno Hashemita ed ampiamente rispettate dalla comunità internazionale. Sono al corrente che tali sforzi ricevono il sostegno attivo di altri membri della Famiglia Reale come pure del Governo della Nazione e trovano vasta risonanza nelle molte iniziative di collaborazione fra i Giordani. Per tutto questo desidero manifestare la mia sincera ammirazione.

Luoghi di culto, come questa stupenda moschea di Al-Hussein Bin Talal intitolata al venerato Re defunto, si innalzano come gioielli sulla superficie della terra. Dall’antico al moderno, dallo splendido all’umile, tutti rimandano al divino, all’Unico Trascendente, all’Onnipotente. Ed attraverso i secoli questi santuari hanno attirato uomini e donne all’interno del loro spazio sacro per fare una pausa, per pregare e prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per riconoscere che noi tutti siamo sue creature.

Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è. Certamente, il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato. Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto. Musulmani e Cristiani, proprio a causa del peso della nostra storia comune così spesso segnata da incomprensioni, devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia.

La decisione degli educatori giordani come pure dei leader religiosi e civili di far sì che il volto pubblico della religione rifletta la sua vera natura è degna di plauso. L’esempio di individui e comunità, insieme con la provvista di corsi e programmi, manifestano il contributo costruttivo della religione ai settori educativo, culturale, sociale e ad altri settori caritativi della vostra società civile. Ho avuto anch’io la possibilità di constatare personalmente qualcosa di questo spirito. Ieri ho potuto prender contatto con la rinomata opera educativa e di riabilitazione presso il Centro Nostra Signora della Pace, dove Cristiani e Musulmani stanno trasformando le vite di intere famiglie, assistendole al fine di far sì che i loro figli disabili possano avere il posto che loro spetta nella società. All’inizio dell’odierna mattinata ho benedetto la prima pietra dell’Università di Madaba, dove giovani musulmani e cristiani, gli uni accanto agli altri, riceveranno i benefici di un’educazione superiore, che li abiliterà a contribuire validamente allo sviluppo sociale ed economico della loro Nazione. Di gran merito sono pure le numerose iniziative di dialogo inter-religioso sostenute dalla Famiglia Reale e dalla comunità diplomatica, talvolta intraprese in collegamento col Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso. Queste comprendono il continuo lavoro degli Istituti Reali per gli Studi Inter-religiosi e per il Pensiero Islamico, l’Amman Message del 2004, l’Amman Interfaith Message del 2005, e la più recente lettera Common Word, che faceva eco ad un tema simile a quello da me trattato nella mia prima Enciclica: il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione (cfr Deus caritas est, 16).

Chiaramente queste iniziative conducono ad una maggiore conoscenza reciproca e promuovono un crescente rispetto sia per quanto abbiamo in comune sia per ciò che comprendiamo in maniera differente. Pertanto, esse dovrebbero indurre Cristiani e Musulmani a sondare ancor più profondamente l’essenziale rapporto fra Dio ed il suo mondo, così che insieme possiamo darci da fare perché la società si accordi armoniosamente con l’ordine divino. A tale riguardo, la collaborazione realizzata qui in Giordania costituisce un esempio incoraggiante e persuasivo per la regione, in realtà anzi per il mondo, del contributo positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile.

Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all’insegnamento e alla ricerca scientifica, come pure al servizio alla società. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità a partecipare a questa Ragione e così ad agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità. E quali credenti nell’unico Dio, sappiamo che la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio. In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello.

Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali. Ci viene ricordato che proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile.

Questa mattina prima di lasciarvi, vorrei in special modo sottolineare la presenza tra noi di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Baghdad, che io saluto molto calorosamente. La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania. Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni. Esprimo il mio apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società. Ancora una volta, chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini.

Distinti Amici, confido che i sentimenti da me espressi oggi ci lascino con una rinnovata speranza per il futuro. L’amore e il dovere davanti all’Onnipotente non si manifestano soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella preoccupazione per i bambini e i giovani – le vostre famiglie – e per tutti i cittadini della Giordania. È per loro che faticate e sono loro che vi motivano a porre al cuore delle istituzioni, delle leggi e delle funzioni della società il bene di ogni persona umana. Possa la ragione, nobilitata e resa umile dalla grandezza della verità di Dio, continuare a plasmare le vita e le istituzioni di questa Nazione, così che le famiglie possano fiorire e tutti possano vivere in pace, contribuendo e al tempo stesso attingendo alla cultura che unifica questo grande Regno! Grazie mille!


Al termine, il Santo Padre rientra alla Nunziatura Apostolica di Amman dove pranza con i Membri del Seguito.




La visita del Papa al Memoriale di Mosè sul Monte Nebo: Chiesa e popolo ebreo uniti da un "inseparabile legame"


Dall’alto del Monte Nebo, la Chiesa contempla il suo pellegrinaggio terreno verso la salvezza promessa da Cristo e ricorda il suo “inseparabile legame” con il popolo ebreo. Benedetto XVI lo ha affermato questa mattina, visitando l’antica Basilica del “Memoriale di Mosè”, prima tappa del suo secondo giorno in Terra Santa. Il Papa ha raggiunto di buon mattino in auto l’altura che dista una quarantina di km. da Amman, affacciandosi dalla terrazza del Santuario nel quale ha poi tenuto il suo discorso. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Lo stesso sguardo panoramico e commosso di Mosè, ad abbracciare da lontano le colline che circondano Amman e, più oltre, Betlemme e la Valle del Giordano, il rigoglio di una terra che l’antico Patriarca non toccò mai. Benedetto XVI lo ha sperimentato questa mattina, sul Monte Nebo, che la tradizione indica come luogo dal quale Mosè vide la Terra Promessa. Ma anche uno sguardo interiore, a ricordare che il “vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione i luoghi benedetti dalla presenza fisica” di Cristo comporta per i cristiani una duplice consapevolezza: di un’“esodo” dal deserto del peccato e dell’“inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo”:


“From the beginning, the Church in these lands…
Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!”

Questo auspicio del Papa ha suggellato un discorso iniziato in chiave spirituale sul significato che la vicenda di Mosè sul Monte Nebo assume per i cristiani contemporanei. “Lei oggi ha voluto farsi pellegrino, ricordandoci che questa è la condizione del popolo di Dio”, aveva detto nel suo indirizzo di saluto al Papa il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, padre Rodriguez Carballo, aggiungendo:


“In questo viaggio non è solo. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore”.

Benedetto XVI ha raccolto questo spunto pastorale, ricordando che “qui, sulle alture del Monte Nebo:


“The memory of Moses invites us…
La memoria di Mosè ci invita ad ‘innalzare gli occhi’ per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino”.

Un cammino che ha nel suo lungo peregrinare di Mosè nel deserto, conclusosi a pochi chilometri dalle valli promesse, ammirate e mai raggiunte, un modello e un simbolo per la Chiesa attuale:


“His example reminds us that we too are part…
Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia (...) Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore (...) Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco, ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni…”

Il Memoriale di Mosè è affidato alla Custodia francescana di Terra Santa sin dal 1932. Una presenza che ha un suo emblema nella figura di padre Michele Piccirillo, famoso archeologo francescano sepolto proprio nel Santuario sul Monte Nebo che - ricordato oggi dal Papa - “egli amò intensamente”. Sulla visita di Benedetto XVI, il nostro inviato della redazione polacca, padre Jozef Polak, ha sentito l’attuale responsabile dell’Istituto archeologico del Memoriale di Mosè, padre Carmelo Pappalardo:

R. - Lui, da qui, guarda la Terra Promessa e pochi giorni dopo vi andrà anche lui. E’ un momento di grande speranza e di grande gioia per chi, come noi Francescani, lavora per i cristiani e per la popolazione di questa terra che - come ben si sa - ha molti problemi, soprattutto politici, di integrazione per i cristiani. Quindi, la venuta del Papa è sicuramente un momento di grazia per tutti noi.


D. - Lei, come archeologo, sta restaurando i mosaici della Basilica, che adesso sono stati tolti. Potrebbe spiegare l’attuale situazione dei restauri?


R. - I nostri restauri si stanno svolgendo su due fronti: uno è la ricostruzione della copertura del tetto della chiesa, che era stata fatta nel 1964 e che necessitava di essere rifatta, per vari motivi. E quindi abbiamo approfittato di questo evento per fare un nuovo restauro di tutti i mosaici del pavimento della chiesa. Abbiamo rimosso i mosaici, che erano stati posati sul cemento: ora stiamo togliendo il cemento e quindi li rimetteremo su nuovi supporti per poi riposizionarli nella chiesa.


D. - Secondo lei, quali sono le speranze connesse a questo viaggio del Papa in Giordania, in Terra Santa?


R. - La cosa di cui si ha più bisogno è sicuramente la pace. Noi speriamo che la venuta del Papa apra i cuori di tutti, delle varie parti, soprattutto politiche, e dia una scossa vera per la pace in questa terra.


D. - Avete qualche segno di questa speranza? Sono i pellegrini che vengono qui, per esempio?


R. - Segni di questa speranza sono sicuramente i pellegrini. Nonostante le difficoltà dei primi anni seguenti al 2001, all’Intifada, durante i quali ne sono venuti pochi, ultimamente c’è una forte ripresa dei pellegrinaggi e questo sicuramente aiuta: aiuta i cristiani, aiuta la gente di qui. Un altro segno della speranza è certamente la continuità del nostro lavoro qui, fin dal 1200: da San Francesco in poi, abbiamo cercato di dare una voce alla speranza e alla pace per questi popoli, per questa terra.






Benedetto XVI alla Moschea di Amman. Amore e ragione a fondamento delle religioni: violenza e ignoranza le sfigurano


Seconda giornata di Benedetto XVI in Giordania. Il Papa ha compiuto stamani una storica visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, dove ha incontrato i capi religiosi musulmani sottolineando il contributo positivo che le religioni danno alla società se basate sull’amore di Dio e del prossimo e sul valore della ragione umana e se evitano ogni manipolazione ideologica. Poi ha rilevato che il diritto di libertà religiosa è più della libertà di culto. In precedenza il Papa aveva benedetto la prima pietra dell’Università del Patriarcato latino di Madaba affermando che la religione viene sfigurata quando è costretta a servire l’ignoranza, il pregiudizio e la violenza. Ma diamo la linea al nostro inviato ad Amman Pietro Cocco:

Una calorosa e impegnativa accoglienza ufficiale e popolare è il carattere distintivo di questa seconda giornata del Papa in Gordania. E un’accoglienza calorosa, tutta speciale, è stata quella della comunità cristiana che a Madaba è particolarmente numerosa e si è riversata in strada per salutare il Papa lungo tutto il percorso attraverso la città, compiuto da Benedetto XVI in papamobile. Impegnativa perchè nei discorsi del Papa e del Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, (cugino del Re e personalmente impegnato nel dialogo interreligioso), che ha accolto il Papa alla Moschea di Amman, si è avvertita tutta la consapevolezza di vivere momenti cruciali per il dialogo interreligioso e per la ricerca di nuovi equilibri di pace e di collaborazione nella regione del Medio Oriente e nel mondo.


Sia il Papa che il Principe Ghazi, nel suo ricco e articolato intervento, hanno mostrato quale dovrebbe essere l’impegno comune dei cristiani e dei musulmani per far crescere la comprensione e la collaborazione, ma anche il rispetto delle reciproche differenze. Il Principe Ghazi lo ha fatto anche con un convincente ed erudito riferimento agli equivoci e ai malintesi, ormai superati, legati al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Benedetto XVI ha indicato concretamente questo impegno nel sostenere il campo dell’educazione, anche accogliendo la luce che può portarvi la religione se non viene corrotta da interessi umani. La buona educazione, ha detto, è il primo passo per lo sviluppo personale e per la pace e il progresso nella regione. Di qui il valore delle istituzioni educative portate avanti in Giordania anche dalla comunità cristiana, ed ora nella fondazione di una nuova Università, aperta ai cristiani e ai musulmani. Questa università offrirà l’opportunità di arricchirsi di altri punti di vista e di formare gli studenti alla comprensione, alla tolleranza e alla pace:

“Religion is disfigured when pressed into the service of ignorance or prejudice,…
La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà”.

Altro elemento per uno sforzo comune di cristiani e musulmani, è stato indicato da Benedetto XVI nell’aprire gli orizzonti della ragione umana, e del progresso scientifico e tecnologico. L’uso della conoscenza scientifica ha bisogno della luce della sapienza etica. Sapienza, ha osservato il Papa, che ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra e altri importanti codici internazionali. Si è quindi rivolto agli studenti cristiani della Giordania a Madaba:

“You are called to be builders of a just and peaceful society composed of peoples…
Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’Università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito”.

Ma è nell’incontro con i leaders religiosi musulmani ed i rettori delle università giordane alla Moschea Al Hussein di Amman, che Benedetto XVI ha espresso la sua preoccupazione, ed il suo richiamo a cristiani e musulmani, per il fatto che molti oggi considerino la religione necessariamente una causa di divisione nel mondo:

“For this reason we cannot fail to be concerned that today,…
Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio”.

Certamente, il contrasto le tensioni e le divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato, ha osservato il Papa, ma con altrettanta franchezza ha aggiunto:

“However, is it not also the case that often it is the ideological manipulation…
Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto”.

Inoltre, secondo Benedetto XVI, la consapevolezza di una storia comune spesso segnata da incomprensioni deve spingere cristiani e musulmani ad essere riconosciuti come adoratori di Dio, misericordiosi e compassionevoli, memori della comune origine e dignità di ogni persona umana.


In tal senso il Papa ha lodato le numerose iniziative nel dialogo interreligioso e interculturale sostenute dalla Famiglia reale della Giordania, anche in collaborazione con il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, tra cui il Messaggio di Amman e la recente lettera ‘Common World’, indirizzata da 138 esponenti religiosi musulmani ai capi delle Chiese cristiane. Lettera che ha in comune con l’enciclica di Benedetto XVI, ‘Deus Caritas est’, di indicare il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure “la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione”.


In questo spirito, il Papa ha concluso il suo discorso alla Moschea chiamando nuovamente cristiani e musulmani ad un compito comune: sviluppare il vasto potenziale della ragione umana, nel contesto della fede e della verità. La ragione infatti si eleva quando è illuminata dalla luce della verità di Dio, e in tal modo, viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo scopo di servire l’umanità. E così si amplia, piuttosto che essere manipolato o ristretto, il pubblico dibattito. Per questo Benedetto XVI ha concluso il suo discorso incoraggiandoo tutti a superare i propri interessi particolari, anche gli amministratori e i leaders sociali, che devono servire il bene comune di tutti:

“We are reminded that because it is our common human dignity which gives rise…
Proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile”.




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Martedì prossimo la Messa del Papa a Gerusalemme nella valle di Josafat


Se tutto il popolo della Giordania, e non solo la comunità cristiana, segue con grande partecipazione la visita di Benedetto XVI, cresce l'attesa in Israele dove il Papa arriverà nella mattinata di lunedì prossimo. Uno dei momenti più significativi del viaggio apostolico in Terra Santa sarà la Messa nella valle di Josafat a Gerusalemme su cui si sofferma, in questo servizio, il nostro inviato Roberto Piermarini:

La Messa nella valle di Josafat martedì prossimo, in un luogo carico di significati biblici e cristiani, sarà certamente uno dei momenti più suggestivi del pellegrinaggio in Terra Santa di Benedetto XVI. E sarà anche la prima volta che un Papa celebrerà una Messa in uno spazio aperto nella Città Santa in quanto sia Paolo VI nel ’64 che Giovanni Paolo II nel 2000 avevano presieduto la solenne concelebrazione all’interno della Basilica del Santo Sepolcro. C’e’ molta attesa nella comunità cristiana di Gerusalemme che vuole stringersi intorno al Papa, anche se ci sono timori che le imponenti misure di sicurezza israeliane possano costringere molti fedeli a rimanere nelle proprie case. Questo evento rimarrà certamente scolpito nella memoria di questo viaggio per via dello scenario mozzafiato che si presenterà ai seimila fedeli previsti per la celebrazione. Sullo sfondo infatti appaiono la sagoma dorata della Cupola musulmana della Roccia, le pietre bianche delle tombe del cimitero ebraico e quello cristiano, lo splendore della Basilica cristiana del Getsemani da un lato e le imponenti mura di Gerusalemme dall’altro. Il palco è stato posto in quel tratto della valle del Cedron stretto tra il Monte del Tempio ed il Monte degli Ulivi che – secondo la tradizione – è la valle di Josafat, cioè il posto – come afferma il profeta Gioele – dove alla fine dei tempi Dio “riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”. Per questo la valle del Cedron - che scende dal deserto di Giuda in quella che politicamente oggi è Gerusalemme Est – si ricorda per i grandi cimiteri: quello ebraico con le tombe bianche senza fiori ma solo pietre come è nella tradizione giudaica; quello musulmano e quello cristiano con le lapidi con incise delle croci rosse, che si confondono tra gli ulivi della valle. E’ qui che vogliono farsi seppellire gli abitanti di Gerusalemme perchè è qui che sarà il luogo del giudizio finale. Ma questa valle è molto cara ai cristiani perchè è qui che Gesù è passato la notte della Passione: prima di andare al Cenacolo per l’Ultima Cena e al Getsemani dove ha pregato il Padre prima di essere tradito, catturato e crocifisso. La Messa di Benedetto XVI al Cedron, sarà quindi il momento del pellegrinaggio in cui il Papa farà memoria della Passione del Signore. “Dio riunirà tutte le genti e verrà a giudizio con loro”, dice il profeta Gioele. Il Successore di Pietro riunirà al Cedron tutte le genti di Gerusalemme per annunciare loro il giudizio che in Cristo è la misericordia.

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